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Teorie della complessità e processi formativi

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

“[…] è quel che non vidi […] lo cercai ma non c'era, in tutta quella sterminata città c'era tutto tranne/

C'era tutto/

Ma non c'era una fine. Quel che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo/

Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu, sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono 88. Tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu/

Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me/

Ma se io salgo su quella scaletta e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi/

Milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita/ Se quella tastiera è infinita, allora/

Su quella tastiera non c'è musica che puoi suonare. Ti sei seduto sul seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio/

Cristo, ma le vedevi le strade?/

Anche solo le strade, ce n'era a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una / A scegliere una donna/

Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire/

Tutto quel mondo/

Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce/ E quanto ce n'è/

Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell'enormità, solo a pensarla? A viverla.../”

(Baricco, Novecento)

Parlare di complessità appare oggi irrinunciabile a tutti i livelli. Il termine si 1

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presta ad essere usato in maniera adeguata sia dallo scienziato che si occupa dei fenomeni naturali con estremo rigore, sia "dall'uomo della strada" che si trova di fronte a decisioni sulla propria vita, difficili da tradurre in un'unica scelta sensata, ma che allo stesso tempo non ne ammettono più d'una. Anche le scienze umane si interrogano ormai da tempo sulla complessità, visto che i risultati delle loro indagini hanno confermato quanto il loro specifico oggetto sfugga ad una logica unitaria e ad una chiave di lettura che si sviluppi in senso deterministico.

Formare alla complessità è un obiettivo che si dichiara in partenza non completamente raggiungibile, proprio come tutte le cose complesse che di per sé mantengono una percentuale di elementi non calcolabili, imprevedibili, non assoggettabili ad un'analisi coerente e dai tratti omogenei. Ma ormai la formazione a tutti i livelli si presenta come percorso continuo, infinito, da considerarsi concluso solo per la scomparsa del soggetto. Di conseguenza la non raggiungibilità completa dell'obiettivo di partenza non desta stupore alcuno. Anzi si scopre che questa natura, progressiva ma mai definitiva della formazione, è in linea con la continua creazione di disordine dall'ordine che successivamente si organizza, e quindi ammetterla vuol dire accettare che non esista una formazione che non sia complessa.

Anche le istituzioni che si occupano di formare, come la scuola, la famiglia, le associazioni, si scoprono al loro interno più complesse di un tempo, in parte per le aperture globali,o per il riferimento ad una realtà sempre più interconnessa, ma anche per il contemporaneo e altrettanto importante valore attribuito a tutto ciò che è locale, dotato di senso in relazione ad un territorio, un luogo, una cultura, fondamentale per strutturare un'identità capace di sostenere i flussi di una società del cambiamento continuo.

Questa multidimensionalità si traduce in quadri legislativi che richiedono una maggiore competenza da parte dei soggetti in termini di capacità di connettere indicazioni che si sovrappongono, confondendosi, ma che allo stesso tempo restano estranee. Si pensi agli inviti e ai provvedimenti già in vigore per la costruzione di un'offerta formativa che risponda a standard di competenze 2

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valide per il mercato europeo, e alla valorizzazione dell' autonomia scolastica, volta a far "uscire" sempre di più la scuola dall'edificio scolastico per immergersi nella dimensione cittadina, come servizio aggiuntivo per la cittadinanza, risorsa strategica, presidio organizzativo capace di aggiungere ordine. Un ordine non pensato come investimento in un'ottica di beneficio futuro, come può essere una generazione ben formata, ma un ordine esigente, da apportare nell'immediato, con la consapevolezza che rimandare l'impegno non significa solo perfezionare l'intervento, ma anche dispiegarlo in condizioni ormai diverse.

La scuola si configura perciò sempre più come sede di una formazione non fine a se stessa, ma aperta fin da subito all'azione sul territorio.

Percorrere queste sollecitazioni vuol dire abbandonare logiche superate come associare l'ordine all'equilibrio e il disordine al non equilibrio. Infatti "il non equilibrio produce i suoi propri livelli di ordine e correlazione. Esso crea delle coerenze. Ci conduce quindi a ripensare le nozioni di ordine e disordine"1. Ma, se questo non bastasse, occorre pensare il non equilibrio come risorsa; infatti esso crea delle "strutture la cui coerenza supera ampiamente quella delle strutture di equilibrio descritte dalla scienza classica"2.

Questo tipo di logica richiede, come già accennato, un soggetto maggiormente competente, disposto a pensare la propria azione come un battito d'ali in Cina capace di provocare un uragano negli Stati Uniti; ma anche più tollerante alla frustrazione, più capace di gestire le proprie emozioni, consapevole che operare vuol dire rinunciare alla perfezione e sapere che per quanto impegno venga profuso basta un battito d'ali, che non possiamo essere capaci di considerare, per trovarsi nel bel mezzo di un uragano. Infatti la sfida che ci viene offerta dal pensiero complesso nasce quando in un laboratorio, o in un qualsiasi luogo, avviene qualcosa di non previsto, un caso non contemplato nella legge. A questo punto si tratta o di ripetere l'esperimento pensando che ci sia stato qualche errore e quindi ignorando quel risultato "particolare", oppure accettarlo

1 Prigogine, Elogio dell'instabilità, in AA. VV. (1990), Conoscenza e complessità, Theoria,

Roma, pag.20

2 Ivi, pag.21

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e ricomprenderlo in un "universale" più variegato, più sfaccettato. Se ci si volesse far aiutare da quest'ultimo termine nella comprensione del concetto, bisognerebbe arrivare alla conclusione che "avere più facce" vuol dire avere più difficoltà di riconoscimento della realtà come unitaria. Si tratta allora di condividere con Morin l'idea che "dietro la complessità, l'ordine e il disordine si dissolvono, le distinzioni svaniscono. Il merito della complessità consiste nel denunciare la metafisica dell'ordine"3. Quindi l'idea fondamentale della complessità è che "l'essenza del mondo è complessa e non semplice. E che tale essenza è inconcepibile. La complessità è la dialogica ordine/disordine/organizzazione"4.

3 Morin E., (1993), Introduzione al pensiero complesso. Gli strumenti per affrontare la sfida

della complessità, Sperling & Kupfer, Milano, (ed. or.1990), pag.105.

4 Ibidem.

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I. COMPLESSITÀ

I.1. Il paradigma della complessità

Parlare di complessità vuol dire accettare di occuparsi di un argomento che non si può inquadrare attraverso un'unica operazione di messa a fuoco. Serve piuttosto avere la pazienza di avvicinarsi gradualmente alla definizione di qualcosa che un pò si lascia definire e un pò sfugge, e quindi richiede un avvicinamento progressivo, con risultati sempre parziali. Serve un movimento di pensiero continuo, capace di agire ricorsivamente, come insegna la cibernetica, e la capacità di accettare anche quanto, nel caso in cui si utilizzino modalità di pensiero classico, risulti controintuitivo. La difficoltà che si incontra è dovuta alla necessità di disporre, per affrontare il cammino, di un modo complesso di processare il reale, che dovrebbe essere l'esito di un percorso ed invece va assunto, anche, come requisito.

Utilizzando una metafora semplificante, si può notare come chi impara a nuotare lo faccia immergendosi in acqua, non lo può fare leggendo un libro o partecipando ad un seminario sul nuoto. Appare subito chiaro che saprà nuotare al termine di un processo, ma è altrettanto necessario che entri in acqua come se già possa in qualche modo nuotare. Morin sostiene che "la riforma del pensiero esigerebbe una riforma dell'insegnamento (primario, secondario, universitario) che a sua volta richiederebbe la riforma del pensiero. [...] La riforma del pensiero è un problema antropologico e storico chiave. Ciò implica una rivoluzione mentale ancora più importante della rivoluzione copernicana. Mai nella storia dell'umanità le responsabilità del pensiero sono state così enormi"5. Cambiare il pensiero vuol dire cambiare il soggetto la cui qualità fondamentale è quella di essere pensante, ma vuol dire anche cambiare l'oggetto la cui caratteristica principale è quella di essere pensato in qualche modo. Se è necessario operare un cambiamento del modo di conoscere tanto profondo da mettere in discussione sia il soggetto sia l'oggetto della

5 Morin A. Kern B., (1994), Terra-Patria, Raffaello Cortina, Milano,pagg.170-171

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conoscenza, non si può prescindere da un cambiamento di paradigma.6 La riforma del pensiero appare così "non programmatica, ma paradigmatica, poichè concerne la nostra attitudine a organizzare la conoscenza"7.

Ad oggi manca una teoria unificata sulla complessità e siamo di fronte ad un paradigma allo "stato nascente, poiché [...] i numerosi contributi, personali o di équipe, che i vari scienziati vi hanno apportato sono sì frutto di uno sfondo culturale comune, ma questo non ha ancora prodotto una terminologia condivisa, un accordo generalizzato sulla maniera “corretta” di porre i problemi"8. Chiuppesi arriva a delineare una "matrice disciplinaria" degli studi sulla complessità che si forma a partire dal concorso di molteplici paradigmi9. Si può parlare quindi non tanto di un unico paradigma, ma di una serie di paradigmi della complessità contigui tra loro e in parte sovrapposti.

D'altronde lo stesso Morin sostiene che "non è possibile estrarre dalla tasca, io non posso, non pretendo di estrarre dalla tasca un paradigma di complessità"10. Infatti un paradigma richiede un notevole sviluppo culturale, storico, dei tempi di elaborazione che rendano un modello largamente condiviso da una comunità di studiosi. "Il paradigma di complessità verrà dall'insieme di nuove concezioni, di nuove prospettive, di nuove scoperte e di nuove riflessioni che si

6 Morin,(1994) il paradigma perduto. Cos'è la natura umana, Feltrinelli, Milano.

7 Morin E., (2000), La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero,

Raffaello Cortina Editore, Milano, pag.100.

8 Chiuppesi M., (2007), Complessità e vaghezza, frattali e logica fuzzy: nuovi sentieri per la

ricerca sociale, Edizioni Plus, Pisa, pag. 7.

9 "In effetti, stabilire in che misura ciascuno dei differenti paradigmi concorra alla matrice, e

in che relazione i paradigmi stiano gli uni con gli altri, non è compito facile: in genere, ciascun autore abbia operato in questo settore ha dato una sua personale visione di quale fossero i rapporti tra i vari approcci. Così ad esempio von Bertalanffy pone sullo stesso piano teoria dei compartimenti, teoria degli insiemi, dei grafi, delle reti, degli automi, delle decisioni, delle code, nonché la cibernetica - e considera la lista incompleta; Joël de Rosnay indica invece l’approccio sistemico come prodotto della cibernetica, ma distinto dalla teoria generale dei sistemi di von Bertalanffy e dall’analisi sistemica; Giorgio De Michelis, nell’introduzione all’edizione italiana di Autopoiesis and Cognition di Maturana e Varela, sostiene invece che la teoria dell’autopoiesi sia parte della teoria dei sistemi generali, inserita in un generico “filone di ricerca” sviluppatosi sull’opera di Wiener e di von Bertalanffy. In breve, non è possibile stabilire univocamente rapporti di natura gerarchica tra la diverse correnti e tra i vari apporti che hanno contribuito allo sviluppo degli studi sulla complessità, e questo denota il grado di fluidità della situazione in questo settore." in Chiuppesi M., (2007), Complessità e vaghezza, frattali e logica fuzzy: nuovi sentieri per la ricerca sociale, Edizioni Plus, Pisa, pag. 8.

10 Morin E.(1993), Introduzione al pensiero complesso. Gli strumenti per affrontare la sfida

della complessità, Sperling & Kupfer, Milano, (ed. or.1990) pag. 77

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combineranno e si aggiungeranno le une alle altre"11. Sicuramente ci si può avvicinare al nuovo paradigma allontanandosi dal vecchio, da quello della semplificazione basato sulla disgiunzione e la riduzione. Questo paradigma poggia le sue fondamenta sul pensiero di Cartesio, che ha disgiunto il soggetto pensante (res cogitans) dalla cosa estesa (res estensa), e di conseguenza ha creato una divisione fra i campi della conoscenza scientifica. Questa disgiunzione ha portato con sè l'iperspecializzazione, l'approfondimento estremo della ricerca sempre più concentrata su segmenti della realtà, con una conseguente perdita di vista di una visione d'insieme.

Esemplificativo a tale proposito potrebbe rivelarsi l'analisi dell'uomo considerato come oggetto di studio. L'uomo è sia un essere biologico che culturale. Seguendo il paradigma di semplificazione prevarrebbe la tendenza a scindere il piano biologico da quello culturale, studiandoli in dipartimenti differenti. Non soltanto l'uomo subirà questo smembramento, anche le sue parti saranno divise e studiate secondo ottiche spesso non comunicanti. Così si studierà il cervello come organo biologico e la mente sarà appannaggio della psicologia, trascurando il fatto che l' uno e l'altra non esistono separatamente. Quello che invece è necessario sviluppare è la distinzione senza disgiunzione, la capacità di congiungere senza ridurre. Pensare diversamente vuol dire vivere diversamente e proporre modelli nuovi per affrontare le sfide contemporanee. Inoltre è possibile che i vecchi modi di stabilire relazioni fra le cose determinino proprio essi delle situazioni problematiche. La tradizione della Gestalt offre spunti interessanti per capire che spesso la risoluzione di un problema richiede soltanto un modo diverso di leggere le relazioni fra gli elementi che lo compongono. Questo implica che gli elementi che ho di fronte possono essere già sufficienti a risolvere il problema, non è necessario qualcosa di nuovo, se non uno "sguardo" diverso che metta a fuoco nuove relazioni fra le cose.

Per esemplificare questo concetto si può far riferimento ad un esperimento di Kohler12. Uno scimpanzè rinchiuso dalle sbarre di una gabbia vede un casco di

11 Ibidem

12 Koheler W., (1961), L'intelligenza nelle scimmie antropoidi, Giunti Barbera, Firenze.

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banane poco distante. Prova ad allungare gli arti superiori ma non ci arriva perchè le sbarre glielo impediscono. A quel punto le sbarre diventano il suo problema, prova a forzarle, gira freneticamente per tutta la gabbia cercando una sbarra più debole, si scaglia contro di loro, prova a sbatterci contro quello che c'è nella gabbia, fra cui un bastone che, essendo di legno, non ha nessun effetto. All'ultimo tentativo di colpire le sbarre il bastone cade a terra.

In quel momento l'animale mette a fuoco che quel bastone non è solo un "elemento per battere", ma può essere anche un "prolungamento del braccio". Operare questa diversa messa a fuoco13 porta a risolvere il problema cambiando in qualche modo la meta su cui si erano concentrati tutti gli sforzi: abbattere le sbarre. Inoltre il problema viene risolto, non grazie a nuovi elementi che vengono forniti, ma grazie ad elementi da sempre disponibili.

Un altro esponente della Gestalt, Wertheimer14, mette in evidenza come Einstein sia arrivato a formulare la sua teoria della relatività non grazie a nuovi dati che aveva a disposizione, ma semplicemente attraverso una diversa lettura di quelli già disponibili.

Uno dei problemi aperti del nostro tempo è sicuramente quello collegato alla scuola, alla formazione dei giovani. Come sottolinea il sociologo Zygmunt Bauman, “l’attuale crisi pedagogica è prima di tutto una crisi delle istituzioni e delle filosofie ereditate. Nate in funzione di una differente specie di realtà, esse trovano sempre più difficile assorbire, inglobare e contenere i cambiamenti senza una completa revisione delle cornici concettuali che impiegano.”15

13 I pensatori della Gestalt parlano di einsicht termine che può essere tradotto come "vedere

dentro", e che sostanzialmente indica un'intuizione che porta ad instaurare nuove relazioni fra le cose.

14 Wertheimer M., (1965), Il pensiero produttivo, Giunti Barbera, Firenze. (ed. or. 1959)

15 Bauman Z. (2002), La società individualizzata, Bologna, Il Mulino, p. 162.

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I.2. Complessità, azione, conoscenza

Il cambiamento di paradigma auspicato da Morin avrebbe un effetto intenso e pervasivo con conseguenze esistenziali, etiche e civiche. Infatti "un modo di pensare capace di interconnettere e di solidarizzare delle conoscenze separate è capace di prolungarsi in un'etica di interconnessione e di solidarietà tra umani. Un pensiero capace di non rinchiudersi nel locale e nel particolare, ma capace di concepire gli insiemi, sarebbe adatto a favorire il senso della responsabilità e il senso della cittadinanza."16 Di fatto, questo può essere favorito, conciliato e promosso attraverso l'abbandono di una visione di un mondo fuori di noi completamente scisso dall’organismo che lo percepisce, che è la pesante eredità lasciataci da una tradizione di pensiero dualistico-oppositiva. Questa eredità è portatrice di una logica utilitaristica; infatti se gli oggetti del mondo sono qualcosa di staccato e di completamente diverso dall'uomo che è dotato della razionalità, ed è perciò superiore, è possibile sfruttarli a proprio piacimento. Pensare in termini di estraneità e di separazione rispetto a sé, facilmente consente di scivolare dallo sfruttamento dell'ecosistema naturale, già di per sè grave, alla sfruttamento di popoli, secondo una prima impressione, diversi da noi. Pare opportuno sottolineare che si giunge a queste affermazioni che potrebbero sembrare frutto di considerazioni etiche, come conseguenza di considerazioni tecniche che attingono da diversi campi, dall'ecologia alla psicologia. Ancora una volta può essere interessante riportare alcuni ragionamenti di Wertheimer su come sia opportuno riflettere per accostarsi a "strutture", modi di affrontare la realtà che non soddisfano il soggetto che poi vive quella realtà. Lo scienziato sostiene la necessità di sviluppare una transizione da uno stadio in cui il soggetto vuole semplicemente raggiungere un certo scopo, ed il pensiero è interamente centrato su di esso, ad un altro stadio in cui il suo modo di ragionare, le operazioni, le azioni che compie, sono centrate sulle esigenze fondamentali della situazione in cui si trova. Si arriva a

16 Morin E., (2000), La teste ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero,

Raffaello Cortina Editore, Milano, pag.101

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dire che il soggetto diviene "virtualmente cieco" se mira solo al raggiungimento di quello che gli appare come un proprio fine. Gli individui non esistono di per sè, ma vivono in situazioni, ed è dal rapporto con queste che traggono soddisfazioni, frustrazioni, motivazioni o semplicemente problemi da affrontare. Se ne deduce che l'individuo "spesso deve prima dimenticare quello che egli desidera in quel momento prima di divenire sensibile a ciò che la situazione stessa richiede. [...]Il ruolo degli interessi meramente soggettivi dell'individuo viene, secondo me, stimato eccessivamente nelle azioni umane. Quando si pensa veramente, ci si dimentica di se stessi nel pensare; i vettori principali del pensiero genuino spesso non si riferiscono all'io con i suoi interessi personali, ma piuttosto rappresentano le esigenze strutturali della situazione data."17Concludendo, Wertheimer dice che nel caso in cui il centro delle forze che tiene in piedi una struttura di realtà sia un io "non si tratta semplicemente dell'io come centro dello sforzo soggettivo"18.

Dimenticarsi di se stessi secondo l'ottica proposta da questo percorso non vuol dire altro che accorgersi veramente di se stessi, e iniziare a considerarsi come esseri non scindibili dal contesto in cui viviamo, che a sua volta non è analizzabile, e forse non esisterebbe nemmeno, senza l'osservatore-concettore che l'individuo è.

I tempi sono maturi, anzi richiedono a noi di esserlo abbastanza, per porsi di fronte alla domanda “Quale struttura [pattern] connette il granchio con l’aragosta, l’orchidea con la primula e tutti e quattro con me? E me con voi? E tutti e sei noi con l’ameba da una parte e con lo schizofrenico dall’altra?”19. Con la consapevolezza che viviamo in un mondo ormai da tempo descritto come un villaggio globale nel quale, riprendendo le parole di Benjamin Franklin, "noi dobbiamo realmente stare tutti uniti, altrimenti è certo che saremo divisi"20.

17 Wertheimer M., (1965), Il pensiero produttivo, Giunti Barbera, Firenze, pagg. 194-195 18 Ibidem, pag. 195

19 Bateson G., (1984), Mente e natura. Un’unità necessaria, Milano, Adelphi, pag. 21. 20 Citato in Gardner H., (2007), Cinque chiavi per il futuro, Feltrinelli, Milano, pagg.11-12.

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D'altronde a rendere ancora più salde queste considerazioni sulla necessità di non riferirsi a quanto è fuori di noi in termini soltanto di oggetto può contribuire la filosofia esistenzialista, secondo la quale noi abbiamo una visione del mondo che non si limita a rispecchiare quanto è in esso contenuto. Il nostro essere "progetti-gettati" significa essere interpreti del mondo. Se il mondo, quando lo si conosce, fosse semplicemente isolato come un oggetto, sarebbe privo della nostra libertà di pensiero che contamina le cose che conosciamo, dei nostri interessi, delle sfumature che ci portano a dare valore ad alcuni elementi piuttosto che ad altri, ed in definitiva di valori; sarebbe un mondo senza importanza, forse senza vita, e senza la possibilità di pensare il futuro che nasce solo a partire da un incontro e una danza fra l'uomo e i suoi pensieri/oggetti di pensiero.

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I.3. Pensare la scuola: i principi del pensiero complesso

Se è estremamente difficile parlare di un paradigma definendolo attraverso una serie di indicazioni che comprendano tutti gli sforzi ad oggi compiuti per abbracciare la complessità, si possono indicare, con l'aiuto di Morin, dei principi guida che permettano di pensare la complessità, caratterizzati da una logica di fondo che favorisce l'interconnessione del pensato21.

Il primo principio è quello sistemico o organizzazionale, secondo il quale il tutto è più della somma delle parti. Quando gli elementi si relazionano fra loro, emergono caratteristiche che non verrebbe neanche da pensare se venissero considerati isolatamente. A livello scientifico è sufficiente fare riferimento all'acqua che, come tutti sappiamo, ha formula H2O. Appare subito ovvio che tale combinazione di elementi, idrogeno ed ossigeno, dà vita ad un composto che ha caratteristiche ben diverse dall'ossigeno e dall'idrogeno presi isolatamente. In questo momento stiamo respirando l'ossigeno contenuto nell'aria, ma non possiamo fare la stessa cosa con l'ossigeno contenuto nell'acqua. Questo perchè quando i due elementi si associano danno vita ad un'organizzazione specifica, che non è frutto soltanto di un'unione tra due quantità. Infatti si instaurano dei rapporti che fanno emergere delle qualità fino a quel momento dormienti. Questo principio va tenuto presente anche in ambito educativo, considerando che esso è composto sempre di aggregati, sia quello del gruppo classe, piuttosto che quello dei sottogruppi in cui si svolge un lavoro specifico, o dei due compagni di banco che formano un'associazione stabile attraverso la quale si dedicano alla partecipazione alle lezioni nel corso della mattinata. Bisogna inoltre che gli stessi insegnanti si pensino non come operatori singoli, ma come membri di una comunità che gestisce l'apprendimento.

Ha poco senso curare le proprie competenze, o predisporre le proprie lezioni, in

21 Questi principi sono sullo sfondo di tutte le sue opere, anche quelle che non trattano

direttamente il pensiero complesso, ma altre tematiche come l'integrazione europea.

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un'ottica isolata, perchè questo potrebbe arrivare a produrre "emergenze"22disfunzionali al gruppo degli insegnanti di cui si è parte. Seguendo Morin si può arrivare a dire che le qualità più preziose del nostro universo emergono dal rapporto di costituenti di base come del terriccio, del concime, degli elementi chimici, dei batteri. Di conseguenza bisogna cambiare tutta la nostra visione delle cose che spesso parte da singoli elementi senza che ci si renda conto che quei singoli elementi sono già frutti ultimi, esiti, a loro volta parte di processi ulteriori in cui sono implicati. "La coscienza, la libertà, la verità, l'amore sono dei frutti, dei fiori. Le attrattive più sottili, i profumi, la bellezza dei volti e delle arti, i fini sublimi ai quali noi ci dedichiamo sono le efflorescenze di sistemi di sistemi di sistemi, di emergenze di emergenze di emergenze...Essi rappresentano ciò che vi è di più fragile, di più alterabile; un niente li farà sfiorire, la degradazione e la morte li colpiranno per primi, mentre noi li crediamo o li vorremmo immortali"23.

Bisogna poi aggiungere che il tutto è anche meno della somma delle parti, compiendo così uno sforzo per fornire una rappresentazione quanto più completa della realtà.

Infatti le relazioni fra le parti fanno emergere di alcune qualità determinate dalle loro interazioni, ma allo stesso tempo queste relazioni pongono alle parti dei vincoli. Morin afferma "è in realtà laddove l'organizzazione crea e sviluppa regolazioni attive, controlli e specializzazioni interne, vale a dire a partire dalle prime organizzazioni viventi -le cellule- fino alle organizzazioni antropo-sociali che si manifestano con altrettanta chiarezza sia il principio di emergenza sia il principio di vincolo"24. A livello chimico questo è evidente se facciamo riferimento a composti che acquisiscono lo stato liquido in virtù di un legame fra molecole, che di per sè si troverebbero allo stato gassoso, che quindi viene perso. L'uomo stesso, vivendo nel tutto-società di cui è una parte, è vincolato, essendo sottoposto a divieti e coercizioni di natura culturale o più

22 Si usa questo termine per definire le nuove proprietà che emergono quando un elemento

entra in rapporto con altri, qualità che esso non avrebbe se fosse preso isolatamente.

23 Morin E., (2001), Il metodo. La natura della natura, Raffaello Cortina editore, Milano,

pag. 127

24 Ibidem pag. 128.

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espressamente legale. Anche tratti innati iscritti nel nostro patrimonio genetico, come quello di sorridere, vengono espressi in modi specifici determinati culturalmente e trasmessi attraverso l'educazione, in maniera tale che essi rappresentano dei vincoli. Volendo approfondire ancora di più questa riflessione si potrebbe sostenere che nel corso della giornata, in relazione ai diversi contesti in cui ci troviamo, a secondo di quello che svolgiamo nell'ambito di quell'organizzazione, alcune parti di noi sono sottoposte a dei vincoli che le costringono a rimanere in ombra. Basti pensare ai ruoli che ognuno di noi alterna nel corso della giornata e che lo portano ad essere un severo dirigente, un genitore amorevole, ma fermo, un confidente solidale con un amico. Esercitare un ruolo, seppur lo si faccia in maniera personale e flessibile, è caratterizzato sempre dall'accettare alcuni limiti insiti nella dinamica organizzativa che lega quel ruolo ad altri, determinando contesti di relazione. Così il poliziotto potrà essere più o meno vicino emotivamente alla persona che deve arrestare, magari perchè ha rubato esclusivamente per fame, ma il suo ruolo lo porta comunque a dover far rispettare la legge.

Questo spiega come le nostre valutazioni sui singoli allievi che ci apparirebbero inadatti allo studio o a fare cose secondo noi di qualità, vengono a volte smentite dalla riuscita di quelle stesse persone in ambito lavorativo. Leggere questo cambiamento (si potrebbe dire l'emergere di nuovi tratti in quelle persone), come una semplice maturazione, oppure come un fenomeno legato all'essere più portati al mondo lavorativo, determina l'occultamento di una parte di verità: quei ragazzi non sono soltanto quello che emerge all'interno del contesto in cui ci è dato di osservarli, sono molto di più. Se questa consapevolezza non facilita direttamente una revisione dei contesti che noi contribuiamo a creare quando sviluppiamo apprendimenti, almeno deve portare ad una maggiore delicatezza e a maggiori riserve quando pronunciamo giudizi. Il principio ologrammatico ci spinge a pensare che non solo la parte compone il tutto, ma quel tutto è presente in ogni singola parte. Così possiamo notare come tutto il patrimonio genetico è presente in una singola cellula, ma anche come tutta la cultura di una specifica società è presente in ogni singolo individuo. In 14

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quest'ottica la scuola svolge una funzione strategica ricoprendo sempre di più il ruolo di luogo deputato alla costruzione della società del futuro. Infatti le nostre aule sono sempre più frequentate da studenti che sono "parte" di culture diverse dalla nostra. Ma, come ci insegnano le scienze umane, un individuo non è semplicemente una parte della società, è portatore di tutto il corredo di informazioni che caratterizza la sua cultura. La scuola ha la possibilità di essere lo scenario ideale in cui ci si trova a dialogare cercando una forma di organizzazione che secondo il pensiero complesso va sempre di pari passo con il disordine della diversità. In questo senso, parlare di come affrontare il problema del multiculturalismo a scuola è un errore di pensiero perchè bisognerebbe pensare la scuola come luogo privilegiato dal quale affrontare il problema/risorsa25 del multiculturalismo della società.

Il principio dell'anello retroattivo ci porta ad abbandonare i criteri di causalità lineare che offrivano spiegazioni dei processi a senso unico, caratterizzati da cause che come effetto producevano certi fenomeni. Secondo questo principio l'effetto esercita un'azione specifica sulla causa generando degli equilibri del tutto particolari, contestuali. L'anello di retroazione determinato dall'influenza che l'effetto produce sulla causa che lo ha generato svolge la funzione di stabilizzare un sistema. Il feed-back diventa un momento fondamentale, probabilmente centrale, di un determinato processo. Il centro della programmazione di una lezione ben organizzata si sposta perciò dalla semplice costruzione di un percorso interessante che diventa un percorso che non può esistere senza il contributo degli allievi, perciò meno prevedibile a tavolino prima che questi siano attivamente coinvolti in un cammino comune. Non è necessario solo camminare insieme, ma più esplicitamente decidere insieme il percorso da fare. Questo genera una co-dipendenza di professori e alunni che va inserita in un quadro generale secondo il quale "essere soggetti significa essere autonomi essendo contemporaneamente dipendenti"26.

25 Risorsa perchè l'aumento di diversità è sintomatico di un aumento di complessità che di per

sè può essere un vantaggio per un sistema.

26 Morin E.(1993), Introduzione al pensiero complesso. Gli strumenti per affrontare la sfida

della complessità, Sperling & Kupfer, Milano, pag.65.

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Il principio d'autonomia/dipendenza (auto-eco-organizzazione) sottolinea quanto gli esseri umani consumino continuamente energia per mantenere la loro autonomia27. Quindi questa autonomia è legata ad un ambiente, dal quale ricavano l'energia materiale attraverso il processo di nutrizione, ma dal quale ricavano anche l'energia motivazionale per porsi obiettivi, abbracciare valori, intravedere orizzonti di realizzazione.

La scuola deve pensare a questa dimensione per "nutrire" una società che si tiene in piedi anche grazie a rappresentazioni del futuro prese a cuore dalle persone. Benasayag e Schimit28mettono in luce quanto sia fredda e scarsamente capace di generare vera formazione la proposta di un impegno in vista di un futuro difficile che ci attende. Il futuro si costruisce dal presente e, perchè si generi la spinta a trasformarsi tipica di ogni formazione, è necessario intravedere qualcosa per cui vale la pena far partire un processo tanto profondo da stimolare il cambiamento. In questo scenario gli allievi non possono essere pensati come oggetti da selezionare o da abituare ad un impegno che sia slegato completamente dalle loro passioni. Questo vuol dire valorizzare una visione dell'individuo come essere autonomo e perciò avente valore di per sè. Altrettanto vero è che queste autonomie non potrebbero sopravvivere senza alcuna dipendenza e quindi pare importante conciliarle con un contesto che senza il loro impegno non solo scomparirebbe, ma impedirebbe a quei soggetti di esercitare la loro autonomia.

L'allievo, come tutti gli esseri umani, va considerato perciò in un'ottica complessa come "una miscela di autonomia, di libertà, di eteronomia e direi anche di possessione da parte di forze occulte che non sono semplicemente quelle dell'inconscio, messe in luce dalla pscicoanalisi"29. Interessante a questo

27 "Ma nel momento stesso in cui il sistema auto-organizzatore si stacca dall'ambiente e se ne

distingue, per via della sua autonomia e della sua individualità, tanto più fortemente esso si lega all'ambiente, attraverso l'estensione dell'apertura e dello scambio che accompagnano ogni incremento di complessità: è organizzatore. [...] Il sistma auto-eco-organizzatore è legato ad una propria individualità,e questa è legata a relazioni molto ricche, quindi di dipendenza con l'ambiente. Più autonomo, esso è meno isolato."Morin E. (1993), Introduzione al pensiero complesso. Gli strumenti per affrontare la sfida della complessità, Sperling & Kupfer, Milano, pag. 30.

28Benasayag M. e Schimit G., (2004), L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano.

29 Morin E.(1993), Introduzione al pensiero complesso. Gli strumenti per affrontare la sfida

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proposito è l'esperimento, riportato da Morin, che vede un soggetto sottoposto ad una doppia suggestione ipnotica. Ad un fumatore, durante lo stato ipnotico viene ordinato di smettere di fumare, e di passare, per andare al lavoro, attraverso un tragitto insolito allungando la strada. Poi si fanno dimenticare questi comandi. Il giorno seguente, la persona si sveglia, dice fra sè e sè che è arrivato il momento di smettere di fumare e che passerà da quella strada dove è presente una pasticceria nella quale farà tappa come ricompensa. Anche questa è l'autonomia dell'essere umano.

A rendere ancora più complesso il quadro, occorre evidenziare che anche il sistema dal quale noi dipendiamo non è autonomo rispetto a noi e ha bisogno del nostro contributo. Noi dipendiamo da una società che a sua volta ci richiede di adoperarci per mantenerla in vita. Chi ci ha dato vita (un contesto sociale) paradossalmente richiede a noi di mantenerlo in vita. Abbracciare quest'ottica comporta la creazione di un contesto-scuola in cui nessun alunno possa lamentarsi della scuola se non lamentandosi in primo luogo di se stesso che è una parte non separabile di quella scuola di cui parla. Questo richiede agli insegnanti di diffondere l'esperienza di una costruzione comune in cui tutti si è corresponsabili anche se con pesi e ruoli differenti. La teoria dei gruppi ci insegna che un gruppo, di fronte ad un obiettivo comune, si organizza in ruoli per il raggiungimento degli scopi che tutti ritengono importanti e che la differenziazione è funzionale ad una maggiore coesione e organizzazione. Ma questo richiede la capacità del docente di condividere degli scopi con i propri allievi e non solo quella di porsi come obiettivo di esaurire il programma. Inoltre il ruolo non crea gerarchie di importanza in senso assoluto, ma differenziazione organizzativa in vista della cosa veramente importante, che è quella di raggiungere l'obiettivo comune, anche a costo di mettere l'insegnante dietro un banco e l'alunno in cattedra; come potrebbe essere nel caso in cui per creare interesse nella classe, sia stimolante usare nuove tecnologie nelle quali un allievo sia più capace dello stesso insegnante.

Tutto ciò aiuta a pensare in relazione ad altri due principi del pensiero

della complessità, Sperling & Kupfer, Milano, pag. 67

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complesso, quello dialogico e quello dell'anello ricorsivo30. Il primo ci suggerisce che anche le nozioni che si escludono a vicenda sono indissociabili e compongono una stessa realtà. Questo è già stato profondamente meditato nelle filosofie orientali ed ha dato vita ad alcune rappresentazioni simboliche come Il Tao. In sostanza non esiste il male che escluda da sè completamente il bene, nè tantomeno il bene in completa purezza. Anche in fisica si è riconosciuto il valore di nozioni apparentemente contraddittorie per pensare e descrivere i fenomeni complessi. Niels Bohr, infatti, ha messo in luce quanto sia fondamentale concepire le particelle fisiche sia come onde che come corpuscoli. Alcune sue considerazioni sono state impiegate anche per analizzare i fenomeni umani, come fa ad esempio Bruner, quando al termine di un saggio in cui intende celebrare la divergenza fra Piaget e Vigotskj cita la frase "gli opposti di grandi verità possono essere veri; soltanto gli opposti di piccole verità sono falsi."31. Il principio dell'anello ricorsivo porta il pensiero ben oltre l'idea regolativa di retroazione fino a riflettere sulle nozioni di auto-organizzazione e auto-produzione. Un processo è da considerarsi ricorsivo quando gli effetti sono contemporaneamente cause di ciò che li produce32. Noi siamo contemporaneamente prodotti e produttori della società. Secondo Morin "l'idea di ricorsione in termini di prassi organizzazionale, significa logicamente produzione-di-sè e rigenerazione. [...] L'idea di ricorsione rafforza e chiarisce l'idea di totalità attiva."33Questo vuol dire che "contemporaneamente l'azione totale dipende da quella di ogni momento o elemento particolare, cosa che dissipa qualsiasi idea nebulosa o mistica della totalità"34. Pensare che l'azione

30 Da non confondere con quello di retroazione di cui si è già parlato.

31 Massima di Niels Bohr citato in Bruner, Celebrare la divergenza: Piaget e Vygotskij in

Liverta Sempio O., (1998), Vygotskij, Piaget, Bruner. Concezioni dello sviluppo, Raffaello Cortina Editore, Milano, pag. 23

32 "[..]questo appunto un processo ricorsivo: ogni processo i cui stati o effetti finali producono

gli stati o le cause iniziali. Definisco quindi come ricorsivo ogni processo attraverso il quale un'organizzazione attiva produce gli elementi e gli effetti che sono necessari alla sua stessa generazione o esistenza, processo circuitario attraverso il quale il prodotto o l'effetto ultimo diviene elemento primo e causa prima. La nozione di anello appare quindi assai più che retroattiva: è ricorsiva."Morin E., (2001), Il metodo. La natura della natura, Raffaello Cortina editore, Milano, pag. 213-214

33 Morin E., (2001), Il metodo. La natura della natura, Raffaello Cortina editore, Milano,

pag. 214

34 ibidem

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totale dipenda da ogni momento particolare implica, nel caso in cui si voglia applicare tale criterio all'insegnamento, aver cura di non lasciare nessuno indietro nel percorso che si propone. Ancora di più significa porre l'attenzione di tutte le unità al movimento complessivo, responsabilizzando tutti, in un'ottica che porti l'allievo a non concentrarsi solo sul proprio profitto, ma ad essere attento anche ai compagni. Considerando che l'insegnante si alterna con altri ed è presente in classe per poche ore, i veri "padroni di casa" sono da considerarsi gli allievi. Quindi la maggiore possibilità di autoformazione che la rete offre deve essere messa al servizio della classe, trasformando gli interessi personali di un allievo in una risorsa. Mettere al centro di alcune lezioni gli approfondimenti autonomamente sviluppati, non è soltanto un modo per rendere più protagonisti gli alunni, ma serve ad innescare un processo complessivo in cui l'alunno inizia a pensare che si può essere produttori di quello che si fa a scuola. La forza di questa acquisizione si riflette sul coinvolgimento degli studenti e trasforma la scuola non solo in un'impresa collettiva, ma anche in luogo di realizzazione personale, dimensione purtroppo sempre più assente nella scuola moderna. Appare inoltre importante pensare la scuola come sistema aperto. La forza di questo tipo di sistemi è legata alla capacità di assorbire energia dall'esterno impiegandola per far fronte alla tendenza al disordine interno. La forza dei progetti, degli stage, delle visite guidate sempre più diffusi, va pensata proprio in quest'ottica; infatti questi non sono soltanto momenti in cui si fa esperienza del mondo lavorativo o di aspetti specifici, ma situazioni in cui si "assorbono" esperienze che vanno rilette, analizzate insieme e che rendono concreta (danno ordine) ad una dimensione teorica che per sua natura ha caratteri di estrema generalizzabilità e flessibilità, che possono se non ulteriormente organizzati, apparire caotici. Inoltre incidere come scuola sul proprio territorio35 ha un valore enormemente stabilizzante sul sistema che è portato ad organizzarsi e a scoprirsi capace di cambiare la realtà e di conseguenza ad acquisire realtà.

Altro principio fondamentale del pensiero complesso è quello della

35 Quindi ancora una volta aprire il sistema scuola all'esterno.

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reintegrazione del soggetto conoscente in ogni processo di conoscenza36. In sostanza al centro di ogni atto cognitivo a partire dalla semplice cognizione fino alla formulazione di una teoria scientifica c'è una mente/cervello determinata da dimensioni personali e culturali. "Quindi il mondo è all'interno della nostra mente la quale è all'interno del mondo.[...] allo stesso modo in cui nella microfisica l'osservatore perturba l'oggetto, il quale perturba la sua percezione, così le nozioni di oggetto e di soggetto sono profondamente perturbate l'una dall'altra"37. Ma se l'oggetto dipende anche dal soggetto allora la scuola è un luogo non solo di trasmissione ma di costruzione della cultura. L'idea che ci sia sempre spazio per la costruzione di qualcosa di nuovo, perchè anche una ricostruzione di quanto già detto presenta caratteri nuovi vista la multidimensionalità del reale, porta al riconoscimento del valore di un principio di incompletezza e di incertezza. Infatti "il pensiero complesso è animato da una tensione permanente tra l'aspirazione a un sapere non parcellizzato, non settoriale, non riduttivo, e il riconoscimento dell'incompiutezza e dell'incompletezza di ogni conoscenza"38. L'incompiutezza non è da riferirsi soltanto al mondo che l'uomo trova fuori di sè, quel mondo, lo abbiamo detto, è tutto anche dentro di lui al punto da poter affermare che "l'incompiutezza dell'uomo è l'uomo"39. Ma è proprio da questo riconoscimento che acquista senso aprirsi all'avventura della conoscenza40. 36Infatti secondo il fisico Erwin Schroedinger "rimane assodato che le recenti scoperte fisiche

hanno condotto fino al confine misterioso fra il soggetto e l'oggetto. Questo confine, così si dice, non è affatto un confine preciso. Ci siamo potuti rendere conto che non osserviamo mai un oggetto, senza che esso sia modificato o influenzato dall'attività che abbiamo esplicata nell'osservarlo. Ci siamo resi conto che l'urto dei nostri metodi raffinati di osservazione e di pensiero sui risultati delle nostre esperienze ha infranto questo misterioso confine tra il soggetto e l'oggetto" Schroedinger E., Come la scienza rappresenta il mondo, in L'immagine del mondo, Boringhieri, Torino, 1987, pag. 158-159, citato in Iacono A.M. ( 1995)Tra individui e cose, Manifestolibri, Roma. pag. 56.

37 Morin E.(1993), Introduzione al pensiero complesso. Gli strumenti per affrontare la sfida

della complessità, Sperling & Kupfer, Milano, pag.42

38 Ibidem pag.3

39 Toscano M. A., (1998), Spirito sociologico, Franco angeli, Milano, pag. 80

40 Particolarmente calzante appare quanto sostiene Cambi F. (2000), Manuale di filosofia

dell'educazione, Laterza, Roma-Bari pag. 161 "Qui siamo davanti a un vero e proprio problema/sfida: ad un compito e ad un «enigma», che reclama audacia e tensione, che esige un preciso azzardo teoretico: pensare la formazione nella direzione della forma (connettendola alla pedagogia) e, nel contempo, in quella della strutturazione, de-costruzione della forma, in modo che essa giochi si il suo ruolo regolativo e intenzionale,

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I.4. Sistemi complessi: azione e organizzazione

L'incompletezza di ogni conoscenza porta ad una diversa considerazione del concetto di esattezza. Tale ammissione di parzialità non porta a mettere da parte il rigore quando si indaga la realtà, o semplicemente si ripercorrono, magari in una lezione in classe, i risultati di qualche ricerca.

Iacono41, citando Heidegger, sottolinea quanto l'esattezza matematica che raggiungiamo quando ci accostiamo allo studio dei fenomeni naturali, non derivi da una corrispondenza tra la realtà esterna e la nostra capacità di esperirla, ma sia "la conferma di un progetto che ha già deciso a priori i confini di ciò che deve essere considerato oggettivo e al cui interno un fenomeno naturale si rende visibile come tale".42Diversamente, nelle Scienze Sociali, Storiche, Biologiche, per soddisfare il requisito del rigore, occorre accettare di essere inesatti. Queste scienze rivolgono la loro attenzione a fatti e circostanze non accessibili all'osservazione diretta (si pensi in particolare alla Storia); tuttavia, in accordo con uno dei grandi protagonisti della fisica contemporanea, Erwin Schroedinger, bisogna ammettere che ciò sia in un certo senso inevitabile anche in fisica43. Se il soggetto influenza i suoi oggetti di conoscenza, bisogna indagare il suo sistema di attribuzione di rilevanza, le sue caratteristiche culturali, insomma, per quanto possibile, bisogna conoscerlo. Appare così sempre più opportuno ed inevitabile affiancare conoscenze afferenti a discipline diverse. Infatti il deficit informativo di cui soffre la nostra conoscenza a tutti i livelli non si può affrontare con l'iperspecializzazione delle singole discipline, attraverso la frammentazione e l'approfondimento estremo. Questo non soltanto perchè si perderebbe una visione d'insieme44,

ma non venga a bloccare il gioco complesso e sempre incompiuto delle forme, di quei modelli-strutture che andiamo a realizzare, per decomporli successivamente, sotto la spinta del divenire continuo dell'esperienza post-moderna e di noi con essa".

41 Iacono A. M. ( 1995)Tra individui e cose, Manifestolibri, Roma 42 Ibidem pag.55

43 Si veda Schroedinger E.(1987), Come la scienza rappresenta il mondo, in L'immagine del

mondo, Boringhieri,Torino, pag. 134, citato in Iacono A.M. (1995)Tra individui e cose, Manifestolibri, Roma, pag. 56

44 Sarebbe più corretto invece di utilizzare il termine insieme con il quale ci si riferisce ad

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fondamentale per leggere i fenomeni rispettandone la complessità, ma anche perché, nonostante siano piccole le parti oggetto di studio, ugualmente queste conservano aspetti che non possono non sfuggire all'osservatore. Sarà quindi da considerarsi una risorsa affiancare più ottiche parziali. Così diviene necessario, ad esempio, per affrontare la questione ecologica, farlo alla luce delle radici culturali, psicologiche, economiche che hanno portato ad un sistema tecnico-produttivo non privo di problemi. Vengono evidenziati inoltre sempre di più il confronto metodologico e lo scambio fra le discipline che si occupano dell'uomo e quelle che indagano il mondo della natura. Questa idea di interscambio, da intendersi anche in relazione al concetto di interdisciplinarità, non viene avanzata soltanto da studiosi di Scienze Umane che hanno cercato nelle cosiddette “scienze hard” indicazioni per dotare di maggiore rigore le proprie ricerche. Lo stesso Prigogine a più riprese, afferma che "sembra che, per la prima volta, l'oggetto della fisica non sia più radicalmente distinto da quello delle scienze umane e che dunque sia possibile uno scambio reale tra queste discipline. Così, nello studio delle proprietà di stabilità dei sistemi termodinamici, la fisica potrà ispirarsi ai concetti e ai metodi delle scienze umane, così come queste potranno ispirarsi ai modelli e alle matematiche che cominciano a esser messi a punto"45.

In un testo degli anni '90 Morris Mitchell Waldropp46 descrive il costituirsi intorno ad alcune idee centrali di una riflessione sulla complessità che mette in discussione non solo i principi della scienza classica, ma anche il modo di pianificare la nostra esistenza individuale e collettiva. Un passaggio molto interessante del testo riporta una relazione tenuta da John H. Holland

agglomerato di elementi, fattori o parti totalmente disgiunti, praticamente indipendenti, che sono legati insieme dall'appartenenza ad uno stesso raggruppamento, quello di sistema che si riferisce ad una combinazione organizzata di elementi tra loro interdipendenti.

45 Prigogine I., Stengers I., (1979), Natura e creatività, in Prigogine I., La nuova alleanza.

Uomo e nature in una scienza unificata, Longanesi, Milano, pag.241. Lo stesso studioso scrive in Prigigine, elogio dell'instabilità, in AA VV (1990), Conoscenza e complessità, Theoria, Roma, pag. 22 "Di qui la conclusione essenziale che vorrei trarre, ossia che il ventesimo secolo porta la speranza di un'unità culturale e di una visione non-riduttiva delle cose".

46 Waldrop M.M., (1995), Complessità. Uomini e idee al confine tra ordine e caos, INSTAR

libri, Torino.

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dell'Università del Michigan dal titolo "The global economy as an adaptive process", in cui si fa riferimento ai sistemi complessi adattivi.

Si tratta di una tipologia di sistemi rinvenibile in ambiti fra loro molto differenti che condividono alcune proprietà fondamentali. Questo modello è molto interessante perchè offre uno strumento di lettura di fenomeni che appartengono a diversi campi disciplinari, "nel mondo naturale può trattarsi di cervelli, sistemi immunitari, ecologie, cellule, embrioni in sviluppo o colonie di formiche. Nel mondo umano comprendono organizzazioni culturali e sociali, come partiti politici o comunità scientifiche."47 In realtà è possibile notare che una volta che si impari a riconoscerne le caratteristiche questi sistemi si possono trovare dovunque. Le caratteristiche di questi sistemi in via molto superficiale sono l'essere formati da una rete di molti agenti che operano in parallelo. Infatti "ogni agente si trova in un ambiente determinato dalle sue interazioni con gli altri agenti del sistema. Agisce e reagisce costantemente in base ad azioni e reazioni degli altri. Per questo motivo nel suo ambiente non c'è nulla di fisso"48. Inoltre non c'è un unico elemento di controllo centrale in un sistema di questo tipo, non c'è un neurone che ha un ruolo prioritario sugli altri, nè tantomeno nell'embrione in sviluppo una cellula che svolga una funzione principale. Di conseguenza "se il sistema deve presentare un comportamento coerente, questo avrà origine dalla competizione e dalla cooperazione fra gli agenti stessi"49. Ci sono poi numerosi livelli di organizzazione dove chi agisce in un certo livello costruisce le basi per l'azione nel livello superiore. Utilizzando questa volta l'economia come modello, si può dire che un gruppo di singoli lavoratori darà vita ad un reparto, un gruppo di reparti ad una divisione, passando alla formazione di aziende che sono gli elementi di base dei settori economici di un'economia nazionale, che incontrandosi con le altre delinea l'economia mondiale. L'aspetto centrale dei sistemi complessi adattivi è che accumulando esperienza, continuano a riesaminare e riordinare le parti che li compongono. Esemplificativamente il cervello interviene continuamente,

47 Ibidem pag.224 48 Ibidem pag.225 49 Ibidem

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rinsaldando o indebolendo le connessioni fra i suoi neuroni in relazione agli apprendimenti continui che sviluppa a partire dalle nuove esperienze. "Tutti questi processi di apprendimento, evoluzione e adattamento sono la stessa cosa"50 tanto che uno dei principali meccanismi di adattamento di un sistema prevede le revisione e la ricombinazione delle parti che lo compongono. Inoltre ogni sistema complesso adattivo è dotato di modelli interni che offrono attraverso rappresentazioni implicite o esplicite rappresentazioni del funzionamento della realtà esterna, e di conseguenza strategie comportamentali. Si tratta di modelli che non rimangono inalterati nel tempo, ma sempre attivi. "In effetti, è possibile paragonare i modelli interni a mattoni, che possono essere ricontrollati, rifiniti e riassestati a mano a mano che il sistema amplia la propria conoscenza del mondo"51. In questi sistemi sono presenti nicchie sfruttate da agenti che sono adatti ad occuparle; così nel mondo dell'economia c'è uno spazio per chi programma un computer e uno per chi lo vende, nella foresta pluviale uno per i bradipi e uno per le farfalle. Occupare una nicchia comporta sempre aprirne altre con nuovi parassiti, nuove prede, altri predatori. "Questo crea sempre nuove opportunità, ed è quindi chiaro che non ha alcun senso parlare di un sistema complesso adattivo in equilibrio giacchè, essendo sempre in sviluppo, in transizione, non potrà mai trovarsi in quello stato. Infatti, qualora il sistema dovesse raggiungere una posizione di equilibrio, non sarebbe stabile: sarebbe morto"52. Risulta anche poco significativo riflettere sul singolo agente, magari nei termini di massimo adattamento possibile ad un contesto, perché il quadro di riferimento fin qui delineato porta a ragionare in termini di processi complessivi. Questo è in linea con quanto sostengono Prigogine53e Stengers a proposito di una scienza che dia più spazio alle nozioni di creatività e di innovazione, che "non può che essere una scienza profondamente diversa da quella classica"54.Vengono così

50 Ibidem pag. 226 51 Ibidem pag. 227 52 Ibidem pag. 228

53 Prigogine I., Stengers I., (1979), Natura e creatività, in Prigogine I., La nuova alleanza.

Uomo e nature in una scienza unificata, Longanesi, Milano.

54 Ibidem pag.226.

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abbandonati i modelli ideali di spiegazione in favore di nuovi concetti che è stato necessario introdurre per chiarire una serie di paradossi scientifici. "Questa scienza è stata alimentata dall'impossibilità, sempre più manifesta, di descrivere questo mondo [...] come un mondo statico, e quindi dall'abbandono dell'interesse esclusivo per le situazioni stabili e immutabili. Il nostro mondo è un mondo di cambiamenti, di scambi e innovazioni: per comprenderli abbiamo bisogno di una teoria dei processi, dei tempi di vita, degli inizi e delle terminazioni, abbiamo bisogno di una teoria della diversità qualitativa, dell'apparizione del qualitativamente nuovo"55. Queste idee di sistemi indefinitivamente evolutivi, della instabilità dei sistemi56portano i due studiosi "a una concezione assai vicina all'Eterno Ritorno, nel senso in cui poteva farcelo comprendere la doppia critica di Nietzsche alla termodinamica e alla meccanica: impossibilità di parlare di una evoluzione finalizzata, verso uno stato stabile [...]. Una evoluzione che non è più ricerca di identità, del riposo, ma è creazione di problemi nuovi, proliferazione di dimensioni nuove: l'innovazione rende più complesso l'ambiente in cui essa si produce, vi pone problemi inauditi, vi crea possibilità nuove di instabilità e di capovolgimenti".57 Assodato quindi che il concetto di esattezza non vada inteso in senso tradizionale, pare opportuno operare attraverso la sinergia di più contributi in vista di un'indagine sempre più rigorosa. Inoltre in linea con quanto sostenuto da Iacono58 è necessario un cambiamento anche dell'idea di progetto. Infatti posto quanto detto a proposito del rapporto fra oggetto e soggetto, ogni progetto dipende da un'interpretazione del reale. Tutte le interpretazioni sono atti attraverso i quali il soggetto non si limita ad analizzare il reale, ma lo produce attivamente. La realtà quindi sfugge alla pianificazione, perchè la pianificazione parte da un'interpretazione, e quindi è un'aggiunta di realtà. Il

55 Ibidem pag.227.

56 "In questo senso possiamo pensare che nessuno dei sistemi che conosciamo è realmente

stabile, ma è soltanto metastabile, e che esso vive solo perché poche perturbazioni sono di fatto capaci di superare il loro ?potere di integrazione?; ma che in nessun caso la loro esistenza testimonia in favore di una stabilità armoniosa, chiusa in se stessa, che certe analisi funzionaliste in sociologia, per esempio, vorrebbero presentarci come lo stato ideale da raggiungere". Ibidem pag.246

57 Ibidem pag.246.

58 Iacono A. M., ( 1995), Tra individui e cose, Manifestolibri, Roma, pag. 62

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progetto quindi deve sempre più essere pensato come un'analisi della realtà che si combina con un'intenzione, termine che ha un'evidente connotazione etica, senza che questi due elementi si contrappongano e che si possa portare la realtà ad essere incasellata in un programma. "In questo senso, dunque, il momento costruttivo e intenzionale, ben lungi dall'opporsi alla dimensione dei comportamenti non-intenzionali, vi si rapporta con quel momento dell'autoriflessione che un tempo si chiamava responsabilità"59.

59 Ibidem pag.63

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I.5. Complessità e formazione

Il percorso di conoscenza si connota sempre più come percorso attraverso l'incertezza, la mancanza di punti fermi, l'insicurezza. Tutto ciò conduce alla consapevolezza dei propri limiti e della necessità di superarli, individuandone di nuovi da superare ancora e così via in un percorso continuo di crescita, dove sapere vuol dire soprattutto crescere nella conoscenza delle cose che non si sanno. Approfondire le proprie conoscenze fino a qualche decennio fa voleva dire raggiungere una maggiore forza come soggetto (scientia est potentia). Alcune figure, presenti anche nelle opere letterarie, oltre che nell'immaginario collettivo, confermano la possibilità di associare il sapere con il potere, quello che deriva dalla possibilità di prendere decisioni quanto più possibile autonome e quindi di non essere in balia degli azzeccagarbugli di turno. Ricoprire un certo ruolo sociale, svolgere una professione, portava le persone a distinguersi e ad essere rispettate in virtù della preparazione che avevano conseguito. Oggi non è più così. Approfondire le proprie conoscenze fino a portarle ad un livello maturo porta a scoprire la loro fragilità e piccolezza. Inoltre i percorsi che conducono al sapere, già di per sé accidentati, non permettono di raggiungere in maniera automatica impieghi considerati prestigiosi. Se quindi la formazione non garantisce un sapere solido e una posizione occupazionale adeguata, resta aperta la domanda sul senso della fatica impiegata nel percorso di studio. Anche a questo si può rispondere adottando una chiave di lettura complessa. Sicuramente oggi ci troviamo di fronte a percorsi conoscitivi da attraversare più per l'importanza del tragitto che della meta in sé. Questo può essere sostenuto alla luce dell'importanza che ricopre nella letteratura pedagogica, non tanto il dibattito sui contenuti da apprendere, quanto quello sulle capacità metacognitive, e sulla capacità di apprendere ad apprendere.

In questo percorso ci si serve del termine complessità non per fare riferimento a costruzioni teoriche atte a sostenere il nostro pensiero, con il rischio di ingabbiarlo, magari però ammantandolo di scientificità e rendendolo più in 27

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linea con le ultime frontiere della ricerca; l'orientamento di fondo di questa tesi non è approfondire gli studi che si occupano della tematica della complessità trovandone una sintesi originale, ma tentare di analizzare contributi anche elaborati in "ambienti teorici" in cui tale termine è raramente utilizzato, leggendoli in un'ottica complessa. Si può dire del termine complessità quanto Heidegger diceva del nichilismo: non si può mettere alla porta perché è già da tempo in maniera invisibile in giro per la casa. Occorre quindi accorgersi di quest'ospite e guardarlo bene in faccia60. Con questo termine si vuole intendere ciò che è tessuto insieme, che è intrecciato ma allo stesso tempo in movimento, proprio come gomitoli di lana fra loro ingarbugliati, ma liberi di intrecciarsi ancora in maniera nuova, determinando soluzioni diverse. Di fronte ad un problema del genere nella vita di tutti i giorni una persona con esperienza nel filare sa che è possibile venirne a capo tagliando i fili e costituendo di nuovo delle matasse autonome. Questo non è possibile farlo nei confronti del garbuglio-uomo, i cui fili sono parti viventi che reagiscono con sofferenza e ferite ad un'operazione di taglio. Il garbuglio-uomo è fatto di intrecci intrapersonali ed interpersonali dai quali non si può liberare se non snaturandosi e quindi perdendo l'unica possibilità di essere libero che gli è stata concessa: accettare la propria natura.

Lo studente che per sentirsi libero decide che organizzerà il proprio pomeriggio come vuole, ignorando che ha delle pagine da studiare per il giorno successivo, sapendo che il professore non interrogherà, non è più libero di quello che comunque organizzerà il suo tempo in maniera tale da utilizzarne una parte per lo studio. Lo studente che finché può lascia da parte lo studio, per poi concentrarlo tutto in poco tempo, magari ignorando i propri limiti, con caffè e veglie forzate nel migliore dei casi, non si rivela più libero dell'altro che ha diluito il lavoro. Nel primo caso il tempo utilizzato per lo studio è simile ad un'operazione alienante, meccanicamente devo introdurre dentro me, attraverso uno studio impersonale, qualcosa fuori di me in poco tempo. Nel secondo caso c'è stato il tempo di dialogare con la materia di studio, e quindi accoglierla

60 Citazione presente in Galimberti U., (2007), L'ospite inquietante. Il Nichilismo e i giovani,

Feltrinelli, Milano.

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instaurando con lei un rapporto di confidenza, conoscenza graduale, anche di scambio, grazie al quale si è riusciti ad arricchirla di riflessioni personali. Il tempo vissuto a compiere operazioni alienanti non è un tempo proprio, è tutto sottratto all'individuo. Nell'altro caso si trasforma il tempo di studio in un tempo personale, guadagnando, anche se sembra controintuitivo, più tempo per sè rispetto al primo caso.

A livello intrapersonale si rinviene la complessità, seguendo le osservazioni della psicoanalisi, nel gioco di relazioni che si instaura tra Io, Es e Super Io, che delinea un soggetto non più considerabile come un blocco monolitico. Si può cosi fare riferimento ad un mondo psichico "per una parte significativa generato dai processi di interiorizzazione di coloro che hanno avuto un ruolo nella sua storia e che il soggetto stesso trasforma in oggetti interni, parti di lui,

voci di dentro, non di rado conflittuali le une rispetto alle altre"61. Un soggetto perciò che si muove nel mondo come singolo, ma che è fatto di tante voci come un coro non disciplinato da un orchestratore sempre definito e che può essere rappresentabile come animato da un sottofondo oscuro. "Questo sottofondo oscuro e invisibile non sovrintende solo le rappresentazioni di carattere intimo

61 Galanti M.A. (2009), Psicoanalisi, epistemologia genetica, teorie della complessità e

trasformazioni della didattica in Agosti A., Franceschini G., Galanti M.A., Didattica. Struttura, evoluzione e modelli, CLUEB, Bologna, pag.230

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o quelle di natura artistica, ma ogni costruzione di senso, ogni apprendimento, ogni riflessione dell'uomo su se stesso".62Servendosi inoltre di alcune riflessioni derivanti dall'osservazione antropologica è possibile mettere in evidenza un altro piano di complessità intrapersonale: la presenza della dimensione del "noi" all'interno dell'individuo. Come sostiene Taliani "l'uomo ha perduto molto cessando di riconoscersi nel noi"63. Infatti l'uomo moderno spesso si rivela incapace di uscire dal proprio punto di vista condannandosi ad un egoismo "che spacca l’uomo ancora prima di creare barriere insormontabili nella società"64. Inoltre tornando alla psicoanalisi gli autori più recenti si riferiscono al sè considerandolo come luogo d'incontro tra mondo interno e realtà esterna. Così l' individuo in generale, e dunque anche chi insegna e chi apprende, "instaura fin da subito un rapporto di sconfinamento e scambio psicodinamico con gli altri membri del proprio gruppo di appartenenza. Del tutto inconsciamente egli proietta su di loro parti che sono sue e contemporaneamente introietta parti che sono loro. Si lascia definire e nello stesso tempo fugge come una prigione ogni definizione di sè che si ponga come permanente e incontrovertibile".65

Spostando la nostra analisi dal soggetto al contesto in cui si trova, è possibile utilizzare una chiave di lettura sociologica e di psicologia sociale per delineare la situazione esterna nella quale l'individuo si trova a scegliere. É possibile sostenere che oggi l'individuo si trova a scegliere in contesti nei quali la sua condizione sociale è influenzata da status ascritti, in misura molto inferiore che in passato. Sempre più siamo autori/coautori dei contesti che definiscono la nostra condizione, la qual cosa ha spinto C. Reich a porre a fondamento della società la liberazione: “[...] Il significato della liberazione è che ogni individuo è libero di costruire la sua propria filosofia e i propri valori, il suo proprio stile

62 Ibidem

63 Taliani E., (1993), Mutamento e razionalità. Per una sociologia dello sviluppo, Franco

Angeli, Milano, pag.9

64 Ibidem pag. 77

65 Galanti M.A. (2009), Psicoanalisi, epistemologia genetica, teorie della complessità e

trasformazioni della didattica in Agosti A., Franceschini G., Galanti M.A., Didattica. Struttura, evoluzione e modelli, CLUEB, Bologna, pag.231

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