• Non ci sono risultati.

CGH array nel disturbo dello spettro autistico: one year single-center study

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "CGH array nel disturbo dello spettro autistico: one year single-center study"

Copied!
96
0
0

Testo completo

(1)

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea

“CGH array nel disturbo dello spettro autistico:

one year single-center study”

RELATORE

Chiar.Mo Prof. Filippo Muratori

CORRELATORE

Dott.ssa Sara Calderoni

CANDIDATA

Lucrezia Laschi

(2)
(3)

A Camilla,

a Mia

(4)
(5)

Riassunto Analitico

Il CDC (Centers for Disease Control and Prevention) indica che, in Europa e negli USA, circa un bambino su 68 è affetto da un disturbo di spettro autistico (ASD).

Nonostante la molteplicità delle ipotesi eziologiche di questo complesso disturbo, dagli anni settanta divenne chiaro il ruolo centrale della genetica nell’eziologia dell’autismo. Ricerche più recenti, a cui ha contribuito in maniera determinante l’introduzione del CGH array, suggeriscono che anomalie citogenetiche submicroscopiche, ossia microdelezioni e microduplicazioni definite col termine di CNVs, possono determinare l’ASD in circa il 7%-20% dei casi e che una piccola percentuale di individui (5%-7% dei casi), sono affetti da un altro disordine causato da mutazioni monogeniche. Il CGH array si basa su un’ibridazione in situ modificata, che sfrutta la competizione tra due campioni di DNA genomico marcati con fluorocromi diversi: un campione è quello del paziente, l’altro è costituito da un pool di DNA genomico di riferimento. Tale metodica ha l’enorme vantaggio di ottenere in un’unica ibridazione sia informazioni sulla dimensione sia sulla localizzazione di tutti gli sbilanciamenti cromosomici, inoltre l’avvento della tecnologia basata sui microarray (introdotta a fine anni 90) ha permesso di esaminare tutto il genoma umano su un singolo chip con una risoluzione alta (fino ad un centinaio di coppie di basi). Questo studio retrospettivo è stato condotto a partire da una coorte storica di 364 pazienti con diagnosi clinica di Disturbo dello spettro Autistico, che nel 2015 hanno eseguito accesso Day Hospital e/o Ricovero presso la U.O. Complessa NPI 3 - Psichiatria dello Sviluppo del Dipartimento Clinico di Neuroscienze dell’età Evolutiva della IRCCS Stella Maris con sede a Calambrone (Pisa). Per tali pazienti sono state eseguite la valutazione genetica tramite CGH array per ricercare la presenza/ assenza di mutazioni CNVs causative per ASD e la valutazione clinica eseguita tramite ADOS test (Autism Diagnostic Observation Schedule test), test per la valutazione del Quoziente Intellettivo (QI), valutazione del linguaggio verbale secondo la scala di valutazione messa appunto dal Consensus del National Institute on Deafness and Other Communication Disorders (2007). Dal campione iniziale sono stati esclusi 66 pazienti: 43 per mancata esecuzione del CGH array, 18 per problemi burocratici che hanno impedito l’arruolamento nello studio e 5 per l’impossibilità di reperire i risultati del CGH array eseguito in altra sede. Tutti i pazienti sono stati sottoposti alla valutazione genetica tramite CGH array, mentre, per quanto concerne la valutazione clinica, per tutti i pazienti è stato stimato il livello di sviluppo

(6)

pazienti la valutazione del QI. La valutazione genetica è stata eseguita tramite CGH array su un campione di sangue periferico (5 mL) prelevato presso il Nostro Istituto ed inviato per l’analisi al Laboratorio di Genetica dell’AOU Meyer di Firenze. In base ai risultati ottenuti a tale esame i 298 pazienti sono stati suddivisi in 4 gruppi: gruppo 1) pazienti per i quali l’analisi CGH array non ha dimostrato la presenza di CNVs (without CNVs o wCNVs); gruppo 2) pazienti per i quali il CGH array ha dimostrato la presenza di mutazioni CNVs sicuramente causative ASD (causative CNVs o cCNVs); gruppo 3) pazienti per i quali l’esecuzione del CGH array ha dimostrato la presenza di mutazione di tipo CNVs probabilmente correlate all’insorgenza di autismo ma non ancora supportate dall’evidenza scientifica in letteratura (probable CNVs o pCNVs); gruppo 4) pazienti per i quali l’esecuzione del CGH array ha dimostrato la presenza di mutazioni a tipo CNVs ma certamente non causative di ASD (non causative CNVs o ncCNVs). Abbiamo successivamente confrontato i 4 gruppi dei pazienti sopracitati (wCNVs, cCNVs, pCNVs e ncCNVs) nelle diverse performance ottenute ai test clinici a cui sono stati sottoposti: QI, ADOS e linguaggio verbale. Prima abbiamo confrontato i diversi gruppi, considerando congiuntamente maschi e femmine appartenenti alla medesima “classe genetica”; successivamente abbiamo analizzato e confrontato separatamente i partecipanti maschili e femminili dei diversi gruppi; infine abbiamo valutato le performance dei maschi e delle femmine appartenenti allo stesso “gruppo genetico”, per poi eseguire una più approfondita analisi delle mutazioni genetiche in essi riscontrate, con particolare attenzione allo studio delle sindromi associate.

La valutazione con CGH array ha evidenziato in 20 pazienti (6,7% del totale) la presenza di mutazioni genetiche tipo CNVs causative di ASD già documentate dagli studi presenti in letteratura. In particolare le mutazioni più frequentemente riscontrate sono state la delezione 22q11.2 associata alla sindrome di DiGeorge e la microduplicazione 15q11q13 associata alla sindrome di Prader-Willi e di Angelmann. L’altra sindrome nota presente nel nostro studio e di frequente riscontro in letteratura è la monosomia 22q13 o Sindrome di Phelan-McDermid legata alla mutazione del gene SHANK. Dall’analisi dei dati clinici emerge che le caratteristiche cliniche risultano piuttosto omogenee tra i gruppi costituiti, con un livello di gravità clinica statisticamente meno invalidante nel gruppo dei pazienti con cCNVs rispetto agli altri (per quanto riguarda i risultati ADOS e lo sviluppo del linguaggio).

Alla luce dei risultati ottenuti, per circa il 70% dei pazienti non è stata ancora riscontrata la causa genetica di ASD28, ma, nonostante ciò, la quantità di scoperte genetiche eseguite

(7)

grazie all’introduzione del CGH array e lo studio delle mutazioni CNVs consentono di riconoscere l’enorme rilievo diagnostico di questa metodica e la sua imprescindibilità nell’inquadramento eziopatogenetico dei pazienti con ASD.

(8)

INDICE GENERALE

1 DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO 1

1.1 EPIDEMIOLOGIA 3

1.2 EZIOLOGIA E BASI GENETICHE DELL’AUTISMO 5

1.3 CLASSIFICAZIONE 8

1.4 CLINICA DELL’AUTISMO 12

1.5 DIAGNOSI 17

1.5.1 CRITERI DIAGNOSTICI DI DISTURBO AUTISTICO SECONDO IL DSM-IV 17

1.5.2 CRITERI DIAGNOSTICI DI DISTURBO AUTISTICO SECONDO IL DSM-V 18

1.5.3 IL PROBLEMA DELLA DIAGNOSI PRECOCE 21

1.5.4 L’IMPORTANZA DELO SCREENING 22

2 ANOMALIE CROMOSOMICHE 25

2.1 ANOMALIE CROMOSOMICHE E MALATTIE UMANE 27

2.2 CGH ARRAY E ANALISI DELLE ANOMALIE CROMOSOMICHE 28

2.3 CNVs: COPY NUMBER VARIANTS 33

2.3.1 METODI PER L’IDENTIFICAZIONE DELLE CNVs 35

2.3.2 RUOLO DELLE CNVs NELLA PATOGENESI DI MALATTIA 36

2.3.3 CNVs E AUTISMO 39 3 OBIETTIVI 46 4 MATERIALE E METODI 47 4.1. MATERIALI 47 4.2 METODI 49 4.2.1 VALUTAZIONE GENETICA 49 4.2.2 VALUTAZIONE CLINICA 51 4.2.3 ANALISI STATISTICA 57 5 RISULTATI 59 6 DISCUSSIONE 65 7 CONCLUSIONI 75 8 BIBLIOGRAFIA 77

(9)
(10)

1 Disturbi dello spettro autistico

Il termine autismo, dal greco αuτός (stesso), fu utilizzato per la prima volta dallo psichiatra svizzero Eugen Bleuer nel 1911 per indicare un sintomo comportamentale della schizofrenia. Il termine autismo, nella sua accezione moderna, è stato invece usato per la prima volta da Hans Asperger nel 1938. Successivamente Leo Kenner nel 1943 fece la prima descrizione dell’ Autismo Infantile Precoce. Da allora l’autismo ha avuto molteplici definizioni (Asperger, 1944; Rutter, 1978; DSM III, 1980)1,2,3.

Oggigiorno l’autismo viene definito come un disturbo funzionale del sistema nervoso centrale, che si manifesta precocemente, prima del terzo anno di età, alterando gravemente lo sviluppo generale del bambino e diagnosticato facendo riferimento alle due principali classificazioni internazionali dei disturbi mentali: il DSM4 - Diagnostic and Statistical

Manual of Mental Disorders (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) e l’ICD5 - International Classification of Diseases (Classificazione Internazionale dei

Disturbi e delle Malattie) dell’OMS - Organizzazione Mondiale della Sanità (Ballerini, 2013; Vivanti, 2014)6,7.

In medicina, e soprattutto in psichiatria, la demarcazione di una netta linea di confine tra “normalità” e “patologia” e tra le varie patologie è spesso complessa.

I sistemi classificativi quali DSM4 e ICD5 hanno avuto il pregio di definire criteri diagnostici condivisibili, individuando le “soglie” patologiche, al fine di identificare i disturbi suscettibili di trattamento; di contro, tuttavia, hanno determinato la perdita delle forme “sottosoglia”, cioè tutte quelle condizioni clinicamente rilevanti, che non soddisfano però i criteri diagnostici stabiliti.

Nell’ambito specifico dell’autismo, un’ulteriore difficoltà insorge al momento di applicare un’etichetta diagnostica specifica, poiché i quadri clinici dei diversi disturbi che ne fanno parte si somigliano notevolmente fino a divenire sovrapponibili, condizione già evidenziata nel 1981 e nel 1988 da Wing8, sottolineando l’utilità di un ampliamento nella definizione

di autismo. Per ovviare a queste ambiguità della psichiatria, è stato elaborato il concetto di “spettro”, inteso come un insieme di fattori psicopatologici che fanno da alone alle manifestazioni conclamate di un disturbo. Il concetto di spettro, negli anni e dai diversi Autori, è stato variamente impiegato per far riferimento a patologie con ampie aree di

(11)

sovrapposizione, nell'ipotesi di un substrato eziopatogenetico comune, o che condividono aspetti non inquadrabili nelle categorie diagnostiche, o che fanno riferimento a meccanismi psicopatologici comuni; in questo senso, il concetto di spettro fa riferimento all’area del disturbo conclamato e a tutte le componenti ad esso correlate. Il concetto di “spettro” è quindi più ampio della definizione di ogni specifico disturbo, comprendendo anche manifestazioni sintomatologiche lievi e sfumate, disturbi sottosoglia e anomalie comportamentali non ancora completamente espresse e che potranno evolvere verso il disturbo conclamato o restare isolate o confluire in altri disturbi. Soprattutto nella neuropsichiatria dell’infanzia, il concetto di spettro è più utile che mai: i quadri psicopatologici dei bambini sono infatti molto spesso sfumati, mescolati e sovrapposti.

(12)

1.1 Epidemiologia

Per diverse decadi dopo la sua prima definizione, l’autismo è stato considerato un disturbo raro con una prevalenza di 2-4 su 10000 bambini (Lotter, 1966; Rutter, 2005; Treffert, 1970)9,10,11.

A seguito dell’espansione dei criteri diagnostici per autismo tra la fine degli anni 80 e gli anni 90 del XX secolo, i diversi studi mondiali sulla prevalenza dell’autismo hanno mostrato un drammatico incremento di questo disturbo(Fombonne, 2009; Rice, 2013, Rutter, 2005)12,10,13. L’associazione tra l’aumento delle stime di prevalenza dell’autismo e i cambiamenti nei criteri diagnostici per l’autismo sono visibile nella Figura 1.

Figura 1. Evoluzione dell’incidenza dell’autismo in base alla diffusione dei criteri diagnostici.

Nel primo decennio del XXI secolo la prevalenza dei disturbi di spettro autistico nei bambini in età prescolare è aumentata a circa 60 su 10000 un incremento di incidenza di circa il 30% rispetto ai primi studi epidemiologici condotti sull’autismo. Una stima del CDC (Centers for Disease Control and Prevention)14 indica che, in Europa e negli USA, circa un bambino su 68 è affetto da un disturbo di spettro autistico: statistiche allarmanti che hanno indotto a parlare di “epidemia di autismo”.

Le ipotesi formulate per spiegare l’incremento della prevalenza di questo disturbo nelle ultime decadi del XX secolo e i primi anni duemila, basate su studi epidemiologici, può essere attribuita a molteplici cause: una maggior definizione nei criteri diagnostici, lo sviluppo del concetto di spettro, l’utilizzo di diversi metodi di studio, una maggiore sensibilizzazione e conoscenza del disturbo tra i genitori e tra gli operatori, un aumento

(13)

delle possibilità diagnostiche ed infine il reale incremento del numero di bambini con autismo.

I maschi sono significativamente più colpiti delle femmine, con un rapporto di circa 4/1 (Figura 2).

(14)

1.2 Eziologia e basi genetiche dell’autismo

La prima ipotesi sviluppata sulle cause dell’autismo, e ormai abbandonata dalla comunità scientifica, fu quella di Leo Kanner che per primo negli anni quaranta descrisse 11 bambini caratterizzati da una importante chiusura relazionale, mancanza di consapevolezza dell’esistenza di altre persone, mancanza di gioco immaginativo, grave compromissione della comunicazione verbale ed una notevole abitudinarietà. Egli sosteneva che ciò derivasse dalla presenza di figure genitoriali “fredde” nel trattare con la prole, definendo quindi l’autismo infantile precoce come un disturbo ad eziologia relazionale (Autistic disturbances and affective contact, Kanner, 1943)15.Tale ipotesi venne portata avanti fino

agli anni settanta attraverso la teoria psicodinamica dell’autismo nella quale vennero formulate le prime ipotesi eziologiche sulla “madre frigorifero” e ancora sulla “madre schizofrenica”. Nel 1976 B. Bettelheim16 definì l’autismo come un meccanismo di difesa rispetto ad una madre carente di contatto fisico nei confronti del figlio, con pratiche alimentari anomale e difficoltà nel parlare col bambino (La fortezza vuota, Bettheleim, 1976)16. Nel 1959 Goldstein17 introdusse la prima ipotesi di eziologia neurobiologica e definì l’autismo come difesa secondaria ad un deficit organico, teoria ripresa nel1964 da B. Rimland18 che sosteneva la presenza di anomalie morfologiche e funzionali a base organica nel disturbo. Le figure centrali nell’evoluzione degli studi e delle conoscenze sull’autismo furono però I. Loovas e E. Schopler19, fondatori della teoria comportamentale secondo cui l’autismo è una sindrome su base neurologica che si oggettivizza in modalità comportamentali caratteristiche, ma soggette a possibile cambiamento grazie ad interazioni specifiche con l’ambiente.

Oggi si ritiene che la base dell’ASD sia di tipo multifattoriale con l’interazione di fattori ambientali (non ancora del tutto individuati) e genetici; la ricerca neurochimica sostiene inoltre la presenza di alterazioni del metabolismo della serotonina e di altri neurotrasmettitori, cosi come gli studi di brain imaging hanno sottolineato anomalie cerebrali nel cervelletto, nell’amigdala, nell’ippocampo, nel setto pellucido e nei corpi mammillari.

È ormai completamente abbandonata l’ipotesi della causa vaccinale, cosi come la relazione tra ASD e intolleranze alimentari quali la celiachia (Principi, Rubino – Pediatria generale e

(15)

specialistica)20. Nonostante la molteplicità delle ipotesi eziologiche di questo complesso

disturbo, dagli anni settanta divenne chiaro il ruolo centrale della genetica nell’eziologia dell’autismo quando furono condotti i primi studi epidemiologici su famiglie e su coppie di gemelli (Rutter e Folstein, 1977; Rutter, 2000; Folstein and Rosen-Sheidley, 2001; Lamb et al.,2000)21,22,23 dai quale emerse che i gemelli monozigoti (MZ) mostrano un tasso di concordanza per l’autismo del 40-60% e per l’ASD del 70-90%, mentre i gemelli dizigoti (DZ) presentano una concordanza molto inferiore: 0-20% (; Steffenburg et al. 1989; Bailey et al. 1995, Lauritsen et al. 2001)24,25. I gemelli MZ hanno lo stesso patrimonio genetico mentre i gemelli DZ si comportano come fratelli condividendo solo la metà dei geni, motivo per cui la non totale concordanza dei dati per i gemelli DZ deriva dal fatto che nella genesi della malattia probabilmente intervengono anche altri fattori, ambientali o di altra natura, ancora sconosciuti. Inoltre, studi di ricorrenza familiare (Szatmari et al., 1998)26 stimano che la percentuale di rischio in fratelli di individui affetti da autismo è 30-40 volte maggiore rispetto alla popolazione generale, ed inoltre i parenti di individui autistici mostrano più frequentemente caratteristiche comportamentali e cognitive simili a quelle osservate nel paziente, seppur in forma più lieve (“broader phenotype”). Il broader phenotype può presentarsi come eccessiva timidezza, distacco e disinteresse per le interazioni sociali, ansia e interessi limitati senza associazione al ritardo mentale o a fenomeni di epilessia (Rutter, 2000)10. Pur essendoci chiare evidenze scientifiche sulla

base genetica dell’autismo, non vi sono ancora modelli chiari sui meccanismi di ereditarietà, tantomeno sui fattori ambientali che conferiscono un rischio di insorgenza in individui geneticamente suscettibili.

Figura 3: Variazione genetica, fattori ambientali ed

eterogeneità genetica dell’autismo: in A sono indicate le tre principali categorie delle manifestazioni cliniche dell’ASD; affinché sia diagnosticato l’autismo è necessario che il paziente manifesti un difetto in tutte e tre le aree. (B) e (C) eterogeneità genetica dell’autismo.

(16)

Ricerche più recenti suggeriscono che anomalie citogenetiche submicroscopiche (CNVs) possono contribuire all’autismo in circa il 7%-20% dei casi e che una piccola percentuale di individui (5%-7% dei casi), sono affetti da un altro disordine causato da mutazioni in singoli geni, come la sclerosi tuberosa, la sindrome dell’X-fragile, la sindrome di Down e la neurofibromatosi tipo 1 (Sykes & Lamb, 2007; Schaaf & Zoghbi, 2011)27,28. Anche molte condizioni metaboliche sono state associate con il fenotipo ASD in circa il 5% dei casi, quali disordini mitocondriali, fenilchetonuria non trattata, deficienza di creatina e altri disordini legati alla biosintesi dello sterolo. Per cui il restante 70% è legato a cause genetiche di ASD non ancora identificate (Schaaf & Zoghbi, 2011)28 (Figura 4 ).

(17)

1.3 Classificazione

Come accennato in precedenza, i sistemi classificativi di riferimento sono il DSM e l’ICD; in particolare fino alla penultima edizione del DSM le due classificazioni coincidevano sostanzialmente nei criteri diagnostici per l’autismo, mentre con il DMS-V (APA, 2013)4, la nuova edizione del DSM pubblicata nel maggio del 2013, sono stati introdotti numerosi cambiamenti, per cui i criteri diagnostici per l’autismo ora si differenziano nettamente rispetto a quelli dell’ultima versione dell’ICD, l’ICD-10 (WHO, 1994)5. Vediamo infatti che l' International Classification of Diseases, nella sua decima edizione (ICD-10, 1993, della World Health Organization)29 classifica i disturbi generalizzati dello sviluppo in maniera sovrapponibile al DSM-IV30( fatta eccezione per la suddivisione del Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato); ciò vede la suddivisione in:

disturbo autistico, il disturbo di Asperger, il disturbo disintegrativo della fanciullezza

(o disturbo di Heller), disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato e

sindrome di Rett. Inoltre include nei ASD la Sindrome iperattiva associata a ritardo mentale e a movimenti stereotipati.

• La sindrome di Rett, descritta nel 1966, è un raro disturbo progressivo dello sviluppo che interessa esclusivamente le femmine. Dopo uno sviluppo normale durante i primi 6-18 mesi, si assiste, ad un deterioramento o a un rallentamento dello sviluppo motorio: l’ipotonia è tipica, le abilità posturali necessarie al gattonamento o alla deambulazione non vengono acquisite per essere poi compensate con movimenti di locomozione alternativi ( come il rotolare o lo strisciare ), mentre le altre capacità motorie grossolane vengono spesso acquisite, anche se in ritardo. Intorno a 1-3 anni d’età, compare un rapido deterioramento dello sviluppo, con perdita delle abilità precedentemente acquisite: si assiste al declino delle interazioni sociali, alla regressione delle abilità cognitive e del linguaggio verbale, e alla perdita dell’uso finalistico delle mani, sostituito da caratteristiche stereotipie, praticamente ininterrotte durante le ore di veglia: sono

(18)

tipici la torsione dei polsi, l’hand washing, l’aprire e chiudere le dita, il battere le mani, o il serrare le mani e portarle alla bocca. Compaiono atassia e aprassia, con movimenti sussultori, rigidità degli arti, smorfie facciali, e bruxismo, che, unitamente alla perdita di interesse per gli oggetti e le persone, portano ad handicap gravi o gravissimi. Il contatto oculare è comunque mantenuto. L’aspettativa di vita per questi soggetti è ridotta, in relazione alla malnutrizione, all’immobilità, agli attacchi epilettici, e a disfunzioni cardiache o respiratorie talvolta associate.

• Inizialmente chiamato ‘demenza infantile’ (Heller, 1908)31, il disturbo

disintegrativo dell’infanzia è una rara e grave regressione evolutiva, che si

manifesta in bambini di 3- 4 anni, con un precedente sviluppo apparentemente normale. L’esordio è generalmente graduale, ma rapido ( settimane o mesi ), e talvolta associato a stress psico-sociale. Una volta manifestatosi, il disturbo presenta gli stessi sintomi dell’autismo, con una perdita clinicamente significativa delle abilità acquisite: si ha una grave regressione del linguaggio, fino al mutismo, in bambini che avevano già acquisito buone capacità verbali; i comportamenti divengono anomali e stereotipati, compare iperattività, compromissione dell’interazione sociale, perdita degli interessi, resistenza al cambiamento e deterioramento delle autonomie. Anche il grado di prevalenza nei maschi, rispetto alle femmine, è sovrapponibile a quello dell’autismo. Purtroppo, nel 75% dei casi di disturbo disintegrativo, il deterioramento del comportamento e dello sviluppo comportano un adattamento molto scadente e senza possibilità di miglioramento. • La Sindrome di Asperger (SA) è un disordine caratterizzato da marcate difficoltà

nell’interazione sociale, malgrado adeguate capacità cognitive e verbali. L’isolamento sociale può ricordare quello autistico, tuttavia i bambini con SA non ignorano la presenza degli altri, ma anzi, sono spesso avidi di relazioni con altre persone. Gli approcci però sono goffi, a volte inappropriati; questi bambini mostrano insensibilità ai sentimenti dell’altro, ignorando le convenzioni sociali. A volte, seppur in grado di descrivere correttamente le emozioni o le intenzioni altrui, non sanno agire coerentemente ad esse. La mancanza di questo adattamento spontaneo all’altro, spesso li fa rifugiare in rigide regole di comportamento formale, interpretandole alla lettera, con il risultato di una ugualmente compromessa integrazione sociale. Spesso frustrati dagli insuccessi nei tentativi di

(19)

stringere amicizia, alcuni di questi bambini possono sviluppare disturbi dell’umore anche importanti. Sebbene le capacità verbali vengano mantenute nei bambini con SA, si possono notare comunque alcune anomalie quali una scarsa prosodia, con un’intonazione maldestramente modulata, uno scarso adeguamento del volume della voce alle circostanze. Spesso i bambini con SA parlano molto e incessantemente di un argomento favorito, ignorando se l’interlocutore è interessato, o tenta di intromettersi in quello che, a tutti gli effetti, diventa un monologo prolisso e monotematico. Anche gli interessi ristretti e le attività ripetitive possono somigliare alle stereotipie del disturbo autistico, tuttavia è meno frequente che si presentino manierismi motori o interesse per parti non funzionali degli oggetti. I bambini con SA tendono ad accumulare una grande quantità di informazioni su un unico argomento circoscritto, condizione che può variare nel tempo, ma che ne domina sempre i contenuti delle attività e delle interazioni sociali. Tali interessi sono in genere insoliti e focalizzati su materie specifiche ( ad esempio i dinosauri, l’astrologia, la meteorologia, ecc. ). All’anamnesi dei bambini con SA possono rilevarsi ritardi nelle acquisizioni motorie, goffaggine e scarsa coordinazione, andatura bizzarra e disabilità visuo-motorie. La prognosi in genere è migliore rispetto a quella dell’autismo, ma la compromissione della sfera sociale è considerata cronica.

• Il disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato ( PDD-NOS, Pervasive Development Disorder Not Otherwise Specified ), sebbene rappresenti una diagnosi del DSM-IV30, non costituisce un’entità clinica uniforme. In esso si racchiudono quei disturbi generalizzati dello sviluppo, le cui caratteristiche cliniche non sono meglio descritte in un’altra categoria diagnostica del DSM-IV30 o dell’ICD-105. Talvolta il PDD- NOS è una sorta di ‘jolly’, un’etichetta da usare in condizioni diagnostiche sfavorevoli, quando le informazioni disponibili sono inadeguate. In questo senso, quella di PDD- NOS può essere una diagnosi temporanea, in attesa di una diagnosi più̀ specifica. Altre volte, essa viene presa in considerazione in quei bambini che, pur collocandosi all’interno di uno spettro autistico, sono ai margini di un funzionamento più̀ normale, o in cui la compromissione in una delle 3 aree del disturbo è lieve o assente. Quindi il PDD-NOS può essere considerato come una forma ‘lieve’ di autismo. Infine la diagnosi

(20)

tardivamente, non rispettando quindi il criterio di insorgenza entro i 3 anni dell’autismo. In quest’ottica, i PDD-NOS corrisponderebbero alla categoria dell’Autismo atipico dell’ICD-105, quadri che non soddisfano i criteri per l’autismo per l’età̀ tardiva di insorgenza, la sintomatologia atipica o subliminale, o per l’insieme di tutto. In conclusione, questa categoria viene utilizzata quando vi è una grave e generalizzata compromissione dello sviluppo dell’interazione sociale reciproca, delle capacità di comunicazione verbali o non verbali, o la presenza di comportamento, interessi o attività stereotipati, ma non risultano soddisfatti i criteri per uno specifico Disturbo Pervasivo dello Sviluppo, per la Schizofrenia, per il Disturbo Schizotipico di Personalità o per il Disturbo di Evitamento di Personalità. Tra le categorie indicate come disturbi pervasivi dello sviluppo, nel DSM-IV30 e nell’ICD- 105, il Disturbo Autistico ( o Autismo classico, o Autismo infantile precoce, o Autismo di Kanner ) è, in assoluto, il principale, sia perché è il più̀ frequente, sia perché ricopre pienamente e in modo completo la descrizione dei DPS. Esso infatti, come delineato nel DSM-IV30, è caratterizzato dalla ‘presenza di uno sviluppo notevolmente anomalo o deficitario dell’interazione sociale e della comunicazione, e una notevole ristrettezza del repertorio di attività e di interessi. Queste caratteristiche fanno sì che talvolta, nella pratica clinica, l’etichetta di ‘Disturbo pervasivo dello sviluppo’ sia considerato un sinonimo di ‘Disturbo autistico’, anche perché la Sindrome di Rett e il Disturbo disintegrativo della fanciullezza sono condizioni rarissime, la Sindrome di Asperger spesso rientra nella diagnosi di Spettro autistico e, come precedentemente sottolineato, quella di PDD- NOS è spesso una diagnosi provvisoria.

Mentre nel DSM-IV30 si parlava di “Disturbi Pervasivi dello Sviluppo”, nel DSM-V4

questi sottotipi sono stati riuniti in un’unica categoria denominata “Disturbi dello Spettro

Autistico” (ASD – Autism Spectrum Disorders), ad eccezione della sindrome di Rett,

classificata tra i disturbi neurologici. L’unificazione dei diversi disturbi pervasivi dello sviluppo in un’unica categoria è la diretta conseguenza della scelta di ridefinire il concetto di spettro autistico come uno spettro di condizioni morbose distribuite lungo un continuum di gravità, in relazione alla severità del disturbo.

(21)

1.4 Clinica dell’Autismo

L’ autismo è un disturbo ad insorgenza precoce caratterizzato da uno sviluppo anomalo e deficitario del comportamento, con una variabile compromissione di tre grandi aree della personalità: l’interazione sociale, la comunicazione e gli interessi. Queste aree rappresentano le categorie di sintomi cardine del disturbo secondo il DSM – IV30, aree di

riferimento poi modificate nella redazione del DSM – V4; la loro descrizione consente comunque di individuare le caratteristiche cliniche rilevanti dei pazienti autistici. Nella sezione relativa alla diagnosi verranno poi descritte le differenze e le innovazioni intercorse tra la quarta e la quinta edizione.

• L’interazione sociale: la scarsa reciprocità nell’interazione con gli altri è uno degli elementi centrali del disturbo, e si individua tramite la povertà della comunicazione non verbale quale l’evitamento dello sguardo, lo scarso interesse verso i coetanei, la tendenza all’isolamento, la mancanza dell’attenzione condivisa e l’incapacità di sviluppare relazioni adeguate all’età̀. Ciò accade in quanto questi bambini sembrano non comprendere l’esistenza di sentimenti altrui, consapevolezza che si sviluppa nei primi anni di vita.

La compromissione dell’interazione sociale pur essendo permanente, si manifesta con comportamenti che cambiano nel corso della vita, quindi nel lattante si ritrova sguardo sfuggente, mancanza di atteggiamenti anticipatori e assenza del sorriso sociale in risposta a un volto o ad una voce, tappa dello sviluppo comportamentale che in genere si manifesta a partire dal secondo mede di vita. A 2 anni il contatto oculare si riduce notevolmente, tanto da poter definire l’evitamento come un importante predittore di successiva disabilità sociale, mentre nel bambino più̀ grande il comportamento coi coetanei diviene chiaro e esplicito segno della

(22)

patologia a causa dell’isolamento dalle attività altrui, della mancata richiesta di partecipazione degli altri nelle proprie attività e nella condivisione dei propri interessi e la scarsa gestualità. I rapporti interpersonali divengono sempre più ‘richiestivi’ e finalistici, in assenza di intenzionalità comunicativa, aspetto importante sia nella correlazione di gravità del disturbo che nella previsione del successivo sviluppo di linguaggio e comunicazione del bambino. Anche il contatto fisico, respinto quando non richiesto, è finalizzato a soddisfare la ricerca del conforto, per essere poi interrotto del tutto una volta appagate le esigenze iniziali. Dall’età scolare, grazie ad un adattamento sociale, l’interazione con gli altri può migliorare, pur apparendo sempre ipoinvestita.

Una caratteristica del bambino con autismo è l’incapacità ai giochi di finzione, elemento obbligato di sviluppo tipico, e che indica l’avvenuta acquisizione del pensiero simbolico. Nell’autismo queste simulazioni sono spesso tardive e ripetitive.

Secondo una vecchia sottoclassificazione di Wing e Gould (1979)32, l’interazione sociale era al centro del disturbo autistico, determinando la maggiore compromissione futura nella vita dei bambini. In particolare, le interazioni sociali anomale vennero suddivise in 3 gruppi di comportamento:

1) Il ‘gruppo distaccato’, ossia quello dei bambini tagliati fuori da ogni contatto sociale (quadro più̀ tipico e completo del disturbo).

2) Il ‘gruppo passivo’, in cui i bambini non compiono approcci sociali spontanei, ma accettano passivamente l’altro.

3) Il ‘gruppo attivo-ma-strano’ in cui i bambini avvicinano gli altri, ma in modo spesso insistente e con l’unico scopo di parlare agli altri dei propri interessi. Infine, si comprende come l’assente consapevolezza di regole sociali possa causare comportamenti inappropriati quali scatti d’ira immotivati, aggressività, distruttività, urla, tentativi di fuga.

• La comunicazione: la sua compromissione riguarda tutti i codici della trasmissione e della ricezione di un messaggio. Oltre al ritardo o all’assenza del linguaggio verbale, manca anche la sua componente non verbale, come intonazione, pause, gesti e mimica.

Il bambino con autismo già nei primi mesi di vita può avere un ritardo o un’assenza della lallazione (acquisita intorno ai 4-6 mesi); successivamente si può manifestare

(23)

un vero e proprio deficit del linguaggio in quanto il bambino non parla, non chiama per nome, non si volta quando chiamato, tanto che dal 33 al 50% dei bambini autistici non acquisisce mai alcuna forma di linguaggio finalizzato. I bambini che invece cominciano ad esprimersi verbalmente lo fanno in genere tardivamente caratteristicamente con produzione atipica: stereotipie verbali, frasi bizzarre, ecolalia (immediata e/o differita), gergofasia, inversione di pronomi, eloquio cantilenante, monotono o enfatico, utilizzo letterale dei significati delle parole. Anche la comprensione è deficitaria, con tipica incapacità di comprensione dei doppi sensi, di metafore, di proverbi e del linguaggio figurato. Quindi la comunicazione, quando presente, non è finalizzata all’interazione sociale e al piacere della relazione interpersonale, ma è solo un mezzo finalistico o per parlare esclusivamente dei propri interessi, con contenuti ripetitivi e ristretti.

• Interessi e attività stereotipate: gli interessi sono in genere ristretti, ripetitivi e stereotipati in presenza anche di manierismi motori stereotipati quali mordersi le mani, sventolarle in aria, dondolarsi, compiere ripetuti movimenti del capo. Durante la crescita queste stereotipie semplici tendono a scomparire, cedendo il posto a comportamenti più complessi, come collezionare o allineare gli oggetti. Tipicamente l’interesse del bambino resta limitato ai dettagli di un oggetto che, spesso, non viene usato per la funzione con cui è stato creato, ciò vale soprattutto per i giocattoli che vengono osservati e smontati ma non impiegati nei giochi di finzione.

I comportamenti sono monotoni e rituali così come le attività quotidiane che devono seguire la stessa sequenza rigida ed i cambiamenti, seppur minimi, possono causare una forte reazione di disagio fino a reazioni di rabbia e aggressività sia auto che eterodiretta. Talvolta le stereotipie ed i comportamenti rituali possono essere meno rilevanti ma, nonostante ciò, si ha sempre una certa abitudinarietà con tendenza a manifestare interessi circoscritti con forte investimento di memoria meccanica.

Altri sintomi: abnorme reattività ad alcuni stimoli uditivi, visivi o tattili, che possono

determinare paura e reazioni eccessive o, viceversa, fascino,d’altro canto alcuni bambini con autismo non mostrano risposte al dolore e possono avere comportamenti

(24)

l’ipotonia. Un aspetto rilevante e frequente nei bambini autistici è l’aprassia, fino al 34%, con impaccio maggiore nella motilità fine, rispetto a quella grossolana. Alcuni possono mostrare ecoprassia dei gesti, equivalente all’ecolalia del linguaggio. Nei primi anni di vita possono avere la tendenza a camminare sulle punte (19% dei bambini con autismo ). La riduzione della prevalenza di deficit motori nei bambini più̀ grandi suggerisce un miglioramento nel tempo, legato sia alla storia naturale di malattia che alla terapia, inoltre la gravità dei deficit motori sembra inversamente proporzionale ai punteggi ottenuti ai test cognitivi poiché gravi anomalie del movimento si associano a bassi livelli di QI. A volte i bambini con disturbi di spettro autistico possono manifestare anomalie fisiologiche, come disturbi del sonno, dell’alimentazione, o del senso della sete, o disfunzioni autonomiche, come iperidrosi, tachicardia o respiro irregolare.

Infine, una minoranza dei bambini con autismo,6%, mostra capacità extraordinarie, come eccezionale abilità di calcolo, memoria fuori dal comune per numeri o date, o talenti inaspettati.

Circa il 50% dei bambini con disturbo di spettro autistico presenta ritardo mentale per quanto sia molto difficile definire se i comportamenti atipici ad esso associati siano da riferire ad una coesistenza di un disturbo autistico, piuttosto che ad un basso QI, motivo per cui risulta difficile una diagnosi differenziale per livelli cognitivi inferiori ad un’età̀ mentale di 2 anni. Caratteristicamente poi, i bambini con autismo dimostrano livelli di performance (Performance-QI), valutabili tramite test strutturati non-verbali come la Leiter-R33, superiori rispetto ai punteggi ottenuti con test verbali Verbal-QI. Il rapporto tra

performance e livello cognitivo verbale è dipendente dalla gravità del disturbo. Inoltre i bambini con autismo hanno spesso funzionamento adattivo inferiore rispetto a quanto predetto dal livello cognitivo.

Oltre ai sintomi principali, i bambini con ASD, spesso mostrano altri disturbi del comportamento poiché circa il 70% di essi presenta comorbidità, specificatamente disturbi d’ansia (associati a maggior QI e a maggiore presenza di comportamenti stereotipati), ADHD (attention-deficit / hyperactivity disorder) e DOP ( disturbo oppositorio-provocatorio ). Nei bambini con più elevato livello cognitivo, sintomi come l’ansia sociale sembrano essere maggiormente correlati al disturbo autistico.

Anche l’epilessia si associa spesso al disturbo autistico nel 40% dei casi e può insorgere nei primi anni di vita o in adolescenza con crisi parziali complesse o tonico-cloniche generalizzate. Anche il rapporto tra autismo ed epilessia è stato ampiamente studiato come chiave di lettura per un’ipotesi eziopatogenetica comune legata a un danno encefalico nel

(25)

lobo temporale interpretato causa di un deficit nello sviluppo delle competenze sociali, oltre che come focus epilettogeno responsabile delle crisi epilettiche. Un’ipotesi alternativa suggerisce che fenomeni epilettici possano disturbare lo sviluppo del sistema nervoso con successive ripercussioni sul funzionamento cognitivo.

Infine, nel disturbo autistico possono essere rilevati sintomi o segni neurologici aspecifici, come la permanenza di riflessi primitivi, in genere in associazione ad una condizione neurologica o con un’altra condizione medica generale ( ad esempio la sindrome dell’X fragile o la sclerosi tuberosa). Talvolta si osservano microcefalia, specie nei primi mesi di vita, che macrocefalia, in associazione a una maggiore compromissione sociale e comunicativa.

A seguito di questo elenco di sintomi e segni è necessario sottolineare come la gravità e la sintomatologia dell'autismo varino molto da individuo a individuo e tendano, nella maggior parte dei casi, a migliorare con l'età̀. Nonostante ciò, un piccolo numero di bambini con autismo può divenire ancora più̀ distaccato con la crescita con comparsa di difficoltà che possono emergere durante l’adolescenza o nella prima età̀ adulta, fino alla sovrapposizione con altre patologie psichiatriche. Le comorbidità psichiatriche più frequenti nella crescita sono ansia, depressione, obesità e uso di farmaci e sostanze. Nonostante negli ultimi anni la prognosi dell’autismo sia migliorata e una minoranza di adulti acquisisca buoni livelli di indipendenza, la maggior parte non è autosufficiente, la comunicazione rimane povera con persistenza di comportamenti stereotipati.

(26)

1.5 Diagnosi

Sono stati apportati dei cambiamenti nella diagnosi clinica di ASD con la pubblicazione del DSM-V4, vediamo quindi quali erano i criteri diagnostici per il DSM-IV30 ed i cambiamenti apportati dalla nuova edizione.

1.5.1 Criteri diagnostici del Disturbo Autistico secondo il DSM –IV30

Le categorie di sintomi considerati sono 3, ciascuna delle quali comprende 4 modalità di manifestazione sintomatologica:

- menomazione della reciprocità sociale;

✓ marcata compromissione nell'uso di svariati comportamenti non verbali, quale lo sguardo diretto, l'espressione mimica, le posture corporee, e i gesti che regolano l'interazione sociale;

✓ incapacità di sviluppare relazioni coi coetanei adeguate al livello di sviluppo; ✓ mancanza di tentativi spontanei di condividere gioie, interessi o obiettivi con

altre persone;

✓ mancanza di reciprocità sociale o emotiva; - menomazione del linguaggio/comunicazione;

✓ ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio parlato (non accompagnato da un tentativo di compenso attraverso modalità alternative di comunicazione come gesti o mimica);

✓ in soggetti con linguaggio adeguato, marcata compromissione della capacità di iniziare o sostenere una conversazione con altri;

(27)

✓ uso di linguaggio stereotipato e ripetitivo o linguaggio eccentrico;

✓ mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei, o di giochi di imitazione sociale adeguati al livello di sviluppo;

- repertori ristretti e ripetitivi di interessi/attività;

✓ dedizione assorbente ad uno o più tipi di interessi ristretti e stereotipati anomali o per intensità o per focalizzazione;

✓ sottomissione del tutto rigida ad inutili abitudini o rituali specifici;

✓ manierismi motori stereotipati e ripetitivi (battere o torcere le mani o il capo, o complessi movimenti di tutto il corpo);

✓ persistente ed eccessivo interesse per parti di oggetti;

Per eseguire una diagnosi di “disturbo pervasivo dello sviluppo” è necessaria la presenza di almeno sei sintomi, di cui almeno due nella prima categoria (menomazione della reciprocità sociale) e almeno uno per ciascuna delle altre due categorie.

1.5.2 Criteri diagnostici del Disturbo Autistico secondo il DSM –V5

Con il DSM-V le categorie di sintomi vengono ridotte a due:

- deficit persistente nella comunicazione sociale e nell’interazione sociale (che comprende sia le difficoltà sociali che quelle di comunicazione);

- comportamenti e/o interessi e/o attività ristrette e ripetitive.

La diagnosi di “disturbo dello spettro autistico” richiede la presenza di almeno tre sintomi nella categoria dei “deficit della comunicazione sociale” e di almeno due in quella dei “comportamenti ripetitivi” (Muggeo, 2012)34. Importanti novità introdotte sono

l’eliminazione del “ritardo/menomazione del linguaggio” fra i sintomi necessari alla diagnosi e l’introduzione della “sensibilità insolita agli stimoli sensoriali” come sintomatologia compresa tra i “comportamenti ripetitivi”.

Un’altra novità introdotta è la necessità di indicare la gravità della sintomatologia del disturbo dello spettro autistico su una scala di tre punti. Inoltre, mentre nel DSM-IV30 si parlava di esordio entro i 36 mesi di età, ora si parla più genericamente di un esordio nella prima infanzia. Infine, se il bambino presenta sintomi aggiuntivi sufficienti a rientrare nei criteri diagnostici di un altro disturbo, secondo il DSM-V5 è possibile assegnare una doppia diagnosi, cosa che non era possibile con il DSM-IV30.

(28)

Secondo il DSM-V5 il Disturbo dello Spettro Autistico deve soddisfare i criteri A, B, C e

D:

A. Deficit persistente nella comunicazione sociale e nell´interazione sociale in diversi contesti, non spiegabile attraverso un ritardo generalizzato dello sviluppo e manifestato da tutti e tre i seguenti punti:

1. Deficit nella reciprocità socio-emotiva che va da un approccio sociale anormale e insuccesso nella normale conversazione (botta e risposta) attraverso una ridotta condivisione di interessi, emozioni, percezione mentale e reazione fino alla totale mancanza di iniziativa nell´interazione sociale.

2. Deficit nei comportamenti comunicativi non verbali usati per l´interazione sociale, da una scarsa integrazione della comunicazione verbale e non verbale, attraverso anormalità nel contatto oculare e nel linguaggio del corpo, o deficit nella comprensione e nell´uso della comunicazione non verbale, fino alla totale mancanza di espressività facciale e gestualità.

3. Deficit nella creazione e mantenimento di relazioni appropriate al livello di sviluppo (non comprese quelle con i genitori e caregiver); che vanno da difficoltà nell’adattare il comportamento ai diversi contesti sociali attraverso difficoltà nella condivisione del gioco immaginativo e nel fare amicizie fino all’apparente assenza di interesse per le persone.

B. Pattern di comportamenti, interessi o attività ristretti e ripetitivi come manifestato da almeno due dei seguenti punti:

1. Linguaggio, movimenti o uso di oggetti stereotipati o ripetitivi, come semplici stereotipie motorie, ecolalia, uso ripetitivo di oggetti, o frasi idiosincratiche. 2. Eccessiva fedeltà alla routine, comportamenti verbali o non verbali riutilizzati o

eccessiva riluttanza ai cambiamenti: rituali motori, insistenza nel fare la stessa strada o mangiare lo stesso cibo, domande incessanti o estremo stress a seguito di piccoli cambiamenti.

3. Interessi altamente ristretti e fissati, anormali in intensità o argomenti: forte attaccamento o interesse per oggetti insoliti, interessi eccessivamente persistenti o circostanziati.

4. Iper o Ipo-reattività agli stimoli sensoriali o interessi insoliti verso aspetti sensoriali dell'ambiente: apparente indifferenza al caldo/freddo/dolore, risposta

(29)

avversa a suoni o consistenze specifiche, eccessivo annusare o toccare gli oggetti, attrazione per luci o oggetti roteanti.

C. I sintomi devono essere presenti nella prima infanzia (ma possono non diventare completamente manifesti finché le esigenze sociali non oltrepassano il limite delle capacità).

D. L´insieme dei sintomi deve limitare e compromettere il funzionamento quotidiano.

3 livelli di gravità:

Livello 3: Richiede supporto molto sostanziale

✓ Comunicazione sociale: i gravi deficit nella comunicazione sociale, verbale e non verbale, causano una grave difficoltà nel funzionamento; iniziativa molto limitata nell'interazione sociale e minima risposta all'iniziativa altrui. ✓ Interessi ristretti e comportamenti ripetitivi: preoccupazioni, rituali fissi e/o

comportamenti ripetitivi che interferiscono marcatamente con il funzionamento in tutte le sfere. Stress marcato quando i rituali o le routine sono interrotti; è molto difficile distogliere il soggetto dal suo focus di interesse, e se ciò avviene egli ritorna rapidamente ad esso.

Livello 2: Richiede supporto sostanziale

✓ Comunicazione sociale: Deficit marcati nella comunicazione sociale, verbale e non verbale, l´impedimento sociale appare evidente anche quando è presente supporto; iniziativa limitata nell'interazione sociale e ridotta o anormale risposta all'iniziativa degli altri.

✓ Interessi ristretti e comportamenti ripetitivi: preoccupazioni, rituali fissi e/o comportamenti ripetitivi appaiono abbastanza di frequente da essere evidenti per l'osservatore casuale e interferiscono con il funzionamento in diversi contesti. Stress o frustrazione appaiono quando sono interrotti ed è difficile ridirigere l´attenzione.

Livello 1: Richiede supporto

(30)

difficoltà a iniziare le interazioni sociali e mostra chiari esempi di atipicità o insuccesso nella risposta alle iniziative altrui. Può sembrare che abbia un ridotto interesse nell'interazione sociale.

✓ Interessi ristretti e comportamenti ripetitivi: rituali e comportamenti ripetitivi causano un'interferenza significativa in uno o più contesti. Resiste ai tentativi da parte degli altri di interromperli.

Nella diagnosi di ASD valutazione clinica riveste quindi un ruolo fondamentale e deve considerare il quadro comportamentale del bambino, sia durante l’osservazione diretta, sia nei contesti familiare e scolastico. La valutazione multidimensionale del paziente in genere è effettuata da una équipe composta dal neuropsichiatra infantile, dallo psicologo, dal neuropsicomotricista, dal logopedista e dall’educatore. Il rischio di una eccessiva soggettività del giudizio clinico, maggiore soprattutto dopo l’introduzione del concetto di Spettro Autistico, è stato eluso dalla realizzazione di numerosi strumenti diagnostici, rappresentati da questionari, interviste strutturate e scale di valutazione standardizzate, elaborate sulla base dei criteri diagnostici del DSM IV30, che hanno permesso una valutazione più̀ oggettiva dei disturbi comportamentali del bambino con autismo. Tra gli strumenti di riferimento troviamola Childhood Autism Rating Scale (CARS)35, l’Autism

Behavoiur Checklist (ABC)36, e soprattutto l’Autism Diagnostic Observation Schedule

(ADOS)37 oltre all’Autism Diagnostic Interview - Revised (ADI-R)38, considerate il gold

standard per la diagnosi di autismo. In aggiunta a questi, sono spesso utilizzati anche strumenti di valutazione ‘funzionale’ come lo Psycho- Educational Profile ( PEP-R)39 e la Vineland – Adaptive Behaviour Scale (VABS)40.

La valutazione clinica deve essere necessariamente supportata da un’accurata ricostruzione anamnestica, anche familiare, dall’esame obiettivo generale e neuropsichiatrico (con particolare importanza alla valutazione dei comportamenti dal significato diagnostico, delle competenze cognitive e linguistiche, e dello sviluppo emotivo e funzionale). L’esame audiometrico è sempre indicato per escludere eventuale ipoacusia, visto soprattutto che la principale motivazione per cui questi bambini giungono all’osservazione specialistica è l’assenza del linguaggio.

(31)

1.5.3 Il problema della diagnosi precoce

Il disturbo autistico, per definizione, si manifesta entro i 3 anni di età̀ e tipicamente è preceduto da anomalie del comportamento individuabili dai genitori già a 18 mesi di età,tanto che Landa e Garrett-Mayer41 rilevano anomalie dello sviluppo e ritardo di linguaggio nei bambini con disturbi di spettro autistico a partire dai 2 anni di età̀, e un inusuale rallentamento delle performance già a 14 mesi.

Segni precoci di una irregolarità dello sviluppo, ossia le “red flags” secondo la Child Neurology Society,), che costituiscono indicazioni assolute ad un’immediata valutazione specialistica, sono: l’assenza della lallazione dopo i 12 mesi, l’assenza della gestualità dopo i 12 mesi, l’assenza di parole singole dopo i 16 mesi, l’assenza di associazione spontanea di 2 parole dopo i 24 mesi, e la perdita di competenze socio-comunicative già acquisite, indipendentemente dall’età̀. Ulteriori comportamenti indicativi di ASD, evidenziabili nei bambini di 18 mesi di età, sono la difficoltà al contatto oculare, la carente attenzione condivisa, la mancanza dei giochi di finzione, dell’imitazione, della comunicazione non verbale e del linguaggio.

Sebbene quindi la maggioranza degli autori sia d’accordo sulla possibilità di effettuare una diagnosi certa dall’età di 2 anni le stime più ottimistiche identificano l’età̀ media della diagnosi di autismo a 3,1 anni. Wiggins42 ha dimostrato che talvolta i bambini con autismo vengono diagnosticati a un’età media di 61 mesi, mentre la percezione delle prime anomalie del comportamento risale ai 48 mesi d’età. Secondo Rhoades et al.43 l’età media della diagnosi, ossia 4anni e 10 mesi, avviene troppo tardi affinché i bambini possano ricevere il massimo beneficio da un intervento precoce.

1.5.4 L’importanza dello screening

In considerazione dell’aumentata prevalenza dell’autismo e del divario esistente fra la percezione delle prime evidenze cliniche e la diagnosi specialistica, appare evidente come l’esecuzione di uno screening da eseguire in età prescolare abbia una considerevole importanza, in particolare su bambini di 18-36 mesi, per riuscire ad individuare soggetti a rischio per autismo ed arrivare precocemente ad una diagnosi.

Nadel et al.44 registrano il beneficio ottenuto da bambini con ASD che abbiano avuto una precoce identificazione del disturbo sottolineando il ruolo critico di uno screening entro i 24 mesi d’età̀. Formulare precocemente la diagnosi di autismo in un bambino comporta

(32)

molti vantaggi quali un intervento precoce sulle attività del bambino poiché organizzarne le esperienze potrà sicuramente avere un riscontro positivo sulla qualità dei suoi comportamenti adattivi. La precocità dell’intervento è essenziale per poter agire su strutture cerebrali in maturazione ‘in fase attiva’ affinché vi sia un’adeguata riorganizzazione interna delle esperienze percettive. Infine, considerando che il rischio di disturbo autistico ha un'incidenza di circa il 5% nei fratelli, l’esecuzione una diagnosi precoce del disturbo può garantire un maggiore livello di sorveglianza per i fratelli del bambino, consentendo ai genitori una valutazione consapevole su eventuali future gravidanze. In particolare, secondo la Commissione americana della Child Neurology Society45 e dell’American Academy of Neurology46, l’individuazione del disturbo autistico dovrebbe avvenire per tappe, secondo la formula "Vagliare, Indagare, Valutare". Lo screening per l'autismo richiede due diversi livelli di indagine: il Livello 1 deve essere attuato su tutti i bambini per identificare quelli a rischio per ogni tipo di sviluppo atipico, mentre il Livello 2 coinvolge in una indagine approfondita i bambini già identificati a rischio di un disturbo dello sviluppo. Una revisione di questo approccio, pubblicata dalla American Academy of Pediatrics47, raccomanda l’utilizzo di screening per l’autismo a intervalli specifici (9, 18, e 24 o 30 mesi d’età) ) durante i periodici bilanci di salute del pediatra di famiglia.

Gli strumenti diagnostici precedentemente descritti, come ADOS37 e ADI-R38, seppur

ampiamente utilizzati, affidabili e sensibili, sono da considerarsi di secondo livello, in quanto la durata delle valutazioni (30 - 45 minuti) è eccessiva perché̀ essi possano essere somministrati su larga scala, inoltre richiedono training specifici per essere correttamente applicati ed interpretati dagli esaminatori. Allo scopo di realizzare utili strumenti di screening, nel corso degli anni son stati prodotti numerosi questionari per l’identificazione dei disturbi mentali nei bambini piccoli ( ad esempio il Mannheim Eltern Interview (MEI, Esser, 1989)48, l’Infant / Toddler Symptom Check List (ITSCL, DeGangi, 1995)49, la Bayley Scales of Infant Development III (BSID- III, Bayley, 2005)50, ecc.). Alcuni sono specifici per l’autismo: la Checklist for Autism in Toddlers (CHAT, Baron-Cohen et al, 1992)51, la Modified Checklist for Autism in Toddlers (M-CHAT, Robins, Fein, & Barton, 1999)52, la Gilliam Autism Rating Scale (GARS, Gilliam, 1995)53, l’Autism Screening Questionnaire ( Berument, 1999 ), il Social Communication Questionnaire ( Rutter, 2010)10, e lo Screening Tool for Autism in Two- years old (STAT, Stone et al., 2000)54. Alcuni di questi strumenti di screening si basano soltanto sulle risposte dei genitori alle domande di un questionario, altri si basano su una combinazione di testimonianze dei

(33)

genitori e di osservazione diretta. Questi strumenti, che sembrano in grado di distinguere i bambini con autismo entro i due anni di età, possono tuttavia fallire nell’identificare i casi dei bambini affetti da Autismo lieve, nonché quelli con Autismo ad Alto Funzionamento o con Sindrome di Asperger, motivo per cui sono stati progettati anche strumenti di screening per la Sindrome di Asperger e l’autismo ad alto funzionamento come l’Autism Spectrum Sceening Questionnaire (ASSQ, Ehlers, Gillberg & Wing, 1999)55, e l’ Australian Scale for Asperger’s Syndrome (ASAS, Garnett & Attwood, 1997)56.

Tra i numerosi strumenti di screening proposti, il test specifico per l’autismo che raccoglie maggiori consensi è la CHAT: Checklist for Autism in Toddlers che viene somministrata dal pediatra ai genitori di bambini di 18-24 mesi d’età̀. E’ costituita da 14 item, di cui 9 domande da rivolgere ai genitori, e 5 comportamenti da ricercare direttamente nel bambino al fine di stratificare il rischio di autismo per il bambino. Tuttavia, a differenza della specificità, la sensibilità del test sembra insoddisfacente, motivo per cui è stata creata la Modified - Checklist for Autism in Toddlers (M-CHAT, Robins et al., 2001)52 costituita da 23 domande a scelta multipla che ha dimostrato di essere un valido strumento per l’identificazione precoce dei bambini con ASD. Tuttavia, vista la limitata sensibilità per il disturbo autistico, la CHAT e la M-CHAT52 vengono indicate, nelle linee guida pubblicate dal American Academy of Neurology ( AAN ) come strumenti inadatti allo screening, ma da somministrare a bambini che abbiano già fallito test “ad ampio spettro” usati in prima istanza. Anche la CARS (Childhood Autism Rating Scale, Schopler, Reichler, & Renner, 1988)35 è una scala di valutazione per la diagnosi di autismo ampiamente utilizzata e vede

l’esame di 15 items relativi alle principali aree comportamentali, i movimenti del corpo, la capacità di adattarsi al cambiamento, la risposta uditiva, la comunicazione verbale e le relazioni sociali nei bambini che hanno superato i due anni di età̀. Tuttavia, essendo formulata sulla base dell’osservazione diretta del comportamento da parte dell’operatore, essa trova il suo utilizzo più̀ idoneo in un ambito clinico specialistico. La CBCL: uno degli strumenti maggiormente utilizzati nella clinica e nella ricerca dei disturbi comportamentali dei bambini in età prescolare è la CBCL11⁄2-5 (Child Behavior Checklist for ages 1.5-5, Achenbach e Rescorla, 2000)57.

Nel 2003 Duarte et al.hanno condotto uno studio che ha sottolineato l’efficacia nella differenziazione dei bambini autistici sia da quelli con altri disturbi psichiatrici che da quelli con svilppo tipico sia in ambito clinico che scolare della CBCL4-18 (Child Behavior Checklist for ages 4-18, Achenbach e Rescorla, 2000)57 per cui ne veniva suggerita

(34)

non agevola una diagnosi precoce del disturbo, in quanto l’età̀ minima per cui questo tipo di questionario può essere utilizzato, corrisponde all’età̀ media a cui attualmente vengono ricevute le diagnosi.

2 Anomalie Cromosomiche

Le anomalie cromosomiche sono alterazioni numeriche o strutturali dei cromosomi che si riscontrano in circa il 7 % dei concepimenti.

Nella maggior parte dei casi sono incompatibili con la vita e determinano aborto spontaneo precoce, per questa ragione soltanto < 1% dei nati vivi è affetto da malattie cromosomiche.

Le anomalie cromosomiche di numero o aneuplodie cromosomiche sono distinte in monosomie, quando si riscontra una singola copia del cromosoma anziché due, e poliploidie quando invece sono presenti più copie di uno stesso cromosoma; tra queste ultime le più comuni sono le trisomie (tre copie di uno stesso cromosoma).

Le anomalie strutturali o riarrangiamenti strutturali si distinguono in bilanciati o sbilanciati, in base al fatto che esse determinino o meno una perdita o un guadagno di materiale genetico, e vengono distinte in sei categorie (G. Neri, M. Genuardi)58:

1. Le duplicazioni consistono nella presenza di due copie di uno stesso frammento nello stesso cromosoma; vengono definite in tandem quando il segmento è ripetuto secondo lo stesso orientamento, inverse quando invece il frammento duplicato ha direzione opposta rispetto al frammento originario. 2. Le delezioni consistono nella perdita di un frammento di cromosoma più o

meno estesa e vengono classificate come terminali, se avvengono a livello telomerico, e interstiziali, quando, in seguito alla rottura di un cromosoma in due punti, avviene la perdita del frammento intermedio e i punti di rottura vengono saldati tra di loro.

(35)

3. Le inversioni consistono nella rotazione di 180° di un frammento. Esse non comportano perdite di materiale genetico ma possono determinare la perdita di funzionalità di geni importanti se i punti di rottura da cui hanno origine ricadono all’interno della struttura di un gene o nelle regioni regolatrici della trascrizione. Le inversioni possono essere pericentriche, se il segmento che subisce la rotazione include il centromero, e paracentriche, se non lo comprende.

4. Le traslocazioni implicano un trasferimento di materiale tra due o più cromosomi diversi. Si distinguono in traslocazioni reciproche e Robertsoniane. • La traslocazione reciproca consiste in uno scambio bidirezionale di materiale

genetico tra due cromosomi non omologhi e si ha a seguito di rotture del DNA che determinano la creazione di frammenti cromosomici liberi che successivamente, a causa di errori nel processo di riparazione, vengono saldati in maniera errata ad un altro cromosoma non omologo, dando così origine, a due cromosomi derivati. In questo caso si tratta di traslocazioni bilanciate.

• La traslocazione Robertsoniana, invece, prevede che due cromosomi acrocentrici non omologhi si rompano a livello dei centromeri e i bracci lunghi si ritrovino attaccati a un unico centromero. I bracci corti si uniscono a formare il prodotto reciproco, che generalmente contiene geni non essenziali e viene abitualmente perduto entro poche divisioni cellulari. I cromosomi che si originano da questo scambio sono uno dotato di uno o due centromeri ed uno acentrico (cioè senza centromero). Quest'ultimo è instabile ed è perso alla prima divisione cellulare.

5. I cromosomi ad anello, detti anche ring, originano dalla rottura di entrambe le braccia di un cromosoma, perdita delle regioni distali alle rotture e unione delle due estremità in una struttura ad anello.

6. I Markers o cromosomi marcatori, ovvero particolari anomalie cromosomiche caratterizzate dalla presenza di piccole porzioni cromosomiche soprannumerarie di origine sconosciuta.

(36)

2.1 Anomalie cromosomiche e malattie umane

Gli sbilanciamenti genomici e le malattie umane sono stati correlati per la prima volta nel 1959, quando è stato dimostrato che la trisomia del cromosoma 21 era responsabile della sindrome di Down (Neri G1, Opitz JM, 2009)59.

Da allora sono state descritte molte altre sindromi cliniche basate sull’identificazione delle stesse anomalie citogenetiche in pazienti con lo stesso fenotipo clinico, come la trisomia del cromosoma 13 nella sindrome di Patau, e la trisomia del cromosoma 18 nella sindrome di Edwards.

Successivamente nel 1960 fu la volta dell’inizio della citogenetica del cancro, segnata dall’identificazione del cromosoma Philadelphia (P.C. Nowell, 2007)60 causato da una traslocazione tra il cromosoma 9 ed il 22, e dalla sua associazione con la leucemia mieloide cronica.

Fu presto chiaro che la perdita o l’acquisizione di materiale genetico poteva essere associato a ritardo mentale e anomalie congenite multiple.

L’avvento dell’array-CGH descritta per la prima volta nel 1997, ha aperto la strada alla possibilità di una risoluzione più ampia nell’identificazione delle anomalie cromosomiche strutturali.

(37)

2.2 CGH Array e analisi delle anomalie cromosomiche

La citogenetica tradizionale, pur utilissima nell’identificare un gran numero di anomalie cromosomiche, numeriche e strutturali, sia bilanciate che non bilanciate, è limitata nelle sue possibilità diagnostiche dal potere di risoluzione del microscopio. Lo sviluppo della tecnologia di Ibridazione Fluorescente In Situ (Fluorescence In Situ Hybridization - FISH) ha rappresentato un passo in avanti nello screening dei riarrangiamenti genomici, portando alla nascita della citogenetica molecolare.

Nell’analisi FISH le sonde di DNA, marcate con fluorofori, sono ibridate a preparazioni di cromosomi di cellule in interfase o metafase per determinare la presenza, la localizzazione e il numero di specifici segmenti genomici. Questa tecnologia, non solo permette di trovare piccole alterazioni genomiche, da 50 Kb a 100 Kb, ma permette anche la diretta visualizzazione di queste alterazioni nelle cellule, senza che sia necessario indurne la crescita in vitro.

Queste caratteristiche hanno reso il test della FISH ideale nell’identificazione non solo delle sindromi da microdelezioni/microduplicazioni, ma anche per l’analisi di aneuplodie prenatali e per gli studi di genetica del cancro.

Sebbene la FISH permette la rilevazione di sbilanciamenti cromosomici con grande accuratezza, essa presenta il grosso limite di rilevare solo particolari mutazioni a livello di precisi loci cromosomici, poiché può sondare soltanto sequenze specifiche che sono note o sospettate essere associate a particolari sindromi e non fornisce un’analisi dell’intero genoma.

(38)

L’Ibridazione Genomica Comparata (Comparative Genomic Hybridization - CGH) supera questo limite, permettendo di identificare la presenza delle eventuali anomalie cromosomiche sull’intero genoma, senza sapere in anticipo cosa cercare.

La CGH fu introdotta nel 1992 da Kallioniemi et al.61 della University of California at San Francisco per per analizzare le aberrazioni cromosomiche implicate nell’insorgenza di tumori solidi vescicali.

Successivamente si è rivelata utile anche nella diagnosi delle aberrazioni cromosomiche costituzionali (Lapierre et al. 1998)62.

La metodica CGH si basa su un’ibridazione in situ modificata, che sfrutta la competizione tra due campioni di DNA genomico marcati con fluorocromi diversi: un campione è quello del paziente, l’altro è costituito da un pool di DNA genomico di riferimento. Nella tecnica convenzionale i DNA marcati sono ibridati simultaneamente in quantità equimolari su una superficie di vetro su cui sono fissati dei preparati metafasici normali (Fig.5).

Il vantaggio di tale tecnica è che in un’unica ibridazione si possono ottenere informazioni sulla dimensione e sulla localizzazione di tutti gli sbilanciamenti cromosomici, mentre il suo limite è il basso potere di risoluzione (3-10 Mb). (Kirchhoff, M. et al. 1999)63 .

Riferimenti

Documenti correlati

The elastic and electrostatic dipole model does not explain our calculated q, since it predicts elastic repulsive interactions weaker for the donor Aa step than for the acceptor

In fact, each of the three regression lines calculated from the echocardiographic data of the individual observers for each ventricle was statistically equal to the

In the three cohorts (ECRHS, EGEA, SAPALDIA) with available data, participants who developed asthma after baseline (i.e., incident asthma cases) were more likely than

Therefore, this trial was designed to examine the effects of the total replacement of soybean meal by using chickpea meal (a locally produced protein source) on milk

EUGL exhibits an electrical conductivity more than 4 orders of magnitude greater than that of the parent eumelanin compound. It may be speculated that this conductivity increment

Altered intestinal microbiota composition, antibiotic therapy and intestinal inflammation in children and adolescents with cystic fibrosis Maiara Brusco de Freitas 1 , Emilia

This campaign enlarges the pool of DM targets observed at very high energy (E &amp; 50 GeV) in search for signatures of DM annihilation in the wide mass range between ∼100 GeV and