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Sviluppo di uno strumento di simulazione per lo studio della locomozione attiva all'interno del tratto gastrointestinale di dispositivi robotici

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Academic year: 2021

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Universit`

a di Pisa

Facolt`

a di Ingegneria

Corso di Laurea Specialistica in

Ingegneria Biomedica

Tesi di Laurea Specialistica

Sviluppo di uno strumento di

simulazione

per lo studio della locomozione attiva

di dispositivi robotici

all’interno del tratto gastrointestinale

Relatori: Candidata:

Prof. Paolo Dario

Francesca Tramacere

Dr. Cesare Stefanini

Dr. Edoardo Sinibaldi

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Indice

Introduzione . . . ix

1 L’apparato digerente 1 1.1 Anatomia dell’apparato digerente . . . 1

1.1.1 La bocca . . . 3

1.1.2 La faringe e l’esofago . . . 3

1.1.3 Lo stomaco . . . 4

1.1.4 L’intestino . . . 5

2 La Micro-BioRobotica in Medicina 11 2.1 Cenni alla storia dell’Endoscopia . . . 13

2.2 La sperimentazione in silico . . . 17

3 Definizione del problema biomeccanico 19 3.1 Caratterizzazione meccanica del tessuto . . . 22

3.1.1 Cenni ai modelli di tessuto utilizzati . . . 24

3.1.2 Cenni al comportamento tribologico del tessuto . . . . 29

3.2 Il Problema meccanico dinamico . . . 31

3.2.1 Il metodo di integrazione numerica utilizzato . . . 33

4 Il software di simulazione 37 4.1 Il corpo del programma . . . 40

4.1.1 Il Main file . . . 40

4.1.2 Settaggio delle impostazioni . . . 40

4.1.3 Costruzione delle leggi di moto . . . 40 vii

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viii INDICE

4.1.4 Risoluzione del problema biomeccanico . . . 46

4.1.5 Definizione dello storico delle variabili . . . 46

4.1.6 Settaggio per le visualizzazioni . . . 47

4.1.7 Controllo della simulazione . . . 47

5 Interfaccia grafica 49 5.1 Versione 1.0 . . . 49 5.2 Versione 2.0 . . . 52 5.3 Versione 3.0 . . . 55 5.3.1 Versione 3.5 . . . 60 6 Simulazioni condotte 63 6.1 Set di simulazioni preliminari . . . 63

6.2 Primo set di simulazioni . . . 66

6.3 Secondo set di simulazioni . . . 75

6.4 Terzo set di simulazioni . . . 76

7 Conclusioni e sviluppi futuri 81 7.1 Conclusioni . . . 81

7.1.1 Lavoro svolto . . . 81

7.1.2 Risultati ottenuti . . . 82

7.2 Sviluppi futuri . . . 82

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Introduzione

Negli ultimi anni sviluppi significativi hanno interessato il settore della Robotica, che si sta inserendo in molti contesti della vita quotidiana, nella costante ricerca di migliorare la qualit`a della vita. A questa esigenza tecnolo-gica non si `e sottratta neppure la Robotica medica che ormai da qualche anno raccoglie con crescente efficacia le sfide offerte dal mondo medico-biologico.

Negli ultimi anni la ricerca si `e focalizzata tra l’altro su tecniche en-doluminali che prevedono l’introduzione di un dispositivo attivo all’interno dell’organismo, la cui navigabilit`a sia controllata dall’esterno in modalit`a wireless.

Tali procedure consentirebbero delle pratiche diagnostiche e terapeutiche fortemente mirate, quindi una localizzazione dell’area di intervento e/o di investigazione, nonch`e una riduzione significativa dell’invasivit`a. Delle pro-cedure minimamente invasive favorirebbero inoltre l’accettabilit`a da parte del paziente e quindi l’estensione su larga scala delle tecniche di screening con la possibilit`a di identificare le malattie in una fase precoce.

Il presente lavoro di tesi si colloca in un’attivit`a pi`u ampia che viene portata avanti dal laboratorio CRIM della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, ossia lo studio di dispositivi robotici a locomozione attiva utilizzabili in pratiche diagnostiche e terapeutiche del tratto gastrointestinale[3].

L’oggetto del presente lavoro in particolare verte sullo sviluppo di uno strumento di simulazione numerica1 per lo studio della locomozione attiva

all’interno del tratto gastrointestinale di dispositivi robotici.

1M atlabT M

(10)

x INDICE Tale strumento dovrebbe consentire la realizzazione di prove ‘in silico’ che possano sostituirsi a buona parte delle prove sperimentali necessarie per la messa a punto di un sistema robotico. Ci`o consentirebbe di limitare i problemi etici legati a sperimentazioni in vivo, di velocizzare i tempi e am-mortizzare i costi necessari per la conduzione delle prove necessarie in un contesto di ricerca.

Nello specifico, nel cap. 1 viene fornita una panoramica generale dell’ap-parato digerente e delle affezioni che generalmente lo interessano, nel cap. 2 vengono fatti dei cenni all’importanza della Micro-BioRobotica in Medicina, nel cap. 3 vengono presentati i modelli matematici implementati nello stru-mento di simulazione, nel cap. 4 viene analizzato lo strustru-mento di simulazione vero e proprio, nel cap. 5 viene presentata l’interfaccia di gestione dati (GUI), nel cap. 6 vengono raccolte le prove effettuate e nel cap. 7 vengono riportate conclusioni e sviluppi futuri.

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Capitolo 1

L’apparato digerente

1.1

Anatomia dell’apparato digerente

L’apparato digerente ha la funzione di scindere gli alimenti in componenti chimici che verranno poi o assorbiti per essere utilizzati come fonte di energia o eliminati dall’organismo stesso.

L’apparato digerente (fig. 1.1), che inizia dalla bocca e termina con l’ano, `e lungo pi`u di otto metri ed `e costituito da diversi organi. Il tubo gastroenterico `e sostanzialmente il condotto attraverso il quale passa il cibo ed `e formato da:

• bocca: addetta alla masticazione;

• faringe ed esofago: addetto al trasporto nell’addome;

• stomaco: addetto al mescolamento, alla denaturazione e all’inizio della digestione;

• intestino tenue: costituito da duodeno, digiuno e ileo, `e addetto alla digestine e all’assorbimento;

• intestino crasso: costituito da cieco, colon e retto, `e addetto all’assor-bimento dell’acqua e all’eliminazione degli scarti.

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2 CAPITOLO 1. L’APPARATO DIGERENTE

Figura 1.1: L’apparato digerente umano.

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1.1. ANATOMIA DELL’APPARATO DIGERENTE 3 Tutto il tubo digerente a partire dallo stomaco `e rivestito da un ‘invo-lucro’ che prende il nome di peritoneo viscerale nel quale convogliano i vasi sanguigni, i vasi linfatici e i nervi che irrorano e innervano questo apparato. Esternamente al tubo gastroenterico vi sono delle ghiandole che parteci-pano alla digestione rilasciando succhi digestivi, e sono: ghiandole salivali, fegato, cistifellea e pancreas (fig. 1.2).

1.1.1

La bocca

La cavit`a orale (bocca) definisce l’accesso al tubo digerente. La funzione principale della bocca `e quella di triturare il bolo alimentare in frammen-ti tramite masframmen-ticazione; ci`o consente al bolo sia di essere deglutito che di aumentare la propria superficie esposta all’interazione con gli enzimi.

La bocca `e delimitata anteriormente dalle labbra, sui lati delle guance, sopra dal palato duro e molle che la separano dalla cavit`a nasale. Nella parte posteriore, la bocca comunica con la faringe.

La bocca `e rivestita internamente da epitelio piatto pluristratificato non corneo. Organi importanti nella bocca sono i denti e la lingua.

Fuori dalla bocca ma in comunicazione con questa troviamo le ghiandole salivari che la mantengono costantemente lubrificata.

Nella fase di deglutizione volontaria, la lingua spinge il bolo dal palato duro al palato molle, chiude la trachea attraverso la glottide e il bolo passa nell’esofago.

1.1.2

La faringe e l’esofago

La faringe `e il punto d’incontro tra le vie respiratorie e quelle digestive. La faringe comunica verso l’alto con la cavit`a nasale, davanti con la bocca e in basso con l’esofago (dietro) e la laringe (davanti). In prossimit`a della laringe vi `e l’epiglottide che funge da valvola di chiusura durante la deglutizione.

E’ rivestita, come la bocca, di epitelio piatto pluristratificato senza strato corneo.

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4 CAPITOLO 1. L’APPARATO DIGERENTE L’esofago si estende dal cavo orale al cardias consentendo quindi il pas-saggio del bolo alimentare dalla faringe allo stomaco.

L’esofago `e una struttura lunga dai 25 ai 35 cm a seconda delle persone. Nell’esofago non ci sono ghiandole secretorie, quindi nell’esofago non si hanno processi di digestione.

L’estremit`a superiore dell’esofago `e la parte pi`u stretta del tubo digerente ed `e circondata da uno sfintere (muscolo circolare) normalmente chiuso, ma che si apre per consentire il passaggio del cibo. Uno sfintere simile (cardias) `e presente anche nel punto in cui l’esofago si immette nello stomaco. Nor-malmente il cardias `e chiuso e con la peristalsi, quando il cibo raggiunge il terzo distale, si rilascia.

Le pareti dell’esofago sono costituite da forti fibre muscolari disposte in fasci, alcune circolari e altre longitudinali.

Il rivestimento interno dell’esofago, mucosa, `e formato da epitelio liscio di tipo squamoso a cellule piatte.

Il cibo `e spinto in basso da una azione di peristalsi, costituita da potenti onde di contrazione muscolare della parete esofagea. La forza di gravit`a ha una scarsa importanza nel transito del cibo verso lo stomaco, che `e infatti possibile anche in un individuo posto a testa in gi`u.

1.1.3

Lo stomaco

Lo stomaco `e un organo cavo dell’apparato digerente a forma di sacco, collegato all’esofago e la duodeno. Lo stomaco si trova nella parte sinistra dell’addome, sotto il diaframma.

Lo stomaco `e espansibile e si dilata quando si ingerisce il cibo; in un adulto ha la capacit`a media di 1.5 litri. Le pareti di questo organo sono for-mate da strati di tessuto muscolare longitudinale rivestito da speciali cellule ghiandolari che secernono i succhi gastrici.

All’estremit`a inferiore dello stomaco un forte muscolo forma un anel-lo, chiamato sfintere pilorico, che pu`o chiudere lo sbocco dello stomaco nel duodeno.

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1.1. ANATOMIA DELL’APPARATO DIGERENTE 5 La prima funzione dello stomaco `e quella di garantire un rimescolamento del bolo alimentare, il passaggio nel duodeno avviene solo e soltanto quando le particelle di cibo hanno raggiunto un diametro all’incirca di 3 mm.

Nello stomaco ci sono strutture ghiandolari, come le cellule parietali che secernono HCl (acido cloridrico) e il pH dello stomaco si mantiene attorno a 2-3. A monte del processo di secrezione dei succhi gastrici vi `e l’acetilcolina che `e rilasciata dalle terminazioni del parasimpatico (nervo vago). Questo significa che la secrezione gastrica a opera del vago con rilascio di acetilco-lina che stimola la secrezione acida e attiva il processo digestivo, pu`o essere stimolata tanto dalla ingestione degli alimenti quando dalla loro vista e dal loro odore. Questa `e la cosiddetta fase cefalica della digestione.

Il fattore intrinseco prodotto a livello del fondo gastrico `e importante perch´e si lega alla vitamina B12 e ne permette l’assorbimento che avviene nell’ultima ansa ileale.

Tale organo vanta inoltre la possibilit`a di fungere da riserva consentendo cos`ı l’assunzione di cibo solo due o tre volte al giorno. Se tale riserva non ci fosse avremmo la necessit`a di assumere cibo pi`u o meno ogni 20 minuti.

La mucosa gastrica contiene inoltre ghiandole che secernono muco, il quale contribuisce a formare una ‘barriera protettiva’ per impedire allo stomaco di digerire se stesso.

Ogni 20 secondi circa, gli strati della mucosa gastrica formano contrazioni ritmiche che rimescolano il cibo ed il succo gastrico. L’effetto combinato di tale movimento e del succo gastrico, consente di trasformare il cibo semisolido in un liquido cremoso. La durata di tale processo dipende fortemente dall natura del cibo ingerito.

Il cibo parzialmente digerito `e spinto a intervalli regolari nel duodeno dalle contrazioni dello stomaco e dal rilasciamento dello sfintere pilorico.

1.1.4

L’intestino

L’intestino `e quella parte del canale alimentare che si estende dallo sbocco dello stomaco all’ano. L’intestino si presenta tutto ripiegato su se stesso e

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6 CAPITOLO 1. L’APPARATO DIGERENTE provvede all’assorbimento degli alimenti digeriti, in modo che il nutrimen-to passi al sangue e le scorie non digeribili vengano eliminate come feci. L’intestino `e composto da due parti:

• il piccolo intestino (o intestino tenue) lungo circa 6.5 m con un diametro di circa 35 mm `e costituito da:

– duodeno, di soli 15-20 cm, in cui sfociano i prodotti del fegato e del pancreas, rispettivamente: il succo biliare e quello pancreatico; – digiuno, lungo circa 5 m;

– ileo, lungo circa 2 m. • il grosso intestino, costituito da:

– cieco, di soli 10-15 cm, una specie di sifone in cui si trova l’appen-dice;

– colon, lungo circa un metro, a sua volta distinto in un tratto ascendente, trasverso, discendente e sigma;

– retto, lungo circa 15 cm, esteso fino al canale anale.

La parete dell’intestino tenue si compone di una tunica avventizia (ester-na), di una muscolare liscia (con muscolatura longitudinale e circolare), e di una intima, che forma l’organo di assorbimento. La tunica intima `e fat-ta a pieghe sulle quali vi sono piccole formazioni a forma di dito di circa 1 mm, chiamate villi intestinali e che definiscono veri e propri organelli di assorbimento. Sui villi ci sono microvilli che aumentano ulteriormente la su-perficie assorbente. Questa struttura cos`ı articolata serve a massimizzare la superficie dell’intestino che raggiunge i 400 m2.

Tutto l’interno della tunica intima, e quindi i villi, sono rivestiti di un epitelio cilindrico particolare, che assorbe le sostanze nutritive e le fa passare nei vasi sanguigni e linfatici sottostanti: gli aminoacidi e gli zuccheri passano nei capillari sanguigni, gli acidi grassi nel sistema linfatico.

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1.1. ANATOMIA DELL’APPARATO DIGERENTE 7 La tunica muscolare, tramite contrazioni ritmiche (peristalsi), fa man mano procedere lungo l’intestino il cibo, che a questo punto si chiama chilo. Nell’ultima parte di ileo viene assorbita la Vitamina B12 dopo esser stata legata al fattore intrinseco.

Infine il chilo, esaurito, lascia l’intestino tenue entrando nel colon (inte-stino crasso) attraverso la valvola ileo-ciecale.

Tutto l’intestino tenue ed anche il colon sono rivestiti esternamente dal peritoneo che `e una membrana attraverso la quale giungono i vasi sanguigni a rifornire l’intestino stesso, e a cui gli intestini sono ‘sospesi’ nell’assome.

L’intestino crasso `e lungo circa 1.8 m ed ha un diametro di circa 50 mm; circonda come una cornice, le anse dell’intestino tenue. A differenza del tenue, il crasso `e per gran parte fisso nella propria posizione; la muscolatura `e disposta circolarmente invece che in senso longitudinale e non `e dotato di villi. Il suo segmento principale, il colon, `e diviso in colon ascendente, colon traverso e colon discendente, e in una porzione pelvica (colon sigmoide).

L’appendice `e una formazione che si origina dall’estremit`a del cieco ed `e posta tra l’intestino tenue e il colon.

Il segmento finale dell’intestino prima dell’ano prende il nome di retto. In particolare, il materiale non assorbito dall’intestino tenue, passa nell’in-testino crasso sotto forma di liquido e fibra. Acqua, vitamine e sali minerali durante il passaggio nell’intestino grasso vengono assorbiti nel sangue, men-tre vengono fatti avanzare i residui alimentari indigeribili, assieme a piccole quantit`a di grasso e diversi batteri, che prendono il nome di feci.

Le feci vengono gradualmente compresse e passano nel retto; in genere la distensione del retto produce lo stimolo a svuotare l’intestino.

Principali patologie dell’intestino

L’intestino rappresenta il campo di applicazione del presente lavoro di tesi e si necessita quindi di alcuni cenni alle principali patologie che lo interessano. L’intestino `e un organo particolarmente esteso e come tale pu`o essere soggetto a diversi tipi di affezioni. Le principali sono:

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8 CAPITOLO 1. L’APPARATO DIGERENTE • Infezioni ed infiammazioni : Generalmente quando si parla di infiamma-zione dello stomaco o dell’intestino, si parla di gastroenterite. Questo tipo di patologia `e dovuta generalmente ad un’origine batterica o virale e pu`o presentarsi di gravit`a differenti.

Due importanti forme infiammatorie dell’intestino di origine non infet-tive sono la colite ulcerosa e il morbo di Crohn (malattia infiammatoria cronica di causa ancora non chiara), che pu`o colpire qualsiasi parte del tubo digerente ma che generalmente interessa l’intestino tenue.

L’infiammazione pu`o essere localizzata, come nel caso dell’appendicite, o presentarsi invece piuttosto estesa.

• Riduzione dell’irrorazione sanguigna: Cos`ı come avviene per tutti gli altri organi, l’irrorazione sanguigna `e fondamentale anche per l’intesti-no, se questa per qualsiasi motivo dovesse ridursi o addirittura cessare si avrebbe la necrosi di tutti i tessuti a valle di tale ostruzione.

L’ostruzione intestinale pu`o derivare da una compressione tanto esterna quanto interna o da una malattia della parete intestinale come potrebbe essere la intussuscezione (caratteristico scivolamento di un tratto di intestino entro il tratto successivo) o ancora l’ileo paralitico, nel quale cessano le contrazioni dell’intestino e il contenuto intestinale non pu`o pi`u avanzare.

• Anomalie congenite: Un neonato potrebbe presentare un’ostruzione al normale flusso intestinale. Tale circostanza potrebbe essere dovuta ad atresia, ossia ad un mancato sviluppo dello stesso in fase uterina, a stenosi, ossia ad un restringimento degli orofizi dovuti a infiammazione o infezione, a lesione e successiva cicatrizzazione, a volvolo, ossia tor-sione di un’ansa intestinale o in casi rari dello stomaco, oppure ancora a ostruzione da parte di meconio contenuto dell’intestino fetale. • Tumori : L’intestino tenue `e meno soggetto a tumori rispetto

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1.1. ANATOMIA DELL’APPARATO DIGERENTE 9 nel quale le cellule del tessuto linfatico si moltiplicano in modo incon-trollato), tumori carcinoidi (tumore maligno che deriva dalle cellule dello strato superficiale di rivestimento o della mucosa di un organo) che provocano la sindrome carcinoide (forma rara provocata da un tu-more polmonare o intestinale di esito generalmente infausto) e neoplasie benigne.

L’intestino crasso rappresenta invece la seconda causa di tumori per frequenza. Il cancro colorettale `e la causa del 20% circa delle morti per tumore maligno. I pi`u diffusi sono i carcinomi, a crescita lenta e in genere asintomatici, e i linfomi, che tendono a diffondersi ai linfonodi circostanti provocando il malassorbimento del cibo.

La prognosi a lungo termine varia secondo lo stadio raggiunto dalla malattia al momento della diagnosi. Dopo una colectomia, pi`u del 50% dei pazienti sopravvive in buone condizioni per almeno 5 anni. Le terapie non chirurgiche invece si limitano ad arrestare la crescita e la diffusione del cancro senza tuttavia eliminarlo.

Pi`u precoce `e la diagnosi, maggiori sono le probabilit`a che la terapia apporti una guarigione completa. Si intuisce bene quindi quanto siano importanti delle pratiche di screening di massa.

• Ulcere

• Sindrome del colon irritabile • ecc.

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Capitolo 2

La Micro-BioRobotica in

Medicina

Negli ultimi anni sviluppi significativi hanno interessato il settore della Robotica, che si sta inserendo in molti contesti della vita quotidiana, nella costante ricerca di migliorare la qualit`a della vita.

A questa esigenza tecnologica non si `e sottratta neppure la Robotica medica che ormai da qualche anno raccoglie con crescente efficacia le sfide offerte dal mondo medico-biologico.

La presenza di un robot in una sala operatoria `e sempre pi`u frequente cos`ı come le apparecchiature meccatroniche sempre pi`u variegate e sofisticate (fig. 2.1).

Il concetto che a partire dalla fine degli anni ’80 `e poi cresciuto e si `e sviluppato simbioticamente a quello di dispositivo robotico `e senz’altro quel-lo di mininvasivit`a, che per molti designa proprio il passaggio di testimone tra la chirurgia tradizionale e le chirurgia moderna. L’idea di fondo `e quella di impostare gli interventi chirurgici per ‘ridurre al minimo il trauma del-l’accesso senza venire meno alle regole dettate dall’anatomia e dalla tecnica chirurgica’ [1].

A testimonianza di tale tendenza, negli ultimi anni la ricerca si `e focaliz-zata tra l’altro su tecniche endoluminali che prevedano l’introduzione di un

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12 CAPITOLO 2. LA MICRO-BIOROBOTICA IN MEDICINA

Figura 2.1: La tecnologia a servizio dell’uomo.

dispositivo attivo all’interno dell’organismo, la cui navigabilit`a sia control-lata dall’esterno in modalit`a wireless. Tali procedure consentirebbero delle pratiche diagnostiche e terapeutiche fortemente mirate e quindi una localiz-zazione dell’area di intervento e/o di investigazione.

Tutto ci`o conduce ad una potenzializzazione del chirurgo che rimane comun-que una figura insostituibile e porterebbe a vedere la chirurgia mininvasiva come l’inevitabile evoluzione della chirurgia tradizionale.

Delle procedure minimamente invasive favorirebbero inoltre l’accettabilit`a da parte del paziente e quindi l’estensione su larga scala delle tecniche di screening con la possibilit`a di identificare le malattie in una fase precoce.

Grandi aspettative si hanno dunque rispetto ai microrobot biomedicali in termini di qualit`a dell’assistenza sanitaria in fase diagnostica, chirurgica e terapeutica.

I progressi riscontrati negli ultimi anni nel settore endoscopico sono stati notevoli, basti pensare all’efficienza raggiunta dagli endoscopi flessibili uti-lizzati sia in fase diagnostica, che per l’esecuzione di interventi terapeutici, alle sperimentazioni in atto su tecniche NOTES (Natural Orifice Translumi-nal Endoscopic Surgery), all’affermazione clinica della capsula endoscopica

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2.1. CENNI ALLA STORIA DELL’ENDOSCOPIA 13 passiva, alle sperimentazioni in atto su capsule endoscopiche a locomozione attiva, alle enormi risorse scientifiche che si stanno attualmente investendo per lo sviluppo di un innovativo sistema robotizzato per la chirurgia endolu-minale che preveda di portare direttamente all’interno del corpo del paziente (ad esempio nello stomaco) la strumentazione microrobotica necessaria a pra-tiche diagnospra-tiche e terapeupra-tiche (fig. 2.2) (si veda il progetto ARAKNES).

Figura 2.2: Dispositivi con approccio endoluminale [10].

La chirurgia endoluminale dovrebbe quindi consentire di superare i li-miti della chirurgia laparoscopica in termini di destrezza dei movimenti e accessibilit`a ai siti d’interesse, ripristinando e eventualmente amplificando i vantaggi della chirurgia a cielo aperto.

2.1

Cenni alla storia dell’Endoscopia

I primi tentativi di osservare l’interno del corpo umano attraverso dei telescopi rigidi illuminati risalgono agli inizi del secolo scorso. Fu poi agli inizi degli anni ’30 che si cominci`o realmente a parlare di endoscopia grazie all’invenzione di un gastroscopio per l’osservazione dello stomaco. La vera rivoluzione giunse per`o poi vent’anni pi`u tardi quando vennero introdotte le

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14 CAPITOLO 2. LA MICRO-BIOROBOTICA IN MEDICINA fibre ottiche, ossia fasci flessibili di fibre di vetro o di polimero in grado di trasmettere la luce. Solo grazie all’invenzione delle fibre ottiche si riuscirono a realizzare dei dispositivi adatti alle pratiche di intervento necessarie nel campo della medicina endoscopica.

Le pratiche endoscopiche possono essere tanto diagnostiche quanto tera-peutiche e in vari casi sostituiscono ottimamente delle pratiche che in passato richiedevano interventi chirurgici estremamente invasivi.

Data inoltre la ridotta invasivit`a di tali procedure, `e consentita la ripe-tizione delle stesse rispetto ad intervalli temporali regolari. Tale condizione consente conseguentemente un monitoraggio meticoloso dello stato di salute del paziente.

L’endoscopia pu`o inoltre essere utilizzata per scoprire la sede o la causa di una emorragia e, in alcuni casi, di curarla con elettrocauterio o laser. Altre applicazioni possibili sono l’asportazione dei polipi e di corpi estra-nei inghiottiti, cos`ı come la somministrazione locale di farmaci e interventi ginecologici.

Nel 1957 Jacobsen ed altri proposero un sistema di monitoraggio senza fili che utilizzava delle endoradiosonde chiamate ‘radio-pills’ . Cinque anni pi`u tardi, 1962, Naguno ed altri realizzarono invece una eco-capsula per il controllo della temperatura e del Ph.

In entrambi i casi i dispositivi proposti erano completamente autonomi ma non ancora dotati di locomozione propria [8], peculiarit`a propria del sistema multi-legged.

L’attribuzione di una locomozione attiva consentirebbe alla capsula e quindi conseguentemente al chirurgo maggiore abilit`a e destrezza nell’inve-stigazione dell’ambiente biologico [9].

Numerosi dispositivi robotici attivi con trasmissione dati senza fili sono in fase di ricerca (fig. 2.3) [6] [7] ed alcuni gi`a in fase di sperimentazione clinica. Dispositivi a locomozione passiva sono invece gi`a parte integrante delle routinarie procedure diagnostiche (PillCam (fig. 2.4)).

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co-2.1. CENNI ALLA STORIA DELL’ENDOSCOPIA 15

Figura 2.3: Capsule per l’investigazione dello stomaco (a sinistra) e per quella del colon (a destra) [10].

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16 CAPITOLO 2. LA MICRO-BIOROBOTICA IN MEDICINA me l’intestino umano richiede oltre che di sopperire alle specifiche necessarie alla propria locomozione anche di tener conto dei vincoli imposti dall’am-biente di applicazione.

Il tessuto biologico si presenta fortemente deformabile, non lineare, viscoe-lastico, tipicamente coperto da uno spesso strato di muco lubrificante con coefficiente di attrito variabili. Tale tessuto quindi, oltre ad imporre vincoli particolarmente severi, risulta anche non banale da caratterizzare meccani-camente.

Qualche anno fa Dario et al. proposero un approccio innovativo alla pra-tica colonoscopica che prevedesse la realizzazione di un dispositivo semiauto-nomo dotato di un sistema di contatto in grado di risucchiare il tessuto tra due elementi di presa e di un sistema di locomozione di tipo ‘inchworm’ .

Una serie di constatazioni pratiche spinse gli stessi a pensare che un siste-ma di tipo multi-legged probabilmente si sarebbe prestato meglio agli scopi prefissi.

La locomozione con zampe garantisce infatti una serie di evidenti vantaggi rispetto all’ inchworm [4]:

• Aumento di sicurezza e controllo: nella locomozione tipo inchworm infatti il corpo della capsula scivola sul tessuto, senza poter evitare aree danneggiate da ferite o patologie. Le zampe permettono invece un miglior controllo della traiettoria di moto;

• Miglior adattamento all’ambiente: le zampe permettono alla capsula di lavorare in aree dimensionalmente, anatomicamente e biomeccanica-mente differenti;

• Maggior velocit`a: l’inchworm infatti non permette l’amplificazione ci-nematica del moto. Se l’attuatore garantisce una corsa pari a ∆L, il massimo spostamento della capsula sara minore di ∆L a causa di una efficienza comunque inferiore a 1;

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2.2. LA SPERIMENTAZIONE IN SILICO 17 • Semplificazione del meccanismo di adesione: concentrando il contat-to in una regione limitata si possono realizzare pressioni di contatcontat-to maggiori.

2.2

La sperimentazione in silico

Un lavoro di ricerca perch`e attesti la propria validit`a necessita di una fase di sperimentazione delle soluzioni proposte.

Tale fase sperimentale potrebbe essere condotta con diverse modalit`a: • in vivo;

• ex vivo; • in vitro; • ‘in silico’ .

La ricerca tradizionale per anni ha proceduto con sperimentazioni in vivo ed ex vivo, ossia con analisi rispettivamente sui viventi ed ex viventi. Tale ap-proccio `e caratterizzato da un problema ben noto, legato a costi e tempi; ma la motivazione per la quale si sono riscontrate restrinzioni sempre maggiori su questa tipologia di sperimentazione `e senz’altro il problema etico legato all’uso di animali.

La ricerca `e ricorsa poi a sperimentazione in vitro, cio`e in provetta, ma il rispettivo campo di applicazione risulta alquanto limitato.

Nasce poi la sperimentazione in silico, cio`e l’idea che i modelli matematici (realizzati usando un computer) siano capaci di sostituirsi a buona parte degli esperimenti reali. Tale approccio consente di superare i problemi etici, i limiti di tempo, di ammortizzare i costi di sperimentazione e di offrirsi quindi come validi sostituti a una cospicua parte delle sperimentazioni necessarie.

Concordemente quindi a quanto appena detto, il presente lavoro di tesi prevede la messa a punto di uno strumento di simulazione per la conduzione di sperimentazioni ‘in silico’ relative all’interazione di una capsula endoscopica

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18 CAPITOLO 2. LA MICRO-BIOROBOTICA IN MEDICINA attiva multi-legged in un ambiante non strutturato come potrebbe essere il tratto gastrointestinale.

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Capitolo 3

Definizione del problema

biomeccanico

Il presente lavoro di tesi si colloca in un’attivit`a pi`u ampia che viene por-tata avanti dal laboratorio CRIM della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa relativamente allo studio di un dispositivo robotico per pratiche endoscopiche minimamente invasive.

In questo ambito `e stata condotta anche una modellazione [4] dell’intera-zione del dispositivo robotico mininvasivo con il tessuto dell’intestino crasso (colon) affinch`e se ne potesse studiare la locomozione. Il punto cruciale nello studio di questo sistema, `e da riscontrarsi nel fatto che il movimento della capsula causa una deformazione del tessuto che quindi necessita di essere modellizzato con delle equazioni costitutive che abbiano delle condizioni al bordo fisse.

Il primo approccio utilizzato [4] per la risoluzione del problema biomec-canico `e stato quello di modellizzare il moto del dispositivo robotico come la successione di configurazioni in equilibrio statico (risulante di forze e mo-menti nulle).

(30)

20 CAPITOLO 3. DEFINIZIONE DEL PROBLEMA BIOMECCANICO Tale approccio prevede la risoluzione del seguente sistema:

                                  xi yi zi      = f1(~ri, xc, yc, zc, ϕc, θc, ψc), i = 1, . . . , N ~ Fi = f2(x1, . . . , xN, y1, . . . , yN, z1, . . . , zN), i = 1, . . . , N PN i=1F~i = 0 PN i=1F~i∧ ~ri = 0 dove:

• f1 `e una relazione nota a priori che consente di calcolare le coordinate

assolute delle estremit`a degli arti (xi, yi, zi) a partire dalle

coordina-te relative delle scoordina-tesse estremit`a (~ri) e dalle coordinate (xc, yc, zc) e

dall’orientamento della terna locale (ϕc, θc, ψc) (fig.3.1);

• f2 `e la relazione che consente di calcolare le forze ( ~Fi) agenti sulla

cap-sula partendo dalla conoscenza delle coordinate assolute delle estremit`a degli arti della capsula. Tale relazione definisce quindi le forze mecca-niche (elastiche e di attrito), in gioco nell’interazione tra la capsula ed il tessuto;

• le ultime due equazioni definiscono l’equilibrio della capsula alla tra-slazione e alla rotazione.

Questa tipologia di approccio `e utilizzabile in sistemi a basse velocit`a, come nel caso della capsula endoscopica multi-legged dove gli effetti inerziali possono essere trascurati rispetto alle interazioni di contatto.

In particolare per la definizione di f2, il lavoro [4] propone di trasformare

il problema continuo relativo alla deformazione del tessuto biologico in un modello assialsimmetrico a parametri concentrati.

Nello stesso lavoro `e stato concepito anche un modello numerico per la conduzione di alcune simulazioni. In merito a ci`o, sono stati inizialmente

(31)

21

Figura 3.1: Schema di una capsula a otto zampe.

presi in considerazione due approcci: analisi FEM e approccio a parame-tri concentrati. A causa della complessit`a del sistema fisico da modellare la scelta `e ricaduta sull’approccio a parametri concentrati. Tale approccio avrebbe consentito la messa a punto di una piattaforma di simulazione estre-mamente flessibile che avrebbe permesso di realizzare simulazioni in tempi computazionali ragionevoli.

Il presente lavoro di tesi verte proprio sullo sviluppo di tale strumento di simulazione.

In particolare si `e voluto:

• introdurre un approccio pi`u accurato per quanto riguarda la definizio-ne delle equazioni costitutive del tessuto (passando da un modello di natura prettamente fenomenologica a uno di natura strutturale); • formulare il problema in termini dinamici;

(32)

22 CAPITOLO 3. DEFINIZIONE DEL PROBLEMA BIOMECCANICO Il calcolo delle forze tissutali `e un problema complesso e in un primo stadio di sviluppo del strumento di simulazione si `e deciso di mantenere l’approccio assialsimmetrico al fine di contenere il costo computazionale. In questo spirito sono state considerate solamente le azioni di tipo radiale agenti sugli arti della capsula a partire da una misura della deformazione circonferenziale del tessuto. Per il calcolo delle stesse, si procede come segue:

1. si esegue l’inviluppo convesso tra le posizioni assunte dagli estremi degli arti della capsula e le sezioni a monte e a valle dell’interazione rispetto a cui la deformazione possa considerarsi estinta;

2. si considera un raggio equivalente associato alla sezione di tessuto deformato e passante per il punto di contatto;

3. si considera la deformazione membranale assialsimmetrica e si calcola la forza radiale agente sull’arto di conseguenza (3.2 e 3.5)

Il fatto di trascurare le componenti assiali consente di calcolare le forze su ciascun arto solo in funzione della deformazione locale, differentemente bisognerebbe risolvere l’equazione elastica ad ogni passo. Tale approccio va bene per l’equilibrio globale del sistema ma pecca rispetto agli stress indotti localmente sul tessuto (`e in corso uno studio per quantificare l’entit`a di tale approssimazione ma ci`o esula dall’ambito di questo lavoro).

3.1

Caratterizzazione meccanica del tessuto

Nei paragrafi a seguire verr`a esplicitata l’analisi meccanica utilizzata per la definizione dei modelli implementati nello strumento di simulazione.

Il modello implementato nel presente lavoro di tesi riguarda la locomo-zione di una capsula endoscopica ottenuta tramite l’interalocomo-zione della stessa con il tessuto gastrointestinale circostante. L’interazione tra le zampe della capsula ed il tratto gastrointestinale induce una distensione di quest’ultimo, caratterizzato da opportune equazioni costitutive. La risposta bioelastica del

(33)

3.1. CARATTERIZZAZIONE MECCANICA DEL TESSUTO 23 tessuto genera conseguentemente azioni meccaniche alle estremit`a degli arti della capsula in contatto con il tessuto stesso.

Date le basse velocit`a, la componente viscosa normalmente presente nella reologia del tessuto `e trascurabile rispetto a quella elastica.

Grazie alla definizione di tali azioni meccaniche e alla caratterizzazione tribologica del tessuto analizzato, possono essere calcolate le forze d’attrito responsabili della locomozione della capsula.

Lo strumento di simulazione prevede la possibilit`a di implementare due differenti modelli, relativamente al comportamento bioelastico del condotto gastrointestinale:

• uno di natura fenomenologica [4] [5];

• l’altro esplicitamente basato sulla struttura delle pareti del colon e di seguito riportato come strutturale.

Il primo modello (‘Modello Fenomenologico’ ) fa riferimento ad alcune prove di trazione condotte su tessuti biologici differenti, compreso il tessuto del colon, che hanno portato alla definizione di un legame costitutivo tra forza specifica (N/mm) e deformazione del tessuto ().

Mentre per il secondo approccio (modello strutturale) si `e fatto riferimen-to ad una formulazione orriferimen-totropica iperelastica utilizzariferimen-to in letteratura per la caratterizzazione dei tessuti molli fibrati.

Ambedue i modelli derivano da studi condotti presso il laboratorio CRIM della Scuola Superiore Sant’Anna, relativamente alla caratterizzazione mec-canica del tessuto del tratto gastrointestinale.

La scelta di implementarli entrambi deriva dalla volont`a di confrontare il secondo rispetto al primo.

Per quanto riguarda invece il modello utilizzato per la caratterizzazione tribologica del tessuto, si `e fatto riferimento sempre al lavoro sperimentale [4] [5], in cui era prevista la conduzione di prove ex-vivo per la definizione del comportamento tribologico del tessuto intestinale.

(34)

24 CAPITOLO 3. DEFINIZIONE DEL PROBLEMA BIOMECCANICO

3.1.1

Cenni ai modelli di tessuto utilizzati

Modello ‘Fenomenologico’

Nelle prove sperimentali, condotte presso il laboratorio CRIM, sono sta-ti ricavasta-ti dei provini di tessuto sia lungo la direzione assiale che lungo la direzione trasversale. Tali provini sono stati sottoposti a prove di trazione analoghe a quelle utilizzate per testare i materiali strutturali.

Un estremo del campione `e stato bloccato ad un supporto fisso mentre, l’altro estremo `e stato vincolato ad una slitta mobile a cui viene applicata una forza variabile linearmente nel tempo. La forza `e una grandezza nota perch`e misurata attraverso delle celle di carico montate sulla slitta mobile. La deformazione indotta `e stata invece rilevata attraverso dei sensori ottici disposti lateralmente al provino, in prossimit`a della zona di applicazione del carico esterno (fig. 3.2).

Figura 3.2: Prova di trazione del provino biologico.

I risultati riscontrati sono riportati in figura 3.3; il diagramma riporta in ascissa la deformazione  del tessuto (L−L0L0 ) e in ordinata i valori della tensione membranale [N/mm].

(35)

3.1. CARATTERIZZAZIONE MECCANICA DEL TESSUTO 25

Figura 3.3: Grafico ‘Tensione membranale [N/mm] - Deformazione [%]’ dei tessuti testati [5].

I risultati ottenuti per l’intestino crasso in direzione longitudinale e in direzione trasversale sono pressoch´e simili e possono essere approssimati attraverso degli andamenti di tipo parabolico, del tipo:

σM = ˜E ∗ 2 (3.1) con: σM : Tensione membranale [N/mm]; ˜ E : Tensione caratteristica [N/mm];  : Deformazione.

Tale espressione `e stata utilizzata per la definizione della tensione mem-branale circonferenziale mentre, coerentemente a quanto detto in precedenza,

(36)

26 CAPITOLO 3. DEFINIZIONE DEL PROBLEMA BIOMECCANICO la tensione longitudinale viene trascurata.

Le equazioni costitutive implementate sono state (fig. 3.4):    σM = ˜E ∗ 2 → Fradiale = σM ∗ ˜L Fassiale = 0 (3.2) con: ˜

E : Tensione caratteristica pari a 3 [N/mm] [4];

 : Deformazione radiale (R−R0)/R0, con R raggio deformato del tessuto

e R0 raggio indeformato del tessuto;

˜

L : Lunghezza caratteristica, stimata come la porzione di tessuto con cui interagisce un singolo arto della capsula, compresa nell’intervallo 1 ÷ 3 mm, che consente di risalire alla forza radiale agente sull’arto partendo dalla tensione membranale circonferenziale.

(37)

3.1. CARATTERIZZAZIONE MECCANICA DEL TESSUTO 27 Modello Strutturale

Il modello descritto nella precedente sezione `e di tipo strettamente feno-menologico.

La parete del colon pu`o essere considerata come materiale composito in cui, accanto alla matrice essenzialmente costituita dal collagene sono chia-ramente identificabili una famiglia di fibre circonferenziali e una famiglia di fibre longitudinali.

Sono stati sviluppati differenti modelli per descrivere tessuti molli di que-sto tipo e la quasi totalit`a di essi si riconduce ad una formulazione ortotropica iperelastica [14]. Seguendo questo approccio, si introduce una funzione W per l’energia di deformazione e si esprime tale energia in funzione degli in-varianti della deformazione, introducendo opportunamente dei paramentri costitutivi. Effettuando un fitting dei dati sperimentali sopra riportati con modelli di questo tipo, risulta un debole accoppiamento tra le due famiglie di fibre (localmente ortogonali le une alle altre). Alla luce di questo fatto, ai fini del calcolo della tensione circonferenziale, ha senso introdurre una energia di deformazione in funzione dei soli invarianti associati alle fibre circonferenziali.

Un modello diffusamente utilizzato in letteratura `e il seguente:

W = W∞c1(ec2(λ 2−1)2

− 1), (con λ = R

R0

) (3.3)

dove R `e il raggio del tessuto deformato, R0 il raggio del tessuto indeformato

e W∞, c1, c2 dei parametri costanti legati alla natura del tessuto in esame.

Questo modello vale per λ ≥ 1 mentre generalmente si assume W siste-maticamente pari a zero per λ < 1 (ovvero a compressione) [13].

L’andamento esponenziale tiene conto dell’effetto di irriggidimento (stif-fening) dovuto allo stiramento delle fibre.

Assumendo uno deformazione assiale trascurabile rispetto a quella radiale (ipotesi compatibile con l’approssimazione attualmente adottata), la tensione circonferenzaile pu`o essere espressa nel seguente modo:

(38)

28 CAPITOLO 3. DEFINIZIONE DEL PROBLEMA BIOMECCANICO

σM = 4W∞c1c2λ(λ2− 1)ec2(λ 2−1)2

(3.4) Le equazioni costitutive implementate in questo caso sono state (fig. 3.4):

   σM = 4W∞c1c2λ(λ2− 1)ec2(λ 2−1)2 → Fradiale = σM ∗ ˜L Fassiale = 0 (3.5) con: W∞ = 10−2 [N/mm]; c1 = 8.02; c2 = 0.483; ˜

L = 1 ÷ 3 [mm], lunghezza caratteristica definita come nel precedente modello.

I valori di W∞, c1, e c2 sono stati ottenuti attraverso la correlazione con

i dati sperimentali.

Figura 3.5: Curve relative ai due modelli utilizzati.

In Figura 3.5 si mostra la differenza tra i due modelli utilizzati e si no-ta come il ‘Modello Strutturale’ presenti una maggiore rigidit`a rispetto al ‘Modello Fenomenologico’ proprio in virt`u della presenza delle fibre.

(39)

3.1. CARATTERIZZAZIONE MECCANICA DEL TESSUTO 29

3.1.2

Cenni al comportamento tribologico del tessuto

Per quanto riguarda il comportamento tribologico del tessuto sono state condotte delle prove in cui una capsula endoscopica passiva, munita di quat-tro zampe anteriori e quatquat-tro posteriori, viene trascinata all’interno di un tratto di colon suino.

La caspula `e assolutamente passiva ma l’apertura degli arti pu`o essere variata manualmente.

Le azioni resistenti al moto sono state messe in relazione alle sollecitazioni normali trasmesse dal tessuto agli arti del meccanismo secondo un opportuno coefficiente di attrito µ, variabile a seconda del livello di deformazione del tessuto stesso.

Le forze dovute all’attrito sono state misurate con delle celle di carico, mentre le forze normali sono state calcolate analiticamente utilizzando il ‘Modello Fenomenologico’ precedentemente descritto (vedi § 3.1.1).

Note quindi le forze d’attrito (forze tangenziali) e quelle normali al tes-suto, il coefficiente d’attrito (µ) `e stato calcolato come rapporto tra le due grandezze.

Il grafico in figura 3.6 riporta l’andamento del coefficiente di attrito (µ) in funzione della deformazione radiale () e in (3.6) vi `e la sua espressione analitica.

Il coefficiente cos`ı stimato decresce all’aumentare della deformazione. Que-sta circoQue-stanza trova un riscontro fisiologico dovuto al rilascio di muco da parte del tessuto a seguito della sua distensione.

µ = 0, 42082− 0, 2413 + 0, 0489 (3.6) Nell’implementazione del modello tribologico, al coefficiente d’attrito cal-colato in (3.6), `e stato applicato un fattore di smoothing (vedi (3.7) e fi-gura 3.7) qualora la velocit`a fosse inferiore ad una data soglia (vT h, scelta

(40)

30 CAPITOLO 3. DEFINIZIONE DEL PROBLEMA BIOMECCANICO

Figura 3.6: Grafico ‘Coefficiente d’attrito (µ) - Deformazione radiale del tessuto () ’ .

(41)

3.2. IL PROBLEMA MECCANICO DINAMICO 31 resta invariato.    ˜ µ = µ ∗ [sin(π2vT h|v| )] per |v| ≤ vT h ˜ µ = µ per |v| > vT h (3.7) con: ˜

µ : Coefficiente d’attrito aggiornato in funzione della velocit`a; µ : Coefficiente d’attrito in funzione della sola deformazione; |v| : Modulo della velocit`a dell’estremit`a di ciascuna zampa; vT h : Velocit`a di soglia.

Tale fattore di smoothing, in caso si abbiano velocit`a irrisorie (ossia |v| ≤ vT h), consente di evitare eventuali comportamenti impulsati dovuti

all’estra-polazione dei dati sperimentali.

3.2

Il Problema meccanico dinamico

Come gi`a anticipato in precedenza, differentemente dal lavoro [4], l’a-nalisi della locomozione `e stata condotta in maniera rigorosa, risolvendo la dinamica del dispositivo robotico.

Un corpo libero di muoversi nello spazio presenta sei gradi di libert`a. Nella presente modellizzazione si sono assunte come coordinate lagrangiane1

le tre coordinate del baricentro (G) xG, yG, zGe i tre angoli di Eulero ψ, θ, ϕ,

che determinano l’orientamento del corpo attorno al suo baricentro (G). Il problema meccanico si imposta con le seguenti equazioni cardinali:

maG = R(a,e) (3.8)

˙

KG = M(a,e)G (3.9)

1coordinate in numero pari ai gradi di libert`a del sistema che ne determinano

(42)

32 CAPITOLO 3. DEFINIZIONE DEL PROBLEMA BIOMECCANICO dove:

m : massa del corpo;

aG : accelerazione del baricentro; R(a,e) : reazioni attive esterne;

˙

KG : derivata nel tempo del momento della quantit`a di moto rispetto al baricentro;

MG : momento rispetto al baricentro.

Figura 3.8: Rappresentazione della terna globale (rosso) e di quella locale (verde).

I secondi membri, nel caso pi`u generale, sono funzioni note a priori di tre-dici parametri: ψ, θ, ϕ, ˙ψ, ˙θ, ˙ϕ, xG, yG, zG, ˙xG, ˙yG, ˙zG, t. Da ci`o si ottiene

un sistema di sei equazioni differenziali del secondo ordine nelle sei funzioni incognite x(t), y(t), z(t), ψ(t), θ(t), ϕ(t) che, assieme alle condizioni iniziali, fornisce l’impostazione meccanica del problema.

(43)

3.2. IL PROBLEMA MECCANICO DINAMICO 33 Se si pensasse inoltre la prima equazione cardinale proiettata su una ter-na fissa τ (0; x, y, z) mentre la seconda equazione carditer-nale proiettata su uter-na terna solidale al corpo τ∗(0∗; x∗, y∗, z∗) (fig. 3.8), baricentrale principale d’i-nerzia, allora quest’ultima potr`a essere ricondotta a tre equazioni scalari del tipo:          A ˙p − (B − C)qr = Mx(a,e)∗ B ˙q − (C − A)rp = My(a,e)∗ C ˙r − (A − B)pq = Mz(a,e)∗ dove,

A, B, C : momenti d’inerzia del corpo rispetto alla terna solidale τ∗, quindi:

         A =Pn i=1mi(yi∗2+ z ∗2 i ) = mG∗ x∗2G B =Pn i=1mi(x∗2i + zi∗2) = mG∗ yG∗2 C =Pn i=1mi(x ∗2 i + yi∗2) = mG∗ zG∗2

p, q, r : le componenti di ω rispetto alla terna solidale τ∗, quindi:

ω = pi∗+ qj∗+ pk∗ (3.10)

Mi(a,e)∗ : momenti attivi esterni rispetto all’asse i della terna solidale τ∗.

3.2.1

Il metodo di integrazione numerica utilizzato

Il metodo di integrazione utilizzato per risolvere la dinamica del siste-ma (§ 3.2) `e il ‘Metodo di Eulero esplicito (o in avanti)’ . Questo metodo ci consente di risolvere la dinamica del sistema, quindi di calcolare le coor-dinate lagrangiane e le rispettive derivate prime, cosicch`e si possa definire l’andamento temporale del vettore di stato.

(44)

34 CAPITOLO 3. DEFINIZIONE DEL PROBLEMA BIOMECCANICO sv =                            xG yG zG ψ θ ϕ ˙ xG ˙ yG ˙ zG ˙ ψ ˙ θ ˙ ϕ                            con:

• xG, yG, zG: coordinate del baricentro (G);

• ψ, θ, ϕ: angoli di Eulero associati al robot ; • ˙xG, ˙yG, ˙zG: velocit`a del baricentro (G);

• ˙ψ, ˙θ, ˙ϕ: velocit`a associata agli angoli di Eulero del robot.

Il ‘Metodo di Eulero’ consente, ad ogni istante di simulazione, di poter aggiornare l’appena citato vettore di stato.

Il procedimento alla base di tale metodo `e illustrato in figura 3.9 e la logica `e di seguito esposta:

1. si sceglie un punto iniziale (t(0), y(0));

2. si fissa un passo di integrazione arbitrario (h), ragionevolmente piccolo; 3. si approssima la soluzione a t(1) = t(0) + h come segue:

y(t + h) = y(t) + h ∗ dy(t)

(45)

3.2. IL PROBLEMA MECCANICO DINAMICO 35 4. avendo il nuovo punto (t(1), y(1)), si incrementa nuovamente t e si

calcola y(2) analogamente a quanto appena detto e cos`ı via.

Figura 3.9: Illustrazione del ‘Metodo di Eulero’ .

Tale metodo consente di avere una buona stima dell’andamento tempo-rale di posizione e velocit`a della capsula ad un costo ragionevole in termini computazionali.

(46)
(47)

Capitolo 4

Il software di simulazione

Il presente capitolo si occuper`a dell’analisi dettagliata del software di simulazione realizzato in ambiente M atlab 7.1T M.

Tale strumento prevede lo studio della locomozione attiva all’interno del tratto gastrointestinale di dispositivi robotici. Il sistema `e stato cos`ı modellizzato:

• l’ambiente di applicazione (tratto gastrointestinale) come un cilindro deformabile;

• il dispositivo robotico come un corpo cilindrico a n arti nella parte anteriore e a m arti nella parte posteriore, ciascuno a 2 gradi di libert`a (di seguito si far`a riferimento rispettivamente al link del braccio e al link dell’avambraccio).

L’utente ha la possibilit`a di variare direttamente dalla GUI (che verr`a dettagliatamente analizzata nel capitolo successivo § 5):

• i paramentri di simulazione: istante iniziale, istante finale, intervallo di integrazione, frequenza di visualizzazione immagini, ecc.;

• i paramentri fisici del robot: raggio, lunghezza, lunghezza braccio del robot, lunghezza avambraccio del robot, numero di zampe, ecc.;

(48)

38 CAPITOLO 4. IL SOFTWARE DI SIMULAZIONE • i paramentri fisici del tessuto: raggio, coefficiente d’attrito, modello,

ecc.;

• la legge di controllo delle zampe anteriori e posteriori della capsula; • ecc.

Una volta impostati tutti i parametri, l’utente pu`o avviare il program-ma che in assoluta autonomia conduce la simulazione e fornisce i risultati desiderati.

La struttura portante del programma (fig. 4.1) prevede: • l’acquisizione dei parametri settati dall’utente;

• il calcolo del numero di integrazioni (N) da effettuare sulla base del-l’istante iniziale, deldel-l’istante finale di simulazione e dell’intervallo di integrazione (parametri sempre scelti e inseriti nella GUI dall’utente); • per ogni istante di simulazione N si ha:

– la risoluzione della cinematica diretta, quindi la definizione di po-sizione e velocit`a assunte dall’estremit`a degli arti del dispositivo robotico, nota la loro legge di controllo (anche questa scelta e settata nella GUI dall’utente);

– il calcolo delle azioni agenti sulla capsula ad ogni istante di simu-lazione in base al modello di tessuto selezionato;

– il calcolo delle derivate seconde delle coordinate lagrangiane me-diante la risoluzione della ‘Equazione Cardinali della Dinamica’˜; – l’aggiornamento del vettore di stato della capsula sulla base del

‘Metodo di Eulero’ .

• andamento temporale delle grandezze di interesse;

• calcolo dell’avanzamento raggiunto dal robot e delle potenza necessaria; • realizzazione del video di simulazione.

(49)

39

INIZIO

Impostazione dei parametri

e delle leggi di moto

UTENTE

Acquisizione dei dati impostati dall’utente

GUI

Leggi di moto SOFTWARE

Calcolo delle coordinate del-le zampe rispetto al sistema

di riferimento assoluto

Ripetuto ad ogni passo di simulazione

Calcolo delle azioni agenti sulle zampe (Forze e Momenti)

Posizioni e velocit`a attuali della capsula

Risoluzione della Dinamica della capsula tramite equilibrio globale

(‘Equazioni Cardinali’ ) con definizione delle accelerazioni

Aggiornamento del vettore di stato (posizione e velocit`a della capsula)

Andamento temporale di: • posizione e velocit`a del baricentro, orientamento (angoli di Eulero) e relativa derivata temporale

• azioni agenti sulla capsula

• potenza istantanea necessaria alla locomozione

• avanzamento raggiunto

Realizzazione video simulazione

FINE

(50)

40 CAPITOLO 4. IL SOFTWARE DI SIMULAZIONE Il software `e inoltre stato implementato in modo tale da non dar luo-go a comportamenti anomali dal punto di vista fisico (come ad esempio avanzamenti balistici).

4.1

Il corpo del programma

4.1.1

Il Main file

Il Main file altro non `e che il file.m principale che rappresenta la struttura del software (fig. 4.2) e che gestisce tutti i restanti file.

Il Main file acquisisce i parametri settati dall’utente, applica la legge di controllo al modello del robot, simula l’interazione ‘robot -tessuto biologico’ in accordo con il modello di tessuto selezionato (§ 3.1) e conseguentemente consente di operare l’analisi della locomozione attiva del dispositivo robotico all’interno del condotto biologico.

4.1.2

Settaggio delle impostazioni

I files dedicati al settaggio delle impostazioni si occupano di allocare in strutture globali le variabili settate nella GUI; tali files realizzano quindi un vero e proprio ‘smistamento’ delle variabili in ingresso.

4.1.3

Costruzione delle leggi di moto

I files dedicati alla costruzione delle leggi di moto ‘interpretano’ le variabili settate dall’utente e le decodificano in leggi di controllo degli arti anteriori e posteriori.

Le leggi di controllo di braccio e di avambraccio di ciascun arto, tanto della parte anteriore quanto della parte posteriore, sono assolutamente indi-pendenti le une dalle altre.

Per ogni link del robot, ciascuna legge di controllo `e del tipo mostrato in figura 4.3 e prevede:

(51)

4.1. IL CORPO DEL PROGRAMMA 41

Main file

Settaggio

Costruzione delle leggi di moto Risoluzione problema bio-meccanico Azioni agenti Contatti Leggi di moto Storico delle variabili Settaggio immagini Controllo della simulazione

(52)

42 CAPITOLO 4. IL SOFTWARE DI SIMULAZIONE

Figura 4.3: La legge di controllo degli arti.

• angolo up (o angolo massimo): ampiezza del massimo angolo che si vuole far raggiungere al link ;

• angolo down (o angolo minimo): ampiezza del minimo angolo che si vuole far raggiungere al link ;

• ritardo: assunto, per convenzione, che la legge di controllo inizi con il primo istante in cui il link ha ampiezza pari all’angolo up, il parame-tro ‘ritardo’ consente di operare le traslazioni temporali necessarie a modificare proprio tale convenzione.

• tempo up: intervallo di tempo per cui il link deve mantenere un’am-piezza pari all’angolo up;

• tempo up-down: intervallo di tempo in cui il link deve passare dall’an-golo massimo (andall’an-golo up) all’andall’an-golo minimo (andall’an-golo down);

• tempo down: intervallo di tempo per cui il link deve mantenere un’am-piezza pari all’angolo down;

(53)

4.1. IL CORPO DEL PROGRAMMA 43 • tempo down-up: intervallo di tempo in cui il link deve passare

dall’an-golo minimo (andall’an-golo down) all’andall’an-golo massimo (andall’an-golo up).

Per le delucidazioni in merito a tali variabili si rimanda alla figura 4.4. Le convenzioni utilizzate per la definizione degli angoli associati ai link di braccio e avambraccio sono:

• link del braccio: gli angoli si contano a partire dalla normale alla su-perficie della caspula (asse di riferimento). Sono positivi quelli letti in senso orario rispetto al riferimento e negativi quelli letti in senso an-tiorario rispetto al riferimento. In fig. 4.5, l’asse Θ = 0 rappresenta il riferimento, la regione verde evidenzia gli angoli positivi mentre quella arancione rappresenta gli angoli negativi;

• link dell’avambraccio: gli angoli si contano a partire dall’asse definito dal link del braccio (asse di riferimento), si tratta quindi di angoli relativi. Sono positivi quelli letti in senso orario rispetto al riferimento e negativi quelli letti in senso antiorario rispetto al riferimento. In fig. 4.6, l’asse Θ = 0 rappresenta il riferimento, la regione verde evidenzia gli angoli positivi mentre quella arancione rappresenta gli angoli negativi.

I parametri associati a tempo up e tempo down possono assumere qualsi-voglia valore positivo, compreso lo zero, mentre i parametri tempo up-down e tempo down-up, devono essere strettamente maggiori di zero. Tale vincolo nasce dall’inconsistenza fisica per cui ad uno stesso istante i link non possano assumere due posizioni differenti.

La codifica della legge di controllo rispetto ai parametri settati dall’utente, prevede inoltre la possibilit`a che l’interpolazione di questi ultimi possa anche non essere strettamente linare. Ci`o consente di effettuare, a parit`a di ritardo, angolo up, angolo down, tempo up, tempo up-down, tempo down, tempo down-up, delle simulazioni con leggi di controllo strutturalmente differenti.

(54)

44 CAPITOLO 4. IL SOFTWARE DI SIMULAZIONE

(55)

4.1. IL CORPO DEL PROGRAMMA 45

Figura 4.5: Convenzione utilizzata per la lettura degli angoli relativi al link del braccio.

Figura 4.6: Convenzione utilizzata per la lettura degli angoli relativi al link dell’avambraccio.

(56)

46 CAPITOLO 4. IL SOFTWARE DI SIMULAZIONE

4.1.4

Risoluzione del problema biomeccanico

Il blocco di files per la risoluzione del problema biomeccanico `e il blocco pi`u corposo del programma in quanto riceve in input il vettore di stato (sv, vedi § 3.2.1) relativo all’istante di simulazione t(i) e restituisce la derivata di tale vettore di stato (d(sv)dt ). Tale derivata viene poi utilizzata nel ‘Meto-do di Eulero’ (vedi § 3.2.1) per la definizione del vettore di stato all’istante t(i+h), con h intervallo di integrazione.

Gli step principali associati a tale blocco (fig.4.2) sono:

1. Risoluzione della cinematica diretta per la definizione di posizioni e velocit`a delle estremit`a di ciascun arto rispetto alla terna globale; 2. Rilevazione della presenza di contatti tra capsula e tessuto biologico; 3. Applicazione del modello di tessuto scelto dall’utente e conseguente

calcolo della dinamica del sistema.

4.1.5

Definizione dello storico delle variabili

Questo file si occupa di visualizzare l’andamento temporale delle seguenti grandezze:

• posizione del baricentro; • velocit`a del baricentro; • accelerazione del baricentro; • angoli di Eulero;

• forze agenti sulla capsula; • momenti agenti sulla capsula.

(57)

4.1. IL CORPO DEL PROGRAMMA 47

4.1.6

Settaggio per le visualizzazioni

Tale file consente la visualizzazione dell’andamento temporale degli ‘os-servabili’ , ossia delle grandezze scelte per essere monitorate durante la si-mulazione oltre a quelle principali (gi`a mensionate in § 4.1.5).

Tali grandezze sono:

• forza agente sul singolo arto dovuta alla natura bioelastica del tessuto; • forza agente sul singolo arto dovuta alla tribologia del tessuto.

4.1.7

Controllo della simulazione

Al termine del programma vi `e inoltre la possibilit`a di visualizzazioni dei paramentri di controllo della simulazione, in particolare di pu`o vedere l’andamento temporale delle seguenti grandezze:

• progressione o meno della capsula;

• contatto o meno presente tra capsula e tessuto biologico ed eventual-mente numero di arti in contatto;

(58)
(59)

Capitolo 5

Interfaccia grafica

Lo strumento di simulazione realizzato in ambiente M atlab 7.1T M prevede la gestione di numerosi file (in particolare file < ∗.m > ovvero file di script di Matlab) e l’impostazione dei relativi parametri. La gestione di un tale scenario, se affrontato direttamente dall’utente, potrebbe necessitare di un tempo non irrisorio e di un impegno eccessivo.

Per sopperire a tale circostanza si `e pensato di limitare il compito dell’u-tente alla sola interazione con un’interfaccia grafica.

Sono state realizzate pi`u versioni della GUI per affinarne la praticit`a d’uso, l’interattivit`a e l’efficienza anche per utenti poco esperti.

La realizzazione dell’interfaccia grafica ha richiesto di una fase iniziale per la messa a punto della veste grafica, mentre lo sviluppo successivo `e avvenuto in sinergia con l’ottimizzazione dello strumento di simulazione vero e proprio.

5.1

Versione 1.0

(60)

50 CAPITOLO 5. INTERFACCIA GRAFICA Figura 5.1: GUI V ersione1.0.

(61)

5.1. VERSIONE 1.0 51 La Versione 1.0 prevede una unica view in cui sono raccolti i parametri strettamente legati alla simulazione (fig. 5.1). Si riconoscono tre pannelli, rispettivamente:

• Time Settings • Data Settings • Legge di Controllo

ciascuno dei quali `e costituito da vari campi da compilare. Ciascun campo `e definito da (fig. 5.2):

Figura 5.2: Dettaglio della GUI Versione1.0.

• testo per l’identificazione della variabile da settare (text );

• casella di edit per l’inserimento del valore o stringa da associare alla variabile;

• eventuale popupmenu (fig. 5.3) per la selezione dell’unit`a di misura qualora ce ne fosse pi`u di una disponibile.

Tale interfaccia si presenta di immediata comprensione in quanto neces-sita della sola compilazione dei vari campi.

Al termine di tale procedura, cliccando sul tasto ‘Set ’ viene avviato il programma per la simulazione vera e propria, in accordo con i parametri inseriti.

(62)

52 CAPITOLO 5. INTERFACCIA GRAFICA

Figura 5.3: Selezione dell’unit`a di misura.

5.2

Versione 2.0

La necessit`a di introdurre la Versione 2.0 nasce dalla volont`a di rendere lo strumento di simulazione oltre che di facile utilizzo anche completamente trasparente all’utente.

La Versione 2.0 prevede l’implementazione delle stesse funzionalit`a della Versione 1.0, con aggiunta la possibilit`a di gestire pi`u parametri. Questa versione presenta quindi totale trasparenza del software e la possibilit`a da parte degli utenti pi`u esperti di poter interagire con tutti i parametri del sistema.

La veste grafica appare completamente cambiata. All’avvio della GUI ap-pare immediatamente un men`u (fig. 5.4) con le cinque categorie (Simulation Param’s, Physical Data, Numerical Data, Set Legs Control Law, Threshold and Auxiliary) in cui sono suddivisi i parametri da settare. Una volta selezio-nata la categoria da settare, il men`u principale resta a disposizione (fig. 5.5) per la navigazione dell’utente sul margine sinistro della finestra.

I campi da compilare sono strutturalmente analoghi a quelli presenti nella versione precedente con l’aggiunta di un eventuale tasto ‘info’ qualora si sia ritenuto opportuno offrire delucidazioni in merito al significato di una data variabile.

La GUI presenta inoltre tre bottoni:

• Set : bottone per il settaggio della categoria visualizzata;

• Start : bottone di avvio del programma di simulazione, in accordo con i parametri inseriti.

(63)

5.2. VERSIONE 2.0 53 • Close: bottone di chiusura della GUI.

(64)

54 CAPITOLO 5. INTERFACCIA GRAFICA Figura 5.5: Dettaglio della categoria Physic al Data .

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5.3. VERSIONE 3.0 55

5.3

Versione 3.0

La necessit`a di introdurre la Versione 3.0 nasce dalla volont`a di migliorare la gestione delle categorie, di conferire maggiori funzionalit`a alla GUI e di rendere indipendente la GUI dal programma di simulazione.

L’indipendenza dal programma di simulazione consente all’utente di ope-rare il settaggio dei parametri e la simulazione vera e propria in tempi dif-ferenti. Tale versione prevede quindi che la GUI effettui un salvataggio dei parametri inseriti in un file.mat che verr`a passato come input al programma di simulazione in un secondo momento. Ci`o permette all’utente di salvare, in file.mat differenti, varie combinazioni di parametri che potranno essere testate in momenti successivi dal programma di simulazione.

Nella Versione 3.0 inoltre le cinque categorie sono state riarrangiate in un numero pari a quattro e ciascuna `e associata ad un tab1. L’utilizzo dei tab

consente di eliminare il men`u di navigazione, a vantaggio di una navigabilit`a pi`u fluida e una veste grafica conforme agli standard di uso comune.

La nuova versione (fig. 5.6) prevede quindi quattro tab (Simulation Para-meters, Physical Settings, Numerical Settings, Legs Control Law ) associati a quattro viste differenti e cinque bottoni (Set All Sections, About, Save to file, Save as default, Exit ) con funzionalit`a generali, visibili in qualunque vista.

1In informatica un tab `e un controllo grafico (widget ) detto di navigazione che permette

all’utente di muoversi da un gruppo di controlli (o documenti) a un altro.

I tab, vengono rappresentati graficamente come dei rettangoli che contengono una breve descrizione. L’attivazione di un tab (mediante il click del mouse) rende visibili i conte-nuti ad esso associati e contemporaneamente viene in qualche modo evidenziata la sua attivazione. Pu`o essere attivato un solo tab alla volta.[2]

(66)

56 CAPITOLO 5. INTERFACCIA GRAFICA Figura 5.6: Gui V ersione 3.0.

(67)

5.3. VERSIONE 3.0 57 I campi (fig. 5.7) nei vari tab sono raggruppati in pannelli e sono analoghi a quelli delle due versioni precedenti, ossia sono costituiti da:

• testo per l’identificazione della variabile da settare (text );

• casella di edit per l’inserimento del valore o stringa da associare alla variabile;

• eventuale popupmenu per la selezione dell’unit`a di misura qualora ce ne fosse pi`u di una disponibile;

• eventuale bottone info per avere delucidazioni in merito ad un dato parametro.

Figura 5.7: Dettaglio Gui Versione 3.0.

Ciascun tab prevede un bottone ‘Set this section’ per il settaggio della vista corrente.

Il tab ‘Physical Settings’ consente oltre alle funzionalit`a standard di: • Visionare mediante l’ausilio di un’immagine (fig. 5.8) il significato

fisi-co di alcuni parametri riferiti al robot. Questa operazione pu`o essere eseguita cliccato sul bottone ‘Figure’ in alto a sinistra nel tab.

• Selezionare il modello del tessuto da utilizzare nella simulazione, la scelta `e accompagnata da un grafico ‘Tensile Stress-Strain’ dei due modelli utilizzabili (fig. 5.9).

(68)

58 CAPITOLO 5. INTERFACCIA GRAFICA

Figura 5.8: Apertura di un’immagine esplicativa relativa ai parametri fisici del robot.

Figura 5.9: Sezione per la scelta del modello (a destra) con grafico esplicativo (a sinistra).

(69)

5.3. VERSIONE 3.0 59 Il tab ‘Legs Control Law ’ consente oltre alle funzionalit`a standard di: • visionare mediante l’ausilio di un’immagine (fig. 5.10) il significato fisico

di alcuni parametri riferiti alla legge di controllo del robot. Questa operazione pu`o essere eseguita cliccato sul bottone ‘Figure’ in alto a sinistra nel tab.

Figura 5.10: Apertura di un’immagine esplicativa relativa ai parametri fisici della legge di controllo del robot.

• Selezionare l’interpolante della legge di controllo da utilizzare nella si-mulazione, la scelta `e accompagnata da un grafico ‘Angle (or Relati-ve angle)-Time’ relativo agli interpolanti utilizzabili (fig. 5.11).

I cinque bottoni con funzionalit`a generali, visibili in qualunque vista hanno le seguenti mansioni:

• Set All Sections: Settare i parametri di tutti i tab indipendentemente dal tab correntemente in vista.

(70)

60 CAPITOLO 5. INTERFACCIA GRAFICA

Figura 5.11: Figura, con grafico esplicativo, per la scelta dell’interpolante.

• About : Fornisce informazioni sull’autore della GUI.

• Save to file: Salva i parametri settati in un file.mat che verr`a poi passato come input al programma di simulazione.

• Save as default : Salva i parametri settati come valori di default per l’avvio successivo della GUI.

• Exit : Chiude la GUI.

Sono stati inoltre inseriti dei controlli (warning) sulla validit`a fisica dei parametri inseriti, cosicch´e l’utente possa correggere i campi indicati come errati, prima di sottoporre il set di parametri al programma di simulazione.

5.3.1

Versione 3.5

La Versione 3.5 `e stata introdotta a seguito dell’aggiornamento del soft-ware che consentiva alla capsula di poter avere un numero differente di arti

(71)

5.3. VERSIONE 3.0 61 anteriori e posteriori, una disposizione spaziale degli stessi arti del tutto arbitraria e una legge di controllo indipendente per ogni singolo arto.

Gli aggiornamenti rispetto alla versione precedente sono:

• modifica del tab ‘Physical Settings’ affinch`e si possa impostare il numero di arti anteriori e posteriori. Da tale tab inoltre si ha l’accesso diretto al pannello per il settaggio della disposizione spaziale degli arti (fig. 5.12); • modifica del tab ‘Legs Control Law ’ affinch`e si possa impostare la legge di controllo di ogni singolo arto (per un massimo di 8 arti nella parte anteriore e nella parte posteriore 2). Il tab `e stato scomposto in due tab identici, uno per gli arti anteriori e l’altro per gli arti posteriori (fig. 5.13);

Figura 5.12: Tab ‘Physical Settings’ aggiornato.

2il limite di otto arti `e unicamente dovuto a dei limiti di visualizzazione dei campi nella

(72)

62 CAPITOLO 5. INTERFACCIA GRAFICA Figura 5.13: T ab ‘L egs Contr ol L aw ’ aggiornato.

Riferimenti

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