Università di Pisa
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Scuola di Specializzazione in Medicina Interna
Anno accademico 2016/2017
DIAGNOSI ECOGRAFICA DI POLMONITE
IN DEA
Dr. Mario Comassi
Relatore
Correlatore
Dr. Massimo Santini
Dr.ssa Francesca Frassi
Prof. Stefano Taddei
Introduzione
La sintomatologia di pertinenza respiratoria rappresenta una delle principali cause che portano ad accedere in DEA e, il comune utilizzo della radiologia convenzionale, spesso eseguita in pessime condizioni tecniche, non risulta talvolta dirimente per la diagnosi. D’altra parte, il paziente acuto, presenta delle condizioni cliniche instabili che richiedono un esame “bedside” del malato con decubito obbligato, scarsa collaborazione e device di supporto, specialmente quando concomitano alterazioni dei parametri vitali. L’esecuzione di scansioni TC, pur potendo ovviare alla scarsa accuratezza del radiogramma del torace, non è possibile eseguirla di routine sia per motivi di radioprotezione (età, sesso, numero di esami già eseguiti nel breve tempo, gravidanza) che per la necessità di assistenza continua del malato che non è facilmente trasportabile. In un’ottica di razionalizzazione e risparmio delle risorse è necessario inoltre valutare le tempistiche necessarie per l’esecuzione degli esami radiologici che comprendono: preparazione, trasporto, esecuzione esame e successivo rientro nei locali di PS con quindi rallentamento del processo di diagnosi. L’impiego dell’ecografia toracica per lo studio delle patologie acute polmonari (così come l’ecografia point of care in generale) permette di eseguire l’esame rapidamente, al letto del paziente, guidando così il medico in maniera dinamica nel processo diagnostico.
Aspetti di radioprotezione
Il ricorso ad indagini radiologiche di imaging rappresenta un elemento consolidato della prassi medica, giustificato da sicuri vantaggi clinici per i pazienti, tali da controbilanciare spesso il modesto rischio radiologico. Evidenze sia epidemiologiche che sperimentali hanno stabilito in modo solido una correlazione fra
radiazioni ionizzanti a bassa dose e lo sviluppo di neoplasie sia solide che di pertinenza ematologica. Difatti la popolazione ed elevato rischio come i sanitari o coloro che lavorano in luoghi sottoposti a radiazioni, sono monitorati in modo peculiare al fine di ridurre l’accumulo di radiazioni ionizzanti a 20mSv/anno. D’altra parte è ancora poco diffusa, soprattutto in ambito medico, la sensibilità nella valutazione dell’accumulo di radiazioni ionizzanti nei pazienti che vanno incontro a processi diagnostici di imaging, spesso ripetuti, i quali non sono monitorizzati per verificare un eventuale accumulo. Noi tutti, immancabilmente, siamo esposti ad una dose di radiazioni naturali, provenienti da: suolo, cibo, acqua ma soprattutto dai raggi cosmici. L'atmosfera, a livello del mare, assicura un certo grado di esposizione con una dose totale di accumulo stimata di circa 2.7 mSv/anno. E’ stimato che un paziente, in un anno, assorbe circa 3.0mSv, equivalente di circa 150 RX torace (1mSv=50 RX torace), soprattutto a seguito di esami TC o di medicina nucleare i quali costituiscono circa il 75.4% della dose cumulativa totale [1]. Con una popolazione sempre più anziana (secondo dati ISTAT 2017 l’età media italiana è di 44.5) sono inoltre molti i pazienti che, a seguito dell’elevato numero di ospedalizzazioni annue vanno incontro ad un numero sempre maggiore di esami radiologici che, soprattutto in un setting di urgenza con un ”sovrautilizzo” di scansioni TC per raggiungere in modo più rapido e preciso la diagnosi, sono esposti ad un rischio nettamente maggiore di carcinogenesi, che in tale contesto, potremmo definire quindi iatrogena[2]. E’ stato difatti accolto con molto clamore lo studio pubblicato, e rivolto soprattutto alle indagini cardiovascolari, nel 2014 da Picano et al. che ha delineato per la prima volta una sorta di linea guida per il buon uso delle radiazioni ionizzanti nel processo diagnostico. E’ necessario ricordare che, a parità di dose, la sensibilità al danno radiologico dei singoli tessuti varia in relazione all’indice mitotico di ciascun tessuto. Gli organi maggiormente sensibili agli effetti delle radiazioni
ionizzanti sono quindi: Ovaie, Testicoli, Midollo Osseo, Polmoni, Intestino (soprattutto stomaco e colon) e le mammelle. Pertanto, il medico di urgenza ed in generale tutti i clinici, al fine di evitare un eccessivo accumulo di dose ionizzante, specialmente nei paziente più fragili (che in questo caso non sono gli anziani ma bensì i più giovani o coloro affetti da patologie croniche con lunga storia naturale) deve scegliere, al momento giusto e per il quadro clinico intercorrente, il corretto esame diagnostico di imaging cercando di ridurre al minimo la somministrazione di radiazioni al paziente.[3]
Anatomia ecografica della gabbia toracica e del
polmone
La diagnostica ecografica del polmone, negli ultimi anni, si sta progressivamente diffondendo, soprattutto nei reparti di urgenza. Al fine di eseguire lo studio ecografico del torace si necessita sia di sonde convex a bassa frequenza (2-‐4Mhz), con quindi maggior capacità di penetrazione dei tessuti profondi, che sonde lineari ad elevata frequenza (7-‐12mHz) per lo studio delle strutture superficiali. Al fine di rendere riproducibile il risultato, così come per gli altri distretti corporei, è necessario che l’orientamento delle immagini avvenga secondo delle linee guida internazionali e la refertazione eseguita con un linguaggio tecnico comune. Si devono pertanto ottenere scansioni longitudinali (parte cefalica verso sinistra) e scansioni oblique (sinistra del paziente alla destra dell’operatore) [4]. Inoltre, sebbene questo sia la base di tutte le applicazioni cliniche dell’ecografica, nello studio del torace è fondamentale che l’esame sia guidato dai segni clinici del paziente e che quindi abbia inizio dalla “zona” dove è riferito il sintomo o dove il nostro esame obiettivo riscontra delle anomalie [5].
Fig 1. Scansioni internazionali ecografia torace [5]
La gabbia toracica è costituita da cute e sottocute, fasce e muscoli della parete, coste e pleura parietale. Le coste, costituite prevalentemente da tessuto osseo ad eccezione della loro porzione iuxtasternale cartilaginea (transonica), determinano per loro caratteristica un assorbimento del fascio ultrasonico con conseguente formazione di un caratteristico cono d’ombra posteriore. Il tessuto polmonare viene valutato per mezzo dell’interpretazione di artefatti generati dalla linea pleurica, costituita dai due foglietti parietale e viscerale addossati l’uno con l’altro, visibile in condizioni normali come una linea ecogena regolare dello spessore di circa 2mm e che si porta a costituire l’interfaccia parieto-‐polmonare rappresentante la superficie del polmone. I due foglietti, indistinguibili in condizioni normali, scorrono l’uno sull’altro in maniera sincrona con gli atti respiratori creando un movimento denominato “lung sliding” o “lung gliding” che indica la presenza di contatto parietale fra i due foglietti pleurici e quindi la presenza di una dinamica polmonare. Il riconoscimento di tale segno è fondamentale nell’esecuzione dell’ecografia polmonare ed è visibile, oltre che in B-‐mode, in M-‐mode con il tipico aspetto denominato “sea shore”, utile soprattutto a livello degli apici polmonari, dove il gliding non sempre è di facile osservazione, soprattutto nei pazienti obesi o poco collaboranti.
Fig. 2 “Sea shore” sign
Il gliding è evidenziabile con meno facilità anche nell’enfisema polmonare o in presenza di bolle aeree. Altro artefatto fondamentale quando si valuta ecograficamente il polmone è il “lung pulse” che rappresenta il movimento ritmico della superficie pleurica conseguente all’attività cardiaca, riscontrabile soprattutto nelle aree polmonari peri-‐pericardiache. La sua presenza permette di escludere la presenza di uno pneumotorace e, in assenza di gliding, è suggestivo di atelettasia polmonare con contatto polmonare presente ma assente dinamica respiratoria efficace. Quando si riscontra una repentina interruzione del gliding a livello della linea pleurica, si può individuare un “lung point” a seguito del quale si visualizza una linea pleurica immobile che indica pertanto la perdita di contatto parietale fra i due foglietti pleurici, con pneumotorace.
Fig. 3 Lung Point
Il riscontro di un lung point anteriore indica la presenza di piccole falde di pneumotorace mentre, quando questo si reperta posteriormente, può essere indice di uno pneumotorace massivo. L’interpretazione di tali artefatti dinamici del polmone ci permette pertanto di valutare eventuali alterazioni della meccanica respiratoria. L’aspetto ecografico polmonare statico, in condizioni di
normalità, è caratterizzato da artefatti orizzontali, definiti “linee A”, che ripetono costantemente la linea pleurica ad intervalli regolari.
Fig. 4 Campo polmonare normale con linea pleurica lineare iperecogena e linee A (orizzontali)
Accanto alle linee A si possono però individuare delle “linee B” rappresentate da artefatti a “coda di cometa” che, rari nei soggetti normali, si portano con decorso verticale e consensuale al gliding polmonare, verso la profondità, cancellando il disegno polmonare definito dalle linee A.
Fig. 5 Campo polmonare con linee B (verticali)
Le linee B si vengono a formare a seguito della differente impedenza acustica fra contenuto di aria ed acqua a livello polmonare. Si possono inoltre evidenziare anche delle “linee E”, ad origine da cute e sottocute, che intersecano dall’alto la linea pleurica, espressione di enfisema sottocutaneo. Con lo studio ecografico del polmone è inoltre facilmente valutabile la presenza di versamento pleurico con sensibilità e specificità sovrapponibile ad un esame TC e maggiore rispetto ad un RX torace. Il versamento appare come una raccolta transonica (anecogena, ipoecogena o iperecogena in base al contenuto di acqua) interposta fra il foglietto pleurico parietale e viscerale, già visibile per volumi esigui e pertanto eventualmente campionabile a scopo diagnostico sotto la stessa guida ecografica. [6,7].
Fig. 6 Versamento Pleurico destro
Utilizzo dell’ecografia toracica nelle patologie polmonari e
specifici segni ecografici
PNEUMOTORACE
Il riconoscimento radiologico di uno pneumotorace (sia esso di origine spontanea, traumatica o iatrogena) non è semplice e la sensibilità dell’RX torace nella diagnosi è stimata fra il 50 ed il 70% in relazione all’entità (logicamente falde minime sono di più difficole diagnosi spesso rientrano nella definizione di “pneumotorace occulto”) [8]. La TC torace rappresenta pertanto il gold standard diagnostico ma il suo utilizzo logicamente non può essere utilizzato in modo routinario [9]. L’ecografia toracica si è dimostrata efficace e superiore nel porre la diagnosi di pneumotorace per mezzo del riscontro di tre segni specifici:
1. Assenza di gliding 2. Assenza di linee B 3. Riscontro di lung point
La valutazione dell’assenza di gliding fra i foglietti pleurici ha una sensibilità del 100% ma bassa specificità (60-‐90%) in pazienti con distress respiratorio e basso valore predittivo positivo (27%) nei pazienti dispnoici osservati in DEA. Tale reperto può difatti essere apprezzato anche in corso di polmonite, atelettasia massiva, aderenze, ARDS, ventilazione assistita ad alte frequente, paralisi nervo frenico ed apnea respiratoria. L’assenza di linee B coadiuva la diagnosi perché, anche quando se ne visualizza solo una, questa esclude un’interposizione di aria fra i due foglietti pleurici. Infine, individuare un lung point, cioè un punto preciso dove si interrompe il gliding, ci fornisce una specificità del 100% ed una sensibilità del 66% nello stabilire la diagnosi di pneumotorace. La sensibilità del
lung point è del 76% nella diagnosi del pneumotorace occulto, cioè non documentabile al radiogramma del torace. [10]
Fig. 7 Pneumotorace
LESIONI PARIETALI E VALUTAZIONE DEL DIAFRAMMA
Il paziente traumatizzato può essere valutato con l’ecografia toracica per il riconoscimento di eventuali lesioni parietali e di fratture costali, soprattutto nella regione iuxtasternale, non valutable radiograficamente. Con l’ecografia si possono inoltre individuare precocemente contusioni polmonari e lacerazioni del diaframma,
spesso occulte anche all’esame con TC. Con l’impiego di sonde lineari si possono esplorare ecograficamente le fratture a carico di coste e sterno, visualizzando un’interruzione della linea corticale, iperecogena. Con questa metodica, più sensibile rispetto alla radiologia convenzionale nelle prime ore dal trauma, è quindi possibile ottenere una diagnosi precoce e monitorare nel tempo le fratture. [11]
Fig. 8 Frattura costale
VERSAMENTI PLEURICI
La valutazione del versamento pleurico e la guida nell’esecuzione di manovre invasive di drenaggio e di posizionamento di drenaggi pleurici sono state le prime applicazioni dell’ecografia toracica. Procedendo con la sonda (convex) in senso cranio-‐caudale, fino ad arrivare alla base del polmone, è possibile osservare qualsiasi natura, anche in piccole quantità, di liquido accumulato fra la pleura parietale e viscerale (infiammatorio, trasudatizio, ematico, etc. etc.), che quindi non si osserveranno più ecograficamente come un’entità singola ma separate nelle loro porzioni viscerale e parietale. Si osserverà difatti uno scollamento dei due foglietti pleurici con un’area interposta prevalentemente anecogena con scomparsa del gliding e del “curtain sing” a livello dei seni costofrenici per
accumulo del liquido nei recessi declivi. Se il paziente è collaborante, cambiandogli il decubito, si possono identificare versamenti liberi o saccati ed osservare come strie libere iperecogene fluttuanti, eventuali tralci di fibrina. La stima del versamento pleurico è sostanzialmente approssimativa e “visiva” da parte dell’operatore. Sono stati validati però dei metodi per ottenere una stima più precisa del suo volume fra i quali quello più accreditato è la misura della profondità del versamento e del suo diametro longitudinale, che spesso correlano con il suo volume. Rispetto alle scansioni TC (eseguita a paziente supino), l’ecografia risulta superiore nella tipizzazione del versamento, risultando quindi utile anche nella diagnosi differenziale. L’aspetto ecografico dei versamenti pleurici può variare in base alle caratteristiche chimico-‐fisiche del liquido ed è generalmente riconducibile a tre pattern:
1. Anecogeno: trasudatizio
2. Iperecogeno: essudatizio, ematico o chiloso 3. Settato: versamento pleurico cronico
Inoltre, l’ecografia toracica, è un ottimo presidio per la guida all’esecuzione della toracentesi, con netta riduzione delle complicanze periprocedurali e una maggiore rapidità di esecuzione. [12,13]
SINDROME INTERSTIZIALE ED INTERSTIZIO-‐ALVEOLARE
Ecograficamente, un polmone sano, è identificabile per mezzo di un insieme di artefatti e pertanto, alterazioni a carico degli alveoli o dell’interstizio che modificano i rapporti fra “componente aerea” e “componenti solide”, stravolgono il normale pattern ecografico, rendendo visibili le alterazioni patologiche.
La sindrome interstiziale racchiude un insieme eterogeneo di patologie alla cui eziologia concorrono meccanismi infiammatori, infettivi, fibrotici o congestizi. Il pattern ecografico identificativo di questa sindrome è costituito dalla comparsa di artefatti verticali (comete o linee B) a partenza dalla linea pleurica che si propagano in profondità coprendo le linee A, espressione della normale aereazione polmonare. Le linee B hanno inoltre un rapporto fisso con la linea pleurica e si spostano con essa. L’origine dell’artefatto a coda di cometa (secondo l’attuale nomenclatura internazionale “linee B”) è conseguenza dell’interazione degli ultrasuoni con l’interfaccia mista fra aria ed interstizio ispessito, derivante da un aumento del contenuto di acqua extravascolare con conseguente distress dell’interfaccia alveolo-‐capillare. [14] Le linee B sono pertanto un segno quantitativo e riproducibile presente nei quadri di scompenso cardiaco, edema polmonare, ARDS, polmonite interstiziale ed interstiziopatie. La loro interpretazione, sempre in concerto al quadro clinico generale, permette soprattutto se affiancata ad una valutazione ecocardiografica, una rapida diagnosi differenziale con notevole risparmio di tempo e risorse, specialmente in un setting di urgenza. La presenza di linee B diffuse identifica difatti la presenza di edema polmonare con una sensibilità del 100% e specificità del 93%, soprattutto all’inizio della valutazione clinica del paziente quando non sono ancora disponibili esami ematochimici ed il radiogramma di routine del torace non è dirimente (acqua extravascolare <30%). Linee B si possono anche documentare in caso di interstiziopatie ed ARDS ma anche nelle fasi iniziali dei processi broncopneumonici e dei focolai contusivi. Nel paziente con dispnea acuta la ricerca di linee B permette in modo rapido di eseguire la diagnosi differenziale visto che nei casi di riacutizzazione di BPCO, asma, embolia polmonare acuta, i reperti ecografici sono normali con linee A e sporadiche linee B. [15,16,17]
Fig. 9 Meccanismi fisiopatologici alla base delle “linee B” [15]
Nella descrizione di una sindrome interstiziale si dovranno quindi definire: caratteristiche della linea pleurica, densità delle linee B e la loro distribuzione anatomica. La linea pleurica è solitamente lineare, iperecogena e regolare, ma soprattutto nelle interstiziopatie o nel polmone dei pazienti anziani, se osservata con sonda lineare, può presentare irregolarità derivanti da un grado variabile di fibrosi. Ad esempio, in quadri broncopneumonici a componente mista, per effetto di minime consolidazioni subpleuriche aspecifiche, si può osservare un profilo irregolare, caratteristica invece assente in cause cardiogene di sindromi interstiziali, dove la rima pleurica si presenta lineare. [18]
Fig. 10 Alterazioni della linea pleurica
Le linee B si presentano con densità variabile: possono essere rare o numerose fino a configurare il quadro di “white lung” o “polmone bianco” nei casi in cui il coinvolgimento interstiziale si estende dai setti interlobulari alle pareti alveolari. Nella stesura definitiva della diagnosi è fondamentale inoltre definire la localizzazione del quadro interstiziale, dal momento che questa può avere una distribuzione differente a seconda della patologia sottostante. Nei quadri broncopneumonici, le linee B sono distribuite secondo l’anatomia del lobo interessato ed assenti negli altri campi polmonari. Nei quadri di scompenso cardiaco, invece, si potranno osservare linee B in tutto il torace con distribuzione gravitazionale. Nelle intersitiziopatie, il quadro radiologico “a vetro smerigliato”, sarà rappresentato ecograficamente da linee B con distribuzione più o meno estesa in base allo stadio della patologia e soprattutto sempre associate ad irregolarità della rima pleurica. [19]
Quando il parenchima polmonare non è più areato con occupazione degli alveoli da parte di essudati flogistici o perché un ostruzione bronchiale determina un’atelettasia, si osserva un quadro consolidativo “epatizzato”, ipoecogeno con all’interno elementi iperecogeni, definenti il “broncogramma aereo”, poiché determinati dalla presenza di tracce di aria al suo interno, ed elementi ramificati anecogeni, detti “broncogrammi fluidi” che possono rappresentare sia parte del circolo polmonare che diramazioni bronchiali non areate occupate da materiale fluido, visibili al segnale doppler. I broncogrammi aerei si possono differenziale in statici e dinamici. I broncogrammi statici, spesso puntiformi e fissi con gli atti respiratori, sono indicativi di atelettasia. I broncogrammi aerei si caratterizzano invece per la proprietà di modificarsi con gli atti respiratori e sono pertanto un segno tipico dei processi pneumonici
e che permettono di escludere nel processo diagnostico un quadro atelettasico. [20]
Fig. 11 Broncogramma aereo [20]
I consolidamenti polmonari, a scarso contenuto aereo, nel 98,5% hanno stretto contatto pleurico e quindi visualizzabili con l’ecografia polmonare come aree con profilo pleurico più o meno regolare e profilo profondo irregolare a seguito del contatto con la restante porzione del parenchima polmonare areato. Spesso, alla periferia del consolidamento, si possono riscontrare multiple linee B indice dell’edema perilesionale. Dinamicamente il consolidamento polmonare appare fisso con gliding ridotto e, nel dubbio di un versamento saccato o corpuscolato, l’utilizzo dell’M-‐mode con assenza di movimento sinusoidale, permette di confermare la diagnosi visto che gli addensati non risento dell’attività respiratoria. Se di dimensioni sovracentimetriche, all’interno delle consolidazoni si possono riconoscere aree disomogenee anecogene, espressione di necrosi o ascessualizzazioni, o immagini iperecogene lineari o puntiformi, che evidenziano il già descritto broncogramma aereo. [21,22]
Fig. 12 Consolidamento polmonare
Gli artefatti intralesionali, se dinamici, sono quindi una caratteristica peculiare degli addensati pneumonici, se statici, di atelettasia con una specificità del 100%. Nelle atelettasie complete si osserva inoltre lung pulse con gliding abolito. Il gliding ridotto o abolito con lung pulse sono anche espressione di ARDS e marcato deficit della compliance polmonare. [23]
LIMITI DELL’ECOGRAFIA DEL TORACE
Lo studio ecografico del torace permette di studiare con rapidità patologie a carico della parete, pleura e parenchima polmonare. D’altra parte, per le caratteristiche intrinseche del polmone, non è possibile ad oggi studiare patologie a carico dell’albero bronchiale e l’affidabilità per lo studio del circolo polmonare è ancora dibattuto. Difatti, sebbene alcuni studi siano andati a verificare specificità e sensibilità dell’ecografia torace nello studio dell’embolia polmonare, questa non è stata in grado di definirne la diagnosi ma, tramite lo studio del cuore e del circolo venoso degli arti inferiori, ha accelerato la formulazione della diagnosi, specialmente nei pazienti non trasportabili in sala TC. Anche per le patologie di interesse bronchiale, quali asma e BPCO, al momento non beneficiano dello studio ecografico nella loro diagnosi e follow-‐up ad eccezione dei casi di riacutizzazione in cui, per mezzo dell’utilizzo degli ultrasuoni è possibile diagnosticare in modo precoce la comparsa di addensati polmonari e quindi di processi infettivi. E’ auspicabile però che un maggior impiego dell’ecografia nello studio del torace possa ridurre il numero di esami radiologici, soprattutto in pazienti giovani ed in gravidanza. [24,25]
Ruolo dell’ecografia toracica nella valutazione in urgenza
del paziente con dispnea
Il paziente con dispnea, in urgenza, beneficia dell’utilizzo dell’ecografia nella valutazione clinica in termini di rapidità e di specificità nella formulazione della diagnosi, soprattutto quando questa tecnica è combinata con i rilievi obiettivi e la raccolta anamnestica. Tecnicamente, nell’ambito delle patologie polmonari, è consigliabile utilizzare sonde convex (3-‐5MHz) per studiare l’interfaccia pleuroparenchimale e versamenti pleurici, e sonde lineari (7-‐12 MHz) per la valutazione dettagliata dell’interfaccia pleuroparenchimale (e quindi di eventuali focolai pneumonici) e le strutture della gabbia toracica. In tale contesto si utilizzerà la sonda settoriale per l’analisi delle strutture cardiache e la valutazione della vena cava.
Come già presentato, l’ecotorace, permette di investigare: 1. Gabbia toracica: strutture muscolari, sottocutanee, ossee 2. Diaframma
3. Pleura
4. Parenchima polmonare
Quando questa tecnica viene combinata con un esame ecocardiografico si possono pertanto in poco tempo definire affezioni patologiche quali:
1. Scompenso cardiaco acuto 2. Polmoniti
3. Embolia polmonare 4. ARDS
5. Shock
In un paziente dispnoico, in urgenza, sulla base dei reperti obiettivi generali, si possono escludere e quindi definire sei categorie diagnotiche, la cui probabilità si modula sulla base di criteri epidemiologici ed anamnestici: [26,27]
i. Sindromi interstiziali ii. Edema polmonare acuto
iii. Sospetto di tromboembolismo polmonare iv. Caratterizzazione di consolidamenti polmonari
v. Valutazione di fattibilità di procedure invasive ecoguidate
vi. Utilizzo dell’ecografia toracica in ambito pediatrico o in gravidanza
Ecografia del torace e diagnosi di polmonite
Le infezioni delle vie respiratorie rappresentano una delle principali cause di mortalità sia nei Paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo. A livello mondiale, secondo i dati del 2013 forniti dal CDC, la polmonite rappresenta la prima causa di morte in età infantile (circa il 18% dei decessi totali) e nell’età adulta è responsabile, in USA, di 1.200.000 ricoveri/anno con una degenza media di 5.2 giorni ed un numero di decessi di 50622/anno. Dati Italiani del 2010 stimano in 136000 i ricoveri per polmonite con un numero di decessi, in pazienti con oltre 70 anni, di 7000. Nella nostra regione Toscana, gli accessi per affezioni infettive a carico delle vie respiratorie sono circa il 6-‐8% degli accessi totali al DEU. A Pisa, secondo il report pubblicato su ars.toscana.it, nel 2012, si sono registrati 403 ricoveri per Polmonite, con un’età media di 75 anni ed una lieve prevalenza nel sesso maschile. Di questi, come comorbilità, si presentavano nel 21% BPCO, 12% malattie oncologiche, 13% scompenso cardiaco congestizio, 12% Diabete tipo 2 e 9% Insufficienza renale cronica. Di tutti i ricoveri, il 2% ha necessitato di un setting intensivo e si sono registrati 41 decessi (circa il 10%). [28,29]
Inoltre, in un momento storico dove la discussione attorno alla necessità vaccinale sta diventando sempre più un esigenza, uno studio di Hampton LM et al, ha evidenziato che la vaccinazione anti-‐ pneumococcica è in grado di ridurre del 45% il numero delle polmoniti ad eziologia Pneumococcia dopo i 65 anni e soprattutto di ridurre del 47% la quantità di antibiotici utilizzati per il trattamento con un notevole guadagno in termini di antibioticoresistenza. [30] I dati epidemiologici, in aumento rispetto al passato, sottolineano quindi la necessità di una maggior rapidità ed accuratezza nella diagnosi delle patologie infettive polmonari.
Secondo le linee guida della ATS (American Thoracic Society) la polmonite, epidemiologicamente, è possibile suddividerla in quattro categorie:
1. Polmonite acquisita in comunità (CAP)
2. Polmonite acquisita in ospedale (HAP): insorge dopo 48h o più dall’ammissione in ospedale
3. Polmonite associata alla ventilazione (VAP): insorge dopo 48-‐72h dall’intubazione tracheale
4. Polmonite Health-‐care associata (HCAP): insorge in pazienti con precedente ricovero in ospedale di almeno due giorni nei novanta giorni precedenti l’infezione, trattati con antibiotici ev, sottoposti a chemioterapia o in trattamento dialitico
Queste definizioni hanno lo scopo di distinguere fra infezioni con bassa probabilità di essere sostenute da germi multiresistenti e infezioni potenzialmente sostenute da germi ad elevata farmacoresistenza. Difatti, a differenza della CAP, nel trattamento di HAP, VAP e HCAP devono essere somministrati, anche empiricamente, antibiotici capaci di contrastare infezioni sostenute da Enterobacteriaceae (comprese le ESBL), P. Aeruginosa e MRSA. Fra le HAP e le VAP si possono ulteriormente distinguere delle forme “early” e “late onset” a seconda che si sviluppino nei primi quattro giorni dall’ammissione/intubazione o successivamente. Le forme “late onset” logicamente sono spesso sostenute da batteri ad elevata resistenza con quindi maggiore morbidità e mortalità. [31,32]
Le CAP rappresentano il gruppo maggiore sono spesso sostenute da germi gram positivi (S. Pneumoniae, S. Aureus), gram negativi (H. Influenzae, M. Catarrhalis, Enterobacteriaceae) e, soprattutto nei soggetti <50 anni, da batteri atipici quali L. Pneumophila e M.
Pneumoniae. Le forme virali di CAP si possono inoltre associare più o meno a forme batteriche.
La polmonite, fisopatologicamente, è definita convenzionalmente come una patologia acuta delle vie respiratorie associata al riscontro di un addensamento polmonare al radiogramma del torace. In pratica però, soprattutto in setting di emergenza, la polmonite si associa ad un quadro clinico molto più eterogeneo, specialmente nei pazienti anziani o con immunodeficit. Nelle situazioni di emergenza, la diagnosi radiologica risulta difficile ed è stato dimostrato che circa un terzo dei pazienti con una radiografia del torace “normale” all’ingresso in DEA, presenta un addensato polmonare non radiosensibile alla radiografia standard. D’altra parte, l’utilizzo della TC torace, gold standard nella diagnosi di polmonite, non è sempre possibile sia per motivi di radioprotezione, costi e logistica. In questo contesto, l’utilizzo dell’ecografia del torace, a partire dagli anni 1990, ha iniziato a prendere sempre più importanza nella valutazione del paziente con sospetta polmonite con una sensibilità media fra i vari studi del 95% e specificità del 96%, nonostante sui tesi “fondamentali” della medicina, come Harrison, è ancora definito il polmone come un organo non studiabile con gli ultrasuoni. L’utilizzo dell’ecografia nello studio del polmone, come evidenziato in precedenza, è uno strumento molto duttile per la diagnosi differenziale dei differenti quadri clinici che possono sovrapporsi alla diagnosi finale di polmonite quali:
• Bronchite acuta • Asma
• Scompenso cardiaco acuto • Pleurite/Pericardite • Embolia polmonare
Per quanto invece attiene alla problematica neoplastica del polmone (presente in circa il 10% delle iniziali diagnosi di CAP), l’ecografia polmonare, pur identificando le lesioni localizzate in sede subpleurica non è ancora stata validata nella diagnosi differenziale fra processo flogistico e neoplastico per cui si rimanda ad indagini radiografiche quali RX e soprattutto TC con mezzo di contrasto, specialimente quando presenti fattori di rischio come: fumo, età >50 anni e BPCO. [33]
Fra gli studi che hanno valutato l’accuratezza diagnostica dell’ecografia polmonare per la polmonite Cortellaro et al. si sono posti l’obiettivo di confrontare le performance diagnostiche fra Ecografia torace ed RX torace nel dipartimento di Emergenza ed Urgenza fra i pazienti che si presentavano con segni e sintomi suggestivi di polmonite quali: tosse, dolore toracico, catarro, febbre e dispnea. Su 120 pazienti studiati, ad 81 è stata formulata una diagnosi di polmonite con una sensibilità del 99% ed una specificità del 95%. Nello studio l’unico falso negativo è stato un paziente con scompenso cardiaco acuto il cui quadro ecografico era dominato da linee B che non hanno permesso l’osservazione del sottostante addensato ed i due falsi positivi un caso di ascesso subpleurico e di una atelettasia, sebbene quest’ultima sia stata diagnosticata per la mancanza di broncogramma aereo dinamico. Negli stessi pazienti la radiografia del torace ha avuto una sensibilità del 67% ed una specificità del 85% e dei 27 pazienti “falsi negativi”, la ripetizione dell’esame radiologico dopo 72h è risultato positivo nel 100% dei casi. Ecograficamente gli addensati polmonari si dimostravano come aree di epatizzazione di forma poligonale o ovoidale con margini più o meno netti e con rima pleurica irregolare. Le dimensioni medie erano di circa 3.5cm. [34]
Tali dati sono stati sostanzialmente replicati da Reissig et al in un setting a bassa intensità di cura con valori di sensibilità del 93.4% e specificità del 97.7% dell’ecografia toracica con una performance migliore della RX torace, in tali casi eseguita in ortostatismo ed in due proiezioni, sebbene il radiogramma standard non è stato in grado di confermare la diagnosi nel 7% dei casi, successivamente indagati con TC e diagnostici di focolai broncopneumonici retro e paracardiaci. [35]
Fig. 13 Quadri ecografici suggestivi di polmonite
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DIAGNOSI ECOGRAFICA DI
POLMONITE IN DEA
La terza causa di morte a livello mondiale è rappresentata dalla polmonite, preceduta solamente da cause ischemiche cardiache e le malattie cerebrovascolari [1]. Costituisce difatti la principale patologia a carattere infettivo responsabile di decessi ed una delle prime ragioni di accesso in DEA, valutazione e successivo ricovero [2]. In pazienti con sospetto clinico di polmonite una corretta diagnosi differenziale è essenziale per un valido inquadramento clinico, terapeutico e prognostico. Un ritardo nella diagnosi e nell’impostazione di una terapia, soprattutto in pazienti fragili, può significare un sicuro incremento in mortalità ed inappropriato utilizzo di terapie antibiotiche con una netta spinta allo sviluppo di batteri multiresistenti.
Global Burden of Disease Study 2013 – Lancet 2015
Tradizionalmente la diagnosi di polmonite si basa su tre capisaldi: dati clinici e di laboratorio (tosse, febbre, dispnea, leucocitosi, elevazione titolo di PCR e PCT), tecniche di imaging e studio microbiologico. La radiografia del torace, al momento, costituisce il primo approccio diagnostico per immagini nel sospetto di polmonite, con lo scopo di refertare la presenza di un infiltrato più o meno esteso e con caratteristiche peculiari in base all’estensione ed al coinvolgimento delle strutture bronco-‐alveolari. [3]
Attualmente sono però molteplici gli studi che hanno dimostrato una scarsa sensibilità dell’ RX torace nella diagnosi di polmonite, soprattutto nei dipartimenti di emergenza dove l’acquisizione delle immagini avviene in decubiti obbligati, con scarsa collaborazione e limitata dai numerosi device di supporto che necessariamente devo essere utilizzati. [4] Logicamente, il gold standard diagostico è rappresentato dallo studio TC del polmone ma il suo utilizzo, sia per l’esposizione radiologica, i costi e per la complessità tecnica ed organizzativa, è e deve essere limitato a casi selezionati. [5]
Scopo dello studio
Lo scopo del nostro lavoro è stato quindi quello di verificare la sensibilità dell’ecografia toracica nella diagnosi di pazienti che accedevano in DEA con il sospetto di polmonite (tosse, febbre, dispnea) rispetto al convenzionale radiogramma del torace.
Materiali e Metodi
Sono stati arruolati nello studio 30 pazienti (17M; 13F) che accedevano al DEA per difficoltà respiratoria associata a febbre o tosse e con riscontro ecografico toracico positivo per polmonite.
Una volta superato il triage con registrazione dei parametri vitali, è stata redatta l’anamnesi con particolare attenzione alla tempistica di insorgenza del sintomo, valutata l’emogasanalisi e prelevati campioni ematochimici per la valutazione degli indici di flogosi (PCR, PCT), emocromo e parametri di funzionalità renale ed epatica. In coloro che si presentavano con febbre (TC >38°C) o con successivo riscontro di alterazioni ecografiche polmonari, compatibili con la diagnosi di polmonite sono state campionate coppie di emocolture da vena periferica. Completata la valutazione iniziale standard, i pazienti sono stati sottoposti ad ecografia toracica con apparecchiatura Esaote®MyLaB per mezzo di sonda convex e/o lineare e, quando necessario per il completamento della diagnostica differenziale, con sonda sector per la valutazione delle camere cardiache. In seguito è stata eseguita una radiografia del torace in posizione supina e i risultati confrontati con quelli ottenuti con il metodo ecografico. Quando possibile, i pazienti con diagnosi ecografica di polmonite e con radiografia negativa, sono stati rivalutati a distanza di 20-‐30 giorni, con la stessa metodologia per verificare l’eventuale comparsa di una lesione pleuro-‐parenchimale con carattere di attività al radiogramma.
Risultati
L’età media del campione studiato è stata di 68,7 anni (± 20,7). Il tempo medio di insorgenza della dispnea prima dell’arrivo in DEA è di 27 ore (± 18), di cui il 59,1% da meno di 24 ore, il 6,9% da 36h ed il 31% da più di 36 ore. La temperatura corporea media è stata di 37,5°C (± 1,2), frequenza respiratoria di 27 atti/min (± 8), pressione arteriosa sistolica di 136 mmHg (± 28), GCS 14,8 (± 0,8) e qSOFA 0,93 (±0,7).
Dal punto di vista emogasanalitico ed ematochimico i dati, visualizzabili nella tabella successivamente esposta, riflettono l’eterogeneità di tali parametri all’interno della popolazione generale nonostante, ad eccezione di pochi casi (n:5), nessuno dei soggetti del nostro campione ha necessitato di trattamento ventilatorio non invasivo o vasopressivo così come si potrebbe anche dedurre dal punteggio qSOFA (quick – Sepsis Related Organ Failure Assessment).
Tab1 – Caratteristiche generali dei pazienti
Media
Età 68,7 ±20,7
TC (°C) 37,5 ±1,2
Ore insorgenza dispnea(h) 27 ±18
Pressione arteriosa sistolica 136 ±28
Frequenza respiratoria 27 ±8 GCS 14,8 ±0,8 qSOFA 0,93 ±0,7 Emogasanalisi pH 7,40 ±0,09 pO2 (mmHg) 65 ±15 pCO2 (mmHg) 43 ±14 pO2st (mmHg) 61 ±16 HCO3- (mmol/l) 25,7 ±5,9 Lattati (mmol/l) 1,5 ±1,0 GB (mmc) 11379 ±4383 PCR (mg/dl) 6,09 ±7,63 PCT (ng/dl) 0,74 ±1,37 89,7 59,1 6,9 31 44,6
Sintomi all'ingresso
Tosse Dispnea <24h Dispnea 36h Dispnea >36h TC>38°CAlla presentazione in DEA l’89,7% dei pazienti lamentava tosse e nel 44,6% aveva una temperatura corporea >38°C. Come già descritto, nel 86,2% dei pazienti il qSOFA si attestava fra 0 ed 1.
L’esame ecografico del torace è stato eseguito 27 volte con sonda lineare e 3 volte con sonda convex (quest’ultima “gold standard” nello studio del torace). I rilievi ecografici ascrivibili ad addensamenti polmonari sono stati riscontrati soprattutto a sede basale dx (n:13); nello specifico, nel 65,5% si sono refertate linee B e nel 96,6% addensati (profilo C) con il riscontro di versamento pleurico nel 31% dei casi. Nel totale del nostro campione l’RX torace è stata diagnostica (positiva) nel 34,5% dei casi e negativa nel 65,5%.
Tab2 – Sede polmonite
n Basale dx 13 Basale sx 5 Paracardiaca dx 3 Paracardiaca sx 3 Campi medi dx 1 Bi-basilare 3 Focolai multipli 2
In base ai dati presenti in letteratura e riferendoci alla storia dell’arte attuale dell’ecografia toracica nella diagnosi di polmonite, abbiamo ulteriormente suddiviso il nostro campione in base alla tempistica di insorgenza della dispnea, visto che l’ecografia toracica è più sensibile e specifica rispetto all’RX torace soprattutto nelle prime 24 ore di insorgenza dei sintomi. Andando difatti ad analizzare coloro che si sono presentati alla nostra attenzione con una dispnea insorta da meno di 24 ore (17 pazienti), questi sono sempre stati “radionegativi” a dispetto di una sintomatologia ed un quadro clinico più grave.