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RUOLO DELL'ATTIVITÀ MOTORIA NEL CONTROLLO DEL DOLORE CRONICO NEI PAZIENTI AFFETTI DA SINDROME DI SJÖGREN PRIMITIVA

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale Direttore Prof. Corrado Blandizzi

_____________________________________________________________________________

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE E TECNICHE

DELLE ATTIVITÀ MOTORIE PREVENTIVE E ADATTATE

Presidente: Prof. Fabio Galetta

“Ruolo dell’attività motoria nel controllo del dolore cronico nei

pazienti affetti da Sindrome di Sjögren primitiva”

CANDIDATO

RELATORE

Virginia Iannotta Dott.ssa Chiara Baldini

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale Direttore Prof. Corrado Blandizzi

_____________________________________________________________________________

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE E TECNICHE

DELLE ATTIVITÀ MOTORIE PREVENTIVE E ADATTATE

Presidente: Prof. Fabio Galetta

“Ruolo dell’attività motoria nel controllo del dolore cronico

nei pazienti affetti da Sindrome di Sjögren primitiva”

ANNO ACCADEMICO 2016/2017

CANDIDATO

Sig.na Virginia Iannotta

_________________________

RELATORE

Dott.ssa Chiara Baldini

_________________________

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I

Indice

Introduzione

1 Sindrome di Sjögren

1.1 Cenni storici

1.2 Definizione

1.3 Epidemiologia

1.4 Eziopatogenesi

1.5 Istopatologia

1.6 Quadro clinico

1.7 Diagnosi

1.8 Diagnosi differenziale

1.9 Terapia

2 Comorbidità fibromialgica

2.1 Sindrome di Sjögren e fibromialgia

2.2 Attività fisica come intervento terapeutico

2.3 Programma motorio di ricondizionamento

3 Scopo della tesi

4 Materiali e metodi

4.1 Questionario IPAQ

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II

4.2 Questionario PROFAD SSI

5 Risultati

5.1 Descrizione dei pazienti arruolati

5.2 IPAQ: confronto tra pazienti con pSS e controlli

5.3 Attività motoria dei pazienti con Sindrome di Sjögren:

impatto sul dolore e sulla fatigue

6 Discussione

Conclusioni

Bibliografia

Ringraziamenti

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Introduzione

La Sindrome di Sjögren primitiva (pSS) è una malattia infiammatoria cronica a carattere sistemico, patogenesi autoimmune e ad eziologia multifattoriale. Essa è una malattia fortemente disabilitante che colpisce principalmente le ghiandole esocrine lacrimali e salivari, ma può colpire anche altri organi e apparati. La principale manifestazione clinica della malattia è rappresentata dalla secchezza delle mucose; inoltre è possibile riscontrare astenia cronica e manifestazioni cliniche che spaziano dall’impegno articolare fino a complicanze ematologiche. In particolare, sul versante muscolo-scheletrico, prevalgono sintomi legati ad artralgie e mialgie diffuse. Tali manifestazioni sono ascrivibili, nella maggior parte dei casi, ad una sindrome di fibromialgia secondaria. Essa è caratterizzata da dolore muscolo fasciale diffuso e cronico accompagnato da astenia, rigidità muscolo-tendinea e dalla presenza obiettiva di punti di dolorabilità specifici.

L’impatto della malattia sulla qualità della vita dei pazienti affetti è stato ampiamente esplorato in letteratura, ma solo pochi studi hanno valutato l’impatto della malattia sull’attività motoria svolta dal paziente e viceversa l’impatto dell’attività motoria sull’andamento della malattia. Per questo motivo l’obiettivo principale di questo studio osservazionale è quello di descrivere l’attività motoria dei pazienti affetti dalla Sindrome di Sjögren, focalizzando in particolare l’attenzione sia sui determinanti maggiori legati alla malattia che contribuiscono alle limitazioni nell’attività motoria dei pazienti arruolati che sugli effetti dell’attività motoria su alcune manifestazioni cliniche della malattia.

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2

1 Sindrome di Sjögren

1.1 Cenni storici

La prima descrizione di un paziente con Sindrome di Sjögren (SS) risale a Mikulicz che nel 1892 descrisse un soggetto con tumefazione bilaterale della parotide e delle ghiandole lacrimali associate ad infiltrato di cellule mononucleate.

Dopo una prima descrizione di associazione tra sindrome sicca e poliartrite da parte del francese Gougerot nel 1925, l’oculista svedese Sjögren descrisse nel 1933 il quadro clinico ed istopatologico di 19 pazienti con xerostomia e xeroftalmia, 13 dei quali con verosimile artrite reumatoide, per il quale usò la definizione cheratocongiuntivite secca. Venti anni dopo, Morgan e Castleman sottolinearono le caratteristiche comuni dei quadri istologici descritti rispettivamente da Mikulicz e da Sjögren e negli anni successivi, con il riconoscimento delle due entità quali varianti del medesimo processo, il termine di Sindrome di Sjögren fu accettato diffusamente dalla comunità scientifica.

Negli anni sessanta, con la descrizione dei diversi aspetti clinici della sindrome e la scoperta di autoanticorpi circolanti, si posero le basi per il riconoscimento della natura sistemica ed autoimmunitaria della SS.

1.2 Definizione

La sindrome di Sjögren (SS) è una malattia infiammatoria cronica a carattere sistemico, patogenesi autoimmune e ad eziologia multifattoriale; essa interessa principalmente le ghiandole esocrine, in particolare le ghiandole salivari e quelle lacrimali,

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3 ed è caratterizzata da un decorso lentamente progressivo. La principale manifestazione clinica della malattia è rappresentata da una riduzione della secrezione delle ghiandole salivari e lacrimali con conseguente cheratocongiuntivite secca e xerostomia (sindrome

sicca).

La malattia può tuttavia coinvolgere tutte le ghiandole esocrine dell’organismo (esocrinopatia autoimmune) e può essere distinta in due forme:

 La sindrome di Sjögren primaria o primitiva, che si presenta in forma isolata ed è caratterizzata essenzialmente dalla sindrome sicca con o senza impegno sistemico;

 La sindrome di Sjögren secondaria, che si manifesta in associazione ad altre malattie autoimmuni a carattere sistemico come la Sclerosi Sistemica, l’Artrite Reumatoide, il Lupus Eritematoso sistemico, ma anche alcune patologie organo specifiche come la Tiroide di Hashimoto, la Celiachia, l’Epatite Autoimmune, la Cirrosi Biliare Primitiva e la Pancreatite Autoimmune.

1.3 Epidemiologia

La sindrome di Sjögren è una patologia che interessa principalmente gli individui di sesso femminile con un rapporto maschi:femmine di 1:9. La malattia può presentarsi a qualsiasi età, sebbene il picco d’incidenza sia in genere tra la quarta e quinta decade di vita; è spesso difficile stabilire con precisione l’età di insorgenza della malattia, poiché in fase iniziale il quadro clinico è di regola sfumato e i sintomi d’esordio sono spesso sottostimati. Gli studi di prevalenza indicano percentuali tra lo 0,1% ed il 4,6%, variabilità probabilmente dovuta non solo a differenze razziali, ma anche a differenti criteri classificativi adottati nei diversi studi. La distribuzione geoepidemiologica della Sindrome

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4 di Sjögren è estremamente variabile in relazione all’area geografica considerata.

La SS rappresenta sicuramente una delle più comuni connettiviti.

1.4 Eziopatogenesi

L’eziologia della Sindrome di Sjögren è sconosciuta ma, come nelle altre malattie autoimmuni, è probabilmente di tipo multifattoriale per il concorso di fattori genetici, ormonali, immunologici e virali, anche se non ancora tutti identificati con precisione. La netta predominanza della malattia nel sesso femminile ha fatto ipotizzare un ruolo di alcuni ormoni sessuali nella patogenesi della sindrome, sebbene non vi siano ancora oggi chiare dimostrazioni in tal senso. Questi ormoni incrementano l’attivazione policlonale dei linfociti B e la formazione di anticorpi, condizione che può favorire una possibile proliferazione oligo-monoclonale culminante nell’eventuale sviluppo di malattie linfoproliferative.

L’importanza dei fattori genetici nell’eziopatogenesi della malattia è confermata dall’associazione della SS con alcuni antigeni del sistema HLA, e in particolare la SS primitiva con il DR 3 e la SS secondaria all’artrite reumatoide con il DR 4.

Gli antigeni di istocompatibilità sembrano anche condizionare particolari aspetti clinici e sierologici della malattia, come per esempio il DR 3 che dimostra una stretta relazione con le manifestazioni extraghiandolari e gli anticorpi anti-SSA e anti-SSB.

L’importanza eziologica della componente genetica è supportata anche dalla frequente aggregazione di diverse malattie autoimmuni nelle famiglie di pazienti con SS primaria. In un ospite con un determinato assetto immunogenetica, la reazione autoimmune potrebbe essere promossa da alcuni agenti infettivi, soprattutto virali, tra i quali gli herpes virus e i

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5 retrovirus.

Nel sangue periferico dei pazienti con Sindrome di Sjögren il numero dei linfociti T e B è quasi sempre nella norma. Le cellule Natural Killer (NK) mostrano un ridotto funzionamento nel sangue periferico, mentre sono assenti nelle lesioni delle ghiandole salivari.

Gli infiltrati ghiandolari presentano uno scarso numero di linfociti B ma si trovano in stato di attivazione.

Dal punto di vista anatomo-funzionale, la xerostomia e la secchezza oculare non si spiegano solo con la distruzione dell’epitelio ghiandolare. I linfociti B producono anche anticorpi che interferiscono con i recettori muscarinici (M3) per l’acetilcolina; inoltre l’aumentata secrezione di metalloproteasi altera l’interazione tra cellule ghiandolari e matrice extracellulare che è necessaria per una funzione secretoria normale.

L’infiltrazione linfocitaria può coinvolgere, oltre che le ghiandole salivari e lacrimali, tutte le altre ghiandole esocrine del tratto respiratorio, gastrointestinale, ecc.

1.5 Istopatologia

Il quadro istologico, riscontrabile alla biopsia delle ghiandole salivari, ma anche nella maggior parte degli organi coinvolti in corso di Sindrome di Sjögren, è caratterizzato da un infiltrato focale mononucleato in prevalenza linfocitario nel quale si distinguono anche plasmacellule e macrofagi. Nelle ghiandole salivari, gli infiltrati cellulari hanno una disposizione periepiteliale, intorno cioè ai dotti ed agli acini delle ghiandole salivari e lacrimali.

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6 alterazione anatomica può facilitare l’infezione della ghiandola con conseguente tumefazione acuta ed infiltrato neutrofilico.

Il tessuto linfoide che si accumula cronicamente attorno ai dotti ed agli acini può formare aggregati anche di notevoli dimensioni e presentare al loro interno veri e propri centri germinativi, costituiti da linfociti Be plasmacellule e più esternamente dal mantello e dalla zona marginale periferica. I foci di più grandi dimensioni possono assumere l’aspetto di centri germinativi e confluire sono a sostituirsi al tessuto epiteliale.

Quando gli infiltrati linfoidi sono particolarmente rappresentati si può determinare macroscopicamente una tumefazione ghiandolare persistente. La tumefazione parotidea persistente è inoltre un fattore di rischio significativo per lo sviluppo di un linfoma.

Il processo flogistico cronico, con il persistere della malattia, porta a sostituzione fibro-adiposa del parenchima ghiandolare; la ghiandola può diventare sclero-atrofica e compromettere irrimediabilmente la capacità secretiva esocrina.

1.6 Quadro clinico

Nella maggior parte dei pazienti, il decorso della sindrome di Sjögren primaria è in genere benigno con lenta evoluzione nel tempo. Le manifestazioni cliniche che possiamo distinguere sono legate all’iposecrezione salivare e lacrimale, ma anche delle altre ghiandole esocrine, e manifestazioni, meno frequenti, conseguenti all’impegno extraghiandolare della malattia.

L’impegno oculare e orale rimangono tuttavia gli elementi dominanti della sintomatologia e sono spesso il motivo che porta i pazienti a visita specialistica.

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7 lacrimale (cheratocongiuntivite secca). I sintomi più frequenti sono la sensazione di corpo estraneo oppure di “occhio secco” (xeroftalmia), stanchezza visiva, il bruciore oculare, la difficoltà a leggere e a guardare la televisione. All’esame obiettivo l’occhio appare spesso arrossato ed in alcuni casi possiamo notare la presenza di blefarite con arrossamento e tumefazione palpebrale. In alcuni pazienti possono comparire complicanze anche gravi. Le complicanze oculari comprendono la congiuntivite infettiva e danni corneali con cheratite fino a vere e proprie ulcere corneali che possono, a loro volta, raggiungere in alcuni casi la perforazione. A causa di queste complicanze, i pazienti affetti da Sindrome di Sjögren dovrebbero sottoporsi periodicamente a visite oculistiche di controllo. Tra queste visite mediche vi è il test più usato per valutare la secrezione lacrimale è il test di Schirmer, i cui risultati però possono essere influenzati da alcuni fattori ambientali, come temperatura e grado di umidità.

Nell’interessamento orale, al contrario di quello oculare, il paziente avverte chiaramente la sensazione di secchezza con continua necessità di bere. La secchezza del cavo orale (xerostomia, vedi figura) è presente nella quasi totalità dei pazienti con Sindrome di Sjögren.

I sintomi più comuni comprendono la sensazione di bocca secca, la difficoltà alla masticazione e alla deglutizione, soprattutto dei cibi secchi, senza ausilio di liquidi per carenza di saliva. La mancanza delle proprietà antibatteriche della saliva accelera lo sviluppo delle carie dentali con possibile edentulia precoce ed infezioni al cavo orale, in particolare micosi da Candida albicans. Inoltre, poiché la saliva ha un elevato pH in grado di neutralizzare il reflusso acido dello stomaco, i soggetti con SS possono essere predisposti a reflusso gastro-esofageo con pirosi e dolore retro sternale o talora reflusso

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8 tracheale, con sintomi che possono essere simili ad infezione del tratto respiratorio superiore.

La metà circa dei pazienti con Sindrome di Sjögren presenta fenomeni di tumefazione delle ghiandole salivari maggiori, principalmente la ghiandola parotide, ma anche le sublinguali e sottomandibolari. In genere la tumefazione delle parotidi è più facilmente riconoscibile a causa della sede anatomica superficiale, mentre spesso la tumefazione della ghiandola sottomandibolare può essere trascurata se

non valutata attraverso la palpazione o tramite un approccio ecografico. La tumefazione, mono o bilaterale, è spesso episodica e ricorrente associata a dolore locale. Essa è causata principalmente dall’infiltrato flogistico cronico, ma può essere dovuta talora a formazione di calcoli favoriti da una maggiore densità della saliva o ad infezione locale a cui sono predisposti tali soggetti. Possono avvenire fenomeni di tumefazione ghiandolare acuti che si caratterizzano per aumento transitorio del volume ghiandolare con dolore e febbre. Tali eventi sono causati dalla sovra-

infezione dei dotti ghiandolari spesso dilatati a formare cavità cistiche, che favoriscono la proliferazione batterica: consegue un processo infiammatorio acuto. In genere sono fenomeni reversibili e la corretta terapia con steroidi antinfiammatori sistemici e antibiotici è spesso sufficiente a far regredire la sintomatologia clinica. In altri casi la tumefazione ghiandolare è costituita da un importante infiltrato infiammatorio mononucleato di tipo linfocitario. In questo caso l’infiltrato linfoide organizzato determina una tumefazione permanente, non dolente, di consistenza solida e spesso bilaterale delle ghiandole salivari

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9 maggiori. La tumefazione ghiandolare persistente è un elemento clinico di rilievo poiché rappresenta un fattore di rischio potenziale per lo sviluppo di una malattia linfoproliferativa.

Benché nella maggior parte dei pazienti la manifestazione di secchezza (sindrome sicca) rimanga limitata alle ghiandole salivari e/o lacrimali, in alcuni di essi vi può essere interessamento delle altre ghiandole esocrine presenti nel nostro organismo. Ad esempio possono essere coinvolte le ghiandole esocrine delle cavità nasali con sinusiti croiniche, crostosità endonasali, epistassi e alterazioni dell’olfatto. Inoltre può essere colpito anche il tratto respiratorio superiore e inferiore (ghiandole laringee e tracheali) portando ad un quadro di “xerotrachea” che si manifesta con tosse secca cronica spesso anche notturna. Infine la cute risente notevolmente dei deficit secretivi esocrini: il 30-60% dei pazienti lamenta prurito cutaneo cronico, cute secca e desquamante. La xerosi cutanea, nei pazienti affetti da Sindrome di Sjögren, compare precocemente e tende ad aggravarsi con la durata della malattia, il periodo post-menopausale e l’età avanzata. La secchezza coinvolge anche l’apparato uro-genitale: la secchezza vaginale è un problema comune (30-40%) nei pazienti affetti da questa malattia; essi lamentano in genere prurito vaginale dispareunia. Sono spesso riportante problematiche legate ad infezioni urinarie e cistiti ricorrenti, facilitate dalla secchezza e dalla mancanza della fisiologica barriera biochimica uretrale. Sia la secchezza cutanea che quella vaginale tendono in genere ad aumentare dopo la menopausa; questo elemento ribadisce l’importanza degli ormoni nella Sindrome di Sjögren, in particolare gli estrogeni.

Le manifestazioni sistemiche sono frequenti nei soggetti con SS primaria e numerosi sono gli organi e apparati che possono essere coinvolti nel processo autoimmune. Il paziente può accusare sia sintomi costituzionali aspecifici quali malessere, astenia generalizzata, facile affaticamento, artromialgie e febbre, che sintomi legati ad

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10 interessamenti extra-ghiandolari d’organo. La fatigue, caratterizzata da astenia e facile affaticamento, rappresenta un sintomo aspecifico riportato, con differente intensità, dalla maggior parte dei pazienti. L’origine non ancora chiara di tale manifestazione e la sua frequenza anamnestica la rendono uno dei sintomi cardine della Sindrome di Sjögren.

Sul versante muscolo-scheletrico prevalgono sintomi legati ad artralgie e mialgie diffuse (60-70% dei pazienti). Tali manifestazioni sarebbero ascrivibili, nella maggior parte dei casi, ad una sindrome fibromialgica secondaria a connettivite sistemica. La fibromialgia è un reumatismo extrarticolare non infiammatorio, la cui eziologia non è stata ancora pienamente compresa. Essa è caratterizzata da dolore muscolo fasciale diffuso e cronico accompagnato da astenia, rigidità muscolo-tendinea e dalla presenza obiettiva di punti di dolorabilità specifici. Quest’ultimi sono detti tender points (9 coppie simmetriche di punti di dolorabilità): sono aree ben definite e riccamente innervate, localizzati all’inserzione osteo-tendinea dei capi muscolari; essi risentono dello stato cronico di ipertono muscolare e di ipersensibilità nervosa allo stimolo dolorifico. Pertanto la loro palpazione nei pazienti fibromialgici evoca vivo dolore localizzato. Contrariamente ai trigger points, la loro stimolazione non provoca irradiazione della sensazione dolorosa, ma il dolore evocato rimane confinato nel punto di stimolazione. Spesso si associano disturbi del sonno, cefalea muscolo tensiva, sindrome del colon irritabile, sindrome ansioso-depressiva e disturbi cognitivi.

Un frequente bersaglio dell’interessamento extra-ghiandolare nella Sindrome di Sjögren è rappresentato dal microcircolo. Il fenomeno di Raynaud è uno degli interessamenti vascolari più comuni nella SS. Dal punto di vista diagnostico esso è importante in quanto può rappresentare uno dei primi sintomi d’esordio della malattia. Se presente necessita di accertamenti capillaroscopici rivolti all’esclusione di un pattern di tipo sclerodermico.

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11 Il coinvolgimento viscerale varia da un 25-30% dei casi di Sindrome di Sjögren e spesso ascrivibile all’infiltrazione da parte dei linfociti T dei parenchimi viscerali. L’impegno polmonare (8-10%) è caratterizzato dalla comparsa di fibrosi interstiziale, spesso subclinica e dimostrabile tramite prove di funzionalità respiratoria; può interessare l’albero bronchiale o l’interstizio. La tosse secca spesso lamentata dal paziente può essere conseguenza della xerotrachea.

L’interessamento cardiaco è sporadico con possibili pericarditi ed ipertensione polmonare.

Le manifestazioni renali possono essere di due tipi: la prima, che è più frequente, è una acidosi tubulare distale, espressione di epitelite tubulo-interstiziale con infiltrato linfocitario che colpisce i soggetti più giovani e presenta il più delle volte un decorso benigno. La seconda, più rara, è una glomerulonefrite che può evolversi verso insufficienza renale.

Infine uno degli interessamenti extra-ghiandolari più significativi è quello neurologico. In genere si manifesta con una neuropatia periferica, la maggior parte delle volte di tipo neurosensoriale e solo di rado motoria. Essa è il risultato di una vasculite (manifestazione cutanea, vedi figure) la cui gravità condiziona l’espressione clinica della stessa. Altri classici interessamenti sono rappresentati da neuropatia del trigemino, deficit uditivo neurosensoriale ed alterazioni del sistema nervoso autonomino.

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12 possibili vasculiti, lesioni demielinizzanti tipo sclerosi multipla e mielopatie traverse acute o progressive.

Dal punto di vista ematologico è molto frequente il riscontro di leucopenia e di anemia normocitica da disordine cronico.

Particolarmente frequente è l’impegno tiroideo con gozzo non tossico o con tiroide autoimmune, che risulterebbe nove volte più presente della Sindrome di Sjögren che nella popolazione generale.

1.7 Diagnosi

Ancora oggi non esistono criteri diagnostici codificati, ma solo criteri classificativi. Tra i molteplici criteri proposti, hanno trovato ampio consenso quelli elaborati dal gruppo di consenso europeo-americano riportati nella tabella sottostante.

I. Sintomi oculari: una risposta positiva ad almeno una delle seguenti domande

 Ha una fastidiosa sensazione quotidiana di secchezza oculare (da almeno tre mesi)?

 Ha una sensazione ricorrente di sabbia negli occhi?

 Fa uso di lacrime artificiali più di tre volte al giorno?

II. Sintomi orali: una risposta positiva ad almeno una delle seguenti domande

 Ha una sensazione quotidiana di secchezza orale (da almeno tre mesi)?

 Ha avuto episodi ricorrenti e persistenti di tumefazione delle ghiandole salivari (in età adulta)?

 È costretto/a a bere frequentemente quando mangia cibi secchi? III. Segni oculari: positività di almeno uno dei seguenti test

 Test di Schirmer (≤5mm/ 5 minuti)*

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13 IV. Istopatologia: un fucus score ≥1 nelle ghiandole salivari minor

 (un focus è definito come un agglomerato di almeno 50 cellule infiammatorie mononucleate; il focus score è definito dal numero di foci in 4 mm² di tessuto ghiandolare)

V. Impegno delle ghiandole salivari: positività di almeno uno dei seguenti test

Scintigrafia salivare

Scialografia parotidea

Flusso salivare non stimolato (≤1,5ml/15 minuti)*

VI. Autoanticorpi: presenza nel serio dei seguenti autoanticorpi

 Anti-Ro (SS-A) o anti-La (SS-B) Regole per la corretta classificazione:

 Nei pazienti senza malattie potenzialmente associate alla SS, la positività di 4 item su 6 è indicativa di SS primitiva, tenendo conto della positività obbligatoria dell’istopatologia (focus score ≥1) o degli autoanticorpi anti-Ro e/o anti-La, oppure della positività di 3 su 4 item obiettivi(con esclusione degli item I e II)

 Nei pazienti con malattie potenzialmente associate alla SS (per es. altre connettiviti) la positività degli items I o II più quella di almeno 2 fra gli item III-V è probante per una SS secondaria.

Criteri di esclusione: linfoma preestinte, AIDS, sarcoidosi, graft versus host disease, infezione da virus C dell’epatite, scialoadenosi, uso di antidepressivi, neurolettici, parasimpaticolitici.

* Questo test non deve essere tenuto in considerazione nei soggetti oltre i 60 anni, nei quali la riduzione può essere legata all’età.

La diagnosi si fonda comunque sulla dimostrazione obiettiva di un impegno delle ghiandole lacrimali e salivari e sulla ricerca di alcune caratteristiche alterazioni sierologiche. Ai fini diagnostici, si ritiene necessaria la presenza degli anticorpi specifici anti-SSA e anti-SSB, che deve essere talora integrata dalla biopsia delle ghiandole salivari minori o della parotide.

La riduzione della secrezione lacrimale viene dimostrata mediante il test di Schirmer, che consiste nell’apposizione di una strisciolina di carta assorbente nel fornice palpebrale

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14 inferiore di entrambi gli occhi e nella successiva misurazione dei millimetri di carta inibiti dalle lacrime. La lunghezza di strisciolina assorbita è proporzionata ai millimetri assorbiti, pertanto i valori considerati patologici si registrano quando l’inibizione della carta assorbente corrisponde al di sotto di 5 mm in 5 minuti.

Un altro test utilizzato è il cosiddetto tempo di rottura del film lacrimale (break time, BUT) che si esegue colorando il film corneale con fluoresceina e osservando la sua rottura con la lampada a fessura. Viene considerato patologico quando il film lacrimale si rompe prima di 10 secondi.

La cheratocongiuntivite secca può essere diagnosticata con il test al verde di

lissamina, al rosa Bengala. La lissamina è un colorante vitale che si distribuisce nelle zone

della congiuntiva (nasale e temporale) o della cornea che hanno subito danno meccanico indotto dalla secchezza. Se al test sono presenti aree impregnate di colorante vitale significa che vi è un danno epiteliale e pertanto si pone diagnosi di cheratocongiuntivite secca.

Le procedure diagnostiche utilizzate per la valutazione dell’impegno salivare sono più complesse. Una di queste è rappresentata dalla scialometria, durante la quale viene raccolta la saliva prodotta dal paziente in un determinato periodo di tempo inserendola in un apposito contenitore graduato o mediante particolari misuratori collocati in prossimità dello sbocco dei dotti di Stenone. In entrambi i casi la raccolta può essere fatta in condizioni basali o dopo stimolazione della secrezione salivare. In alternativa è possibile eseguire il test di Saxon, che consiste nel misurare la quantità di saliva assorbita da un’apposita spugnetta prepesata, dopo che il paziente l’ha masticata per due minuti. La scialometria, così come il test di Saxon, non è specifica per la Sindrome di Sjögren, ma è semplice e può fornire una valutazione quantitativa.

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15 La diagnostica per immagini si può effettuare con vari metodi, tra i quali la

scialografia. Essa si effettua con l’introduzione di un mezzo di contrasto idrosolubile nel

dotto di Stenone; in condizioni normali mostra una fine arborizzazione dei duttuli parotidei. Nella Sindrome di Sjögren si osservano tipicamente scialectasie con aspetto ad “albero fiorito” o a “tempesta di neve”, restringimenti del dotto di Stenone o dei dotti principali, oppure micro calcificazioni. La scialografia è eseguibile anche per le ghiandole sottomandibolari.

La scintigrafia fornisce una valutazione funzionale, sia spontanea sia dopo stimolo con il limone, delle parotidi e delle ghiandole sottomandibolari. Il quadro scintigrafico tipico della Sindrome di Sjögren è caratterizzato da ritardata captazione del tracciante e da ritardata o assente secrezione dello stesso con la saliva. La scintigrafia presenta una buona correlazione con la gravità dell’impegno istologico e con l’entità del flusso salivare.

Anche l’ecografia della parotide con ultrasuoni ad alta risoluzione e ancor più la

scialo-RM delle ghiandole salivari possiedono una buona sensibilità; entrambe risultano

utili nella diagnosi e nel monitoraggio della malattia.

Un’altra metodica, considerata da alcuni la più specifica per la valutazione dell’impegno salivare nella Sindrome di Sjögren, è la biopsia delle ghiandole salivari

minori, eseguita dal labbro inferiore. Essa dimostra un infiltrato linfoplasmacitario con

tipica disposizione in aggregati o “foci”, talora con aspetto simil-follicolare. L’entità dell’infiltrato può essere valutata quantitativamente mediante vari metodi tra cui quello di Chisholm e Mason, che suddivide l’interessamento delle ghiandole in cinque gradi (da 0 a 4) in base al numero di foci linfocitari presenti. L’aggregato di almeno 50 cellule mononucleate su un’area di 4 mm² è considerato un focus. Nella Sindrome di Sjögren sono considerati diagnostici solo i gradi 3 (1 focus) e 4 (2 o più foci).

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16 È opportuno sottolineare che la validità diagnostica della biopsia resta ancora oggetto di discussione, dato che infiltrati infiammatori cronici del tutto simili si trovano anche in soggetti normali o affetti da altre malattie, come per esempio la cirrosi biliare primitiva, la miastenia grave e le infezioni da HCV e da HIV. Inoltre, la biopsia delle ghiandole salivari del labbro inferiore può non riflettere lo stato delle ghiandole maggiori e, infine, il prelievo può cadere su aree ghiandolari indenni da lesioni. Per questi motivi, secondo alcuni autori, risulta più utile eseguire la biopsia della parotide.

Da queste considerazioni è possibile dedurre come, nella valutazione della componente salivare della Sindrome di Sjögren, sia ancora opportuno l’impiego di più test diagnostici, dando la precedenza a ecografia, scialografia e test clinici.

Nei pazienti con Sindrome di Sjögren si riscontrano numerose alterazioni degli esami

di laboratorio, in particolare i segni bioumorali di immunoflogosi cronica, come l’aumento

della VES, lieve anemia normocronica e normocitica, ipergammaglobulinemia policlonale specie a carico delle IgG e IgA, riduzione dei livelli di C3 e C4. La comparsa di ipogammaglobulinemia in un soggetto affetto da SS può segnalare lo sviluppo di un linfoma.

Il fattore reumatoide è presente con elevata frequenza (60-90% dei casi), anche a titolo elevato.

Gli ANA rappresentano una delle alterazioni più caratteristiche della Sindrome di Sjögren. Il quadro fluoroscopico risulta solitamente di tipo punteggiato a grani fini, più raramente centromerico; la specificità antigenica è per gli antigeni Ro/SSA e La/SSB.

Gli anticorpi anti-SSA e anti-SSB sono presenti, spesso insieme, nel 50-80& dei casi di Sindrome di Sjögren primaria, in genere a titolo elevato, e frequentemente si associano a

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17 leucolinfopenia, ipergammaglobulinemia e vasculite. La loro presenza non è tuttavia esclusiva della SS primitiva, ma si riscontra anche in altre connettiviti.

Gli autoanticorpi organo-specifici sono principalmente rappresentati dagli anticorpi anticellule parietali gastriche e antitiroide. In genere, la presenza degli Ac antitiroide non si associa ad alterazioni della funzionalità tiroidea e può suggerire un danno subclinico di questa ghiandola.

1.8 Diagnosi differenziale

Numerose condizioni possono determinare una xerostomia; tra le cause locali si riconoscono le infezioni, la terapia radiante per carcinomi della bocca o del collo e alterazioni degenerative che si osservano nel processo di invecchiamento. Le cause sistemiche possono essere di natura ematologica (anemia sideropenia o perniciosa), pancreatica (pancreatite cronica, diabete mellito), epatica (cirrosi biliare primitiva, morbo di Wilson), endocrina (malattia di Addison, ipotiroidismo), neuropsichiatrica (tumori cerebrali, psiconevrosi, ansia, depressione), o essere rappresentate da malnutrizione, avitaminosi e ancora più frequentemente dall’assunzione di farmaci.

È utile riuscire a differenziare la forma primaria di Sindrome di Sjögren da quelle secondarie ad artrite reumatoide o ad altre connettiviti. In realtà più di forme secondarie di SS, quasi sempre si tratta di casi di associazione tra la sindrome e altre connettiviti (specie LES, sclerodermia e artrite reumatoide) con quadri embricati sia dal punto di vista clinico sia da quello autoanticorpale.

La diagnosi differenziale deve essere posta anche nei confronti della crioglobulinemia di tipo II, che può presentare un quadro clinico e sierologico talora simile a quella della Sindrome di Sjögren.

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1.9 Terapia

L’atteggiamento terapeutico della Sindrome di Sjögren,, a causa della benignità relativa della malattia, non necessita generalmente di un trattamento aggressivo, ma si propende per un approccio di tipo sintomatico e conservativo.

La secchezza oculare è comunemente trattata con successo con preparati di lacrime artificiali a base di metilcellulosa, acido ialuronico o di polivinil alcol. Nei casi più gravi e refrattari è necessaria invece l’applicazione di ciclosporina topica. Inoltre è raccomandabile, in entrambi i casi, il periodico controllo oculistico per evidenziare eventuali complicanze infettive o ulcerative dell’occhio.

Il trattamento della xerostomia presenta maggiori difficoltà in quanto i vari preparati volti a stimolare o sostituire la saliva non si sono rivelati così efficaci. Pertanto è consigliabile la frequente assunzione di liquidi, l’uso di chewing gum o di spray o gel idratanti del cavo orale. È necessaria un’accurata igiene del cavo orale per ridurre le complicanze infettive e l’evoluzione delle carie. Nelle donne, analoghe avvertenze igieniche sono consigliabili a livello vaginale, associando l’uso di lubrificanti per la dispaurenia.

Utili si sono rivelati alcuni farmaci capaci di stimolare la secrezione salivare (bromexina e più recente pilocarpina), anche se la loro efficacia è condizionata dal grado di atrofia ghiandolare. La pilocarpina assunta per via orale è anche in grado di migliorare la secchezza a livello oculare, nasale, cutaneo e vaginale.

L’umidificazione degli ambienti domestici può ridurre l’insorgenza di affezioni respiratorie legate alla secchezza della mucosa bronchiale.

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19 steroidei, è utile l’idrossiclorochina (200-400 mg/die), un farmaco di notevole utilità anche per risparmiare corticosteroidei sistemici a basse dosi. Questi ultimi sono impiegati a posologia più elevata (0,5-1 mg/Kg/die) per il trattamento delle manifestazioni extraghiandolari più gravi, eventualmente in associazione ad immunosoppressori come l’azatioprina, il methotrexate o la ciclofosfamide, da usare comunque con discrezione considerando il rischio linfoma. Interessanti prospettive sembra dare l’impiego di farmaci biotecnologici come il rituximab, rivolto verso la molecola di superficie CD20 dei linfociti B, ed il belimumab, rivolto verso il già citato BlyS, che appare rivestire un rilevante ruolo patogenetico.

La componente fibromialgica è trattata con terapia di integratori a base di Magnesio e di miorilassanti come la tizanidina cloroidrato. Tali farmaci agiscono riducendo lo stato di tensione e dolore muscolo tendineo tipico della fibromialgia. Gli effetti collaterali principali della tizanidina cloroidrato sono rappresentati da debolezza muscolare, affaticamento e sensazione di sonnolenza. Inoltre è possibile usare farmaci ad attività antidepressiva. In alcuni casi è necessaria una adeguata terapia del dolore che può arrivare nei casi refrattari alle terapie standard anche all'utilizzo di cannabis farmacologica.

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2 Comorbidità fibromialgica

2.1 Sindrome di Sjögren e fibromialgia

La Sindrome di Sjögren è una malattia reumatica autoimmune cronica di causa sconosciuta. Il principale sintomo è rappresentato da secchezza delle mucose, ma anche la così detta fatigue (stanchezza grave), che è uno dei sintomi più frequentemente riportati. L’incidenza della fatica nella Sindrome di Sjögren primaria è legata alla disfunzione subclinica del sistema nervoso autonomo. I disturbi del sonno, in particolare nell’avvio e nel mantenimento del sonno, nei pazienti affetti da questa malattia sono considerati fattori che contribuiscono alla fatica, che spesso è il sintomo più disabilitante della malattia. Alcuni studi hanno dimostrato che l’attività della malattia, in particolare il dolore delle articolazioni, il disturbo del sonno, la depressione e l’aumento dello sforzo fisico, contribuiscono maggiormente all’insorgenza della fatica nel paziente. Condizione stessa può essere comorbidità come l’ipotiroidismo, l’anemia, lo stile di vita o la fibromialgia.

La Sindrome Fibromialgica è una forma di reumatismo non articolare comune caratterizzato da dolore muscolo-scheletrico diffuso, affaticamento (astenia) e rigidità in molteplici aree del corpo umano. Questa sindrome è una delle malattie reumatiche in assoluto più diffuse: solo in Italia si può stimare che ne siano affetti dai 2 ai 4 milioni di individui, di cui la maggior parte sono donne. Il termine fibromialgia significa dolore nei muscoli e nelle strutture connettivali fibrose (i legamenti e i tendini). I sintomi di questa malattia sono rappresentati da dolore muscolo-scheletrico diffuso e la presenza di specifiche aree algogene alla digitopressione di circa 4 Kg (“Tender points” in Figura).

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Il dolore fibromialgico ha le seguenti caratteristiche:

 extra-articolare;

 a carattere migrante;

 metereopatico;

 evocato da pressione dei punti tender.

La sindrome fibromialgica non ha alterazioni evidenziabili con esami di laboratorio e non causa danni radiologici. Infatti la diagnosi dipende principalmente dai sintomi che il paziente riferisce. Questa condizione viene definita “sindrome” poiché esistono segni e sintomi clinici che sono contemporaneamente presenti (un segno è ciò che il medico trova nella visita; un sintomo è ciò che il malato riferisce al dottore). La fibromialagia è stata definita “malattia invisibile” perché il soggetto affetto da questa malattia apparentemente non sembra ammalato, ha un aspetto sano e quindi è difficilmente creduto sia dai familiari

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che dagli amici che dal medico. Il decorso della fibromialgia è spesso imprevedibile e il dolore è cronico, la disabilità e la ridotta qualità di vita possono persistere e peggiorare nel tempo. Come per le altre sindromi dolorose croniche, un approccio multidimensionale ottimizza la risposta terapeutica. Interventi farmacologici supportati dall’evidenza clinica vengono prescritti principalmente con lo scopo di alleviare il dolore e migliorare il sonno. I farmaci principalmente utilizzati sono: antinfiammatori non steroidei, antiserotoninergici, benzodiazepine, antidepressivi, analgesici, miorilassanti, ipnotici, magnesio.

In letteratura scientifica è stata esplorata la coesistenza in un paziente della fibromialgia e della Sindrome di Sjögren. I ricercatori hanno dimostrato che la fibromialgia è più comune in pazienti con la Sindrome di Sjögren primaria che riportano la fatica come loro sintomo principale. È stato riscontrato che circa il 68% dei pazienti con la Sindrome di Sjögren primaria accusano la fatigue come sintomo cardine.

La fatigue è un sintomo comune nel 12% circa di pazienti che hanno sia la fibromialgia che la Sindrome di Sjögren primaria. Inoltre, la maggior parte dei soggetti affetti da Sindrome di Sjögren primaria hanno anche altri sintomi gravi come i disturbi del sonno (alterazione del ritmo sonno-veglia). La fatica è un sintomo che è riscontrato frequentemente nei pazienti affetti da fibromialgia. Questa malattia si può presentare da sola o congiuntamente ad altre malattie come la Sindrome di Sjögren primaria.

In letteratura è stato dimostrato che quasi il 55% dei pazienti con Sindrome di Sjögren primaria presenta anche la fibromialgia.

2.2 Attività fisica come intervento terapeutico

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responsabilizzazione del paziente stesso, mediante modelli comportamentali di gestione del proprio stato di salute, come il “self-management” (auto-trattamento), possono avere un ruolo sinergico alla terapia farmacologica nel migliorare lo stato di salute e la qualità di vita. Tali tecniche, focalizzate principalmente sull’esercizio fisico, risultano efficaci nel ridurre il dolore e la disabilità fisica e nel migliorare la sfera affettiva.

I principali obiettivi di un programma di attività fisica, come terapia della Sindrome di Sjögren con fibromialgia, sono:

 interrompere il circolo vizioso dolore-inattività-dolore;  migliorare la forma fisica (capacità aerobica);

 ridurre l’affaticabilità;

 migliorare il tono dell’umore;  ridurre il dolore;

 ridurre le disabilità riscontrate nelle attività della vita quotidiana;  apprendere tecniche di auto-gestione della sintomatologia.

Il programma include un approccio incentrato sulla persona e si articola in sezioni di ginnastica dolce e attività fisica. In generale, il programma di attività fisico quotidiano comprende:

 attività aerobica;

 presa di coscienza delle percezioni corporee ed esercizi respiratori;  esercizi di flessibilità e allungamento muscolare.

L’apprendimento delle tecniche di esercizio fisico (attività fisica, conoscenza della malattia, approcci di tipo cognitivo-comportamentale, ecc.) possono indurre nei pazienti un cambiamento positivo nell’affrontare la malattia, migliorando sia la percezione dei sintomi sia la capacità di gestire la malattia e la terapia in collaborazione con il medico.

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2.3 Programma motorio di ricondizionamento

Come è già stato scritto precedentemente, il soggetto affetto da Sindrome di Sjögren con comorbidità fibromialgica deve essere sottoposto sia alla terapia farmacologica ma anche alla terapia motoria.

L’attività motoria deve essere svolta costantemente e ha i seguenti obiettivi:

 migliorare la mobilità e il funzionamento delle articolazioni;

 migliorare la forma fisica e aumentare la resistenza;

 interrompere il circolo vizioso “dolore-inattività-dolore”;

 ridurre il dolore, la rigidità e la tensione muscolare;

 ridurre l’affaticabilità e lo stress;

 migliorare la qualità del sonno, il tono dell’umore e il benessere psicofico. Il programma di allenamento quotidiano comprende:

1. attività aerobica;

2. presa di coscienza delle percezioni corporee ed esercizi respiratori; 3. esercizi di flessibilità e allungamento muscolare;

4. rilassamento psico-fisico. Attività aerobica

È consigliabile far scegliere al paziente il tipo di attività aerobica da eseguire, in modo tale da far aumentare l’autostima e il piacere di eseguire l’attività fisica. Di seguito è possibile trovare alcuni esempi:

- Camminata o tapis roulant: è sicuramente il modo più semplice e meno impegnativo per iniziare l’attività aerobica. Non sono necessarie attrezzature

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particolari, ad eccezione che un buon paio di scarpe da ginnastica e un abbigliamento comodo.

- Nuoto o esercizi in acqua: costituiscono un buon allenamento cardiovascolare, ideale in caso di problemi di artrosi in quanto l’acqua riduce notevolmente il sovraffaticamento delle articolazioni e riduce la rigidità, diminuendo la percezione del dolore.

- Bicicletta o cyclette: è un buon esercizio, sia all’aria aperta che in luoghi chiusi (cyclette). È necessario, però, ricordare al paziente di fare molta attenzione alla postura assunta, cercando di tenere dritta la schiena, senza caricare eccessivamente e irrigidire spalle e collo.

Nel caso in cui il soggetto riferisce di non avere la possibilità di svolgere nessuna delle predette attività all’aria aperta (es. in caso di cattivo tempo) o in una struttura apposita (es. palestra), o se non dispone di attrezzature a domicilio, egli può effettuare alcuni di questi esercizi semplici per un buon allenamento aerobico:

- Marcia sul posto a ritmo alternato (lentamente, velocemente, lentamente…) accompagnando il movimento oscillante delle braccia. Unire progressivamente movimenti di apertura e chiusura delle mani, movimenti di rotazione, flesso-estensione e prono-supinazione dei polsi con le braccia prima lungo i fianchi, poi in fuori, poi in alto e infine in avanti.

- Marcia sul posto accompagnando movimenti rotatori delle spalle con i gomiti flessi e le mani appoggiate sulle spalle.

- Mantenendo la marcia sul posto, flettere le braccia davanti ala torace, con le punta delle dita che si toccano e i gomiti all’altezza delle spalle; aprire le braccia lateralmente mantenendole all’altezza delle spalle e richiuderle al ritmo del cammino.

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- Marcia sul posto cercando di allungarsi il più possibile verso l’alto con le braccia come ad afferrare un oggetto posto in alto.

- Corsa a ritmo molto lento sul posto.

- Marcia sul posto flettendo le ginocchia al petto alternativamente, successivamente avvicinare il gomito flesso al ginocchio opposto.

- In piedi, mani ai fianchi, compiere piccoli slanci alternati laterali delle gambe tese. - Marcia sul posto di defaticamento a ritmo lento.

In ogni modo, qualsiasi sia l’attività scelta dal paziente, è necessario che venga svolta quotidianamente, iniziando con 10 minuti di allenamento e aumentando progressivamente l’intensità in modo tale da raggiungere almeno l’obiettivo dei 30 minuti di allenamento aerobico continuativi, senza eccessivi sforzi. Affinché l’intensità dell’attività effettuata sia sufficiente per migliorare la capacità aerobica, è necessario che il soggetto raggiunga e mantenga, per tutta la durata dell’esercizio aerobico, una frequenza cardiaca detta frequenza cardiaca “target” (FC “TARGET”), compresa tra il 60 e l’80% di quella massima, che è calcolata secondo la seguente formula:

È consigliabile monitorare la FC attraverso un cardiofrequenzimetro da polso, che dà costantemente, istante per istante, il valore del battito, visualizzandolo sul display, come un semplice orologio digitale. L’utilizzo di questo strumento può essere un ottimo feedback per dare regolarità e un monitoraggio affidabile all’attività svolta. In alternativa al cardiofrequenzimetro, il soggetto può procedere all’esecuzione dell’esercizio imparando ad interpretare e conoscere i segnali che invia il suo corpo: la sensazioni di fatica e sforzo sostenibile. La percezione di ritmo cardiaco accelerato è indice di un buon allenamento, ma

FC MASSIMA = 220 – età (anni) FC “TARGET” = 60-80% della FC massima

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è necessario ricordare al paziente di non oltrepassare il limite di praticabilità.

L’attività aerobica svolta deve essere sempre preceduta e seguita da due importanti fasi: la fase di riscaldamento prima e quella di defaticamento dopo.

 Fase di Riscaldamento: è fondamentale eseguire un buon riscaldamento prima dell’attività sportiva (durata 5-10 minuti). Durante il riscaldamento, infatti, l’organismo si prepara per quello che sarà l’allenamento vero e proprio. È utile eseguire a ritmo blando gli stessi movimenti che verranno eseguiti durante la fase centrale dell’allenamento.

 Fase di Defaticamento: conclusa la parte centrale dell’allenamento, è opportuno terminare con una fase di defaticamento, cioè movimenti a bassa intensità (come quelli del riscaldamento) finalizzati a riportare la frequenza cardiaca al suo ritmo fisiologico in maniera graduale, evitando cos’ brusche interruzioni traumatiche per il fisico.

Alla fine, o in un altro momento della giornata, è importante che il soggetto dedichi almeno 30 minuti di tempo per la presa di coscienza delle sensazioni corporee, la respirazione, gli esercizi di flessibilità, di allungamento muscolare associati alla respirazione e la pratica di rilassamento psico-fisico.

Controllo percezioni corporee

Il paziente affetto da Sindrome di Sjögren con comorbidità fibromialgica necessita di esercizi finalizzati al controllo delle percezioni corporee. Durante l’esercitazione il paziente deve assumere la seguente posizione: sdraiato a terra supino, allungare la schiena, chiudere gli occhi, le braccia poste lungo i fianchi con i palmi delle mani rivolti verso l’alto per rilassare completamente la zona delle spalle. I muscoli della fronte e del viso

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devono essere completamente rilassati, rendendo il viso inespressivo. Le gambe sono leggermente divaricate, i piedi liberi di cadere nella loro posizione naturale. Il soggetto deve percepire la sensazione di abbandono e di rilassamento; il corpo deve entrare in atteggiamento da ascolto.

Una volta assunta la corretta posizione, il paziente deve ascoltare il suo respiro naturale, seguendo il flusso d’aria che entra dalle narici, attraverso il diaframma arriva a tutti gli organi interni per poi uscire. L’attenzione deve essere volta a tutti i punti del corpo che hanno contatto con il terreno, dal capo ai talloni, percependo in questo modo le parti più adese al tappeto e quelle invece più distaccate. Il soggetto deve cercare di avvertire come ogni segmento del corpo appoggia al suolo, avvertire il peso della testa, il contatto delle spalle, delle braccia, delle scapole e dell’intera colonna vertebrale a partire dalla nuca sino al sacro e al bacino. Inoltre egli deve percepire l’appoggio dei glutei, delle cosce, dei polpacci e infine dei talloni.

Attraverso questa esercitazione, la persona prende coscienza del proprio corpo nella sua globalità, rimanendo il ascolto del corpo in tutto il suo insieme.

Esercizi respiratori

Gli esercizi respiratori più utili nel nostro caso possono essere raggruppati in tre principali categorie:

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Allineamento: posizione supina a terra, gambe flesse, le piante dei piedi in appoggio sul tappeto, un po’ distanziati tra loro in modo da rilassare completamente la muscolatura interna delle cosce. Il soggetto deve prendere la testa dalla sommità del capo, portare i gomiti vicini tra loro davanti agli occhi e deve eseguire dei piccoli movimenti del capo per ricercare un maggiore appoggio del tratto cervicale sul tappeto. In seguito egli deve riappoggiare dal dorso sino al capo, mantenendo il mento verso la gola.

Respirazione diaframmatica (o addominale): il soggetto deve collocare volontariamente il respiro a livello dell’addome, consentendo al diaframma la massima libertà di movimento. L’inspirazione è breve e naturale, l’espirazione è lenta e prolungata in modo da avere la sensazione di svuotare completamente i polmoni e far uscire più aria di quanta ne sia entrata. Ad ogni inspiro la persona deve gonfiare la pancia in direzione del soffitto, ad ogni espiro invece deve sgonfiare la pancia, schiacciando l’ombelico verso la colonna vertebrale.

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Una volta assunta questa posizione, il paziente deve cercare di rendere volontariamente l’espiro il doppio dell’inspiro, dividendo così la respirazione in quattro fasi:

1. INSPIRO = 2 secondi;

2. PAUSA a addome gonfio = 2 secondi; 3. ESPIRO = 4 secondi;

4. PAUSA a addome sgonfio = 2 secondi.

Respirazione toracica: posizione supina, le mani appoggiate lateralmente alle coste, appena sotto il petto. In seguito il soggetto deve provare ad inibire il movimento dell’addome, sentendo il movimento e la direzione che il respiro dà al torace. Esso si muove in due direzioni: ad ogni inspiro si apre lateralmente e si solleva verso l’alto; ad ogni espiro esso si chiude, si abbassa e scende verso l’addome.

Una volta assunta questa posizione, il paziente deve cercare di rendere volontariamente l’espiro il doppio dell’inspiro, dividendo così la respirazione in quattro fasi:

1. INSPIRO = 2 secondi;

2. PAUSA a polmoni pieni = 2 secondi; 3. ESPIRO = 4 secondi;

4. PAUSA a polmoni vuoti = 2 secondi.

Mantenendo questo ritmo per 10 cicli

Mantenendo questo ritmo per 10 cicli

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Alla fine dell’esercizio, per tornare al respiro spontaneo, è necessario che la persona riduca le pause fino a tornare alle due fasi del respiro. In questo modo è ridotta la fase espiratoria.

Esercizi di flessibilità e allungamento muscolare in armonia respiratoria

Durante l’esecuzione di questi esercizi, è fondamentale non trattenere il respiro, ma eseguirli completando normalmente l’atto respiratorio. La respirazione riveste grande importanza nell’acquisizione di una padronanza di sé e in particolare ha un peso fondamentale nella riduzione della sensazione di fatica durante un’attività fisica.

ESERCIZI IN POSIZIONE SUPINA

Retroversione del bacino

Posizione di partenza: supini, braccia lungo i fianchi, palmi delle mani rivolti verso l’alto,

gambe piegate e leggermente divaricate in modo da rilassare la muscolatura interna delle cosce, piante dei piedi che appoggiano sul tappeto.

Esecuzione: riprendere contatto con la respirazione addominale e accompagnare il

movimento del respiro con quello del bacino: durante l’inspirazione, il bacino si trova nella sua posizione neutra e tutto è rilassato; durante l’espirazione, facendo aderire bene il dorso al tappeto, cercare di spingere il coccige verso l’alto senza far leva né sulle gambe, né sulle

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spalle, ma solo sul bacino che si troverà in questo modo a stretto contatto con il suolo. Il bacino si arrotola verso lo sterno, la pancia rientra e la zona lombare si appiattisce al tappeto. Ad ogni atto respiratorio ampliare sempre di più l’arrotolamento del bacino e percepire l’appoggio completo della schiena sul tappeto, come se ad ogni respiro le vertebre si avvicinassero e si allontanassero. Eseguire per 3-4 minuti.

Allungamento posteriore (gondola)

Esecuzione: a partire dall’esercizio precedente, unire il movimento della zona cervicale:

durante l’espirazione, pube e mento si avvicinano rotolando verso l’interno e tutto il rachide si allunga. Fare un cenno di sì con la testa, tendere la nuca e spingere il mento verso il petto, dolcemente, avendo l’impressione che il coccige e il capo, piegandosi allo stesso tempo, formino con il corpo una gondola. Eseguire per 3-4 minuti.

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Il “ponte”

Posizione di partenza: supini, ginocchia flesse con le piante dei piedi in appoggio al

tappeto, braccia distese lungo il corpo con i palmi delle mani rivolti verso l’alto.

Esecuzione: ad ogni inspirazione, staccare il bacino dal suolo come se venisse attratto

dall’alto, prima il sacro, poi la zona lombare fino al dorso; durante l’espiro le vertebre più alte iniziano a scendere come vinte dalla forza di gravità, appoggiando prima le vertebre dorsali, poi il bacino fino al sacro che tocca il suolo quando l’espirazione sarà conclusa e i polmoni saranno completamente svuotati. Eseguire per 10 volte.

Torsione

Posizione di partenza: supini, ginocchia flesse con i piedi in appoggio al tappeto, braccia

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Esecuzione: ad ogni espirazione lasciare cadere le ginocchia verso sinistra e la testa verso

destra, all’inspiro ritornare al centro con le gambe e con il capo; all’espiro successivo eseguire il movimento opposto lasciando cadere le gambe e la testa dalla parte opposta. Ripetere alternativamente da entrambi i lati, 10 volte per parte, facendo durare il respiro tutto il tempo del movimento di testa e gambe.

Ginocchia al petto dinamico

Posizione di partenza: supini, braccia lungo il corpo, gambe distese al tappeto, prendere

contatto con il respiro addominale.

Esecuzione: durante l’espirazione, piegare il ginocchio destro avvicinandolo al petto con

l’aiuto delle mani; durante l’inspirazione riappoggiarlo delicatamente al tappeto. Ripetere alternativamente con l’altra gamba, 10 volte per parte.

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Ginocchia al petto statico

Esecuzione: ginocchio destro piegato al petto (aiutandosi con la presa delle mani a livello

del ginocchio), il mento vicino alla gola e la testa sollevata per qualche respiro con la fronte che si avvicina in direzione del ginocchio, mantenendo il contatto con la respirazione addominale e ascoltando le sensazioni che il corpo trasmette. Lentamente durante l’espirazione fare scendere il ginocchio e ripetere il movimento dall’altra parte.

Mantice

Esecuzione: dalla posizione supina, flettere una alla volta le gambe e portare le ginocchia

al petto prendendole con le mani; riprendere contatto con la respirazione addominale e ascoltare le percezioni trasmesse dal corpo in questa posizione. Mimare ora un movimento a mantice: ad ogni espiro avvicinare sempre più le ginocchia al petto (1); ad ogni inspiro allontanare le gambe (2).

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Estensione della gamba

Posizione di partenza (1): supini, portare la gamba destra al petto prendendola con le mani

dietro il ginocchio.

Esecuzione (2): durante l’espirazione, la gamba sale verso l’alto come se fosse trazionata

da un filo invisibile, durante l’inspirazione la gamba scende per forza di gravità. Ripetere dall’altro lato. Eseguire 10 movimenti per parte.

Allungamento dei muscoli posteriori della gamba

Esecuzione: dalla posizione precedente, portare la gamba destra verso l’alto, con presa

delle mani a livello del polpaccio: espirando portare il mento verso la gola mentre la testa si stacca dal tappeto, durante l’inspirazione scendere. Ripetere dall’altro lato. Eseguire 5 movimenti per parte. Questo esercizio può essere effettuato anche con l’utilizzo dell’elastico.

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Mobilizzazione delle articolazioni dell’arto inferiore

Posizione di partenza: supini, presa delle mani dietro il ginocchio e gamba destra distesa

verso l’alto.

Esecuzione:

Ripetere dall’altro lato. Almeno 15 secondi per ogni gamba.

Fare dei movimenti circolari dapprima con la caviglia

Fare, ora, dei movimenti circolari con il ginocchio facendo ruotare la gamba

Portare le mani in appoggio sul ginocchio e fare dei cerchi a livello dell’anca.

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ESERCIZI IN POSIZIONE QUADRUPEDICA

Rilassamento della colonna

Posizione di partenza: ad addome contratto, portare le mani in appoggio sotto le spalle,

piegare le ginocchia e andare nella posizione quadrupedica.

Esecuzione: durante l’espirazione portare il bacino sui talloni, facendo uscire tutta l’aria;

durante l’inspirazione tornare nella posizione di partenza. Ripetere per 5 volte.

Posizione “gatto”

Posizione di partenza: posizione quadrupedica, mani in appoggio sul tappeto all’altezza

delle spalle, distribuendo il peso su tutto il corpo.

Esecuzione: durante l’inspirazione il coccige si porta verso il soffitto e la testa verso l’alto

(1); espirando il coccige va verso il basso, il mento verso la gola e la pancia è retratta verso la colonna che si incurva (2). Eseguire l’esercizio per 10 volte, con movimenti lenti e coordinati al ritmo del respiro, esplorando così tutta la possibilità di movimento della colonna.

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ESERCIZI IN POSIZIONE SEDUTA

Allungamento dei muscoli posteriori della gamba

Posizione di partenza: a sedere, mento verso la gola, gambe allungate in avanti e

divaricate, piedi a martello. Ricercare l’appoggio simmetrico del bacino al tappeto e lentamente verticalizzare e allineare la colonna senza irrigidirla, portando l’ombelico in dentro e il mento verso la gola.

Esecuzione: durante un’espirazione fare scendere le mani verso il piede fino a raggiungere

la posizione possibile; ogni espiro permette di avvicinare sempre più il tronco alla gamba e quando si è raggiunta la posizione mantenerla per qualche respiro. Ripetere l’esercizio 3 volte per parte.

ESERCIZI DI MOBILIZZAZIONE DEL CINGOLO SCAPOLO-OMERALE

Sollevamento del cingolo scapolo-omerale

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mani a livello degli inguini. Ricercare l’appoggio simmetrico del bacino al tappeto e lentamente verticalizzare e allineare la colonna senza irrigidirla, l’ombelico in dentro e il mento verso la gola.

Esecuzione: durante l’inspirazione portare la spalla verso l’orecchio discendendo il gomito

(1), il moncone della spalla sale e la scapola è come se si scollasse dal dorso, guidata dal respiro. Ripetere dall’altro lato, 5 volte per parte. Poi eseguire lo stesso esercizio con entrambe le spalle contemporaneamente (2) per 10 volte.

Rotazione del cingolo scapolo-omerale

Esecuzione: dalla posizione precedente, durante l’inspirazione portare la spalla destra verso

l’orecchio, trattenere l’aria e ruotare la spalla in avanti, in senso anti-orario (3); durante l’espirazione rilassare la spalla e lascarla cadere. Ripetere dall’altro lato, 5 volte per parte. Eseguire lo stesso esercizio ruotando la spalla destra all’indietro, in senso orario. Ripetere dall’altro lato, 5 volte per parte. Poi eseguire lo stesso esercizio con entrambe le spalle contemporaneamente (4) per 10 volte.

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ESERCIZI DI MOBILIZZAZIONE DEL TRATTO CERVICALE

Rotazione laterale del capo

Posizione di partenza: posizione seduta, mento retratto, piegare le ginocchia o trovare una

posizione che risulti rilassata per le gambe, dorso delle mani sulle ginocchia (1).

Esecuzione: inspirare al centro, portare il mento verso la spalla destra (2), espirare al

termine del movimento ed ispirare tornando al centro. Ripetere alternativamente da entrambi i lati (3), 5 volte per parte, mantenendo la coordinazione con il respiro.

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Flesso-estensione del capo

Esecuzione: dalla posizione precedente (1), espirando portare il mento verso la gola (2),

inspirando il mento va verso il soffitto (3) facendo ruotare la testa e tornare al centro. Eseguire il movimento per 10 volte.

Inclinazione laterale del capo

Esecuzione: a partire dalla posizione precedente con il capo al centro (1), inspirare ed

espirare avvicinando l’orecchio destro alla spalla destra compiendo un movimento laterale della testa sul collo (2); raggiunta la posizione, espirando tornare al centro e ripetere il movimento dall’altro lato (3). È possibile effettuare l’esercizio con l’aiuto del braccio, tirando la testa lentamente verso destra senza forzare fino ad avvertire una leggera tensione a livello dei fasci muscolari sinistri del collo. Eseguire 5 volte per parte.

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Circonduzione del capo

Esecuzione: a partire dalla posizione precedente con il capo al centro, fare dei movimenti

molto lenti di rotazione del capo: con il mento verso il basso, espirando iniziare il movimento verso destra e finire l’espirazione nel momento in cui la testa torna al centro. Ripetere anche dall’altro lato. Eseguire 2 volte per parte.

Traslazione anteriore e posteriore del capo

Esecuzione: a partire dalla posizione precedente con il capo al centro e il mento retratto,

espirando muovere lentamente in avanti il capo, compiendo un movimento di traslazione anteriore della testa sul collo, mantenendo le spalle basse e ferme; inspirando riportare il capo alla sua posizione iniziale. Ripetere l’esercizio, compiendo una traslazione posteriore della testa sul collo. Eseguire il movimento 5 volte per parte.

Allungamento dei muscoli del collo

Posizione di partenza: a partire dalla posizione precedente, portare le mani sulla sommità

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Esecuzione: lasciare che le braccia trasportino la testa in avanti per allungare tutto il tratto

cervicale (2). Successivamente fare dei movimenti laterali (3) e immaginare di dipingere un cerchio con i gomiti compiendo dei piccoli movimenti circolari (4). Eseguire i movimenti per almeno 15 secondi.

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3 Scopo della tesi

I dati della letteratura documentano come i pazienti affetti da pSS abbiano un’attività motoria relativamente ridotta rispetto alla popolazione sana, in particolare in relazione alla condizione di dolore cronico e “fatigue”. Alcune evidenze recenti, derivanti in particolare dal trattamento di pazienti con altre forme di connettivite sistemica come il Lupus Eritematoso Sistemico, hanno mostrato che l’attività motoria può rappresentare altresì un valido strumento terapeutico nel controllo della fatigue e del dolore cronico riferito dai pazienti. Pochi dati sono disponibili in questo senso per la sindrome di Sjögren.

L’obiettivo principale di questo lavoro di ricerca, effettuato all’interno dell’ambulatorio di Reumatologia all’ospedale Santa Chiara di Pisa, è stato quindi quello di esplorare l’impatto dell’attività motoria strutturata e non strutturata sul quadro clinico dei pazienti affetti da Sindrome di Sjögren primaria, focalizzando in particolare l’attenzione sul sottogruppo dei pazienti con dolore cronico muscolo-scheletrico e fatigue.

Questo studio è stato svolto nell’ambulatorio dedicato alla Sindrome di Sjögren del reparto Reumatologia dell’ospedale Santa Chiara di Pisa, il quale offre visite specifiche alle persone affette da Sindrome di Sjögren. I pazienti che si rivolgono a questo ambulatorio sono seguiti passo dopo passo da medici reumatologici, ovvero dalla prima visita caratterizzata dal colloquio con il medico, l’anamnesi, la storia clinica della malattia e le indagini diagnostiche necessarie, fino ai controlli periodici del caso. Questi ultimi vengono effettuati all’incirca ogni sei mesi (nel caso di una situazione stabilizzata), al fine di tenere sotto osservazione l’evoluzione della malattia. È giusto precisare che all’interno dell’ambulatorio dedicato alla pSS della UO di Reumatologia i pazienti possono essere sottoposti a visite mediche specifiche, come le analisi del sangue in loco e l’ecografia delle

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ghiandole salivari. In questo modo il medico può avere uno screening completo del malato. In ultima analisi dunque attraverso un approccio multidisciplinare in questo lavoro di tesi ci si è proposti di verificare l’impatto dell’attività fisica sulla malattia esplorandone l’effetto sui patient reported out come e sull’andamento globale del quadro clinico.

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