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Valutazione dell’efficacia di diverse tecniche di concimazione nella riduzione dell’azoto lisciviato in colture ortive

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali

Corso di Laurea Magistrale in Produzioni Agroalimentari e Gestione

degli Agro-ecosistemi

VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA DI DIVERSE

TECNICHE DI CONCIMAZIONE NELLA RIDUZIONE

DELL’AZOTO LISCIVIATO IN COLTURE ORTIVE

Candidato:

Tommaso Cei

Relatori:

Chia.mo Prof. Alberto Pardossi

Dr. Luca Incrocci

Anno Accademico 2016-2017

Correlatore :

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3 Dichiarazione

Con la presente affermo che questa tesi è frutto del mio lavoro e che, per quanto io ne sia a conoscenza, non contiene materiale precedentemente pubblicato o scritto da un'altra persona né materiale utilizzato per l’ottenimento di qualunque altro titolo o diploma dell'università o altro istituto di apprendimento, a eccezione del caso in cui ciò venga riconosciuto nel testo.

Tommaso Cei

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Sommario

PREMESSA ... 6

CAPITOLO 1 – PARTE INTRODUTTIVA ... 7

1.1. L’impatto ambientale delle colture ortive ... 7

1.2 – Il Ciclo dell’azoto ... 8

1.3. La direttiva Nitrati ... 13

CAPITOLO 2 – PRATICHE AGRONOMICHE APPLICATE ALLA LISCIVIAZIONE DEI NITRATI ...17

2.1. Le strategie obbligatorie di legge ... 17

Le “zone vulnerabili” ... 17

Il Codice di buona pratica agricola ... 18

Programma d’azione ... 19

I controlli ... 20

Le ZVN italiane ... 20

2.2. Le pratiche agronomiche per far fronte alla lisciviazione dei nitrati ... 23

I sistemi di irrigazione ... 23

Criteri generali di utilizzazione dei concimi azotati, degli effluenti di allevamento e degli ammendanti organici nelle ZVN ... 24

Le Cover crops e le Catch crops ... 27

CAPITOLO 3 – I CONCIMI ...30

3.1. I concimi ... 30

3.2 I concimi a efficienza d’uso migliorata ... 31

Concimi a lento rilascio (CLR) ... 33

Concimi a rilascio controllato (CRC) ... 36

Urea rivestita di zolfo (SCU) ... 38

Dual coating technology (polimeri + zolfo = PSCU) ... 40

CRC rivestiti da una membrana polimerica ... 40

Il CRC testato sul pomodoro: urea rivestita con tecnologia E-MAX® ... 41

Concimi stabilizzati ... 43

CAPITO 4 – PARTE SPERIMENTALE ...47

4.1 Scopo delle tesi ... 47

4.2 Materiale e metodi ... 47

4.2.1 Prova primaverile-estiva 2015 ... 48

4.2.2 Prova autunno-invernale 2015 ... 50

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5 4.2.4 Rilievi effettuati ... 53 4.2.5 Analisi statistica ... 58 4.3 Risultati ... 58 4.3.1 Prova primaverile-estiva 2015 ... 58 4.3.2 Prova autunno-invernale 2015 ... 63 4.3.3 Prova estiva-autunnale 2016 ... 68 4.4 Discussione e conclusioni ... 73 BIBLIOGRAFIA ...76

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Premessa

La fertilizzazione ha come obiettivo quello di garantire uno status ideale per la crescita delle piante garantendo ad esse una costante presenza di elementi nutritivi per il loro corretto sviluppo. In questa tesi ho affrontato il problema dell’efficienza d’uso dei concimi azotati in agricoltura che sono soggetti a una inefficienza operativa e naturale. L’inefficienza operativa dipende dal tipo di concime utilizzato e dalla modalità con cui esso viene somministrato alla coltura. L’inefficienza naturale dei concimi azotati è insita nel ciclo biogeochimico dell’azoto e nella forma chimica che le piante prediligono per l’assorbimento, la forma nitrica, non trattenuta dal potere absorbente del terreno e quindi facilmente lisciviabile.

La lisciviazione dei fertilizzanti azotati, in effetti, è uno dei fattori che più limitano l’efficienza della concimazione azotata, in particolare nelle colture ortive che necessitano di elevate quantità di unità fertilizzanti in un ciclo relativamente breve (30 - 180 gg). Per limitare la lisciviazione dell’azoto (N), sono state proposte diverse tecniche, come ad esempio una distribuzione in copertura dell’N sulla base del contenuto di N minerale (Nmin) nel terreno e/o nei tessuti vegetali e l’uso di concimi azotati “a lento effetto”. Questi concimi sono preparati usando tecnologie innovative e rilasciano l’N più o meno lentamente e in base a principi diversi, rifornendo la coltura gradualmente nel tempo e in sincronia con l’effettivo assorbimento da parte delle radici.

L’uso dei concimi a lento rilascio (CRL), a rilascio controllato (CRC o incapsulati) è comune nelle colture florovivaistiche in vaso mentre sono ancora poco utilizzati nelle colture a terra, in serra e ancor meno in pieno campo, a causa del loro elevato costo unitario. Tuttavia negli ultimi anni, l’uso di CRL e CRC è aumentato in risposta alla necessità di ridurre l’inquinamento da Nitrati (come ad es. nelle Zone Vulnerabili ai Nitrati o ZVN, definite in base alla Direttiva 676/1991).

Questo elaborato riporta i risultati di due prove condotte nell’anno 2015 e di una nel 2016, presso il Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-Ambientali dell’Università di Pisa dal Prof. A. Pardossi e dal Dr. Luca Incrocci nell’ambito di un contratto di ricerca finanziato da una nota società del settore, la ICL Special Fertilizers. Scopo della prova è stato quello di comparare l’efficacia nella riduzione della lisciviazione dell’azoto dal terreno di un nuovo prototipo di concime CRC (urea incapsulata con un polimero brevettato da ICLSF, denominato E-max) verso la concimazione tradizionale e quella basata sull’uso di inibitori dell’enzima nitrato-riduttasi nel concime, che rallentano nel terreno la trasformazione da azoto ammoniacale a nitrico.

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Capitolo 1 – PARTE INTRODUTTIVA

1.1. L’impatto ambientale delle colture ortive

Il bacino del Mediterraneo coincide con l’area di origine e differenziazione varietale di molti ortaggi (ad es. carciofo, cavoli, cicorie, asparago), nonché di selezione per molti altri ortaggi di origine americana ed asiatica appartenenti alle famiglie delle cucurbitacee e delle solanacee. Non è quindi un caso che i paesi che vi si affaccino siano tra i più grandi produttori e consumatori di ortaggi ed abbiano sviluppato la ben nota “dieta mediterranea” composta principalmente da cereali, vino, olio ed ortaggi.

In Italia la superficie dedicata alla produzione di ortaggi in piena area è stata nel 2010 di 418852 ha (escluse le piante da tubero e i legumi secchi), mentre per gli ortaggi coltivati sotto serra la superficie si è attestata su 37104 ha (http:///dati5b.istat.it/wbos). Nel 2016, il consumo annuo procapite di ortaggi è stato di 152 kg (La Repubblica 2017) pari a circa 415 g al giorno. Nello stesso anno, la spesa media mensile di frutta, verdura e tuberi per famiglia è di 98,5 € (www.foodweb.it).

Nel 2016, il comparto degli ortaggi freschi, pur risentendo delle oscillazioni dei volumi produttivi e della volatilità dei prezzi, è rimasto strategico per l’Italia: con i suoi 6 Mrd EUR, circa 18,9% del PIL Agricolo (pari a 31,6 Mrd EUR, il 2,1% del intero PIL italiano) l’Italia si è posta al primo posto nell’UE nella media 2011-2015, seguita da Spagna con 5,6 Mrd EUR. Il nostro paese è il primo produttore europeo di “altri ortaggi freschi” (es. carote, finocchi ecc.) con 4,7 Mrd EUR (miliardi di euro) in media e il secondo di pomodori 1,1 Mrd EUR. Le esportazioni di prodotti orticoli ammontano a 3,7 Mrd EUR nel 2016, con un saldo positivo della bilancia commerciale pari a 1,3 Mrd EUR (ISTAT, 2017).

Come vediamo dai dati sopra citati il settore orticolo italiano, oltre ad essere un settore di spicco ed eccellenze, risulta avere una certa rilevanza nel PIL agricolo nazionale. Questo settore, come tutta l’agricoltura italiana, oltre a essere un fiore all’occhiello della nostra economia per eccellenze e biodiversità si avvale di vari output energetici esterni come i concimi. E’ stato stimato da fonti ISTAT che dall’anno 1977 al 2014 sono stati somministrati in media all’ettaro (su superficie concimabili) circa 75,4 Kg di N, 43,6 Kg di P2O5 (Anidride fosforica) e 28,5 Kg di K2O (ossido di

potassio) (ISTAT, 2017). I dati sono riportati nella Fig. 1.1, dove possiamo osservare l’andamento annuo dell’uso dei principi nutritivi NPK. La linea rossa punteggiata rappresenta la linea di tendenza dell’azoto utilizzato, ed è evidente la crescita storica di utilizzo di questo elemento nutritivo fondamentale per la crescita e sviluppo delle piante coltivate.

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Un altro dato da evidenziare è il calo generale della quantità di concimi utilizzati, rilevato nell’anno 2008.

A partire dal 2008, erronee stime diffuse sull’ammontare delle riserve di minerali a base di fosforo e di altri minerali necessari per la fabbricazione dei concimi, in concomitanza con la crisi finanziaria americana, hanno fatto aumentare in maniera significativa il costo dei concimi (più 49%), e di conseguenza si è avuto un sostanziale calo del loro utilizzo (Cocco, 2008).

Fig. 1.1 - Elementi nutritivi contenuti nei fertilizzanti distribuiti per ettaro di superficie concimabile in Italia - Anni 1977-20141

(fonte Istat:http://seriestoriche.istat.it/fileadmin/documenti/Tavola_13.20.xls).

1.2 – Il Ciclo dell’azoto

Le piante, durante il loro sviluppo, necessitano di alcuni elementi minerali definiti elementi essenziali, in quanto la loro carenza non permette di concludere il ciclo vitale della stessa pianta. Gli elementi minerali essenziali sono suddivisi in micro e macronutrienti in base alla quantità con cui si ritrovano nella composizione della sostanza secca della pianta. L’azoto (N) è sicuramente l’elemento più importante per la nutrizione minerale delle piante su cui gli agricoltori fondano le basi dei loro piani di concimazione, perché è l’elemento più facilmente dilavabile dalla zona radicale ed è il nutriente che più influenza la risposta produttiva delle colture. La deficienza di

1 Il grafico relativo agli elementi nutritivi contenuti nei fertilizzanti è ottenuto dividendo la quantità rilevata della parte

attiva dei fertilizzanti, cioè titolo su quantità, espressa in valore percentuale del titolo formulato e la superficie concimabile, data dalla somma delle superfici dei seminativi (inclusi gli orti familiari ed esclusi i terreni a riposo) e le coltivazioni legnose agrarie.

0.0 10.0 20.0 30.0 40.0 50.0 60.0 70.0 80.0 90.0 100.0 Kg d i fe rtilizz an te/ha Annate agrarie

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questo elemento determina la riduzione della fotosintesi e conseguentemente una diminuzione dello sviluppo, con ovvie ripercussioni sulla produzione (Incrocci et al, 2013). Per redigere un piano di concimazione agronomicamente corretto è necessario conoscere la quantità di azoto presente (o presumibilmente presente) nel terreno da concimare e conoscere il ciclo dell’azoto per capire quali sono i suoi punti critici, in modo da ottimizzare l’assorbimento da parte della coltura dell’unità fertilizzante distribuita. Il ciclo dell’azoto è composto da una serie di trasformazioni consistenti in reazioni di ossido-riduzione che spostano questo elemento dalla litosfera all’atmosfera e viceversa. L’insieme di reazioni può essere definito come ciclo biogeochimico dell’azoto ed è schematizzato nella Fig. 1.2. Nel ciclo biogeochimico dell’azoto il “pool” di questo elemento è l’atmosfera terrestre dove si trova sotto forma di gas come N2 in una percentuale del

78 %, stimato circa 3,9 x 1015 tonnellate (Violante, 2013). Il triplo legame che esiste tra i due atomi di azoto lo rende stabile e inerte. Infatti, questa forma di azoto non può essere metabolizzata direttamente, dalle piante superiori, e soltanto dopo la sua trasformazione biotica o abiotica, può essere coinvolto nei processi metabolici delle piante.

Fig. 1.2 – Ciclo dell’azoto schematizzato (Masoni A. et al., 2010).

Le formazione di composti azotati utili per gli esseri viventi si realizzano mediante:

 l’impiego di procedimenti industriali come quello di “Haber-Bosch”, che consiste nella fissazione chimica dell’azoto atmosferico ad ammoniaca secondo la seguente reazione.

N2 (g) + 3 H2 (g) ⇄ 2 NH3 (g)

La reazione per potersi svolgere necessita di condizioni molto dispendiose dal punto di vista energetico, come ad esempio temperature comprese fra 400 e 600 °C abbinate a pressioni di

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140-340 atmosfere (Spencer et al, 2002). L’ammoniaca formata è utilizzata per la sintesi di altri concimi.

 fissazione biologica a carico di microorganismi liberi e simbionti (Tab. 1.1), è determinata dall’attività del complesso enzimatico nitrogenasi che catalizza la riduzione della molecola di N2 ad ammoniaca secondo la seguente reazione:

N2 + 8H+ + 8e- + 16ATP  2NH3 + H2 + 16ADP + 16Pi

 l’energia che si libera nell’atmosfera in seguito alle forti scariche elettriche dei temporali è sufficiente a rompere il triplice legame che caratterizza la molecola di N2 con formazione di

monossidi di azoto, che poi arriveranno al suolo con gli apporti meteorici di acqua.

Tab. 1.1. Microrganismi capaci di fissare l’azoto atmosferico (Violante, 2013).

Tipologia Piante associate Entità biotica

Non simbionti Nessuna Batteri (Azotobacter, Clostridium) Cianobatteri

Simbionti

Leguminose Batteri (Rhizobium) Batteri (Bradyrhizobium) Non leguminose

(Con formazione di noduli)

Actinomiceti (Frankia) Cianobatteri (Nostoc) Non leguminose (senza formazione di noduli)

Batteri (Azotospirillum, Azotobacter) Cianobatteri (Anabena)

L’azoto arrivato nel suolo si trova in tre forme principali:

- N organico (N-NH2): è contenuto nella sostanza organica (SO) del terreno, rappresenta il 90%

dell'azoto totale contenuto nel terreno. Tale azoto è principalmente prodotto della degradazione biologica di animali e residui vegetali. Non è direttamente utilizzabile dalle piante, perché deve prima subire una mineralizzazione ad opera dei microrganismi presenti nel suolo;

- N ammoniacale (N-NH4+): è solubile in acqua, ma è trattenuto dalla capacità di scambio del

terreno. L’N ammoniacale del terreno si trova adsorbito sulla sostanza organica e sulle argille, grazie alla loro capacità di scambio cationico (CSC), e normalmente, solo una piccola quantità è presente come ione ammonio (NH4+) nella soluzione circolante del terreno;

- N nitrico (N-NO3-): è molto solubile in acqua e non viene trattenuto dal potere assorbente del

terreno. I nitrati presenti nella soluzione circolante del terreno possono essere: i) assorbiti dalle piante e da altri organismi viventi ed entrare così a far parte della frazione organica; ii) denitrificati ad azoto molecolare (N2) e tornare nell’atmosfera; iii) lisciviati verso gli strati più profondi del

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L’N nitrico è facilmente lisciviabile perché la sua carica negativa gli impedisce di essere trattenuto dal potere di CSC del terreno.

La quantità dei nitrati persi per lisciviazione da un terreno dipende:

- dal volume di acqua che passa dalla pedosfera, funzione della frequenza e dell’intensità delle precipitazioni atmosferiche e dagli apporti irrigui, dall’evapotraspirazione, oltre che delle proprietà del suolo (tipo di tessitura e organizzazione strutturale);

- dalla concentrazione dei nitrati presenti nella soluzione circolante, la quale è il risultato della quantità di azoto nitrico presente nel terreno, a cui si deve sottrarre la quantità assorbita dalla coltura per soddisfare il proprio fabbisogno nutrizionale e quella immobilizzata in composti organici, a cui però va sommata la quantità che si rilascia con la mineralizzazione delle sostanze organiche, e apportata con i fertilizzanti e con le deposizioni atmosferiche (Violante, 2013). Massa et al. (2015), in un recente review sulla fertilizzazione di precisione delle colture ortive, suggeriscono che la perdita di azoto nitrico da un terreno può essere ridotta mantenendo il contenuto di azoto nel terreno il più possibile vicino alla concentrazione minima ottimale di N minerale, definendo questa come la concentrazione minima di azoto minerale nel terreno oltre la quale non si hanno significativi incrementi di produzione, ma sotto la quale si possono avere delle riduzioni di produzione (vedi Fig. 1.3).

Nelle colture ortive il rapporto fra il costo dell’unità fertilizzante azotata e il possibile incremento di produzione è molto elevato e di solito è da 3 a 5 volte superiore rispetto alle colture erbacee di pieno campo (es. mais o grano). Ciò spiega, in parte, l’elevato uso di fertilizzanti fatto in orticoltura.

La quantità di azoto lisciviato da una coltura ortiva è molto variabile, in quanto strettamente dipendente dalla differenza fra le piogge/irrigazioni che interessano la coltura e l’evapotraspirazione di questa.

Ad esempio, in uno studio effettuato in Puglia su diversi tipi di lattughe (romana e foglia di quercia), Di Gioia et al. (2017), riportano possibili perdite di azoto comprese fra 40 e 120 kg/ha per ciclo di coltivazione.

Un’altro punto critico per le perdite di N dal suolo si hanno per la denitrificazione. Numerosi organismi anaerobi (Bacillus denitrificans, Vibrio denitrificans, Micrococcus denitrificans) e chemio-autotrofi (Thiobacillus denitrificans, Sporovibrio denitrificans) sono capaci di utilizzare gli ioni NO3- e NO2- come fonte di ossigeno, in particolare nei suoli saturi di acqua e in quelli in

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Fig. 1.3 - Relazione tra crescita (o produzione) di una coltura ortoflorovivaistica e la disponibilità di un elemento nutritivo nel mezzo di crescita (terreno o substrato). Mantenere la

minima concentrazione ottimale permette di limitare le perdite (es. lisciviazione dei nitrati) senza riduzione quali-quantitativa della produzione (Massa et al, 2016).

Reazioni successive riducono gli ioni nitrato (NO3-) a ioni nitrito (NO2-), a monossido d’azoto

(NO), a ossido di diazoto (N2O) e ad azoto molecolare (N2):

NO3- → NO2- → ↑NO → ↑N2O → ↑N2 Decorso della Denitrificazione

(+5) → (+3) → (+2) → (+1) → (0) N° di Ossidazione

Non tutti i microrganismi sono capaci di portare a completamento l’intero processo sopradescritto. I prodotti finali della denitrificazione microbica sono rilasciati nell’atmosfera causando una perdita di azoto dal suolo. Si deve considerare però che lo svolgersi del processo di denitrificazione negli orizzonti più profondi del suolo, può avere effetti positivi inducendo la diminuzione del contenuto di nitrati nel sottosuolo. Tuttavia, la sua importanza nella riduzione della lisciviazione dei nitrati è modesta: nell’autunno o nell’inverno, quanto maggiori sono le precipitazioni e quindi ci sono più alte probabilità di perdite per lisciviazione, la temperatura è abbastanza bassa da ridurre fortemente la attività di denitrificazione. Inoltre questi batteri abbisognano di SO, spesso presente con una bassa concentrazione negli strati più profondi.

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1.3. La direttiva Nitrati

L’inquinamento dalle acque da nutrienti riguarda essenzialmente l’azoto e il fosforo. Questi due elementi nutritivi possono provocare l’eutrofizzazione delle acque superficiali, con i nitrati maggiormente responsabili dell’inquinamento delle acque marine costiere (ad esempio il mare Baltico e il mare del Nord) e i fosfati di quelle interne (fiumi e laghi).

L’arricchimento nutritivo degli ambienti acquatici provoca un forte aumento di organismi autotrofi (fitoplancton) e delle produzioni vegetali, determinando un aumento della massa di alghe.

All’aumento della fitomassa prodotta sono legati una serie di fenomeni successivi:

1. innanzitutto, all’aumento della produzione primaria lorda2 corrisponde un aumento proporzionale del consumo di ossigeno per la respirazione con conseguente diminuzione di concentrazione di questo gas nelle acque;

2. quando le piante acquatiche e le alghe completano il loro ciclo biologico o quando le condizioni ambientali diventano restrittive per la sopravvivenza, muoiono cadono sul fondo del bacino idrico ed entrano a far parte della catena di detrito che inizia a decomporle. La decomposizione di questa fitomassa inizia ad opera dei batteri aerobici, che si moltiplicano velocemente e consumano in breve tempo l’ossigeno presente nell’acqua creandovi condizioni di anaerobiosi;

3. al progressivo ridursi della concentrazione di ossigeno corrispondente al progressivo aumento della presenza di batteri anaerobici, che continuano la decomposizione del materiale organico, utilizzando come accettore di elettroni elementi diversi dall’ossigeno elementare e principalmente gli ossidi di carbonio, di azoto e di zolfo. I prodotti risultanti dell’attività dei batteri anaerobici sono costituiti prevalentemente da metano, ammoniaca e idrogeno solforato, e cioè da sostanze tossiche per la vita vegetale e animale;

4. a questo punto nelle acque si è creato un ambiente carente di ossigeno e ricco di sostanze tossiche che rende impossibile la vita della fauna acquatica aerobica (si comincia ad osservare la morte di pesci e anfibi).

Tutto ciò accade quando la velocità di degradazione delle alghe da parte dei microrganismi è maggiore rispetto a quella di diffusione dell’ossigeno dall’aria all’acqua. La solubilità dell'ossigeno è spiegata dalla legge di Henry3, ma è condizionata da diversi fattori, tra i quali particolarmente degni di nota sono, la salinità dell’acqua e la sua temperatura. In un periodo estivo, a temperatura di 30 °C e a pressione atmosferica (1 atm = 760 mm di Hg), la concentrazione di

2 La produzione primaria lorda è la quantità di biomassa prodotta dai vegetali al lordo del consumo per respirazione

nell’unità di tempo e per unità di superficie.

3 Un gas che esercita una pressione sulla superficie di un liquido, vi entra in soluzione finché avrà raggiunto in quel

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ossigeno nell'acqua dolce è pari a 7,55 mg L-1, contro 13,08 mg/L a 4°C, in una condizione invernale (Facot Chemicals, 2017). Questi dati corrispondono circa, a un 100% di saturazione, valori inferiori al 75% sono indizio di inquinamento (a temperature più alte, la massima concentrazione possibile diminuisce). Un altro fattore di riduzione della diffusione è dovuto anche della presenza delle mucillagini sulla superficie dell’acqua, che ostacola gli scambi gassosi con l’atmosfera.

L’azoto è anche responsabile dell’insorgenza di gravi problemi sanitari per l’uomo, problemi essenzialmente derivanti l’assunzione dei nitrati contenuti nelle acque potabili. I nitrati, non essendo trattenuti dal potere adsorbente del terreno, si muovono disciolti nelle acque di percolazione con estrema facilità, con queste possono raggiungere le falde acquifere superficiali e profonde che alimentano i pozzi e le sorgenti di acque potabili.

L’assunzione da parte dell’organismo umano e animali di un quantitativo elevato di nitrati può comportare:

1. disturbi a livello intestinale;

2. metaemoglobinemia, che consiste nella riduzione della capacità del sangue di trasportare ossigeno e provoca stati di ipossia generalizzati che possono portare anche alla morte. Questa malattia è dovuta all’ossidazione del ferro contenuto nella molecola di emoglobina, passando da ferroso (Fe2+) a ferrico (Fe3+) con l’aumento del suo numero di ossidazione (operata dai nitriti formatisi per riduzione dei nitrati4);

3. formazione di nitrosammine, che sono agenti potenzialmente cancerogeni. Già a livello della bocca, per azione delle ghiandole salivari, i nitrati ingeriti vengono convertiti in nitriti, i quali passano nello stomaco dove trovano le condizioni ottimali per la formazione di nitrosammine.

Per evitare l’insorgere dei problemi sanitari sopra indicati le direttive comunitarie hanno stabilito che le acque da destinare al consumo umano non devono contenere più di 50 mg L-1 di nitrati

(Masoni et al, 2010).

La problematica della presenza dei nitrati nelle acque superficiali e in quelle destinate alla produzione di acqua potabile è stata affrontata dall’UE fin dagli anni ’70, con un libro verde, alcune Risoluzioni del Consiglio e infine le Direttive comunitarie. Tutte queste azioni avevano il

4 Il termine metaemoglobinemia si riferisce alla presenza di metaemoglobina nel sangue. La metaemoglobina è una molecola di emoglobina, strutturalmente normale, nella quale l’atomo di ferro è stato ossidato da Fe2+ a Fe3+. Questo cambiamento priva la molecola la sua capacita di legare reversibilmente l’ossigeno e quindi di trasportarlo. Quando la percentuale di metaemoglobina supera il 10% di emoglobina totale iniziano a manifestarsi i sintomi tipici di mancanza di ossigeno ai tessuti quali la cefalea, la nausea, la debolezza, la confusione mentale, il vomito, il collasso, la tachicardia, il coma, la depressione cardiaca e la depressione respiratoria. La fascia di popolazione ritenuta più a rischio è quella dei neonati e dei bambini fino a tre mesi di età, nei quali il 100% dei nitrati ingeriti vengono trasformati in nitriti contro il 10% degli adulti.

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fine di migliorare la qualità delle acque destinate al consumo umano negli Stati membri dell’Unione Europea e stabilire, il limite massimo di nitrati nelle acque per uso potabile. Nel decennio 1980-1990 era stato osservato un costante aumento della concentrazione di nitrati nelle acque comunitare, aumento che in media aveva raggiunto 1 mg L-1 per anno.

Il 12 dicembre 1991, al fine di tutelare la salute umana, le risorse viventi, gli ecosistemi acquatici e terrestri e di salvaguardare gli altri usi legittimi dell’acqua, il Consiglio della Comunità Europea, ritenendo ormai indispensabile intervenire in maniera decisiva, ha emanato la Direttiva 91/676, relativa alla “Protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole”, nota come Direttiva nitrati.

La Direttiva nitrati è stata notificata agli stati membri il 19 dicembre 19915 con la precisazione che ognuno di essi doveva definire e attuare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla disposizione della Direttiva stessa entro due anni dalla notifica, ovvero entro il 20 dicembre 1993. Ciononostante, numerosi stati, tra i quali quello Italiano, si sono attivati con molta lentezza e le misure previste dalla Direttiva nitrati sono diventate realtà solo alla fine degli anni 90’. La Direttiva nitrati mira a ridurre l’inquinamento delle acque causato direttamente e indirettamente dai nitrati di origine agricola e prevenire qualsiasi ulteriore inquinamento di questo tipo. La Direttiva nitrati è basata sulla considerazione che:

- in alcune regioni degli Stati membri il contenuto di nitrati nelle acque è in aumento ed è già elevato rispetto alle norme fissate dalla Direttiva 75/440/CEE del Consiglio, del 16 giugno 1975; - il libro verde della Commissione europea “Prospettive per la politica agricola comune”, concernente la riforma della politica agricola comune, rilevava che sebbene per l’agricoltura comunitaria sia necessario l’impiego di fertilizzanti minerali e organici contenenti azoto, l’uso eccessivo di fertilizzanti costituisce un rischio ambientale;

- i nitrati di origine agricola sono la causa principale dell’inquinamento proveniente da fonti diffuse che colpisce le acque comunitarie.

L’UE pur riconoscendo che le fonti di emissione di tale inquinamento sono di tipo diffuso, sparse in molteplici località e difficilmente localizzabili, individuava nelle aziende agricole le principali responsabili, e asseriva che l’inquinamento idrico provocato dai nitrati è favorito dai metodi di produzione agricola intensiva che, negli anni, hanno portato ad un maggiore impiego di fertilizzanti chimici e alla concentrazione dei capi di bestiame su appezzamenti di dimensioni sempre più ridotte, fino all’allevamento senza la terra.

Per ridurre l’inquinamento causato direttamente o indirettamente dai nitrati di origine agricola e far si che gli stati membri possano garantire per tutte le acque un generale livello di protezione

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dall’inquinamento per il futuro, la Comunità ha ritenuto necessario incoraggiare la buona pratica agricola e ha ritenuto altresì indispensabile che gli Stati membri:

- individuino le zone vulnerabili hai nitrati;

- progettino e attuino i necessari programmi d’azione per ridurre l’inquinamento idrico provocato da composti azotati nelle zone vulnerabili.

La Comunità ha anche imposto che i Programmi d’azione comportino misure intese a limitare l’impiego in agricoltura di tutti i fertilizzanti contenenti azoto e a stabilire restrizioni specifiche nell’impiego di concimi organici animali e ha sottolineato la necessità di monitorare il contenuto di composti azotati delle acque, in modo da controllare e garantire l’efficacia delle misure adottate.

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Capitolo 2 – PRATICHE AGRONOMICHE APPLICATE

ALLA LISCIVIAZIONE DEI NITRATI

2.1. Le strategie obbligatorie di legge

Lo Stato Italiano ha recepito la Direttiva nitrati l’11 maggio 1999 con il Decreto Legislativo (DL) n. 1526, definendo la disciplina generale per la tutela delle acque, aggiornato poi il 18 agosto 2000 con il DL n. 258, che allarga le disposizioni della Direttiva Nitrati estendendole a tutte le acque e a tutti i tipi di inquinamento, rimanendo affine ai principi con cui è stata concepita la Direttiva. Per quanto riguarda l’attuazione della Direttiva Nitrati, lo stato Italiano ha elaborato il manuale di buona pratica agricola7, ma ha delegato alle Regioni la designazione delle zone vulnerabili ai nitrati (ZVN) e l’elaborazione dei Programmi d’Azione (PA).

Le “zone vulnerabili”

Il primo passo previsto dalla Direttiva nitrati consiste nella individuazione delle acque inquinate dai nitrati e da quelle potenzialmente inquinabili se non si interviene applicando idonei programmi d’azione. Sono considerate acque inquinate dai nitrati:

- le acque dolci superficiali e sotterrane, in particolare quelle destinate alla produzione di acqua potabile, che contengono almeno 50 mg L-1 di nitrati;

- i laghi naturali di acqua dolce o altre acque dolci, estuari, acque costiere e marine che risultano eutrofiche8 o possono diventarlo nell’immediato futuro se non si interviene applicando idonei Programmi d’azione.

Nella individuazione delle acque inquinate o suscettibili all’inquinamento da nitrati gli Stati membri devono tener conto delle caratteristiche fisiche e ambientali delle acque e dei terreni del proprio territorio nazionale. Le aree che scaricano nitrati nelle acque così individuate e che concorrono al loro inquinamento vengono designate “zone vulnerabili” (Masoni et al, 2010).

6 Supplemento Ordinario n. 101/L alla Gazzetta Ufficiale n.124 del 29 maggio 1999 7 Decreto ministeriale 19 aprile 1999

8 Per eutrofiche la direttiva intende “l’arricchimento dell’acqua con composti azotati il quale causa una rapida crescita delle alghe e di forme di vita vegetali più elevate, con conseguente indesiderabile rottura dell’equilibrio degli organismi presenti in tali acque e deterioramento della qualità delle acque in questione”

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Il Codice di buona pratica agricola

Individuate le ZVN il secondo passo da fare è seguire il Codice di Buona Pratica Agricola (CBPA) che consiste nello stabilire un livello generale di protezione dall’inquinamento per tutti i tipi di acque, nel tutelare la salute umana, le risorse viventi e gli ecosistemi acquatici, nonché la salvaguardia di altri usi legittimi dell'acqua. A tal scopo gli stati membri entro due anni dalla notifica della Direttiva dovevano provvedere:

1. a fissare uno o più codici di buona pratica agricola, applicabili a discrezione degli agricoltori;

2. a predisporre, se necessario, un programma comprensivo di disposizione per la formazione e l’informazione degli agricoltori, con lo scopo di promuovere l’applicazione del o dei codici di buona pratica agricola.

Il CBPA dovrebbero contenere disposizioni concernenti i seguenti elementi: 1. i periodi in cui la concimazione è opportuna;

2. limitazioni per terreni in pendenza ripida;

3. limitazioni per terreni saturi d’acqua (inondati, gelato o innevati);

4. le condizioni per applicare il fertilizzante ai terreni adiacenti ai corsi d’acqua; 5. la capacità e la costruzione di depositi per effluenti da allevamento;

6. le procedure di applicazione al terreno, comprese le percentuali e uniformità di applicazione, sia di concimi chimici che di effluenti di allevamento, in modo da mantenere la dispersione di nutrienti nell’acqua entro un livello accettabile;

7. la gestione dell’uso del terreno, compreso l’uso dei sistemi di rotazione delle colture e la proporzione di terreno destinata alle colture permanenti e annuali;

8. il mantenimento, durante i periodi piovosi di un quantitativo minimo di copertura vegetale destinata ad assorbire dal terreno l’azoto, che per i processi naturali di mineralizzazione della SO, si libera nel terreno quando si riscontrano condizioni di elevata temperatura (ideale 30°C), umidità e macroporosità (processo aerobico), ideali per lo sviluppo e l’attività dei microrganismi saprofiti;

9. per ciascuna azienda, la predisposizione dei piani di fertilizzazione e la tenuta di registri sulle applicazioni dei fertilizzanti;

10. la prevenzione dell’inquinamento delle acque dovuto allo scorrimento e alla percolazione dell’acqua oltre le radici nei sistemi di irrigazione.

Il CBPA italiano è stato approvato con Decreto Ministeriale il 19 aprile 1999 e prevede criteri e indicazioni di validità nazionale, integrabile da parte delle regioni e province autonome in relazione alle esigenze locali, fermi restando i criteri e le indicazioni fissate.

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Programma d’azione

Il terzo passo della Direttiva prevede l’individuazione delle tecniche agronomiche da seguire obbligatoriamente in ciascuna delle zone vulnerabili. Quindi entro un anno dopo ogni designazione di ZVN lo stato deve fissare il Programma d’Azione (PA) che può riguardare tutte le ZVN individuate nel territorio dello stato membro oppure può essere definito per ogni singola ZVN o parte di essa. I PA devono tener conto delle condizioni ambientali delle regioni d’interesse, nonché dei dati scientifici e tecnici disponibili, con particolare riferimento agli apporti azotati di origine agricola. I PA sono attuati entro 4 anni dalla loro fissazione e comprendono le misure prescritte dallo stato nel codice di buona pratica agricola.

I temi regolamentati sono:

1. l’impiego dei fertilizzanti minerali e organici contenenti azoto e i periodi in cui è proibita l’applicazione di alcuni tipi di fertilizzanti;

2. l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento e la capacità dei depositi per gli effluenti: tale capacità deve superare quella necessaria per l’immagazzinamento nel periodo più lungo, durante cui è proibita l’applicazione al terreno degli effluenti nella ZVN. 3. la limitazione dell’applicazione al terreno di fertilizzanti definita in base alla buona pratica

agricola, definita in funzione delle caratteristiche della ZVN considerata, in particolare - del tipo di suolo e della sua giacitura;

- dalle condizioni climatiche, dalle precipitazioni e del metodo irriguo;

- dall’uso del terreno e dalle prassi agricole svolte incluse le rotazioni culturali;

- il bilancio tra il fabbisogno prevedibile di azoto delle colture e l‘apporto alle colture dello stesso elemento proveniente dal terreno (mineralizzazione) e dalla fertilizzazione.

Le misure indicate devono garantire che per ciascuna azienda o allevamento, non si apporti un quantitativo di azoto superiore a 170 Kg ha-1 per anno. Tuttavia nei primi 4 anni del PA gli Stati membri si possono accordare per un quantitativo di effluenti di 210 Kg ha-1 per anno (Masoni et al, 2010). In casi eccezionali, durante e dopo i 4 anni di inizio del PA gli Stati membri possono stabilire quantitativi diversi da quelli indicati in precedenza purché questi apporti di N non compromettano il raggiungimento degli obiettivi della Direttiva Nitrati. Alcuni casi eccezionali sono i seguenti:

- la presenza di stagioni di crescita prolungate;

- la coltivazioni di specie con un elevato grado di assorbimento di N; - un’elevata entità delle precipitazioni;

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I controlli

Per individuare le zone vulnerabili, gli stati membri entro due anni dalla notifica della Direttiva nitrati, dovevano:

1. controllare la concentrazione di nitrati nelle acque dolci per un periodo di un anno; 2. ripetere il controllo almeno ogni 4 anni, escludendo le stazioni di campionamento in cui

era stata riscontrata, in tutti i precedenti campioni, una concentrazione di nitrati inferiore a 25 mg L-1, a condizione che non si sia manifestato nessun fattore nuovo che possa aver aumentato la concentrazione di nitrati;

3. riesaminare ogni 4 anni lo stato eutrofico delle acque dolci superficiali, estuarie e costiere (Masoni et al, 2010).

Le ZVN italiane

La contaminazione da nitrati nelle acque del nostro paese interessa tutte le regioni, anche se le aree più colpite e definite ZVN (Fig.2.1) si trovano nelle regione del Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia ed Emilia-Romagna. In queste 5 regioni, dove sono state designate come vulnerabili dal 50 al 60% delle aree di pianura, nel complesso, viene allevato oltre il 70% del patrimonio zootecnico dell'intera nazione e si produce oltre il 90% del mais italiano che, peraltro, risulta coltivato su più del 20% della Sau totale. Allo stato attuale circa il 12,9% del territorio italiano è designato come area vulnerabile: la Regione Emilia Romagna ha designato il 29,9% del proprio territorio regionale, contribuendo per il 17% alla designazione nazionale. Le sole Regioni dell’area Padana (Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto) coprono il 66,6% del territorio nazionale designato e ben oltre il 50% dell’area di pianura del bacino del Po (Mundo & Sollazzo, 2007).

La Regione Toscana, ha individuato 5 zone vulnerabili ai nitrati di origine agricola, che rappresentano il 5% del territorio regionale e il 2,9% del territorio nazionale vulnerabile. Le zone designate sono (Fig. 2.2):

1. Zona circostante al Lago di Massaciuccoli nel bacino del fiume Serchio; 2. Zona costiera tra Rosignano Marittimo e Castagneto Carducci;

3. Zona costiera tra San Vincenzo e la Fossa Calda;

4. Zona costiera della laguna di Orbetello e del lago di Burano nel bacino regionale dell'Ombrone;

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Il PA della Regione Toscana, applicato obbligatoriamente a tutte le ZVN della regione, è stato approvato il 13 luglio 20069 e modificato il 16 febbraio 201010.

Fig. 2.1 - Zone vulnerabili ai nitrati in Italia designate fino al 2011. I colori indicano gli anni di designazione (il verde chiaro prima del 2000, verde pisello tra il 2000-2003, verde scuro tra

2004-2007, marroni tra il 2008-2011).

(Da: http://fate-gis.jrc.ec.europa.eu/geohub/MapViewer.aspx?id=2#).

9 Decreto del Presidente della Giunta Regionale n. 32/R. del 13 luglio 2006 10 Decreto del Presidente della Giunta Regionale n. 13/R del 16 febbraio 2010

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Fig. 2.2 – Tavola del progetto ARPAT dove sono evidenziate Zone vulnerabili ai nitrati (Piano Regionale di Azione Ambientale (PRAA) 2007/2010” – Regione Toscana).

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2.2. Le pratiche agronomiche per far fronte alla lisciviazione dei nitrati

Le pratiche agronomiche pensate per prevenire la lisciviazione dei nitrati sono inserite nel Codice di Buona Pratica Agricola (CBPA) e nel Programma d’azione che sono stati descritti, in modo generale, nel paragrafo precedente. L’obiettivo in questo paragrafo sarà quello entrare nel concreto delle tecniche agronomiche che possono essere utilizzate per far fronte ai problemi riguardanti la lisciviazione dei nitrati, seguendo come linea guida il Programma d’Azione della Regione Toscana11.

I sistemi di irrigazione12

La lisciviazione dei nitrati, non trattenuti dal complesso adsorbente del terreno, come è stato descritto nel paragrafo 1.2, è funzione dell’acqua che attraversa il mezzo (l’intensità) e della concentrazione di nitrati. L'entità della lisciviazione dei nitrati decresce con l'aumentare dell'efficienza irrigua (EI) della distribuzione dell'acqua.

In Italia, nell’annata agraria 2009-2010, il volume di acqua irrigua utilizzata dall’agricoltura è pari a 11618 milioni di metri cubi. Il fenomeno interessa nel complesso 708449 aziende che irrigano 2489915 ettari, per quanto riguarda le colture ortive in pieno campo (il dato non tiene conto delle colture protette) le aziende sono 90932 ( 12,8% del tot.) che irrigano 261926 (10,5 % del totale). La maggior parte delle aziende con superfici irrigate, pari al 12,8 %, coltiva ortive in piena aria che consumano un 5,2 % dell’acqua impiegata in agricoltura. (ISTAT, 2014). I dati ISTAT definiscono che la percentuale di superficie irrigua Italiana per sistemi di irrigazione delle ortive in piena area è così suddivisa: scorrimento superficiale ed infiltrazione laterale 34,9%, sommersione 0%, aspersione (a pioggia) 31,1%, micro-irrigazione 28% e 6% per altre tipologie (ISTAT, 2014).

In linea generale, sia per l'irrigazione a pioggia (Uniformità di erogazione UE 60-70 %) che per micro-irrigazione (UE 90-95%), la quantità di acqua da somministrare ad ogni intervento irriguo dovrebbe bagnare solo lo spessore di terreno interessato dalle radici della coltura, a cui va aggiunta una percentuale necessaria ad evitare accumuli di salinità in queste zone. Questo potrebbe essere aiutato da un miglioramento della strumentalizzazione di campo adibita all’irrigazione. Alcuni esempi sono: utilizzo di calcolatori elettronici o l’inserimento di capannine meteorologiche per stimare l’ET0 (evapotraspirazione di riferimento), oppure l’utilizzo di tensiometri che misurino

direttamente il potenziale idrico e l’utilizzo di sensori dielettrici che leggano la percentuale di acqua nel terreno. Con quest’ultimi è possibile attuare un metodologia interessante di irrigazione,

11 D.P.G.R. 13-7-2006 n. 32/R

12 I dati statistici riportati in questo sottoparagrafo riguardano i soli ortaggi in piena area a cui sono esclusi i dati relativi

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cioè l’utilizzo di due sensori dielettrici che leggono la % l’umidità del terreno e agiscano in contemporanea durante l’irrigazione (Fig. 2.3).

Fig. 2.3 - Controllo della frequenza e del volume dell’irrigazione con sensori di umidità posti a due diverse profondità nel terreno (fonte: https://www.delta-t.co.uk/product/gp1/#overview).

La gestione dell’irrigazione intesa come dose da somministrare e tempo di intervallo fra una irrigazione e quella successiva rimane il fattore fondamentale per il controllo della lisciviazione e per l’aumento dell’efficienza nell’uso dell’acqua.

La dose o il volume di adacquamento ottimale è funzione della tessitura del terreno e dallo strato esplorato dalla coltura oltre che dalla qualità dell’acqua irrigua e del grado di uniformità della coltura. Se negli ultimi anni, si possono facilmente trovare in rete software gratuiti per il calcolo del volume irriguo ottimale la decisione di quando dare l’acqua rimane il punto debole della gestione dell’irrigazione. Tuttavia, grazie alla sempre maggiore diffusione di centraline meteorologiche e all’uso di sensori dielettrici abbastanza economici (80 – 100 €) per la misura diretta del contenuto di umidità del suolo, l’EI è fortemente migliorata e con essa si è ridotta la quantità lisciviata di azoto.

Criteri generali di utilizzazione dei concimi azotati, degli effluenti di allevamento e degli ammendanti organici nelle ZVN

L'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, dei fertilizzanti azotati e degli ammendanti organici nelle ZVN è definita nel PA della Regione Toscana e ammette l’utilizzo di questi solo se: è garantita la tutela dei corpi idrici, sia prodotto un effetto concimante e/o

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ammendante sul terreno, sia assicurata l'adeguatezza ai fabbisogni della coltura dei quantitativi di azoto che necessita secondo il Piano di Utilizzazione Agronomica (PUA)13 limitando l'applicazione al suolo dei fertilizzanti azotati sulla base dell'equilibrio tra il fabbisogno prevedibile delle colture e l'apporto alle colture di azoto proveniente dal suolo e dalla fertilizzazione, il tutto in coerenza con il codice di buona pratica agricola rispettando i tempi di distribuzione.

I divieti di utilizzazione dei letami, dei concimi azotati e degli ammendanti organici riguardano: 1. sulle superfici non interessate dall'attività agricola, fatta eccezione per le aree a verde

pubblico e privato e per le aree soggette a recupero e ripristino ambientale;

2. su terreni con pendenza media, riferita ad un'area aziendale omogenea oggetto di spandimento, superiore al 25%;

3. nei boschi, ad esclusione degli effluenti rilasciati dagli animali nell'allevamento brado; 4. sui terreni gelati, innevati, con falda acquifera affiorante, con frane in atto o terreni saturi

d'acqua, fatta eccezione per i terreni adibiti a colture che richiedono la sommersione; 5. nelle ventiquattro ore precedenti l'intervento irriguo, nel caso di irrigazione per scorrimento

e concimi non interrati;

6. in tutte le situazioni in cui l'autorità competente provvede ad emettere specifici provvedimenti di divieto o di prescrizione in ordine alla prevenzione di malattie infettive diffusive per gli animali, per l'uomo e per la difesa dei corpi idrici.

L'utilizzazione agronomica del letame e dei materiali ad esso assimilati, nonché dei concimi azotati e degli ammendanti organici14 è inoltre vietata almeno entro:

1. 5 metri di distanza dalle sponde dei corsi d'acqua superficiali non significativi 2. 10 metri di distanza dalle sponde dei corsi d'acqua superficiali significativi15;

3. 25 metri di distanza dall'inizio dell'arenile per le acque lacuali, marinocostiere e di transizione, nonché delle zone umide individuate16;

4. il loro spandimento è vietato nella stagione autunno invernale, a partire dal 1° dicembre per novanta giorni.

In presenza di colture ortofloricole in pieno campo, che utilizzano l’azoto in misura significativa anche nella stagione autunno-invernale, è possibile interrompere il divieto do spandimento di 90 giorni, con inizio al 1°Dicembre, nel periodo dal 1° - 15 dicembre e dal 15 - 30 gennaio. In tale caso il periodo di sospensione di novanta giorni deve tener conto del numero dei giorni effettivi di interruzione del divieto.

13 Allegato 4 del D.P.G.R. 13-7-2006 n. 32/R 14 di cui al D.Lgs. n. 217/2006

15 definiti dalla Delib.G.R. 10 marzo 2003

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Per le coltivazioni protette, qualora la somministrazione di effluenti sia strettamente correlata al loro fabbisogno il periodo di divieto non si applica. Infine i divieti riguardanti le distanze di spandimento sopra elencati non si applicano ai canali artificiali ad esclusivo utilizzo di una o più aziende, purché non siano connessi ai corpi idrici naturali, ed ai canali arginati. Nelle fasce di divieto limitrofe ai corpi d’acqua è obbligatoria una copertura vegetale permanente, anche spontanea o tramite colture intercalari, colture di copertura, quali catch, crops-sovescio, prati, prati pascoli, pascoli o normale coltura in rotazione (Regione Toscana, 2006).

Per ridurre al minimo le perdite d’azoto per lisciviazione e ottimizzare l’efficienza della concimazione è necessario distribuire l’azoto nelle fasi di maggior necessità delle colture, favorendo il frazionamento del quantitativo totale in più distribuzioni. Le concimazioni azotate devono essere eseguite in presenza della coltura; possono essere eseguite in presemina, o al momento della semina, purché sia limitato al massimo il periodo intercorrente tra fertilizzazione e semina. La somministrazione di azoto eseguita per le colture autunno-vernine in pre-semina non deve essere superiore al 30% della dose totale di N prevista. Per quanto riguarda il frazionamento, gli apporti di N in un’unica soluzione non devono superare il 60% del quantitativo totale previsto se questo è superiore a 50 Kg/N·ha-1 (stimato secondo il PUA17), viceversa, l’azoto totale (< 50 Kg/N·ha-1) può essere somministrato in una sola volta. Per le colture primaverili-estive non sono ammessi apporti in una unica soluzione superiore a 100 Kg/N·ha-1.

Il piano d’azione non specifica la forma di azoto per i concimi sintetici da distribuire, e nemmeno che tipi di fertilizzanti utilizzare, ma lascia libero arbitrio alle capacità dell’agricoltore per la scelta del concime più adatto. In questo caso, nelle ZVN sarebbe consigliabile intervenire con forme azotate diverse dalla forma nitrica (lisciviabile), e intervenire con forme non prontamente assimilabili dalle piante come la forma ammoniacale (N-NH4+). Questa forma di azoto è solubile

in acqua, ma è trattenuta dal potere adsorbente del terreno legandosi alla SO e alle argille che possiedono carica netta negativa, costituendo così una riserva nel terreno che naturalmente si libererà nella soluzione circolante per la capacità di scambio cationico di queste strutture. La nitrificazione dalla forma ammoniacale a quella nitrica dipende essenzialmente dalla temperatura e dall’attività microbica del terreno, in particolar modo dei generi Nitromonas e Nitrobacter. Questi due generi di batteri, responsabili della reazione di nitrosazione (Nitrobacter.) e successiva nitrificazione (Nitromonas) dell’N sono molto sensibili alle condizioni ambientali, soprattutto la temperatura. Si stima che può durare pochi giorni con temperature di 30°C fino a diverse settimane con temperature prossime allo 0 (Sansavini & Ranalli, 2012).

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Le Cover crops e le Catch crops

La Commissione europea per la nuova Pac 2014-2020 ha proposto misure di “inverdimento” (greening). Alle aziende è richiesto di diversificare le colture aziendali in nome di una sempre maggiore sostenibilità ambientale dell’agricoltura. Le cover crop (CC) sono la risposta giusta a questa domanda, infatti sono colture erbacee inserite tra due colture principali della rotazione colturale e per definizione non sono destinate alla raccolta, ma coltivate per migliorare la fertilità del suolo (Marandola, 2012). Le catch crop sono cover crop il cui obiettivo preminente è catturare l’azoto minerale disponibile nel suolo (i nitrati) e prevenirne la perdita per lisciviazione mettendolo a disposizione per la coltura successiva (Cicek et al., 2015). La lisciviazione dei nitrati si verifica in modo più marcato nei suoli nudi, cioè tra una coltura principale e la successiva, e nei periodi contraddistinti da elevata piovosità e ridotta evapotraspirazione (nei nostri climi continentali dall’autunno alla primavera). In tali periodi la coltivazione di catch crop riduce le perdite di nitrati fino al 70% (Tonitto et al., 2006).

La scelta della catch crop va operata tenendo presente l’obiettivo da perseguire e la posizione nella rotazione colturale. Se l’obiettivo è prevalentemente ambientale, si opera la scelta in base alla capacità della coltura di assorbire azoto nei momenti di massimo rischio di lisciviazione. Nei nostri climi continentali le specie graminacee e crucifere sono adatte al periodo autunnale-primaverile poiché in grado di crescere a sufficienza (specie resistenti al freddo o poco sensibili). Le graminacee sono preferibili anche nel caso di catch crop estive, come Sorghum spp., con minime esigenze idriche ed elevata quantità di produzioni di biomassa e asporti. Le leguminose (es. veccia, favino, trifoglio squarroso, pratense, incarnato, sotterraneo) non sono, invece, particolarmente adatte all’assorbimento dell’azoto dal suolo perché, essendo azotofissatrici, asportano meno azoto minerale dal suolo. Indubbiamente le CC hanno anche un effetto agronomico importante aumentando la fertilità del suolo per l’apporto della biomassa prodotta che si aggiunge all’effetto di intercettazione dei nitrati.

Un’attenzione particolare deve essere data ai miscugli che presentano il grande vantaggio di poter essere variamente composti in base a diverse condizioni climatiche, caratteristiche del terreno e disponibilità di N minerale nel suolo. I miscugli (Fig.2.4) così formati possono beneficiare dei punti di forza di ogni specie impiegata rispondendo a tutte le potenziali qualità di una catch crop così da fornire:

1. un’adeguata copertura vegetale con riduzione del ruscellamento superficiale di elementi nutritivi e agrofarmaci, con limitazione dell’erosione grazie alla riduzione della velocità di sgrondo delle acque superficiali;

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2. effetti biocidi, cioè controllo degli organismi del suolo dannosi per la coltura, controllo delle malerbe, perché con queste ultime competono per gli stessi fattori di crescita o per l’effetto allelopatico di alcune specie;

3. incremento indiretto della fertilità fisica del suolo, derivato da un aumento del contenuto di sostanza organica, che a sua volta determina un aumento degli aggregati del suolo e quindi della sua porosità;

4. incremento indiretto della fertilità biologica del suolo per l’aumento della biodiversità del suolo, cioè l’insieme di tutti gli organismi tellurici che favoriscono la degradazione della frazione organica;

5.

Fig. 2.4 - Esempio di Cover crop costituita da miscuglio di trifoglio alessandrino, Avena strigosa, due specie di senape e veccia comune, seminato con 80 kg/ha di seme (da:

http://www.ilnuovoagricoltore.it)

Inoltre è consigliabile, quando la catch crop è inserita in sistemi intensivi con elevate concentrazioni di azoto nel suolo, raccogliere la biomassa piuttosto che interrarla con aratura così si ha un maggiore controllo della lisciviazione dei nitrati e delle quantità di N effettivamente presenti nel terreno. Infine, va tenuto presente che la quantità di nitrati lisciviata è dipendente dalla tessitura del suolo, quelli leggeri sono più soggetti alle perdite per lisciviazione, quindi su questi suoli le graminacee sono preferibili alle crucifere, nei suoli pesanti, meno soggetti a fenomeni di lisciviazione, si ottengono ottimi risultati anche con le crucifere (Tab 2.1).

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Tab 2.1 – Riduzione dell’azoto nitrico lisciviato in funzione del tipo di terreno e delle catch crop impiegate (Moretti et al., 2015, modificato).

Tipo di suolo Specie adottata Riduzione azoto lisciviato (%)1

Leggero medio impasto (da sabbioso a franco-limoso-argilloso)

Avena sativa 87

Vicia Villosa 5

Medio impasto (da franco a franco limoso argilloso)

Hordeum vulgare 63

Secale cereale oppure

Triticosecale 37 Vicia villosa + Triticosecale 31 Vicia villosa 29 Pesante (limoso) Sinapis alba 80 Trifolium spp. 30 Vicia villosa 17

(1)Riduzione dell’azoto lisciviato rispetto alle stesse condizioni in assenza di catch crop (Fonte Justes et

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Capitolo 3 – I CONCIMI

3.1. I concimi

Un concime è una qualsiasi sostanza, naturale o sintetica, minerale o organica, la cui funzione principale è di fornire alle piante l’elemento o gli elementi chimici necessari per il loro accrescimento. Gli elementi indispensabili, o essenziali, per l’accrescimento di una pianta sono individuati sulla base dei seguenti criteri:

 l’elemento fa parte di una molecola o di un costituente della pianta essenziale per la vita della stessa e la sua assenza ne provoca una crescita anormale, ne impedisce il completamento del ciclo biologico o ne provoca la morte (ad es. l’N nell’enzima Rubisco o il magnesio nella clorofilla).

 l’elemento esercita il suo effetto direttamente sulla crescita o sul metabolismo della pianta e non mediante un effetto indiretto, quale un antagonismo con un altro elemento presente in quantità tossica(Taiz & Zeiger, 2013).

Sulla base della quantità richiesta dalle piante gli elementi essenziali sono suddivisi in:

1. Micronutrienti, quelli richiesti in piccola quantità, in genere coinvolti nei processi enzimatici e presenti nei tessuti in concentrazione uguale o inferiore a 0,1 mg·g-1 di sostanza secca (SS). Questi elementi sono il boro (B), il ferro (Fe), il manganese (Mn), il molibdeno (Mo), il rame (Cu) e lo zinco (Zn).

2. Macronutrienti, quelli richiesti in grandi quantità, hanno funzioni nella struttura della pianta e sono presenti nei tessuti in una concentrazione di almeno 1 mg·g-1 di SS.

 Macronutrienti primari, generalmente non sono presenti nel terreno in quantità sufficiente a soddisfare il fabbisogno delle piante. Sono rappresentati da azoto (N), fosforo (P) e potassio (K); fanno parte di questa categoria anche il carbonio (C), idrogeno (H) e l’ossigeno (O) che però sono presi o dall’atmosfera o dall’acqua;  Macronutrienti secondari, generalmente presenti nel terreno in quantità sufficienti

a soddisfare il fabbisogno delle piante, per cui non richiedono apporti con la concimazione se non in casi particolari. Sono rappresentati da calcio (Ca), magnesio (Mg), sodio (Na) e zolfo (S) (Masoni, et al., 2010).

L’azoto è il costituente di numerosi composti cellulari della pianta come amminoacidi, proteine e acidi nucleici, ed è l’elemento che più influenza la produttività e la sua carenza inibisce rapidamente la crescita della pianta.

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Tutti fertilizzanti, prima di essere messi in commercio vengono sottoposti al controllo delle autorità competenti, le quali verificano la conformità alle disposizioni del regolamento (CE) n. 2003/2003 e al D.L. n. 75 del 29/04/2010, accertando la legalità delle etichette e la composizione. Secondo la legge, i concimi confezionati (imballi fino a 1000 kg) devono essere accompagnati dall’etichetta e questa deve essere sull’imballo o applicata ad esso; per i prodotti sfusi, le medesime informazioni riportate in etichetta devono comparire sui documenti di accompagnamento (Documento di trasporto).

L’etichetta di un concime deve obbligatoriamente riportare:

- la dicitura in lettere maiuscole, CONCIME CE per i concimi normati dal regolamento CE; - titolo del concime (percentuale in peso dell’elemento o degli elementi fertilizzanti in esso presenti). Il titolo può fare riferimento alla forma elementare dell’elemento chimico che contiene (N,P,K) o a un suo ossido (P2O5, K2O). La legislazione europea prevede che nei titoli dei concimi

immessi sul mercato l’N deve essere espresso solamente in forma elementare (N), per fosforo, potassio e gli altri elementi secondari possono essere espressi in entrambe le forme, elementare e di ossido. Il titolo del concime è molto importante per definire in maniera precisa la quantità da distribuire alla coltura. In tutti i casi, l’etichetta del concime si chiude con il peso netto della confezione, (per i fluidi è ammesso indicare anche il volume) e con nome e indirizzo del produttore.

Nei prossimi paragrafi tratteremo solo i concimi azotati, con un particolare riferimento ai concimi stabilizzati, a lento rilascio o a rilascio controllato.

3.2 I concimi a efficienza d’uso migliorata

La classificazione dei concimi con una maggiore efficienza d’uso, può essere eseguita seguendo criteri diversi:

1. contenuto di elementi nutritivi principali; 2. presenza o meno di carbonio organico; 3. stato fisico del concime;

4. parte della pianta che assorbirà gli elementi nutritivi;

5. tempo necessario per l’assorbimento degli elelmenti nutritivi.

Nell’insieme, queste distinzioni rappresentano le caratteristiche tecniche e agronomiche dei concimi e sono determinanti per la scelta del prodotto da impiegare, al fine di massimizzare l’efficienze degli elementi nutritivi e delle produzioni (Masoni, et al., 2010). Pertanto, sia per motivi di salvaguardia ambientale, sia di efficienza della fertilizzazione, le colture ortive da piena area si stanno indirizzando verso l’utilizzo di concimi definiti più efficienti, cioè concimi che non

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hanno un rilascio immediato degli elementi nutritivi dopo la distribuzione, ma che invece li rilasciano in maniera più o meno continua in un dato intervallo di tempo (Fig. 3.1).

Fig. 3.1 – Confronto tra concimi (C) a tempo di rilascio ritardato e gli altri concimi granulari “a pronto effetto” in rapporto al normale fabbisogno nutritivo di una pianta in crescita. (Fonte (modificata) da: https://icl-sf.com/it-it/cosa-sono-i-concimi-a-cessione-controllata)

Il rilascio di un elemento nutritivo contenuto in un concime consiste nella sua trasformazione (per solubilizzazione, idrolisi, degradazione, ecc.) in una forma assorbibile dalla pianta18.

Il tempo necessario, dal momento della distribuzione del concime, al momento in cui l’elemento nutritivo apportato sia assorbibile per la pianta dipende:

1. dal tempo necessario per la liberazione nel terreno dell’elemento nutritivo (o degli elementi nutritivi) nella forma chimica nella quale era contenuto nel concime (es. N in forma nitrica, ammoniacale, ureica, ecc.);

2. dal tempo necessario perché l’elemento nutritivo (o degli elementi nutritivi) liberato nel terreno in una determinata forma chimica venga trasformato in ioni assorbibili dalla pianta (Masoni, et al., 2010).

Un concime può essere definito a lento rilascio se i nutrienti o le sostanze nutritive dichiarate come a lento rilascio soddisfino, ad una temperatura di 21°C, ognuno dei seguenti criteri (Schippa, 2016):

1. non più del 15% rilasciato in 24 ore; 2. non più del 75% rilasciato in 28 giorni;

3. almeno il 75% del contenuto deve essere rilasciato nel tempo dichiarato.

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33

I fertilizzanti con tempo di rilascio ritardato comprendono un’ampia gamma di prodotti, che è possibile distinguere in concimi:

 a lento rilascio (CLR): rilasciano i nutrienti, in forma disponibile per le piante, più lentamente dei normali concimi solubili (tuttavia, la velocità di rilascio dei nutrienti non è ben controllata);

 ricoperti o a rilascio controllato (CRC): cedono i nutrienti, in forma disponibile per le piante, più lentamente dei normali concimi solubili, in funzione di fattori noti e controllabili durante il processo di produzione degli stessi fertilizzanti;

 stabilizzati: concimi contenenti sostanze che rallentano i processi di trasformazione dei composti nutritivi, prolungandone la disponibilità nel suolo (Nicese & Ferrini, 2004). Ciascuna categoria comprende una serie di prodotti con caratteristiche fisico-chimiche ben definite che sono responsabili dello specifico meccanismo di rilascio dei nutrienti. Tuttavia, l’efficacia di questi fertilizzanti è spesso molto variabile poiché interagiscono con una serie di fattori ambientali, biologici e abiotici caratteristici per ciascun sistema colturale e a volte di difficile controllo. Pertanto, l’applicazione di concimi non a pronto effetto, sebbene non richieda particolari competenze da parte dell’agricoltore, in quanto la tecnologia è integrata nel prodotto stesso, può determinare un effettivo miglioramento dell’efficienza d’uso dell’N solo se è accompagnata da un’adeguata conoscenza dei diversi meccanismi di azione e dei fattori che regolano il rilascio dei nutrienti.

Concimi a lento rilascio (CLR)

La strategia di riduzione di N per lisciviazione di questi concimi consiste nel diminuire la solubilità degli elementi nutritivi attraverso la produzione di composti condensati. Si tratta di composti derivanti da reazioni di condensazione e successiva polimerizzazione dell’urea (concime caratterizzato da basso costo ed elevato titolo in N, 46%) con diversi composti.

Tab. 3.1. Tipi di fertilizzanti azotati a lenta cessione (Fonte: Violante 2013 – rielaborata).

Fertilizzante Composizione % N Durata del rilascio (Settimane) Ureaform Polimeri dell’ureaformaldeide 36 - 40 10 – 30+

IBDU Isobutildendiurea 32 10 -16

N-sure Urea-Triazone 28 6 - 9

CDU Urea-Cronotoaldeide 34 6 - 12

(34)

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- l’urea-formaldeide (UF= Ureaform): (36-40% di N) sono polimeri derivanti dalla condensazione dell’urea con la formaldeide; la solubilità in acqua di questi prodotti è inversamente proporzionale al grado di polimerizzazione delle molecole. La miscela di polimeri con diverso peso molecolare può essere usata per modulare la velocità di rilascio dell’N in funzione della curva di asportazione della coltura considerata. Nel caso dell’UF, in funzione delle condizioni in cui avviene la reazione tra urea e formaldeide (pH, temperatura, proporzione tra le moli, tempo di reazione, ecc.) è possibile ottenere tre frazioni: monomeri solubili in acqua fredda, piccoli polimeri solubili in acqua calda o ancora polimeri ad elevato peso molecolare a bassissima solubilità (insolubili in acqua calda). In funzione del rapporto tra queste tre frazioni, le aziende produttrici costituiscono una serie di composti da quelli più o meno solubili fino a quelli completamente insolubili (Martinetti, 2014).

L'efficienza dell'uso di azoto di un fertilizzante UF è determinata dall'indice di attività (AI) relativa alle proporzioni relative di tre frazioni, che sono (Tab. 3.1):

 Frazione I: solubile in acqua fredda (CWIN, 25°C) contenente urea residua, metilene diurea (MDU) , dimetilene triurea (DMTU) e altri prodotti di reazione solubile. L’N della frazione I è lentamente disponibile, a seconda della temperatura del suolo

 Frazione II: solubile in acqua calda (HWS, 100°C) contenente urea di metilene di lunghezze intermedie di catena, il N è a lento effetto.

 Frazione III: insolubile in acqua calda (HWIN), contenente uree di metilene di elevata lunghezza, l’N è estremamente poco solubile o non disponibile (Trenkel, 2010).

Tab 3.2 – Solubilità dell’Urea-formaldeide (Detrick, 1995).

Frazioni

Solubile in acqua fredda Insolubile in acqua fredda

Solubile in acqua calda Insolubile in acqua calda

(I) (II) (III)

Per legislazione italiana il contenuto minimo di N deve essere del 38% con un indice di attività (AI = Activity Index) di almeno il 40%. L’AOAC (Association of Official Agricultural Chemist) definisce l’indice di attività, come:

𝐴𝐼 =%CWIN − %HWIN

%CWIN × 100

dove:

%CWIN (Cold Water Insoluble) = % di N insolubile in acqua fredda (25°C) %HWIN (Hot Water Insoluble) = % di N insolubile in acqua calda (100°C)

(35)

35

Molti composti sono caratterizzati da un valore di AI ≥ 50% e delle parti insolubili in acqua in genere > 60%.

Il rilascio di azoto da concimi contenenti UF è un processo a più fasi (dissoluzione e decomposizione). In generale, una parte del N viene rilasciata lentamente (Frazione I); questo è seguito da un rilascio graduale in un periodo di diversi mesi (3-4) (Frazione II) a seconda del tipo di prodotto. Tuttavia, il modello di rilascio è influenzato dalla temperatura del suolo e dall'umidità, nonché dagli organismi del suolo e dalla loro attività.

Questo concime è commercializzato da solo come somministrazione diretta di N, in particolare alle colture orticole, o insieme a concimi complessi NPK (Violante, 2013).

- L’isobutilidendiurea (IBDU® - 32% N) si forma per reazione di condensazione tra urea e aldeide iso-butirrica [(CH3)2CHCHO]:

2H2NCONH2 + (CH3)2CHCHO ↔ (CH3)2CHCH(NHCONH2)2

Il meccanismo di rilascio consiste in una idrolisi graduale dell'IBDU, poco solubile in acqua, a urea, che segue le normali trasformazioni subite ad opera dei batteri presenti nel suolo. Il tasso di rilascio di azoto è funzione della dimensione delle particelle, (più le particelle sono fini, più è rapido il rilascio), dell'umidità, della temperatura e del pH del suolo. L'IBDU è utilizzato per i tappeti erbosi e talvolta si sono osservati casi di fitotossicità in colture sotto serra. L’IBDU viene preferibilmente applicato a temperature basse (Trenkel, 2010) e con una granulometria commercializzata del prodotto compresa tra 0,7 e 2,0 millimetri.

- La crotonildendiurea (CDU®) è stata brevettata come concime a lento rilascio nel 1959, dalla Chisso Corporation, la quale sviluppò un processo industriale economico e continuo per produzione di CDU da aldeide crotonica (CH3-CH=CH-CHO) e urea (Fig. 3.2). La CDU si

decompone per idrolisi, per degradazione dai microorganismi presenti nel terreno, nonchè dalla temperatura e l'umidità del terreno che influenzano il tasso di rilascio. La degradazione è più lenta rispetto a quella dell’IBDU, anche nei terreni acidi. Come per IBDU, la dimensione delle particelle influenza notevolmente il tasso di rilascio dell’N. In Giappone e in Europa, il suo utilizzo principale è nel terriccio e nell'agricoltura specializzata, tipicamente formulata in fertilizzanti composti NPK granulati (Trenkel, 2010).

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