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L'eredità di Forteguerra Forteguerra e il Comune di Lucca: lotta politica e ricchezza mercantile (1392-1400)

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

Corso di Laurea in Storia e Civiltà

L'EREDITÀ DI FORTEGUERRA FORTEGUERRA

E IL COMUNE DI LUCCA:

LOTTA POLITICA E RICCHEZZA MERCANTILE

(1392-1400)

Candidato: Relatrice:

Marco Carelli Prof.ssa Laura Galoppini

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Indice

Premessa...3

Ringraziamenti...5

Abbreviazioni...6

Parte I – Lucca e i Forteguerra nel Trecento

Capitolo I – Storia di Lucca dal 1328 al 1400 1. 1328-1369: Lucca “suddita”...7

2. 1369-1392: i difficili inizi della repubblica e la politica estera...11

3. 1369-1392: novità istituzionali e fazionismo...16

4. 1369-1392: la lotta polica e lo scontro fra gli schieramenti...21

5. 1392-1400: la costruzione della signoria guinigiana...26

Capitolo II – I Forteguerra e Forteguerra 1. I Forteguerra...30

2. Le compagnie di Forteguerra fra Bruges, Londra e Parigi...34

3. La carriera politica di Forteguerra Forteguerra...39

4. La sentenza contro Forteguerra e i problemi sull'eredità...40

Parte II – Analisi del Quaderno sui beni di Forteguerra Forteguerra

Capitolo I – Introduzione al documento 1. Informazioni generali...47

Capitolo II – I possedimenti fondiari di Forteguerra Forteguerra 1. I possedimenti in Lucca...50

2. I possedimenti nel piviere di Ottavo...53

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Capitolo III - Introytus denariorum, le entrate del Comune di Lucca

1. Sindaci e camerari sui beni confiscati...68

2. La vendita dei beni mobili e gli acquirenti...69

3. La vendita dei beni immobili e gli acquirenti...76

4. I debitori di Forteguerra...79

5. Gli affittuari...83

6. Una carta preparatoria...85

Capitolo IV - Exitus denariorum e organizzazione dei lavori 1. Le uscite del Comune di Lucca...86

Parte III – Trascrizione del Quaderno sui beni di Forteguerra

Forteguerra

Capitolo I - Trascrizione 1. Trascrizione...91

Fonti inedite...144

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Premessa

Il presente lavoro si propone di proseguire e approfondire la ricerca relativa alle vicende della famiglia Forteguerra che ho iniziato nella mia tesi triennale1.

Essa era infatti incentrata sulla figura di Bartolomeo Forteguerra, mercante lucchese attivo nei circuiti internazionali nonchè uno dei principali leaders della fazione avversa ai Guinigi negli scontri politici che animarono Lucca fra 1369 e 1392. Nel contesto di tale studio era stata data particolare rilevanza all'analisi dell'elenco dei beni confiscati a Bartolomeo che iniziò a essere stilato a seguito di una sentenza emessa un mese dopo la sua condanna a morte per aver tentato di sovvertire l'ordine cittadino (statum presentem liberum, pacificum et tranquillum,

et libertatem ipsius subvertendi2). Il contenuto di tale documento, fino ad allora

inedito, oltre ad essere fondamentale per la ricostruzione del profilo economico del Forteguerra, forniva infatti un'esemplificazione del reinvestimento di capitali mercantili nelle proprietà fondiarie come base utile a esercitare una maggior influenza nella politica cittadina3.

Per poter comprendere il ruolo famiglia Forteguerra negli scontri di fazione del tardo Trecento lucchese, tuttavia, rimaneva da approfondire un altro personaggio chiave dello schieramento anti-guinigiano, Forteguerra Forteguerra, che sarà quindi il soggetto principale del presente lavoro. Questi, ben più del cugino Bartolomeo, fu un mercante di caratura internazionale e, per tale motivo, nel ricostruirne la figura faremo spesso riferimento a Londra, Parigi e, soprattutto, a Bruges.

In questo contributo, fra la documentazione inedita analizzata, si è deciso di porre in particolare rilievo un documento4 – ancora inedito, qui ora integralmente

1 Carelli M., Gli esiti di una lotta per il potere cittadino: la conquista dei beni di Bartolomeo

Forteguerra (Lucca 1392-1398), Università di Pisa, Facoltà di Storia, rel. prof.ssa L.

Galoppini, a.a. 2013-2014. Per una prima sintesi sul tema si veda Carelli M., I beni di

Bartolomeo Forteguerra: un mercante e politico lucchese negli scontri di fazione di fine Trecento, in Studi Versiliesi, XIX (2014-15), pp. 15-68.

2 Mirot L., Études Lucquoises. Forteguerra Forteguerra et sa succession, in Bibliothèque de

l'École des Chartes, XCVI (1935), p. 321

3 Galoppini L., Mercanti toscani e Bruges nel tardo medioevo, Pisa, Plus-University Press, 2009, pp. 47, 113-14, 128-29.

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trascritto – che potremmo sotto certi aspetti definire “gemello” di quello già analizzato nel caso di Bartolomeo: fu infatti realizzato nella medesima circostanza – la condanna post mortem aveva colpito entrambi i cugini – e, nella sua prima parte, presenta una struttura molto simile. Tuttavia il Quaderno sui beni di Forteguerra Forteguerra, in virtù della sua maggiore estensione e complessità, permette di gettare uno sguardo ben più ampio sul contesto sociale, economico e politico in cui fu prodotto.

Oltre all'elenco dei beni immobili – della cui importanza si è già detto in relazione al caso di Bartolomeo, con il quale verrà anche proposto un raffronto – all'interno del Quaderno è presente anche una sezione relativa agli introiti che il Comune di Lucca ottenne dalla messa in vendita delle proprietà e dei beni mobili di Forteguerra e dalla riscossione del denaro a lui dovuto da cui possiamo ricavare diverse informazioni importanti. Innanzitutto, la parte relativa alle vendite, oltre a chiarire ulteriormente la consistenza del patrimonio economico di Forteguerra, anche attraverso un vasto campionario di oggetti, in particolare di abiti e tessuti, ci permette di conoscere coloro che si spartirono la sue ingenti proprietà mobili e immobili. Attraverso l'analisi dei debiti possiamo invece comprendere meglio i legami che Forteguerra intratteneva con l'élite politico-economica cittadina.

Infine, dall'ultima parte del Quaderno, dedicata alle uscite del Comune, riusciamo anche a comprendere quanto fosse stato complesso organizzare le operazioni di inventariazione e di organizzazione di beni che, come si è detto, non solo erano sparse nel territorio lucchese, ma anche in diverse città europee.

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Ringraziamenti

Il primo dei miei ringraziamenti va alla prof.ssa Laura Galoppini che oltre ad aver reso possibile la realizzazione di questo lavoro con la sua guida e i preziosi consigli, negli ultimi tre anni è stata il punto di riferimento del mio percorso di studi e di ricerca.

Desidero inoltre ringraziare: il dott. Giancarlo De Fecondo per il suo aiuto nella revisione della trascrizione del Quaderno; il dott. Sergio Nelli per i suoi preziosi chiarimenti; il dott. Massimiliano Grava che, nonostante la sua partenza per la Spagna, ha trovato il tempo per realizzare, attraverso il programma QGIS, le due cartine presenti in questo lavoro; infine, il personale dell'Archivio di Stato di Lucca per la cortesia e disponibilità.

Un ringraziamento speciale va a Michela che ha sempre creduto in me e mi ha accompagnato in questo lungo percorso, addolcendone le difficoltà e accrescendone le gioie.

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Abbreviazioni

ASL Archivio di Stato di Lucca

BSL Biblioteca di Stato di Lucca

Battaglia Battaglia S., Grande dizionario della lingua italiana, Torino, UTET, 2000

DBI Dizionario Biografico degli Italiani

Ms. Manoscritto

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Parte I

Lucca e i Forteguerra nel Trecento

Capitolo I – Storia di Lucca dal 1328 al 1400

1. 1328-1369: Lucca “suddita”

L'improvvisa scomparsa di Castruccio Castracani (1328) significò la fine del suo progetto di creare una vasta signoria ghibellina, simile per forza ed estensione a quella che, nel medesimo periodo, andavano costruendo Milano, Verona e Firenze. Lo sgretolamento del dominio castrucciano – che era arrivato a comprendere anche Pisa, Pistoia e la Lunigiana5 – segnò la fine

dell'espansionismo di Lucca, che da allora in poi dovette impiegare tutte le proprie energie umane e finanziarie nel tentativo di resistere alla minaccia fiorentina. Ormai priva di un leader abile e carismatico e con risorse militari insufficienti, Lucca si ritrovò a subire gli effetti più destabilizzanti del nuovo ordine che andava creandosi in Italia centro-settentrionale6.

Così, per costrizione o necessità, la città passò da un signore all'altro7 fino ad

arrivare a Mastino della Scala che, nel giugno del 1341, iniziò le trattative per la sua cessione a Firenze. Nel far ciò quest'ultima aveva tuttavia sottovalutato la possibilità che qualcuno, almeno in Toscana, avesse potuto opporsi a tale operazione. Fu così che Pisa, pur fortemente indebolita dalla perdita della Sardegna (anni venti del Trecento) e dalla più recente sottomissione a Castruccio, decise di agire per scongiurare un'acquisizione che avrebbe significato consegnare a Firenze le chiavi per il controllo di tutta la Toscana. Per questo motivo, quando

5 Green L, Castruccio Castracani. A Study on the Origins and Character of a

Fourteenth-Century Italian Dispotism, Oxford, Clarendon Press, 1986, pp. 248.

6 Mancini A., Storia di Luca, Firenze, Sansoni, 1950, pp. 147-148; Meek Ch., Lucca 1369-1400, cit., pp. 1-2; Manselli R., Castruccio Castracani degli Antelminelli e la politica italiana nei

primi decenni del Trecento, in Castruccio Castracani e il suo tempo, Atti del convegno, 5-10

ottobre 1981, in Actum Luce, nn. XIII-XIV (1984-1985), pp. 15-16; Green L, Castruccio

Castracani, cit., pp. 254-259; Green L., Lucca under Many Masters. A Fourteenth-Century Italian Commue in Crisis (1328-1342), Firenze, Leo S. Olschki, 1995, pp. 3-13.

7 I Signori di Lucca dal 1329 al 1341 furono: Gherardo Spinola (1329-31); Giovanni di Boemia (1331-33); i Rossi di Parma (1333-35); Mastino della Scala (1334-41). Green L., Lucca under

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ad agosto i fiorentini si decisero ad acquistare Lucca da Mastino – per l'enorme cifra di 250.000 fiorini – la città era ormai stata posta sotto assedio dai pisani che, sostenuti dai signori di Milano, Mantova e Parma, erano riusciti a mettere insieme un esercito sufficiente per sfidarli. A nulla valsero gli sforzi di Firenze – che pur ricevette rinforzi da Siena, Perugia, Bologna e altri – i cui tentativi di spezzare l'assedio furono frustrati dalla pesante sconfitta riportata a S. Piero a Vico (2 ottobre 1341) e dalle fallimentari incursioni guidate da Malatesta Malatesta nel maggio 13428.

Dato che sembrava poco probabile che i fiorentini riuscissero ad aver ragione dei pisani e che le riserve di cibo si sarebbero esaurite di lì a un mese, a giugno Lucca iniziò a trattare con Pisa per la propria resa, che fu sottoscritta il 4 luglio. I termini di quest'ultima furono assai generosi per i lucchesi: le due città avrebbero stretto una lega per la durata di 15 anni; Pisa avrebbe ottenuto la custodia a spese dei lucchesi di Lucca, dell'Augusta9, di Pontetetto e della torre di Montuli e, solo

per la durata della guerra contro Firenze, (conclusasi nell'ottobre 1342) anche di alcuni fortilizzi nel contado; Lucca avrebbe continuato ad essere retta dagli Anziani, dal Podestà e dagli altri ufficiali che sarebbero stati eletti dai lucchesi stessi; infine, dopo 15 anni Lucca e il suo territorio avrebbero riacquistato la propria indipendenza10.

La maggior parte dei cronisti contemporanei ai fatti, o di poco successivi, e degli storici lucchesi ha generalmente descritto il controllo di Lucca da parte dei pisani come una vera e propria dominazione. Tuttavia Christine Meek ha mostrato come sebbene molti dei termini dell'accordo del 1342 fossero stati disattesi, Pisa avesse lasciato ampi margini di manovra alla propria città suddita in ambito economico, fiscale e di amministrazione ordinaria. Pisa infatti non cercò mai di

8 Capponi G., Storia della Repubblica di Firenze, Firenze, G. Barbera, 1876, pp. 219-21; Green L., Lucca under Many Masters, cit., pp. 125-174.

9 L'Augusta era un' area fortificata posta all'interno di Lucca che iniziò ad esssere costruita nel 1322 per volontà di Castruccio Castracani. All'interno di essa quest'ultimo pose la sua residenza e alcune strutture per l'amministrazione cittadina. Green L., Il problema dell'Augusta

e della villa di Castruccio Castracani a Massa Pisana, in Castruccio Castracani e il suo tempo, cit., pp. 352-372.

10 Meek Ch., The Commune of Lucca under the Pisan Rule, (1342-1369), Cambridge (Mass.), The Medieval Academy of America, 1980, pp. 17-18; Green L., Lucca under Many Masters, cit., pp. 181-182.

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assimilare Lucca rendendone l'economia funzionale alla propria o creando nuovi organismi di governo gestiti da cittadini pisani. Il controllo fu esercitato sostanzialmente in modo indiretto, limitandosi al controllo dell'elezione degli Anziani e con la presenza a Lucca di vicari e rettori che controllavano l'Augusta, supervisionavano il governo lucchese e informavano gli Anziani circa eventuali direttive di Pisa. I lucchesi inoltre riuscirono in molte occasioni a contrattare con quest'ultima riguardo sia agli ufficiali posti nel contado sia per questioni di natura fiscale, che rappresentano un elemento di rilievo per valutare il tipo di sfruttamento operato da una città dominante su quelle a lei dipendenti. A questo proposito Meek mette in risalto come le cifre pagate da Lucca, almeno fino al 1362, non furono sproporzionate rispetto all'effettivo costo di gestione e difesa della città e del suo territorio e che anche quando Pisa si trovò in ristrettezze economiche essa non cercò di ottenere da Lucca più di quanto quest'ultima avesse potuto offrire11.

Nonostante ciò, una città dal grande passato come Lucca non poteva tollerare a lungo di essere sottoposta al controllo di una propria rivale e per questo motivo cercò di riottenere la piena autonomia sfruttando la discesa in Italia dell'imperatore Carlo IV nel 1354. Tuttavia il comportamento del sovrano tedesco si rivelò piuttosto ambiguo, in quanto pur avendo questi concesso agli Anziani di Pisa il vicariato su Lucca il 27 dicembre di quello stesso anno e avendolo riconfermato il 9 maggio di quello seguente, si diffusero numerose voci che in realtà egli avrebbe concesso la libertà ai lucchesi a seguito di un ingente pagamento. In questa situazione piuttosto confusa questi ultimi, approfittando dei disordini in Pisa seguiti alla cacciata dei Bergolini ad opera dei Raspanti12 (20

maggio) e della presenza di truppe imperiali a Lucca, cercarono di riprendere il

11 Meek Ch., The Commune of Lucca, cit., pp. 17-85.

12 Le fazioni dei Bergolini e dei Raspanti si erano andate formando a Pisa a partire dagli inizi del Trecento. L'opposizione principale fra i due schieramenti riguardava la politica nei confronti di Firenze: i Bergolini essendo guidati dai grandi mercanti e armatori erano favorovoli ad una politica di amicizia nei confronti dei fiorentini affinchè si mantenesse il transito delle loro merci attraverso Porto Pisano; i Raspanti, in quanto esponenti dei principali lanaioli, erano avversi ai fiorentini di cui subivano la soverchiante concorrenza. Esponenti di spicco del partito bergolino furono i Gherardesca e gli Alliata mentre a guidare quello opposto furono i Della Rocca. Silva P., Il governo di Pietro Gambacorta in Pisa e le sue relazioni col resto della

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controllo della città il 21 di maggio, ma già la mattina del 23 i pisani avevano ripreso in mano la situazione. Occorre mettere in rilievo come a questo episodio non seguirono ripercussioni, anzi fu proclamata un'amnistia generale13.

Il riaccendersi del conflitto fra Pisa e Firenze nel 1362 segnò inevitabilmente un inasprimento del peso cui Lucca era sottoposta. Durante la guerra, infatti, la città dovette fare ricorso a tasse straordinarie e fu oggetto di alcune misure preventive14, cose che spinsero alcuni a progettare un piano per far sì che i

fiorentini prendessero la città. Tuttavia questo tentantivo fu scoperto ad aprile e 11 persone furono giustiziate. La situazione peggiorò ulteriormente a partire dal 1364 quando, dopo un inizio favorevole ai pisani, l'inerzia del conflitto passò nelle mani di Firenze. Per questo motivo i termini della pace, siglata il 29 agosto di quell'anno, furono assai sfavorevoli a Pisa e, soprattutto per Lucca, che oltre a dover dividere con la prima un pagamento di 100'000 fiorini, perdeva Pietrabuona, Altopascio, Sorano e Lignana15.

A stipulare la pace con i fiorenti fu Giovanni dell'Agnello16 che i pisani

avevano eletto doge il 13 di agosto nel tentativo di superare i contrasti di parte che affliggevano la città. Sebbene la sua carica sarebbe dovuta durare soltanto un anno questi divenne di fatto il nuovo signore di Pisa, cosa che non potè non avere ripercussioni anche su Lucca, di cui divenne capitano generale, governatore e difensore17. Nonostante il dell'Agnello non si fosse fregiato del titolo di dux a

13 Meek Ch., The Commune of Lucca, cit., pp. 92-95.

14 La misura più estrema fu senza dubbio l'allontanamento dalla città di tutti i lucchesi fra 14 e 70 anni ad eccezione dei ghibellini. Ivi, pp. 101-102.

15 Cristiani E., Le premesse della liberazione di Lucca dalla dominazione pisana, in La libertas

lucensis del 1369, Lucca, Accademia lucchese di scienze, lettere e arti, 1970 (ora in Scritti Scelti, a cura di Silio P.P. Scalfati e Marco Tangheroni, Pisa, Pacini Editore, 1997), pp. 418-19;

Meek Ch., The Commune of Lucca, cit., pp. 99-103.

16 La famiglia dell'Agnello che si era stabilita a Pisa all'inizio del Duecento, raggiunse alla fine del secolo una grande importanza economica e politica, soprattutto grazie ai commerci, che erano principalmente rivolti alla Sardegna e all'Africa settentrionale. Pur non schierandosi apertamente nella lotta fra le fazioni dei Raspanti e dei Bergolini, a seguito del prevalere di questi ultimi, e in particolare della famiglia Gambacorta (1347-55), i dell'Agnello si tennero in disparte dal punto di vista politico, concentrandosi principalmente sui commerci. A seguito della sconfitta e dell'allontanamento dei Gambacorta nel 1355 la famiglia dell'Agnello tornò a ricoprire un ruolo centrale nella politica cittadina. Fra di essi Giovanni ebbe un ruolo di rilievo ricoprendo più volte la carica di Anziano (1359, 1361, 1362, 1363, 1364) e svolgendo importanti missioni diplomatiche a Genova, Napoli e Firenze. Cfr. Tangheroni M., Giovanni

dell'Agnello, in DBI, vol. 37 (1989), s.v.

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Lucca, la sua ascesa segnò un inasprimento del peso fiscale imposto alla città e la riduzione del grado di autonomia che essa aveva mantenuto18.

La nuova discesa in Italia di Carlo IV nella primavera del 1368 ebbe anche questa volta un'effetto destabilizzante, giacchè da un lato i lucchesi speravano di poter ottenere la piena autonomia, dall'altro il doge pisano sperava di ricevere una conferma del suo potere19. Tuttavia l'imperatore riconferò il suo atteggiamento

ambiguo riguardo la situazione lucchese. Se infatti a metà agosto concesse al dell'Agnello e ai suoi figli il vicariato su Pisa e Lucca, il 25 di quello stesso mese – conclusa la guerra con i Visconti e i Gonzaga – il patriarca di Aquilea, che faceva parte della spedizione imperiale, entrava a Lucca chiedendo lo sgombero della guarnigione pisana dall'Augusta, esautorando di fatto il nuovo vicario. L'arrivo in città dell'imperatore il 5 settembre coincidette con un incidente che rese infermo il dell'Agnello e che ne propiziò la cacciata da Pisa assieme ai suoi parenti, portando alla restaurazione del governo comunale. Ciò di per sé non significava ancora la libertà per Lucca che rimaneva ancora sottoposta agli Anziani pisani. Questa empasse cessò solo l'anno successivo, quando finalmente il 24 aprile Carlo IV concesse ai lucchesi la tanto attesa libertà, dietro la quale stavano diverse riflessioni. Conclusasi la guerra con i Visconti, l'imperatore non aveva più motivo di rimanere in Italia e quindi dovendo lasciare la città era bene averne la benevolenza, giacchè il ritorno di Piero Gambacorta a Pisa faceva presagire nuovi problemi. Un peso notevole, inoltre, dovettero avere i 100.000 fiorini sborsati dai lucchesi20.

2. 1369-1392: i difficili inizi della repubblica e la politica estera

Dopo più di 40 anni di dominazione straniera, di scontri interni alla città e di guerre con i vicini, la rinata repubblica si trovava a dover affrontare una

quel tempo formalmente signore di Pisa, per poi passare alla sua morte nel 1347 agli Anziani pisani.

18 Meek Ch., The Commune of Lucca, cit., pp. 105-118.

19 Nel 1355 Carlo IV aveva concesso il titolo di vicari di Pisa e Lucca agli Anziani, quindi da un punto di vista “legale” Giovanni dell'Agnello esercitava illecitamente il proprio potere.

20 Mancini, Storia di Lucca, op. cit., pp. 163-64; Cristiani E., Le premesse della liberazione, cit., pp. 420-21.

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situazione estremamente complicata. In primis l'area controllata da Lucca era nettamente diminuita rispetto a quella controllata all'inizio del XIV secolo: alle aree che erano oggetto di contesa con Pisa e che passarono a quest'ultima non appena ottenne il controllo sulla città, si aggiungevano quelle cedute ai fiorentini con la pace dell'ottobre 1342 e quelle che nel corso del tempo erano cadute sotto il controllo di signori locali o di sbanditi. Ad aggravare il tutto stava il fatto che oltre a una riduzione territoriale Lucca aveva visto anche un cospicuo calo di popolazione tanto in città quanto nell'area a lei soggetta. Precaria era pure la situazione economica in quanto fra coloro che avevano abbandonato la città nel corso degli anni vi erano stati anche molti mercanti e maestranze, in particolare legate alla produzione serica. Ciò fu un colpo molto duro giacchè quest'ultima era stata il settore economico trainante nel secolo precedente. Oltre ad indebolire la produzione cittadina, questa emigrazione le aveva anche aumentato la concorrenza, in quanto gli esuli portarono con sé i segreti e le tecniche della loro arte in città come Venezia, Bologna e Firenze21. Inoltre i primi anni di libertà

furono caratterizzati dalla necessità di trovare il denaro per estinguere i debiti che erano stati contratti per pagare l'imperatore22. Oltre al papa, vari Signori dell'Italia

settentrionale a Firenze, la città aveva dovuto anche fare ricorso ai suoi cittadini più facoltosi, fra i quali troviamo esponenti delle famiglie Arnolfini, Cenami, Guinigi, Rapondi i quali avevano fatto la loro fortuna attraverso la mercatura e la banca internazionali23.

21 I mercanti lucchesi erano presenti a Venezia fin dal Duecento, dove già nel XIII secolo avevano degli edifici a Rialto che fungevano da depositi e banchine di trasbordo (Stationes

Tuscanorum). Tuttavia a seguito dei disordini causati dall'instaurazione del regime dei guelfi

neri (1300) e soprattutto dalla presa di Lucca da parte di Uguccione della Faggiola (1313) si ebbe un vero e proprio esodo verso la città laguanare (ma anche verso Bologna e Firenze) di famiglie e di manodopera legate all'industria serica, che contribuirono in maniera sostanziale alla diffusione di questa tecnica nelle altre città italiane, provocando un grave danno all'industria lucchese. L'emigrazione lucchese a Venezia proseguì nel corso del Trecento a causa della crisi politica provocata dal continuo passare di mano di Lucca da un signore all'altro, culminato con la dominazione pisana. Se si ebbe una parziale inversione di tendenza, con il ritorno di maestranze a seguito della libertà del 1369, gli scontri politici di fine secolo portarono ad un nuovo aumento dell'emigrazione verso Venezia. Molà L., La comunità dei

Lucchesi a Venezia: immigrazione e industria della seta nel tardo Medioevo, Venezia, Istituto

Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 1994. 22 Meek Ch., Lucca 1369-1400, cit., pp. 19-30.

23 Proprio nel settembre 1369 si ebbe la prima redazione statutaria della Nazione lucchese a Bruges, di cui purtroppo abbiamo solo una conoscenza indiretta a partire dall'unico statuto che si è conservato fino a noi risalente al 1498. Quella di riunirsi in Nationes era una tendenza

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La partenza di Carlo IV da Lucca nel luglio del 1369 non significò l'immediato ripristino delle libertà comunali. L'imperatore aveva infatti lasciato come suo vicario il cardinale Guido di Boulogne che inizialmente esercitò un rigido controllo sulla città che face temere una rinnovata sudditanza. Tuttavia i lucchesi non accettarono questo nuovo abuso nei loro confronti e convocato a fine agosto il Consiglio Generale deliberarono l'invio di ambasciatori presso Urbano V e Carlo IV affinchè facessero ragionare il cardinale. Lo sforzo dei cittadini ebbe l'esito sperato e il vicario prese ad operare di concerto con loro nella difesa del territorio insidiato dai Visconti e dagli Antelminelli. Infine il 12 marzo 1370 il cardinale, dopo aver ricevuto 25.000 fiorini, concesse agli Anziani di Lucca il titolo di vicari, cosa che sancì ufficialmente la rinascita della repubblica lucchese24.

Intanto, come già anticipato, le truppe di Bernabò Visconti avevano invaso il contado, riuscendo nell'agosto 1369 a conquistare Sarzana, che venne affidata ad Alderigo degli Antelminelli25. Questi assieme alle truppe milanesi tentò più volte

di prendere Lucca senza successo, grazie soprattutto all'intervento di Firenze, avendo i lucchesi aderito alle due leghe antiviscontee dell'ottobre 1369 e del marzo 1370. Nonostante tutto, l'Antelminelli riuscì ad impadronirsi di ampie parti della Garfagnana, tra cui Castiglione e Castelnuovo. Solo nel 1371 si riuscì a

comune a tutti i mercanti europei ed italiani. Lo scopo principale di queste associazioni era quello di garantirsi un riconoscimento ufficiale presso le autorità politiche dei paesi esteri nel cui territorio si trovavano ad avere affari e di ottenerne privilegi di vario genere. Ognuna di queste associazioni aveva propri ufficiali che garantivano il rispetto di norme condivise e cercavano di appianare eventuali conflitti fra i membri in modo da impedire che, arrivando alle autorità straniere, le loro questioni causassero problemi all'intera natio o alla stessa Lucca. Cfr. Galoppini L., Mercanti toscani, cit., pp. 46-47.

24 Mazzarosa A., Storia di Lucca dalla sua originie al MDCCCXIV scritta dal marchese A.M., 2 Voll., Lucca, Giusti, 1833, Vol. I pp. 227-232; Mancini A., Storia di Lucca, cit, pp. 165-170; Meek Ch., Lucca 1369-1400, cit., p. 6. «Ricordavi che poi il cardinale/ Signoregiando Lucca dipo lui [Carlo IV],/ Se delle penne vi trasse dell'ale/ Sapetel me' di me ben ch'io ci fui./ Pognam pur ched' e' fusse leale,/ Benchè facesse villania ad altrui./ I' credo che costui/ Assai via più che li altri ci collasse./ Ma chome è che andasse,/ Im pace in casa nostra ci à lassati»,

Le Croniche di Giovanni Sercambi lucchese, a cura di Bongi S., 3 Voll., Lucca , Istituto Storico

Italiano, 1892, Vol I p. 200.

25 Sulla figura di Alderigo Antelminelli si veda Galoppini L., Alderigo Antelminelli: un mercante

guerriero tra la Garfagnana, Lucca e Bruges, in Viabilità, traffici, commercio, mercati e fiere in Garfagnana dall'Antichità all'Unità d'Italia, Atti del Convegno tenuto a Castelnuovo di

Garfagnana (Rocca Ariostesca, 10-11 settembre 2005), a cura di G. Buttazzi, Modena, Aedes Muratoriana, 2006 (Deputazione di Storia Patria per le Antiche Province Modenesi, Biblioteca – n.s., 179), pp. 195-216

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trovare un accordo con Alderigo che accettò di restituire le terre che aveva ottenuto a seguito del pagamento di 12.000 fiorini e della restituzione delle proprietà degli Antelminelli, sebbene fosse loro proibito di tornare a Lucca26.

I problemi maggiori che la città si trovò a dover affrontare nei tre decenni successivi derivarono principalmente dalla politica estera. I lucchesi infatti erano ben consci che se volevano sperare di mantenere la propria indipendenza avrebbero dovuto mantenere buoni rapporti con i propri potenti vicini e non solo. Per realizzare ciò, Lucca dovette sfruttare appieno tutte le sue abilità diplomatiche considerando che si trovò ad operare in un contesto di grande fermento sia nell'ambito dell'Italia centro-settentrionale che europeo. Pur aderendo a varie leghe promosse nel corso degli anni da Firenze, Milano e altre città, essa cercò infatti di non imicarsi coloro contro i quali tali leghe erano state promosse. Per conseguire questo risultato i lucchesi cercarono ogni volta di ottenere termini di adesione che consentissero loro di impegnarsi direttamente nei conflitti il meno possibile, limitando ad esempio le proprie azioni militari solo a difesa dei territori degli aderenti alla lega – così da non arrecare danno ai nemici della stessa per non attirarsene le ire – oppure ad inviare contingenti militari irrisori rispetto a quelli forniti dalle altre città. La scusa ripetutamente addotta dagli ambasciatori lucchesi era quella della debolezza militare ma soprattutto economica della città che le impediva di prendere parte a spedizioni onerose o che avrebbero lasciato il suo territorio privo delle già esigue difese che lo difendevano.

Emblematico, a questo proposito, è il caso della Guerra degli Otto Santi (1375-78) che vide coinvolte Firenze, Milano e altre città minori contro lo Stato della Chiesa27. Lucca si trovava in una situazione molto complicata poiché al

26 Meek Ch., Lucca 1369-1400, op. cit., pp. 128-135.

27 Firenze aprì le ostilità con lo Stato della Chiesa in risposta alla politica aggressiva portata avanti in Toscana dai legati pontifici. La città riuscì a creare intorno a sé una vasta coalizione che comprendeva città quali Pisa, Lucca, Siena, Milano e molte città dello stesso Stato della Chiesa. Questo compito fu reso facile dalla sempre maggior insofferenza causata dallo strapotere dell'alto clero francese, che veniva vista come un'ulteriore vessazione di una potenza straniera. Nel marzo del 1376 Gregorio XI lanciò la scomunica sui Fiorentini e con chi avesse avuto traffici con loro e diede facoltà a tutta la cristianità di requisire i loro beni, causando un grave danno agli operatori economici, in particolare in Francia e Inghilterra. Il peggiorare del conflitto e il timore che Roma aderisse alla lega fiorentina fecero sì che il Papa decidesse di partire per l'Italia (ottobre 1376). Gregorio XI morì mentre si stavano svolgendo le trattative di pace (marzo 1378), le quali vennero concluse a Sarzana. Cfr. Gregorovius F., Storia della città

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momento dello scoppio del conflitto era in buoni rapporti con tutte le parti in causa ma non poteva rimanere neutrale. Tuttavia dopo aver rimandato a lungo la sua decisione scelse di aderire alla lega avversa al pontefice, giacchè non farlo avrebbe comportato il rischio di essere attaccata dai vicini prima che Gregorio XI avesse potuto fare alcunchè – anche perchè il pontefice si trovava ancora ad Avignone. Così il primo febbraio del 1376 prese parte alla lega ma lo fece sotto condizioni a lei estremamente favorevoli: non doveva fornire un numero prefissato di soldati e soprattutto non avrebbe preso parte a spedizioni nei territori pontifici. Grazie a questi vincoli piuttosto blandi Lucca riuscì a evitare di indispettire troppo il pontefice riuscendo a mantenervi rapporti epistolari e facendosi promotrice di una pacificazione28. Nonostante avessero suscitato spesso

l'indignazione dei propri alleati, in particolare dei fiorentini, quando nel luglio del 1378 venne sottoscritta la pace, i lucchesi erano riusciti di fatto a mantenere buoni rapporti con tutti i contendenti29.

L'esplodere del Grande Scisma (1377-1417) in quel medesimo anno portò ulteriore agitazione nella penisola a causa dei tentativi di Carlo di Durazzo e Luigi d'Angiò di insediarsi sul trono di Napoli30. In relazione alle varie leghe che

vennero formandosi fra le città toscane per proteggersi da costoro, Lucca continuò a mantenere una posizione defilata, riuscendo ad ottenere termini che le garantissero il minor impegno possibile. La città riuscì addirittura a rimanere neutrale nel conflitto che vide opposta la lega promossa dai Visconti e guidata dal duca di Virtù e quella capeggiata da Firenze, pur avendo formalmente aderito ad entrambe31.

di Roma nel Medioevo, vol. III, Torino, Einaudi, 1973, pp. 1693-1714.

28 Lucca era stata inoltre l'unico membro della lega ad accogliere la richiesta del pontefice di espellere i fiorentini dai propri territori dopo la scomunica che, assieme a Milano, aveva colpito Firenze. Meek Ch., Lucca 1369-1400, cit., p. 149.

29 Ivi, pp. 142-152.

30 La Chiesa al tempo del Grande Scisma e della crisi conciliare (1378-1449), 2 voll., a cura di Alberico G., Torino, S.A.I.E., 1967, vol. I, pp. 70-73.

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3. 1369-1392: novità istituzionali e fazionismo

Gli anni immediatamente successivi alla liberazione di Lucca furono caratterizzati, oltre che dall'apprensione provocata dagli attacchi dei Visconti e dagli Antelminelli, anche da una notevole riorganizzazione amministrativa e politica. Da tempo, infatti, si avvertiva la necessità di sostituire lo Statuto redatto all'indomani della sottomissione ai pisani (1342) e il nuovo testo iniziò ad essere discusso nell'inverno del 1370 ma fu completato solo a luglio del 1372. Elementi cardine del nuovo sistema furono la riorganizzazione delle circoscrizioni cittadine e la scelta del tipo di regime di cui la città avrebbe dovuto dotarsi.

Nel febbraio del 1370, quando ancora il cardinale si trovava a Lucca, venne decisa una nuova divisione amministrativa della città che comportò l'abbandono di quella basata su cinque porte32 a favore di una costituita da tre terzieri che

facevano riferimento ad alcune delle chiese principali: S. Martino, S. Paolino e S. Salvatore. Ciò si era reso necessario a causa del calo della popolazione che aveva alterato l'equilibrio abitativo della precedente suddivisione causando sperequazioni nella riscossione fiscale e nella rappresentanza politica che su di essa si basavano33.

Ben più travagliata fu invece un'altra importante decisione presa qualche mese dopo, ossia se la nuova repubblica sarebbe dovuta essere governata “a comune”, garantendo cioè l'accesso alle cariche più importanti sia ai popolani che ai nobili, oppure “a popolo”, escludendo quegli ultimi. Le discussioni su questa tematica furono assai accese per tutta la primavera e quando sembrò che a prevalere sarebbero stati i “popolari” alcuni cittadini tentarono di attentare al regime vigente senza però trovare successo34. Alla fine, il 31 luglio il Consiglio Generale stabiliva

32 Le porte erano quella di S. Gervasio, S. Pietro, S. Donato, S. Frediano e Borgo. Fulvio M.,

Lucca, le sue corti, le sue strade, le sue piazze, Empoli, Barbieri, Noccioli & C., 1968, pp.

28-32.

33 Le Croniche, cit., vol. I pp. 185-186; Mancini A., Storia di Lucca, cit., pp. 168-169; Fulvio M.,

Lucca, cit., pp. 28-39; Meek Ch., Lucca 1369-1400, cit., pp. 6-7.

34 Il piano consisteva nel dare alle fiamme le case dei Guinigi, dei Boccella e altri e sostituire gli Anziani. Le persone coinvolte erano tutte artigiani di umili condizioni, cosa che rende difficile capire perchè si opponessero ad un regime che, almeno in teoria, li avrebbe avvantaggiati. Il Sercambi riteneva che dietro a questo tentativo vi fosse Giovanni degli Obizzi e che questi avesse sfruttato la causa guelfa per farsi seguire dagli altri. Meek Ch., Lucca 1369-1400, pp. 183-184.

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un regime a base popolare secondo cui i nobili sarebbero stati esclusi dall'Anzianato e dal Consiglio dei Trentasei, ma avrebbero potuto ricoprire tutti gli altri uffici, compreso il vicariato. Tuttavia la situazione non si era ancora risolta: a novembre Giovanni degli Obizzi tentò di entrare in armi in città e per questo venne bandito e, in seguito, divenne uno dei ribelli più pericolosi35.

Per la vittoria della proposta “popolare” era stato decisivo l'appoggio di Francesco di Lazzaro Guinigi. Questi, oltre ad essere membro di una delle più ricche e influenti famiglie cittadine, era anche un politico di grande esperienza – aveva ricoperto diverse volte la carica di anziano duranto il periodo pisano – e, soprattutto, estremamente abile e carismatico. Era stato infatti uno degli uomini più attivi nelle trattative con il cardinale-vicario e nella difesa della città insidiata dai Visconti e dagli Antelminelli. Tutto ciò gli aveva conferito un notevole prestigio che egli cercò di sfruttare per rafforzare l'influenza della propria famiglia sulla città. Lo stesso Sercambi non nasconde che questi stesse creandosi attorno una vera e propria fazione sia in città che nel contado36.

Le ingenti risorse della sua famiglia facilitarono indubbiamente la messa in atto di questo progetto. I Guinigi avevano costituito la propria fortuna attraverso il commercio internazionale e la loro compagnia era attiva fin dalla seconda metà del Duecento. Inizialmente la loro attività era imperniata sull'importante piazza mercantile di Genova dove acquistavano, oltre alla seta greggia, anche spezie, pelliccie e lana destinati principalmente ai mercati dell'Europa Settentrionale attraverso le fiere della Champagne. Fu tuttavia a partire dai primi decenni del Trecento che i Guinigi inziarono a ricoprire un ruolo di prim'ordine nella mercatura lucchese grazie soprattutto alla vendita in Lucca e in Italia meridonale dei pregiati pannilana fiamminghi. Al momento della liberazione di Lucca nel 1369 la loro era ormai la più grande e ricca compagnia mercantile della città, con filiali a Bruges, Middelburg, Londra, Parigi e in varie città italiane. I Guinigi svolsero anche un ruolo di grande rilievo nel campo della banca internazionale:

35 Meek parla di Giovanni degli Obizzi come l'unico nobile a fare resistenza alla deliberazione del 31 luglio, mentre Mancini scrive, senza però specificarne i nomi, che i nobili coinvolti nelle turbolenze furono anche altri. Mancini A., Storia di Lucca, cit., pp. 170-171; Meek Ch., Lucca

1369-1400, cit., pp. 181-185.

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approfittando della scomunica di Firenze nel contesto della Guerra degli Otto Santi, divennero i principali collettori dei papi romani scalzando i fiorentini Alberti37.

Alla luce di ciò non sorprende dunque che Francesco di Lazzaro fosse riuscito ad attrarre un gran numero di sostenitori attorno a sé e alla propria famiglia. Tuttavia, nonostante le disponibilità economiche e la vasta clientela politica, la strada che avrebbe portato i Guinigi a creare la loro signoria all'inizio del XV secolo non fu affatto priva di ostacoli. Dovettero infatti scontrarsi con la dura resistenza di un'altra fazione guidata dalle famiglie Forteguerra – di cui si parlerà più ampiamente nel prossimo capitolo – e Rapondi, le cui risorse non erano troppo dissimili dalle loro.

Come i loro avversari, anche i Rapondi erano impegnati nella mercatura internazionale fin dal Duecento, in particolare a Parigi, Avignone e Bruges. Inizialmente essi vendevano le preziose sete lucchesi, ma nel corso del tempo iniziarono ad occuparsi anche di gioielli, opere d'arte ed altri articoli di lusso che li portarono a divenire i principali fornitori della corte borgognona. A differenza dei Guinigi, il cuore della loro compagnia non era Lucca, ma la Francia, e ciò fece sì che molti dei membri trascorressero gran parte del loro tempo Oltralpe. Questo si rivelò vantaggioso per i Rapondi giacchè permise loro di divenire i principali collettori dei proventi del papato avignonese. Non c'è dubbio che all'indomani del 1369 questa famiglia fosse seconda per ricchezza solamente ai Guinigi38.

Purtroppo non è chiaro se queste due fazioni si siano sviluppate in parallelo o se quella dei Rapondi-Forteguerra sia andata costituendosi per opporsi al crescente potere guinigiano. Altrettanto problematico è stabilire la motivazione che spinse molti lucchesi e i contadini a schierarsi con l'una o con l'altra. Meek esclude che le scelte in politica estera – ossia l'atteggiamento filofiorentino o

37 Meek Ch., Lucca 1369-1400, cit., pp. 196-203; Blomquist T. W., La famiglia e gli affari: le

compagnie internazionali lucchesi al tempo di Castruccio Castracani, in Castruccio Castracani e il suo tempo, cit., pp. 145, 154; Green L., Lucchese commerce under Castruccio Castracani, in Castruccio Castracani e il suo tempo, cit., pp. 217-232, 244-252; Galoppini L., Mercanti toscani, cit., pp. 117-121; Poloni A., Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale, Pisa, Plus University Press, 2009, pp. 74-75, 125-127.

38 Meek Ch., Lucca 1369-1400, cit., pp. 203, 218-220; Green L., Lucchese commerce, cit., pp. 238-242; Galoppini L., Mercanti toscani, cit., pp. 36, 123-124.

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filovisconteo – o l'adesione ai vecchi partiti guelfi e ghibellini abbiano giocato un ruolo in questa scelta, mentre ritiene possibile che coloro che decisero di appoggiare i Rapondi-Forteguerra lo fecero nell'ottica di salvaguardare le libertà comunali dal tentativo egemonizzante dei Guinigi. Tale ipotesi sembrerebbe supportata dal fatto che diversi esponenti della fazione anti-guinigiana avessero trascorso diverso tempo tempo all'estero e che quindi tornati in città avrebbero notato meglio come il potere fosse concentrato nelle mani di Francesco di Lazzaro e dei suoi. Ciò potrebbe anche spiegare perchè molti giurisperiti – che, almeno in teoria, erano garanti dello Statuto – si fossero schierati contro i Guinigi39.

L'unica cosa che possiamo affermare con una certa sicurezza è che nel 1385 i due schieramenti si erano già assestati giacchè a seguito della morte di Francesco di Lazzaro Guinigi (giugno 1384), come vedremo, si assisté al chiaro tentativo dei suoi avversari di sovvertire il potere che la sua famiglia aveva guadagnato40.

Nell'individuare i partigiani delle due fazioni, oltre al Sercambi, ci vengono in aiuto due preziosi documenti: il primo è una lista redatta nel 1391 nella quale sono annotati i nomi di 117 sostenitori dei Guinigi e di 41 dei Forteguerra; il secondo è una lista di uomini che i Guinigi ritenevano abbastanza fedeli da portare armi dopo lo scontro diretto fra le due fazioni del maggio 139241. Dalle informazioni in

essi contenute possiamo constatare come la composizione dei due schieramenti fosse sostanzialmente omogenea dal punto di vista economico-sociale. Entrambi ricevettero il sostegno di esponenti di famiglie che già nello statuto del 1308 erano riconosciute come ricche e potenti (potentes et casastici) e di altre che avevano acquisito importantanza nel corso del Trecento42. Oltre a costoro erano presenti

39 Meek Ch., Lucca 1369-1400, cit., pp. 221-236; Tirelli V., Il notariato a Lucca in epoca basso

medievale, in Il notariato nella civiltà toscana, Atti del Convegno (1981), pp. 275-289.

40 Mazzarosa A., Storia di Lucca, cit., pp. 238; Meek Ch., Lucca 1369-1400, cit., p. 195

41 Le liste originali sono andate perdute, ma presso la Biblioteca di Stato di Lucca è conservata una copia redatta da Bernardino Baroni (BSL, Ms. 925, ff. 207v-208v), trascritta da Christine Meek. Meek Ch., Lucca 1369-1400, cit., pp. 366-368.

42 Per quanto riguarda i potentes et casastici, i Moccidente, i Mercati, i Cenami e i Burlamacchi appoggiarono i Rapondi-Forteguerra, mentre gli Onesti, i Martini, i Boccansocchi e i di Poggio i Guinigi. Per quanto riguarda invece le famiglie che acquisirono una posizione di prim'ordine nel corso del Trecento, i Maulini, i Moriconi e i Genovardi si schierarono con i Forteguerra, mentre i Galganetti, i Mingogi, i dal Portico e i Mattafelloni appoggiarono i Gunigi. Meek Ch.,

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anche uomini di condizioni meno agiate43 e, soprattutto nel caso dei Guinigi,

anche di modesta estrazione sociale come pannai, cuoiai e tintori44. Per quanto

riguarda la fazione dei Forteguerra si riscontra, come si è già detto, una forte presenza di giudici, cosa che comportò l'esclusione dall'Anzianato dell'intera categoria quando il loro schieramento venne sconfitto45.

Le modalità attraverso cui le due fazioni riuscirono a tessere la loro rete di alleanze furono, sostanzialmente, le medesime. Per quanto riguardava le famiglie più importanti il sistema più semplice e tradizionale era formare un legame matrimoniale, cosa nella quale i Guinigi furono piuttosto avvantaggiati poiché superavano per numero i membri delle famiglie Rapondi e Forteguerra. Un'altra motivazione che poteva indurre ad appoggiare l'una o l'altra fazione era un legame di tipo economico, ossia l'aver fatto parte di una compagnia dei Guinigi o dei loro avversari. Infine coloro la cui condizione socio-economica non permetteva di ricoprire un ruolo di rilievo nella politica cittadina potevano cercare nel patronaggio di uno dei due schieramenti la possibilità di un avanzamento46.

Il legame parentale, tuttavia, non assicurava necessariamente l'affiliazione ad uno schieramento: come scrisse il Sercambi, infatti, «lo dimonio misse divizione in Lucha tra padre e figluolo, fratello e fratello47». Un caso emblematico è quello

43 Alcune di esse ebbero però un ruolo di rilievo: è soprattutto il caso di Matteo Nutini che, pur non appartenendo a una famiglia particolarmente importante e ricca, fu uno dei più attivi sostenitori dei Forteguerra, cosa che gli permise di ricoprire con continuità incarichi importanti. Meek Ch., Lucca 1369-1400, cit., pp. 223.

44 La maggior presenza di uomini di modesta condizione nella lista dei supporters guinigiani probabilmente può essere spiegata col fatto che, essendo stata redatta da parte di un Guinigi, essa era molto più accurata per questi che non per i Forteguerra. Ivi, p. 225.

45 Ivi, cit., pp. 221-222.

46 Questo fu probabilmente il caso di Giovanni Sercambi, le cui Croniche costituiscono una delle fonti principali per la conoscenza della storia di Lucca nel Trecento. Egli apparteneva ad una famiglia di modesta estrazione sociale proveniente da Massarosa e suo padre Iacopo di Ser Cambio, esercitò la professione di speziale in Lucca, dove lo troviamo fin dal 1340. Oltre a seguire la carriera paterna si diede alla politica, riuscendo nel 1372 a sedere fra i membri del Consiglio Generale. Tuttavia la sua condizione sociale gli impedì di svolgere altri incarichi di rilievo fino almeno agli anni '90 del Trecento, quando l'adesione alla fazione guinigiana gli permise di svolgere incarichi prestigiosi e di partecipare a importanti balìe create dopo il 1392. Il Sercambi fu inoltre fondamentale nella preparazione del colpo di stato che portà Paolo Guinigi a divenire signore di Lucca nel 1400. Ciò gli assicurò la riconoscenza di quest'ultimo che gli permise di occupare incarichi politici di rilievo fino alla sua morte. Meek Ch., Lucca

1369-1400, cit., p. 214; Banti O., Giovanni Sercambi cittadino e politico, in Actum Luce,

Lucca, n. XVIII (1989), pp. 7-24; Giovanni Sercambi e il suo tempo, Catalogo della mostra, Lucca, 30 novembre 1991.

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di Nicolao di Benedetto Sbarra, che pur essendo nipote di Bartolomeo Forteguerra, principale leader della fazione anti-guinigiana, compare nella lista dei sostenitori filo-guinigiani del 139148. Anche la passata appartenenza ad una delle

tre compagnie non costituiva un vincolo. Ad esempio Matto Nutini e Michele Micheli, che erano stati parte della compagnia guinigiana, furono due dei principali sostenitori della fazione dei Rapondi-Forteguerra49.

4. 1369-1392: la lotta polica e lo scontro fra gli schieramenti

L'elemento cardine attraverso cui i Guinigi e la fazione da loro capeggiata riuscirono ad esercitare una forte e indubbia influenza sul governo cittadino fu l'istituzione dei Conservatores Libertatis, proposta da Lazzaro di Francesco il 4 novembre 1374. Questa fu una speciale balìa di dodici uomini – 4 per terziere – che, contrariamente alla norma, non ebbe una durata di tempo prestabilita ma operò per più di vent'anni e, soprattutto, per i primi 17 fu retta dagli stessi uomini. Benchè il suo scopo principale fosse la protezione della città – quindi il mantenimento delle fortezze e dell'ordine nel contado e il promulgamento di ordinanze per la difesa cittadina – i suoi poteri si estesero ad una vasta gamma di ambiti, in virtù dei termini estremamente vaghi con cui le era stata concessa autorità. Per questo motivo i Conservatores cominciarono via via ad occuparsi di questioni di pertinenza del Consiglio Generale e del Consiglio dei Trentasei, erodendone i poteri e causando un netto calo delle loro convocazioni a partire dal 138050.

I Guinigi riuscirono a farne il loro principale strumento di influenza sul governo cittadino poichè l'unico reale oppositore all'interno dei Conservatores fu Bartolomeo Forteguerra. Questo permise loro di agire con una libertà di manovra assai maggiore rispetto al collegio degli Anziani e ai due Consigli, dove, pur superando in numero i loro avversari, non ebbero mai la maggioranza assoluta.

48 Meek Ch., Lucca 1369-1400, cit., pp. 212, 222. 49 Ivi, cit., p. 214.

50 i Conservatores cominciarono ad eleggere non solo ufficiali minori, ma anche vicari e podestà; presero inoltre ad occuparsi del pagamento dei condottieri e dei debiti contratti nel 1369 e arrivarono a riammettere alcuni banditi e a fare modifiche allo Statuto. Ivi, pp. 237-242.

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Ma lo strapotere di questa istituzione, unito al fatto che a reggerne le fila fossero sempre i medesimi uomini, portò nel corso degli anni ad una maggior avversione verso i Conservatores non solo da parte della fazione avversa ma dalla cittadinanza in generale. Fu così che gli stessi membri della balìa nel febbraio del 1381, per evitare maggiori problemi, decretarono l'inclusione di altri 24 uomini – 8 per terziere – attraverso un sistema di alternanza in tre gruppi (gite). Nonostante questo ampliamento, però, il timone dell'istituzione rimase saldamente nelle mani dei Guinigi51.

La morte di Francesco di Lazzaro nel giugno del 1384, tuttavia, diede ai Rapondi-Forteguerra la possibilità di ribaltare la situazione. Nel gennaio del 1385 riuscirono, infatti, ad ottenere l'abolizione dei Conservatores, che furono sostituiti dai Commissari palatii super bono statu civitatis, formanti anch'essi una balia a scopo difensivo ma con precise restrizioni rispetto a quella precedente52. Venne

inoltre stabilito un limite al numero degli invitati che avrebbero potuto prendere parte ai vari consigli, in quanto questi ultimi erano stati spesso utilizzati dai Guinigi per aumentare ulteriormente la propria influenza. Infine, per consolidare il nuovo status quo, si proibì ogni futuro cambiamento alla forma del governo. Questi provvedimenti, pur riuscendo in un primo momento ad assestare un duro colpo al potere dei Guinigi, non ebbero un effetto duraturo. Questi ultimi non solo mantennero la loro superiorità nei Collegi e fra gli Anziani, ma riuscirono anche ad imporsi in seno ai Commissari già dalla seconda formazione53.

A partire dal 1385 gli attriti fra le due fazioni non fecero che accrescersi, raggiungendo il culmine nel triennio 1390-92. Il punto di non ritorno fu rappresentato dall'intascamento degli Anziani del luglio 1390, foriero di polemiche che si sarebbero trascinate fino allo scontro aperto del maggio 139254.

51 Ivi, pp. 242-250.

52 Venne infatti stabilito che i Commisarii non si sarebbero potuti ocupare di questioni di competenza dei Consigli o degli Anziani. Mazzarosa A., Storia di Lucca, cit., p.238; Meek Ch.,

Lucca 1369-1400, cit., pp. 252.

53 Meek Ch., Lucca 1369-1400, cit., pp. 252-256.

54 A eleggere il Collegio degli Anziani erano gli Anziani in carica, il Concilio dei Trentasei e sei invitati per terziere. I 120 nomi scelti venivano divisi a gruppi di dieci in dodici collegi – dalla durata di due mesi ciascuno – la cui formazione era scritta in fogli singoli che venivano poi chiusi in un forziere. Otto giorni prima che scadesse il mandato di un collegio, quello seguente veniva estratto dal Consiglio dei Trentasei. Ivi, cit., p. 8.

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L'intascamento, oltre ad essere piuttosto favorevole ai Guinigi, vide infatti Bartolomeo Forteguerra posto fra i cosiddetti spiccinati, ossia i 24 sostituti degli Anziani che per morte, malattia o altra motivazione non potevano espletare il loro incarico. Solitamente tale posizione era ricoperta da giovani che avevano da poco iniziato la propria carriera, perciò porvi un politico di grande esperienza come Bartolomeo era un dichiarato insulto alla sua persona. Questo fatto ebbe notevole risonanza e i Forteguerra a dicembre riuscirono a radunare intorno a sé metà della città e del contado. Lo schieramento guinigiano dovette quindi correre ai ripari per scongiurare una situazione così critica: venne quindi proposto che l'intascamento successivo sarebbe stato valido per tre anni invece che per due, consentendo quindi a un numero maggiore di cittadini di accedere all'Anzianato55.

I Forteguerra e la loro fazione accettarono questa proposta, ma la situazione si tranquillizzò solo per un breve periodo giacchè nel marzo seguente vi furono accese discussioni in seno al Consiglio Generale. Esso si era riunito come ogni anno per discutere dell'amnistia pasquale e, per l'occasione, venne deciso che non sarebbero stati convocati degli invitati. Tuttavia, grazie all'appoggio dell'allora Gonfaloniere Gherardo Burlamacchi, sedici sostenitori dei Fortegguera si presentarono al Consiglio e richiesero l'annullamento dell'intascamento dell'anno precedente e la formazione di una balìa che avrebbe dovuto occuparsi delle misure da adottare. La questione fu risolta da un consigliere – di cui non sappiamo il nome – che propose di rinviare la questione a una riunione successiva in cui sarebbero stati presenti anche invitati dei Guinigi. Essa ebbe luogo la settimana seguente, e, dopo accese discussioni riguardo all'intascamento per tre anni, venne stabilito che tutte le decisioni circa le modalità con cui esso sarebbe stato realizzato sarebbero state prese da una commissione di tre uomini. Costoro furono Forteguerra Forteguerra, Paolo Nutini, suo sostenitore, e Pietro Gentili, di parte guinigiana56.

Ancora una volta questo accordo fu solo un palliativo e il clima che si

55 Venne inoltre stabilito che nei prossimi intascamente solo i giovani sarebbero potuti essere posti fra gli spiccinati. Mazzarosa, Storia di Lucca, cit., pp. 239-40; Meek, Lucca 1369-1400, cit., pp. 257-60; Tori, Bartolomeo Forteguerra, in DBI, vol. 49 (1997), s.v.

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respirava a Lucca preludeva la sempre più imminente crisi.

«Moltiplicando la divizione e ungni parte facendosi forte di gente, et volendo ogni d' mutare leggie, cassando officiali et conestabili et mutando castellani, la qual divizione non restando, fu necessità del mese d'agosto di MCCCLXXXXI, avendo l'una secta e l'altra brigate d'armi, che tali brigate di ciascuna parte armate […] Ma non piacque a Dio che tali brigate si giungessero insieme. […] a questo modo visse Luccha più e più mesi, non faccendosi ragione, non punendo chi fallì, sparlando et tenendo loggia di mal dire per tucto Luccha e in nel contado, com minacci l'uno contra l'altro; intanto che più volte, per ciascuna delle parti, fu facto raunamento di genti per volere combatere insieme. Ma pur in quel tempo non si trovònno insieme con arme,se non con parole57».

A gennaio del 1392 Bartolomeo Forteguerra avanzò tre richieste al Consiglio Generale. Innanzitutto richiese che il primo collegio di Anziani dell'intascamento per tre anni sostituisse l'ultimo collegio di quello precedente, nel quale Lazzaro Guinigi sarebbe dovuto essere Gonfaloniere. Inoltre domandò che il numero dei condottieri, ossia gli ufficiali preposti all'assunzione e al controllo delle truppe mercenarie, fosse ridotto da sei a tre. Infine chiese che tutti i capitani fossero dimessi e sostituiti, cosa che ci induce a credere che quelli che allora erano in carica fossero simpatizzanti dei Guinigi. L'unica proposta presa in considerazione fu la seconda, sebbene venisse deciso che i condottieri sarebbero stati ridotti a quattro e non a tre. Questo ennesimo diverbio non fece che aumentare ulteriormente il clima di tensione che animava Lucca:

«E mentre che tali cose s'indugiavino, l'una secta e l'altra si facea forte d'amici dentro e di fuori e d'armadure, et tanto crebbe la dicta diferenza, che naque discordia tra padre e figluolo, fratello e fratello socioro et gennero, compagno et compagno, vicino et vicino. […] In nella ciptà di Luccha né in nel contado, non si observava iustitia né ragione et era divenuta Luccha peggio ch'um bosco58».

Le proposte riguardo il numero dei condottieri e la sostituzione dei capitani furono riproposte, senza tuttavia trovar miglior fortuna, il 7 maggio a un “colloquio” promosso dall'allora Gonfaloniere Forteguerra Forteguerra, in cui

57 Le Croniche, cit., vol. I, pp. 265-264. 58 Ivi, vol. I, p. 274.

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erano presenti partigiani di entrambe le fazioni59.

Qualche giorno dopo, il 12 maggio, il confronto fra i due schieramenti, che fino ad allora era rimasto confinato entro le varie assemblee e balìe, uscì dalle aule dei consigli ed eruppe nelle strade in uno scontro aperto. Entrambe le fazioni raccolsero uomini dalla città e dal contado che diedero inizio ad una vera e propria battaglia: il combattimento decisivo avvenne alla Torre del Veglio all'angolo di Piazza S. Salvatore da cui uscirono vincitori gli uomini dei Guinigi. Un gruppo di essi, guidato da Lazzaro di Francesco, si recò quindi al palazzo degli Anziani per catturare Forteguerra Forteguerra. Trovatolo nascosto nella stanza del Gonfaloniere, senza il consenso di Lazzaro, venne ucciso e defenestrato60:

«E per paura il dicto gomfalonieri si rinchiuse in nella sua camera e quine, contra la voluntà del dicto Lazzari et di quelli ciptadini che col dicto Lazzari erano, per alcuno forestieri el dicto Forteguerra gomfalonieri morto fu, e gictato giù dalle finestre61».

La stessa sorte colpì anche Bartolomeo Forteguerra: ritenuto la causa principale dei tumulti cittadini, il 13 maggio furono decretati il suo arresto e la sua condanna a morte. Tuttavia, mentre il Podestà - come da direttive - stava conducendo il Forteguerra al Palazzo del Consiglio Generale fu intercettato da Andrea Stornelli, sostenitore dei Guinigi, che senza l'approvazione degli Anziani, decapitò il prigioniero:

«Et essendo il dicto messer Bartholomeo nascozo, dipò molto cerchare, quello fu trovato per lo dicto podestà appresso a san Frediano; et conducendolo, sopraggiunse Andrea Stornelli con alquanti in sua compagnia, e il dicto messer Bartholomeo prese e co lui Nicolao di Benedetto Sbarra suo nipote; e quando giunse al canto della loggia, Andrea sopracripto fe' puonere giù il dicto messer Bartholomeo et sensa più indugio et sensa alcuna confessione o scriptura, li fe' taglare il capo, e il nipote fu libero62».

59 Meek, Lucca 1369-1400, cit., pp. 264-266.

60 Mazzarosa A., Storia di Lucca, cit., pp. 242-243; Mancini A., Storia di Lucca, cit., p. 182; Meek Ch, Lucca 1369-1400, cit., pp. 267-268.

61 Le Croniche, cit., vol. I, p. 279. 62 Ivi, vol. I, p. 281.

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5. 1392-1400: la costruzione della signoria guinigiana

Lo scontro che da circa vent'anni aveva animato la politica lucchese si era dunque concluso con la completa vittoria dei Guinigi i quali, rimasti ormai da soli, ebbero il terreno spianato per la conquista della completa supremazia.

Un primo passo in questa direzione venne compiuto, il 15 maggio, con la creazione di una balìa di 24 uomini, quasi tutti sostenitori dei Guinigi. Essa venne dotata di poteri molto ampi al fine di riportare la situazione alla normalità e prendere le decisioni per evitare nuovi problemi e, di fatto, per i tre mesi successivi governò la città. Innanzitutto essa, assieme al Consiglio Generale, si occupò di punire quanti avevano parteggiato per i Forteguerra negli scontri del 12 maggio. Nessuno dei partecipanti fu condannato a morte ma molti furono mandati in esilio, fra i quali vi erano Giovanni Maulini che fu confinato a Roma, Giovanni Rapondi ad Avignone e Matteo Nutini fuori dalla Toscana. Ad altri venne invece precluso l'accesso all'Anzianato, ai Consigli e agli uffici più importanti: fu questo il caso, ad esempio, di Piero Rapondi e Iacopo Ronghi. Infine alcuni non furono puniti affatto e continuarono a ricoprire le loro cariche, come nel caso di Giuffredo Cenami e Castruccio Saggina63.

Parallelamente a ciò vennero ricompensati coloro che invece avevano appoggiato la causa guinigiana. I di Poggio, ad esempio, vennero liberati delle limitazioni che lo Statuto del 1370 aveva imposto alle famiglie nobiliari. Ad Agostino e Nicolao Avvocati venne invece azzerato il debito che avevano nei confronti del Comune. La gratitudine, tuttavia, non fu riversata unicamente sui sostenitori più potenti ma andò anche a beneficiare quelli di più modesta estrazione sociale, che videro un deciso avanzamento nella propria carriera politica e negli uffici pubblici.

Dopo aver riportato all'ordine la situazione e aver preso misure affinchè non si verificassero nuovi tumulti, dunque, i Guinigi poterono concentrare i propri sforzi nel consolidamento della propria egemonia. Ciò si realizzò, almeno fino al 1400, con le medesime modalità dei due decenni precedenti, grazie cioè al controllo sui

63 Mazzarosa A., Storia di Lucca, cit., pp. 244-245; Mancini A., Storia di Lucca, cit., p. 182; Meek, Lucca 1369-1400, cit., pp. 272, 278-79.

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Consigli, sull'Anzianato e sugli altri principali incarichi amministrativi, attraverso i propri sostenitori. Fondamentale fu il controllo dei Commissari che, pur avendo limitazioni più precise sui loro poteri rispetto ai vecchi Conservatores, di fatto tornarono ad avere un ruolo da protagonisti nell'amministrazione cittadina64.

Negli ultimi anni del XIV secolo una serie di modifiche allo Statuto, che preludevano la redazione del nuovo testo – completato nel 1399 – rafforzarono ulteriormente la posizione dei Guinigi. Nel 1397 il numero dei membri del Consiglio Generale fu ridotto da 180 a 135 rendendolo, così, più facilmente controllabile. L'anno seguente venne stabilito che se il Gonfaloniere fosse stato impossibilitato a svolgere il proprio incarico sarebbe potuto essere sostituito da un Anziano del medesimo terziere, senza dover rispettare il periodo di vacanza – quindi un altro membro della famiglia poteva immediatamente sostituirlo. Nel 1399 fu inoltre ridotto il periodo di vacanza fra fratelli e fra padri e figli da quattro a due mesi65.

Nonostante la posizione da loro acquisita il nuovo secolo si rivelò estremamente difficile per i Guinigi. A febbraio del 1400 Lazzaro di Francesco, che dopo la morte del padre (1385) aveva preso in mano le redini della famiglia, fu assassinato da suo fratello minore Antonio e da Nicolao di Benedetto Sbarra66.

La morte di Lazzaro fu però solo il preludio di ulteriori lutti succedutisi in quel medesimo anno: a maggio morì Bartolomeo di Francesco; a fine giugno la pestilenza che imperversava a Lucca fin dal settembre dell'anno precedente costò la vita a Lazzaro di Niccolò, che fu seguito poco tempo dopo da suo figlio Giovanni; infine ad ottobre moriva Michele, fratello di Francesco. Queste morti furono un durissimo colpo giacchè avevano privato la famiglia dei membri allora più influenti. Ciò fu ulteriormente aggravato dal fatto che Paolo, l'ultimo discendente superstite di Francesco di Lazzaro, non aveva lo stesso carisma del

64 Meek Ch., Lucca 1369-1400, cit., pp. 271-293. 65 Ivi, pp. 296-297.

66 Si ritiene che la motivazione che spinse Antonio a uccidere il fratello fosse legata al fatto che Francesco invece di dare in sposa Caterina Castracani degli Antelminelli a lui l'aveva fatta sposare con il loro fratello minore Paolo. Per quanto riguardava invece Nicolao di Benedetto Sbarra, il Sercambi ritiene che egli in cuor suo non fosse mai stato realmente fedele a ai Guinigi. Le Croniche, cit., vol II, pp. 405-410; Mancini A., Storia di Lucca, cit., pp. 182-183; Meek Ch., Lucca 1369-1400, cit., pp. 333-335.

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padre o del fratello Lazzaro67.

Questo indebolimento riaccese le speranze di quanti avversavano il regime guinigiano e portò alla defezione di alcuni di coloro che l'avevano sostenuto. Secondo il Sercambi in quel periodo si stavano infatti preparando diversi complotti in cui sembrava fosse collusa anche Firenze. Questo clima di tensione e la durezza con cui la pestilenza imperversava in città, tuttavia, si rivelarono alla fine un elemento fondamentale per l'instaurazione della signoria dei Guinigi. La criticità della situazione permise infatti la creazione di una balìa di dodici uomini – ovviamente tutti filo-guinigiani – che fu dotata di amplissimi poteri per quanto riguardava l'amministrazione cittadina e che sarebbe dovuta rimanere in carica per la durata di un anno. La pestilenza, inoltre, provocando la morte o la fuga di moltissimi cittadini, causò numerosi vuoti nei Consigli e fra gli Anziani che, ovviamente, furono colmati con partigiani dei Guinigi68.

Fu così che a ottobre Paolo, approfittando del fatto di essere Anziano e che Giovanni Sercambi fosse Gonfaloniere, decise di tentare un colpo di mano. Nella notte fra il 13 e il 14 si recò nella pubblica piazza e vi convocò tutti i propri sostenitori dal contado, rimanedo in armi fino alla mattina. A quel punto il Sercambi convocò la balìa dei dodici affermando che Paolo era armato poiché i banditi, con l'aiuto dei Fiorentini, volevano attaccare la città. Sebbene vi fossero state alcune opposizioni, alla fine Paolo venne nominato Capitano e Difensore del Popolo. A questo punto si trattava solo di compiere l'ultimo passo per ottenere il controllo definitivo sulla città. Ciò fu propiziato dalla scoperta di una congiura ordita ai danni di Paolo da Nicolao Guinigi, suo cugino nonchè vescovo di Lucca (dal 1394), e da Bartolomeo da Aramo. Quest'ultimo fu giustiziato mentre il primo in virtù della sua carica e del legame familiare che lo legava al Capitano venne perdonato69. Capendo che la sua posizione era ancora in bilico, il 21 di novembre

Paolo si decise ad agire con risolutezza:

67 Mazzarosa A., Storia di Lucca, cit., pp. 250-251; Meek Ch., Lucca 1369-1400, cit., pp. 335-336, 341.

68 Mazzarosa A., Storia di Lucca, cit., pp. 251-252; Meek Ch., Lucca 1369-1400, cit., pp. 337-341; Altavista A., Lucca e Paolo Guinigi (1400-1430): la costruzione di una corte

rinascimentale. Città, architettura, arte, Pisa, ETS, 2005, p. 45.

69 Mancini A., Storia di Lucca, cit., pp. 183-184; Mazzarosa A., Storia di Lucca, cit., pp. 254-256; Meek Ch., Lucca 1369-1400, cit., pp. 341- 343.

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«Avendo veduto il tractato che contra lui era ordinato, prese pensieri che a lui conveniva vivere per altro modo che non vivea. E però com buon consiglio deliberò farsi signore, et avere della ciptà et del contado mero et misto imperio di potere tucto fare. Et così per li XII della balìa e per lo dicto colleggio, il predicto Paulo fu facto signore a baccheta. Et così facto, montò a chavallo et chavalcò con tutte le masnade da piè e da cavallo, per la ciptà di Luccha, gridando: viva il signore!70».

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Capitolo II – I Forteguerra e Forteguerra

1. I Forteguerra

I Forteguerra erano una famiglia originaria del contado di Lucca, proveniente da Cotrozzo situato nel piviere di Brancoli a nord della città. Sul loro stemma era rappresentano entro un campo dorato un leone azzurro brandente una mazza ferrata71.

L'albero genealogico ricostruito da Bernardino Baroni72 ci presenta come

capostipite della famiglia tal Berardo Visconti detto Paganuccio, vissuto nella prima metà del X secolo, sul quale purtroppo non si sono trovate maggiori informazioni73. Nel XII secolo troviamo menzione della nomina di Forteguerra del

71 ASL, Biblioteca Manoscritti, 125 (Bernardino Baroni, Famiglie lucchesi).

72 Bernardino Baroni (1694-1781) fu autore di diverse opere di carattere storico-antiquario riguardanti Lucca, sua città natale. Nessuno dei suoi scritti venne mai dato alle stampe ma si conservano diversi manoscritti presso l'Archivio di Stato di Lucca e la Biblioteca Statale di Lucca. Suo figlio Giuseppe Vincenzo, seguì le orme paterne e si dedicò anch'egli allo studio della storia e delle famiglie lucchesi. Petrucci A., Bernardino Baroni, in DBI, vol. 6 (1964), s.v 73 ASL, Biblioteca Manoscritti, 21 (Bernardino Baroni, Alberi di Famiglie), c. 107r.

1: Stemma della famiglia Forteguerra (ASL, Biblioteca Manoscritti, 125)

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