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Adattamenti metabolici all'esercizio fisico: confronto tra training aerobico e pesistica

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Academic year: 2021

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1 Introduzione

Numerose evidenze scientifiche hanno dimostrato come una regolare attività fisica sia in grado di prevenire molte malattie e rallenta il naturale processo di invecchiamento.

L’uomo è fatto per muoversi, ma nel ventunesimo secolo, la tecnologia e il progresso lo rallentano, utilizziamo sempre più l’automobile negli spostamenti, passiamo ore seduti in ufficio davanti ad un computer e per finire la sera ci sdraiamo sul divano a guardare la tv, magari sorseggiando un superalcolico.

Questo stile di vita sedentario possiamo combatterlo facendo attività fisica e sport.

Capitolo 1

Benefici dell’attività fisica

Come già dimostrato da molti studi, un programma regolare di attività fisica tonifica i muscoli, combatte l'ipertensione arteriosa, diminuisce la frequenza cardiaca, migliorando il bilancio simpato-vagale, aiuta a ridurre lo stress e a controllare ansia e depressione, fa dimagrire, migliora la composizione corporea e la respirazione che trae beneficio dal miglior lavoro svolto dal diaframma, principale muscolo respiratorio. [15] [14]

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Come descritto da Jurgen Weineck (2009), l’allenamento deve esser concepito come un effetto di adattamento al carico per il miglioramento delle capacità di prestazione.

Un ruolo importante lo svolgono due fattori di adattamento:

• Specifici, riferiti a sistemi impiegati direttamente, come il sistema neuromuscolare, cardiocircolatorio ed energetico.

• Aspecifici, riferiti a meccanismi ausiliari di sostegno alle azioni principali.

Cap.1.1 le diverse tipologie di allenamento: aerobico e anaerobico.

Le metodologie di allenamento sono svariate e molteplici, ma una distinzione fondamentale è quella tra attività aerobica e anaerobica. Ciò che le differenzia è innanzitutto il tipo di energia utilizzata.

1.1.1 metabolismi energetici

La molecola base alla base di ogni movimento è l’ATP (adenosintrifosfato), immagazzinata all’interno delle cellule muscolari, ma presente solamente in piccola parte e se le richieste metaboliche aumentano l’organismo ha a disposizione altre vie per produrre energia:

1) Metabolismo anaerobico 2) Metabolismo aerobico [13]

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1.1.2 metabolismo anaerobico

Il metabolismo anaerobico rappresenta la via metabolica più veloce e dal potenziale più elevato ma la sua resa è particolarmente ridotta.

Questa produzione energetica può essere:

• Alattacida, si sviluppa senza la formazione di lattato e garantisce energia per i primi 8-10secondi di lavoro, si produce come conseguenza di lavoro massimale e di brevissima durata. In esso la creatintrifosfato (CP) rifosforila l’adenosindifosfato (ADP) in ATP in adenosintrifosfato in assenza di ossigeno e senza formazione di acido lattico. La CP permette alla contrazione muscolare di continuare quando è esaurito il primo ATP, dato che il suo contenuto è di 4-6 volte superiore a quello dell’ATP già presente nel muscolo.

Tenendo conto del ridotto contenuto di ATP e CP nel muscolo, attingendo a questo sistema di ATP e CP nel muscolo, attingendo a questo sistema, l’energia prodotta è molto potente ma disponibile per un breve periodo. • Lattacida, prevede la degradazione di glicogeno in glucosio. Questo tipo di trasformazione di energia avviene nel sarcoplasma della fibre e rappresenta il processo elettivo di trasformazione di tutti quei carichi intensivi, nei quali il rifornimento di ossigeno risulta insufficiente. La massima espressione di produzione energetica avviene tra i 20-30 secondi dall’inizio dell’attività. Questo tipo di sistema ha come substrato

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energetico i carboidrati che tramite la loro completa degradazione, forniscono energia all’organismo. La prima fase del catabolismo glucidico prende il nome di glicolisi e porta alla sintesi di due nuove molecole di ATP. La via glicolitica può realizzarsi anche in condizione anaerobiche, in questa fase il glucosio porta alla sintesi di due molecole di ATP generando come prodotti due molecole di piruvato. La completa ossidazione del piruvato avviene solo in condizione aerobiche. [13]

1.1.3 il metabolismo aerobico

Il terzo sistema energetico è quello aerobico, caratterizzato da un’ampia necessità di ossigeno per ridurre i nutrienti al fine di ricavarne ATP. Avviene la beta-ossidazione che permette di degradare gli acidi grassi, con completa ossidazione del piruvato. La reazione coinvolge altre due fasi essenziali del metabolismo energetico: il ciclo di krebs e la fosforilazione ossidativa. Complessivamente la totale ossidazione del glucosio porta alla sintesi di 36 molecole di ATP. L’ossidazione dei diversi substrati avviene attraverso vie metaboliche diverse, compartimentate in differenti distretti cellulari: mentre la glicolisi avviene a livello citosolico, il ciclo di krebs avviene all’interno del mitocondrio. la completa ossidazione del glucosio in condizione aerobica permette di ottenere 38 ATP, contro le 2 della glicolisi.

Il metabolismo in condizioni aerobiche è molto più redditizio di quello anaerobico [13].

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Fig. 1.1.3.1 Schema dei vari processi metabolici

Cap. 2 allenamento aerobico: caratteristiche e meccanismi fisiologici

Nel mondo del fitness vengono comunemente chiamate “discipline aerobiche” quelle discipline che prevedono un impiego muscolare e dell’apparato cardiocircolatorio a medio bassa intensità con durata superiore ai 10 minuti e che non superino la soglia anaerobica, ovvero il range in cui il superamento del 70% del VO2max avviene un cambio del metabolismo energetico utilizzato.

Le più comuni attività di tipo aerobico conosciute sono: • Ciclismo

• Podismo

• Nuoto (in questo caso è doveroso specificare come il nuoto è uno sport che presenta sia una componente aerobica che anaerobica).

Adattamenti cardiovascolari all’esercizio fisico

l’esercizio fisico induce adattamenti dell’apparto cardiocircolatorio, per supportare meglio il mantenimento dell’attività svolta.

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Passando da uno stato di riposo ad uno di veglia, il primo adattamento sarà inerente alla gittata cardiaca, alla frequenza e al volume sistolico. Questo avviene perché aumenta la richiesta di ossigeno e di nutrienti da parte dei muscoli e organi.

Un altro adattamento è inerente alla disponibilità ematica dei vasi, infatti come sappiamo, in circolo abbiamo solamente il 70% del sangue totale, la restante parte risulta essere ferma in serbatoi come le vene sistemiche e polmonari, fegato milza e laghi venosi nella pianta del piante.

Questo aumento di sangue circolante è dovuto a tre fattori: [16] • Venocostrizione

• Splenocostrizione; contrazione della capsula che avvolge la milza. Ce ne accorgiamo dal classico dolore sul fianco sinistro dell’addome;

• Mobilizzazione del sangue venoso nei laghi venosi dei piedi, esclusivamente durante sforzi di lunga durata [12].

Un’attività di tipo cardiovascolare è consigliata ad atleti ma anche a soggetti con problematiche cardiache, perché questa, genera adattamenti fisiologici e funzionali a livello del cuore e dei vasi sanguigni periferici. Questi adattamenti sono:

• Aumento del volume della cavità cardiaca, con conseguente aumento

della gittata sistolica;

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Le dimensioni interne delle cavità cardiache e lo spessore delle pareti dipendono dalla taglia corporea del soggetto e dallo sport praticato. Per quanto riguarda la riduzione della frequenza cardiaca dipende da una riduzione del tono nervoso cardiaco simpatico, con aumentata prevalenza del tono vagale [18-19].

Durata, intensità e frequenza sono tre parametri fondamentali.

2.1 I benefici prodotti dall’allenamento aerobico

L’esercizio aerobico è un’attività fisica che richiede uno sforzo moderato per un periodo di tempo prolungato. Ne fanno parte, per esempio, la marcia, la corsa di resistenza, il nuoto, andare in bicicletta e attività simili eseguite senza scatti, oppure gli esercizi ginnici che si eseguono in palestra senza affanno.

I substrati energetici utilizzati nel lavoro di tipo aerobico sono due: glicogeno, prelevato dai muscoli di zuccheri, soltanto inizialmente, poi per sostenere lo sforzo utilizza le riserve di grassi. L’esercizio aerobico come nuoto o corsa induce una cardio protezione contro ischemia miocardica e scompenso cardiaco [1]. In questo modo si favorisce l’aumento del colesterolo HDL, quello considerato buono perché trasporta il colesterolo dai tessuti verso il fegato, promuovendone l’eliminazione. L’allenamento aerobico determina un aumento della mioglobina nella cellula muscolare,

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aumento dell’ossidazione dei carboidrati (grazie ad una mitocondrio-genesi),l’incremento dell’ossidazione degli Acidi Grassi (FFA) ed ipertrofia

delle fibre rosse.

Ulteriori modifiche sono a livello del diametro e densità dei miofilamenti di actina e miosina, che subiscono un incremento. Una regolare attività fisica aerobica garantisce un aumento della capacità di estrazione di ossigeno legato all’emoglobina e rilasciato alle cellule muscolari, ed un aumento volume plasmatico del sangue.

In aggiunta è in grado di ridurre i fenomeni di vasocostrizione dovuti al sistema renina angiotensina aldosterone (RAA), ed indurre angiogenesi [2].

Andiamo a valutare le due tipologia di allenamento singolarmente: Per ottenere dei benefici a livello cardiovascolare è necessario praticare almeno 120 minuti di esercizio di tipo aerobico alla settimana. Più in generale, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) consiglia di proteggere la salute garantendosi ogni settimana almeno 150 minuti di attività fisica aerobica di intensità moderata [3-7].

L’attività costante tonifica i muscoli in generale e, aumentando le richieste di ossigeno, rafforza il muscolo cardiaco e i muscoli della respirazione, portando a una migliore circolazione sanguigna e a una riduzione della pressione arteriosa.

Se praticato con costanza, l’esercizio aerobico può determinare una perdita di peso dovuta al consumo delle riserve di grassi; il controllo del

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peso corporeo è un elemento molto importante nella prevenzione delle malattie cardiache, ipertensione, diabete e lo stress ossidativo.

In aggiunta studi hanno evidenziato come sia in grado di migliora l’umore e combattere la depressione [9].

I benefici dell’attività aerobica a livello cardiaco:

Uno dei primi effetti di un allenamento come la corsa, è la riduzione della frequenza cardiaca (bradicardia), si basa su un cambiamento del sistema neurovegetativo, che porta il bilancio a favore del sistema vagale.

Alcuni studi (Strauzenberg, 1978) hanno evidenziato come già dopo alcune settimane di allenamento i livelli di adrenalina, sono inferiori del 30% a riposo mentre i livelli di acetilcolina sono superiori di circa un terzo, con una diminuzione notevole della sensibilità cardiaca verso stimoli adrenergici che fanno aumentare la frequenza cardiaca [15].

Una inibizione del sistema simpatico diminuisce il consumo di ossigeno, migliorando la funzionalità cardiaca; è importante avere una bassa frequenza cardiaca per aver un minor rischio di incorrere in patologie cardiache.

Le modificazioni non sono solamente di carattere neurovegetativo; infatti dopo un periodo di allenamento il cuore va incontro anche a trasformazioni morfologiche, ipertrofia miocardica, soprattutto ipertrofia del setto interventricolare e dell’apice del ventricolo sinistro, conseguentemente si ha un rimodellamento delle cavità

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ventricolari per cui si produce un incremento della gittata sistolica e un aumento della portata cardiaca possibile durante il carico.

Un’elevata gittata sistolica ha il vantaggio di trasportare maggior quantità di sangue e quindi di ossigeno, ciò rende possibile un lavoro cardiaco più economico. (Una diminuzione della Fc di 10bpm produce un risparmio energetico del 15%, Strauzenberg,1976).

La FC diminuisce in quanto la miglior utilizzazione di ossigeno e substrati energetici, dovuta ad una miglior capillarizzazione, fa sì che basti una minor quantità di sangue a garantire il corretto approvvigionamento delle cellule cardiache.

Chiaramente i miglioramenti indotti a livello cardiovascolare, si riflettono spesso con degli effetti positivi sulla condizione di ipertensione.

Infatti la diminuzione di secrezione di catecolamine, porta ad una crescente diminuzione della Pressione Arteriosa (PA) che rappresenta la diminuzione di un fattore di rischio di patologie cardiovascolari e un minor carico per il miocardio [8].

Gli aggiustamenti cardiocircolatori all’esercizio fisico possono essere distinti in:

Periferici: riguardano la ridistribuzione del flusso sanguigno a livello degli organi

Centrali: si verificano a livello del cuore e della circolazione polmonare per far fronte alle maggiori richieste di ossigeno e prodotti energetici.

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11 Obesità e lavoro aerobico

Premesso che l’obesità è per l’80% un fattore genetico e solo successivamente è un aspetto che colpisce la sfera alimentare, bisogna dire che i soggetti obesi, sono anche soggetti sedentari [15].

Il meccanismo di riduzione del peso (prevenzione secondaria) risiede in una stimolazione del metabolismo e in adattamenti morfo-biologici che “frenano” l’instaurarsi di tessuto adiposo.

In un soggetto allenato migliora la distribuzione di energia assorbita tra le varie riserve che il corpo umano possiede e gli organi e appartai atti al loro consumo.

L’allenamento oltre alla demolizione di trigliceridi concorre anche a inibirne la sintesi, provocando una notevole diminuzione di quantità di cellule adipose (Israel 1978) [15].

Ciò è possibile anche perché dopo una sessione di allenamento l’appetito è minore per diverse ore, addirittura in alcuni studi (Stevenson, Israel 1978) sono state riscontrate sostanza Anoressigene, inibenti l’appetito, in forma di glicopeptidi.

La riduzione del peso apporta benefici sia sulla PA sia per quanto riguarda la prevenzione di alterazioni cardiache e metaboliche.

Se si vuole svolgere un allenamento atto alla perdita di peso, si deve puntare su un volume elevato e bassa intensità. Infatti se l’intensità è

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bassa verranno metabolizzati soprattutto i grassi, mentre se l’intensità è alta verranno metabolizzati i carboidrati.

Una riduzione del peso, avrà effetti benefici non solo sulla PA, ma anche sulla prevenzione di gravi alterazioni cardio metaboliche.

Le cellule adipose hanno un elevato metabolismo del glucosio e debbono essere rifornite molto bene di sangue, ciò provoca uno sforzo eccessivo da parte del cuore, che nelle persone in sovrappeso e tendenzialmente sedentarie è di dimensioni minori e meno efficiente. A lungo termine ciò può indurre un’insufficienza cardiaca.

L’aterosclerosi

La genesi dell’aterosclerosi è il risultato di un accumulo di determinate β lipoproteine (VLDL-LDL) nelle pareti interne dell’arteria.

Allenandoci costantemente a livello aerobico, ma non solo, si possono ridurre i valori di lipidi ematici e si incrementano i valori di α lipoproteine (HDL) che rappresenta un fattore protettivo dall’aterosclerosi.

Il diabete mellito

L’effetto di risparmio insulinico prodotto dalle attività fisiche è noto da lungo tempo, già nel 1963 Buhr dimostrò che una permanenza a letto di tre mesi rallentava notevolmente l’assimilazione di glucosio. Successivamente Constman nel 1975 dimostrò che l’attività fisica aumenta l’assorbimento del glucosio nelle cellule e che l’allenamento accresce la sensibilità dei tessuti all’insulina, riducendone il fabbisogno.

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Possiamo riassumere dicendo che un allenamento di resistenza agisce preventivamente o a sostegno della terapia per i diabetici[15].

Cap. 2.1 I benefici prodotti dall’allenamento di pesistica

Cap.2.2.1 L’allenamento della forza

Sono meno, invece, gli studi in merito ai cambiamenti che induce l’allenamento di pesistica a livello cardiaco, mentre invece è noto che un allenamento di potenza, può aumentare ipertrofia e iperplasia muscolare e accresce la forza (Phillips, 2005)[15]. L’allenamento della forza è caratterizzato da sforzi intensi ma di breve durata come per esempio gli scatti, la corsa veloce, i salti, il sollevamento pesi, attività durante le quali il fisico viene portato vicino al limite della propria forza o della velocità.

Questo tipo di esercizio ha bisogno di momenti di riposo prima di essere ripetuto. Durante le esercitazioni di pesistica abbiamo bisogno di una grande quantità di energia e di ossigeno nelle prime fasi dell'esercizio quindi il nostro organismo è costretto ad attingere a tutte le riserve di zuccheri oltre a quelle dei muscoli anche a quelle del fegato. Nonostante questo, le energie si consumano rapidamente e l’organismo ha presto bisogno di riposo, mentre il lavoro intenso dei muscoli fa aumentare la concentrazione di acido lattico.

In merito ai tipi di forza sono state fatte numerose classificazioni, la più tradizionale delle quali distingue:

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1. la forza massima (il più alto grado di forza esprimibile attraverso una contrazione muscolare volontaria);

2. la forza rapida o veloce (capacità di vincere delle resistenze attraverso una elevata rapidità di contrazione muscolare);

3. la forza resistente (capacità di ripetere più volte, nel tempo, tensioni relativamente elevate)

Substrati energetici utilizzati

Metabolismo anaerobico come fonte di ATP;

AUMENTA LA PAS per aumento delle resistenze periferiche;

sovraccarico cardiaco di pressione;

Bonus/malus dell’allenamento di forza

Negli ultimi anni si è assistito a un sostanziale aumento dell'interesse dei ricercatori per questo tipo di lavoro, si è dimostrato efficace quanto l'esercizio aerobico nel ridurre il rischio di patologie cardiovascolari, diabete e altre malattie croniche. Inoltre, l'allenamento della forza promuove il guadagno o il mantenimento della massa muscolare, ossia comporta l’aumento del numero di fibre muscolari o all’incremento della loro grandezza accrescendone anche la potenza, riducendo la perdita di muscolo e la conseguente perdita di capacità funzionali che si riscontra nei soggetti con sarcopenia senile.

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La pesistica, intesa come allenamento contro-resistenza, tale pratica è indicata per aumentare la potenza della parte del corpo sottoposta a sforzo, rafforza i tendini, i legamenti, le ossa e le articolazioni aumentandone il range di movimento. Questo tipo di esercizio riduce il rischio di subire lesioni dovute a debolezza muscolare [16].

I parametri che dobbiamo tenere in considerazione nello strutturare un allenamento di pesistica, in questo caso di forza, sono fondamentalmente 5:

• SVILUPPO DELLA MOBILITA' ARTICOLARE:

molti esercizi per il potenziamento muscolare sono esercizi poliarticolari nei quali è fondamentale avere un ottimo Range of Motion (ROM) articolare. La buona flessibilità ed elasticità degli arti previene infortuni come distorsioni, slogature, o lassazioni, nonché fastidiosi dolori alle giunture. Tutti gli atleti, specialmente se principianti, dovrebbero prestare attenzione alla flessibilità inserendo un buon programma di allungamento globale decompensato.

Nel CrossFit cosi come nell'allenamento olimpico del Weightlifting vi sono sessioni dedicate appositamente all’allungamento miofasciale per migliorare, ad esempio nei movimenti di slancio, strappo, front squat, push press e clean.

• Rafforzamento dei tendini:

i tendini e legamenti hanno una ridotta capacità di allungarsi quindi l’utilizzo di carichi troppo elevati o movimenti scorretti possono provocare

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infortuni anche gravi. È necessario perciò adattare il carico di lavoro. L'allenamento, provoca un aumento del diametro degli stessi elevandone la capacità di resistenza alla tensione e allo strappo.

• Sviluppo della forza del tronco:

Un tronco poco sviluppato costituisce un supporto debole per arti superiori e inferiori a sforzi intensi. Un programma di allenamento studiato per aumentare la forza dovrebbe quindi innanzitutto coinvolgere i muscoli del tronco, e solo in seguito dedicarsi a gambe e braccia. I muscoli del tronco stabilizzano il corpo, rappresentando il collegamento tra gambe e braccia. Muscoli del tronco deboli non sono in grado di svolgere questo ruolo essenziale, limitando così la capacità di prestazione di un atleta.

• Sviluppo degli stabilizzatori:

Muscoli primari lavorano con maggiore efficacia se coadiuvati da forti muscoli stabilizzatori (un esempio ne è la cuffia dei rotatori, che agisce da stabilizzante attiva per l’articolazione scapolo-omerale, il trasverso dell’addome i muscoli paravertebrali e il quadrato dei lombi che stabilizzano la gabbia toracica, la colonna vertebrale e la cintura addominale.

• Allenare i movimenti e non i muscoli singoli:

Nell’allenamento della forza bisogna pensare ad aumentare i carichi dell’esercizio principale quindi migliorare il movimento e non pensare al

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singolo muscolo perché è sempre la sinergia di vari muscoli che faranno compiere il gesto tecnico.

Molti di questi muscoli sembrano essere composti in gran parte da fibre a contrazione lenta che, poiché devono fare da supporto a braccia e gambe, si contraggono costantemente ma non sempre in modo dinamico, creando così un solido supporto per l’attività di altri gruppi muscolari.

Molte persone, pur accusando problemi nella parte bassa del dorso, fanno poco per correggerli. Per evitare l’insorgere di questi problemi è di fondamentale importanza uno sviluppo appropriato dei muscoli del dorso e dei muscoli addominali.

I benefici dell’allenamento della forza:

Allenare la forza è molto importante per sportivi e non, in quanto allenare la forza rende maggiore il controllo che abbiamo del corpo, e diminuisce la sensazione di sforzo nelle attività più comuni. Seguendo i criteri dell’allenamento forniti dall’American college of sport medicine(ACSM) i risultati non tarderanno ad arrivare. [18]

I vantaggi che si instaurano nello sviluppare una maggior forza saranno sia a livello di guadagno o aumento della massa muscolare, riducendo la perdita di massa muscolare stessa soprattutto in soggetti affetti da sarcopenia senile.

Oltre all’aspetto “patologico” è molto importante l’allenamento della forza, per migliorare le prestazioni di atleti, amatoriali e agonisti e prevenire il rischio di infortuni.

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I Miglioramenti si vedono molto nelle attività quotidiane, e nella prevenzione da cadute soprattutto in soggetti in età avanzata.

Uno studio, della Brigham Young University, fatto su soggetti affetti da osteoartrite del ginocchio ha dimostrato che i soggetti che hanno svolto un allenamento di rafforzamento muscolare dopo 12 settimane avvertivano meno dolori, miglior efficienza di movimenti e miglior velocità di cammino rispetto a chi aveva svolto solamente lavoro aerobico e rispetto al gruppo di controllo.

Possiamo quindi parlare di miglioramento di qualità della vita.

Il lavoro muscolare di forza induce un miglioramento più efficace e più rapido del metabolismo anche del 15% conseguentemente, aumenta la spesa energetica e quindi la perdita di massa grassa.

Diminuisce il rischio di andare incontro a fenomeni di insulino resistenza quindi a diabete mellito, in quanto con un training di forza migliora l’utilizzazione dei substrati energetici, tra cui quello del glucosio.

Diminuisce il rischio di patologie cardiovascolari, obesità e aterosclerosi. Ciò è possibile perché riducendo il tessuto adiposo diminuisce il rischio di accumulare placche ateromasiche all’interno del lume vasale.

Uno dei rischi che si corre nel fare un lavoro di forza è quello di incorrere in una IPERTROFIA CONCENTRICA: notevole ipertrofia (aumento dello spessore di parete) senza dilatazione delle camere atrio-ventricolari.

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Altro” effetto collaterale” è l’aumento della massa muscolare, non è possibile aumentare il livello di forza senza che vi sia un incremento della sezione trasversa del muscolo.

Questo può diventare una controindicazione in quegli atleti che praticano uno sport che varia in base alla categoria di peso, come ad esempio il pugilato.

Un altro aspetto molto importante è la rilevanza dei carichi di allenamento, più il livello dell’atleta in questione è elevato, più i carichi di allenamento saranno importanti, con conseguente aumento dei danni a carico articolari.

Cap 2.3 Variabili dell’aumento della forza

Una fondamentale distinzione va fatta tra soggetti maschi e soggetti femmine.

Sino ai 12 anni di età non vi sono sostanziali differenze, con lo sviluppo maschile aumenta la produzione di testosterone, ormone sessuale maschile, che ha effetto anabolizzante, infatti la sezione trasversa della donna è circa il 75% rispetto a quella dell’uomo ed inoltre anche al percentuale di tessuto adiposo è doppia rispetto all’uomo.

L’aumento della forza massimale dipende principalmente da tre fattori:

• La sezione trasversa del muscolo • Coordinazione intramuscolare • Coordinazione intermuscolare

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La sezione trasversa del muscolo corrisponde alla grandezza dello stesso e alla sua “massa”

La coordinazione intramuscolare permette di migliorare la forza senza che via sia un notevole aumento della sezione trasversa, ad esempio questa caratteristica si riscontra in impegni di breve durata nei saltatori, la cui forza dipende molto dalla coordinazione all’interno del muscolo stesso.

La coordinazione intermuscolare è la capacità di coordinare il lavoro e l’impiego di diversi muscoli nel gestire un determinato tipo di gesto tecnico.

Va specificato che la coordinazione intermuscolare avrà un leggero peggioramento al termine della sessione training dovuto all’aumento del tono muscolare.

Cap.3 Stress ossidativo

Lo stress ossidativo è una condizione patologica causata dall’eccessiva produzione di radicali liberi da parte dell’organismo nonché dalla rottura dell'equilibrio fisiologico dell’organismo stesso.

Si definisce radicale una specie chimica molto reattiva con vita media molto breve, costituita da un atomo o molecola formata da più atomi che presenta un elettrone spaiato, tale elettrone rende il radicale una particella reattiva [19].

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Tutte le forme di vita mantengono un ambiente riducente entro le proprie cellule; l'ambiente cellulare redox è preservato da enzimi che mantengono lo stato ridotto attraverso un costante input di energia metabolica. Eventuali disturbi in questo normale stato redox possono avere effetti tossici per la produzione di perossidi e radicali liberi che danneggiano tutti i componenti della cellula, incluse proteine, lipidi e DNA. Le specie ossidanti e i radicali liberi svolgono importantissimi ruoli fisiologici, quali la difesa nei confronti dei batteri, la trasmissione dei segnali biochimici fra le cellule, il controllo

della pressione arteriosa ecc.

Lo stress ossidativo ha un ruolo centrale nella sindrome metabolica e nelle patologie ad essa correlate, come la dislipidemia, l’aterosclerosi, il diabete mellito etc [17].

Già la semplice respirazione determina la produzione di radicali liberi che aumentano con l’aumentare del consumo di ossigeno (principi metodologia fitness). L’ esercizio fisico, e ciò vale soprattutto per l’attività fisica vigorosa, provoca sempre, in misura variabile, un certo grado di stress, meccanico e metabolico, sul corpo umano. Ciò conduce a due risultati: infiammazione e stress ossidativo (Pyne DB)[36]. La richiesta energetica necessaria per l’espletamento di attività fisica di un certo livello incrementa il consumo di ossigeno a livello tissutale (Morillas-Ruiz J et al). Vi sono evidenze che il consumo di ossigeno subisca incrementi pari a 10-20 volte rispetto al basale a livello sistemico (Anstrad PO et al)[37], e 100-200 volte a livello del muscolo scheletrico (Halliwell B et

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al)[38]. L’ incremento del consumo di ossigeno conduce alla generazione di picchi nel flusso elettronico mitocondriale, il che porterà inevitabilmente ad una maggiore dispersione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) nel mitocondrio, incrementando in ultima analisi la produzione di radicali liberi (Halliwell B et al). Altre potenziali cause di un aumento della produzione dei ROS sono una alterazione dell’omeostasi degli ioni calcio, un danno a carico delle proteine contenenti ferro, nonché la produzione di Xantina Ossidasi (la quale, prodotta in caso di stress ossidativo e fenomeni di ischemia-riperfusione, oltre a produrre acido urico genera anche radicali superossido) e di Nicotinamide Adenin Dinucleotide Fosfato (NADPH) Ossidasi.

In condizioni di normalità, e soprattutto di riposo, la quantità di specie reattive dell’ossigeno (ROS) prodotte è proporzionale alla capacità antiossidante, ma un aumento nella produzione di ROS causerà un disequilibrio nel bilanciamento ossidanti-antiossidanti (McRae et al). L’aumento della produzione di ROS incrementerà l’attività del sistema difensivo antiossidante, ma al contempo causerà anche una riduzione delle riserve antiossidanti, e ciò porterà ad una maggiore suscettibilità dei tessuti nei confronti dello stress ossidativo (Li Li J) [11,20].

Lo stress ossidativo può essere quindi definito come la condizione in cui il bilancio esistente tra la produzione di radicali liberi e la loro disattivazione attraverso il sistema di difesa anti-ossidante viene ad

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inclinarsi in favore della espressione dei radicali liberi (Fisher-Wellman et al; Ahmadvand et al)[21,22].

I ROS sono la principale sorgente dello stress ossidativo, e giocano un ruolo fondamentale nella genesi e nella progressione del danno tissutale in seguito all’ esercizio fisico (Bloomer et al). Una energica e vigorosa attività fisica incrementa la produzione di radicali liberi, il che conduce ad un aumento della perossidazione lipidica attraverso l’attacco degli acidi grassi polinsaturi. L’ ossidazione lipidica produce prodotti come la malondialdeide (MDA), che è un indicatore dell’ossidazione stessa. I radicali liberi dell’ossigeno sono inoltre causa di danno ossidativo a carico delle proteine e del DNA (Radar Z et al). Ciò è il motivo per cui un eccesso di attività fisica non è per forza di cose benefico, bensì talvolta dannoso (Kantor et al; Bloomer et al) [27].

Lo stress ossidativo è coinvolto nella genesi e nella progressione di numerose patologie tra cui ipertensione, aterosclerosi, diabete, osteoporosi, cancro e demenza (Sakamoto R, et al), oltre ad essere noto per causare ed accelerare i processi di invecchiamento (Finkel et al) [26]. Tra tutti i processi sopra descritti, il danno a livello del DNA è quello più pericoloso per la salute a causa del suo ruolo nella patogenesi in buona parte dei processi patologici menzionati. I ROS, con particolare riferimento al radicale ossidrile OH•, possono causare cambiamenti a carico delle basi azotate, rottura dei filamenti del DNA, lesioni o down-regulation a carico di geni tumor-suppressor, ed amplificata espressione di proto-oncogeni (proteine che regolano il ciclo cellulare e la

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differenziazione, molte delle quali modulate da mTOR (mammalian Target of Rampamicin)) (De Bont R et al) [25].

Vi è un ampio consenso (sulla base dei risultati dei lavori scientifici pubblicati nelle ultime tre decadi) rispetto al dato che una singola sessione di attività fisica induca stress ossidativo (Nikolaidis MG et al; Powers SK et al; Radak Z w et al)[39, 40], ed è anche dimostrato che i radicali liberi prodotti durante l’ esercizio sono importanti modulatori degli adattamenti che avvengono a livello muscolare e sistemico, in risposta all’ attività fisica (Fittipaldi S et al; Gliemann L et al; Powers SK et al) [24].

Infatti, se da un lato l’esercizio fisico è un importante fattore in grado di influenzare lo stress ossidativo e il danno ossidativo a carico del DNA mediante un brusco incremento nel consumo di ossigeno, tuttavia l’effetto del danno ossidativo esercizio-indotto è variabile, dipendendo da molteplici fattori quali: tipo di esercizio, modalità di esecuzione, durata ed intensità (Bloomer RJ).[23] Per esempio, una prestazione motoria isolata ad intensità medio-alta induce un elevato stress ossidativo e significative lesioni a carico del DNA, mentre un esercizio fisico eseguito regolarmente a moderata intensità è in grado di esplicare una inibizione sullo stress ossidativo e danni correlati (Radak Z ed al). L’oxidation-reduction status (redox) è dunque caratterizzato da risposte ormetiche, termine utilizzato per indicare quei sistemi biologici che mostrano risposte opposte a seconda del grado di stimolazione; così siamo in grado

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di dire con certezza che la generazione di specie reattive dell’ ossigeno a livelli medio-bassi indotta da una attività fisica moderata effettuata con regolarità ha sicuramente effetti benefici, poiché è in grado di ottenere una up-regulation degli enzimi chiave anti-ossidanti (Gomez Cabrera MC, et al)[30].

Un lavoro scientifico pubblicato nel 2003 sembra aver dimostrato che l’attività aerobica ad alta intensità (75% VO2max) “eccessivamente protratta” incrementa la concentrazione di 8-idrossi-2-deossiguanosina (8-OHdG – un marker del danno al DNA), mentre nell’ esercizio fisico moderato eseguito con regolarità, nell’ uomo e nelle specie animali, si ha una up-regulation dell’ attività della 9-oxoguanina DNA glicosilasi (OGG1), un enzima cruciale nella riparazione del DNA alterato e nel ripristino della corretta sequenza nucleotidica (Goto C et al; Nakamoto H et al). [42]

Il sistema antiossidante nel corpo umano include una componente enzimatica (per esempio, la Manganese Superossido Dismutasi – MnSOD, che protegge la cellula dalla tossicità dell’anione superossido che è uno nei maggiori ossidanti cellulari; Glutatione Perossidasi – GPx, che ha una alta preferenza per i perossidi lipidici, etc.), e una componente non enzimatica (per esempio il Glutatione, un tripeptide con potentissima attività antiossidante). Un esempio di questi processi lo troviamo quando incorriamo nel rischio di Over-training, cosa molto comune nei maratoneti. Ciò è possibile perché uno sforzo come la maratona sottopone il cuore ad uno stress elevato.

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In accordo ad uno studio presentato al Canadian Cardiovascular Congress nel 2010 a Montreal, l’esercizio fisico regolare riduce il rischio cardiovascolare di un fattore pari a 2-3 volte. Ma, di converso, un esercizio strenuo ed esteso nel tempo come quello legato ad una maratona aumenta il rischio cardiaco di ben 7 volte! La corsa effettuata su distanze eccessivamente lunghe conduce ad elevati livelli di infiammazione in grado di provocare danni al muscolo cardiaco a distanza di tempo dal termine dell’attività sportiva (Siegel AJ). In un lavoro pubblicato nel Journal of Applied Physiology gli Autori (Wilson M et al) hanno reclutato un gruppo di corridori con età media pari a 56 anni, tutti membri del 100 Marathon Club, il che vuol dire che tutti avevano portato a termine almeno 100 maratone (se correre a lungo porta veramente dei benefici significativi, allora quello era il campione perfetto da analizzare!). Cosa trovarono? La metà dei soggetti esaminati mostrava un certo grado di fibrosi miocardica, il cui livello correlava significativamente con la durata e l’intensità dell’allenamento. Un altro lavoro pubblicato su Circulation nel 2011 (Begona Benito MD et al)[41 ] proponeva un modello animale disegnato per riprodurre sui topi il vigoroso carico giornaliero cui si sottopongono i maratoneti; lo studio ha dimostrato che, mentre tutti i topi all’inizio dello studio avevano un cuore perfettamente sano, al termine della sperimentazione la maggior parte di essi aveva sviluppato diffusa fibrosi miocardica e alterazioni strutturali del muscolo cardiaco del tutto paragonabili a quella degli atleti che effettuano sport di elevata resistenza. Ancora, un altro lavoro scientifico

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ha dimostrato che gli atleti che effettuano allenamenti di resistenza a lungo termine presentano una riduzione della funzionalità del ventricolo destro al termine della gara (Andre La Gerche et al), con incremento dei livelli ematici degli enzimi cardiaci (che sono un marcatore di danno miocardico) e, il 12% degli atleti presentava, a distanza di una settimana dalla gara, segni di tessuto cicatriziale nel miocardio[43].

Dunque, è verosimile che un eccesso di carico durante l’allenamento possa essere più pericoloso che vantaggioso? Queste considerazioni si adattano solo alla corsa, o a tutti gli sport? Quali sono gli sport più a rischio?

Forse la risposta più giusta sarebbe “qualunque sport che provochi un danno ossidativo significativo”! Il problema in questa risposta però è che così, in teoria, ogni tipo di attività motoria è in grado di creare un danno ossidativo. Se andiamo a vedere le evidenze pubblicate, per esempio, possiamo dire con certezza che:

il sollevamento pesi (Zembron-Lacny et al; Paschalis V et al; Deminice R et al),[56].

la corsa (Nikolaidis MG et al; Tsai K et al; Child RB et al; Liu ML et al),[40] Il nuoto (Deminice R et al),[55]

le arti marziali (Pesic S et al; Pesic S et al)[54]. il calcio (Fatouros IG et al; Ascensão A et al)[53]. il tennis (Shippinger G et al)[52].

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la pallavolo (Martinovic et al; Martinovic et al)[50] l arrampicata su roccia indoor (Magalhães et al),[49] la pallamano (Marin DP et al)[48]

il motocross (Ascensão et al)[47]

il canottaggio (Kyparos A et al; Kyparos A et al)[46]

sono tutti associati in qualche misura a stress ossidativo. Nel 2005 Vollaard NB ha affermato che lo stress ossidativo si associa sempre alla fatica. Per cui, ogni workout in grado di generare fatica è in grado di causare un certo livello di stress ossidativo.

In verità, quando per la prima volta si iniziò a parlare di radicali liberi, fu facile incolparli di invecchiamento precoce e di patologie varie. Sono passati un po’ di anni da quando Harman D, nel 1956, pubblicò il suo lavoro su stress ossidativo e invecchiamento precoce. Ma, contrariamente a quanto credevano i ricercatori negli anni ’50, oggi sappiamo che lo stress ossidativo, in piccole quantità è in realtà benefico. Nuove ricerche hanno dimostrato che lo stress ossidativo spinge le cellule a diventare sempre più forti, incrementando la produzione di antiossidanti (Radak et al). In altre parole, il corpo attraverso lo stress ossidativo si indebolisce leggermente, per diventare più resistente nel workout successivo (Majerczak J et al; Knez WL et al; Morton JP et al; Nikolaidis MG et al). Le evidenze attuali concordano che una moderata quantità di esercizio sia in grado di produrre una “quota salutare di stress ossidativo”, tale da poter essere così considerata allo stesso modo di un

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antiossidante (Gomez-Cabrera MC et al)[30]. In aggiunta alcuni studi a lungo termine, in opposto a studi a breve termine, sembrano supportare l’ipotesi che un training ad alta intensità possa incrementare i livelli sistemici di antiossidanti in grado di fronteggiare un eventuale danno ossidativo (Wagner KH et al; Knez WL et al; Knez WL et al; Vollaard NB et al)[45]. Secondo Karl-Heinz Wagner, in una review pubblicata nel 2011, “durante l’esercizio fisico la formazione di radicali liberi dell’ossigeno è in grado di stimolare meccanismi adattivi che conducono alla riduzione del danno ossidativo”. Cito anche un altro lavoro del 2001 in cui ad un gruppo di persone totalmente non allenate è stato richiesto di correre un’ora al giorno all’ 80% della frequenza cardiaca massima teorica, cinque volte a settimana (quel che gli anglosassoni definiscono “chronic cardio”); le valutazioni all’inizio dello studio evidenziarono un incremento significativo della perossidazione lipidica e dello stress ossidativo, ma dopo 12 settimane i soggetti partecipanti mostrarono un grado ridotto di perossidazione lipidica e un livello di antiossidanti significativamente più alto rispetto al dato iniziale (Miyazaki H et al). Più studi hanno dimostrato che nelle settimane successive ad un triathlon effettuato nella distanza più lunga (Ironman), negli atleti era possibile rilevare un ampio declino del danno ossidativo a carico del DNA; i ricercatori sostengono che ciò sia dovuto ad una up-regulation dei meccanismi riparativi e dei sistemi antiossidanti endogeni (Reichhold S et al; Reichhold et al; Wagner KH et al; Reichhold S et al)[44].

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Dunque possiamo dire che l’allenamento incrementa l’abilità sistemica di prevenire e riparare un danno a carico del DNA, mediante un incremento dei meccanismi di difesa anti-ossidanti. Molti Autori hanno suggerito che esista un “livello ottimale” di esercizio, al di sopra del quale un training eccessivo sopravanza quelli che sono i benefici portati da questa quota ottimale di attività fisica. Il problema è che questa “quota ottimale di attività motoria” è variabile da individuo a individuo. Per fare un esempio, a parità di età, velocità e km percorsi, una cosa è lo stress ossidativo (quantità di radicali liberi dell’ossigeno prodotti) in un atleta di Triathlon, una cosa è lo stress ossidativo in un soggetto la cui unica attività negli ultimi 10 anni è stata la Playstation. Dunque il carico ossidativo non sarebbe dovuto esclusivamente a quanto ci alleniamo, ma a quanto lo facciamo in rapporto alle nostre capacità. Secondo Moflehi D et al (2012) [31], in soggetti non allenati un qualunque livello di attività fisica, persino leggero, è in grado di indurre una produzione di radicali liberi. Al contrario, atleti molto allenati hanno livelli di antiossidanti significativamente più alti rispetto a soggetti mediamente allenati e a soggetti sani non allenati. Ad esempio, i ciclisti agonisti, in uno studio condotto da Mena P. et al, hanno dimostrato livelli di antiossidanti molto alti al termine di uno stage di gara di 20 giorni.

In altre parole, basta spingersi appena al di là di quella che è la nostra “zona di comfort” per sperimentare un certo livello di stress ossidativo…se facciamo troppo, rischiamo di creare un danno… e se facciamo troppo poco potremmo non essere protetti da carichi di lavoro

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più alti o da altre fonti di stress ossidativo!! Ma, a pensarci bene, tutto questo non è molto differente da ciò che è possibile rilevare in altri tipi di risposta all’ esercizio fisico: certi livelli di carico disturbano l’omeostasi così da risultare a livello locale e sistemico in modificazioni adattive che consentono al corpo di interagire in modo più adeguato a simili carichi di lavoro in futuro (Vollard NB et al) [29].

Sulla base di quanto finora detto, lo stress ossidativo è dunque positivo se contenuto entro certi limiti. Oltre i quali rischia di diventare pericoloso.

Un’ attività motoria troppo intensa e troppo sostenuta genererà ampie quantità di ROS che supereranno di gran lunga la capacità di contenimento, lasciando l’individuo totalmente in balia dello stress ossidativo e dei radicali liberi (Harshal R. Patil et al). Ogni individuo, sia esso un atleta o un soggetto sano sedentario che non pratica mai sport, ha un limite alla quantità di stress ossidativo che può gestire; oltre questo limite iniziano i danni al codice genetico e alle arterie coronarie, al sistema endocrino, etc. Ogni attività fisica intensa causa un certo grado di stress ossidativo, ma il danno è rapidamente riparato inducendo adattamenti che aumentano la resistenza al danno ossidativo legato ad alti volumi e intensità di carico. Più ci alleniamo, più il corpo è in grado di indurre una up-regulation nella produzione di antiossidanti così da contenere entro limiti sicuri lo stress ossidativo. Tuttavia l’over training è pericoloso, è legato ai danni sopra descritti, ed è necessario allenarsi gradualmente e

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costantemente così da aumentare progressivamente volume e intensità evitando il sovraccarico…in poche parole è da evitare di impersonare il cosiddetto “guerriero del fine settimana”. L’ analisi della maggior parte delle evidenze a disposizione consente di affermare che un allenamento intelligente, progressivo, con pause adeguate tra i vari workout può condurre alla gestione di carichi estremamente alti con una adeguata protezione da livelli di stress ossidativo altrimenti pericolosi.

Per molto tempo, si è ritenuto che l’allenamento di resistenza (endurance sport) potesse essere la causa principale di stress ossidativo. Infatti è opinione comune che i mitocondri siano i principali produttori di radicali liberi, e poiché l’allenamento di resistenza richiede ossigeno, il che causa un notevole flusso di energia attraverso la fosforilazione ossidativa, maggiore sarà la richiesta energetica maggiore sarà il numero di radicali liberi prodotti a livello mitocondriale (Radak Z et al; Fisher-Wellman et al)[28]. Ma Ji LL et al. hanno invece chiarito che i radicali liberi possono essere prodotti anche attraverso altri pathways, che non sono necessariamente correlati alla richiesta di ossigeno. Parecchi studi hanno evidenziato che, a dispetto di quanto ossigeno è richiesto nello svolgimento di una attività aerobica, anche l’esercizio anaerobico (HIIT, weight lifting, etc.) può produrre livelli similari di stress ossidativi (Alessio HM et al; Shi M et al)[32]. Tuttavia, mentre non è possibile svolgere una seduta di 4 ore di High Intensity Interval Training, non è difficile trovare ciclisti che spingono le loro sedute di allenamento oltre le 4-6 ore al

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giorno (per quanto non è difficile trovare bodybuilders che si allenano per molte ore al giorno).

Fig. 3.1 Schema di danno da radicale libero

Cap. 4 Stress ossidativo e allenamento di forza

Nel 2010, Cakir-Atabeck et al. [10] hanno determinato se gli allenamenti di forza protratti nel tempo erano in grado di indurre stress ossidativo e se la condizione di riposo ne induceva una diminuzione. Sono stati presi in considerazione sedici giovani adulti che non avevano mai svolto allenamenti di forza e furono suddivisi casualmente in due gruppi. Nove soggetti svolgevano allenamento di ipertrofia allenandosi con un metodo di 3 serie da 12 ripetizioni con un’intensità del 70% del massimale(1RM), mentre sette soggetti si sono sottoposti ad allenamento di forza con un metodo da 3 serie da 6 ripetizioni con un’intensità corrispondente al 85% del massimale (1RM). Il protocollo di allenamento prevedeva 6 esercizi di forza per ogni sessione di allenamento, tre sessioni settimanali, non consecutive, per sei settimane. Venivano analizzati i campioni di sangue

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ottenuti prima del training e al termine della prima sessione di allenamento, e l’ultimo giorno della quarta e della sesta settimana. I risultati indicavano che vi era un decremento significativo di malondialdeide (MDA) in entrambi i gruppi immediatamente dopo il training, ma non c’erano significative alterazioni dei livelli di glutatione (GSH) in entrambi i gruppi. Dopo 6 settimane di training, i valori di MDA erano significativamente decrementati e i valori di GSH erano significativamente incrementati in entrambi i gruppi, sia quello che svolgeva allenamento di ipertrofia, sia quello che svolgeva un’allenamento di forza. Queste alterazioni si erano verificate indipendentemente dall’intensità del training svolto.

I Risultati suggeriscono che l’allenamento costante ha effetti protettivi contro lo stress ossidativo simili a quello dell’attività aerobica indipendentemente dal grado di intensità svolta negli esercizi di forza [10].

Comunque, ad oggi, ancora pochi studi sono stati condotti al riguardo e il mondo del training anaerobico (pesistica) risulta essere tutto da scoprire, specialmente riguardante alla condizione di stress ossidativo.

Capitolo 5 Scopo del lavoro

Sulla base di quanto detto prima in riferimento alle diversità di risposte adattogene al training aerobico e di pesistica e gli affetti a carico del sistema antiossidante , abbiamo investigato i possibili cambiamenti indotti da un protocollo di lavoro aerobico (corsa) ed un protocollo di

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resistance training (pesistica) a livello della ricomposizione corporea e dell’attività antiossidante plasmatica(TOSCA).

Capitolo 6 Materiali e Metodi

6.1 Svolgimento dello studio

Sei soggetti di cui 4 maschi e 2 femmine di un’età compresa tra 23 e 41 anni, sedentari, sono stati arruolati presso il dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Pisa, dove sono stati sottoposti prima e al termine del periodo di training a valutazioni cliniche anamnestiche: ECG basale e sotto sforzo, eco color doppler cardiaco, abbiamo valutato alcuni parametri antropometrici e prelievo ematico per indagare l’attività antiossidante plasmatica (TOSCA).

Prima dell’inizio del training i soggetti erano in possesso di idoneità agonistica.

Il protocollo è stato approvato dal Comitato Etico dell’Area Vasta nord-ovest e tutti i soggetti hanno dato il consenso scritto allo studio.

Disegno dello studio

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I soggetti venivano accolti presso il Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Pisa alle ore 09:00 e tenuti in una stanza tranquilla con aria condizionata a temperatura controllata (22-24°C). A tutti i soggetti subito è stato effettuato un prelievo di sangue (25 ml), che per gli atleti doveva risultare a distanza di almeno 48h dall’ultimo impegno sportivo; il sangue prelevato veniva raccolto in provette contenenti acido dipotassio-etilendiaminotetracetico (EDTA, 10μl/CC) e immediatamente centrifugato a 3000 g per 10 min. I campioni di plasma ottenuti erano divisi in aliquote da 500 μl e conservati in Eppendorf a -80°C per le successive analisi della capacità antiossidante plasmatica verso i radicali perossilici, idrossilici e derivati della perossinitrite che è stata misurata mediante tecnica TOSCA.

Ogni soggetto era poi tenuto a riposo in posizione supina per almeno 15 minuti per permettere il corretto deflusso del sangue.

Nei giorni in cui i soggetti hanno risposto ai questionari su citati sono stati anche sottoposti a visita plicometrica.

6.3 Training

Sono stati valutati 3 soggetti per ogni tipologia di lavoro, 2 uomini e 1 donna per ciascun tipo di training di età compresa tra 23-41 anni.

Come possiamo vedere dall’allegato 1 l’obiettivo del training dei soggetti sottoposti ad un lavoro di pesistica era mirato all’incremento della forza. La tipologia di training ha rispettato quanto descritto dalle linee guida

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della ACSM [18] 3 serie per ogni esercizio, 3 esercizi per ogni gruppo muscolare, da 8 ripetizioni ciascuna e un tempo di recupero completo tra serie di 3’. Ogni due settimane le ripetizioni venivano diminuite di 2 e veniva incrementato il carico in modo tale che i soggetti arrivassero alle ultime due settimane di training con un lavoro sub massimale del 95% e numero 2 ripetizioni per ogni serie di lavoro.

Solamente gli esercizi a corpo libero (deep tra panche) e quelli mirati al miglioramento del Core training sono stati eseguiti ad esaurimento. L’allenamento di corsa (vedi allegato 2.) è stato programmato in modo tale da andare ad incrementare gradualmente, sessione dopo sessione l’intensità o il volume di lavoro, ma soprattutto è stato pensato in modo che il soggetto sottoposto al training possa in ogni sessione di allenamento diminuire il proprio passo (più la velocità a km aumenta, più il tempo, in gergo definito passo, scende).

Per fare sì che ciò avvenga abbiamo utilizzato sessioni di corsa costante e continuativa alternate a sessioni di composte da una fase di warm up, degli allunghi, e una fase di cool down.

6.4 Valutazione corporea

Nell’ambito della valutazione corporea sono state prese in considerazione peso, altezza, circonferenze e pliche. Le misurazioni sono state effettuate tutte sull’arto destro, come da convenzione. Per quanto riguarda l’arto superiore le circonferenze che vengono prese in considerazione sono a livello del bicipite, avambraccio e polso. Nel tronco abbiamo misurato la

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circonferenza vita e fianchi. Per quanto riguarda invece l’arto inferiore le circonferenze prese in considerazione sono a livello della coscia radiale, coscia mediale, sovra patellare e tricipite della sura.

Mentre le pliche che abbiamo analizzato sono: per l’arto superiore la plica tricipitale e quella bicipitale, nel tronco abbiamo indagato la plica pettorale, ascellare, scapolare, addominale e sovra iliaca.

Per quanto riguarda l’arto inferiore abbiamo preso in considerazione la plica nella regione mediale della coscia, la quadricipitale, la femorale e quella del tricipite della sura.

Il plicometro utilizzato è modello GIMA 27320, Italia.

Un’ulteriore aspetto molto importante da considerare è il fatto che tutti i soggetti non hanno apportato modifiche alle loro abitudini alimentari. 6.5 TOSCA

La tecnica TOSCA (Total Oxyradical Scavenging Capaciti Assay), permette un’analisi diretta dell’attività scavenger dei campioni ottenuti, verso i radicali liberi (Regoli & Winston, 1999). Il saggio è basato sulla reazione tra le varie specie radicaliche, perossilici(ROO), idrossilici (OH) e derivati del perossinitrito(ONOO), generate artificialmente, a regime costante (35°C), con l’acido a-cheto- y-metiolbutirrico(KMBA); il quale in presenza di radicali si ossida e produce etilene. L’ etile formatosi viene dosato mediante gascromatografia.

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Sulla base dell'etilene prodotto, viene calcolata la capacità antiossidante del campione, a confronto con una reazione di controllo: l’antiossidante presente nel campione compete con il KMBA nella reazione con i radicali liberi, quindi la produzione di etile risulterà minore rispetto alla reazione di controllo, in cui non sono presenti molecole antiossidanti.

Etilene Campione (Antiossidante)<< Etilene Controllo

Per i tre diversi sistemi di generazione dei radicali dell'ossigeno, sono necessarie adeguate condizioni di saggio:

• Radicali perossilici sono stati generati dall’omolisi termica di 20 Mm di 2,2- azobis-ammidiinopropano (ABAP) a 35°C, IN 100Mm di soluzione tampone di fosfato di potassio, a pH 7,4.

Le reazioni con KMBA 0,2 Mm, sono state effettuate in vials di volume 10ml sigillati con valvole a tenuta di gas costante Mininert (Supelco, Bellefonte, PA, USA), in un volume finale di 1 ml. [33]

L’ etilene prodotto all'’ interno di ciascun contenitore, è stato prelevato (aliquota di 200 microlitri) dallo spazio di testa dei vials a intervalli regolari durante tutto il corso della reazione. La produzione di etilene è stata effettuata mediante gascromatografo (Agilent) Hewlett-Packard (HP 7820A Series, Andover, MA, USA), dotato di colonna Supelco DB-1 capillare (30 x 0.32 x 0,25 millimetri) e un rivelatore e ionizzazione di fiamma (FID). Le temperature del forno, dell'iniettore e del FID erano, rispettivamente 35, 160 e 220°C. Come gas di trasporto è stato utilizzato

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l’idrogeno (velocità di flusso di 1ml/min) con rapporto di divisione 20:1. Il software OpenLAB utilizzato, ha permesso di calcolare la produzione di etilene totale, per ciascun campione, in valori TOSCA.

I valori TOSCA sono stati calcolati secondo l’equazione:

TOSCA= 100- (SA/ CA* 100)

Dove SA e CA rappresentano gli integrali delle aree sottese alla curva cinetica, prodotta dal software, ottenuta rispettivamente nella reazione dopo l’aggiunta del campione e nella reazione di controllo.

Un valore TOSCA= 0, corrisponde ad un campione senza capacità scavenger, cioè nessuna inibizione della formazione di etilene, rispetto alla reazione di controllo dove SA/ CA= 1, e valori maggiori di TOSCA indicano maggior capacità scavenger [34,35].

Ogni esperimento è stato eseguito in duplicato. 6.6 STATISTICA

Alla luce del fatto che questo presentato è uno studio pilota con una numerosità campionaria non elevata non è stato possibile eseguire la statistica bensì parleremo di andamento dei risultati.

Capitolo 7

Risultati

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Di seguito verranno riportati i dati relativi alla popolazione analizzata per quanto riguarda l’aspetto cardiovascolare che antropometrico.

Nella tabella di seguito vengono riportate le valutazioni antropometriche eseguite prima e dopo il training. Si osserva una leggera diminuzione del BMI accompagnata da un miglioramento della ricomposizione corporea in tutti i soggetti.

Tab.1 Valutazione antropometrica prima e dopo il protocollo di allenamento.

Nello specifico, nelle tabelle seguenti si riportano i dati inerenti alle due sottopopolazioni.

Tab.2 Valutazione antropometrica prima e dopo il protocollo di allenamento aerobico.

Tab.3Valutazione antropometrica prima e dopo il protocollo di allenamento di pesistica.

Si osserva una leggera diminuzione con una ricomposizione corporea a favore della massa magra. Nei soggetti sottoposti ad allenamento

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aerobico si ha una sia della massa grassa che magra, mentre in quelli sottoposti a training di pesistica si una minor diminuzione della massa grassa ma di contro un aumento della massa magra, come è lecito attendersi da tale programma di training.

I miglioramenti ottenuti con queste tipologie di allenamento sono evidenti, confermano quanto già sapevamo vi è stato un netto miglioramento per quanto riguarda le performance nei soggetti che si sono sottoposti al training di corsa e nell’aumento dei carichi massimali riferito al training di pesistica come vediamo dai grafici sotto riportati. [12, 13, 15].

Nella tab.4 sono riportati i dati valutati nell’intera popolazione prima di iniziare il training al fine di valutarne la prosecuzione in tutta sicurezza.

Caratteristiche Sedentari (M, n=6) basale FC (bpm) Sotto sforzo 67.3 ± 7.3 143 ± 15 PAS (mmHg) 122.2 ± 8.1 PAD (mmHg) 75.3 ± 5.2 FE (Frazione di eiezione %) 65.4 ± 3.6 Camera ventricolare sinistra 4,9 ± 0.6

Spessore settale 1,0 ± 0.2

Spessore parietale 1,0 ± 0.1

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Fig. 1. Rappresentazione grafica dei dati medi relativi ai tempi di corsa dei soggetti allenati.

Dal grafico in fig.1 si osserva come il tempo medio di percorrenza al km calcolato all’inizio e alla fine del training sia sceso da 5’57” /km a 5’20” /km (±20”). Il tempo è stato calcolato sulla media dei soggetti riferito ad una corsa di 10km.

Fig.2. Massimali PRE e POST training.

In figura 2 si evidenziano le differenze dei carichi massimali calcolati all’inizio e alla fine del training riferito allo squat che passa da 52,5kg (±20) a 67,5kg (±22,5). 0 1 2 3 4 5 6 7 8

corsa pre corsa post

Variazione del tempo km

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 RM PRE RM POST

RM SQUAT

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44 Fig.3. Massimali PRE e POST training bench press.

In figura 3 si evidenziano le differenze dei carichi massimali calcolati all’inizio e alla fine del training riferito alla bench press che passa da 47,5kg (±22,5) a 65,5kg (±25).

Fig.4. Massimali PRE e POST training lat machine.

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 RM PRE RM POST

RM BENCH PRESS

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 RM PRE RM POST

RM LAT MACHINE

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In figura 4 si evidenziano le differenze dei carichi massimali calcolati all’inizio e alla fine del training riferito alla lat machine che passa da 45kg (±22,5) a 57kg (±27,5).

Valutazione attività antiossidante.

L’attività antiossidante plasmatica è stata valutata mediante analisi TOSCA assay.

Al termine del protocollo di training nella totalità della popolazione allenata si osserva un incremento dell’attività antiossidante plasmatica nei confronti dei radicali perossilici (17,52±3,5 TOSC Units/μL vs 18,38±2,34 TOSC Units/μL).

Fig. 5 Valutazione capacità antiossidante plasmatica pre e post training.

Di seguito vengono riportati i grafici inerenti alle due sottopopolazioni studiate.

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Fig.6 Valutazione attività antiossidante prima e post training in riferimento al training aerobico.

Fig.7 Valutazione attività antiossidante prima e post training in riferimento al training di pesistica.

Si osserva post training un leggero incremento dell’attività antiossidante plasmatica nei confronti dei radicali perossilici nei soggetti praticanti il training di natura aerobico (15,14±1,18 TOSC Units/μL vs 16,18±1,02 TOSC Units/μL), mentre in quelli di pesistica una leggera diminuzione rispetto al basale (21,19±1,53 TOSC Units/μL vs 20,69±0,54 TOSC Units/μL).

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47 Capitolo 8

Discussione e conclusioni

I benefici di una regolare attività fisica sono stati ampiamente dimostrati [3, 4, 6, 7, 10, 13]; ma i meccanismi fisiologici che sono alla base dei vari benefici indotti delle varie tipologie di allenamento risultano essere ancora non chiari.

Nello studio abbiamo confrontato tra loro due tipologie di training: uno di natura aerobica (corsa) e uno di natura anaerobica (pesistica) al fine di valutare quali modifiche a livello metabolico possono essere indotte da tali training.

Abbiamo valutato la componente antropometrica ed abbiamo appurato che ci sono stati dei rimodellamenti a carico della massa grassa con una sua diminuzione e un aumento della massa magra, precisando che chi ha svolto lavoro di pesistica ha avuto una minor variazione di sorta, a dispetto di chi ha svolto il training di corsa, confermando quindi ciò che era già presente in letteratura [12, 13, 14].

I miglioramenti di forza ci sono stati sia nei soggetti che hanno svolto il training di corsa, sia nei soggetti che hanno svolto il training di pesistica. Nello specifico i soggetti che hanno svolto il training di corsa hanno diminuito il loro tempo medio di corsa calcolato sui 10km e hanno diminuito la sensazione di fatica (valutata con la scala di borg). Mentre chi ha svolto l’attività di pesistica ha migliorato la forza sia negli arti

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inferiori, come si evince dai dati in fig.2, sia negli arti superiori e nel tronco come riportato in fig.3 e in fig.4.

Per quanto riguarda la valutazione dell’attività antiossidante plasmatica i miglioramenti del parametro TOSCA si sono evidenziati nell’intera popolazione post training, anche se i soggetti valutati erano di numero esiguo; ma il vero e proprio miglioramento è avvenuto nei soggetti che hanno svolto il lavoro aerobico a dispetto dei soggetti che hanno svolto training di pesistica dove l’incremento è stato molto infinitesimale. Probabilmente perché l’attività di pesistica induce uno stress infiammatorio superiore rispetto all’attività aerobica che può alterare la risposta antiossidante plasmatica facendone aumentare il parametro [10, 21].

In conclusione il nostro studio dimostra quanto affermato in letteratura inerente all’attività aerobica, ovvero che è n grado di indurre una ricomposizione corporea con una diminuzione della massa grassa e un incremento della capacità antiossidante plasmatica.

Interessante invece è quanto ottenuto nei soggetti sottoposti a training di pesistica a livello dell’attività antiossidante plasmatica. Infatti, anche se il resistance training è ritenuto un’attività stressogena per l’intero organismo in realtà non altera in senso negativo la risposta antiossidante, ma forse se il training fosse prolungato per un periodo più lungo delle 8 settimane potrebbero anche risultare degli adattamenti positivi simili a quelli di natura aerobica.

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50 Bibliografia

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