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L'educazione ambientale per le nuove generazioni: l'esperienza di Ancitel Energia & Ambiente

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Academic year: 2021

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Master Universitario di II livello GECA

Gestione e Controllo dell’Ambiente

Anno Accademico

2018/19

L’educazione ambientale per le

nuove generazioni: l’esperienza di

Ancitel Energia & Ambiente

Autore

Dott. Andrea Tisalvi

Tutor Scientifico

Prof. Tiberio Daddi

Tutor Aziendale –

Ancitel Energia & Ambiente

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L’attenzione all'ambiente, inteso nel senso più ampio delle interazioni fra uomo e natura, l'utilizzo responsabile delle risorse che abbiamo a disposizione e la nozione del concetto di sviluppo sostenibile, è oggi un tema di grandissima attualità, ai primi posti nell'agenda politica di tutti i livelli delle istituzioni e seguito dai mezzi di informazione.

In questo elaborato sarà possibile ricostruire storicamente le tappe che hanno portato a questa sensibilità, prendendo a riferimento i più importanti momenti del dibattito internazionale come la costituzione di Agenzie delle Nazioni Unite specificamente dedicate alla protezione del pianeta, la firma di importanti documenti internazionali come il Protocollo di Kyoto e l'Accordo di Parigi, e lo stabilire un'Agenda che per il 2030 prevede ogni sforzo per risolvere i maggiori problemi che affliggono i nostri tempi sul piano etico, economico, sociale e ambientale (i cosiddetti Obiettivi di Sviluppo Sostenibile).

L'insegnamento di una mentalità orientata in questo senso parte fin dalla più tenera età, ma non solo. In quest’ottica esamineremo le attività poste in essere da Ancitel Energia e Ambiente, società partecipata indiretta dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani che dal 2007 collabora con enti privati e pubblici per la promozione di azioni e comportamenti virtuosi di sensibilità ambientale. Vedremo quindi i risultati conseguiti tramite le attività di educazione ambientale per i ragazzi delle scuole elementari e medie tramite il progetto “Green Virtual Reality”, i tour di realtà virtuale “Waste Travel 360°®” e “ImmaginAria”, e per i più grandi la piattaforma “Rio” in collaborazione con Ditto Sustainability.

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Sommario

Introduzione ... 3

Riferimenti storico-culturali per l’educazione orientata alla sostenibilità ... 9

Le conferenze internazionali ... 9

Politiche europee ... 17

L’educazione ambientale in Italia ... 18

Ancitel Energia e Ambiente ... 24

Le attività di Ancitel Energia e Ambiente nel 2019 ... 25

Green Virtual Reality ... 25

Green Virtual Reality: nozioni sulle tematiche alimentari ... 27

Waste Travel 360°® ... 33 Immaginaria® ... 37 Immaginaria®: introduzione ... 38 Water Travel 360°® ... 41 Rio ... 42 Conclusioni ... 44 Bibliografia... 46

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Introduzione

È notizia recentissima che dall’anno scolastico 2020-2021 in tutte le scuole le classi dovranno dedicare un’ora a settimana, per trentatré ore totali, allo studio dei problemi legati ai cambiamenti climatici e del concetto di sviluppo sostenibile. Un progetto ambizioso che coinvolgerà tutte le classi della scuola dell’obbligo, dalle materne fino agli istituti superiori, con programmi personalizzati per le elementari in cui attraverso il modello pedagogico delle fiabe con storie di culture diverse si sottolineerà la connessione tra umanità e pianeta, mentre medie e istituti superiori potranno fare lezioni più tecniche, spaziando dall’effetto serra all’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.

L’iniziativa è stata annunciata dal Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Lorenzo Fioramonti in un’intervista rilasciata in data 5 novembre 2019 all’agenzia di stampa britannica Reuters, e successivamente confermata a La Repubblica. Secondo il Ministro l’idea non si ferma alla semplice introduzione di una nuova materia, ma prevede un ripensamento del modello di istruzione delle nuove generazioni, che andranno così a integrare i nuovi argomenti nelle materie più tradizionali, venendo così a porre la sostenibilità e il clima al centro del modello educativo: mentre in geografia si andranno quindi a studiare quali sono le regioni più a rischio a causa dei mutamenti climatici e la scarsità d’acqua, i problemi di matematica verteranno sul concetto di gestione efficiente delle risorse e sviluppo sostenibile. La notizia ha fatto il giro del mondo, e anche il New York Times si è affrettato a intervistare il Ministro e a pubblicare un articolo dai toni entusiasti1.

Effettivamente, se, come si spera, il progetto andasse in porto, l’Italia sarebbe il primo Paese al mondo a insegnare la tutela dell’ambiente in maniera obbligatoria alle nuove generazioni. Il giovane (relativamente al ruolo: è un classe ’77) Ministro Fioramonti è in carica dal settembre 2019, dall’inizio del secondo Governo Conte, con la nuova alleanza Partito Democratico – MoVimento 5 Stelle, in quota a quest’ultimo. Succede a Marco Bussetti, formalmente indipendente ma considerato vicino alla Lega, della precedente esperienza durata

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appena un anno e mezzo, fondata sulla fragile collaborazione Lega – MoVimento 5 Stelle. Da subito, Fioramonti ha manifestato un interesse per l’ambiente non comune: appena nominato, ha incoraggiato gli studenti a partecipare agli scioperi globali organizzati dal movimento “Fridays for Future” e ha proposto delle tasse di scopo su bibite gassate e merendine, per, con i proventi, promuovere stili di vita sani e ricerca (idee successivamente scartate, in favore di una plastic tax la cui discussione è attualmente in corso). Insieme alla moglie, Janine Schall-Emden, tedesca, ambientalista convinta, con cui ha girato documentari su cambiamento climatico, disoccupazione e instabilità sociale ed economica, e le loro correlazioni.

Purtroppo, quello dei cambiamenti climatici, nonostante sia già da tanti di assoluta importanza ed interesse, non è un tema su cui ci sia l’uniformità di vedute che sarebbe necessaria.

Il mondo aveva dato un bel segnale nel dicembre del 2015, quando all’unanimità si era giunti al Paris Agreement, dopo due settimane di intense trattative tra i rappresentanti diplomatici e tecnici di tutti gli Stati del mondo. Va detto: probabilmente l’Accordo di Parigi è un capolavoro di diplomazia, i cui meriti sono di tutti i delegati che si sono impegnati a superare una tradizionale dicotomia tra Paesi ricchi (il nord e l’occidente del mondo) e quelli in via di sviluppo, rappresentati in particolare da India e Cina, che reclamavano il loro diritto a seguire modelli di crescita economica tradizionali basati sulle tecnologie (ormai oggettivamente non più all’avanguardia) fossili, comune denominatore alla base dello sviluppo economico degli ultimi due secoli. Questo blocco, non necessariamente a torto, reclamava lo stesso diritto di poter fare crescere la propria economia che si è arrogato l’Occidente dalla rivoluzione industriale in poi, il quale adesso preme per abbandonare questo modello insostenibile a favore di uno che possa lasciare alle nuove generazioni le stesse risorse di cui godono quelle attuali.

L’Accordo è stato un capolavoro di diplomazia, dicevamo, nel trovare un intento comune nel non far aumentare di più di due gradi la temperatura media mondiale, facendo ogni sforzo per non superare 1,5°, rispetto ai livelli preindustriali (partendo forse da una situazione già compromessa: ad oggi, rispetto a due secoli fa, la temperatura è già aumentata di 1 grado). Ciò è stato possibile grazie alla definizione di meccanismi di compensazione, definiti poi nelle successive Conferences of Parties (COP) che sostanzialmente sono quelli del precedente strumento politico di riduzione delle emissioni, il famoso Protocollo di Kyoto.

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Si apra qui una parentesi. Quando pensiamo al Protocollo di Kyoto, nella cultura generale l’immagine che si evoca è quella di un fallimento, e di un qualcosa di aleatorio, un retaggio degli anni ’90. Questo non è corretto. Chiariamo intanto che il Protocollo, firmato nella Conferenza delle Parti di Tokyo del 1997, è entrato in vigore solo nel 2005, con la ratifica della parte della Russia che consentiva il raggiungimento della soglia necessaria di almeno 55 Paesi, che contestualmente rappresentassero il 55% delle emissioni di gas climalteranti, a livello globale. Anzi, a pensarci bene probabilmente non è nemmeno risaputo, nella popolazione, quale fosse effettivamente l’obiettivo da raggiungere: una riduzione media delle emissioni, nel quadriennio 2008-2012, rispetto ai livelli del 1990 di ogni singolo Paese partecipante.

A onor del vero, quei Paesi che hanno sottoscritto, ratificato e perseguito politiche di riduzione delle emissioni, come il Protocollo prevedeva, hanno effettivamente ottenuto dei buoni risultati, Unione Europea in primis. E si può dire che anche l’Italia abbia fatto la sua parte, seppur trovandosi costretta all’ultimo (la fine del 2015 era il termine ultimo per la rendicontazione finale e la verifica del raggiungimento dell’obiettivo) ad acquistare delle “quote di emissione” attraverso i meccanismi di flessibilità per integrare le eccedenze delle emissioni di gas climalteranti in atmosfera.

Quello che ha inficiato il successo del Protocollo di Kyoto è stata la mancata partecipazione di player che già dagli anni ’90 rappresentavano i principali inquinatori (Stati Uniti in primis, ma anche il Canada che ne è uscito nel 2011) e dall’assenza di vincoli per i Paesi non facenti parte del blocco “sviluppato” (vedi: Cina e India). A conti fatti, praticamente solo l’Europa (Stati membri dell’Unione Europea, più altri Paesi del continente non facenti parte dell’Unione), Australia, Giappone e Russia hanno attivamente partecipato al Protocollo, ottenendo l’ottimo risultato di una riduzione di quasi il 25% delle emissioni rispetto ai livelli 1990, aiutati anche (una fortuna nella sfortuna) dalla congiuntura economica che alla fine del primo segmento del nuovo millennio ha colpito tutto il mondo, che ancora adesso ha degli strascichi.

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Peccato che, contemporaneamente, a livello globale le emissioni siano aumentate del 50% rispetto al 1990: da 22,5 Gigatonnellate di CO2 equivalenti emesse, siamo passati alle 33,6 del

2010, 36 del 2015 e 37 del 20182.

L’Accordo di Parigi sembrava essere riuscito a ridare nuovo slancio e a mettere sotto i riflettori il problema dello scioglimento dei ghiacciai e dell’innalzamento dei mari. Cosa è successo però nel frattempo? Non facciamo qui riferimento alla fisiologica, costante crescita delle emissioni: si era ovviamente messo in conto che le politiche di decarbonizzazione e di transizione a sistemi energetici meno impattanti avrebbe richiesto, almeno, la fine del decennio. Mi riferisco più a questioni di mentalità, di attenzione all’ambiente, che non sembrano essere andate troppo crescendo.

È successo che il mondo è sprofondato in una sorta di isteria anti-establishment e sono venuti alla ribalta personaggi interessati, perlopiù, a cavalcare sentimenti di pancia di un popolo non sempre correttamente istruito. È successo, ad esempio, in Brasile, con l’elezione del 2019 di Jair Bolsonaro. È successo in Europa: si vedano le ascese dei cosiddetti “nazionalismi”, con le percentuali più alte del Dopoguerra di seggi ottenuti dalla destra più estrema e costituzionalmente accettabile nei Parlamenti di tanti Paesi, arrivando in più casi anche al Governo. È accaduto in Polonia, Austria, Ungheria, e ci siamo anche noi italiani. Sì, perché il leader della Lega Matteo Salvini, che da europarlamentare nel 2016 votò contro la ratifica dell’Accordo di Parigi, ancora da Ministro dell’Interno nel giugno 2019 riuscì a sostenere, ospite in tv a “Non è l’Arena” di Massimo Giletti, che finalmente era arrivato il caldo e il sole, dopo un freddissimo maggio, alla faccia di chi sosteneva che le temperature stessero salendo. Con ogni probabilità, era ben conscio anche lui di stare dicendo una bugia, e che clima e meteo sono due cose distinte e che anzi le anomalie che si registrano negli ultimi anni a livello di temperature sono un palese sintomo di quanto gli equilibri del pianeta si stiano modificando. Ma sembra che una grande parte degli abitanti del Paese questo, al momento, voglia sentirsi dire. E lui, da bravo comunicatore quale senz’altro è, li ha accontentati.

E li ha accontentati con una frase che ricalca quanto detto nel 2015 da un personaggio che definire ambiguo sarebbe riduttivo, ma il cui peso sulla scena mondiale è decisamente più elevato: l’eclettico Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, in carica dal 2016. Il magnate repubblicano è il campione dei sentimenti anti-establishment di cui parlavamo prima, un

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Dati EDGAR – Emissions Database for Global Atmospheric Research, portale ufficiale scientifico della Commissione Europea.

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incredibile outsider che contro ogni pronostico ha sconfitto Hillary Clinton alle elezioni del novembre 2016.

Trump ha dichiarato già nel giugno 2017 l’intenzione di uscire dall’Accordo di Parigi ratificato poco più di un anno prima (aprile 2016), e ha notificato ai primi del novembre 2019 la formale richiesta di recessione – cioè, praticamente, alla prima occasione utile: dall’Accordo di Parigi una Parte contraente può ritirarsi dopo tre anni dall’entrata in vigore, e l’uscita sarà effettiva nel 2020, un anno dopo la notifica.

Possibile che nel 2019 ancora si riesca a negare l’evidenza degli sconvolgimenti che le attività antropiche stanno apportando al nostro pianeta? Possibile che questi personaggi, e i loro elettori, non si rendano conto di come stia la cambiando non solo la geografia, ma anche la geopolitica di fronte al crescere della temperatura? Sì, no, forse. Quello che è innegabile, che sicuramente è alla base di certi indirizzi di questa certa parte politica, è l’interesse economico che c’è dietro. Questi movimenti sono tutti accomunati dall’idea della difesa della politica interna, della crescita economica, del “prima il mio popolo”. Il modello di sviluppo economico che il mondo ha avuto dal 1800 ad oggi è basato sulle cosiddette energie fossili, quelle che sono limitate nel tempo perché formatesi milioni di anni fa nel sottosuolo e ad alto impatto ambientale (con le necessarie distinzioni che possiamo fare tra carbone, petrolio e gas naturale, potendo ben dire che fra questi sia l’ultimo quello preferibile). Le energie rinnovabili, purtroppo, ancora non consentono un’affidabilità totale per elettrificare totalmente la rete dei servizi pubblici: per produrre energia pulita, ad oggi, si necessita di ampi spazi e costi infrastrutturali. Non tutte le città, anche di un Paese come il nostro che comunque non è messo male quanto a rinnovabili (in Italia nel 2018 circa il 18% dell’energia consumata proveniva da fonti sostenibili), sono allacciate alla rete e dispongono, ad esempio, delle colonnine di ricarica necessarie per l’alimentazione dei veicoli elettrici – né, a voler essere più precisi, quello che abbiamo identificato come il migliore tra i combustibili fossili, il gas naturale, arriva in tutti i Comuni italiani.

I sacrifici che richiede l’ambiente sono oggettivamente alti, e non tutti si sentono toccati dal concetto di “sviluppo sostenibile” nell’interpretazione che ne dà la Ellen McArthur Foundation: un modello di sviluppo che consenta alle attuali generazioni di soddisfare i propri bisogni senza per questo compromettere quelli delle future generazioni.

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L’approccio green auspicato e idealizzato a Parigi nel 2015 richiede un cambio radicale a singoli cittadini e intere aziende: occorrerebbe ripensare praticamente le abitudini del mondo occidentale così come le conosciamo. Pensiamo, ad esempio, alle politiche sugli imballaggi dei prodotti alimentari, di quelli per l’igiene. Non solo: dovrebbe essere proprio un mercato intero a dovere essere riformato, visto che le aziende che hanno fatto dell’ecocompatibilità il proprio marchio ad oggi sono percepite come aziende di lusso, inaccessibili per la casalinga di Voghera che non comprende perché dovrebbe pagare di più per sostenere quelle che vede, al massimo, come scelte aziendali differenti e al di fuori dal suo interesse, e non etiche (anche perché spesso sostenibilità ambientale e sostenibilità sociale, nel mondo del business, vanno di pari passo, andando ad aumentare i costi per l’azienda che deve necessariamente vendere il suo prodotto a prezzi molto più alti dei concorrenti che non abbracciano questi modelli per retribuire in modo equo tutti i lavoratori della filiera).

Non che i personaggi politici in grado di intercettare certi malcontenti contro il sistema siano riusciti a salire alla ribalta un po’ in tutto il globo necessariamente per posizioni anti-ambientaliste. È un concetto inverso, che vede l’interesse ambientale come un ostacolo alla crescita nazionale.

Quello che ci possiamo augurare è che l’esempio, oggettivamente negativo sotto ogni punto di vista, dato dal Paese che per decenni è stato il principale responsabile dell’inquinamento atmosferico e della crescita della temperatura spinga i restanti 190 a fare fronte comune e ad aumentare ancora di più l’impegno sottoscritto a Parigi nel 2015 e ribadito nei successivi incontri internazionali. In effetti, ad esempio, è da tenere in considerazione che già da alcuni anni la Cina, pur essendo maglia nera per quantità di gas climalteranti emessi in atmosfera, è contestualmente primo produttore di pannelli fotovoltaici per produrre energia pulita. Sta a ogni singolo Governo, prendendo questo esempio parzialmente positivo, riuscire a vedere opportunità che siano allo stesso momento di business quanto di sviluppo sostenibile.

La tutela dell’ambiente, però, non riguarda solo le emissioni inquinanti, ma tutta una serie di altre tematiche che abbracciano trasversalmente tanti settori della vita quotidiana e dei rapporti con gli altri e, appunto, l’ambiente inteso come mondo che ci circonda. Dal mondo dei rifiuti e la loro corretta gestione, alla cosiddetta share economy, passando per l’educazione alimentare e alla cultura del riuso.

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Riferimenti storico-culturali per l’educazione orientata

alla sostenibilità

Le conferenze internazionali

L’educazione ambientale, intesa come una disciplina volta alla protezione e conservazione delle risorse naturali, nasce negli anni ’60. Nella Conferenza di Bangkok del 1965 si fa riferimento a un’educazione volta a conoscere e conservare l’ambiente naturale, ma già pochi anni dopo, con le Conferenze di Stoccolma e Tbilisi, rispettivamente del 1972 e 1977, l’educazione ambientale passa da una concezione fisica dell’ambiente a una più ampia che va a comprendere tanto lo spazio fisico che quello naturale.

La Conferenza del ’72, in particolare, è la prima tappa a livello internazionale per giungere successivamente alla UNFCC (United Nations Framework Framework Convention on

Climate Change), la Convenzione Quadro nell’ambito della quale dal 1992 ad oggi si

muovono le Nazioni Unite. Partecipanti furono più di cento capi di Stato, ma non solo: per la prima volta il tema fu aperto anche a gruppi provenienti dalla cosiddetta “civil society”. La UNHCE (United Nations Conference on Human Environment) non era specificamente dedicata ai cambiamenti climatici ma affrontava la questione dell’utilizzo delle risorse e il rapporto tra sviluppo e ambiente. La Conferenza di Stoccolma produce tre documenti: la Dichiarazione sull’Ambiente Umano, il Piano d’Azione per l’Ambiente Umano, e la Risoluzione su questioni finanziarie e istituzionali.

In particolare, fra i ventisei principi fissati dalla Dichiarazione sull’Ambiente Umano, citiamo il diciannovesimo, che fa esplicito riferimento all’educazione nelle materie ambientali, necessaria tanto per i giovani che per gli adulti, indispensabile per fissare le basi per

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“proteggere e migliorare l’ambiente, inteso nella sua dimensione umana”. Si fa inoltre riferimento ai mass media, con un forte invito alla divulgazione scientifica3.

Similmente, nel Piano d’Azione per l’Ambiente Umano (centonove raccomandazioni che meglio spiegano come raggiungere gli obiettivi della Dichiarazione), la Raccomandazione 96 indica quali sono gli attori più adatti a cui affidare il compito: alle agenzie internazionali per l’educazione, United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization (UNESCO) in primis, spettava il compito di redigere un programma internazionale e interdisciplinare per fare in modo che giovani e adulti potessero “manage and control their environment”. Non solo: si prevede che anche le altre agenzie intergovernative (FAO, World Health Organization, World Metereological Organization) correlate all’ambiente debbano aggiornare i propri programmi di formazione e di attività, e sviluppare iniziative volte alla sensibilizzazione.

Alla Conferenza di Stoccolma fece seguito quella di Belgrado nel 1975, il cui elaborato, la Carta di Belgrado, è il documento di riferimento per la definizione della finalità, dei principi e dei metodi dell’educazione ambientale. Lo scopo dell’educazione ambientale viene definito in questo modo: “Formare una popolazione mondiale cosciente e preoccupata dell'ambiente e dei problemi connessi, una popolazione che possieda le conoscenze, le competenze, lo stato d'animo, le motivazioni e il senso del dovere che le permettano di operare individualmente e collettivamente alla soluzione dei problemi attuali e di impedire che se ne creino di nuovi”.

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“Education in environmental matters, for the younger generation as well as adults, giving due consideration to the underprivileged, is essential in order to broaden the basis for an enlightened opinion and responsible conduct by individuals, enterprises and communities in protecting and improving the environment in its full human dimension. It is also essential that mass media of communications avoid contributing to the deterioration of the environment, but, on the contrary, disseminates information of an educational nature on the need to project and improve the environment in order to enable mal to develop in every respect”.

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La successiva Conferenza si svolse a Tbilisi, in Georgia, nell’ottobre del 1977, e fu interamente dedicata all’educazione ambientale, cui parteciparono sessantasei Stati membri delle Nazioni Unite più i rappresentati di svariate organizzazioni interessate alla materia. Nella Dichiarazione conseguente si ribadisce la necessità di un’educazione, nel senso più alto del termine, da impartire a tutte le età e a tutti i livelli. Si lancia qui un appello alla collaborazione da parte di tutti gli Stati membri e delle istituzioni di tutti i livelli, ponendo l’accento su quanto la tematica ambientale sia correlata al mantenimento della pace, e l’educazione ambientale viene definita come “il risultato di un ripensamento e di una ri-articolazione di varie discipline e varie esperienze educazionali (scienze naturali, sociali, arti e lettere, ecc), fornendo una percezione integrata dell’ambiente”. La conferenza di Tbilisi è la prima di una serie di conferenze specificamente dedicate all’educazione ambientale, da tenersi ogni dieci anni.4

Negli anni ’80 si diffonde una visione più critica tra lo sviluppo umano e la protezione dell’ambiente, e la presa di coscienza che le risorse che abbiamo a disposizione non sono illimitate e non equamente divise tra i Paesi nel mondo. Testo simbolo di questo pensiero è il Rapporto Brundtland, intitolato “Our Common Future” del 1987, pubblicato dalla Commissione Mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo (WCED), dal nome della sua coordinatrice, la norvegese Gro Harlem Brundtland. Viene qui per la prima volta introdotto il concetto di “sviluppo sostenibile”, quel modello che “soddisfa le necessità delle generazioni presenti senta compromettere quelle delle generazioni future”. Cioè: il modo in cui ci procuriamo il cibo, ci muoviamo, troviamo riparo, non dovrebbe intaccare la possibilità, per chi verrà dopo, di poter fare lo stesso. Ciò necessita di un’adeguata protezione delle risorse naturali, dell’aria, dell’acqua, del suolo e della biodiversità, in modo che non si esauriscano né danneggino. Con il Rapporto Brundtland vengono presentati anche i tre pilastri della sostenibilità: aspetti ambientali, aspetti sociali, aspetti economici.

Sempre nel 1987 si tiene a Mosca la seconda conferenza di UNESCO e UNEP, dieci anni dopo Tibilisi, per discutere dei progressi fatti e tracciare una strategia internazionale nel

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Le successive sono poi state, come vedremo: Mosca (1987); Salonicco, Grecia (1997); Ahmedabad, India (2007), di nuovo Tbilisi trentacinque anni dopo (2012).

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campo dell’educazione e formazione ambientale per il decennio successivo, tenendo in conto il (nuovo) concetto di “sviluppo sostenibile”. Si denota ufficialmente una accresciuta sensibilità ambientale, ma non sufficiente. Si ribadisce quindi il ruolo strategico dell’educazione, definita in questa Conferenza come “processo permanente con cui individui e collettività prendono coscienza del loro ambiente, e acquisiscono le conoscenze, i valori, le competenze, l’esperienza e anche la determinazione per poter agire singolarmente e come collettività per risolvere i problemi attuali e futuri dell’ambiente”5.

L’educazione ambientale quindi si arricchisce ora di una nuova caratteristica. Non più solo generale capacità di riconoscere e prevenire i problemi, ma soprattutto di risolverli.

Passiamo al decennio successivo. Fondamentale nella cooperazione internazionale sul tema è la famosa United Nations Conference on Environment and Development, o, più semplicemente, l’Earth Summit del 1992, cui si è già accennato precedentemente. Nella cosiddetta “Agenda 21”, il documento prodotto dalla Conferenza di Rio de Janeiro che fissa le linee guida per l’applicazione a tutti i livelli della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici (UNFCC)6, strutturato in quattro sezioni, l’intero Capitolo 36, nella Sezione IV intitolata “Means of Implementation” è dedicata all’educazione ambientale. Il Capitolo si chiama “Promoting education, public awareness and training” ed è a sua volta diviso in tre parti (“programme areas”), così definite: a) Reorienting education towards sustainable

development; b) Increasing public awareness; c) Promoting training.

La prima ha, fra gli obiettivi, l’integrazione dei concetti ambientali nei programmi scolastici, e consiglia una serie di modalità con cui questo possa essere possibile, che riguardano specificamente i singoli Governi degli Stati membri.

La seconda area, che in questa sede sembra forse la più attinente e quindi ci apprestiamo ad approfondire un pochino più nel dettaglio, si pone come obiettivo la diffusione della più ampia “consapevolezza pubblica, come parte di uno sforzo educativo globale per rafforzare attitudini, valori e azioni compatibili con lo sviluppo sostenibile”. L’attenzione alle nuove generazioni è il tema costante e più spesso richiamato, ma non mancano riferimenti agli adulti

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UNESCO-UNEP, Environmental education and training. International strategy for Action in the field of Environmental Education and Training for the 1990s.

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e, ancora, alla formazione dei giornalisti. Ancora una volta, quindi, si conferma la necessità della collaborazione dei mass media nella promozione della tematica, affinché si radicalizzi. Quindi, riconoscendo che ogni Paese ha piena facoltà di selezionare i metodi che più ritiene adatti alla propria cultura e politica, si consiglia una serie di attività da mettere in pratica per diffondere tale consapevolezza ambientale. Tra questi, si segnala l’invito a rafforzare enti di consiglio e controllo sulle tematiche relative all’ambiente, o crearne di nuovi (36.10.a); si propone un meccanismo che sia il più vicino possibile al cittadino e all’azienda privata, tramite organismi non solo statali ma anche regionali, che meglio possano conoscere le realtà di ogni territorio (36.10.c); si ricorda la necessità di un’azione rivolta a tutte le età, in collaborazione con le agenzie intergovernative (ad esempio, l’UNICEF avrebbe sviluppato programmi mirati per i bimbi in età scolare, mentre dei più grandi si sarebbe occupata l’UNESCO; 36.10.e).

La terza area, invece, si focalizza sulla formazione per gli adulti e la classica, imprescindibile indicazione che questa sia accessibile a tutti, senza discriminazioni di alcun genere, e che l’attenzione all’ambiente (sempre inteso nel senso più ampio del termine) sia integrata a livello manageriale e nelle sue aree funzionali come marketing, produzione e finanza.

Viene confermato anche a livello istituzionale una sorta di passaggio da “educazione all’ambiente” ad “educazione allo sviluppo sostenibile”, in una formazione che non sia rivolta solo ai bambini ma a tutte le fasce di età, avendo sempre a mente la dimensione etica.

Nella Dichiarazione prodotta dalla Conferenza di Salonicco (Conferenza UNESCO - UNEP, nel filone cominciato da Tibilisi venti anni prima) intitolata “Ambiente e società: educazione e sensibilizzazione per la sostenibilità” del dicembre 1997, contemporaneamente alla terza Conferenza delle Parti, quella in cui si redige il Protocollo di Kyoto, viene indicata la sostenibilità come obiettivo dell’educazione nel complesso, intesa come concetto che comprende “non solo l’ambiente, ma anche povertà, popolazione, salute, sicurezza alimentare, democrazia, diritti umani e pace. La sostenibilità è, in ultima analisi, un imperativo morale ed etico in cui devono essere rispettate diversità culturale e conoscenze tradizionali”.

Da ora, nell’educazione ambientale è considerata un’educazione finalizzata sia alla tutela dell’ambiente, sia alla messa in pratica della sostenibilità.

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Il primo incontro del nuovo millennio si tiene in Senegal, a Dakar, con rappresentanti di più di 160 Paesi. Il World Education Forum non è interamente dedicato all’educazione ambientale (si parla di educazione più generale come diritto allo studio) ma nella “Framework for Action

and Education for all” viene citata più di una volta.

Estremamente importante è il World Summit on Sustainable Development, che ha luogo in Sudafrica a Johannesburg nel settembre 2002, a dieci anni da Rio. Si ribadisce ulteriormente l’accentramento sulla sostenibilità tramite i principi stabiliti nell’Agenda 21 del 1992. Sviluppo economico, sviluppo sociale e protezione ambientale vengono integrati nel “Plan of

Implementation of World Summit on Sustanaible Development”, documento finale

dell’assemblea in cui si parla di pace, diritti fondamentali, il rispetto della diversità culturali, protezione delle risorse naturali, cambiamento di modelli di produzione e consumo, tematiche essenziali per il raggiungimento della sostenibilità integrata, che ritroveremo poi nei Global Goals del 2015.

Viene inoltre proposto di far cominciare nel 2005 un decennio dedicato allo sviluppo sostenibile, in cui venga promossa un’educazione che sia alla base per un’umanità più, perdonate la ripetizione, sostenibile, integrando lo sviluppo sostenibile nei sistemi di educazione a tutti i livelli. Educazione quindi in senso ampio: istruzione, formazione, informazione, sensibilizzazione. Il Decennio ha come obiettivo primario incoraggiare i Governi a integrare principi, valori e buone pratiche per un futuro più sostenibile.

Principi del Decennio dell’Educazione allo Sviluppo Sostenibile (DESS) sono interdisciplinarietà, acquisizione di valori, sviluppo del pensiero critico e ricerca della risoluzione dei problemi, molteplicità di metodologie, decisioni condivise e partecipate, importanza del contesto locale. Quindi “L’educazione alla sostenibilità non è dunque volta a fornire risposte puntuali a problemi specifici, quanto piuttosto a stimolare il pensiero critico, il senso d’incertezza e del limite riferito agli effetti del nostro agire quotidiano, indurre il senso di collettività e responsabilità nei confronti del mondo in cui viviamo”7.

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Nel 2009 alla Conferenza mondiale UNESCO per l’Educazione allo Sviluppo Sostenibile di Bonn si fa il punto sull’andamento per la prima metà del DESS. Nella Dichiarazione si riconosce che nei primi cinque anni del Decennio molti Paesi abbiano compiuto progressi nell’applicazione dell’educazione allo sviluppo sostenibile, tramite nuovi indirizzi politici, e si conferma la bontà degli sforzi profusi a tutti i livelli (globale, nazionale, regionale) attraverso organizzazioni di varie dimensioni, passando dalle Agenzie ONU ad piccole ONG locali. Si fa un appello affinché le nuove conoscenze vengano tradotte in azioni, tanto a livello politico tramite indirizzi di governo e movimentazione di risorse economiche quanto a livello pratico: si pensi alla formazione degli insegnanti, la partecipazione degli studenti, il coinvolgimento di istituti di ricerca.

Al Decennio fa seguito il GAP, Global Action Programme, tutt’ora in corso. Nel GAP sono ricomprese tutte le iniziative di sviluppo sostenibile per contribuire agli obiettivi fissati nell’Agenda 2030, che vedremo tra un attimo, attraverso un cambio di direzione dell’apprendimento affinché chiunque abbia l’opportunità di acquisire conoscenze, abilità, valori e attitudini utili a costruire un futuro sostenibile, e rafforzare la presenza e il ruolo della formazione in tutti programmi e le attività che promuovono lo sviluppo sostenibile.

Abbiamo citato la cosiddetta Agenda 2030. Si tratta di una serie di obiettivi, la cui idea viene lanciata alla Conferenza sullo sviluppo sostenibile del 2012 (“Rio+20”, perché venti anni dopo quella del 1992 che istituì la Convenzione Quadro sui cambiamenti climatici, e tenutasi sempre a Rio), formalizzati successivamente dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 25 settembre 2015. L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile si articola in diciassette tematiche, articolate in centosessantanove obiettivi da raggiungersi entro il 2030. Stiamo parlando di obiettivi alti, forse eccessivamente, che prendono in considerazione tutti i problemi del mondo così come lo conosciamo e che difficilmente saranno raggiunti in quindici anni a livello globale (ne citiamo alcuni abbastanza esemplificativi in questo senso: 1) abolire la povertà, 2) abolire la fame, 5) parità di genere, 7) energia pulita e raggiungibile da tutti, 16) pace, giustizia e istituzioni forti). Tuttavia, il fatto che l’ONU, nella sua totalità, abbia approvato un’Agenda del genere, seppur difficile se non impossibile da realizzare

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interamente in un lasso di tempo così ristretto, è un segnale importante che indica un impegno concreto in uno spazio tanto ampio da coprire tutto lo spettro delle possibili problematiche sociali, ambientali ed economiche del globo. Effettivamente ancora nel rapporto 2019 dell’Economic and Social Council sui progressi nel raggiungimento degli obiettivi si riconosce la vittoria per la cooperazione internazionale e per gli abitanti del mondo, ma nel concreto la strada è lunghissima. Non si scrive mai da nessuna parte, ma è abbastanza evidente che gli obiettivi non saranno raggiunti da qui a dieci anni, quantomeno non tutti. Ciononostante, possiamo prendere quel che c’è di buono: lasciano bene sperare per il futuro i progressi registrati nei Goal 3 (“Salute e benessere”), 5 (“Parità di genere”), 7 (“Energia pulita ed accessibile”), 8 (“Occupazione e crescita economica”), 11 (“Città e comunità sostenibili”), così come i piccoli miglioramenti che sono registrati riguardo i Goal 1 (“Sconfiggere la povertà”) e 10 (“Ridurre le disuguaglianze”).

Tuttavia, è da segnalare che anche la versione precedente dell’Agenda 2030, gli otto “Millennium Development Goals” che facevano riferimento al periodo 2000 – 2015, non può dire raggiunti i suoi obiettivi zero, ma ha avuto un buon impatto sulla popolazione mondiale. Erano questi, in effetti, una versione più compatta degli attuali 17 Obiettivi, e più focalizzati sull’aspetto umano: l’ambiente, che nell’Agenda 2030 ha diversi obiettivi specificamente dedicati a cambiamenti climatici, biodiversità, tutela dei mari ecc. (senza contare le implicazioni che ovviamente possiamo trovare in un obiettivo come il 12 “Consumo e produzione responsabili”) era ricompreso in un unico Goal 7, denominato “Sostenibilità ambientale”.

Segnalo poi, tra i documenti internazionali, uno che da un certo punto di vista è probabilmente un po’ meno istituzionale, ma che può senz’altro avere un buon impatto su chi lo volesse leggere. Mi riferisco all’enciclica “Laudato si’” di Papa Francesco, del 2015. Il documento, il cui sottotitolo è “Enciclica sulla cura della nostra casa comune”, è incentrato sulla tematica ecologista ed è ovviamente rivolto non solo ai cristiani, ma a chiunque. Il capitolo VI è intitolato “Educazione e spiritualità ecologica”, e in esso trova spazio il sottocapitolo “Educare all’alleanza tra uomo e ambiente”, in cui si fa forte la necessità di pensare “un nuovo modello riguardo all’essere umano, alla vita, alla società e alla relazione

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con la natura. Altrimenti continuerà ad andare avanti il modello consumistico trasmesso dai mezzi di informazione, e attraverso gli efficaci meccanismi del mercato”.

Politiche europee

I Trattati istitutivi della Comunità Europea (siglati a Roma nel 1957) erano di natura essenzialmente economica e non prevedevano norme di tutela ambientale. È nel 1972, anno della conferenza di Stoccolma, che la Comunità Europea con il vertice di Parigi riconosce la necessità di politiche integrate anche su questo argomento, che in questo decennio si comincia a riconoscere per l’importanza che ha. Bisogna attendere il 1987 e l’Atto Unico Europeo per avere una parte che istituzionalizzasse la tutela ambientale, con l’aggiunta al Trattato CEE di un Titolo VII “Ambiente” che pone le proprie basi sui principi dell’azione preventiva e della correzione alla fonte dei danni causati all’ambiente, nonché del “chi inquina paga” (art. 130 R, comma 2). Seppure non si parli esplicitamente di “educazione ambientale”, è naturale dedurre che con “azione preventiva” si intenda anche una formazione alla base al rispetto dell’ambiente, anche se ancora nella prima accezione di posto in cui si vive.

Le successive revisioni dei Trattati (Maastricht 1993, Amsterdam 1999) hanno rafforzato il ruolo e l’impegno della Comunità a favore della tutela ambientale, con promozione di sviluppo sostenibile come integrato in tutti i settori, ridefinendo gli obiettivi della politica economica comunitaria in ottica di crescita economica che rispetti l’ambiente. Nel 1999 l’ambiente diventa un obiettivo prioritario dell’UE.

Il Trattato di Lisbona del 2009 formalizza la lotta ai cambiamenti climatici con l’inserimento all’art. 191 della “promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell’ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici”. Con esso l’UE si fa formalmente carico del ruolo di leader in questa importante battaglia che ha sempre avuto (ricordiamo che il Vecchio Continente è stato uno dei pochi firmatari a portare a termine con successo gli impegni previsti dal Protocollo di Kyoto, e tra i pochissimi ad assumersi oneri anche per il secondo periodo, dal 2013 in poi, oltre a importanti politiche di riduzione delle emissioni ed efficientamento energetico).

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Dal 1973 la Commissione Europea emana i cosiddetti “Programmi d’azione per l’ambiente” (PAA) pluriennali. Nel 2013 è stato approvato il PAA VII, valevole fino al 2020 - nell’ottobre 2019 il Consiglio Europeo ha adottato le conclusioni per redigere l’ottavo Piano d’azione per il periodo 2021 – 2030, da adottare entro la fine del 2020 e che si intitolerà “Invertire le tendenze insieme”. Il 20 giugno 2019 è stata varata la nuova Agenda strategica europea 2019 - 2024, che insiste sulla “necessità di costruire un’Europa verde, equa, sociale e a impatto climatico zero”8, e il PAA dovrà sicuramente richiamare queste indicazioni. L’Agenda insiste su quattro priorità:

- proteggere i cittadini e le libertà;

- sviluppare una base economica forte e vivace;

- costruire un’Europa verde, equa, sociale e a impatto climatico zero; - promuovere gli interessi e i valori europei sulla scena mondiale.

Nella nuova Agenda, un breve documento di intenti, non si fa esplicito richiamo all’educazione ambientale, ma è chiaramente inclusa nel momento in cui si dice che “L’UE utilizzerà la sua influenza per guidare la risposta alle sfide mondiali, mostrando la strada da seguire nella lotta contro i cambiamenti climatici, promuovendo lo sviluppo sostenibile e attuando l’Agenda 2030, nonché cooperando con i paesi partner sul tema della migrazione”. La promozione dello sviluppo sostenibile è ormai indissolubilmente legata a un sistema di formazione che educhi al rispetto dell’ambiente inteso come insieme delle interazioni che ci circondano, laddove uno sviluppo può essere inteso solo come progresso che non danneggi le future generazioni (che è la definizione di “sostenibilità”).

L’educazione ambientale in Italia

Anche se è chiaro che oramai non è più possibile guardare all’Italia, dal punto di vista politico o legislativo, come un Paese a sé stante, in quanto integrato in un sistema comunitario le cui fonti sono più forti del nostro singolo ordinamento, possiamo ricostruire le principali tappe utili alla nostra analisi.

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Gli anni ’70, in linea con la visione comune dell’educazione ambientale, sono caratterizzati da un approccio non integrato che vede l’educazione ambientale come semplice tutela del territorio.

Negli anni ’80 le tematiche ambientali cominciano ad essere un’emergenza sentita, anche a causa del disastro di Seveso del 1976 in cui a seguito di un incidente avvenuto nell’azienda ICMESA9 di Meda si disperse in aria una nube di pericolosissima diossina sulla Brianza, ma il dibattito non è integrato, quanto a compartimenti stagni. Le associazioni ambientaliste più famose scavano una “nicchia di competenza” e rimangono isolate tra loro: il WWF “si prende” natura e conservazione, paesaggio e monumenti per Italia Nostra, i temi di città e inquinamento sono associati a Legambiente10. L’educazione ambientale viene quindi vista come informazione e sensibilizzazione, fino al momento in cui si giunge a comprendere la complessità dei processi educativi e sociali.

A ciò si deve l’istituzione del Ministero dell’Ambiente, che avviene nel 1986. All’art. 1 comma 3 della legge istitutiva, la 349 dell’8 luglio denominata “Istituzione del Ministero dell’Ambiente e norme in materia di danno ambientale” si dice che “il Ministero compie e

promuove studi, indagini e rilevamenti interessanti l’ambiente; adotta, con i mezzi dell’informazione, le iniziative idonee a sensibilizzare l’opinione pubblica alle esigenze ed ai problemi dell’ambiente, anche attraverso la scuola, di concerto con il Ministro della Pubblica Istruzione”. Nel 1987 seguirà un Protocollo d’Intesa tra i due Ministeri, per il

coordinamento delle iniziative riguardanti l’educazione ambientale.

Nella circolare n. 996 del Ministero della Pubblica Istruzione del 1989 si legge che lo scopo dell’educazione ambientale è lo stimolo di una particolare sensibilità per i problemi legati all’ambiente, creando una nuova cultura che “trasformi la visione antropocentrica del rapporto uomo – natura in quella bi-centrica che considera l’uomo quale componente della biosfera”.

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Industrie Chimiche Meda Società Azionaria. Il disastro ebbe notevole impatto sulla cultura europea, tanto da produrre una direttiva informalmente soprannominata “Direttiva Seveso”, la 82/501/CEE sui rischi di incidenti rilevanti connessi con determinate attività industriali.

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È del 1996 un accordo di programma tra i Ministri dell’Ambiente Paolo Baratta e dell’Istruzione Giancarlo Lombardi, del Governo Dini in carica per un anno e mezzo (1995 – 1996, primo Governo cosiddetto tecnico della nostra Repubblica) che prevede la creazione di un comitato tecnico per promozione, coordinamento e monitoraggio di azioni di educazione ambientale, tramite il sistema INFEA (Informazione, Formazione ed Educazione Ambientale), oggi ancora attivo. Obiettivo dell’INFEA è gestire e catalogare le iniziative di educazione ambientale attraverso un Sistema Nazionale di Educazione Ambientale, con lo scopo di evitare la frammentazione degli interventi sul territorio attraverso due realtà formalmente differenti ma a conti fatti sovrapponibili per certi aspetti: i “laboratori territoriali” e i “centri di esperienza”. Entrambe le categorie infatti hanno come scopo la costruzione di una rete locale radicalizzata sul territorio, che ne sia riferimento.

Sempre nel 1996, la circolare numero 149 del Ministero della Pubblica Istruzione “La scuola italiana per l’educazione ambientale” propone un’educazione ambientale come approccio sistemico tra natura e cultura. Il documento, informalmente “Circolare La Ferla” dal nome del consigliere del Ministro Lombardi, Franco La Ferla, è molto articolata e se ne ricava una strategia che prevede la scuola come luogo più adatto alla promozione dell’educazione ambientale.

Nel 1997 a Fiuggi, nel Lazio, si tiene tra il 24 e il 27 aprile un seminario d’aggiornamento promosso dai Ministeri dell’Ambiente e della Pubblica Istruzione dal titolo “A scuola d’Ambiente: Educazione e Formazione per lo Sviluppo Sostenibile”, rivolto a formatori, operatori, insegnanti, ricercatori e mondo dell’associazionismo. L’evento si chiude con la redazione della “Carta dei principi per l’educazione ambientale orientata allo Sviluppo Sostenibile e consapevole”, in dieci punti. L’importanza del seminario di Fiuggi non è tanto nel documento prodotto, che ribadisce l’ormai comune visione internazionale di un’integrazione tra ambiente, scuola e cultura a tutti i livelli, quanto nel fatto di essere stata la prima proposta nazionale tra “soggetti che, con motivazioni e competenze differenti, ancora

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non avevano trovato un luogo e un modo per avvicinarsi, conoscere e dialogare”11. Quindi, la riconosciuta importanza da parte del Governo Prodi I al concetto di fare rete.

A breve distanza, si tiene un secondo momento di confronto con la prima Conferenza Nazionale dell’educazione ambientale di Genova nel 2000, dal 5 all’8 aprile. Da segnalare la riconosciuta importanza al ruolo delle Regioni in materia di educazione ambientale, tramite una forte integrazione tra politiche nazionali INFEA e regionali. Il sistema bottom-up viene in questo caso individuato come migliore, perché l’istituzione locale conosce meglio le singole realtà del proprio territorio. Il Decreto Legislativo 112/98 aveva peraltro stabilito, all’art. 69 comma 2, che l’educazione ambientale fosse materia concorrente tra Stato e Regioni.

Nel 2001 viene redatta la Carta di Fiesole, al termine di un ciclo di seminari dei referenti di educazione ambientale all’interno delle Agenzie di protezione ambientale, e successivamente nel 2002 il Ministero dell’Ambiente definisce la “Strategia d’azione ambientale per lo Sviluppo Sostenibile in Italia”, articolata in quattro aree tematiche: cambiamenti climatici, protezione e valorizzazione di natura e biodiversità, qualità dell’ambiente e della vita negli ambienti urbani, prelievo delle risorse e produzione di rifiuti. In essa l’educazione ambientale non viene mai espressamente citata, ma è implicita quando si parla dell’importanza del sistema INFEA già nominato.

Nell’ottobre 2005 si tiene a Torino il Terzo Congresso Mondiale di Educazione Ambientale, coordinato dalla International WEEC Association (dove WEEC sta per International World Environmental Education Congress). Le Conferenze WEEC hanno avuto inizio nel 2003 in Portogallo, e si tengono a cadenza varabile.12 A Torino, contemporaneamente le Regioni avevano organizzato un Forum parallelo che rappresenta comunque una forma, anche se non ufficiale, di conferenza nazionale.

Nel Forum Nazionale “Educazione all’ambiente e alla sostenibilità”, promosso dalla Conferenza Stato Regioni e svoltosi a Torino nel giugno 2007, viene adottato un documento

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Dalla Prefazione agli atti del Seminario, pubblicati dall’Istituto per l’Ambiente e lo Sviluppo Scholé Futuro.

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programmatico e d’indirizzo con il quale è sancita la collaborazione tra istituzioni centrali e regionali, contestualmente alla prima proposta del manifesto “Alfabeti Ecologici” elaborato dal Comitato dei Saggi istituito dall’allora Sottosegretaria all’Ambiente Laura Marchetti, dando avvio a un processo che avrebbe condotto “all’elaborazione di linee guida per l’introduzione della sostenibilità nei processi educativi, come contributo del Ministero dell’Ambiente al percorso in atto nel Ministero della Pubblica Istruzione”.13 Al Forum farà seguito nel gennaio dell’anno successivo (2008) un Accordo Interministeriale tra i Ministeri dell’Ambiente e della Pubblica Istruzione, con la finalità di (art. 1) “sostenere e rafforzare i processi formativo/educativi e culturali per la sostenibilità nei contesti dell’educazione formale, informale e non formale”, prevedendo anche la composizione di un apposito Comitato Interministeriale.

Nel 2009 il MIUR redige le prime Linee Guida per l’Educazione Ambientale e lo Sviluppo Sostenibile, aggiornate nel 2014 per fare proprie le indicazioni del documento UNECE

Learning for the future: Competences in Education for Sustainable Development del 2012

nonché delle Comunicazioni della Commissione Europea “Nuove competenze per nuovi lavori; prevedere le esigenze del mercato del lavoro e le competenze professionali e rispondervi” e “Un’agenda per nuove competenze e per l’occupazione: un contributo europeo verso la piena occupazione” – rispettivamente COM(2008) 868 e COM(2010) 682.

Nel novembre 2016 i Ministri del Governo Renzi Gianluca Galletti del MATTM e Stefania Giannini del MIUR firmano la “Carta sull’Educazione Ambientale e lo Sviluppo Sostenibile”, a conclusione della seconda Conferenza nazionale sull’educazione ambientale dopo quella di Genova del 2000. Con la Carta i Ministri mettono sul tavolo la somma di venti milioni di euro per promuovere l’educazione ambientale e la formazione dei formatori. Il documento si compone di dodici approfondimenti, che riguardano temi come l’economia circolare, l’Agenda 2030, la digitalizzazione e lo spreco alimentare.

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Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (2007). Forum Nazionale “Educazione all’ambiente e alla sostenibilità” – Documento di sintesi.

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Riguardo la citata “Strategia d’azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in Italia 2002 – 2010” del 2002, c’è da dire che essa abbracciava un orizzonte temporale limitato, ma è stata successivamente aggiornata più volte ed incastonata negli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030. L’ultimo aggiornamento, nel 2017, individua cinque “P” di intervento: persone, pianeta, prosperità, pace, partenership. Ad oggi è conosciuta come “Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile” (SNSvS).

Da segnalare nel febbraio 2016 la creazione di ASVIS, Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, che riunisce più di duecento istituzioni, associazioni e reti della società civile. L’ASVIS nasce su iniziativa della Fondazione Unipolis e dell’Università di Roma “Tor Vergata” per diffondere a tutti i livelli l’importanza dell’Agenda 2030 e monitorare i progressi nel raggiungimento dei suoi obiettivi.

In questa trattazione ho evidenziato i passaggi che avessero come fulcro l’educazione ambientale, ma sia a livello internazionale che italiano ovviamente le tappe sono più numerose, e a partire dal nuovo millennio (anzi, già da dalla fine del precedente) qualsiasi conferenza, dibattito o documento a tema ambiente non poteva non ricomprendere l’educazione ambientale, e viceversa. Ad esempio segnalo la Conferenza Nazionale per la Biodiversità a Roma del 2010, tenutasi presso l’Università La Sapienza, preceduta dalla definizione della “Carta di Siracusa – Clima, economia, servizi ecosistemici, scienza e politica”.

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Ancitel Energia e Ambiente

Ancitel Energia e Ambiente Spa è nata oltre dieci anni fa su delibera dell’Associazione dei Comuni Italiani che, all’interno di un processo di riorganizzazione delle proprie partecipate, decise di dare mandato ad Ancitel Spa di costituire una società operativa che avesse ad oggetto i temi dell’ambiente e che funzionasse da supporto alla stessa Associazione e ai Comuni in quel preciso momento storico, quando la coscienza ambientale stava prendendo sempre più forma attraverso Direttive europee (98/2008 CE) e provvedimenti conseguenti più precisi e stringenti, che imponevano al sistema complessivamente un salto di qualità che andasse nella direzione della industrializzazione e razionalizzazione dei servizi, con una valutazione costi/benefici ambientali, sociali ed economici.

Ancitel Energia e Ambiente (che per brevità sarà da ora chiamata “Ancitel EA”) nasce nel 2007 con la specifica mission di fornire ad aziende pubbliche e private, enti, associazioni ed organizzazioni di vario genere attività di consulenza e comunicazione sul piano ambientale. Opera sui temi dello sviluppo sostenibile per attivare e diffondere sul territorio processi innovativi nella gestione dei rifiuti, efficienza energetica, qualità dell’aria e dello sviluppo delle fonti rinnovabili. Collabora con le principali istituzioni nazionali (Ministero dell’Ambiente, Regioni, Comuni) per, si legge nella presentazione dell’azienda:

- MIGLIORARE gli standard nazionali di gestione delle risorse;

- INCORAGGIARE l’utilizzo delle fonti di energia rinnovabile e la mobilità sostenibile;

- PROMUOVERE i programmi e i progetti secondo gli obiettivi della Circular Economy;

“sviluppando strategie su misura, facilitando le collaborazioni tra le parti interessate, proponendo soluzioni innovative su più fronti che offrono servizi di monitoraggio all’avanguardia”.

La sede operativa si trova nel pieno centro di Roma, in via di Parione, oltre a un distaccamento oltremanica a Londra e una sede a Milano. È una piccola e dinamica realtà

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composta da una decina di persone di diversa formazione – tecnici, esperti comunicatori e grafici, legali e amministrativi. Tra i prodotti e campagne realizzate segnaliamo “Non mi rifiuto®”, campagna di sensibilizzazione veicolata con un video rap per raggiungere più facilmente i giovani in un linguaggio a loro familiare, dove il rapper Marco Lena, in arte “BleBla”, si trasforma in un supereroe del riciclo e fa ballare i ragazzi sulla coreografia della canzone; i prodotti in realtà aumentata Waste Travel®, Immaginaria™ e Water Travel® di cui parleremo nel dettaglio più avanti; RAEE@scuola®, con, come testimonial, il comico Marco Bazzoni – in arte Baz - di Colorado Cafè, mirato alla corretta gestione e smaltimento dei piccoli apparecchi elettronici (quanti vecchi cellulari abbiamo nel cassetto?).

Le attività di Ancitel Energia e Ambiente nel 2019

Esaminiamo ora le attività di comunicazione ambientale cui chi scrive ha attivamente partecipato in modo più o meno fattivo: nel dettaglio, parliamo di un bando della Regione Lazio sulla sensibilizzazione ambientale, la promozione delle attività di realtà virtuale Waste Travel e Immaginaria nelle scuole, e la piattaforma Rio.

Green Virtual Reality

È il titolo del progetto con cui Ancitel Energia e Ambiente ha vinto un bando della Regione Lazio riguardante la realizzazione di azioni positive di informazione e sensibilizzazione su temi civici e di prevenzione dei rischi, rivolto a scuole medie e superiori del Lazio, pubblicato nel dicembre 2017.14 La graduatoria definitiva è stata pubblicata il 14 giugno 2018. Nella

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Con determinazione dirigenziale G18012 del 21/12/2017 – “Approvazione Avviso pubblico per la

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proposta di progetto Ancitel EA ha realizzato un punteggio di 75/100 : chiarezza espositiva 10/10, coerenza interna 20/30, diagnosi dei fabbisogni e soluzioni proposte 20/25, Innovatività 20/25, Priorità 5/10 (3/5 aree rurali e periferiche, 2/5 attenzione a pari opportunità e fragilità). Questi numeri rendono il progetto di Ancitel EA uno dei meglio classificati alla pari con altri otto, di tredici vincitori totali (con range di punteggio 73-75). Con questo bando, la Regione si proponeva di incoraggiare un obiettivo di formazione e sviluppo delle competenze trasversali, sociali e civiche degli studenti su cinque diverse aree tematiche, riconducibili allo sviluppo del benessere individuale e, di conseguenza, sulla comunità. Particolarità del bando è la previsione di una scelta di almeno due fra le seguenti cinque aree tematiche:

1) educazione stradale e prevenzione degli incidenti.

2) contrasto alla diffusione di comportamenti a rischio, al fine di prevenire le dipendenze e sensibilizzare ad un uso responsabile del web.

3) conoscenza del tema ambientale e prevenzione in caso di eventi naturali catastrofici. 4) educazione alimentare, tutela della salute, lotta agli sprechi

5) contrasto alla violenza di genere.

Le aree di intervento selezionate da Ancitel Energia e Ambiente sono state la terza e la quarta, cioè il tema ambientale e dell’educazione alimentare e lotta agli sprechi.

Il progetto, denominato “Green Virtual Reality” per il previsto uso di tecnologie familiari ai ragazzi in modo da stimolare il loro interesse15, ha avuto inizio il 18 febbraio 2019 ed è stato “spalmato” lungo l’anno solare 2019, con una prima tranche di attività tra febbraio e giugno, e successivamente una seconda a settembre-ottobre (la chiusura del progetto era prevista, dopo una proroga, al 31 ottobre 2019).

Le scuole che hanno aderito al progetto sono le seguenti:

rivolto agli studenti delle scuole secondarie di primo e di secondo grado della Regione Lazio - Anno scolastico 2017/2018 - Impegno di spesa per complessivi € 300.000,00 sul capitolo F11901. Esercizio finanziario 2018”.

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Sono state effettuate anche delle specifiche sessioni di Waste Travel 360°®, il viaggio in realtà virtuale nel mondo dell’economia circolare, di cui parleremo più avanti.

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- L’Istituto Comprensivo Bassa Sabina di Poggio Mirteto, in via Angelo Bulgarelli, con quattro classi, prime medie.

- L’Istituto di Istruzione Superiore M. T. Varrone – ITC Statale Geometri, via Angelo Maria Ricci 35/A di Rieti, con una classe.

- L’Istituto di Istruzione Superiore C. Rosatelli, viale Fassini 1, di Rieti, con una classe. Per un totale quindi di circa 120 ragazzi coinvolti.

Nella prima parte (febbraio – giugno) si sono approfonditi gli argomenti di attenzione all’ambiente e prevenzione dei rischi: si è parlato di economia circolare, gestione della risorsa idrica, inquinamento marino, rischio idrogeologico, consumo del suolo, definizione di rifiuto e raccolta differenziata, impianti, biomateriali, cartografia e GIS16. Nella seconda (settembre – ottobre dell’anno scolastico successivo) si è invece affrontata la tematica di educazione e spreco alimentare.

Se la prima parte, con presentazioni adeguate alle diverse età dei due percorsi, è stata sostanzialmente identica tanto per i ragazzi delle medie che degli istituti tecnici, la seconda parte è stata un po’ diversa: i ragazzi più grandi hanno prodotto degli elaborati a 360° con foto scattate nelle scuole, mentre alla secondaria di primo grado sono stati realizzati dei brevi video.

Green Virtual Reality: nozioni sulle tematiche alimentari

Riguardo la parte finale per la scuola media, focalizzata sull’educazione alimentare, si riportano di seguito in sintesi alcuni concetti chiave che abbiamo cercato di far apprendere ai ragazzi. Le quattro classi hanno ricevuto una prima parte comune a tutti, per poi ognuno affrontare più nel dettaglio una tematica particolare fra le seguenti: la merenda, la cura dell’orto, la palestra e attività fisica, la mensa.

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Acronimo di “Geographic Information System”, un sistema computerizzato che permette l’acquisizione, visualizzazione, analisi ecc. di informazioni ricavate da dati geografici.

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L’esposizione cominciava con la foto ideale di un pasto della mensa scolastica, da cui, con sorpresa dei ragazzi, esce fuori che circa un terzo di ciò che c’è sul vassoio viene sprecato. Ciò corrisponde a circa 300.000 kg di cibo sprecato ogni giorno dalle mense, parti a 50 elefanti fatti interamente di cibo buono che finisce a rifiuto (si spera, almeno, sia raccolto per bene nell’organico!); 6.000.000 di kg in un mese, 600 camion; e 50 milioni di chilogrammi in un anno, pari a…? Mezzo iceberg? Queste similitudini hanno avuto un forte impatto sui bambini.

Abbiamo poi cercato di far capire che buttando del cibo non va sprecato solo il singolo rigatone o la singola coscia di pollo, quanto tutta una serie di fattori che vi sono dietro: acqua, energia, lavoro, tempo, trasporto, denaro (quest’ultimo sempre il primo elencato quando i ragazzi provavano a indovinare!).

Lo spreco alimentare che si ha nelle mense scolastiche, un terzo del vassoio, è in linea con quello che avviene a livello globale con la produzione alimentare. Parliamo di numeri difficilmente immaginabili tanto da bambini quanto da adulti: 1,3 miliardi di tonnellate, quantificabili in 1.300 miliardi di euro (e parliamo solo di costi economici, non anche sociali). Il tutto mentre ancora nel 2017 821 milioni di persone sui quasi 8 miliardi che siamo soffrono la fame17. Si calcola che tutto ciò che viene buttato in un anno potrebbe sfamarne quattro volte tante.

Abbiamo poi posto l’accento sul fatto che, se è pur vero che il cibo viene per un motivo o per l’altro sprecato in tutte le sue fasi (raccolta primaria, trasformazione, trasporto, vendita e utilizzo finale), nei Paesi ricchi come il nostro è proprio l’ultimo momento, quello del pasto, ad essere quello in cui si spreca di più, perché non è più radicata l’abitudine che avevano i nostri nonni di mettere da parte gli avanzi; nei Paesi in via di sviluppo, viceversa, sono le fasi iniziali ad essere più critiche, perché non dispongono di informazioni o tecnologie adeguate alla raccolta, trasformazione e trasporto del cibo. Noi abbiamo tutti un frigorifero a casa. Successivamente abbiamo dato un’infarinatura delle sostanze nutritive che dobbiamo assumere per vivere e far crescere il nostro organismo: carboidrati (carburante), lipidi (riserve), proteine (mattoni), vitamine, sali minerali con le loro diverse funzioni. Abbiamo

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Fonte il rapporto “Lo stato di sicurezza alimentare e nutrizione nel mondo”, presentato dalle agenzie delle Nazioni Unite, FAO, IFAD, PAM, Unicef e OMS.

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illustrato la piramide alimentare, che indica la giusta frequenza con cui mangiare i diversi alimenti, dalla frutta ai dolci e le carni rosse, e il suo corrispettivo, la piramide ambientale18 che illustra i cibi che richiedono più risorse per essere ottenuti. I bambini sono rimasti molto sorpresi nello scoprire che, tendenzialmente, gli alimenti meno adatti a un consumo troppo frequente sono anche meno amici dell’ambiente. Si pensi ad esempio alla carne rossa: per ottenere una bistecca ci vuole un allevamento di bovini, che richiede molto più spazio di uno per polli, oltre all’acqua e cibo che l’animale stesso deve a sua volta ricevere per crescere. Sembra che i ragazzi abbiano compreso che, anche se nessuno pretende che si diventi tutti vegetariani, già scegliere, quando possibile, la carne bianca rispetto alla rossa sia una buona azione per l’ambiente.

È stato motivo di orgoglio per i ragazzi scoprire che la cosiddetta “dieta mediterranea” è stata dichiarata nel 2010 patrimonio immateriale UNESCO, per i benefici che è in grado di apportare sia sull’ambiente, perché a base di alimenti vegetali che richiedono meno risorse per essere ottenuti, che sulla salute, perché ricca di cibi con proprietà antiossidante e perché ha alla base l’olio di oliva, simbolo del Mediterraneo, piuttosto che altri oli di semi o, peggio ancora, burro o strutto.

I ragazzi hanno poi imparato a leggere un’etichetta: denominazione legale – usuale – descrittiva, ingredienti, individuazione degli allergeni, valore nutritivo e, soprattutto, le indicazioni sulla scadenza e la differenza che anche un adulto non necessariamente conosce tra “consumare entro” e “consumare preferibilmente entro”, dove la prima è un’indicazione tassativa e indica che dopo quella data il prodotto non solo non sarà più buono, ma anche pericoloso per la salute. Invece il “preferibilmente” indica che dopo quella data il prodotto potrebbe non mantenere intatte tutte le caratteristiche organolettiche (colore, sapore, odore, consistenza), ma in ogni caso, se ben conservato, non sarà pericoloso per la salute umana. 1) e 2) Riguardo i percorsi personalizzati per le classi, con il focus su mensa e merenda abbiamo cercato di invogliare all’acquisto della pizzetta del fornaio locale piuttosto che di una merendina al distributore, per questioni di valori nutritivi, imballaggi, trasporti e produzione locale, oltre che dell’importanza di un’alimentazione equilibrata.

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3) Sull’orto, abbiamo posto l’accento sul fatto che se si sa quanta fatica c’è dietro un pomodoro, si starà sicuramente più attenti a non sprecarlo. Inoltre avere un orto in casa può diventare il primo e più immediato esempio di economia circolare per un bambino, visto che gli scarti alimentari e gli sfalci di potature possono facilmente essere trasformati in fertilizzante.

4) Con il focus sulla attività sportiva siamo tornati al concetto di una sana alimentazione e abbiamo parlato di come incameriamo l’energia che ci serve per fare qualsiasi cosa (anche solo per stare fermi al computer), e la bruciamo successivamente.

Negli incontri, dopo una mezz’ora dedicata alla spiegazione di questi concetti, ai ragazzi abbiamo consegnato i nostri cellulari con installata l’app “KineMaster”, di semplice utilizzazione per il montaggio di video. Abbiamo incaricato i ragazzi di realizzare dei brevi video sulla tematica di cui si era parlato, e ne sono usciti dei piccoli capolavori comici come “Terminator e il cibo” o “Il pescatore pesca i pesciolini”, ma anche video-interviste al personale della scuola su cosa si apprestasse a mangiare quel giorno e riprese della calca che a ricreazione si viene a creare davanti alle macchinette. Alcuni, considerato poi il poco tempo a disposizione, veramente degni di nota.

I ragazzi della scuola secondaria di secondo grado hanno prodotto degli elaborati a 360°, non necessariamente dedicati alla tematica alimentare quanto a una sensibilizzazione di più vasta scala che prendeva in considerazione la gestione dei rifiuti nelle due scuole (con cumuli di apparecchi elettronici abbandonati), l’importanza dello sport e di una buona alimentazione. Le foto sferiche sono state scattata in collaborazione con PearlEye, società che con Ancitel EA collabora attivamente già da qualche anno nella realizzazione degli altri prodotti di realtà virtuale, e sono stati i ragazzi stessi a decidere le ambientazioni (ingresso, cortile, palestra, spogliatoio, sala dei distributori automatici, le loro stesse classi) e i contenuti da evidenziare anche con testi a comparsa, foto e audio registrati da loro stessi. I progetti sono stati realizzati

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