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IL NEUROMARKETING ALIMENTARE

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Facoltà di Scienze della Nutrizione Umana

Dipartimento di Farmacia

IL NEUROMARKETING ALIMENTARE

RELATORE CANDIDATO

PROF. TRIESTE LEOPOLDO DEL PRETE LUCA ANNO ACCADEMICO 2020/2021

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INDICE

INTRODUZIONE 5

CAPITOLO 1: DAL MARKETING AL NEUROMARKETING 8

1.2LE NEUROSCIENZE 10

1.3NEUROSCIENZE E MARKETING 13

1.4MARKETING E NEUROMARKETING 15

CAPITOLO 2: STRUMENTI E METODOLOGIE DEL NEUROMARKETING 18

2.1TECNICHE DI BRAIN IMAGING 20

2.1.1 L’EYE-TRACKING 21

2.1.2 IL RICONOSCIMENTO DI ESPRESSIONI FACCIALI 23

2.2RUOLO DELL'INCONSCIO NEI PROCESSI DECISIONALI 24

2.3MARKETING EMOTIVO E MARKETING ESPERENZIALE 27

2.3.1. LA MUSICA 31

2.3.2 SEGNALI 34

2.4MOTIVAZIONI E BISOGNI DEL CONSUMATORE 35

2.5:IL PROCESSO DECISIONALE DEL CONSUMATORE 38

2.6COSA INFLUENZA LA SCELTA DEL CONSUMATORE 45

CAPITOLO 3: APPLICAZIONI DEL NEUROMARKETING NEI SETTORI FOOD E

BEVERAGE 51

3.1STRATEGIE DI MARKETING E COMUNICAZIONE DI HEINEKEN 51

3.2ESPERIMENTO SULL'ILLUMINAZIONE DEGLI ESERCIZI COMMERCIALI 53

3.3PACKAGING ALIMENTARE E NEUROMARKETING 55

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INNOVATIVE 58

4.1IL MELONE MANTOVANO IGP 59

4.2IL MARKETING TERRITORIALE DEL VINO 60

CAPITOLO 5: NEUROETICA E LIMITI DEL NEUROMARKETING 63

5.1LA NEUROETICA 63

5.2ALTRI LIMITI DEL NEUROMARKETING 65

5.3I PERICOLI DEL NEUROMARKETING ALIMENTARE 66 5.3.1 INFLUENZE ESTERNE E INTERNE SULLE SCELTE ALIMENTARI DEI BAMBINI 66

5.4CYBER TEENS E NEUOMARKETING DIGITALE 69

CAPITOLO 6: IL FUTURO DEL NEUROMARKETING 72

6.1IL MARKER SOMATICO 72

6.2NEUROMARKETING E FOOD STORY-TELLING 74

6.3COVID-19 E SCELTE DECISIONALI DEL CONSUMATORE 76

6.3.1 MARKETING ED INTERAZIONE: IL CASO LOWES FOOD 78

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INTRODUZIONE

L'obiettivo del presente elaborato è illustrare la crescente importanza del neuromarketing nello studio del comportamento del consumatore, anche in ambito alimentare.

Facendo proprie le metodologie delle neuroscienze, questo recente campo di studi rappresenta una vera e propria risorsa per indagare sia le cause che inducono il consumatore a scegliere un determinato prodotto, sia prevedere la scelta stessa, superando la normale concezione del consumatore.

L'obiettivo che il neuromarketing si prefigge è, infatti, quello di riuscire a indagare in modo preciso i processi e le dinamiche che sono alla base delle scelte del consumatore. Nell'ultimo decennio, grazie soprattutto ai notevoli passi in avanti delle neuroscienze, è ora possibile fare un'analisi dettagliata delle attività celebrali, consentendo agli esperti di indagare e di identificare, da un lato, i processi e i meccanismi che, a livello di corteccia cerebrale, presiedono alle funzioni più “evolute”, “complesse, “razionali”, “intenzionali” (analisi, che può essere condotta anche con indagini più tradizionali) e, dall’altro, il ruolo dei processi e dei meccanismi più profondi, per lo più emozionali e inconsci (le persone non ne sono consapevoli), che non costituiscono soltanto il necessario complemento ai processi “razionali” e consci, ma in realtà ne sono i veri

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mediatori.

Il presente lavoro, che integra una revisione della letteratura (narrative review), si articola in cinque parti principali. La prima parte è dedicata alla revisione della letteratura e tratta l'importanza del ruolo delle emozioni nei processi decisionali e si occupa più nello specifico del concetto di marketing esperienziale; la seconda parte tratta quelle che sono le principali tecniche di ricerca impiegate dal neuromarketing per studiare il comportamento del consumatore, ad esempio, la risonanza magnetica funzionale, l'elettroencefalografia (EEG) e l'eye-tracker.

Nella terza parte saranno esposti e studiati alcuni esperimenti di neuromarketing alimentare utilizzati da aziende multinazionali che si sono affidate a varie tecniche per comprendere meglio il comportamento dei consumatori e così incrementare le proprie vendite.

La quarta parte sarà dedicata ai limiti, le questioni etiche e legali che l’adozione delle tecniche di neuromarketing ha sollevato e continua a suscitare anche in ambito alimentare.

Influenzata dalle conclusioni suggerite dalla revisione della letteratura, la quinta e ultima parte della tesi presenta le possibili applicazioni future del neuromarketing alimentare.

AVVERTENZA

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letteratura (introduzione, domande di ricerca, metodo, risultati e discussioni), considerando l’attuale elaborato una introduzione generale al neuromarketing alimentare più che un’analisi approfondita di alcuni aspetti specifici, e non volendo interrompere il discorso per giungere più speditamente alla presentazione e discussione dei risultati, si è preferito affidare a una appendice finale la descrizione dei metodi della revisione della letteratura.

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CAPITOLO 1: dal Marketing al Neuromarketing

1.1 Introduzione al Neuromarketing

La motivazione che ci spinge a effettuare una data scelta è un quesito a cui gli esperti stanno ancora cercando di dare una risposta.

Il concetto di libertà da una parte, di necessità della scelta e la relazione tra le due dimensioni con riferimento agli esiti della scelta stessa (le domande se siamo liberi o condizionati nelle scelte che compiamo) è un problema filosofico antichissimo che anche la scienza moderna ha tentato di affrontare. Ma, mentre la filosofia ha cercato di fornire una risposta incontrovertibile e cioè concettuale (la necessità non può essere oggetto di esperienza) e necessaria a questa domanda, cioè una risposta che non può essere messa in dubbio da nessun sapere, o da nessuna epoca storica, perché il negarla significherebbe contraddirsi, le scienze moderne si accontentano di dare una risposta “plausibile” sulla base dell’esperienza o del risultato di esperimenti controllati. Una risposta che sarà superata da altre che forniscono una descrizione più accurata degli eventi e a maggior capacità predittiva.

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così profonde che egli ne è consapevole solo in qualche raro caso (1) è un risultato che solo recentemente è stato acquisito ed accettato dalla comunità scientifica.

Tra le diverse risposte che il sapere scientifico ha tentato di dare, anche il neuromarketing cerca una risposta attraverso l’utilizzo di tecniche di scansione cerebrale e l'impiego di sensori biometrici per indagare i meccanismi delle decisioni d’acquisto del consumatore a livello neurale e fisiologico.

Frutto dell'indagine di queste ricerche, i risultati ottenuti dall’impiego dei metodi e delle tecnologie considerate possono fornire alle aziende informazioni molto utili per la realizzazione di campagne pubblicitarie che possono catturare l'attenzione del consumatore, rendendo i nuovi prodotti più accattivanti e allettanti ma, anche, alle istituzioni pubbliche nel disegnare campagne di sensibilizzazione più efficaci per indurre i cittadini a modificare comportamenti a rischio (social marketing).

Il neuromarketing, però, non deve essere visto come un sostituto del marketing, ma piuttosto come uno strumento integrativo o, se si vuole, più potente delle tradizionali ricerche di mercato.

Gallucci (2016), infatti, afferma che il neuromarketing può essere applicato in tutte le circostanze in cui si vuole comunicare un concetto, cioè quando a uno stimolo segue una risposta emozionale e poi una retroazione, cioè un feedback (2). Non solo. Poiché si può sempre descrivere e rappresentare (tuttavia anche forzando in modo arbitrario la banalizzazione del problema in gioco, anche verso i paradigmi behavioristi più spinti) ogni comportamento in termini stimolo-risposta (sia che questi siano di tipo linguistico

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che non verbale), ecco che il neuromarketing può essere applicato potenzialmente all’analisi di ogni comportamento.

L'importanza del neuromarketing è stata riconosciuta anche dai grandi marchi commerciali come Coca Cola, Ford, Fox, Google e Microsoft, che in più occasioni hanno investito nella ricerca esperienziale del neuromarketing per capire dove investire in modo mirato e quali strategie fossero più redditizie per rimanere al passo con i tempi. Inoltre, la maggior parte dei brand e dei grandi marchi commerciali, all'interno del loro organigramma aziendali, dispongono di mirate sezioni di ricerca per il marketing e/o si appoggiano ad agenzie esterne di neuromarketing per lanciare i propri prodotti sul mercato (3).

Il numero delle società che hanno deciso di dedicarsi alle neuroscienze sta crescendo molto velocemente ed è, infatti, considerato uno dei dieci modelli di innovazione che cambieranno il modo di fare business nei prossimi anni (4).

1.2 Le Neuroscienze

Con il termine “neuroscienze” indichiamo l'insieme delle discipline che studiano i vari aspetti morfo-funzionali del sistema nervoso mediante l’apporto di numerose branche della ricerca biomedica: dalla neurofisiologia alla farmacologia, dalla biochimica alla biologia molecolare e cellulare alle tecniche di neuro radiologia (5).

Lo studio del sistema nervoso ha radici lontane, risalenti ai tempi dell’antico Egitto (6).

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rappresentata dal papiro di Edwin Smith, egittologo statunitense che l’acquistò da un rigattiere durante una spedizione nella città di Luxor e gli assegnò il suo nome (6). Prove di primi tentativi di trapanazione, di pratiche chirurgiche coma la foratura o la raschiatura del cranio per curare il mal di testa o i disturbi mentali risalgono al neolitico e sono state ritrovate in molte culture antiche in tutto il mondo. Alcuni manoscritti risalenti al 1700 a.C. indicano persino che gli egiziani avevano qualche conoscenza circa i sintomi del danno cerebrale (6).

Questo campo di studi iniziò ad affascinare gli scienziati solo alla fine dell’800 grazie anche alla scoperta del microscopio.

Gli studi sul cervello diventarono più sofisticati soprattutto grazie allo sviluppo di una procedura di colorazione del tessuto nervoso da parte del medico italiano Camillo Golgi, verso la fine degli anni 1890 (7).

La procedura utilizzava l’immersione del tessuto in un sale cromato d'argento per rivelare le strutture complesse del singolo neurone. La sua tecnica fu utilizzata e migliorata (doppia immersione) da Santiago Ramón y Cajal e portò alla formulazione delle prime ipotesi del neurone, l'unità funzionale del cervello (7).

Tuttavia, è solo nel XX secolo che sono avvenute importanti scoperte sul sistema nervoso, grazie ai passi avanti fatti compiuti dalla biologia molecolare e dalle neuroscienze computazionali: fu possibile iniziare uno studio molto più approfondito del cervello che avrebbe condotto all’individuazione di strutture e processi in grado di rispondere in modo scientifico alle domande sul funzionamento della mente umana

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(8).

Lo studio del sistema nervoso può essere condotto su più livelli: molecolare e cellulare, sistemico e cognitivo. A livello molecolare, le neuroscienze cercano di comprendere il meccanismo mediante il quale i neuroni rispondono ai segnali molecolari. A questo proposito sono utilizzati gli strumenti della biologia molecolare e della genetica (9).

A livello sistemico, le neuroscienze indagano come i circuiti e le strutture neurali si formino e come intervengano fisiologicamente per la produzione di funzioni come i riflessi, l'integrazione sensoriale, la coordinazione motoria, i ritmi circadiani, le risposte emotive, l'apprendimento e la memoria (10).

A livello cognitivo infine, le neuroscienze indagano come le funzioni psicologiche siano prodotte dai circuiti neurali come, ad esempio, il modo in cui la cognizione umana e l'emozione siano mappate su substrati neurali specifici (11).

I miglioramenti in ambito tecnico scientifico e l'incessante voglia di conoscenza sono stati fondamentali per lo sviluppo delle neuroscienze e, questo sviluppo, accompagnato dal tentativo di superare i limiti degli strumenti di indagine e della loro non neutralità rispetto al comportamento del soggetto in esame, ha sua volta favorito la nascita di dispositivi non invasivi per lo studio del cervello umano, in modo da poter allargare gli orizzonti della nostra conoscenza riducendo le citate distorsioni (12).

Le neuroscienze non hanno solo possibilità d’impiego in campo tecnico-scientifico,

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cosiddetta neuro economia, definita da Plassman (2005) come un settore nato della ricerca neuro scientifica che studia il funzionamento della mente in relazione ai processi decisionali nella soluzione di compiti economici. (13).

Da questo punto di vista la neuro economia ha come obiettivo principale non solo la riforma della teoria economica standard, ma anche la sua rifondazione sulla base dei concetti neurali. È una disciplina che abbraccia psicologia ed economia per determinare quali sistemi neurali sono alla base del comportamento, studiando come e perché le normali differenze tra soggetti possono spiegare le nostre scelte e azioni (14).

1.3 Neuroscienze e Marketing

Dalla teoria economica le neuroscienze diventano una disciplina rilevante anche per il management e in particolare per le azioni di marketing, partendo dalla fase iniziale del marketing analitico, per arrivare a una più ampia e oggettiva profilazione del consumatore.

Il neuromarketing, comunque, può rivelarsi utile in diversi settori e discipline tra cui: la “Brand strategy” e la comunicazione aziendale, il Rebranding e la creazione di nuove categorie di prodotti, il “Product placement”, il design di prodotto e l’ottimizzazione della “customer experience”.

Questo consente alle aziende di comprendere quali elementi e strategie devono essere cambiate o migliorate e quali, invece, devono essere mantenute in un processo di “rebranding”, di cambio del logo, nome o comunicazione aziendale, per continuare a operare sul mercato globale.

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In questo modo il neuromarketing può essere di supporto in molte funzioni.

- Comprendere i meccanismi cerebrali: gli strumenti di neuro imaging possono aprire una finestra sulle scelte del consumatore andando a perfezionare le teorie sulle quali si basa il normale processo di marketing;

- Nell’analisi dei processi che sono normalmente impossibili da decifrare utilizzando i metodi canonici. Un esempio può essere rappresentato dal caso in cui un consumatore si trova di fronte alla scelta di acquisto di due prodotti qualitativamente uguali ma con prezzi diversi. Ad esempio, studi di neuromarketing hanno prodotto risultati interessanti per quanto riguarda il prezzo come driver di scelta di prodotti alimentari. Plasmann (2009), infatti, studiando le scelte di acquisto di bottiglie di vino, ha scoperto che la scelta tenderebbe a ricadere sempre sul prodotto con il costo superiore, proprio poiché inconsciamente associamo il prezzo alla qualità del prodotto (15).

- Distinguere diversi processi psicologici: il brain imaging permette di capire se diverse decisioni derivino da processi neuronali simili o differenti. Ciò può essere di grande utilità per comprendere in che modo il subconscio del consumatore può essere stimolato e che processi è più efficace attivare o inibire.

- Comprendere le differenze tra individui: studiare le preferenze e le scelte del consumatore permette di identificare meglio il target di mercato.

- Prevedere, quindi, i comportamenti d’acquisto: l’ideazione di nuove categorie di prodotto attraverso test che aiutino a comprendere effettivamente se il prodotto può

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diminuendo così il margine di rischio associato alla creazione di nuove categorie di prodotti che non sono adatti alle esigenze dei consumatori (16).

1.4 Marketing e Neuromarketing

Il marketing è sempre stato strettamente legato alla psicologia, soprattutto quella sperimentale, inaugurata dalle scuole strutturaliste. L’obiettivo del marketing è sempre stato quello di trovare nuovi metodi per far sì che le persone comprino determinanti prodotti. Capire come ci comportiamo e/o come funziona il cervello è stato da sempre l’obiettivo della psicologia. Per questo, negli ultimi dieci anni gli esperti di marketing si sono sempre più dedicati allo studio del cervello umano e ai suoi meccanismi decisionali.

Il comportamento di acquisto dei consumatori è molto complesso, e ciò che influenza le scelte del consumatore è spesso sconosciuto. Molte volte, infatti, quando si tenta di dare una spiegazione a uno specifico comportamento, anche l’artefice dello stesso, non sia darne spiegazione (17).

Daniel Goleman, studioso dell’Intelligenza emotiva, sostiene che il nostro cervello è programmato per valutare e soppesare emotivamente ciascuna opzione di acquisto. Goleman ha messo a fuoco per la prima volta l'importanza delle componenti emotive anche nelle funzioni più razionali. (18).

È ormai riconosciuto che i modi del consumo da parte di singoli o gruppi portino con sé un insieme di significati che vanno oltre la semplice acquisizione di beni di consumo. Dai primi decenni del secolo scorso fino ai giorni nostri, le forme di consumo hanno

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subito notevoli cambiamenti. Sono cambiate le merci, le routines produttive, gli apparati logistici, le modalità di fruizione: è cambiato il sistema di significati che il prodotto/segno veicola (19).

Il consumo è diventato un fenomeno sociale, e non può quindi essere compreso se collocato asetticamente all’interno di vecchie categorie e nella logica, ormai superata del meccanicismo dell’economia marginalista più spinta (20).

Il concetto di consumo si è evoluto sulla falsa riga delle trasformazioni sociali ed economiche ed è cambiato anche il modo in cui il consumatore è sottoposto quotidianamente agli stimoli commerciali. Tra le miriadi di pubblicità, spot televisivi, e promozioni allettanti solo una piccola percentuale di slogan e messaggi riesce a colpire il subconscio del consumatore. Quelli che riescono a fare breccia nel subconscio dei consumatori sono stati capaci di trasmettere determinati valori ed emozioni (21).

Il marketing emozionale, nella seconda metà degli anni Novanta, nasce proprio da questa consapevolezza. Gallucci definisce il marketing emozionale come una strategia di marketing che fa leva sulle emozioni per abbattere le resistenze psicologiche all’acquisto. Le emozioni sono una spinta potentissima perché conducono l’utente/consumatore all’interno di una storia memorabile, coinvolgente, totalizzante.

Per riuscire nell’intento il marketing emozionale si avvale delle tecnologie di misurazione delle reazioni fisiologiche del consumatore. La competizione, dunque, non è più solo tra prodotti, ma anche tra le sensazioni che derivano dai prodotti stessi e dai valori a essi associati derivanti dalle loro case di produzione. Le aziende hanno dunque

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compreso a fondo l’importanza dell'aspetto emozionale che deve essere trasferito nella comunicazione e per questo sono impegnate di continuo nella ricerca di nuovi escamotage e nuove metodologie di misurazione sempre più accurate, per riuscire a decifrare le percezioni dei consumatori rispetto alle variabili emozionali scaturite dai prodotti (22). È in questo contesto che il neuromarketing consente al concetto di marketing di fare un passo in avanti verso le sfide del nuovo millennio.

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CAPITOLO 2: Strumenti e metodologie del neuromarketing

Ogni consumatore è sottoposto a molteplici possibilità di acquisto di diversa natura.

Questi possono derivare o dalle attività di marketing da parte delle imprese e quindi dei brand (sponsorizzazioni, prezzi, catene di distribuzione), oppure dall’ambiente circostante. Gli stimoli che derivano dalla parte ambientale sono classificabili in modelli di natura si economica, ma anche politico-culturale e sociali (23).

Poiché gran parte della nostra attività cerebrale (il 95%) è inconscia, la direzione privilegiata dal neuromarketing per rilevare non solo le abitudini e gli schemi d’acquisto dei consumatori, ma soprattutto le loro cause più profonde, sembra quella di studiare l’attività cerebrale inconsapevole che sarebbe alla base dei processi di scelta e decisione d’ acquisto.

Studiare le risposte che il cervello dà in base agli stimoli ricevuti, cercare di capire i meccanismi che portano alla nascita di un'emozione, possono aiutare a spiegare anche cosa renda le idee contagiose e quindi essere in grado di creare in tempi più rapidi degli standard di mercato.

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metabolismo cerebrale, con lo scopo di analizzare e studiare la relazione tra l'attività di determinate aree cerebrali e specifiche funzioni cerebrali, in relazione a specifici stimoli.

Al contrario dei metodi usati nella ricerca economica tradizionale, tali metodi permettono di “aprire” la cosiddetta “scatola nera” del consumatore, indagando il suo comportamento in maniera più profonda e oggettiva (24).

Figura 1 – modello della scatola nera del consumatore (Black-Box)

Fonte: Principi di Marketing 13e, a cura di W. Giorgio Scott

Il neuromarketing è diventato un'area di interesse accademico e commerciale, poiché i progressi nelle tecniche di registrazione neurale e negli algoritmi di interpretazione lo hanno reso uno strumento efficace per riconoscere la risposta inespressa dei consumatori agli stimoli di marketing (25).

Le metodologie di ricerca di neuroimaging misurano le reazioni psicofisiologiche di soggetti esposti a tutta questa serie di stimoli. Esse sono in grado di monitorare con grande precisione le differenti variazioni della condizione emotiva del soggetto durante l'esperimento, per poi tradurre i dati raccolti in indicatori, misurandone i mutamenti

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durante del test. Gli strumenti di neuromarketing, solitamente usati per queste ricerche, sono di tre tipi: tecniche di brain imaging, eye-tracking e il riconoscimento delle espressioni facciali.

2.1 Tecniche di Brain Imaging

Vi sono due tipi fondamentali di strumenti di Brain Imaging, entrambi largamente utilizzati in campo medico diagnostico: quelli che misurano l’andamento del flusso sanguigno (fMRI) e quelli che invece analizzano l’attività elettrica e magnetica generata dal funzionamento cerebrale (EEG), che non sono veri e propri strumenti di Brain Imaging, a meno che non si trasformino i segnali elettrici per creare un’immagine del cervello.

La Risonanza Magnetica Funzionale (fMRI) è la più utilizzata tra le tecniche di Brain Imaging e misura il flusso sanguigno all’interno del cervello: le aree caratterizzate da un livello di flusso sanguigno più elevato sono le più attive, cioè quelle con una maggiore attività neurale. La procedura standard di scansione mediante fMRI consiste nella raccolta di immagini della zona del cervello interessata prima, durante e dopo l’esposizione allo stimolo.

L’elettroencefalogramma (EEG) osserva invece le variazioni dell’attività elettrica cerebrale: esso si serve di elettrodi, applicati sul cuoio capelluto, e misura l’andamento del campo elettrico nella regione del cervello sottostante a essi. Il tracciato registra il modo in cui il cervello risponde a certe forme di stimolazione: le variazioni di potenziale elettrico misurate dall’EEG ci permettono però di esaminare alcuni indici

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come l’intensità dell’attenzione del soggetto, il focus, dunque il livello di attenzione su un dettaglio dello stimolo, la propensione ad apprendere e memorizzare e il grado di rievocazione dei vissuti precedenti che lo stimolo è in grado di attivare. Tutti indicatori che, nell’esposizione a uno stimolo pubblicitario, ci aiutano a capire quanto il consumatore sia coinvolto e ricettivo, quanto percepisca lo stimolo come una novità e quanto si serva delle sue esperienze precedenti conservate in memoria (familiarità col brand, abitudini d’acquisto e influenza della comunicazione pubblicitaria) per decodificare un nuovo stimolo in entrata.

Per uno studio più approfondito sulle singole tecniche di indagine neurologica di brain imaging si rimanda agli articoli di Dalli, D., Corciolani, M., Sanna, F., Pietrini, P., Ricciardi, E., Casarotto, S., & Romani, S. (2008) “Il contributo del neuro-imaging alle ricerche di marketing”. Si faccia riferimento anche alla recente review Bazzani, Ravaioli, Trieste, Faraguna e Turchetti (2020) “Is EEG suitable for marketing research?” per quanto riguarda l’uso dell’EEG nella ricerca di marketing.

2.1.1 L’eye-tracking

Lo studio dello sguardo è un tema d’analisi nato nel XIX secolo, che ha continuato a volversi fino a diventare, oggi, una metodologia di lavoro di rigore scientifico.

Gli occhi sono uno degli strumenti principali che utilizziamo per imparare, apprendere, documentarci, essere in contatto con la realtà che ci circonda, in modo tale da poter prendere scegliere tra alternative.

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Misurare e comprendere l’attenzione visiva in modo preciso e oggettivo attraverso le tecniche di eye-tracking consente a ricercatori e aziende di studiare, su solide basi scientifiche, il comportamento umano.

L’eye-tracking (in italiano, oculometria) è un processo che traccia un profilo dei movimenti oculari per determinare dove un soggetto sta guardando, cosa sta guardando e per quanto tempo il suo sguardo indugia in un determinato punto dello spazio.

L’eye-tracking è una metodologia di efficacia consolidata, applicabile a una molteplicità di ambienti. Il tracciamento dei movimenti oculari avviene attraverso appositi strumenti, e la rilevazione/interpretazione dei dati associabili è elaborata tramite dei software specialistici, utilizzando tecniche differenti.

Quando si tratta di tracciamento oculare remoto e non intrusivo, la tecnica più comunemente utilizzata è la riflessione corneale del centro della pupilla (PCCR, brevetto statunitense).

Il concetto di base di questa metodologia è utilizzare una fonte di luce vicina all’infrarosso per illuminare l’occhio, causando riflessi molto evidenti, rilevabili sia nella pupilla sia nella cornea, che sono fotografati da una camera a infrarossi. L’immagine consente di identificare il riflesso (glint) della fonte di luce sulla cornea e nella pupilla.

Si procede quindi a calcolare il vettore formato dall’angolo tra i due riflessi sulla cornea e nella pupilla: la direzione di questo vettore è utilizzata per calcolare la direzione dello

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Il nostro cervello processa gli stimoli visivi secondo una gerarchia, per cui forme, colori, immagini, numeri e parole sono processati in questo ordine. Per questo motivo si tende a porre attenzione maggiormente agli aspetti visivi, come le immagini, le icone, i loghi del brand presenti su un packaging. Il testo, però, gioca un ruolo determinante quando i consumatori sono molto motivati a scegliere un determinato prodotto: in questi casi, infatti, l’acquisizione delle informazioni è molto più lenta e il tempo di fissazione sul prodotto più lungo. È qui che le informazioni testuali acquistano maggiore importanza e comunicano di più delle immagini. (25)

2.1.2 Il riconoscimento di espressioni facciali

Tutte le tecnologie volte a estrapolare gli stati emotivi delle persone a partire dalle loro espressioni poggiano su due assunti teorici fondamentali: che a ogni espressione corrisponda una precisa emozione (stato mentale o stato emotivo) e che le emozioni siano comunicate con le stesse espressioni in tutto il mondo (26).

Questi due concetti sono alla base della “scienza cognitiva delle espressioni facciali” di cui Paul Ekman, psicologo statunitense è uno dei massimi esponenti (i suoi lavori hanno ispirato anche la serie tv Lie to me). Le sue ricerche sono state compiute tra gli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso su adulti e bambini, provenienti da ceti sociali e nazionalità differenti, arrivando alla conclusione che le espressioni facciali sono una forma di comunicazione comprensibile da tutti, a prescindere dalla regione o dalla cultura di provenienza. Sarebbero pertanto forma di comunicazione non verbale universalmente

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comprensibile: sentimenti come rabbia, paura, felicità, piacere, tristezza, disgusto sono veicolati dalla mimica facciale allo stesso modo in tutte le popolazioni del mondo.

Tracciare le espressioni facciali de viso attraverso foto e video, può rappresentare l’indizio e il report più completo per conoscere realmente ciò che muove il cliente, e lavorare così su un messaggio per lui desiderabile (27).

Un sistema di intelligenza artificiale è adibito alla mappatura del viso e registra ogni espressione facciale, anche quella più impercettibile. In seguito un software compara le espressioni del cliente test con un database di modelli pre registrati che rappresentano le varie emozioni. Tramite l’incrocio delle due fonti di dati è così possibile risalire alle emozioni dei soggetti sottoposti agli stimoli pubblicitari (28).

2.2 Ruolo dell'inconscio nei processi decisionali

Per centinaia di anni si è cercato di capire quali fossero i meccanismi insiti dietro le scelte quotidiane di un individuo. Decenni di ricerche hanno dimostrato che gran parte della nostra elaborazione mentale avviene al livello del nostro subconscio, comprese le decisioni che prendiamo come consumatori. Questo spiega perché così spesso non riusciamo a prevedere con precisione la nostra scelta futura (14). Spesso, quello che pensiamo di volere ha poca o nessuna relazione con le scelte che effettivamente facciamo. Il "Consumer neuroscience" è un nuovo approccio all'interno della ricerca sui consumatori che si è sviluppata rapidamente, che mira a migliorare la comprensione del comportamento dei consumatori utilizzando i metodi delle neuroscienze. Il neuromarketing è correlato al marketing come la neuropsicologia è correlata alla

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psicologia. Inoltre, la neuropsicologia studia la relazione tra l'essere umano e le funzioni cognitive e psicologiche, mentre il neuromarketing indaga il comportamento dei consumatori dalla prospettiva del cervello (26). La teoria economica classica è basata sul presupposto che i consumatori tendano a massimizzare la propria utilità in ogni decisione di acquisto bilancino dunque i costi e i benefici delle alternative disponibili.

Attraverso le neuroscienze sono state mosse due principali critiche alla teoria classica. In primo luogo la maggior parte dei processi decisionali avviene in modo automatico. Zaltman sostiene che il 95% dei processi cognitivi è riferibile alla mente subconscia, e che solo il 5% è riferibile a processi decisionali consapevoli (29). Questo fa presupporre che i consumatori, il più delle volte, decidano in modo inconsapevole. Come illustrato da Kahneman (30), la mente esegue due tipologie di pensiero: razionale e intuitivo. Il pensiero razionale funziona in maniera lenta, sequenziale, faticosa e controllata, mentre il pensiero intuitivo è veloce, automatico, senza sforzo, associativo e difficile da controllare (31).

L’altro limite mosso alla teoria classica è rappresentato dalla presenza dalla parte emotiva nell'individuo, che ha un ruolo fondamentale nelle sue scelte decisionali, concetto che riprenderemo più avanti quando tratteremo della “teoria del cervello tripartito” di MacLean (1962).

Come illustra Gallucci in “Marketing emozionale e neuroscienze”, il comportamento umano non è solo il frutto di sistemi controllati e automatici, ma soprattutto di sistemi cognitivi ed emotivi. Un esempio di come i due sistemi agiscano tra di loro può essere

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fornito dalle facce chimeriche di Jaynes (32). Ogni faccia è composta di due metà, una sorridente, l'altra triste, disposte in modo speculare (cioè in una la parte sorridente è a destra e l'altra a sinistra e viceversa nell'altra). In questa situazione l'elaborazione cognitiva ci informa che le due facce sono costituite da elementi identici, semplicemente disposti in posizioni differenti. Nonostante ciò le due facce generano un differente stato emotivo e una delle due è giudicata più allegra rispetto all'altra.

Il sistema emozionale quindi elabora le informazioni utilizzando regole e procedure profondamente diverse rispetto al sistema cognitivo. Queste regole sembrano principalmente il risultato di un processo evolutivo. Darwin, in "L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali" (1872), aveva sottolineato l'importanza delle funzioni emotive ai fini della sopravvivenza: essere capaci di riconoscere le intenzioni di chi abbiamo difronte è fondamentale per la sopravvivenza. Secondo Darwin, le emozioni sono quindi in primo luogo una modalità di risposta alle situazioni di emergenza che riguardano i bisogni fondamentali dell'organismo (cibo, sesso, territorio).

In definitiva il sistema emozionale può essere considerato, a tutti gli effetti, un sistema adattivo. Come nel caso del sistema cognitivo, quello emozionale prevede una analisi dell'informazione, una sua elaborazione, organizzazione della risposta e la memorizzazione. A differenza del sistema cognitivo però è un sistema di emergenza: necessita quindi di una analisi rapida e di una altrettanto rapida risposta (33).

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Figura 2: rappresentazione facce chimeriche di Jaynes.

Fonte: Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza (1976)

Le nostre decisioni di acquisto non sono altro che il risultato di una serie di fattori derivanti dalle emozioni profonde e inconsce che ci inducono a comprare; le giustificazioni, che elabora il nostro cervello derivano da meccanismi che operano a livello inconscio. Il nostro inconscio agisce a volte sulla spinta delle emozioni, mentre la mente conscia esegue e razionalizza, spiegandosi le azioni che derivano da processi decisionali inconsci (34).

2.3 Marketing emotivo e marketing esperenziale

Gerald Zaltman, professore presso la Harvard Business School, nel suo libro “How customers think” (2003) spiega che anche quei clienti che sono soliti comparare prezzi, marchi e prodotti, non sono del tutto consapevoli di che cosa li spinga effettivamente all’acquisto. Piuttosto, credono di saperlo, mentre in realtà non fanno altro che cercare motivi convincenti per giustificare decisioni le cui cause non sono razionali (35).

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Un esperimento degli psicologi Kirsten Ruys e Diederick Stapel, dell’università di Tilburg, nei Paesi Bassi, supporta questa tesi. Nel 2008 hanno sottoposto 100 studenti dell’università a una sequenza di stimoli visivi sotto forma di lampi di luce. Agli studenti era chiesto di indicare da che lato provenisse la luce, mentre in realtà, per una piccola frazioni di secondo, erano mostrate delle immagini che avevano lo scopo di suscitare reazioni emotive.

In seguito, era domandato agli studenti di completare delle sequenze di parole. Il risultato è stato che le parole usate dagli studenti esprimevano miseria, tristezza, rabbia, felicità o paura, a seconda delle immagini cui erano stati inconsciamente sottoposti visivamente. Le immagini, infatti, avevano provocato in loro stati d’animo differenti e voluti (36).

Molti esperti di marketing sono affascinati dalla stretta connessione tra la parte cosciente e inconscio dell’individuo e cercano di sfruttare strategie di emotional

marketing concrete che portino i clienti ad acquistare in base ai processi inconsci

provocati. Non si vuole solamente scatenare uno stato d’animo, ma far sì che questi pensieri siano associati dal cliente al marchio. Proprio questo è l’obiettivo del marketing emozionale: raggiungere una reazione positiva, ancor prima che la coscienza del potenziale cliente si attivi (37).

Il marketing emozionale, o marketing dell’esperienza, teorizzato da Schmitt (1999), si basa su un concetto molto semplice e intuitivo, che tuttavia richiede impegno e coordinazione per essere messo in pratica (38).

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Idealmente, con il “marketing emozionale” si vuole suscitare uno stato d’animo nel cliente per associarlo al proprio marchio, così da sviluppare verso questo un senso di simpatia e fedeltà (39).

Esempi dell’applicazioni del marketing emozionale sono gli slogan elettorali di Donald Trump “Make America Great Again!” durante la campagna presidenziale del 2016 o i precedenti “Change we can believe in” e “Yes, we can!” di Barack Obama. Rispetto a obiettivi politici concreti si è scelto di puntare su messaggi generici che suscitino emozioni nell'elettore, ottenendo risultati migliori di quanto non si riesca a fare con argomentazioni razionali e che richiedono un’attenzione top-down da parte dell’elettore (40).

Il cibo è il prodotto col più alto tasso di emotività e quello che più spesso è caricato di significati dalle aziende specializzate nel food marketing per suscitare reazioni nell’acquirente allo scopo di rendere appetibile e accattivante il prodotto. Per esempio, le campagne pubblicitarie della maggior parte dei prodotti dolci che hanno come target la fascia adulta mettono in risalto l’aspetto ludico o trasgressivo: spesso questi prodotti sono indicati come un vizio o un’auto regalo da parte del consumatore, alludendo a toni marcatamente sensuali, o addirittura “un peccato”, inteso come simbolo di violazione dei codici sociali che impongono stereotipi come l’essere magri. Prodotti con lo stesso contenuto di zuccheri e grassi, ma destinati ai bambini sostituiranno le voci calde o graffianti optando per toni più adatti o voci femminili più rassicuranti. Trasmettono l’idea che, ad esempio, lo snack in questione dà energia ed è adatto a un bimbo che cresce e si muove tutto il giorno e che, a modo suo, è “sano” (41). In questo

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caso si tenterà di bilanciare l’aspetto emotivo con maggiori informazioni per rassicurare il genitore che nel scegliere prodotti per il proprio figlio si è compiuta la migliore delle scelte possibili.

Il modello applicato dal marketing esperenziale invece, è stato ideato da Mehrabian e Russell (1974) e prende in considerazione le variabili ambientali, intese come atmosfera e spazio, capaci di influenzare la scelta del consumatore (42).

Il marketing esperenziale, di cui il marketing emozionale è una tappa intermedia, si occupa di tutte le azioni e soluzioni atte a incuriosire e coinvolgere il consumatore in modo diretto, facendo appello alla sua esperienza sensoriale più che alla sfera emotiva. Spettacoli, giochi, eventi a invito e, ultimamente, anche immersioni nella virtuale o aumentata sono le più diffuse figure trattate dal marketing esperienziale. L’obiettivo è motivare, provocare, ispirare e collocare al centro di tutto il consumatore, facilitando il riconoscimento egli elementi che per lui sono veramente utili, divertenti, emozionanti. La persona è messa al centro delle campagne del marketing dell’esperienza, e il prodotto da pubblicizzare passa quasi in secondo piano (43).

La forma di marketing esperienziale più utilizzata ed efficace è sicuramente quella del

Sansory Brand.

Davanti a un ormai eccesso di offerta di prodotti sul mercato, per emergere e attirare l’attenzione dei consumatori si deve far leva sulle emozioni: stimolare tutti i sensi contemporaneamente e non solo la vista. Sono oramai numerose le aziende che adottano queste tecniche facendo uso di particolari profumi, musiche, colori vivaci,

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tessuti morbidi, forme che ricordano l’infanzia.

2.3.1. La musica

La musica ha svolto un ruolo chiave in tutte le culture e generazioni anche molto distanti in termini di luogo e di tempo. La musica classica - in particolare le opere di Wolfgang Amadeus Mozart- può migliorare l'attività cerebrale, la cognizione e le capacità motorie e i suoi effetti benefici sono stati evidenziati anche per lenire disturbi cardiovascolari, dolore, epilessia, depressione e demenza (44).

Sebbene i meccanismi del processo decisionale debbano ancora essere pienamente compresi, è ampiamente accettata la teoria che un ambiente multisensoriale abbia un impatto significativo sull'esperienza gustativa del bere dell'individuo. Un’ambientazione o uno scenario particolare, differenti illuminazioni e/o profumi e una data scelta di musica di sottofondo, possono modellare efficacemente il modo in cui le persone valutano il gusto di una bevanda (30).

L’adattamento musicale, unito agli attributi di un cibo o di un prodotto in un determinato ambiente, può influenzare comportamento del consumatore attraverso reti semantiche della memoria (30).

Ad esempio, la musica classica occidentale è solitamente associata alla raffinatezza e al lusso ed è congruente con esperienze culinarie di alto livello, portando di conseguenza il consumatore a spendere più soldi in contesti di questo genere (46).

(32)

numerose ricerche e studi scientifici che evidenziano come brani musicali diversi possano influire notevolmente sul modo in cui il gusto di un vino è percepito.

Uno dei più importanti studi sul tema è stato condotto dal prof. Adrian North (47) dell’Università di Edimburgo, che fece degustare due tipi di vino, uno bianco e uno rosso a un campione di 250 persone, sia uomini che donne con 4 tipi di musiche in sottofondo o in totale assenza di musica.

North osservò che la descrizione del vino degustato variava al variare della musica ascoltata, portandolo a concludere che la musica non solo influenza il comportamento ma è in grado di cambiare radicalmente la percezione del vino degustato.

Questo è reso possibile dal fatto che il sottofondo musicale associato alla degustazione stimola alcune aree del cervello, che a loro volta condizionano e modificano le sensazioni percepite all’assaggio del vino.

I risultati di North sono stati confermati da Scarpellini (48) che possiamo definire un sound sommelier.

Durante una degustazione una ventina di vini furono sottoposti all’assaggio dapprima senza sottofondo musicale e poi con un’unica canzone in sottofondo.

Il risultato fu che quasi tutti i partecipanti percepirono sensazioni diverse degustando il vino con e senza musica.

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suggerire il migliore sottofondo per i vari tipi di vino. Tra questi spiccano canzoni di Robbie Williams per il vino Chardonnay e dei Rolling Stones per il Cabernet Sauvignon.

Sempre secondo riviste inglesi di settore i produttori vitivinicoli britannici avrebbero addirittura pensato di suggerire direttamente in etichetta la colonna sonora ideale per la degustazione delle loro bottiglie di vino.

Per quanto riguarda l’Italia, l’abbinamento tra musica e vino è stato celebrato da turisti e appassionati in occasione di Cantine Aperte del 2014, manifestazione che si è svolta totalmente all’insegna della musica.

Nello studio condotto da D. Peng-Li (2020), invece, sono stati presi in esame due gruppi socio culturali diametralmente opposti, sempre con lo scopo di verificare una connessione tra il cibo e la musica. Mediante l’utilizzo dell’eye-tracking sono state analizzate le risposte visive di 199 partecipanti, 98 Cinesi e 101 Danesi nello scegliere alcuni cibi mentre ascoltavano musica strumentale “orientale” e “occidentale”. Lo studio ha mostrato una evidente correlazione tra la scelta del cibo e la musica, indipendentemente dall’origine etnica: i partecipanti cinesi erano più propensi a scegliere cibo occidentale durante la condizione di musica occidentale. La stessa cosa valeva anche per il campione danese (49).

Entrambi gli esperimenti dimostrano che la musica ambientale può avere un impatto significativo sulle scelte esplicite dei consumatori, suggerendo l’importanza dell’applicazione del neuromarketing alimentare nelle strategie industriali.

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2.3.2 Segnali

Oltre a tali modulazioni sensoriali, il comportamento del consumatore è anche influenzato dalle informazioni segnale. Le percezioni di eccellenza e superiorità sono note per essere positivamente correlate con l'escalation del valore di mercato (51). Allo stesso modo, segnali di qualità, come il prezzo alto o basso dello stesso vino, possono alterarne la valutazione di gradevolezza gustativa (52). Le caratteristiche estrinseche di una bottiglia (la confezione, il prezzo e il marchio), sono certamente elementi essenziale nella scelta; tuttavia, alcune bevande come il vino, hanno attributi diversi dai normali valori riconducibili a mera valutazione estetica.

Un altro esempio è il rivoluzionario approccio utilizzato da un’azienda vinicola in Ungheria che produce il “Tokaj” (celebre vino rosso dell’area ungherese). Così come la musica di Mozart è utilizzata per far aumentare la produzione di latte vaccino, così la musica classica è trasmessa tra i vigneti e le botti tutti i giorni dell'anno. Le piante sono ricettive tanto quanto gli esseri umani ai cambiamenti ambientali e si pensa che possano rispondere a stimoli provocati da sostanze chimiche, dal tatto e dalle vibrazioni. Inoltre la capacità delle piante di "sentire i suoni" non è solo un’idea aneddotica. In effetti, è noto che le onde sonore influenzano la crescita delle piante, promuovono Attività ATP-asica e hanno un impatto sulla trascrizione dell'intero genoma. Si ritiene inoltre che aumentino significativamente la resa del dolce in alcune piante come il pepe, cetriolo, pomodoro, lattuga, spinaci, cotone, riso e grano (53). La conoscenza scientifica su l'argomento in questione è quasi inesistente; tuttavia, la

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umani, migliora l'estrazione di componenti caratteristici da uva e promuove l'invecchiamento dei vini (39). Il contesto in cui un determinato bene è prodotto ne altera il valore, che può essere aumentato per qualità, estetica, rarità o produzione speciale su base tecnologia (55) e questo metodo totalmente unico e senza precedenti di viticoltura, applicato ad altri settori alimentari potrebbe influenzare le decisioni di acquisto dei clienti (56).

2.4 Motivazioni e bisogni del consumatore

Nel 1954 lo psicologo Abraham Maslow propose un modello motivazionale dello sviluppo umano basato su una gerarchia di bisogni, disposti in una piramide, in base alla quale la soddisfazione dei bisogni più elementari è condizione necessaria per fare emergere quelli di ordine superiore (57).

I bisogni fondamentali, una volta soddisfatti, tendono a non ripresentarsi, mentre i bisogni sociali e relazionali tendono a ripresentarsi con nuovi obiettivi da raggiungere. Ne consegue che l’insoddisfazione, sia sul lavoro, sia nella vita pubblica e privata, è un fenomeno ampiamente diffuso che può trovare una sua causa nella mancata realizzazione dei propri desideri. Per Maslow, infatti, l’autorealizzazione richiede una serie di spiccate doti di personalità, competenze sociali e capacità tecniche.

Analizzando la Figura 3 è possibile vedere la ripartizione dei bisogni e l’ordine in base al quale l’essere umano tenta di soddisfarli.

(36)

Figura 3: La piramide dei bisogni di Maslow

Fonte: Piramide dei bisogni di Abraham Maslow – copyright albertosocial.it

Facendo un’analisi dei livelli della piramide motivazionale abbiamo:

- Bisogni FISIOLOGICI: sono rappresentati da tutto ciò che riguarda il sostentamento e la riproduzione. Questi bisogni sono i primi a dover essere soddisfatti perché hanno alla base il desiderio di sopravvivenza. Se tali bisogni fisiologici non saranno appagati, la loro realizzazione diventerà la motivazione principale del comportamento, e non ci sarà spazio per nessun altro bisogno (questo vale sia per gli uomini sia per gli animali). Una volta che tali bisogni sono soddisfatti regolarmente ci saranno spazio e tempo per dedicarsi ad altri tipi di bisogni (58).

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pulizia, buona salute, protezione (44).

- Bisogni di APPARTENENZA: in questa terza fase possiamo parlare di soddisfazione di bisogni sociali legati alla compagnia, quindi necessità di avere compagnia e ricevere affetto. Pertanto questo gradino riguarda la necessita di avere delle relazioni sociali e interpersonale di valore (44).

- Bisogni di STIMA: la necessità dell’individuo di essere benvoluto, stimato e degno di considerazione da parte della comunità cui appartiene (44).

- Bisogni di AUTOREALIZZAZIONE: realizzare la propria identità in base ad aspettative e potenzialità, occupare un ruolo sociale, ecc. Si tratta dell’aspirazione individuale a realizzare la propria indole, aspirazione, talento (44).

Prima di far fronte ai propri bisogni, l’individuo deve fare i conti con l’ambiente in cui si trova a prendere una decisione. Il mezzo con cui muoversi nell’ambiente circostante sono i nostri cinque sensi ma il processo mediante il quale le informazioni sono filtrate, immagazzinate e metabolizzate dal nostro cervello non è uguale per tutte le persone (59).

Uno stesso stimolo, odore o suono può essere percepito dai diversi consumatori in modo differente secondo le nostre esperienze già sperimentate in passato e quindi acquisite (60).

Infatti, è grazie al processo di apprendimento che il consumatore sviluppa delle basi su cui definire gli atteggiamenti futuri, sia sociali che economici come, ad esempio, l’apprezzamento o meno di un prodotto (58).

(38)

2.5: Il processo decisionale del consumatore

Le decisioni di acquisto che il consumatore può affrontare sono quattro (58):

- Decisioni Abituali: sono le decisioni che il consumatore prende per abitudine e durante il processo decisionale c’è una scarsa valutazione delle possibilità di acquisto;

- Decisioni complesse: implicano un elevato livello di valutazione dal punto di vista emotivo. Ad esempio, nel caso in cui la decisione deve essere compiuta quando il prezzo di un bene è elevato ma il prodotto è rappresentativo della persona stessa.

- Decisioni basate sulla varietà: il consumatore può scegliere un prodotto tra una vasta gamma di marche differenti, spinto dalla curiosità di provare qualcosa di nuovo.

- Riduzione della dissonanza cognitiva: un consumatore deve decidere se acquistare un prodotto caro o che raramente è stato acquistato. Il consumatore non avendo in merito dei termini di paragone con altre marche farà probabilmente una scelta affrettata, e il pericolo di sentirsi in colpa per l’acquisto fatto è molto elevato.

Il processo decisionale d’acquisto, secondo la teoria attuale (61), è costituito da cinque stadi:

- Riconoscimento del bisogno: il consumatore si rende conto di avere un problema o un desiderio che potrebbe essere soddisfatto con un prodotto o

(39)

gap esistente tra la sua condizione reale e quella “ideale”, comincia a pensare a come potrebbe colmare il divario, per soddisfare la propria necessità;

- Ricerca delle informazioni: Una volta riconosciuta la necessità, il consumatore si attiva per cercare tutte le informazioni necessarie per individuare prodotti, servizi e brand che possano risolvere il suo problema.

- Valutazione delle alternative: Una volta raccolte tutte le informazioni necessarie, l’utente procede a valutare le alternative, confrontando prezzi, caratteristiche funzionali e feedback di altri clienti, parenti o amici;

- La decisione di acquisto: il consumatore procederà all’acquisto del prodotto migliore in assoluto oppure la sua decisione sarà influenzata da due fattori: il parere delle persone vicine al consumatore che possono influenzare la scelta finale di acquisto e fargli anche cambiare idea; il secondo fattore è rappresentato da situazioni impreviste che possono far cambiare la propria decisione di acquisto. Per questi motivi molte volte l’intenzione e la decisione finale di acquisto non sempre coincidono.

- Il comportamento post-acquisto: il consumatore potrà essere più o meno soddisfatto dall’ acquisto. Se il servizio ottenuto dalla sua scelta decisionale rispecchia le aspettative, sarà soddisfatto; se questa condizione non è soddisfatta, sopraggiunge l’insoddisfazione. Più queste differiranno dalla reale utilità del bene di cui si sta usufruendo, maggiore sarà la disaffezione del consumatore verso il prodotto. Proprio in questa fase si crea l‘eventuale “dissonanza cognitiva” in precedenza descritta.

(40)

2.5.1 Processo decisionale: la teoria del “cervello tripartito”

Esistono molte teorie su come funziona la nostra mente e su come il cervello regola questi processi mentali. In questi ultimi decenni, i numerosi progressi nella neuroscienza ci hanno permesso di scoprire nuovi modi di comprendere il cervello e il suo funzionamento.

Nel 1990, Paul MacLean ha proposto una struttura cerebrale divisa in tre sistemi cerebrali (comunemente noti come i tre cervelli) interconnessi tra loro, ha definito ciascuna struttura e ha creato la nota teoria del cervello a tre o del cervello a tre formulata da Paul MacLean (1990).

MacLean, medico statunitense specializzato in neuroscienze, come Panskepp (62), elabora il modello di un cervello descritto come “triune brain” o cervello tripartito.

(41)

costantemente di influenzarsi a vicenda (63). Queste strutture sono classificabili in:

- Cervello rettiliano: conosciuto anche come cervello istintivo o cervello di base, questo è il cervello più primitivo di tutti secondo la teoria di MacLean. Regola le nostre funzioni vitali e i comportamenti più istintivi legati alla sopravvivenza dell'individuo (mangiare, bere, dormire) e della specie (impulsi e relazioni sessuali).

- Cervello Paleo-mammaliano: detto anche sistema limbico, è formato da amigdala, ippocampo, talamo, ipotalamo, corteccia cingolata e infine i gangli di base (64), di cui fa parte il nucleus accumbens, coinvolto nella sperimentazione del piacere (65). Il cervello limbico è considerato il centro delle emozioni, cioè il nostro sistema nervoso emotivo. Ed è responsabile della produzione e della generazione di emozioni nel nostro sistema nervoso (66).

- Cervello Neo-mammaliano: detta anche il cervello razionale: questa parte del nostro cervello è responsabile dell'elaborazione cognitiva e delle decisioni ragionate e logiche (67).

(42)

Figura 5: rappresentazione del cervello tripartito di MacLean.

Fonte: Panksepp, Jaak. "The periconscious substrates of consciousness: Affective states and the evolutionary origins of the self." Journal of consciousness studies 5.5-6 (1998): 566-582.

Sebbene la teoria del “cervello trino” nel marketing abbia un grande impatto, in psicologia è considerata un modello obsoleto. Grazie alle nuove tecniche di neuroimaging, possiamo vedere che il nostro cervello non è costituito da parti come se fosse un puzzle. Il sistema nervoso è una complessa rete di cellule neuronali che lavorano in gruppo. Sebbene possiamo differenziare parti anatomicamente diverse del sistema nervoso e del cervello, il modello MacLean è troppo semplice per tutte le informazioni che abbiamo oggi.

(43)

Dalla teoria del cervello tripartito di MacLean, si evince che quando uno stimolo raggiunge la neocorteccia, questo è processato in maniera logica e razionale. Nello stesso frangente, il sistema limbico, in risposta allo stesso stimolo, elabora delle emozioni, che spingeranno l’individuo a prendere posizione. Sarà però il cervello rettiliano a prendere la decisione finale, sulla base delle informazioni elaborate e ricevute dalle altre due strutture celebrali.

La teoria di MacLean, secondo Panksepp (1968), è una semplificazione puramente accademica. Secondo Panksepp, le ricerche di MacLean hanno sicuramente aperto la strada allo studio del cervello in chiave evolutiva e hanno individuato correttamente come le emozioni “risiedano” nelle aree più profonde del cervello, ma sono inficiate da alcune limitazioni (68).

MacLean riteneva che alcuni comportamenti fossero dovuti ad una eredità di disposizioni regolate dalla regione cerebrale primaria rettiliana, e per questo, nei suoi studi, adotta spesso modelli animali per comportamenti sessuali e sociali (68).

Panksepp (2014) ha coniato il termine affective neuroscience per delineare un nuovo campo di studi e ricerche dei meccanismi neurali delle emozioni e sulla loro evoluzione. Panksepp (2014) spiega l'evoluzione dei neurocircuiti che sottostanno alle principali emozioni e identifica i sette principali neurocircuiti o 'sistemi emotivi' che regolano i differenti aspetti della nostra vita, evidenziando come le loro alterazioni e inibizioni siano all'origine delle principali malattie psicosomatiche e dei disturbi psicologici (69).

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possano ritrovare le tracce di quasi tutti i nostri sistemi emotivi primari sottocorticali. Panksepp ne descrive sette: ricerca, rabbia-collera, paura, desiderio sessuale, cura, panico-tristezza e gioco. Alcune di queste emozioni hanno radici evolutivamente più antiche (ricerca, rabbia collera e paura), evidenti in tutti vertebrati. Tre invece (cura, panico-tristezza, il gioco) sembrano molto più sviluppate nel cervello dei mammiferi (70).

Panksepp, in uno dei sui esperimenti, ha dimostrato come i ratti provino paura quando accanto a loro sono posti dei peli di gatto, anche se non hanno mai visto un gatto nella loro vita. Lo stesso esperimento, svolto usando peli di cane al posto di quelli di gatto, ha dimostrato che i topi invece non subivano nessun cambiamento emotivo (71).

Questo esperimento dimostra come i sentimenti emotivi e gli atteggiamenti a essi, collegati possono riflettere la neurodinamica dei sistemi cerebrali, generando comportamenti emotivi istintuali (72).

Secondo Panksepp, il modo in cui valutiamo l’ambiente e i nostri pattern comportamentali emotivi è sostanzialmente prevedibile perché rimane legato ai ricordi affettivi ancestrali. Anche se un topolino non ha ma visto un gatto, suo predatore naturale, proverà comunque timore perché l’ambiente gli ha fornito lo stimolo necessario (peli di gatto) affinchè nel suo subconscio scattasse la molla emotiva della paura. Panksepp sostiene che le analogie tra questi meccanismi riscontrati negli animali e il funzionamento della personalità umana sono inconfutabili (73).

(45)

2.6 Cosa influenza la scelta del consumatore

Possiamo affermare che i consumatori basano le proprie scelte non solamente pesando i vantaggi di tipo economico del loro acquisto, bensì facendo anche altre considerazioni. Il senso di tranquillità che una scelta comporta, il coinvolgimento emotivo, lo stimolo dei ricordi, le sensazioni rassicuranti, sono parte fondamentale del processo di scelta.

Le componenti emozionali diventano quindi strategiche nelle decisioni di acquisto, e costituiscono delle leve fondamentali nel determinare i comportamenti individuali.

Nella prima metà del 1900 iniziò a diffondersi una nuova disciplina scientifica: la psicologia economica. Pur essendo sia la psicologia che l’economia interessate alla comprensione del comportamento economico umano, la psicologia scelse di privilegiare un approccio empirico mentre l’economia predilesse i fondamentali economici. La psicologia quindi divenne una disciplina prevalentemente basata sull'esperienza, l’economia invece divenne una scienza prevalentemente teorica. Lo scopo della psicologia economica è proprio quello di riuscire a unire questi due mondi tramite lo studio concreto del comportamento economico reale degli individui.

Accanto alla razionalità del comportamento si affianca la considerazione che le componenti psicologiche, la conoscenza della mente umana e i pensieri individuali, rendano la componente emozionale imprescindibile per fornire maggiori e più dettagliate informazioni sul comportamento dei consumatori. Ne deriva l’importanza dell'analisi del contesto ambientale, del beneficio emozionale, della gratificazione, della gioia dell’acquisto inseriti in un ambiente sempre più complesso in cui i soggetti

(46)

economici interagiscono dinamicamente. Nella dinamicità di un mercato basato su regole certe, rigorose ed esattamente misurabili (cosiddette scienze esatte) si pensava di poter elencare e classificare i fenomeni che componevano la realtà mediante l’uso di dottrine e schemi, nel tentativo di individuare argomentazioni e presupposti alla base di fenomeni che di per sé sono tanto complessi, per dare un criterio e procedimento che riuscisse a ottimizzarli e razionalizzarli. La realtà però è ben diversa e i dati che sono analizzati per compiere una determinata azione sono prima ponderati dal nostro cervello, che elabora ciò che è percepito. Nello studiare il cervello si cerca di individuare le variabili che influenzano la percezione. Così le aziende cercano di riprodurre la percezione e il senso di esperienze, sensazioni, emozioni, attraverso marchi e simboli, per trasmettere il contenuto emotivo dei prodotti. In sintesi, al centro delle strategie ora ci sono le emozioni, l'osservazione della realtà, le sue possibili evoluzioni, forme di comunicazioni più creative, un maggiore contatto con i consumatori, la considerazione del significato simbolico che i prodotti riescono a trasmettere.

L’analisi economica ha tentato di descrivere e rappresentare il decision making attraverso approcci alternativi. Secondo la teoria economica classica del concetto di Utilità Attesa, gli individui in condizioni di incertezza, tenderanno a perseguire delle scelte decisionali per ottenere la massima utilità (74). Le persone elaborerebbero quindi una sorta di media ponderata dell’utilità di ogni alternativa possibile tramite pesi delle probabilità del verificarsi di ogni singolo stato. Nonostante questa teoria abbia riscosso grande successo, diverse sono state le critiche mosse al riguardo,

(47)

quale afferma che gli individui tendono a massimizzare la funzione di utilità sotto vincoli dati (limiti di bilancio, scelte limitate) cercando di soddisfare il benessere personale (75).

Herbert Simon, in particolare (genio universale, premio Nobel ne 1978 e vincitore del premio Turing nel 1975 per i suoi contributi pionieristici all’intelligenza artificiale), si è focalizzato sul tentativo di ridurre la distanza tra le assunzioni teoriche dominanti, che si ostinano a voler classificare il comportamento umano secondo modelli economici precisi, e la psicologia che invece ha sempre preso in considerazione una componente irrazionale del comportamento umano (76).

Nella sua “Teoria della razionalità olimpica” (1947), Simon sostiene che un individuo per essere conscio a pieno della propria scelta in modo razionale dovrebbe possedere la cosiddetta “razionalità olimpica”. Si pensi a un individuo che prende, senza tremolii, un oggetto da un paniere. Perché questo avvenga, il soggetto deve essere in grado in breve tempo di individuare tutti gli oggetti nel paniere, esaminare le loro caratteristiche e prenderne uno senza esitazione. Poiché questa eventualità è un concetto utopistico, Simon afferma che è più probabile che la mano dell’individuo sia tremolante e quindi non decisa sull’oggetto da prendere (76).

In contrapposizione a questo paradigma che per l’economia classica sembrava inconfutabile, è sempre Simon a formulare la “teoria della razionalità limitata”, dove l’individuo è costretto a dover continuamente scegliere in un contesto di incertezza.

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tutte le possibili conseguenze riferibili a tutte le possibili alternative. La decisione non sarà più presa in riferimento alla funzione di un’utilità prevista, e quindi non sarà orientata alla scelta della soluzione che consente di massimizzazione tale utilità (76).

L’incapacità degli agenti economici nel predire le scelte del consumatore è spiegabile sempre attraverso “la teoria della razionalità limitata” di Herbert Simon (77): è improbabile che le scelte vengano effettuate secondo il “criterio della scelta ottimale”, in quanto spesso le decisioni finali di acquisto delle persone non rispecchiano appieno la loro idea di partenza. Si pensi a un individuo impegnato nella ricerca di un ago per cucire in un mucchio di fieno. Nel mucchio di fieno ci sono però due aghi differenti e l'individuo ha la possibilità di trovare o un ago ben affilato, che consentirebbe di cucire capi di pregevole fattura o frugare nello stesso mucchio di fieno per trovare un ago affilato quel che basta, perché si possa comunque cucire, abbassando però la qualità finale dei capi (78). Nel caso in cui l'individuo trovasse per primo il secondo ago, difficilmente deciderà di proseguire nella ricerca, accontentandosi. Il contrasto riguarda l'esaminare e il valutare le alternative: l'ago più aguzzo è uno strumento per l'ottimizzazione del lavoro, mentre l'ago affilato è un compromesso, una soluzione soddisfacente, che permette di cucire non ottimamente.

2.6.1 La teoria del prospetto

Una ulteriore critica mossa contro la “teoria dell'utilità attesa” è da ricercare negli studi degli psicologi israeliani Kahneman e Tversky con la “Teoria del prospetto” (1979).

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formulazione della teoria il concetto di valore, sostituisce quello di utilità. Tutto questo porta a un vero e proprio cambiamento di prospettiva nella determinazione del processo volto a individuare la scelta da compiere.

Attraverso numerosi esperimenti, Kahneman e Tversky dimostrarono come le scelte fatte dai consumatori violano sistematicamente i principi della razionalità economica.

In particolare si soffermarono sui seguenti fenomeni psicologici:

Effetto contesto: il contesto o frame in cui avviene la scelta, può influenza la scelta anzi, il “frame”, o quadro in cui il soggetto si ritrova a dover decidere, ha un effetto determinante sulla scelta stessa.

Effetto certezza: la volontà a evitare una perdita è superiore alla motivazione a realizzare un guadagno. Per questo, la stessa decisione può dare origine a scelte opposte se gli esiti sono rappresentati al soggetto in termini di perdite piuttosto che come mancati guadagni. L’avversione alla perdita è caratterizzata invece dal fenomeno secondo cui tendenzialmente alle perdite è attribuito un peso maggiore rispetto ai guadagni. Ad esempio, il fastidio di perdere 100 euro è generalmente molto più intenso della gioia di vincere lo stesso importo (79).

Effetto di isolamento: consiste nella tendenza a isolare probabilità consecutive, invece di trattarle insieme. Nella fase di valutazione, si tende a individuare un valore sulla base dei risultati potenziali e sulle probabilità di avere l’utilità maggiore.

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semplificazione, annullamento e considerazione dell’influenza del contesto. Quindi, la stessa persona può compiere scelte diverse di fronte allo stesso problema proprio a causa della presenza di un processo alla base poco scientifico e difficilmente ripetibile (80). Per questo motivo il comportamento assunto dalle persone non corrisponde a ciò che tradizionalmente è descritto dai modelli economici, poiché si tende a non massimizzare l’utilità attesa seguendo regole razionali, ma il tutto è determinato da credenze soggettive cognitive.

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