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Elite rurali e giustizia regia nell’Italia carolingia

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Elite rurali e giustizia regia nell’Italia carolingia

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La fabrique des sociétés médiévales méditerranéennes. Les Moyen Âges de François Menant,

Études réunies par Diane Chamboduc de Saint Pulgent et Marie Dejoux, Paris, Éditions de la Sorbonne, 2018

Elite rurali e giustizia regia nell’Italia carolingia

Luigi Provero (université de Turin)

N

el decennio scorso le élite altomedievali sono state al centro di un lungo e produttivo progetto di ricerca, da cui sono nati otto incontri e altret-tanti volumi1, un progetto in cui tuttavia ha trovato nel complesso poco

spa-zio l’idea di élite rurale, di una stratificaspa-zione della società contadina con implicazioni economiche ma anche politiche2. Negli stessi anni – più

preci-samente nel 2005 – l’incontro annuale dell’abbazia di Flaran è stato dedicato alle Élites rurales dans l’Europe médiévale et moderne, sotto la guida di F. Menant e J. P. Jessenne3. Mi pongo quindi all’interno di una storiografia

particolar-mente viva, e mi propongo di intrecciare le due chiavi di lettura derivanti da questi incontri – l’alto medioevo e l’élite rurale – trattando di élite contadine nell’Italia carolingia.

L’oggetto richiede però qualche precisazione, per quanto possibile. Se l’idea stessa di élite è assai sfuggente, ancor più difficile è definire che cosa possiamo intendere per élite all’interno degli strati inferiori della società, dei pauperes : come ha evidenziato a più riprese L. Feller, le chiavi di lettura fon-damentali che la storiografia ha individuato ruotano attorno alla condizione

1. Cfr. F. Bougard, H. W. Goetz, R. Le Jan (ed.), Théorie et pratiques des élites au Haut Moyen Âge.

Conception, perception et réalisation sociale. Theorie und Praxis frühmittelalterlicher Eliten. Konzepte, Wahrnehmung und soziale Umsetzung, Turnhout, Brepols, 2011, che rimanda a tutti i volumi che costituiscono la serie.

2. Di fatto sono concentrati su questo aspetto solo gli interventi di Étienne Renard e Laurent Feller : É. Renard, « Une élite paysanne en crise ? Le poids des charges militaires pour les petits alleutiers entre Loire et Rhin au ixe siècle », in F. Bougard, L. Feller, R. Le Jan (ed.), Les élites au

Haut Moyen Âge. Crises et renouvellements, Turnhout, Brepols, 2006, p. 315-336 ; L. Feller, « Les hié-rarchies dans le monde rural du Haut Moyen Âge : statuts, fortunes et fonctions », in D. Iogna-Prat, F. Bougard, R. Le Jan (ed.), Hiérarchie et stratification sociale dans l’occident médiéval (400-1100),

Turnhout, Brepols, 2008, p. 257-276.

3. F. Menant, J. P. Jessenne (ed.), Les élites rurales dans l’Europe médiévale et moderne. Actes des

XXVIIe Journées Internationales d’Histoire de l’Abbaye de Flaran, Toulouse, P.U. du Mirail, 2007.

In parallelo, la nozione di élite rurale ha trovato ampio spazio nel volume dedicato nel 2007 al medioevo di Rodney Hilton : C. Dyer, P. Coss e C. Wickham (ed.), Rodney Hilton’s Middle Ages : an

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giuridica, alla ricchezza e alla capacità di ricoprire funzioni pubbliche4. Non

andrò ad aggiungere un ulteriore tentativo di definizione ai molti già pro-posti ; posso invece richiamarmi all’ampiezza della definizione proposta da S. Collavini, utile prima di tutto per la sua insistenza sulla informalità dei legami che fondano la condizione d’élite nella società altomedievale: « un gruppo di persone e/o famiglie che dominano un dato spazio politico (forma-lizzato o meno in un regno o un distretto minore) in modo solo parzialmente formalizzato, attraverso strumenti istituzionali, ma anche più latamente eco-nomici e sociali5 ». Di grande utilità è anche la scelta fatta da C. Wickham,

che rinuncia a proporre una definizione di élite e propone invece un idealtipo, connotato da una serie di parametri fondamentali e ricorrenti : la ricchezza, gli antenati, le funzioni pubbliche, la vicinanza al re, la definizione giuridica dello status, il riconoscimento dei pari, il prestigio, l’esibizione e le capacità6.

Ma più in specifico, credo sia utile riprendere soprattutto le riflessioni di Menant e Jessenne che, ragionando sul lungo periodo, più che una definizione cercano di identificare i fondamentali percorsi e meccanismi di affermazione di un’élite nel contesto della società di villaggio : lo sfruttamento delle risorse agrarie, la ricchezza, l’inserimento nei sistemi di organizzazione socio-poli-tica e la mediazione, la capacità di mettere in comunicazione la società locale con i sistemi politici più ampi7.

Proprio sulla mediazione intendo concentrarmi, o meglio su un aspetto assai specifico di questa amplissima idea : mi propongo di valutare come l’élite contadina nell’Italia carolingia sappia porsi come mediatrice tra la società locale e il potere regio attraverso le procedure di giustizia. Si tratta di verificare

4. L. Feller, « L’historiographie des élites rurales du Haut Moyen Âge. Emergence d’un pro-blème ? », in R. Le Jan, G. Bührer-Thierry (ed.), L’historiographie des élites du Haut Moyen Âge, 2004 [disponibile sul sito del LAMOP: http://lamop.univ-paris1.fr/IMG/pdf/feller.pdf; ultima consultazione 11 settembre 2016]; v. anche Feller, « Les hiérarchies », art. cit., p. 258. La centra-lità della ricchezza, base di qualsiasi azione d’élite, in un quadro di grande flessibicentra-lità e indeter-minatezza delle stratificazioni sociali contadine, è sottolineata da C. Wickham, Le società dell’alto

medioevo. Europa e Mediterraneo. Secoli v-viii, Roma, Viella, 2009, p. 576 sg. e 592 sg.

5. S. Collavini, « Spazi politici e irraggiamento sociale delle élites laiche intermedie (Italia cen-trale, secoli viii-x) », in P. Depreux, F. Bougard, R. Le Jan (ed.), Les élites et leur espace : mobilité,

rayonnement, domination (du vie au xie siècle), Turnhout, Brepols, 2007, p. 319-340, qui p. 319-320.

6. C. Wickham, « The changing composition of early élites », in Bougard, Goetz, Le Jan, Théorie

et pratiques des élites, op. cit., p. 8-13.

7. J. P. Jessenne, F. Menant, « Introduction », in Menant, Jessenne, Les élites rurales, op. cit., p. 7-52, qui p. 26-28 ; cfr. anche, nello stesso volume, le osservazioni di Philippe Jarnoux e di Jean-Pierre Devroey : P. Jarnoux, « Entre pouvoir et paraître. Pratiques de distinction et d’affir-mation dans le monde rural », p. 129-148, qui p. 144 ; B. Cursente, J. P. Devroey, J.P. Jessenne, « Regards croisés », p. 318-329, qui p. 324 sg.

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in che misura l’accesso alla parola politica – la rivendicazione in giudizio delle istanze della comunità locale – sia segno e fondamento della condizione di élite. A un primo livello, si tratta di valutare in che misura e in quali forme la condizione d’élite costruita su base fondiaria e clientelare trovi espressione nell’azione politica condotta tramite le parole, ovvero in che modo le élites locali siano in grado di appropriarsi della funzione di rappresentanza dei pro-pri vicini nelle liti. Occorre però fare un passo in più e valutare, almeno come ipotesi di partenza, come quest’azione politica sia non solo espressione, ma elemento costitutivo della condizione di élite, una via relazionale per costruire o riaffermare la propria superiorità.

Entrando più nello specifico, l’incidenza delle azioni giudiziarie è stata raramente posta in rilievo nelle indagini sulle élite rurali altomedievali. Se consideriamo gli studi sull’Italia carolingia8, vediamo che le élite rurali sono

state oggetto di studi importanti, direttamente connessi a specifici adden-samenti documentari. Punto di riferimento fondamentale è sicuramente il volume del 1988 di C. Wickham sulle montagne toscane9, un’indagine resa

possibile prima di tutto dai ricchi archivi lucchesi e che ruota attorno alla formazione di élite di villaggio e alla loro capacità di orientare e condizio-nare la società locale. La documentazione lucchese ha indirizzato l’analisi di Wickham verso ben precisi indicatori di status e azioni finalizzate a costruire la condizione d’élite : la ricchezza fondiaria, il sistema di scambi di terra con i vicini, la fondazione e il controllo di chiese private, destinate a polarizzare attorno ai patroni il sistema sociale e clientelare locale10.

Più recentemente, ambiti sociali affini sono stati indagati attraverso dos-sier documentari relativi a singole famiglie, in specifico quello di Totone di Campione (nella diocesi di Como) e quello di Karol figlio di Liutprand, nell’Abruzzo meridionale : due dossier a cui sono stati dedicati altrettanti importanti volumi nel 2005. Anche in questi casi la terra è al centro dell’at-tenzione, pur con accenti diversi. Nel caso di Totone, la costruzione del patri-monio fondiario è integrata sia da una specifica attenzione per il controllo e la mobilità dei servi, sia dal controllo di un oratorio privato. È un’azione locale, che si apre però a orizzonti più vasti, non tanto nel collegamento con il potere regio, quanto piuttosto nell’apertura – nel 777, tre anni dopo la conquista

8. Contesto in cui le procedure di giustizia sono state studiate a fondo, soprattutto da F. Bougard, La justice dans le royaume d’Italie de la fin du viiie siècle au début du xie siècle, Roma, EFR,

1995.

9. C. Wickham, La montagna e la città. L’Appennino toscano nell’alto medioevo, Torino, Scriptorium,

1997.

10. V. ad esempio l’analisi dell’azione patrimoniale e politica di Gundualdo di Campori alle p. 51-62.

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carolingia – di uno specifico e importante collegamento con le chiese di Milano, città verso cui si andavano orientando le attenzioni del nuovo regno carolingio d’Italia11. Nel caso di Karol, invece, il dossier familiare si situa nel

quadro dell’importante documentazione di S. Clemente di Casauria, che offre serie di dati che hanno consentito di riflettere – in modo innovativo – sulle componenti economiche e sociali che intervengono a costituire il prezzo della terra, e quindi sui processi di costruzione dei patrimoni e di elaborazione delle solidarietà familiari e clientelari12.

Se quindi un dato costante è rappresentato dalla capacità dell’élite di mediare tra società locale e poteri sovralocali, la valenza degli atti giudiziari da questo punto di vista non è stata oggetto di una specifica riflessione. Al contempo, l’Italia carolingia ha confermato il proprio rilievo come ambito di studio : entrambi i casi – di Totone e di Karol – mostrano infatti come la fase della conquista carolingia ridefinisca gli orizzonti, le prospettive e le strategie delle élite locali, in un contesto di chiara accelerazione dei processi di costru-zione del dominio aristocratico sulle società di villaggio13.

L’azione politica contadina in età carolingia assume in modo del tutto occasionale una buona visibilità documentaria. Questa sporadicità deriva sicuramente dalla struttura delle fonti, che sistematicamente sottorappresen-tano ciò che non è funzionale alle esigenze delle chiese ; ma occorre anche sottolineare come questo rifletta probabilmente i funzionamenti della politica contadina altomedievale, in cui una trama di fondo costituita da piccoli – e per noi invisibili – atti di resistenza passiva, lasciava spazio solo a tratti a un’azione collettiva, aperta e in qualche caso coordinata attorno a leader riconoscibili.

Il coordinamento locale e la capacità di mediazione e di comunicazione politica verso poteri più alti è al centro di un atto giustamente famoso, il pla-cito tenuto a Risano (nell’attuale Slovenia) nell’804, in cui una serie di città e comunità dell’Istria contestano, di fronte ai giudici regi, le estorsioni e le violenze commesse ai loro danni dai vescovi e soprattutto dal duca Giovanni,

11. S. Gasparri, C. La Rocca (ed.), Carte di famiglia. Stregie, rappresentazione e memoria del gruppo

familiare di Totone di Campione (721-877), Roma, Viella, 2005 ; in specifico, per questi diversi

aspetti, v. R. Le Jan, « Il gruppo familiare di Totone : identità e strategie patrimoniali », p. 13-28. ; S. Gasparri, « Mercanti o possessori ? Profilo di un ceto dominante in un’età di tran-sizione », p. 157-177, p. 175-177 ; C. La Rocca, « I testamenti del gruppo familiare di Totone di Campione », p. 209-221, p. 217-219.

12. L. Feller, A. Gramain, F. Weber, La fortune de Karol. Marché de la terre et liens personnels dans les

Abruzzes au Haut Moyen Âge, Roma, EFR, 2005.

13. C. Wickham, L’eredità di Roma. Storia d’Europa dal 400 al 1000 d.C., Roma-Bari, Laterza, 2014, p. 596.

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contrapponendo la situazione di questi anni a un’idilliaca forma di vita sotto il precedente dominio bizantino14. Se questo è uno degli atti che meglio

tes-timoniano lo sviluppo del dominio aristocratico contestuale all’affermazione del potere carolingio, ci permette anche alcune osservazioni rilevanti sui pro-cessi di rappresentanza politica da parte delle comunità locali : prima di tutto perché i giudici decidono di scegliere 172 homines capitaneos tratti de singulis civitatibus seu castellis per ottenere le loro deposizioni sui beni delle chiese, sulla giustizia del re, sulle violenze subite e sulle consuetudini del popolo di questa regione. Quella che formalmente è una selezione di testimoni al fine di operare un’inchiesta, è di fatto qualcosa di ben diverso, è una delega da parte delle comunità ad alcuni maggiorenti a farsi portavoce delle loro istanze di fronte alla giustizia regia. Questo è l’oggetto delle loro dichiarazioni, che non sono tanto deposizioni, ma assumono pienamente forma di denuncia nei confronti dei vescovi e del duca. Peraltro lo stesso termine con cui queste per-sone sono indicate – capitanei – è ben diverso dal normale boni et receptibiles testes a cui fanno in genere riferimento le inchieste di età carolingia : capitanei, pur nella sua genericità, è un importante riconoscimento di un’eminenza sociale di questi testimoni ; la loro rilevanza sociale appare un connotato fondamen-tale nel garantire il loro diritto a presentare le ragioni delle proprie comunità. Se questa specifica procedura di inchiesta e denuncia è probabilmente connessa – almeno in parte – alla straordinaria ampiezza del territorio e dei gruppi umani coinvolti nella lite, è importante notare come la comunicazione politica tra le società locali e il regno sia esplicitamente uno degli oggetti del conflitto. Il duca infatti – nel racconto dei testimoni – invitava le popolazioni a raccogliere gli exenia destinati all’imperatore, impegnandosi a farsi accom-pagnare da un delegato delle comunità – un missus de populo – al momento di portare queste imposte all’imperatore ; ma in seguito il duca dichiarava : non vobis oportet venire ; ego ero pro vobis intercessor ad dominum imperatorem. In altri ter-mini, una specifica ed esplicita accusa nei confronti del duca è quella di aver sottratto alle élite locali la capacità di comunicare direttamente con il regno, imponendo la propria mediazione. Questo appare quindi un punto chiave : l’affermazione di un dominio aristocratico sulla società rurale si concreta non solo in una serie di tensioni relative ai prelievi di matrice pubblica di cui si appropriano chiese e aristocratici, ma anche in un conflitto per controllare i processi di comunicazione politica tra il regno e la società locale.

14. C. Manaresi (ed.), I Placiti del « Regnum Italiae », Roma, Istituto storico italiano per il Medio Evo, 1955-1960, t. 1, p. 50-56, doc. 17 ; cfr. P. Cammarosano, Nobili e re. L’Italia politica

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In che misura ritroviamo questa tensione nel complesso dei placiti dell’Ita-lia carolingia ? Sporadicamente, e spesso in modo assai implicito. I placiti dell’viii e ix secolo ci consentono di cogliere occasionalmente l’azione di gruppi contadini che chiamano in giudizio le grandi chiese o sono da esse accusati : il nodo centrale di queste tensioni è costituito costantemente dai limiti e dalle forme della loro sottomissione, poiché si tratta di gruppi che cercano di difendere la propria libertà e la disponibilità del proprio lavoro nei confronti delle pressioni di grandi possessori15.

Dal punto di vista che più ci interessa, dobbiamo notare come in questi atti non si possano di norma cogliere meccanismi di delega : i gruppi di conta-dini attivi in giudizio vengono sempre identificati tramite analitici elenchi di nomi o con indicazioni collettive più o meno generiche (illi homines etc.) ; nella registrazione trasmessaci dalle sentenze, sono tutti gli uomini coinvolti ad agire collettivamente in tribunale, non i loro rappresentanti. E’ certo assai probabile che, nel concreto sviluppo della lite, tali uomini identificassero dei rappresentanti o quantomeno dei portavoce ; ma è molto importante notare come questo non lasciasse traccia documentaria : tali gruppi non sembrano costituire comunità sufficientemente strutturate, stabili e riconosciute da poter essere rappresentate in giudizio da un delegato ; i singoli sono total-mente responsabili, e come tali devono agire in giudizio. Questo peraltro si ripete regolarmente sia in atti in cui sono i contadini a chiamare in giudizio una chiesa per tutelare la propria libertà, sia in quelli in cui è il potente di turno ad avviare una procedura giudiziaria per riaffermare il proprio controllo su gruppi di contadini. Vediamo due esempi, opposti dal punto di vista proce-durale e lontani dal punto di vista geografico.

Gli uomini della valle Trita (in Abruzzo) sono chiamati più volte in giudizio dai monaci di San Vincenzo al Volturno, in un lungo conflitto documentato dal 779 all’872, in cui si contrappongono le pretese del monastero di imporre come censi una serie di pagamenti dovuti al regno, e la resistenza efficace, duratura e a tratti violenta da parte della società locale. A questa società viene riconosciuta in sede documentaria un’identità e una capacità d’azione col-lettive (come dimostrano gli ampi riferimenti agli homines de Carapellas o ai Carapellenses), la cui responsabilità appare sempre del tutto collettiva e non diversificata, senza leader o rappresentanti della comunità16.

15. G. Albertoni, « Law and the peasant : rural society and justice in Carolingian Italy », in Early

Medieval Europe, 18, 2010, p. 417-445.

16. I Placiti del « Regnum Italiae », op. cit., t. 1, p. 8, doc. 4 e p. 262, doc. 72 ; per la vicenda, C. Wickham, Studi sulla società degli Appennini nell’alto medioevo. Contadini, signori e insediamento nel

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Forme nel complesso analoghe emergono dall’atto dell’827 in cui gli uomini del villaggio di Oziate chiamano in giudizio l’abate della Novalesa (nelle Alpi piemontesi) : se nel corpo dell’atto si fa riferimento agli homines di Oziate, nel presentare la causa i diciassette uomini commanentes in villa Auciatis sono elencati analiticamente, senza che sia esplicitata alcuna differenza di ruolo o di funzione tra i diversi uomini ; e quando vengono chiamati in causa per ribattere alle prove presentate dall’abate, l’atto registra che si interrogano suprascripti homines, e sono ancora – genericamente – suprascripti homines a rico-noscere di non avere prove a proprio favore17.

L’insieme dei placiti di età carolingia è da questo punto di vista del tutto coerente con questi due esempi, e ci presenta quindi l’immagine di una società contadina sottoposta a un’intensa pressione da parte dei grandi pro-prietari laici ed ecclesiastici, ma che al contempo accede a tratti a una diretta comunicazione politica con il regno ; ma soprattutto, per quel che qui più ci interessa, i placiti offrono l’immagine di gruppi socialmente e giuridicamente appiattiti, senza un’esplicita gerarchia o forme riconosciute di delega poli-tica. I processi di delega e rappresentanza – necessari sul piano pratico – non appaiono sufficientemente significativi o accettabili sul piano istituzionale da trovare registrazione sul piano documentario.

Tuttavia, anche a prescindere da meccanismi di delega – e quindi di rico-noscimento da parte dei vicini di una superiore capacità di azione politica dei singoli – il fatto stesso di accedere alla giustizia regia deve essere ritenuto un comportamento d’élite. Questi contadini, nella documentazione che ci è per-venuta, sono sistematicamente sconfitti, ma questo è dovuto a due elementi strutturali : da un lato la fondamentale solidarietà che unisce il re ai potenti e che orienta le decisioni della giustizia regia18 ; dall’altro il dato ovvio della

conservazione documentaria, attuata solo dalle grandi chiese, interessate a conservare gli atti a loro favorevoli, strumenti di prova delle proprie prero-gative. Ma – come è stato più volte sottolineato – l’elemento più interessante non è l’esito delle liti, ma il fatto che esse vengano aperte e portate davanti alla giustizia regia : gruppi rurali non aristocratici non solo hanno la concreta ed effettiva possibilità di accedere alla giustizia regia, ma ritengono tale giustizia sufficientemente credibile ed equa da affrontare i costi e le difficoltà che un

17. I Placiti del « Regnum Italiae », op. cit., t. 1, p. 114-118, doc. 37 ; cfr. G. Sergi, L’aristocrazia della

preghiera. Politica e scelte religiose nel medioevo italiano, Roma, Donzelli, 1994, p. 55-59 ; L. Provero, « L’abbaziato di Eldrado a Novalesa e il confronto con la società valsusina (secolo ix) », in

Bollettino storico-bibliografico subalpino, 99, 2001, p. 381-404.

18. Nonostante l’esplicita e costante volontà regia di conservare un diretto rapporto con i liberi : M. Costambeys, M. Innes, S. Mac Lean, The Carolingian World, Cambridge, Cambridge University Press, 2011, p. 230 sgg. ; cfr. già Wickham, Studi sulla società, op. cit., p. 24.

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placito comporta, nella convinzione che una sentenza favorevole sia possi-bile19. In altri termini, ci troviamo di fronte a un uso strategico della giustizia

regia da parte di persone poste in una condizione talvolta ai limiti tra libertà e asservimento : la giustizia è una via attraverso cui la società locale si pone efficacemente in comunicazione con i poteri sovralocali, ovvero compie un atto proprio e connotante delle élite.

Un ulteriore uso strategico della giustizia regia è riconoscibile in un’azione profondamente diversa : non l’appello alla giustizia per difendersi dalle pres-sioni dei potenti vicini, ma l’intervento come testimoni nel quadro delle liti e delle relative inchieste. Illuminante in questo senso il caso di Limonta, una lunga lite che oppone l’abate di S. Ambrogio di Milano ad alcuni suoi coltiva-tori insediati sulle sponde del lago di Como. In particolare, nell’882 l’abate di S. Ambrogio chiama in giudizio un gruppo di uomini dei luoghi di Cevenna, de Cautonigo, de Salveniago, de Madronino, per un totale di 46 uomini divisi in modo diseguale tra i diversi villaggi20. L’abate sostiene che questi uomini vel ceteri

suo-rum parentes et vicini ac consortes suosuo-rum, omnes habitantes in prenominatas locas […], sunt servi de ista curte Lemunta (sulla base di due diplomi imperiali) e contesta il loro rifiuto a svolgere una specifica corvée, ovvero la raccolta delle olive e la produzione dell’olio. Gli uomini sono chiamati in causa anche a nome dei loro parentes et consortes21, e compiono un ulteriore atto di delega affidando la

causa a cinque persone, ovvero Leo vilico et magistrus, quas supra ibi constitutum erat ad regendum e altri quattro uomini, a rappresentare i diversi luoghi22.

Fin qui ci troviamo di fronte a un atto che, benché analogo a molti pla-citi dell’Italia carolingia, testimonia un più articolato processo di delega e di diversificazione degli uomini coinvolti nella lite. L’azione individuale emerge però anche per una via assai diversa : di fronte all’ammissione degli uomini di

19. Wickham, Le società dell’alto medioevo, op. cit., p. 613

20. A. R. Natale, Il museo diplomatico dell’archivio di stato di Milano, Milano, Amministrazione provinciale, 1970, t. 1, doc. 146 ; dal punto di vista delle procedure di giustizia e della produ-zione e conservaprodu-zione documentaria, importante analisi di R. Balzaretti, « The monastery of Sant’ Ambrogio and dispute settlement in early medieval Milan », in Early medieval Europe, 3,

1994, p. 1-18, che pone il placito dell’882 nel quadro di una lunga vicenda conflittuale. 21. Si fa riferimento ai parentes et consortes prima per ricordare i precedenti, ovvero sottoli-neare che gli uomini di questo luogo avevano sempre fatto questa corvée, ma poi l’espressione ritorna in quello che sembra il riferimento a una vera e propria rappresentanza, quando l’abate e il suo avvocato quererent quod ipsi et eorum parentes et consortes de prenominatas locas facciano le dovute corvées.

22. I quattro rappresentanti sono indicati come Iohannes et Mauretio de Cevenna, Gemulo de

Selvaniago, Donnolino de Madronino ; non è chiaro se Giovanni sia di Cevenna o debba essere

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Elite rurali e giustizia regia nell’Italia carolingia 243

Limonta di non avere prove a sostegno della propria posizione23, l’abate può

invece presentare cinque testimoni – nobiles et credentes omines liberi arimanni habitantes Belasio loco – che dichiarano unanimemente che prenominati homines cum suorum vicini, parentes et consortes, abitantes in ipsas locas sono tenuti alla cor-vée delle olive. Queste deposizioni risolvono ovviamente la lite in favore di S. Ambrogio.

Non possiamo leggere nel dettaglio le ragioni che spingono i liberi di Bellagio a testimoniare contro i servi degli altri villaggi : forse una semplice ostilità nei confronti di uomini di villaggi vicini ; forse la percezione di una forma di minaccia al proprio status di fronte all’alleggerimento della condi-zione dei servi ; forse, infine, una leadership locale che ha organizzato questi uomini attorno a figure in qualche modo eminenti24. Ma certo era in gioco la

volontà di servire il potente abate di S. Ambrogio in vista di futuri possibili benefici, considerando che i cinque testimoni dell’882 avevano agito a soste-gno del monastero già nell’879 e 88025. Anche in questo caso possiamo quindi

parlare di uso strategico della giustizia da parte della società contadina : per questi uomini di Bellagio, le liti tra S. Ambrogio e gli uomini di Limonta sono un’opportunità per guadagnarsi meriti agli occhi del proprio signore, e quindi per costruire una propria condizione di élite nei confronti dei vicini. È un’opportunità che sanno cogliere e sfruttare.

Un dato sembra indubbio : questa lite ha prodotto luoghi, ha consolidato le solidarietà collettive, ha contribuito a rendere i villaggi degli spazi politi-camente rilevanti26. E questo vale sia per Cevenna e gli altri luoghi da cui

pro-venivano i servi sconfitti, sia – e forse ancora di più – per Bellagio, i cui liberi arimanni, pur non rappresentando in alcun modo esplicito l’insieme della popolazione locale, hanno compiuto un atto che li ha portati a opporsi agli uomini degli altri villaggi e quindi a consolidare contestualmente il significato

23. Vere nullam firmitatem exinde non habemus, nisi ut diximus et iterum dicimus quod nos nec nostros

parentes nec consortes eas non collegerunt, nec premere neque evere debuerunt, nec debemus.

24. Un debole indizio di questa leadership è la forma in cui sono registrate le deposizioni, ovvero la trascrizione della testimonianza di Cuniberto, a cui segue l’indicazione che Bonus,

Lupus, Celso et Ado similiter dixerunt, sicut memoratus Cunibertus, espressione che potrebbe far

pen-sare a una gerarchizzazione interna al gruppo ; cfr. per questo tipo di registrazioni L. Provero,

Le parole dei sudditi. Azioni e scritture della politica contadina nel Duecento, Spoleto, CISAM, 2012, p. 174.

25. Balzaretti, « The monastery of Sant’Ambrogio », art. cit., p. 8.

26. L. Provero, « Peasant Society and Communities in Carolingian Italy », in G. Albertoni, I. Santos Salazar, M. Stoffella (ed.), Conflicts, Communities and Justice between Italy and Europe in the

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politico della propria appartenenza al luogo di Bellagio e a rafforzare il pro-prio legame con l’abate di S. Ambrogio.

I meccanismi della giustizia carolingia si rivelano quindi opportunità pre-ziose per chi a questa giustizia fa ricorso, non solo per veder tutelati i propri diritti, ma anche per manipolare le strutture sociali locali. Le procedure di giustizia consentono infatti a membri della società contadina di intervenire sia sulle forme di riconoscimento da parte dei vicini, sia sulla capacità di mediazione tra società locale e poteri maggiori (e spesso fisicamente lontani). Pur nella loro sporadicità, queste attestazioni attirano la nostra attenzione non tanto sulla condizione d’élite, quanto piuttosto sui processi di costru-zione e manipolacostru-zione dell’élite, suggerendo quindi una specifica attencostru-zione al carattere dinamico della condizione elitaria, esito di un continuo processo di produzione da parte della società locale.

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