• Non ci sono risultati.

Acquisizione delle abilità complesse e prevenzione di stress e burnout nello studente in infermieristica. Realizzazione di un laboratorio di simulazione ad altà fedeltà

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Acquisizione delle abilità complesse e prevenzione di stress e burnout nello studente in infermieristica. Realizzazione di un laboratorio di simulazione ad altà fedeltà"

Copied!
53
0
0

Testo completo

(1)

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale Direttore Prof. Mario Petrini

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'Area Critica Direttore Prof. Paolo Miccoli

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia Direttore Prof. Giulio Guido

________________________________________________________________________________

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE

INFERMIERISTICHE E OSTETRICHE

ACQUISIZIONE DELLE ABILITÀ COMPLESSE E

PREVENZIONE DI STRESS E BURNOUT NELLO

STUDENTE IN INFERMIERISTICA. REALIZZAZIONE DI UN

LABORATORIO DI SIMULAZIONE AD ALTÀ FEDELTÀ

RELATORE

CHIAR.MO PROF. Pagnucci Nicola

____________________________

CANDIDATO

SIG. Bassoni Francesco

______________________

(2)

1 RIASSUNTO

Negli ultimi decenni il percorso formativo degli studenti di infermieristica si è notevolmente modificato, seguendo anche il cambiamento che ha visto la professione stessa di infermiere cercare quantomeno di superare quello scalino che l’ha per anni posta al di sotto degli altri professionisti del mondo sanitario. Questo rinnovamento, seppur spesso lento e macchinoso, vuoi per la complessa macchina burocratica italiana, vuoi per la convivenza di figure professionali formate da approcci pedagogici ormai arcaici, e quindi spesso restii al progresso, è vivo, ed ha tutte le carte in regola per avere successo. Questa evoluzione ha già portato gli infermieri ad ottenere delle competenze teorico/pratiche quasi inimmaginabili anni orsono, grazie soprattutto alla ricerca ed alla voglia di rivalsa dei professionisti stessi.

Seguendo quella che è stata l’evoluzione della professione nel mondo anglosassone, la nostra realtà ha approcciato nuovi sistemi pedagogici di già dimostrata efficacia come il Problem Based Learning, letteralmente l’apprendimento basato sui problemi, attraverso la quale lo studente acquisisce conoscenze utilizzando l’analisi di un dato come scenario di partenza. Tra questi “nuovi” approcci formativi, la simulazione sembra ad oggi essere la miglior soluzione per conciliare conoscenze teoriche e pratiche, requisito fondamentale richiesto ad un professionista infermiere, e perno centrale nello svolgimento del proprio lavoro.

Ormai in tutte le realtà universitarie, attraverso la simulazione, vengono ricreate delle circostanze che possono presentarsi nell’ambito di un presidio ospedaliero; sin dal primo anno di corso di laurea, gli studenti acquisiscono competenze teorico/pratiche tali da rendere più leggero l’impatto con le realtà lavorative con la quale dovranno scontrarsi con il tirocinio professionalizzante.

(3)

2

Tuttavia le esercitazioni praticate alla presenza di un tutor clinico esperto, seguendo un copione prestabilito, e soprattutto su manichini inanimati e predisposti alle procedure in esame, possono non essere sufficienti a preparare psicologicamente lo studente ad affrontare alcuni eventi definiti “stressanti”, che possono presentarsi in campo sanitario.

Prenderemo in esame il corso di laurea in infermieristica dell’Università di Pisa, dove al terzo ed ultimo anno di corso, gli studenti, ormai prossimi al conseguimento del titolo accademico, si scontrano con l’ultimo periodo di tirocinio, entrando in contatto con l’area critica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, dove i suddetti eventi stressanti, sono spesso all’ordine del giorno. A questo punto si richiede allo studente di saper mettere in pratica le competenze apprese sul campo ed in aula negli anni precedenti, ed i tutor assegnati dovranno aiutare gli studenti stessi ad affinare queste competenze per completare definitivamente la loro preparazione in vista dell’ingresso nel mondo del lavoro, dove le responsabilità graveranno sulle loro spalle; Le capacità tecniche sono già state acquisite, ma il contesto è ben diverso da quello vissuto nei primi due anni di tirocinio, diversa è la tipologia di paziente, diverso è il rapporto da instaurare con loro e con il nucleo familiare, e diversa soprattutto è la solidità psichica richiesta nell’affrontare casi estremamente complessi.

Alcuni potrebbero aver già affrontato precedentemente il lutto, le fasi che lo accompagnano, sia per quanto riguarda il paziente stesso ma anche i familiari, potrebbe già aver avuto a che fare con pazienti fragili, necessari di un alta intensità di cura, ma adesso, in alcune realtà quali le Unità Operative di Anestesia e Rianimazione e di Pronto Soccorso, entrano i gioco le variabili di Emergenza e di Criticità, che pretendono l’utilizzo impeccabile delle competenze teorico/pratiche in lassi di tempo limitati, all’interno della quale si “gioca” la vita del paziente.

(4)

3

Ovviamente i tirocinanti non vengono, almeno inizialmente, scaraventati nel bel mezzo dell’azione, e soprattutto mai senza il supporto dei tutor e degli altri professionisti; ma ciò nonostante vivono in prima persona il contesto nel quale sono immersi, e per il quale forse non sono stati debitamente preparati.

Magari in futuro, con l’aiuto di nuove tecnologie, sarà possibile ricreare fedelmente determinati setting, in maniera tale da riuscire a sprigionare il comparto emotivo che ne scaturisce, riuscendo a prevedere al 100% le reazioni psico-fisiche da esso derivanti. La miglior soluzione, al giorno d’oggi, potrebbe essere quella di utilizzare la già comprovata metodologia formativa della simulazione, ricreando nel modo più fedele possibile alcuni degli eventi più stressanti, utilizzando dei copioni variabili, rendendo l’ambiente interattivo, anziché statico, portando lo studente non solo ad apprendere specifiche procedure, ma anche a renderlo capace di sapersi destreggiare rapidamente ed efficacemente, riuscendo anche a modificare tempestivamente il proprio modo di agire per adattarsi alle modificazioni che si possono o meno presentare, ottimizzando le propria abilità di decision making e di gestione dello stress.

(5)

4 INDICE

1. IL TIROCINIO PROFESSIONALIZZANTE DEI FUTURI INFERMIERI ... 5

1.1 Tirocini formativi delle Università italiane ... 5

1.2 Caratteristiche generali del tirocinio nel CDL in Infermieristica ... 6

1.3 Tirocinio clinico e tirocinio didattico ... 7

1.4 Obiettivi e criteri di valutazione ... 8

1.5 Suddivisione delle aree di tirocinio professionalizzante. ... 9

1.6 Stress e burnout negli studenti infermieri ... 11

2. LA SIMULAZIONE: ... 13

2.1 Cos’è la simulazione ... 13

2.2 Storia della simulazione... 14

2.3 Storia della simulazione in ambito sanitario: i simulatori umani ... 17

2.3.1 Caratteristiche cliniche del Sim One: ... 20

3. L’UTILIZZO DELLA SIMULAZIONE NELLA FORMAZIONE INFERMIERISTICA ... 23

3.1 Evoluzione storica della formazione infermieristica in Italia ... 23

3.2 L’apprendimento clinico ... 28

3.3 La simulazione come metodo didattico andragogico ... 30

3.4 Tecniche di simulazione formative: il role playing ... 31

3.5 Il laboratorio dei gesti ... 33

3.6 Revisione della letteratura ... 33

4. REALIZZAZIONE DI UN LABORATORIO DI SIMULAZIONE ... 38

4.1 Contesto formativo; ... 38

4.2 Materiali e metodi ... 39

4.3 Casi clinici trattati e preparazione degli studenti ... 39

4.4 Scelta dei tutor clinici; ... 41

4.5 Suddivisione degli studenti ... 41

4.6 Costruzione dei laboratori ... 42

4.7 Copioni standard e possibili variazioni ... 44

4.8 Valutazione di efficacia... 46

CONCLUSIONI ... 48

(6)

5 1. IL TIROCINIO PROFESSIONALIZZANTE DEI FUTURI

INFERMIERI

1.1 Tirocini formativi delle Università italiane

Il tirocinio formativo è da sempre la colonna portante del percorso clinico-didattico degli futuri infermieri italiani; esso rappresenta la sinapsi tra il sapere cognitivo ed il sapere pratico, l’elemento caratterizzante di tutto il processo formativo.

Il tirocinio permette la trasmissione di una cultura professionale legata ad una pratica in evoluzione, quale è quella infermieristica, attraverso un percorso definito per obiettivi che integrano, arricchiscono e verificano gli apprendimenti teorici.

Sono circa 2000, per un totale di 70 crediti formativi universitari nel

triennio, le ore obbligatorie che gli studenti infermieri trascorrono nelle

Unità Operative delle Aziende Ospedaliere Universitarie, con l’obiettivo di imparare il maggior numero di tecniche, nozioni e comportamenti utili per diventare dei buoni professionisti della salute.

Il percorso di studi, che ha vissuto un mutamento radicale nel corso degli anni, visti anche l’aumento notevole dei carichi di lavoro, non è certo tra i più semplici. Gli studenti si approcciano alle numerose materie di studio alle quali si intervallano i turni di tirocinio clinico e didattico, le ore di didattica frontale e le sessioni d’esame.

Gli studenti, inoltre, incontrano le resistenze di alcune realtà che sono, per certi versi, troppo legate al passato, dove le innovazioni tecniche e l’evoluzione professionale si scontrano con le tradizioni ancillari e i timori reverenziali.

(7)

6

I Corsi di Laurea in Infermieristica delle Università italiane sfornano ogni anno circa 7 mila professionisti pronti a far parte dell’esercito dei 270 mila lavoratori del Sistema Sanitario Nazionale.

Di questi, in tempi di spending review, crisi finanziaria e tagli alla sanità, trova un’occupazione, ad un anno dalla laurea, una percentuale che ha visto il suo valore ridursi nel corso degli anni.

Nonostante ciò le richieste di immatricolazione al Corso di Laurea sono importanti e nelle Università vengono formati quelli che sono tra i professionisti sanitari più apprezzati e preparati in Europa, richiesti soprattutto nella patria del Nursing, la Gran Bretagna.

1.2 Caratteristiche generali del tirocinio nel CDL in Infermieristica

Il tirocinio formativo è, per definizione del Ministero del Lavoro, “un periodo di orientamento e di formazione, svolto in un contesto lavorativo e volto all'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, che non si configura in alcun modo ad un rapporto di lavoro subordinato”.

Nel caso del Corso di Laurea in Infermieristica il tirocinio

professionalizzante è una strategia formativa che prevede l’affiancamento

dello studente ad un professionista sanitario esperto nel suo contesto lavorativo ed ha come obiettivo generale quello di far apprendere allo studente il maggior numero possibile di competenze previste dal ruolo professionale.

Il processo di apprendimento dovrebbe avvenire attraverso sperimentazioni

clinico-pratiche, attitudinali, disciplinari e comportamentali, differenti a

seconda del contesto in cui lo studente svolge la sua attività, nel totale rispetto dell’integrità fisica e morale delle figure con le quali viene a contatto, siano essi pazienti, colleghi di studio o altri professionisti sanitari.

(8)

7

Quello che le Università, gli infermieri e la società si aspettano di ottenere, alla conclusione del percorso di studi, è un professionista formato che abbia sviluppato ottime competenze tecniche e sociali, ma soprattutto un’appartenenza professionale ed un’identità degne della figura che andrà ad interpretare.

1.3 Tirocinio clinico e tirocinio didattico

Nel corso degli anni, di pari passo con l’evoluzione della professione, anche la strategia formativa che riguarda i tirocini è mutata. Oggi gli aspiranti infermieri possono godere di una formazione più personalizzata rispetto al passato, grazie anche all’inserimento della figura del Tutor che alleggerisce quella del Coordinatore dal compito di unico riferimento ufficiale dei gruppi di studenti nelle Unità Operative.

È fondamentale analizzare le due tipologie di tirocinio che lo studente in Infermieristica va ad affrontare: il tirocinio clinico e il tirocinio didattico. Il tirocinio clinico è l’insieme di attività a scopo formativo che vengono svolte all’interno degli ambienti propri dell’ambito professionale: unità operative ospedaliere, ambulatori, camere operatorie, territorio, residenze socio assistenziali ed enti convenzionati.

Viene esercitato attraverso attività dirette e non simulate, a contatto con situazioni reali e persone fisiche. Si differenzia dal tirocinio didattico, il quale prevede l’insegnamento teorico della pratica, della metodologia e dei comportamenti clinici e viene esplicato attraverso la partecipazione a lezioni frontali, seminari e convegni promossi da docenti, Tutor, specialisti del settore ed esperti della didattica, con o senza l’ausilio di dispositivi clinici.

Entrambi i percorsi sono a frequenza obbligatoria e devono essere

(9)

8

I futuri infermieri svolgono, in media, 450 ore di tirocinio nel corso del primo anno di corso, 600 nel secondo e 900 per quanto riguarda l’ultimo anno. La responsabilità della gestione dei tirocinanti, nel contesto delle diverse Unità Operative, è affidata ai Tutor, infermieri esperti e selezionati che hanno il compito di seguire e valutare lo studente durante il periodo di formazione nella loro area di competenza. Essi rispondono direttamente al Coordinatore Infermieristico della sede operativa ed ai Coordinatori di Tirocinio del Corso di Laurea, che saranno i responsabile della valutazione semestrale.

Il direttore del Corso di Laurea, all’inizio di ogni anno accademico e in collaborazione con altri Docenti, pianifica gli obiettivi educativi, gli standard attesi, le modalità di valutazione e decide le sedi di tirocinio in cui inserire gli studenti in base a criteri quali l’offerta di opportunità di apprendimento, la presenza di professionisti adeguatamente preparati e motivati, l’esistenza di modelli organizzativi e professionali validi e appropriate condizioni di sicurezza per lo studente.

1.4 Obiettivi e criteri di valutazione

La finalità del tirocinio è quella di preparare nella maniera più efficace possibile i futuri infermieri, in modo che la loro formazione sia quanto più completa, e l’inserimento dei neolaureati nel mondo del lavoro il più rapido e qualitativo possibile, senza che questo comprometta il diritto ad un periodo di affiancamento nel futuro contesto lavorativo.

Gli studenti, alla conclusione dei tre anni, devono aver sviluppato buone competenze tecnico professionali, cliniche ed etico sociali che andranno a perfezionare con l’esperienza e l’aggiornamento continuo.

L’assistenza di base deve ricevere un occhio di riguardo durante la formazione dello studente, in quanto fondamentale e propria dell’operato di

(10)

9

una categoria di professionisti che ne ha da sempre fatto il perno centrale, attorno al quale ruotano la dignità della persona e le altrettanto importanti competenze specialistiche dell’infermiere.

Merita una nota la responsabilizzazione del tirocinante che deve essere ottenuta sia prima che durante il percorso di studi. Si formeranno infermieri e come tali dovranno prendere atto di quello a cui andranno incontro: lo svolgimento di una professione complicata, dalle forti implicazioni etiche e dalle pressanti responsabilità legali, che merita, anche in virtù di tutto ciò, di essere preservata e omaggiata ogni giorno.

Il processo di valutazione deve essere trasparente e gli studenti devono, sin dall’inizio, essere al corrente degli standard richiesti dalle Università. I criteri di valutazione si basano appunto sul raggiungimento degli standard richiesti all’inizio del percorso accademico e possono prevedere l’effettiva acquisizione da parte del tirocinante di determinate tecniche e comportamenti clinici e la loro illustrazione teorica.

Il piano di valutazione è eterogeneo a seconda della sede universitaria scelta e può prevedere esami scritti, orali, prove pratiche con l’utilizzo di

manichini, presidi e dispositivi clinici. La valutazione globale e finale

dell’esame di tirocinio è, come per tutti gli altri esami, espressa in trentesimi.

1.5 Suddivisione delle aree di tirocinio professionalizzante.

Nella maggior parte delle università italiane, come ad esempio presso l’Università di Pisa, che prenderemo in esame in questo elaborato, gli studenti seguono due percorsi per lo più paralleli per quanto riguarda l’apprendimento didattico e quello pratico; dal primo al terzo anno, vengono gradualmente create le basi per poi approfondire particolari aspetti riguardanti la professione infermieristica.

(11)

10

Durante il primo ed il secondo anno gli studenti vengono ripartiti casualmente in U.O. appartenenti all’area medica, specialistica o chirurgica, potendo così conoscere due realtà differenti rispettivamente per entrambi i primi anni di corso.

In questi due anni, il percorso didattico, alternato al tirocinio clinico e non sovrapposto, dovrebbe fornire allo studente le conoscenze necessarie ad approcciarsi nel miglior modo possibile alle realtà nella quale verrà immerso, fornendo le basi necessarie ad intraprendere l’ultimo anno di corso, nella quale vi è una netta differenziazione degli ambiti di apprendimento e tirocinio.

Durante il terzo ed ultimo anno, lo studente affronta circa quattro/cinque mesi di lezioni frontali, seguendo corsi che trattano argomenti più complessi e che dovrebbero determinare le competenze teoriche definitive richieste ad un professionista infermiere. Successivamente il percorso prevede un unico periodo di circa 6 mesi continui di tirocinio pratico.

Il tirocinio del terzo anno, così come il periodo di apprendimento didattico, si differenzia notevolmente da quello degli anni precedente, in quanto lo studente si affaccia per la prima volta a tre aree di tirocinio clinico mai esplorate finora: l’area materno-infantile ed il servizio territoriale.

A questo punto lo studente esce dalla solita “routine” delle U.O. frequentate gli scorsi anni, ed inizia a conoscere non solo una diversa tipologia di paziente, ma anche e soprattutto un’organizzazione del lavoro totalmente diversa da quella con la quale si è precedentemente interfacciato.

Purtroppo attraverso l’apprendimento teorico non è ovviamente possibile preparare lo studente al 100% ad affrontare la realtà giornaliera di un reparto ospedaliero, ma questo problema è ovviato i primi due anni da un percorso di tirocinio graduale, in aree di intensità di cura medio/bassa.

(12)

11

Arrivati a questo ultimo periodo di tirocinio clinico le conoscenze e le competenze dei futuri infermieri vengono nuovamente messe in discussione in quanto da un giorno all’altro si troveranno nella condizione di dover soddisfare bisogni assistenziali di tutt’altra natura rispetto alle situazioni fronteggiate fino ad ora.

Nello specifico, durante quest’ultimo tirocinio, verranno assistiti pazienti durante interventi chirurgici più o meno invasivi, pazienti gravemente compromessi nelle U.O. di Anestesia e rianimazione ed in Pronto Soccorso, fino a pazienti neonati o pediatrici con un compromesso stato di salute, come nelle U.O. di Terapia Intensiva Neonatale ed Oncoematologia Pediatrica. Queste particolari situazioni possono accrescere la determinazione di alcuni studenti, volenterosi di affrontare nuove sfide che potranno completare le loro competenze in vista dell’ingresso nel mondo del lavoro. Per altri però questo “salto nel buio” può risultare estremamente stressante, rendendo l’esperienza debilitante dal punto di vista psicologico, a tal punto da mettere in discussione la reale volontà di intraprendere il lavoro di infermiere alla fine del corso di laurea, se non proprio quella di completare il corso stesso, ormai al capolinea.

1.6 Stress e burnout negli studenti infermieri

Esistono chiare evidenze che indicano i professionisti del settore medico-sanitario come soggetti sottoposti a livelli significativi di stress professionale, livelli che possono condurre a malattia, aumento dell’assenteismo, alti livelli di turn-over, aumento di comportamenti a rischio e a tassi d’infortunio aumentati.

Simili problemi sono stati documentati anche per gli studenti del corso di laurea in Infermieristica. Lavori recenti indicano come fonti di stress accademico, gli esami e le valutazioni in genere, soprattutto per quello che

(13)

12

riguarda l’integrazione della preparazione di questi con la vita quotidiana. Effettivamente, per gli infermieri, il carico di lavoro e la conseguente mancanza di tempo libero risulta maggiore rispetto ad altri gruppi di studenti. Le principali fonti di stress correlate in particolare alle attività di tirocinio comprendono l’assistenza a pazienti terminali, conflitti con il personale, insicurezze circa le competenze cliniche possedute nonché problemi interpersonali con i pazienti e sovraccarico di lavoro. Birks, riporta evidenze riguardanti fonti ulteriori di stress per gli studenti provenienti da fuori sede: il nuovo ambiente, nuovi usi e consuetudini e, per chi esce da casa per la prima volta, il problema di imparare a organizzarsi finanziariamente, emotivamente e socialmente. Edwards relaziona su un filone di studi che ha identificato fattori di stress accademici e clinici specifici nel corso dell’intero curriculum di studio: parrebbero esistere differenze sostanziali tra gli studenti appena immatricolati e quelli al termine degli studi. Per i primi incide in maniera significativa la mancanza di tempo libero, l’impegno orario dello studio, la mancanza di risposta ai bisogni da parte dell’istituzione universitaria e il timore di fallire. Per gli studenti al termine degli studi invece incide maggiormente il fatto di non essere trattati come professionisti autonomi, in particolare la programmazione del tirocinio etero diretta, nonché lo sforzo richiesto dall’apprendimento autonomo; incidono poi le preoccupazioni finanziarie e le relazioni personali con i tutor clinici assegnati. Dal punto di vista clinico gli studenti al primo anno riferivano disagio in relazione alla mancanza di abilità pratiche, agli atteggiamenti negativi del personale del reparto e ai malintesi in relazione al soprannumero di studenti nelle cliniche, mentre, per gli studenti al termine degli studi, i fattori di stress sono stati identificati come la morte dei pazienti e le relazioni con il personale.

(14)

13 2. LA SIMULAZIONE:

2.1 Cos’è la simulazione

“La simulazione è una tecnica – non una tecnologia – per rimpiazzare o amplificare esperienze reali con esperienze guidate che evocano o replicano aspetti sostanziali del mondo reale in modo completamente interattivo.” (D.M. Gaba)1

L’uso della simulazione in formazione, in particolare l’uso che viene impiegato nell’acquisizione di competenze e abilità che al giorno d’oggi il personale sanitario è tenuto a possedere nei propri curriculum formativi e professionali, è diventato di grande interesse per tutte quelle persone che si occupano di addestrare e formare i professionisti della salute.

La progressiva ascesa della pratica basata sull’evidenza, la richiesta di prestazioni sicure, efficienti ed efficaci, l’aumentata consapevolezza da parte dei cittadini dei loro diritti, le esperienze internazionali e nazionali, la richiesta di accreditamento, l’attenzione alle scelte allocative e la presenza di un’elevata complessità assistenziale richiedono che l’infermiere sia in grado di approcciarsi in modo competente alle problematiche assistenziali. (Wang Janet F, 2001)

Abbandonata ormai in larga parte l’abitudine di “fare pratica direttamente sulle persone”, la metodologia didattica della simulazione permette di aprire la strada a soluzioni alternative estremamente efficaci che riescono a dare una discreta esperienza a chi apprende senza mettere in pericolo la vita del paziente.

Aprendosi dunque la strada, nell’integrazione e all’interno dei piani formativi nell’ambito sanitario, la simulazione diviene negli ultimi tempi un valido ed efficiente contributo rispetto ai metodi tradizionali di formazione sanitaria, e allo stesso tempo contribuisce positivamente a tutte quelle

(15)

14

iniziative in favore della sicurezza dei pazienti che è molto importante nello sviluppo della formazione clinica.

In termini di sicurezza quindi, le simulazioni trovano una giusta indicazione nei casi in cui esistono motivi validi e profondi che non permettono l’esperienza diretta sul campo come per esempio gli alti costi, il tempo richiesto dall’esperienza, la difficoltà dell’esperienza stessa, oppure la possibilità di andare contro vincoli etici e morali.

L’obiettivo principale delle persone che operano e lavorano nei contesti simulativi medicali è principalmente l’ottimizzazione delle strutture e dei sistemi sanitari e il raggiungimento della più alta qualità del lavoro garantendo la massima sicurezza durante l’apprendimento.

Nel contesto simulato si viene a creare un ambiente protetto che permette l’insegnamento e l’apprendimento ottenendo il massimo rendimento dagli errori e tutelando i discenti dagli stati emotivi di timore e paura derivanti dalla possibilità di arrecare danno per gli eventuali sbagli commessi.

La simulazione negli ultimi 15 anni ha aumentato l’interesse di chi, come me vede in questa uno strumento pedagogico innovativo capace di rivoluzionare l’insegnamento al personale sanitario, mantenendone attraverso il continuo riutilizzo, le competenze acquisite e una maggiore capacità di conservare quanto appreso attraverso un sistema metodologico più sicuro.

2.2 Storia della simulazione

La storia della simulazione è antica quanto la curiosità dell’uomo per la conoscenza e il gioco, ed è difficile risalire proprio alle sue prime esperienze umane: è probabile che già nella preistoria egli impersonasse qualcun altro, un animale ad esempio, per i fini più diversi, dalla caccia al corteggiamento, o ancora per comunicare con il soprannaturale.

Nelle attività professionali più recenti i primi sviluppi si hanno in campo militare e aeronautico.

(16)

15

In campo militare la simulazione è sempre esistita, coinvolgendo l’ambito aeronautico (dalla meteorologia ai simulatori di volo), terrestre (dai sistemi di rappresentazione video fino alla generazione di immagini), navale (con i sistemi di piattaforme mobili), così come quello aerospaziale (con i sistemi di visualizzazione interattiva come satelliti o sonde). Due in particolare sono le tipologie di simulazione maggiormente conosciute e ampiamente considerate in letteratura militare: l'utilizzo dei simulatori di volo e i giochi di guerra.

La storia dell’aviazione civile ci mostra come i piloti imparassero a volare su aeroplani veri: la “conquista del cielo” da parte dei fratelli Wright a cavallo del

XIX secolo e inizio del XX secolo ci illustra i tentativi nell’eseguire i primi voli su velivoli motorizzati, effettuando i primi decolli e affrontando i rischi di un volo vero e proprio.

Grazie agli sviluppi tecnologici, nei tempi a venire, le fasi di addestramento hanno iniziato ad essere svolte su simulatori, passando così da parti di aeroplano sistemate su superfici mobili (inizi del '900), ai primi simulatori che registravano le risposte dei piloti (anni '20), per arrivare poi ai moderni simulatori di volo. Oggi, infatti, i simulatori aeronautici possono riprodurre fedelmente qualsiasi tipo di movimento e di visuale e trovano applicazione sia nel volo, sia nelle operazioni della torre di controllo.

Simulatore di volo.

Le compagnie aeree obbligano i piloti nel partecipare a delle sessioni di simulazione con cadenza prestabilita e sottoporsi quindi a certificazioni per ottenere l'abilitazione al pilotaggio. Lo scopo formativo di questi dispositivi non è limitato solo allo sviluppo di skills tecniche, ma anche al miglioramento di tutte le altre competenze necessarie per affrontare condizioni particolari o di emergenza. Per questo, la metodologia utilizzata per gestire le simulazioni di volo è quella del CRM (Crew Resource

(17)

16

Management): un processo di formazione basato sulla risoluzione di una situazione nella quale ogni soggetto dell'equipaggio deve interagire con gli altri e con le operazioni di volo.

La seconda applicazione della simulazione in campo militare ha origini cinesi, risalenti pressappoco intorno al 3000 a.C. con i giochi di guerra, conosciuti oggi in linea di massima con il termine inglese war games.

La simulazione acquistò enorme valore soltanto sul finire del XVIII secolo, quando nel 1811, un consigliere prussiano inventò il Kriegsspiel (gioco di guerra) utilizzato dai militari prussiani affinché imparassero l’arte del comando.

In seguito, anche la Prima Guerra Mondiale fu preceduta da numerose e complesse manovre simulate derivanti dall’uso di giochi di strategia militare. La trasformazione dei giochi di guerra, che si svolgevano con modellini in miniatura, modelli matematici o giochi cartacei, avvenne intorno agli anni ’50 con l’avvento del computer.

Lo sviluppo di questi giochi è stato tale che il loro utilizzo è arrivato in poco tempo ai personal computer, divenendo non solo strumento di addestramento militare, ma anche fonte di intrattenimento sociale. (serious games)

Di importante rilievo, nei nostri tempi moderni, è lo sviluppo e la diffusione che si è avuta, dalle simulazioni di guerra alla simulazione in ambito aziendale con i cosiddetti business game, o giochi d’affari. Questi giochi aziendali permettono al discente l’immissione in una ipotetica situazione reale aziendale in cui ci sia la necessità di adottare delle decisioni gestendo le variabili presenti in un contesto simulato. L’American Management Association (AMA) avvia le prime iniziative di simulazione in affari nel 1956 e ne diffonde la metodologia nelle industrie, nel commercio e nelle Università per la formazione dei manager.

(18)

17

Attraverso lo strumento di simulazione molte grandi aziende sono riuscite ad apprendere meglio e più rapidamente dei loro concorrenti, imparando attraverso le criticità e preparandosi alla gestione del cambiamento affrontando una serie di possibili scenari che possono presentarsi in concreto. Parallelamente ai business games nasce, negli anni ’80 il teatro d’impresa che, costituendo anch’esso una metodologia di apprendimento che utilizza le tecniche dell’arte teatrale mettendo in scena oltre all’aspetto organizzativo anche quello sociale e relazionale, va ad integrare l’apprendimento produttivo e permette di coinvolgere e motivare i discenti attraverso un processo di apprendimento di tipo esperienziale, che possa condurre ad una riflessione su ciò che viene simulato.

2.3 Storia della simulazione in ambito sanitario: i simulatori umani

In ambito sanitario, a differenza di quello militare ed aeronautico, la storia dell’uso della simulazione è abbastanza recente.

Solo a partire dagli anni ’70 e limitato a particolari contesti universitari si inizia a parlare di simulazioni e bisognerà aspettare la fine degli anni ’80 per assistere alle prime diffusioni di questa tecnica negli ospedali e nei centri di formazione delle professioni sanitarie.

La domanda per cui ci si chiede come mai l’utilizzo delle simulazioni in ambito medicale si è diffuso così tardi, trova la sua risposta partendo dal tipo di formazione che ha riguardato i professionisti sanitari e dai cambiamenti che ha subito attraverso il corso della storia della medicina.

Fin dai loro esordi i diversi professionisti sanitari sperimentavano le proprie conoscenze teoriche, con l’aiuto dei colleghi più esperti, addestrando le abilità da conseguire sui cadaveri e sugli animali e talvolta, spesso, sugli umani.

(19)

18

Oggi invece, la qualità delle cure ma soprattutto la sicurezza del paziente impone, anche in presenza di questioni medico legali, che la sperimentazione pratica venga fatta in maniera diversa.

Il vero utilizzo delle simulazioni in medicina avviene a partire dal 2000, quando aumentano i centri che ne fanno uso, gli studi che le testano, e quando, grazie agli sviluppi tecnologici e all’abbattimento dei costi, le simulazioni divengono una pratica legittimata e istituzionalizzata dei Programmi di Educazione

Continua in Medicina, noti come ECM. Si diffonde in particolare l'utilizzo dei manichini umani conosciuti come simulatori, degli attori che recitano la parte di malati/e, ma anche l'uso di sistemi di realtà virtuale 3D, che riproducono su computer o in ambienti dedicati interventi di vario tipo.2

Peter Safar negli anni ’60 voleva dimostrare che era possibile assicurare un'ossigenazione efficace attraverso la ventilazione bocca a bocca con aria espirata e iperestensione della testa e sollevamento del mento. A questo scopo, nel 1958 a Stavanger in Norvegia, contattò un costruttore di giocattoli, Asmund Laerdal, incoraggiandolo a costruire un manichino su cui fosse possibile addestrarsi alla ventilazione bocca a bocca.3

Asmund Laerdal costruì il prototipo del manichino al quale, in seguito, venne aggiunta una molla interna che rendesse possibile addestrarsi anche sul massaggio cardiaco esterno in modo da simulare le compressioni toraciche. Laerdal lavorò per due anni alla realizzazione di questo manichino, il cui design contribuì al successo del prodotto. Si decise che il manichino avesse le fattezze di una donna anche per ridurre la riluttanza degli uomini alla ventilazione bocca a bocca.

(20)

19

E qui la storia si incontra con la leggenda. Infatti, a cavallo tra Ottocento e Novecento, dalla Senna venne estratto il corpo di una giovane donna. Non portava alcun segno di violenza e si suppose dunque che si fosse tolta la vita. Poiché non si fu in grado di stabilire la sua identità venne realizzato un calco funebre; Asmund Laerdal, commosso dalla tragica vicenda della morte prematura della giovane, decise di ispirarsi ad esso per creare il volto del manichino per praticare la rianimazione: Resusci Anne.

Resusci Anne rese possibile lo sviluppo pratico e l'applicazione su larga scala delle tecniche di rianimazione cardiopolmonare con le indicazioni fornite da Peter Safar.

Resusci Anne si può considerare il primo simulatore, anche se non guidato da un computer, con cui era possibile addestrarsi nella ventilazione bocca a bocca e nel massaggio cardiaco esterno.4

Intorno alla metà degli anni '60 Stephen Abrahamson progettò insieme a Judson Denson il primo simulatore controllato da un computer, chiamandolo

Sim One, il cui obiettivo era quello di riprodurre nel modo più realistico

possibile un paziente con il quale addestrare gli anestesisti nell' intubazione orotracheale.

Esso era composto da testa, collo, torace, addome superiore e braccia ed era in grado di registrare attraverso sensori elettronici una serie di azioni cliniche eseguite dal discendente: rilevare il posizionamento della maschera facciale sul viso del manichino oppure valutare l'intubazione orotracheale attraverso uno speciale tubo appositamente costruito e il cui corretto posizionamento veniva controllato da appositi rilevatori magnetici. Sim One era inoltre in grado di riconoscere automaticamente la tipologia di quattro farmaci endovenosi e le dosi usate: tiopentale, succincolina, metossamina ed efedrina. Questi farmaci erano somministrati attraverso speciali siringhe riconosciute grazie alla loro diversa dimensione.

(21)

20

2.3.1 Caratteristiche cliniche del Sim One:

 Possibilità di ventilazione manuale;  Possibilità di ventilazione automatica;  Polsi palpabili con ampiezza variabile;  Rianimazione cardiopolmonare;

 Pupille reattive (miosi e midriasi);  Laringospasmo;

 Rigurgito di contenuto gastrico;  Cianosi;

 Tensione della mandibola variabile;  Fascicolazione;

 Denti sensibili alla forza applicata labbro inferiore sensibile alla forza applicata;

 Distensione addominale;

Il Sim One, considerato il periodo in cui fu realizzato, era un vero e proprio miracolo tecnologico ma, nonostante ciò non ebbe successo. Ne fu, infatti, costruito un solo esemplare. Molto probabilmente la causa è da imputare all' elevato costo di produzione (circa 100,00 $ nel 1968, equivalenti a più di 300.000 euro attuali) e in parte alla diffidenza nei confronti dei computer presente in quegli anni.

Nel 1968 venne creato Harvey, un simulatore che permetteva di simulare 27 differenti condizioni cardiache. E' il primo esempio di un moderno addestramento ad una singola tecnica per la formazione medica. Il simulatore era in grado di riprodurre diverse condizioni fisiologiche: la misurazione della pressione arteriosa, le onde del polso giugulare bilaterale e arterioso e i toni precordiali nelle quattro aree classiche di auscultazione. I manichini e

(22)

21

i software di simulazione medica sono progressivamente migliorati nel riprodurre la fisiologia umana grazie alla messa a punto di modelli matematici.

Nel 1986 David Gaba e Abe DeAnda alla Stanford School of Medicine a Palo Alto, ebbero il merito di cambiare totalmente punto di vista riguardo all' utilizzo dei simulatori, costruendo un dispositivo volto all' addestramento non tanto della singola tecnica quanto nella gestione del team. Il manichino permetteva la ventilazione in maschera, l'intubazione orotracheale e l'auscultazione dei rumori respiratori, non era invece possibile percepire le pulsazioni reali e la ventilazione spontanea.

Il realismo andava via via aumentando.

Nel 1992, a Boston, furono organizzati una serie di test per validarne l'uso come strumento educativo e il successo fu enorme.

Nel 1995 negli Stati Uniti esistevano in commercio solo due simulatori molto costosi. Peter Winter ebbe l'idea di acquistarne uno. Egli brevettò un simulatore meno costoso, più pratico e realistico, con la possibilità di trasporto.

Il simulatore fu prodotto dalla Medical Plastics Limited Corporation che successivamente fu acquisita dalla Laerdal Corporation. Il risultato finale fu la produzione del Laerdal Sim-Man.

Dalla fine degli anni novanta ad oggi l'evoluzione è stata ricca di innovazioni tecnologiche e sfide commerciali. Attualmente sono in commercio diversi simulatori nei quali è molto migliorato sia il software che l'hardware.

La storia della simulazione in medicina è relativamente recente, ma, nonostante questo, i passi fatti sono enormi e la qualità dei risultati è in continua evoluzione.

(23)

22

L’ultima frontiera dei manichini simulatori è rappresentato dal SimMan 3G (Laerdal), davvero avanzato, e allo stesso tempo semplice da utilizzare. Un dispositivo che riproduce un paziente in grado di interagire e rispondere in modo appropriato alle azioni eseguite dal partecipante alla simulazione. È un paziente-robot, ma somiglia in tutto e per tutto a un essere umano malato: respira, piange, suda, sbatte le palpebre, sanguina, sa riconoscere e rispondere a oltre 108 tipi di farmaci e ai loro dosaggi.

Nella simulazione di un attacco cardiaco, per esempio, al simulatore si può rilevare il battito cardiaco e la pressione sanguigna, ed effettuare un elettrocardiogramma. Gli si possono inoltre somministrare farmaci, è possibile intervenire con il defibrillatore e misurare la qualità della rianimazione cardiopolmonare. E se la terapia non si rivela appropriata SimMan 3G può anche morire.

Questo nuovo simulatore grazie alla tecnologia wireless, può essere controllato oltre che dalla postazione di controllo, anche direttamente dal Tablet PC dell’istruttore, da qualsiasi punto dello scenario di simulazione. Il software del SimMan con la sua Interfaccia Utente Grafica (GUI), permette di tenere sotto controllo tutte le sue funzioni vitali, registrare dati e commenti e, terminata la simulazione, è possibile per l’insegnante ripercorrere passo per passo gli interventi operati dallo studente e analizzarli. Attraverso l’utilizzo degli Handlers e dei Trends, l’istruttore può introdurre cambiamenti fisiologici e farmacologici multipli all’interno della simulazione.

(24)

23 3. L’UTILIZZO DELLA SIMULAZIONE NELLA FORMAZIONE

INFERMIERISTICA

3.1 Evoluzione storica della formazione infermieristica in Italia

La formazione infermieristica, l’esercizio professionale, la cultura delle/nelle organizzazioni sanitarie e nella società, la disciplina infermieristica sono componenti di un fenomeno che si sono reciprocamente e significativamente influenzate nel corso del tempo. Infatti l’esercizio di una professione non può essere estraneo dalla domanda che la società e le organizzazioni esercitano nei suoi confronti. Conseguentemente la formazione deve essere orientata alla preparazione di persone in grado di assumere la capacità richiesta.

Applicando questo schema agli infermieri e per lungo tempo, possiamo affermare che tra il 1920 e il 1960/1970 (periodo in cui sono nate, si sono diffuse, si sono affermate) le scuole per infermieri professionali e la domanda che le organizzazioni sanitarie hanno espresso nei confronti di tali operatori è stata quella di accudimento e sorveglianza del malato ma soprattutto di aiuto al medico portatore di sempre più elevate capacità di cura, trattamento, guarigione. La medicina in quegli anni ha attraversato un momento di eccezionale sviluppo, proseguito anche nei decenni successivi, sia delle conoscenze sia della disponibilità di tecnologie, farmaci e supporti in genere che l’hanno radicalmente trasformata. Tale trasformazione ha comportato il progressivo affidamento delle attività ripetibili e a minore complessità, o con minore necessità di decisioni discrezionali, agli infermieri.

Questi ultimi dovevano essere formati in modo da assicurare affidabilità esecutiva, capacità di adattamento alle trasformazioni, rispetto delle regole. Non va dimenticato che la società del nostro Paese ha subito grandi trasformazioni tra cui, l’affermarsi del diritto alla cura e all’assistenza

(25)

24

sanitaria e l’aspettativa di guarigione grazie alla medicina ed alle scienze che con lei contribuivano alla risoluzione dei problemi di salute.

In questa situazione, la formazione degli infermieri era suddivisa in due momenti strategici:

1. La teoria, basata sulle conoscenze mediche considerate indispensabili per collaborare con i medici e che si avvaleva di docenti medici; 2. Il tirocinio, quantitativamente molto consistente, orientato ad

acquisire capacità manuali, a comprendere le regole del sistema organizzativo, ad adattarsi al contesto.

In questo caso non sempre erano presenti dei tutori o similari. Lo studente “faceva con …” o “faceva invece del …” infermiere diplomato. Tale impostazione assicurava l’immediata spendibilità del titolo di studio e un inserimento lavorativo molto veloce ma una convinzione di infermiere con grandi mani e gambe veloci più che di un infermiere “colto”. Nel corso dell’esercizio professionale il consenso al singolo passava attraverso la sua abilità e capacità di adattarsi al sistema.

In tutti quegli anni gli infermieri hanno continuato ad occuparsi della persona intesa in senso globale, ad avere cura del soggetto in funzione dei problemi che la malattia produceva sulle sue attività di vita, ma di volta in volta questa dimensione assistenziale pareva relegata alla capacità “femminile” di prendersi cura del fragile o dalla “vocazione”. E, comunque, di queste attività (talvolta biologicamente sporche) bisognava occuparsi senza interferire con l’operato del medico e solo dopo aver assicurato l’esecuzione delle prescrizioni mediche.

(26)

25

A decorrere degli anni ’60-’70 ci furono alcuni accadimenti significativi, tra gli altri:

 L’attivazione delle prime due Scuole Universitarie per dirigenti e docenti dell’assistenza infermieristica che consentiva il costituirsi di un gruppo di operatori particolarmente sensibili e capaci di analizzare criticamente la situazione oltre che interessati ad osservare quanto avveniva negli altri Paesi.

Oltre a questi risultati la disponibilità di professionisti dotati una specifica preparazione acquisita in Università consentì di ricoprire posti di responsabilità nella gestione del personale (es. capo dei servizi sanitari ausiliari) e nella direzione delle scuole;

 L’apertura delle scuole per infermieri alle persone di sesso maschile. Questo fatto costrinse ad interrogarsi di più sulla natura femminile piuttosto che professionale della assistenza;

 Il progressivo nascere di altre figure professionali che accompagnavano lo sviluppo tecnologico della medicina e che, dopo specifica preparazione, coprivano spazi prima affidati agli infermieri. Anche questo fatto pretendeva di interrogarsi su ciò che era infermieristico e su ciò che non lo era;

 Il costante incremento di persone che grazie ai trattamenti sanitari “non guarivano” nel senso stretto del tempo, ma convivevano con una patologia tenuta sotto controllo dai vari trattamenti farmacologici. Queste persone mantenevano necessità assistenziali che talvolta superavano quelle del monitoraggio/controllo della malattia e richiedevano una presenza “capace” degli infermieri;

 L’adesione italiana alla comunità europea e, conseguentemente, ai protocolli per la libera circolazione dei professionisti oltre che l’uniformazione ai programmi didattici (accordo di Strasburgo ratificato nel 1973). Le ricadute sulla formazione professionale furono

(27)

26

l’elevazione del livello di scolarità per essere ammessi alla scuola infermieri, l’inserimento nel programma delle scienze umane, l’insegnamento del nursing (termine allora usato per valorizzare i contenuti della disciplina infermieristica), la diffusione degli incarichi di insegnamento affidati agli stessi appartenenti alla professione;  L’emanazione della legge 833/78 istitutiva del Servizio Sanitario

Nazionale dalla quale discesero sia disposizioni relative allo stato giuridico del personale, sia di organizzazione dei servizi, sia di assistenza e cura.

Il grande cambiamento provocato dai citati eventi portò ad un notevole aumento numerico degli infermieri e ad una loro presenza capillare tale da renderli “indispensabili” per l’assistenza e per il funzionamento dei servizi. Ulteriore conseguenza fu quella del crescere nella professione di una aspettativa di riconoscimento sia disciplinare che di autonomia operativa. In altri termini si sentiva sempre di più la necessità di esplicitare, condividere e contribuire ad un progetto assistenziale che tenesse conto anche del particolare punto di vista dell’infermiere del suo modo di intendere la globalità del malato e di individuare le priorità/intensità d’intervento; prima, presso la scuola diretta a fini speciali dell’Università di Milano ad opera di M. Cantarelli e poi presso quella dell’Università di Padova ad opera di R. Zanotti furono elaborati i primi modelli infermieristici a matrice italiana. Il riconoscimento non poté che passare attraverso una riformulazione della normativa professionale e un cambiamento nell’assetto formativo.

Il decreto ministeriale del 2-12-1991 “Modificazioni all’ordinamento didattico universitario relativamente al corso di diploma universitario in Scienze Infermieristiche” costituì la prima indispensabile tappa del percorso di inserimento degli infermieri nel sistema universitario del nostro paese.

(28)

27

Le tappe successive di cambiamento nella formazione, furono:

 Decreto legislativo 502/1992 (all’articolo 6 sancisce l’unificazione dei percorsi formativi);

 Decreto ministeriale 24 luglio 1996 “Approvazione della tabella XVIII ter recante gli ordinamenti universitari dei corsi di diploma universitario dell’area sanitaria, in adeguamento all’art. 9 della legge 19-11-1990 n. 381;

 Provvedimento di revisione dei settori scientifico- disciplinari universitari con l’inserimento del settore F23A prima e del MED45 oggi, disciplinante le scienze infermieristiche generali cliniche e pediatriche;

 Previsione e copertura di cattedre universitarie di scienze infermieristiche;

 Decreto 3-11-1999 n. 509 “Regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli Atenei”;

 Decreto 2-4-2001 “Determinazione delle classi delle lauree universitarie delle professioni sanitarie” e “determinazione delle classi delle lauree specialistiche delle professioni sanitarie”.

 Decreto ministeriale 22-10-2004 n.270 “Modifiche al regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei” che sostituisce integralmente il DM 509 del 1999.

Quanto ricordato non è avvenuto solo o principalmente per rispondere alle istanze della professione infermieristica, ma perché i bisogni sanitari, la domanda espressa dai cittadini, la cultura dell’organizzazione sanitaria sono progressivamente cambiate.

Sono oggi necessarie più professionalità in un sistema in cui l’economicità si basa sulla non dispersione delle risorse e la concorrenza sulla qualità delle prestazioni (non solo le guarigioni); la cronicità è fatto diffuso, le persone esprimono domanda di personalizzazione, di coinvolgimento nel percorso di

(29)

28

cura, di accettabilità degli interventi terapeutici e di olismo. Maggiori possibilità di individuare il bisogno vero ed un più ampio ventaglio di possibili risposte, una responsabilità più diffusa e, quindi, un dominio dell’arte e della scienza più forti.

3.2 L’apprendimento clinico

I corsi di Laurea in Infermieristica sono strutturati affinché gli studenti acquisiscano le competenze professionali specifiche dell’infermiere, così come stabilite dalla normativa europea con il DLgs 6 novembre 2007 n. 206, dall’ordinamento didattico universitario e dalle altre due discipline che definiscono, ai sensi della legge 42/99 il campo proprio di attività e responsabilità delle professioni sanitarie: il profilo professionale e il codice deontologico.5

L’Europa e gli stati ad essa appartenenti si adoperano da tempo nel favorire quei cambiamenti strutturali che le Università devono apportare riguardo alla programmazione, la metodologia didattica e i sistemi di valutazione.

Dalla Conferenza di Bologna del 1999 ai descrittori di Dublino del 2004 che definiscono come i risultati attesi dell’apprendimento debbano essere comuni a tutti i laureati di un corso di studio, non solo in termini di conoscenze attese, ma anche in termini di competenze acquisite (abilità, capacità o skills) si rende necessaria la continua ricerca di metodi didattici innovativi che accompagnino quelli più tradizionali rappresentati dalle lezioni teoriche abitualmente utilizzate nelle Università.

In Italia, nonostante le riforme finora attuate, esiste ancora una difficoltà di innovazione in questo senso, che vede ancora in larga parte l’attenzione rivolta agli aspetti verbalistico-nozionistici delle singole discipline i quali accentuano l’interesse sulla lezione teorica tradizionale rispetto ad altre forme di mediazione cognitiva come l’esercitazione, il laboratorio, l’osservazione sul campo, il tirocinio. Allo stesso modo ci si è più concentrati

(30)

29

sull’esame finale togliendo tempo e spazio a quelle attività di controllo intermedie come la diagnosi iniziale, la valutazione in itinere finalizzata al recupero e soprattutto alla autovalutazione dello studente quasi sconosciute nelle Università Italiane.

Il confronto con l’Europa richiede dunque un forte ripensamento delle pratiche didattiche correnti, considerato che, il legame oggi presente tra ricerca in ambito pedagogico-didattico e insegnamento evidenzia la necessità di sperimentare nuovi metodi che conducano ad un sapere fluido, problematizzante, aperto a domande e a soluzioni innovative, si rende necessaria la ricerca di metodi e tecniche basate sull’esperienza.6

L’utilizzo di simulazioni, dai giochi di ruolo agli studi di casi, ai laboratori di gesti, al tirocinio in contesto clinico reale, sviluppa una partecipazione attiva e stimolante dello studente che meglio approccia le strategie di problem solving, confrontando saperi teorici appresi in aula e saperi esperienziali derivanti dal “fare”.

Si tende quindi a ricorrere oltre alle teorie fondamentali di apprendimento a quella cognitivista, comportamentista e socio culturale, che privilegia l’apprendimento per scoperta e che considera la comunicazione didattica come metodo tecnologico di relazioni interpersonali determinanti, che valorizzano le “forma mentis” individuali implementando il “sapere cosa” al “sapere come” nell’acquisizione di conoscenza.

Questo comportamento permette di:

 Osservare ed esplorare la realtà in laboratorio e sul campo;

 Intervenire attivamente nei contesti riconoscendone i problemi nella ricerca di possibili soluzioni;

(31)

30 3.3 La simulazione come metodo didattico andragogico

L'adulto, per apprendere deve sentire in sé il bisogno di conoscere, l’esigenza di acquisire un nuovo modus operandi per la sua quotidianità e inoltre, anche per ragione dell’esperienza posseduta, esso deve sentire che il proprio concetto di sé viene preso in carico dal formatore, ma anche rispettato durante tutto il percorso formativo. Egli cioè deve essere collocato in una situazione di autonomia (vs dipendenza), quindi la relazione dovrà essere alla pari, e la formazione dovrà avvenire per scambio, per diffusione.

Nell'educazione dell'adulto l'esperienza ha un ruolo essenziale, sia positivamente per l’attività di apprendimento sia talvolta negativamente, perché può costituire una barriera di pregiudizi e abiti mentali che producono una resistenza all'apprendimento. Come conseguenza, nella formazione degli adulti il compito del facilitatore d’apprendimento è aiutare i discenti a prendere coscienza del "bisogno di conoscere", perché l’adulto professionista è disponibile alla formazione solo quando è consapevole di poter/dover acquisire maggiori conoscenze in uno specifico ambito professionale o scientifico.

E’ noto inoltre che tale consapevolezza può essere accresciuta dalle esperienze reali o simulate in cui i discenti, autonomamente o facilitati, possono scoprire il divario (il gap formativo) tra il punto in cui attualmente sono e quello a cui aspirano. Colmare questo divario diventa motivazione e sprono all’apprendimento stesso, che quindi si tramuta in un processo attivo e non resta fine a se stesso, ma può mirare al cambiamento degli atteggiamenti professionali quotidiani. Tramite la simulazione si può imparare a riconoscere i propri limiti e a sviluppare simultaneamente le proprie capacità, orientandole verso un apprendimento più consapevole, e mirato a colmare il divario tra ciò che si è e ciò che si vuole essere, tra ciò che si sa fare e ciò che si vuole imparare a fare.

(32)

31

Se è vero che gli adulti sono interessati solo a ciò che li motiva, questo percorso li rende motivati e attivi nella formazione, perché è centrato soprattutto sulla vita reale. "Gli adulti sono motivati a investire energia nella misura in cui ritengono che questo potrà aiutarli ad assolvere dei compiti o ad affrontare i problemi che incontrano nelle situazioni della loro vita reale".7

Infatti, essi imparano, comprendono abilità, valori, atteggiamenti molto più efficacemente se presentati in un contesto di situazioni reali.

In altri termini, con la simulazione la prospettiva è di un’immediata applicazione di quanto appreso, la formazione è vista come una valigia da riempire strada facendo, dentro la quale in un secondo momento trovare esattamente ciò che serve per risolvere la contingenza, reale, attiva e operativa della propria realtà.

“These dummies are excellent teachers”.

3.4 Tecniche di simulazione formative: il role playing

Il role playing (gioco o interpretazione dei ruoli) consiste nella simulazione dei comportamenti e degli atteggiamenti adottati generalmente nella vita reale; i ruoli sono assunti da due o più studenti davanti al gruppo dei compagni osservatori.

Gli studenti devono assumere i ruoli assegnati dall'insegnante e comportarsi come pensano che si comporterebbero realmente nella situazione data. Questa tecnica ha, pertanto, l'obiettivo di far acquisire la capacità di impersonare un ruolo e di comprendere in profondità ciò che il ruolo richiede.

Il role playing non è la ripetizione di un copione, ma una vera e propria recita a soggetto. Riguarda i comportamenti degli individui nelle relazioni interpersonali in precise situazioni operative per scoprire come le persone possono reagire in tali circostanze.8

(33)

32

Gli elementi fondamentali del role playing:

 Si predispone una scena in cui partecipanti devono agire;

 I partecipanti sono al centro dell'azione e devono recitare spontaneamente secondo l'ispirazione del momento;

 L'uditorio assume particolare importanza poiché il gruppo non funge da semplice osservatore, ma cerca di esaminare e di capire quanto avviene sulla scena;

 Il docente deve mantenere l'azione dei partecipanti e la situazione scenica, anche sollecitando, suggerendo, facilitando l'azione fino al momento in cui gli studenti protagonisti non agiscono autonomamente.

Vantaggi del role play:

 Aiuta a vincere la “curva della monotonia” in modo efficace. Perché ci si deve alzare, andare verso qualcuno, decidere chi fa questo e chi fa quello;

 È più lieve e didattica l’autocritica dello studente. Se la critica la fa il docente può essere sgradita o rifiutata;

 Si crea, durante il role play, un clima giocoso e pratico-concreto che compensa gli aspetti teorici precedentemente trattati e spesso li conferma;

 L’indice di apprendimento aumenta. Perché l’ascolto unito all’agire migliorano l’efficacia di quanto appreso e la sua ritenzione.

In una simulazione basata sulla tecnica del role playing esiste sempre un problema relativo al “livello di realtà” considerato accettabile. In genere questo è piuttosto basso, anche perché la simulazione è poco strutturata e lo scenario è solo un dato di partenza statico, che non reagisce alle

(34)

33

sollecitazioni dei partecipanti, non muta per effetto delle loro decisioni e non è in grado di interagire con essi.9

3.5 Il laboratorio dei gesti

Il laboratorio dei gesti è quella “palestra” che permette e consente di acquisire in maniera sistematica e graduale competenze tecniche o relazionali in un locale appositamente dotato di presidi terapeutici, strumenti diagnostici, pazienti simulati o manichini in cui gli studenti hanno la possibilità di apprendere, di esercitarsi e di essere anche valutati attraverso le check lists.

Le check lists o liste di controllo rappresentano lo strumento principale di valutazione per un’abilità tecnico-gestuale durante l’esame oggettivo clinico strutturato; esse sono costruite dagli studenti durante i laboratori formativi in piccoli gruppi e dopo aver analizzato l’esecuzione di una manovra tecnicagestuale da parte di un professionista.

Il vantaggio di questo strumento è quello di cercare di sviluppare, attraverso la costruzione da parte dello studente e la ricerca secondo evidenze scientifiche, la capacità di analisi di una manovra in singoli comportamenti da adottare nelle diverse competenze da acquisire.

Nel processo di costruzione delle check lists il formatore prima esegue la manovra senza spiegazione, poi chiede agli studenti di scrivere ed elencare i singoli atti in una sequenza logica, quindi chiede ai singoli studenti di esercitarsi ripetendo la manovra ed infine dà un feedback ad ogni studente sulla base della check list costruita.

3.6 Revisione della letteratura

L’evidenza in letteratura relativa all’utilizzo della simulazione del paziente in pratica infermieristica è in continuo aumento nonostante risulti ancora scarsa rispetto alla letteratura medica.

(35)

34

Una revisione sistematica di studi quantitativi pubblicati tra il 1999 e il gennaio 2009 è stata effettuata utilizzando i seguenti database: CINAHL Plus, ERIC, Embase, Medline, SCOPUS, ProQuest e Tesi ProQuest e Database Tesi.10

Dodici studi sono stati inclusi nella revisione. Sono stati utilizzate ricerche sperimentali o quasi - sperimentali.

Tutte hanno riferito quanto la Simulazione sia un insegnamento valido e un’ottima strategia di apprendimento. Sei degli studi hanno mostrato ulteriori vantaggi nella conoscenza, la capacità di pensiero critico, la soddisfazione o la loro fiducia rispetto ad un gruppo di controllo (range 7-11%).

La simulazione avanzata che utilizza i manichini risulta quindi essere un insegnamento efficace e un metodo di apprendimento altrettanto valido e soddisfacente per i discenti.

La simulazione inoltre può avere alcuni vantaggi rispetto ad altri metodi di insegnamento, in base al contesto, e il metodo. Ulteriori ricerche però sono necessarie per determinarne l'effetto della dimensione del team di apprendimento e per sviluppare un metodo universale di valutazione degli esiti.

La letteratura infermieristica evidenzia il potenziale di questo metodo di apprendimento innovativo e le opportunità positive offerte agli studenti in termini di competenza e di fiducia. Tuttavia, gran parte di questa letteratura si concentra sui problemi più strettamente operativi degli scenari di simulazione.

Gli articoli selezionati in bibliografia, esaminano la letteratura sulla simulazione come metodologia di insegnamento e di apprendimento all'interno dei curriculari universitari infermieristici, evidenziandone le esperienze positive riportate in letteratura ma anche le preoccupazioni circa

(36)

35

l'uso della simulazione rivolte verso un possibile sviluppo di iper-tecnicismo che possa prevalere sui “contatti umani.”

La simulazione è stata ampiamente incorporata nei curricula di Laurea in Infermieristica in molti paesi quali gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia e il Regno Unito.

Molte università di questi stati hanno sviluppato e costruito centri di simulazione. I simulatori sono stati sviluppati per rendere un aspetto il più possibile realistico e rispondere agli interventi con più realismo o fedeltà. Il grado in cui la simulazione rappresenta il vero e proprio ambiente sanitario e delle attrezzature presenti, all'interno del quale è richiesto allo studente di eseguire il suo training, è importante. Questo può svolgere un ruolo essenziale nel rendere la transizione verso l'impostazione professionale vera quanto più agevole possibile, per ridurre lo stress e facilitarne l’ingresso nella pratica clinica.

Inoltre l'attenzione su uno scenario realistico del paziente facilita l'inserimento di competenze cliniche e di comunicazione. Questo offre allo studente una visione più olistica del paziente e la possibilità di utilizzare una varietà di competenze nell’esigenza di fronteggiare le necessità e i bisogni assistenziali.

Dal punto di vista dello studente, c’è una maggiore opportunità di apprendimento esperienziale rivolta a migliorare le prestazioni e l’apprendimento attraverso tentativi ed errori e attraverso la possibilità di ripetizione dello scenario. La simulazione in questo modo dà l’opportunità di fallire, cosa che sarebbe impensabile nella pratica e nel tirocinio tradizionale.

La Simulazione dunque offrirebbe un modo per unire teoria e pratica, consentendo l'integrazione e l'applicazione delle conoscenze per la cura del paziente.

(37)

36

La Simulazione avanzata è una strategia di insegnamento relativamente nuova (soprattutto in Italia) che consente ai discenti di sviluppare, perfezionare e applicare conoscenze e abilità in una situazione realistica clinica dalla loro partecipazione nelle esperienze di apprendimento.

I discenti partecipano in scenari simulati di assistenza al paziente in un ambiente clinico specifico, acquisendo esperienza, imparando e affinando le abilità nello sviluppo delle competenze, senza il timore di provocare un danno ad un paziente in carne ed ossa, ossia vivo. L'uso della simulazione come strategia di insegnamento può contribuire alla sicurezza del paziente e ottimizzare i risultati di cura, fornendo ai discenti la possibilità di sperimentare scenari e intervenire in situazioni cliniche all'interno di un ambiente controllato senza comportare un rischio per il paziente.11

Vengono inoltre evidenziate e fornite dagli articoli selezionati informazioni specifiche circa l'uso della simulazione avanzata in relazione alla prevenzione degli errori, dello sviluppo del pensiero critico e delle capacità decisionali cliniche, l'uso di capacità di comunicazione efficaci, e l'importanza del lavoro di squadra.

I Simulatori di pazienti umani sono tra i progressi tecnologici più recenti riguardo alle metodologie didattiche per l'educazione medica e infermieristica.

Questi manichini interattivi sono in grado di fornire realistiche risposte fisiologiche, tra cui la respirazione, gli impulsi, toni cardiaci, rumori respiratori, diuresi, e la reazione dei discenti. Inoltre, i modelli più avanzati sono in grado di comunicare con lo studente, rispondendo alle domande poste dallo studente in tempo reale durante l'esercizio di simulazione.

Gli educatori delle professioni sanitarie sono tenuti ad insegnare agli studenti a pensare in modo critico, ad andare oltre la semplice "conoscenza", per passare alla sintesi e all’applicazione della conoscenza come pianificare, implementare e valutare l'assistenza infermieristica. La simulazione offre

(38)

37

un'alternativa al metodo tradizionale di approccio alla formazione infermieristica con particolare riguardo ai bisogni di apprendimento e la soddisfazione degli studenti infermieri. Esperienze simulate di apprendimento con il simulatore di paziente umano permettono la possibilità di esporre gli studenti a situazioni che potrebbero non vedere nelle loro esperienze cliniche di praticantato. Ciò si verifica spesso perché gli studenti sono collocati in una varietà di unità operative durante i loro tirocini, e questo comporta molte volte a non avere occasione di apprendimento riguardo a determinate situazioni cliniche.

L'utilizzo del simulatore di paziente consente la facoltà di fornire strutturate esperienze di laboratorio di simulazione, invece di cercare di trovare adeguate e/o rare opportunità di cura del paziente in un ambiente sanitario.12

(39)

38 4. REALIZZAZIONE DI UN LABORATORIO DI SIMULAZIONE 4.1 Contesto formativo;

Presso il corso di laurea in infermieristica dell’università di Pisa, gli studenti, nel corso dei 3 anni svolgono un tirocinio professionalizzante della durata di circa duemila ore complessive, suddivise in modo crescente dal primo al terzo ed ultimo anno. Durante l’ultimo anno il tirocinio occupa per intero il secondo semestre dell’anno accademico ed ha una durata di circa novecento ore, suddivise a loro volte equamente in quattro tipologie di unità operative: Sala operatoria, Terapia Intensiva, Pronto soccorso, Territorio/Area materno-infantile.

Delle novecento ore dunque, tre quarti del percorso di tirocinio si tiene presso unità operative afferenti l’Area Critica, che per quanto riguarda l’AOUP (Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana), rientra nella sua totalità del Dipartimento di Emergenza e Accettazione (DEA).

Il periodo di tirocinio viene suddiviso in quattro fasi, ed in ognuna di queste, ogni singolo studente è assegnato ad una specifica unità operativa appartenente ad una delle aree sopra citate: Per esempio, nella prima fase, della durata di circa duecento ore, quaranta studenti sono assegnati al Pronto Soccorso (sette/otto per turno lavorativo), altri quaranta suddivisi per numero di cinque ciascuna, nelle U.O. di Anestesia e Rianimazione, quaranta suddivisi nelle Sale Operatorie, venti nelle U.O. afferenti l’Area Materno-Infantile ed infine i restanti venti nei presidi territoriali della ex USL 5 della provincia di Pisa.

La quantità di studenti varia di anno in anno a seconda di quanti abbiano o meno completato il percorso di studi propedeutico allo svolgimento del tirocinio finale, ma si attesta intorno ai centosessanta.

Riferimenti

Documenti correlati

Il Corso ha come obiettivo quello di fornire le competenze necessarie alla gestione in team del paziente pediatrico con trauma maggiore.. Obiettivi Formativi

La Medicina Simulata è anche questo, ma non è solo questo (5, 6), infatti si adatta all’apprendimento sia di conoscenze che di competenze pratiche in ogni fase della

e = 1 Un paziente ` e arrivato all’ambulatorio: il programma in questo caso deve leggere un altra volta l’input dove verr` a passato il nominativo del paziente che ` e appena entrato

‰ Una variabile di processo misurata non è ridondante se non può essere calcolata utilizzando le restanti misure e le equazioni di bilancio.... Classificazione

Per questo motivo, nel corso degli anni è andata sempre crescendo l’attenzione verso l’emodinamica computazionale che ha come obiettivo lo studio, tramite tecniche computazionali,

Si segnala il vettore double Calc di dimensione tre così composto: Calc[0] contiene la potenza media in ingresso all’amplificatore, Calc[1] è la costante che si deve

I modelli utilizzati in questo lavoro di tesi per simulare uno sversamento nel tratto del fiume Adige che va da Albaredo d’Adige a Boara Pisani sono due: il programma REMM

Alessandro Arco, Alessandra Mattiola, Massimiliano Ciantelli, Francesco Crispino, Emilio Sigali, Francesco Messina,. Federica Cetica,