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Academic year: 2021

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Anna Bognolo, «Presentazione», Historias Fingidas, 3 (2015), pp. 1-2. DOI 10.13136/2284-2667/43. ISSN 2284-2667.

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Presentazione

Anna Bognolo

(Università degli Studi di Verona)

§

La definizione di Pierre-Daniel Huet «Ce que l’on appelle proprement Romans, sont des histoires feintes d’aventures amoureuses, écrites en Prose avec art, pour le plaisir et l’instruction des lecteurs» giunge in pieno Seicento a coronare una linea di discussione secolare sulla natura e lo statuto della finzione narrativa. Se tra i primi difensori dell’alterità e legittimità del romanzo si annovera l’autore dell’Amadís de

Gaula, gli elogi di Tasso («quasi in un picciolo mondo…») e di Cervantes («la

escritura desatada d’estos libros da lugar a que el autor pueda mostrarse épico, lírico, trágico, cómico…; que la épica también puede escribirse en prosa como en verso») aprono per la finzione una prospettiva liberatoria lungo una strada accidentata di diffidenze e censure. Le pagine di Huet, che si offrono qui per la prima volta in traduzione spagnola, autorizzano il romanzo proprio mentre lo inscrivono nella regola aristotelica; le sue origini, oltre che nelle pieghe del più profondo Oriente da cui il si dipana il percorso genealogico della letteratura europea, sono individuate nell’insopprimibile desiderio di conoscenza dell’uomo, nella vastità dell’imma-ginazione che caratterizza anche i popoli più barbari e incolti. I romanzi si sdoganano infine perché sono dei precettori muti, che insegnano ai giovani (e alle giovani) a destreggiarsi nei pericoli del mondo.

La sezione «Parole ritrovate» ospita anche due lavori di Giuseppina Ledda che da poco ci ha lasciato. Ritrovare le sue parole ci è sembrato il modo migliore per rendere omaggio alla sua ampiezza di interessi e alla sua generosità di maestra e amica.

La sezione «Monografica» di questo terzo numero pubblica i contributi presentati nel IV seminario veronese di Historias Fingidas del novembre 2014, «Il genere dei libros de caballerías e l’orizzonte europeo». La vastità di orizzonti si ritrova nel quadro tracciato da F. Cabo Aseguinolaza che mette in relazione il romanzo cavalleresco con il concetto di world literature, postulando la presenza di una repubblica letteraria cavalleresca pre-nazionale che, con la traducibilità e la circolazione di questi libri «ipercavallereschi» e cosmopoliti, superava agilmente le frontiere ancora fluide tra le lingue, accomunando lettori di tutte le nazioni e aprendo il varco al successo del Don Chisciotte. R. Beltrán ci affida una nuova proposta filologica che lega la storia originalissima del Libro del rey Canamor y del infante Turián (1509) alle conquiste portoghesi nell’Oceano Indiano, rinvenendo le radici dell’inven-zione nella concretezza degli avvenimenti storici (assedio di Cananor, porto nella baia

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Historias Fingidas, 3 (2015) - Editoriale

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di Goa, 1507). J. J. Martín Romero ritorna con lucidità sul problema della considerazione del Chisciotte come libro de caballerías, a partire da ragioni strutturali e stilistiche anche interne ai paradossi di Cervantes (il gioco del libro nel libro, il ricorso al falso cronista e lo stile cavalleresco del narratore). Lo studio senza precedenti di H. Schaffert sulle continuazioni tedesche dell’Amadís (i volumi XXII-XXIV che conclu-sero la serie letta in Europa, pubblicati a Francoforte dopo il 1569) fornisce un’analisi dei meccanismi narrativi che favoriscono l’aggancio e la composizione delle continuazioni. Gli adattamenti teatrali dei romanzi cavallereschi interessano due interventi: il primo sulle permanenze e i cambiamenti che El castillo di Lindabridis di Calderón mostra rispetto al suo ipotesto, l’Espejo de Príncipes (A. Campos García-Rojas) e il secondo sugli stratagemmi della commedia Amadís y Niquea di Francisco de Leyva che sfrutta i travestimenti, gli scambi di persona e il gioco di equivoci retto dalla tripla parte attribuita ad un’unica brillante prima attrice (C. Demattè). C. Castillo studia l’episodio della fonte magica della Seconda parte del Platir, motivo ricorrente in tanta narrativa cavalleresca e pastorale ma anche nella novellistica «cortesana». Sul contesto italiano verte anche l’intervento di J. Gesiot, secondo la cui attenta ricostruzione il Mambriano del Cieco da Ferrara troverebbe lo stimolo proprio nella precoce diffusione mantovana del Tirant, sia riguardo a motivi e situazioni narrative, che per l’ideologia cavalleresca e militare sottesa.

Nella sezione «Miscellanea», S. Neri aggiorna il censimento degli esemplari dei romanzi italiani di ispirazione spagnola recentemente rinvenuti in piccole e grandi biblioteche (spicca la Österreichische Nationalbibliothek di Vienna) grazie alle attuali possibilità di catalogazione e di riproduzione digitale. L’aggiornamento confluisce nella sezione «Spagnole romanzerie» del sito web del Progetto Mambrino. Da notare la nuova voce dedicata all’Olivieri di Castiglia.

Concludono questo numero le recensioni di J.M. Pozuelo Yvancos, La invención

literaria…(S. Bazzaco), V. Infantes, Ludo ergo sum… (E. Fiorentini) e T. Pavel, Le vite del romanzo… (S. Trujillo); libri tutti che, per ragioni diverse, sono al centro dei nostri

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