• Non ci sono risultati.

Paul Valery: ritorno alla letteratura (Cahier 87, 1918)

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Paul Valery: ritorno alla letteratura (Cahier 87, 1918)"

Copied!
193
0
0

Testo completo

(1)

DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN LINGUE E

LETTERATURE STRANIERE (V. O.)

TESI DI LAUREA

Paul Valéry: ritorno alla letteratura

(Cahier 87, 1918)

CANDIDATO

RELATORE

Simona Centonze

Chiar.ma Prof.ssa

Antonietta Sanna

CORRELATORE

Chiar.mo Prof.

Francesco Attruia

(2)
(3)

1

1. Introduzione

3

2. I Cahiers: la scrittura di una vita tra ricerca e progetto estetico

5

3. 1918 – Il Cahier 87 nel suo tempo

17

4. Il Cahier 87 – Descrizione del manoscritto

33

5. Alcune note sulla trascrizione

35

6. Il Cahier 87 – Trascrizione

37

7. Bibliografia

181

(4)
(5)

3

Con questa tesi si intende apportare un contributo al progetto di digitalizzazione,

classificazione e studio dei Cahiers di Paul Valéry, condotto dall’équipe

internazionale Paul Valéry del Laboratorio Obvil, sotto la direzione del professor

Michel Jarrety.

Il Laboratorio Obvil – Observatoire de la vie littéraire – dell’Università di Paris IV

Sorbonne si dedica allo studio e all’analisi della letteratura francese contemporanea

e passata attraverso l’impiego di risorse informatiche avanzate e si fonda su una

biblioteca elettronica che raccoglie un vasto campionario di opere.

Obvil vanta un partenariato nazionale e internazionale con istituzioni quali la

Bibliothèque Nationale de France e l’Istituto di Linguistica Computazionale

Zampolli di Pisa.

Tra i progetti del Laboratorio Obvil, quello dedicato ai Cahiers de Paul Valéry

prevede la trascrizione integrale dei Cahiers, oltre che l’allineamento dei

manoscritti, secondo norme che consentono di classificare e reperire riferimenti a

personaggi e temi significativi e ricorrenti all’interno dell’intero corpus.

Si tratta di un lavoro ampio e articolato, che vede impegnata dal 2014 una équipe

internazionale di ricercatori, con la quale collabora anche la professoressa

Antonietta Sanna, relatrice di questa tesi.

I Cahiers rappresentano un prodotto letterario di difficile definizione, costituito da

oltre 260 quaderni cui Valéry ha affidato quotidianamente e incessantemente le

proprie riflessioni per ben 51 anni: dal 1894 al 1945, data della sua morte. Non si

tratta di un diario intimo, ma nemmeno di un commento storiografico di eventi

storici, politici, sociali. Si potrebbe piuttosto parlare di un laboratorio del sé, uno

spazio in cui l’autore riflette sul pensiero e il suo funzionamento, sui meccanismi

psichici, sul soggetto che pensa e produce, e di conseguenza sul linguaggio, sul

sogno, naturalmente sulla letteratura e la creazione poetica, e molto altro.

Le riflessioni seguono un loro corso spontaneo, frammentato, non sono organizzate

come potrebbero esserlo in un saggio, ma si avvicendano senza un apparente ordine,

manifestando in tal modo il pensiero nell’atto stesso in cui si produce, e dando luogo

(6)

4

allontanando di molto lo sguardo per riuscire a coglierlo nel suo insieme.

Un materiale di tale ampiezza e complessità è stato oggetto di diverse edizioni,

senza che tuttavia nessuna sia riuscita a restituirlo nella sua interezza e, soprattutto,

a ricostruire con l’apparato critico la ricchissima rete di interrelazioni, riferimenti,

allusioni, in modo da dispiegarla e renderla fruibile in tutta la sua enorme

potenzialità.

L’ambizione del progetto del Laboratorio Obvil è quella di restituire un’edizione

«parfaitement complète et définitive»

1

.

Ci auguriamo che la trascrizione del Cahier 87 possa costituire un contributo, per

quanto modesto e parziale, alla vasta e preziosa impresa dell’équipe Paul Valéry.

(7)

5

La scrittura dei Cahiers ha costituito per Valéry un appuntamento quotidiano

imprescindibile per oltre 50 anni, dal 1894 al 1945. Ogni giorno all’alba lo scrittore

si dedicava alla scrittura di una serie di riflessioni e interrogativi sul funzionamento

della mente, le sue leggi, i suoi meccanismi, che costituiscono una inesauribile

ricerca. Nell’insieme della sua opera, è forse questo il progetto cui Valéry teneva

maggiormente, al punto che durante i bombardamenti di Parigi nella Prima Guerra

Mondiale i Cahiers furono gli unici scritti che egli cercò di mettere al riparo. In due

lettere alla moglie datate marzo e settembre 1918 dichiara che la loro perdita

sarebbe per lui «irréparable», «catastrophe»

2

.

Nonostante Valéry abbia più volte, nel corso della sua esistenza, iniziato dei

tentativi di classificazione e sistematizzazione di questa produzione sterminata, è

lui stesso, di fatto, a considerarla un’opera che non può, per sua essenza, essere

compiuta, definendo questi scritti – in un passaggio degli stessi Cahiers: «des

contre-œuvres, des contre-fini»

3

.

Peraltro il concetto di incompiutezza dell’opera letteraria ricorre in Valéry anche in

relazione alla sua poetica: il lavoro interiore, le continue trasformazioni proprie

della vita dello spirito, non conducono a un punto in cui una elaborazione si possa

definire conclusa, ma – per casualità o intervento di un fattore esterno arbitrario –

essa viene a un certo punto abbandonata. Così riferisce per esempio, a proposito del

poema Cimetière marin di come esso, nella forma in cui è stato pubblicato, «così

com’è, è per me, il risultato della sezione di un lavoro interiore a causa di un

avvenimento fortuito»

4

, riferendosi con ciò alla visita del suo amico Jacques

Rivière, all’epoca direttore de « La Nouvelle Revue Française », che pretese di

leggere e portare via con sé il poemetto, nonostante egli lo stesse ancora

rimaneggiando.

2 Lettere citate da Nicole Celeyrette-Pietri nell’introduzione a Cahiers, 1984-1914, [édition

intégrale], Paris, Gallimard, 1987-2014, 13 vol., vol. I, p.14.

3 Cahiers [fac-similé], Paris, CNRS, 1957-1962, 29 vol., XX, p. 678.

(8)

6

moto inesauribile che per sua stessa natura non può approdare a risultati conclusi e

definitivi.

Allo stesso modo i Cahiers rappresentano una ricerca incessante delle leggi e delle

strutture che regolano il funzionamento della mente. Essa ha origine dal rifiuto che

Valéry oppone contro la tirannia delle passioni e delle emozioni scatenate da un

amore giovanile vissuto nel 1891-92 e non ricambiato

5

. Per poter ristabilire la

padronanza di sé, della propria ragione, della propria coscienza, egli ha bisogno di

comprendere cosa accade nello Spirito di un essere umano quando sta pensando, a

prescindere da quale sia l’oggetto di tale pensiero.

Quando parla di Spirito – Esprit – Valéry si riferisce a una delle funzioni essenziali

dell’organismo umano, saldato in e con quest’ultimo, in continua interrelazione col

mondo esteriore. Uno Spirito che non ha nulla di metafisico dunque, ma tutto

umano. Si veda per esempio un passaggio nel Cahier 87, oggetto di questa tesi:

Le triomphe de l’Esprit se paye par une défaite des instincts ; - il n’est donc possible que 1° que passagèrement ; 2° que dans un milieu et des circonstances telles tels qu’ils permettent à l’individu de vivre assez indépendant des instincts, - c’est-à-dire de satisfaire ses besoins sans obéir exactement à ses instincts.

Alors est possible l’illusion d’objectivation, celle de domination, celle d’être plus universel que l’univers et peu plus étendu que l’espace réellement occupé. (f. 5v)

Come si vede, questo trionfo dello Spirito è una conquista per sua stessa natura

temporanea, passeggera. Il dominio degli istinti non è mai compiuto, ma è frutto di

una dinamica incessante che muove da uno stato di disordine verso un ordine, senza

tuttavia che quest’ultimo si possa mai dire compiuto, poiché se così fosse ciò

costituirebbe la perdita della libertà:

L’esprit va dans son travail de son désordre à son ordre.

Il importe qu’il se conserve jusqu’à la fin, des ressources de désordre, et que l’ordre qu’il a commencé de se donner ne le lie pas si complètement, ne lui soit pas un tel bandeau - qu’il ne puisse le changer et user de sa liberté initiale. (f. 9v)

5 Appena ventenne, Valéry si innamora di Sylvie, baronessa de Rovira. Indicata nei suoi scritti come

Madame de R., è una giovane vedova di 37 anni, incontrata casualmente, che scatena nel giovane Paul una passione prepotente e mai dichiarata.

(9)

7

determina una situazione in cui l’oggetto che viene indagato coincide con il

soggetto che indaga, in una dinamica di continua azione e auto osservazione.

« L’observation même est, d’abord, une réaction de la chose observée »

6

.

E tuttavia Valéry non intende tenere un diario intimo ma condurre un’indagine che

aspira a essere scientifica. Come riuscire a mantenere un’oggettività – per quanto

possibile – scevra dalle interferenze e dagli inquinamenti che inevitabilmente

rischiano di prodursi?

Una preoccupazione costante è quella di porre le domande in maniera corretta e

rigorosa, scongiurando la pecca che egli ravvisa nei discorsi dei filosofi come in

quelli dell’uomo qualunque: rispondere a domande senza prima accertarsi che

abbiano senso.

Nella sua strenua ricerca dell’esattezza, un dispositivo di cui Valéry si dota per

garantire l’oggettività nella conduzione della sua indagine sui processi della mente

è il ricorso a modelli scientifici, mutuati da diverse discipline, dalla matematica,

dalla fisica, dalla biologia. Modelli che Valéry impiega secondo il senso scientifico

più proprio, non tanto per interpretare l’oggetto del suo studio, quanto per

rappresentarlo e indicare un’ipotesi di lavoro nel raffronto tra il funzionamento del

modello e quello del fenomeno studiato.

Come rileva Judith Robinson-Valéry, questo approccio che tra fine ‘800 e inizio

‘900 si propone di applicare allo studio del pensiero umano modelli matematici e

fisici è uno dei tratti di maggiore modernità di Valéry

7

.

Allo stesso tempo, la matematica è per lui uno strumento utile al processo di

creazione poetica e alle combinazioni linguistiche:

J’ai pensé fonder toute chose intellectuelle sur l’unique terrain du langage et des combinaisons linguistiques.

De même qu’aujourd’hui toute la mathématique est le continu sur les nombres entiers. Il y a une analogie certaine – difficile.

Le moindre avantage de ce point de vue, et l’avantage positif serait au moins de bien séparer (s’il existe) un élément non « énumérable » dans les pensées. (f. 42v)

6 C, VIII, p.34

7 Robinson-Valéry J., Les Cahiers, introduzione a Paul Valéry, Cahiers, 1894-1914 [édition

(10)

8

sia servita a migliorare i suoi versi, e scopre di averne derivato un’idea esatta di

poesia pura

8

.

Per riflettere sulle combinazioni linguistiche egli si affida talvolta a equazioni

matematiche, come in questo passaggio:

Symbole en mathématique. Si A est l’ensemble des entiers, A+1= A voici une équation symbolique. Ce n’est plus un signe de calcul. Le calcul donnait l’absurdité 1=0.

C’est le signe = qui est altéré. Il devient qualitatif /et A de même est pris par contre comme non quantitatif. A n’est plus une quantité puisqu’on ne saurait l’accroître ni le diminuer. /

Et c’est un peu de même que dans le langage le signe EST qui dans le principe est analytique devient synesthétique. (f. 45r)

Come vediamo, dall’applicazione dei modelli scientifici, al ricorso a simboli

matematici per analizzare e rappresentare le relazioni tra i termini di una frase,

un’altra delle soluzioni che l’autore si propone per garantire l’oggettività della sua

ricerca è dunque il tentativo di sviluppare un linguaggio esatto, definito, liberato da

ogni indeterminatezza, così come da quell’insieme di preconcetti che ogni

locuzione rischia di portare con sé, tanto nella cultura letteraria e filosofica, quanto

in quella popolare.

Il linguaggio è uno degli ambiti di maggior interesse della ricerca di Valéry, cui egli

consacra una riflessione continua, in quanto costituisce al contempo strumento e

manifestazione del pensiero, ma anche della letteratura.

Nel nostro Cahier 87 sono più di trenta i passaggi dedicati al linguaggio, a come si

compone, a come determina le dinamiche di pensiero, alle sue relazioni con

l’immagine, con la memoria, con le scienze, con il reale. Per esempio:

Le langage sert aisément à mettre devant la pensée un verre très grossissant, qui la projette aux yeux étrangers comme monstrueuse et dilatée, quand elle-même n’était pour elle-même qu’un peu d’agitation locale. (f. 57 v)

8 Polizzi G., Segni del tempo in Valéry. Dressage e scienze del tempo nei Cahiers in Papparo F. C.

(a cura di), Di là dalla storia. Paul Valéry: tempo, mondo, opera, individuo. Macerata, Quodlibet, 2007, p. 104.

(11)

9

mettere a fuoco un pensiero come una lente di ingrandimento, ma allo stesso tempo

deformarlo e amplificarlo fino a tradirne la natura.

Più vicino – ante litteram – al Wittgenstein delle Ricerche Filosofiche

9,

che non a

quello suo contemporaneo del Tractatus logico-philosophicus (1921), Valéry

distingue la funzione cognitiva da quella enunciativa, postulando l’esistenza di un

pensiero che precede il linguaggio, difficilmente conoscibile, e che mai coincide

con esso, ma attraverso di esso può – parzialmente – essere espresso in forma

verbale o scritta. Parzialmente - in quanto il pensiero è per sua essenza informe, ha

origine da sensazioni, è vicino al sogno, e nel momento in cui si organizza, il

linguaggio con le sue convenzioni non può che deformarlo.

Ecco quindi, sempre nel Cahier 87, la preoccupazione per l’esattezza delle parole:

Il y a quelque chose pire que l’absence de définitions et noms exacts, c’est l’apparence de définitions et de noms exacts. (f. 22 r)

Valéry diffida di un’idea di lingua naturale, dell’illusione che ogni parola possa

rinviare in sé a un’entità sostanziale assoluta, a prescindere da un sistema complesso

di relazioni e rinvii.

Su questi presupposti non esita a muovere critiche severe a un autore come Hugo:

Vocabulaires -

Hugo a un vocabulaire riche – mais pauvre ou du moins médiocre.

La richesse vraie est le nombre des mots X le nombre moyen des emplois significatifs qu’on sait leur donner.

D’ailleurs cette souplesse du même mot a d’autres avantages encore. (f. 32 r)

O ancora:

Un trop puissant rhéteur prend le mot qui vient – et le jette à toute force, comme un hercule prend pour arme toute chose qui lui touche sous la main.

Mais on risque de se blesser, et d’autant plus que le mouvement de saisir est plus brusque et l’homme plus fort.

Hugo prenait des mots énormes, et tellement / mais / il les maniait sans effort / si aisément qu’il donne l’impression qu’ils sont vides.

(12)

10

E ciò nonostante Valéry è ben consapevole che tutto il complesso sistema della

propria opera, Cahiers inclusi, è costituito esattamente di questo materiale. Prova

quindi ad appellarsi a un linguaggio formalizzato, sull’esempio della scrittura

algebrica, a cui spesso fa diretto ricorso, per rappresentare relazioni logiche tra

concetti esatti. Ma sa bene di non poter prescindere dall’utilizzazione di vocaboli

che traboccano di significati plurimi, stratificati in secoli di cultura, quali corpo,

tempo, memoria.

Ecco che i suoi sforzi sono tesi negli anni a elaborare un proprio linguaggio, che

definisce langage self, fatto di vocaboli il cui senso deve divenire per lui sempre

più nitido e limpido, e in cui figure retoriche, formule matematiche, immagini,

concorrono a definirne i significati, le funzioni e le reciproche interrelazioni, al di

là della logica e della simbologia propria di ciascun tipo di discorso.

Il tentativo di Valéry è dunque quello di escludere dalla propria scrittura termini e

proposizioni che considera ambigui, tornando in un’elaborazione incessante e

ricorrente su una serie di concetti chiave che costituiscono il microcosmo

autoreferenziale dei Cahiers, in uno sforzo di modellizzazione e di unità.

In questo sistema produttore di senso, è sempre sotteso un punto di vista

provvisoriamente definito: Io, Qui, Ora

10

. Valéry non crede all’esistenza di verità

universali, né alla possibilità di conclusioni generalizzabili e definitive. È questa

l’essenza del mondo moderno, molteplice e frammentato, rappresentabile solo

attraverso un punto di vista soggettivo, dunque per sua natura relativo, limitato,

mutevole e confutabile. E per rappresentarlo il linguaggio non può che essere

costantemente reinventato.

Ecco che quindi la ricerca valeriana dei Cahiers rivela tutta la propria intenzionalità

anche estetica. Se il movente primo di questa scrittura quotidiana è osservare il

funzionamento del pensiero umano nel suo manifestarsi, e così facendo scoprire

uno schema unitario che possa definirlo e rendere lo Spirito padrone di sé e libero

nel proprio esercizio, tale scrittura nel suo dispiegarsi diventa necessariamente

progetto estetico, letterario, nella misura in cui inventa un linguaggio che mira a

10 Vogel C., Les «Cahiers» de Paul Valéry, «To go to the last point Celui au-delà duquel tout sera

(13)

11

coerente di oggetti intelligibili e interrelati che vanno a costituire un nuovo

orizzonte di senso.

La critica valeriana si interroga se nonostante la frammentazione, l’incompiutezza,

la mancanza di strutturazione, sia possibile cogliere nell’insieme di questi scritti

una sorta di architettura discorsiva, sottesa al flusso della scrittura quotidiana, che

pur sottraendosi alle pretese di un compimento definitivo, ne cristallizza i

frammenti in una struttura soggettiva di messa in scena, un teatro della

self-variance: «La self-variance – ou instabilité essentielle, (cf. la sensibilité) est le fait

le plus constant. Rien ne dure que par un effort (limité) et moyennant quelque chose

… sauf ce qui dure CONTRE un effort »

11

.

Una variance, un mutamento che Valéry descrive utilizzando modi che attengono,

come abbiamo visto, a molti possibili registri, di volta in volta scientifico,

filosofico, poetico. Egli attinge a sistemi semiotici e logici apparentemente

incompatibili, sperimentando diverse tecniche e strumenti per esprimere sensazioni,

percezioni, idee e tutte le interrelazioni che sussistono tra dati fisici ed esperienze

psichiche, tra soggetto e oggetto. Tuttavia questi molteplici modi di

rappresentazione, eterogenei e sconnessi, paiono organizzarsi in un progetto

estetico comune, che è quello di tentare di comprendere il sistema Moi nella sua

totalità, nella sua incessante articolazione tra polo soggettivo e polo oggettivo,

restituendone una visione coerente, per quanto non uniforme

12

.

L’organizzazione testuale dei Cahiers è costituita da singole frasi, frammenti

talvolta incompiuti, brevi testi che si alternano con incedere intermittente, e

ripercorrono gli stessi temi in modo ricorrente e irregolare al tempo stesso. Le

pratiche di scrittura che Valéry inventa nel loro essere eterogenee rimandano alle

differenti funzioni mentali che l’autore esercita ed osserva allo stesso tempo.

Secondo Christina Vogel si può dunque parlare di un «Programme

anthropo-littéraire»

13

, nella misura in cui con i Cahiers Valéry si propone di «trouver les

11 C XVI, 322-24.

12 Vogel C., Les «Cahiers» de Paul Valéry, cit., p. 58. 13 Ibid., p. 90.

(14)

12

styles – moments d’un esprit – le mien.»

14

.

I concetti di mutamento e di durata sono tra quelli cui Valéry ricorre maggiormente

nella sua ricerca di conoscenza e rappresentazione del sistema uomo. E li troviamo

inevitabilmente associati al concetto di tempo.

In un testo pubblicato nella rivista «Mercure de France» nel maggio 1899

15

Valéry

si interroga sul tempo, associandolo al concetto di mutamento e cercando di

applicare alla sua definizione concetti matematici, ma è egli stesso ad affermare:

«In verità, le scienze attuali non ci insegnano nulla sul Tempo in sé»

16

. Troviamo

qui in nuce uno dei temi centrali della ricerca valeriana, là dove, muovendo dal

presupposto che «Non si pensa contemporaneamente a tutto.»

17

, arriva ad affermare

che:

(…) se la psicologia può diventare una scienza sarà solo quando avremo conoscenza di come non si pensa tutto contemporaneamente. Allora, questa nuova scienza sarà, in qualche maniera, la Geometria del Tempo, - ovvero la sintesi delle leggi in base alle quali gli stati di coscienza si sostituiscono e si riflettono, reciprocamente 18.

E prosegue sostenendo:

La questione del mutamento si pone dunque come la chiave di ogni psicologia utile, ed è inevitabile chiedersi come avvenga la variazione della conoscenza, quale sia la regola universale delle modificazioni o delle trasformazioni di uno stato di coscienza – lo si consideri un tale stato comprensivo dei dati esterni e dei fenomeni puramente mentali, o limitato a uno di questi mondi19.

Viene tratteggiato qui, senza nominarlo, un soggetto pensante quale essenza che per

propria natura vive continui mutamenti di stato di coscienza – avvengano essi per

dinamiche puramente interiori o in rapporto al mondo esterno – e introduce uno

degli interrogativi alla base della grande avventura dei Cahiers: il bisogno di

14 C., III, 305; I, 823.

15 « Mercure de France », XXX, maggio 1899, pp. 481-488. Ci riferiamo alla versione dell’articolo

presentata in traduzione in Papparo F. C. (a cura di), Di là dalla storia. Paul Valéry: tempo, mondo,

opera, individuo. Macerata, Quodlibet, 2007, pp.15-24.

16 Ibid., p. 17. 17 Ibid., p. 19. 18 Ibid., p. 20. 19 Ibid., p. 21.

(15)

13

relazione essi si pongano con l’entità uomo.

Di conseguenza, in qualche modo si produce una sorta di sdoppiamento della

coscienza, nella misura in cui, da un lato è necessario che si costituisca una sorta di

coscienza separata, estremamente lucida, capace di compiere lo sforzo di dominare

e analizzare tutti gli stati della coscienza stessa

20

; e dall’altro occorre ricondurre a

unità questo infinito avvicendarsi di modificazioni.

Nel nostro Cahier troviamo due definizioni molto pregnanti di ciò che per Valéry

rappresenta il moi:

Que de gens parlent de leur moi comme des bêtes.

Ils n’en ont aucune idée précise, et le confondent avec leurs goûts. Mais les goûts changent, et il y a toujours sur moi.

- Le moi est un instrument indispensable ; mais en dehors de ses usages nécessaires, il en a que peu de gens connaissent (quoiqu’un peu plus que ce peu l’utilisent sans trop savoir.).

C’est un instrument d’unité, ou d’unification – quoi qu’il arrive quelle diversité qui se donne, quel degré de différences qui s’impose – du moment que ce moi le supporte et le porte, il y a donc une « forme » une relation unique possible.

C’est là la remarque dont il faut faire état.

Je tiens que dans notre art de poëte – ce ci peut servir.

Car c’est là la clef de l’harmonie entre les membres disparates de la poësie : musiques, image, langage etc.

Le moi est l’unité réciproque de tout un dictionnaire. (f. 3 r)

Il moi è il principio di unità, il punto fermo cui fare riferimento, che comprende e

armonizza l’infinita serie di cambiamenti che si manifestano nell’animo umano. E

ancora:

Ma distinction familière entre Moi et personnalité peut s’agrandir jusqu’à un procédé

d’analyse.

Le Moi comme je le définis est comparable à ce qui se déduit d’une invariance par rapport à la variété des expériences possibles. Il est le système des conditions les plus générales d’existence. C’est une forme analytique.

Ma personne ou personnalité est une partie de ma connaissance et cette partie est la personne, et ce tout est le moi.

Le moi est le tout dont la personnalité est une partie. La personnalité est la partie dont le Moi est le tout.

La personnalité est par là comparable, combinable avec toute chose connaissable. Et le Moi est inconnaissable. (f. 8 r)

20 Starobinski J., Préface a Paul Valéry, Cahiers, 1894-1914 [édition intégrale], Paris, Gallimard,

(16)

14

Il moi è la parte fissa, non variabile, inconoscibile nella sua totalità, in relazione alla

quale si può provare a cogliere e comprendere la persona, che si forma nella

combinazione delle possibili variazioni derivanti dalle esperienze. È una ipostasi,

non toccata dal tempo, mentre la personalità è nel tempo che vive e si dispiega, solo

grazie alla successione di molteplici cambiamenti si costruisce, e in relazione al moi

si riconosce

21

.

Nella relazione tra le parti costitutive e invariabili dell’essere, e quelle invece

soggette a quei mutamenti che costituiscono l’essenza stessa del tempo, si inscrive

la memoria «à la fois condition et matière du travail mental»

22

. Se ancora una volta

ciò che si osserva è parte integrante del processo stesso di osservazione, è evidente

che ogni riflessione sulla memoria implica una riflessione sul soggetto.

Nell’ampia riflessione su tempo e memoria che ricorre nei Cahiers, Valéry dimostra

una lunga frequentazione con l’opera di Bergson

23

, da cui però egli prende le

distanze, pur riconoscendogli una profonda stima intellettuale e morale.

Bergson muove da una critica ai concetti scientifici di tempo ed evoluzione: la

scienza con le sue formule riduce il tempo a una mera successione di istanti, mentre

l’essenza del tempo vissuto è «durata», non frazionabile. La scienza opera

attraverso l’intelletto, mentre la filosofia opera attraverso l’intuizione: è

quest’ultima che ci consente di cogliere il nostro io che dura, così come la vita degli

altri esseri, dimostrando che la realtà non è un aggregato di elementi parcellizzati –

come parrebbe attraverso l’intelletto analitico della scienza – ma un flusso

spontaneo, creativo, spirituale.

Anche Valéry ricorre al concetto di durata per indicare la continuità della vita dello

spirito. Ma il suo è chiaramente un approccio che non ha nulla dello spiritualismo

bergsoniano, e che tende invece a utilizzare il procedimento scientifico e il suo

lessico – come abbiamo visto – nell’intento di determinare esattamente in cosa essa

consista e come funzioni. Si veda questo frammento del Cahier 87:

T - -

Les impressions ou sensations de l’homme, prises telles quelles, n’ont rien d’humain.

21 Masullo A., Il tempo di Narciso in Papparo F. C. (a cura di), Di là dalla storia, cit., p. 51. 22 Paul Valéry, Cahiers [fac-similé], Paris, CNRS, 1957-1962, 29 vol., IV, 350.

(17)

15 – mais non toujours – rechercher cette mise en défaut – rattraper ce qui vient d’être – à l’état informe.

Et ceci est la racine de la mémoire.

Le souvenir est (de ce point de vue) avant tout un fait élémentaire qui tend à nous donner le temps d’organisation qui nous a manqué d’abord. Ce temps est celui que j’appelle de seconde espèce.

La durée (perçue) est l’effort qu’il faudrait faire pour maintenir à l’état réversible, en état d’équilibre le système formé de demandes extérieures et de réponses exactes.

Durée d’un phénomène – grandeur qui mesure intensivement et intuitivement l’ensemble des modifications quelconques qui ont ce phénomène par variable indépendante c’est-à-dire ordonnée. Il n’y a pas de durée des phénomènes non ordonnées ni ordonnables.

(f. 30 r)

Durata, tempo, memoria, ricordo, impressioni. Pur consapevoli che, nella brevità

del cenno, necessariamente operiamo una semplificazione, non possiamo non

rilevare come siano temi che hanno definito anche l’opera di un altro grande

contemporaneo – coetaneo per la precisione – di Valéry: Marcel Proust, seppure

con notevoli differenze di declinazione.

Proust è interessato alla dinamica della memoria per la sua portata epifanica ed

estetica. Nella ricerca proustiana, la memoria scaturisce da impressioni sensoriali

ed entra involontaria e impetuosa a sconvolgere la dimensione ordinaria del tempo

in cui viviamo, interrompendone lo scorrere inesorabile e aprendo varchi su mondi

che si collocano fuori dal qui e ora, cristallizzati in un altrove extratemporale, in cui

si ritrova un significato totalizzante, una unità perduta, una pienezza di senso

inattingibile nell’esistenza quotidiana. Quella stessa pienezza e unicità di senso,

estatici, rivelatori, che la letteratura – l’arte in generale – cerca di restituire. È

tuttavia un ritrovamento impermanente, effimero, che non fa che confermare,

infine, l’inesorabile caducità della vita. La ricerca di Proust non mira tanto a

conoscere i meccanismi della memoria quale funzione del pensiero, quanto a

comprenderne la portata estetica, nei termini delle relazioni che intercorrono tra la

memoria, l’arte, il significato della vita

24

.

Valéry è interessato invece a svelare e descrivere il meccanismo del pensiero, che

deve essere sezionato e ridotto a un insieme di operazioni codificate. Nella dinamica

24 Peverelli R., Marcel Proust: sulla memoria https://www.doppiozero.com/materiali/marcel-proust-sulla-memoria (31/08/19).

(18)

16

impressioni vissute:

Mémoire –

Se souvenir est revivre le segment aᵢ→aᵢ₊ᵢ et dans ce segment les impressions ou choses y contenues. Par l’usage de cette propriété, il se fait une simplification ; le segment s’affaiblit, les choses se renforcent. Mais l’ordre subsiste25.

(f. 17 r)

Ancora una volta Valéry attinge al linguaggio della fisica, della meccanica, per

descrivere come il pensiero rielabora ed organizza le emozioni che l’essere umano

prova quando entra in relazione con il mondo esterno:

Notre vie, nos émotions, n’ont nos passions n’ont pas d’autre valeur (autre qu’instantanée et intime) que celle26 que leur donnent nos actes subséquents et l’art d’en faire quelque chose.

Toute l’émotion du monde n’est qu’un commencement et c’est pourquoi faut-il porter au plus haut degré l’appareil moteur qui puisse épuiser cette « force » en la rendant restituable à volonté autant de fois qu’on le voudra.

D’ailleurs cette utilisation (on l’observe aisément) est plus fréquente et plus efficace à partir du souvenir de l’émotion que de l’émotion même. L’état de souvenir la rend plus proche de son expression ; car cet état est déjà une première organisation.

C’est comme dans les turbines vapeur où la vitesse première est inutilisable ; il faut démultiplier pour utiliser.

C’est donc une illusion de croire que le plus précieux est plus caché ou plus instantané. Illusion comparable à celle d’un homme qui émerveillé par le phonographe voudrait pénétrer dans la machine.

C’est dans l’air, et après la machine que l’effet merveilleux existe.

(f. 58 v)

E sono proprio questa organizzazione, questo ordine, che consentono poi di

attingere alle emozioni per rielaborarle in forma artistica.

A differenza del suo coevo Proust, per il quale peraltro non nutre particolare stima,

Valéry restituisce all’uomo novecentesco, composito e mutevole, espulso ormai da

un universo teleologico in cui poteva trovare un proprio senso unitario, la possibilità

di ritrovare il proprio potenziale creativo attraverso un’incessante ricerca di

conoscenza e dominio delle proprie dinamiche interiori.

25 Croix au crayon à gauche en marge de ce paragraphe. 26 Petite croix au crayon en marge à droite de ce passage.

(19)

17

Il Cahier 87 è datato 1918 per mano dell’autore stesso che, oltre a riportare in

copertina «oct - 1918», annota «commence le 9 octobre 1918» e lo numera «3 sur

3».

Sappiamo così che è il quaderno che chiude il 1918 e si colloca quindi in un

momento molto significativo, al termine della Prima Guerra Mondiale, quando

anche la vita personale di Valéry è toccata da vicino dagli eventi della storia.

Il giorno prima di iniziare questo Cahier, l’8 ottobre 1918, Valéry si ricongiunge

finalmente con la famiglia a Parigi, dopo mesi in cui il nucleo era dovuto rimanere

separato. A causa della pesante offensiva e dei massicci bombardamenti a opera

delle forze armate tedesche che minacciavano la capitale, a fine aprile la moglie e i

figli erano sfollati a Rennes, mentre Valéry era rimasto in città ove si era trattenuto

il suo datore di lavoro, Édouard Lebey.

Édouard Lebey è lo zio di André, amico di Paul Valéry e poeta. Dirige l’agenzia di

stampa internazionale Havas, di cui nel 1900 era diventato presidente del consiglio

di amministrazione. Colpito precocemente dal morbo di Parkinson, ha bisogno di

un assistente. Nel luglio 1900 Valéry, grazie all’amico André, aveva dunque trovato

impiego presso di lui in qualità di segretario, superando così un periodo di

precarietà. Lo scrittore in realtà aveva sperato a lungo in un incarico presso

l’agenzia Havas, ma di fatto resterà al servizio di Lebey fino alla morte di

quest’ultimo nel 1922, guadagnandosi la sua piena fiducia e fungendo per lui da

uomo di compagnia, lettore, assistente, gestore del patrimonio.

Colui che spesso viene definito da Valéry il «Patron» nel 1918 è dunque un uomo

malato, che dipende dal suo segretario per molte necessità e non ha con chi

sostituirlo. Questa condizione vincola pesantemente Valéry, costringendolo a una

distanza forzata dalla propria famiglia, che egli patisce tanto più in un momento

drammatico come quello che Parigi sta vivendo.

A fine giugno 1918 anche Lebey aveva finalmente deciso di allontanarsi da Parigi,

per recarsi ad Avranches, in Normandia, con Valéry al seguito.

Nel Cahier 87 troviamo tracce delle letture che Valéry fa a Lebey durante questo

ritiro: autori classici della letteratura francese come Ronsard e Hugo (cfr. supra).

(20)

18

novembre, già dai primi di ottobre l’esercito tedesco, che aveva subito pesanti

sconfitte da parte delle forze Alleate, è in ritirata e l’imperatore Guglielmo II chiede

al presidente degli Stati Uniti

Thomas Woodrow Wilson

di dare avvio ai negoziati

di pace. È allora che Paul Valéry, col consenso del datore di lavoro Lebey, può

riguadagnare Parigi.

Nonostante il momento storico così pregnante, non troveremo in questo Cahier

tracce evidenti sotto forma di cronaca o commento dei recenti accadimenti, né della

Grande Guerra in generale, né delle ombre che inevitabilmente essi gettano

sull’esistenza quotidiana di Valéry e dei suoi cari.

Piuttosto, la guerra, la pace diventano uno dei tanti oggetti su cui esercitare il

pensiero, per trarne uno schema di funzionamento dell’essere umano, una

riflessione astratta da ogni contingenza che restituisca un meccanismo

universalmente vero in potenza.

Si veda, ad esempio:

La paix est l’état de choses pendant lequel l’hostilité naturelle des hommes entre eux se manifeste par des créations au lieu de se traduire par des destructions comme fait la guerre. Temps de la concurrence créatrice, ou productrice. (f. 65 r)

Durante tutta la sua lunga carriera letteraria Valéry ha perseguito con volontà tenace

l’intento di rimuovere vita privata e vissuto personale dalla propria scrittura. Un

approccio intellettuale che secondo il figlio François, autore dell’interessante

saggio L’entre-trois-guerres de Paul Valéry, simboleggia «sa volonté d’en

préserver, envers et contre tout, l’autonomie: contre les autres et contre lui-même,

contre les événements de la vie publique et ceux de sa vie privée.»

27

.

Valéry si sottrae quindi alla possibilità che si cerchi nella sua esistenza la chiave

attraverso cui interpretarne gli scritti. Già un suo contemporaneo come André

Breton lo identificava con il suo personaggio Monsieur Teste, dipingendo un ritratto

dello scrittore che Michel Jarrety declina come «héros de soi-même, soumettant les

27 Valéry F., L’entre-trois-guerres de Paul Valéry, Nîmes, Éditions Jacqueline Chambon, 1994, p.

(21)

19

paraître parfois inhumain, (…)»

28

.

Sappiamo anche che Valéry, come diversi suoi contemporanei a partire da Proust,

si oppose strenuamente al biografismo in auge a inizio secolo nella critica letteraria,

ancora fortemente dominata dal metodo Sainte-Beuve

29

.

E tuttavia non stiamo compiendo un’operazione priva di senso, né rischiamo di

tradire l’autore, dando una collocazione a questo Cahier nella sua cornice storica.

In primo luogo Valéry è stato un personaggio di grande rilevanza per la cultura, e

in parte anche per la politica, francese ed europea, per cui appare imprescindibile

utilizzare anche una prospettiva storica per leggere la sua opera.

Inoltre è lui stesso che fa ricorso – anche a posteriori – a determinati episodi della

propria vita dislocandoli in un orizzonte di senso narrativo tale da costruire uno

scrittore-personaggio, un Ego Scriptor che è al tempo stesso oggetto e soggetto di

una ricerca di conoscenza, la quale diventa rappresentazione e dispiegamento di sé.

Valéry ha ricoperto numerosi e significativi incarichi di rilevanza pubblica: solo per

citarne alcuni, è stato direttore del Centre Universitaire Méditérranéen di Nizza;

membro dell’Académie Française; professore di poetica al Collège de France;

consulente per la Commissione internazionale di cooperazione intellettuale della

Società delle Nazioni (istituzione precorritrice dell’UNESCO). Tutti

riconoscimenti ricevuti tra le due Guerre, che ne fanno un personaggio pubblico di

levatura nazionale e internazionale.

Nonostante Valéry non si riconosca in quel personaggio pubblico e lo consideri

quasi un doppio fallace; nonostante egli più volte si pronunci in maniera fortemente

critica nei confronti della storia e della biografia – entrambe scritture del passato –

quali strumenti di indagine e conoscenza, non è possibile leggere la sua opera

prescindendo completamente dal tenere presente, seppur in controluce, la trama che

la storia nel frattempo andava tessendo.

28 Jarrety, M., Paul Valéry, Paris, Fayard, 2008, p.7.

29 Orlando F., Sulla critica dell’autobiografismo in Nietzsche, Heidegger, Mann, Valéry e Proust,

<

http://www.mimesis.education/uncategorized/francesco-orlando-sulla-critica-dellautobiografismo-in-nietzsche-heidegger-mann-valery-e-proust/> (31/08/19). Si tratta di una lezione tenuta dal prof. Orlando a Pisa il 10 novembre 2003, nell’ambito del corso L’uomo e

(22)

20

profondamente i destini della Francia e dell’Europa, senza che tuttavia egli possa

prendere parte direttamente a nessuno di essi: nasce all’indomani della guerra

franco-prussiana conclusasi con la rovinosa disfatta di Sedan; è padre di tre figli

all’epoca della Prima Guerra Mondiale; è ormai anziano quando scoppia la

Seconda, di cui non arriva a vedere la fine.

Tra il principio del secolo e l’inizio della Grande Guerra Valéry è pressoché assente

dalla scena letteraria, pur avendo pubblicato numerose opere negli anni ’90

dell’Ottocento, che gli avevano già dato una notevole fama.

Ciò che prosegue senza interruzione di continuità è la ricerca che si sostanzia nei

suoi Cahiers, e intanto non disdegna la vita sociale e mondana, intrattenendo

relazioni con un entourage di scrittori, musicisti, pittori e intellettuali dell’epoca.

Come accennato sopra, è Valéry stesso che, in determinati momenti, attribuisce a

episodi della propria esistenza un significato che va oltre l’immanenza

dell’accadimento e lo colloca nella dimensione metafisica in cui costruisce il

proprio Moi, l’oggetto e soggetto della ricerca protratta per una vita intera, di cui i

Cahiers sono al tempo stesso prodotto e metodo, manifestazione ed essenza.

Così è accaduto, per esempio, nel 1892, quando le emozioni provate in una notte di

temporale trascorsa a Genova, che conosciamo come «La nuit de Gênes», si

trasformano a distanza di molti anni, nell’elaborazione di Valéry, in un evento di

tale portata da divenire il principio esplicativo della profonda crisi artistica e

intellettuale che impronterà per gli anni a venire il suo atteggiamento interiore nei

confronti del sé, del pensiero, della produzione letteraria.

« Après tout – JE suis un système terriblement simple, trouvé ou formé en 1892 –

par irritation insupportable, qui a excité un moi n° 2 à détacher de soi un moi premier

(…) »

30

.

Attribuendo a questo fatto, apparentemente banale e senza ripercussioni nella vita

quotidiana, un tale significato fondativo, Valéry lo dota di un’aura leggendaria,

mitopoietica, ma non lo fa a beneficio di un ipotetico pubblico di fronte al quale

costruire un’immagine mitologica di sé, bensì, in una dinamica tutta rivolta alla

(23)

21

plus mythique de ce qu’il a cru vivre»

31

.

Ecco che dunque questo evento diventerà retrospettivamente una pietra miliare

nella mitologia sul personaggio Valéry, così come il suo silenzio.

Vero è che, prima della notte fatidica, da qualche tempo Valéry andava maturando

un senso di insoddisfazione per i propri versi. Nella corrispondenza con l’amico

Gide nel ’91 ricorrono interrogativi sulla propria capacità poetica, in paragone ai

suoi miti letterari quali Poe, Rimbaud, Mallarmé: «Où trouverais-je une magie plus

neuve? Un secret d’être et de créer qui me surprenne ? Tu souriras, ici, en songeant

à mes pauvres essais ? Si tu savais combien – réellement – je les déteste ! Mes

grands poèmes futurs cherchent leur forme et – c’est insensé ! »

32

.

Anche la relazione con Mallarmé sta evolvendo: senza disconoscerne l’importante

influenza sulla propria opera, Valéry si sente sempre meno discepolo, nel momento

in cui inizia a mettere in crisi l’idea stessa di poesia così come la vede concepita tra

i suoi contemporanei. Ciò che osserva nei poeti suoi contemporanei è una debolezza

intellettuale, una concezione della poesia come valore assoluto, che diventa luogo

comune, e che si sottrae all’esercizio di tutte le facoltà mentali in una ricerca di

perfezione costruita sull’atto del comporre, come la musica.

Per Mallarmé la poesia è l’oggetto essenziale, lo scopo ultimo. Per Valéry sempre

più acquisisce importanza il fare poetico: la poesia è un mezzo, un esercizio

dell’intelletto e del suo potenziale.

L’interrogativo sul futuro della propria opera, un senso di impotenza, una crisi

artistica ed esistenziale, che lo porteranno a rifiutare la pubblicazione di versi e a

intraprendere nel ’94 la scrittura dei Cahiers.

Il ritiro di Valéry dalla scena letteraria, che coincide con la scelta di praticare una

scrittura destinata in prima istanza a se stesso, va compresa alla luce delle sue

posizioni teoriche e degli interrogativi che egli pone (cfr. supra) sul linguaggio, la

letteratura, e i processi dell’intelletto umano. Non è quindi da intendersi come un

desiderio di isolamento, bensì come tentativo di porre la propria scrittura in un

orizzonte più articolato, in cui essa è esercizio gnoseologico e creativo

31 Jarrety M., Paul Valéry, cit., p. 8.

32 Lettera del 10 settembre 1891, in Correspondance Gide-Valéry, éd. Mallet R., Paris, Gallimard,

(24)

22

letteratura, Valéry in realtà getta le fondamenta teoriche per una ricerca volta a

rinnovare la letteratura stessa.

È infatti un’epoca di fermento letterario, connotato da numerosi tentativi di superare

il modello schiacciante dell’Ottocento, in cui anche Valéry naturalmente si

interroga su cosa sia il moderno e in che rapporto si ponga con la tradizione.

Nel Cahier 87 troviamo per esempio diverse riflessioni sul nuovo, che pare essere

un feticcio per i suoi contemporanei:

La notion de nouveau, si puissant, si irritante dans les arts modernes, est une notion naïve. (f. 30 r)

Con il rigore intellettuale che lo connota, e con la tensione verso la conoscenza e

l’integrazione di tutte le facoltà che l’intelletto può dispiegare, Valéry riconduce la

ricerca di innovazione non tanto al risultato quanto al processo:

Je ne cherche pas le nouveau dans le résultat, mais dans le mode de travail. Obtenir un résultat connu par de moyens autres. Il y aurait d’ailleurs une espèce de contradiction à employer des moyens nouveaux à un objet désiré nouveau. (f. 24 v)

E ancora:

Ce n’est le nouveau ni le génie qui me séduisent – mais la possession de soi – Et elle revient à se douer du plus grand nombre de moyens d’expression, pour atteindre et saisir ce Soi et n’en pas laisser perdre de grandes / parties /, faute d’organes pour les servir.

(f. 49 v)

Il giudizio di Valéry sui prodotti letterari del suo tempo è severo. Ancora nel 1918,

dopo quasi dieci anni di ritiro dalla scena, vede un involgarimento, un

impoverimento della letteratura moderna e indica nei valori dei classici le

condizioni imprescindibili per la sua sopravvivenza:

L’évolution de la littérature moderne n’est que l’évolution de la lecture qui tend à devenir une sorte de divination des d’effets au moyen de quelques mots et non vus presque simultanément et au détriment du dessin des phrases.

C’est le télégraphisme et l’impressionnisme grossier dû aux affiches et aux journaux. L’homme voit et ne lit plus.

(25)

23 sont lecture et science de la lecture ; culture ; connaissance des mots et des formes, poids de significations ; nuances – toutes choses moribondes.

Ces jeunes gens obéissent, comme nous l’avons fait, à leur sensibilité commune. C’est-à-dire Mais la dignité de l’homme est de se regimber – c’est à l’individu qu’il appartient de nager contre le courant. (f. 56 v)

Se regimber – resistere, tirarsi indietro. La scelta che egli stesso aveva fatto in tanti

anni di assenza dalle scene letterarie.

Lo scoppio della guerra nel 1914 aveva colpito profondamente Valéry e un senso

di impotenza e inutilità lo aveva pervaso. In una lettera al poeta Fontainas

33

egli

scriveva: «La sensation d’être inutile que cette écume ou que ce bleu m’est dure

cent fois par jour»

34

.

Eppure, paradossalmente, è proprio in questi anni oscuri e drammatici che Valéry

riprende a comporre versi, riuscendo nel 1917 a dare alle stampe il poema che lo

riporterà alla ribalta delle scene letterarie: La Jeune Parque.

Se inizialmente, verso la fine del 1912, anche grazie alle richieste e agli stimoli di

Gide, impegnato nel progetto de «La Nouvelle Revue Française», lo scrittore aveva

cominciato ad abbozzare qualche verso, con l’idea di dare alle stampe una raccolta

delle sue opere giovanili, arricchendola con un testo che poteva rappresentare un

ponte verso un’epoca passata, negli anni della guerra il poema prende tutto un altro

significato. Si tratta ora di opporsi alla barbarie della guerra, e costruire un baluardo

di civiltà. Non è un’impresa facile, è costellata di continui momenti di scoramento,

ma Valéry se ne fa ormai un dovere morale.

Qualche tempo dopo la pubblicazione de La Jeune Parque, scrivendo ad Albert

Mockel

35

a proposito del poema, afferma:

Je me flattais parfois en essayant de me faire croire qu’il fallait au moins travailler pour notre langage, à défaut de combattre pour note terre ; dresser à cette langue un petit monument peut être funéraire, fait de mots les plus purs et de ses formes les plus nobles, - un petit tombeau sans date – sur les bords menaçants de l’Océan du Charabia (…)36

E sempre a lui:

33 André Fontainas, amico e allievo di Mallarmé, di 6 anni più grande di Valéry, con il quale stringe

amicizia sin dai primi anni ’90.

34 Lettera citata in Valéry F., L’entre-trois-guerres de Paul Valéry, cit., p.19. 35 Scrittore belga, poco più giovane di Valéry, molto vicino a Gide.

(26)

24 Qui dirait que de tels vers ont été écrits dans ce temps par un homme suspendu aux communiqués, la pensée à Verdun et ne cessant d’y penser. (…) J’ai trouvé que le moyen de lutter contre l’imagination des événements était de s’astreindre à un jeu difficile, de faire un labeur infini, chargé de conditions et de clauses, tout gêné de stricte observance. Je pris la poésie pour une charte privée37.

Dell’intima necessità di adottare un tale atteggiamento interiore, cercando nella

disciplina rigorosa dell’esercizio intellettuale la miglior difesa contro il sopravvento

dell’emotività che il dramma della guerra porta con sé, troviamo traccia anche nel

nostro Cahier:

Pour tenir devant la guerre l’attitude que le devoir dû au pur intellect eût commandé, il eût fallu faire à … une telle violence et créer une telle insensibilité, et fournir en regard de tant d’émotions, de craintes, d’espoirs, de pudeurs … une telle somme de résistances, une telle cloison - /que/- [inachevé] (f. 17 v)

Come abbiamo visto sopra tentando di descrivere il senso primario dei Cahiers, è

questo un tratto fondamentale dello scrittore e dell’uomo Valéry: la ricerca di una

pratica interiore attraverso la quale riuscire a preservare la dimensione del sé che

egli definisce esprit dal prevaricare delle emozioni.

Ancora una volta, l’esercizio rigoroso di un linguaggio costituisce un baluardo.

Come in altri tempi la matematica, ora è il verso alessandrino che svolge il ruolo di

tenere lo spirito occupato, con una pratica che è culto dell’intelletto

38

.

E contemporaneamente si delinea un’idea di scrittura come impegno civile, che non

si sostanzia tanto in un contenuto di presa di posizione sociale o politica, quanto in

una pratica che mira a salvaguardare il patrimonio linguistico, culturale,

intellettuale.

È forse anche per questo che il 1918 si apre all’insegna di una fase di creatività

proficua, in cui Valéry compone numerosi testi poetici, che andranno poi a

costituire la raccolta Charmes pubblicata nel 1922, oltre al lungo poema Le

cimetière marin pubblicato nel 1920. Dopo l’intenso lavoro, durato quattro anni,

che l’autore ha dedicato alla stesura della Jeune Parque, egli si sente in uno stato

intellettuale prolifico dal punto di vista letterario.

37 Lettera citata in Valéry F., L’entre-trois-guerres de Paul Valéry, cit., p. 22.

(27)

25

Cahiers dei poemi in prosa. Inventa allora l’acronimo «P.P.A.», che ricorrerà per

oltre dieci anni nei suoi appunti accanto a brevi testi in prosa, e che rimanda al

progetto di dare alle stampe un volume dal titolo Petits Poèmes Abstraits.

Eccone un esempio nel Cahier 87:

Egotropisme P. P. A. Orgueil

etc.

Ce phénomène étrange. -

Si le Moi pouvait parler

Pas d’insensibilité aux compliments. Nul n’y échappe, hormis l’homme souffrant. La plante humaine semble s’épanouir aux louanges. On voit l’immonde fleur s’ouvrir, et le feuillage frissonner. C’est une chatouille cachée, que certains pratiquent avec une légèreté profonde.

Elle agit même sur l’homme averti et le dispose bien, si l’opérateur est assez habile et indirect.

L’homme averti ressent une révolte d’être manié et d’obéir comme le corps ferait à une savante courtisane. Mais cette révolte même est un mouvement d’orgueil, parti du sentiment de valoir mieux que toute langage ne peut dire.

Et par ce mouvement l’amour de soi ne fait que se transformer en lui-même.

Quelle injure qu’un compliment ! – On ose me louer !! Ne suis-je pas au dessus de toute qualification ? – Voila ce que dirait un Moi, si lui-même osait ! – Et si le Moi pouvait parler. (Refrain) (f. 50 r)

Il progetto di pubblicare un volume di poemetti astratti non vedrà il proprio

compimento, ma attesta un rinnovato interesse di Valéry per la prosa: egli l’ha

sempre ritenuta una scrittura in qualche modo inferiore alla poesia, in quanto non

richiede una costruzione armonica o ritmica, ma ora gli pare di aver colto « un des

secrets de l’art »

39

: il segreto di una prosa che si possa comporre secondo dei criteri

formali analoghi a quelli del verso.

Nel nostro Cahier 87 troviamo per esempio:

Ecrit en prose.

Cette distribution préparatoire des « idées » mouvements mots choisis – de la diversité sensitive – intellectuelle – verbale (f. 6 r)

39 Lettera all’amico Louÿs datata 6 giugno 1917, in Correspondances à trois voix, éd. Mercier P. et

(28)

26

delle idee, creando dei movimenti e riuscendo a rendere così una diversità che non

è solo di pensiero ma anche tangibile, nella sua dimensione sensoriale – uditiva,

sonora.

Ancora:

Dans la prose, chacun suit sa véritable voix. Le travail la peut dissimuler, mais elle tend à se faire sentir. (f. 37 v)

È dunque un periodo fecondo, durante il quale Valéry mette in cantiere nuovi

progetti e ne riscopre di più datati, rimettendo mano ad appunti e versi degli anni

giovanili. Immagina un volume di poemetti, ricopia in un quaderno una serie di

brani inediti, redige un sommario di questo ipotetico libro, concepisce l’idea di

poter pubblicare persino due raccolte, separando i versi nuovi da quelli più datati.

Dopo il successo della Jeune Parque – all’inizio dell’autunno 1918 ne sono state

vendute 500 copie - l’autore pare quindi aver superato una lunga fase in cui la

pubblicazione l’aveva anche spaventato, ricollocando il proprio sguardo su di essa

in una prospettiva caratterizzata anche da una certa distanza ironica.

Tuttavia, in questo attivismo si cela una depressione, che non tarda a manifestarsi.

Una condizione di abbattimento interiore che si associa al fardello funesto degli

eventi bellici.

Il rinnovato successo, fatto di occasioni mondane, letture, conferenze, non possono

far dimenticare a Valéry una guerra che diventa sempre più minacciosa per le sorti

della patria.

La disastrosa disfatta italiana di Caporetto, tra fine ottobre e inizio novembre 1917,

aveva già angosciato profondamente Valéry, che considera l’Italia la sua seconda

patria

40

. Tra fine 1917 e inizio 1918 in Francia i bombardamenti tedeschi sono

serrati e il razionamento dei generi di prima necessità diventa ancora più rigoroso

durante l’inverno.

Nel febbraio 1918 scrive al poeta Paul-Jean Toulet

41

: «Vous me parlez de tous vos

amis tombés et de votre colère qui serait mortelle si leur sacrifice devait être vain.

40 La madre, Fanny Grassi, è di Genova.

41 Conosciuto da Valéry in gioventù, da lui stimato, a cui si riavvicina a seguito della pubblicazione

(29)

27

m’est odieux de penser que tant de noble sang, tant de ruines, d’un côté ; tant de

salauderies, de bestialité, de bassesses, de l’autre, puissent jamais former un

équilibre»

42

.

Alla ricerca e costruzione di questo equilibrio Valéry dedicherà i suoi interventi

pubblici negli anni a venire.

Al momento vive in uno stato di forte apprensione per le sorti della patria e dei suoi

cari.

Nel mese di marzo, la firma della pace di Brest Litovsk da parte del governo

bolscevico imprime un’accelerazione alle azioni sul fronte occidentale. Le armate

tedesche, non più impegnate sul fronte russo, muovono una più ampia offensiva a

ovest, e riescono a piazzare a circa 12 chilometri da Parigi un cannone

soprannominato “la Grosse Bertha” dall’enorme capacità di gittata, dando avvio a

un fuoco serrato sulla capitale. Come accennato sopra, è allora che Valéry mette al

riparo la propria famiglia inviandola a Rennes, mentre egli stesso è costretto per un

certo periodo a rimanere in città al seguito di Lebey, che non vuole e non può fare

a meno di lui.

In questi mesi in cui Valéry rimane da solo a Parigi, l’incertezza per le sorti belliche,

l’apprensione per i propri cari, la distanza, lo gettano in uno stato di prostrazione

che lo porta a chiudersi in una solitudine infruttuosa. Arriva a mettere in dubbio il

proprio valore di poeta. In una lettera a sua moglie scrive: «Je m’aperçois que tout

ce que j’ai fait en poësie n’a aucun intérêt.»

43

.

Valéry è gravato da una sensazione di inaridimento, come se dopo la Jeune Parque

nulla di valore più potesse uscire dalla sua penna. Continua sì a scrivere versi, ma

non li considera che esercizi. Per quanto la Jeune Parque fosse stata il prodotto di

un moto di volontà intellettuale contro la tragedia della guerra, la fase attuale appare

tragicamente più spaventosa: Parigi è sotto attacco e il peggio può accadere.

Sappiamo che in questo periodo più che dedicarsi alla poesia, trascorre le sue serate

42 Lettera inedita a Toulet, datata 22 febbraio 1918, conservata presso la Médiathèque di Sète, citata

in Jarrety M., Paul Valéry, cit., p. 418.

43 Lettera inedita a Jeannie datata 8 aprile 1918, conservata alla Bibliothèque Nationale de France,

(30)

28

lettura che pare offrire a Valéry chiavi di lettura e un nuovo bagaglio lessicale, di

cui – secondo alcuni studiosi – si troveranno tracce di lì a due anni nei suoi saggi

critici: «(…) nozioni di macroeconomia strutturano l’immaginario valeriano

nell’affrontare quel mercato dei beni simbolici in cui si è tradotto concretamente il

cenacolo elitario sognato dal letterato a vent’anni. Concetti come production,

“consommation”, “valeur”, “travail” appaiono costantemente nei suoi saggi

(…)»

45

.

Difficile, se non impossibile, per noi stabilire quanto effettivamente influenzate da

questa lettura, ma scelte lessicali di questo tipo ricorrono anche nel nostro Cahier

87:

La poésie est un fonctionnement. Attelage de ses fonctions.

C’est un acte complexe que de poétiser – acte incertain mais et compliqué par la considération de l’effet à produire sur un autre vivant. Cet effet comportant de l’inattendu et excluant formellement la restitution dans l’autre vivant des conditions réelles de production.

Il ne faut essentiellement pas que la lecture du poëme fasse paraitre dans l’esprit du lecteur, l’esprit de l’auteur.

Le temple ne doit pas suggérer des travaux de construction et des querelles entre manouvres, et la dispute [biffé, illisible]. (f. 10 v.)

Dove l’atto complesso del poetare diventa produzione. O ancora:

La valeur vraie (c’est-à-dire utilisable) de l’amour est l’accroissement de vitalité générale qu’il peut donner à quelqu’un.

Tout amour qui ne dégage pas cette énergie est mauvais. L’indication est d’utiliser ce ferment sensuel à d’autres fins.

Ce qui n’était croyait n’avoir à faire que des hommes est tourné à faire des actes, des œuvres. (f. 2 r)

Dove il concetto di amore è associato alla possibilità che questo produca un valore

materiale, vero in quanto utilizzabile.

44 Lettera inedita a Jeannie datata 10 maggio 1918, conservata alla Bibliothèque Nationale de France

citata in Jarrety M., Paul Valéry, cit., p. 420.

45 Giaveri M. T., Poietica/Poetica, Estesica/Estetica: Valéry critico del suo tempo in Papparo F. C.

(31)

29

Valéry si interroga sulla natura della società, sulle sue sorti. Si leggano di seguito

questi due frammenti (rispettivamente al foglio 55 v e 65 r):

Avenir de l’espèce humaine.

Le progrès de la précision conduit à ceci : ou destruction de l’espèce qui sans issue se suicide par excès etc. ou retour à la société animale.

Le socialisme n’est qu’un précisément.

L’analyse seule des faits économiques conduit à la société animale.

L’animal, jamais d’idées inutiles. Donc jamais de perfectionnements, car ils gisent dans le possible et l’inutile.

Qui Valéry sembra voler affermare che una lettura economicistica delle dinamiche

della società umana non può che riportarla alla sua radice animale, e di conseguenza

vanificare qualunque idea di possibile miglioramento, in quanto la società animale

è già compiuta in sé stessa e perfettamente funzionale. Una visione che mal si

concilia con la concezione valeriana dell’essere umano.

Ma come abbiamo visto, il Cahier 87 si apre col rientro a Parigi, il

ricongiungimento con la famiglia, la vittoria e la pace ormai imminente. In un clima

finalmente meno cupo, Valéry rimette mano a diversi poemi: Narcisse, Poésie,

Équinoxe, La Pythie, riuscendo a imprimere una accelerazione alla composizione

dei materiali che andranno a costituire la raccolta Charmes. E tuttavia, il giorno

dopo in cui a Parigi si proclama e si festeggia la pace, egli scrive all’amico Louÿs:

« Signe curieux. Je me suis mis à faire des vers au moment de la guerre. Ce matin,

sans autre avis, et sans hésitation, je me suis mis à écrire des notes, comme autrefois

et du même type… La Pythie en est restée baba »

46

. Non si chiude qui il ritorno alla

poesia, ma certo è significativa la coincidenza tra la fine della guerra e la necessità

che Valéry sente – e sottolinea – di dare preminenza a quello spazio di scrittura

laboratorio che sono i Cahiers.

Con la fine della guerra, peraltro, riprendono a pieno regime anche le attività

editoriali delle riviste che durante la guerra erano rimaste sopite.

(32)

30

Athenaeum» Valéry pubblica il saggio La crise de l’Esprit

47

. «Ormai noi civiltà

sappiamo di essere mortali»

48

ne è il celebre incipit.

Sulle rovine degli stati europei devastati dalla Grande Guerra, egli si interroga circa

le condizioni in cui versa lo spirito, ora che «possiamo dire che tutte le cose

essenziali di questo mondo siano state colpite dalla guerra»

49

.

È un saggio che stupisce per la lucidità e quasi una sorta di preveggenza con cui

descrive e analizza la profonda crisi di identità e di valori che attraversa il

continente. Certi passaggi parrebbero essere stati scritti addirittura dopo la seconda

guerra, là dove, per esempio, osserva che «le grandi virtù del popolo tedesco hanno

generato più mali (…) abbiamo visto il lavoro meticoloso, l’istruzione più solida,

la disciplina e l’applicazione più serie, adattate a progetti spaventosi»

50

.

Ma Valéry non si contenta di prendere in esame lo scenario del dopoguerra così

colpito dalla devastazione. Nell’intento di definire in cosa consista lo Spirito

europeo, egli ne individua le tre grandi radici: Roma «eterno modello della potenza

stabile e organizzata» ; il cristianesimo che «mira e raggiunge progressivamente le

profondità della coscienza (…) che bisognava rendere universale (…) propone allo

spirito i problemi più sottili, più importanti e anche più fecondi » ; la Grecia, cui

dobbiamo « la disciplina della Mente (…) un metodo del pensare che tende a riferire

ogni cosa all’uomo, all’uomo nella sua globalità (…) Da questa disciplina doveva

necessariamente nascere la scienza, la Nostra scienza (…) L’Europa è innanzitutto

la creatrice della scienza »

51

.

Ed è dunque a una ricerca di identità europea sovranazionale, che fa appello,

affinché l’Europa torni ancora a essere incarnazione delle istanze culturali più

avanzate, riscoprendo la propria matrice umanistica e scientifica a un tempo, sul

modello di Leonardo.

47 L’articolo compare sotto il titolo The spiritual crisis e sarà seguito il 2 maggio da The intellectual

crisis. Saranno poi pubblicati ne «La Nouvelle Revue Française» il primo agosto dello stesso anno,

come un unico testo dal titolo La crise de l’esprit.

48 Pare riecheggiare Il tramonto dell’occidente di Spengler, ma non sappiamo se Valéry avesse

effettivamente potuto leggerlo, dato che era uscito nell’estate del 1918 a Vienna in tedesco.

49 Paul Valéry, La crisi del pensiero in Opere scelte, cit., p. 1427. 50 Ibid., p. 1414.

(33)

31

non solo letteraria, diverrà sempre più rilevante, tanto da essere proclamato nel 1921

(34)

Riferimenti

Documenti correlati

Poste queste premesse è evidente che scopo principale della ricerca di Valéry sia la definizione dell’io stesso dell’autore, la riconquista di sé e l’armonico funzionamento

Storico del Fascismo e dei regimi totalitari del ventesimo secolo. E' componente del Consiglio direttivo dell'Istituto

L’opposizione tra libertà e leggi di natura genera il terzo conflitto delle idee trascendentali, conflitto analizzato da Kant nella Dialettica della ragion pura; l’importanza

descritta in modo universalmente determinato. Pertanto, la causazione può essere di tipo indeterministico poiché possono esistere variabili di cui non siamo

In this chapter we will present some applications and generalizations of The- orem 3.3.1. We remark that Theorem 3.3.1 is a rigidity theorem, indeed it characterizes the

tion solar plant were analysed; a compound parabolic collector (CPC) with evacuated pipe, to investigate the device for the col- lection of solar energy, and a steam expander,

Cito anche un altro lavoro del 2001 in cui ad un gruppo di persone totalmente non allenate è stato richiesto di correre un’ora al giorno all’ 80% della frequenza cardiaca

Even though the text is not a general Communication on social dialogue, it is likely to find that it contains no encouragement or positive message concerning the