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Contesto di riferimento. Interfacce, oggetti smart ed esperienza utente

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Academic year: 2021

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Stefano Marangoni, Ilaria Mariani, Umberto Tolino Eds

Hacking

meanings

Interfacce e

interazioni

che alterano

il senso delle

cose.

THINGK STUDIES!

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Direzione

Stefano Marangoni

Comitato editoriale

Stefano Marangoni, Ilaria Mariani, Umberto Tolino

Progetto grafico

Tommaso Livio

Il presente volume è pubblicato in Open Access, ed è liberamente scaricabile dal sito www.thingk.design Hacking meanings. Interfacce e interazioni che alterano il senso delle cose

Stefano Marangoni, Ilaria Mariani, Umberto Tolino (Eds.) ISBN Open Access: 9788894567915

Prima edizione: Feb 2020 Via Durando 38, 20158 Milano www.thingk.design

Copyright © 2020 by Thingk s.r.l., Milano, Italia

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IND IC E Introduzione Stefano Marangoni Contesto di riferimento

Interfacce, oggetti smart ed esperienza utente

Stefano Marangoni, Ilaria Mariani, Umberto Tolino, Tommaso Livio

Metodo progettuale

Un percorso con l’utente al centro

Umberto Tolino, Ilaria Mariani

Interfacce utente Naturali, tangibili e vocali

Stefano Marangoni, Ilaria Mariani, Umberto Tolino, Tommaso Livio

Smart textile

Materiali tradizionali e tecnologie digitali

Ilaria Mariani, Stefano Marangoni, Umberto Tolino

Hacking meanings

Nuovi significati per oggetti e interazioni

Ilaria Mariani, Umberto Tolino

Drawing User Interfaces Interazioni situate e variabili

Stefano Marangoni, Ilaria Mariani, Umberto Tolino

5 7 29 61 87 113 137

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Contesto di

riferimento

Interfacce,

oggetti smart

ed esperienza

utente

Stefano Marangoni Thingk, Milano

Ilaria Mariani Thingk & Dipartimento di Design, Politecnico di Milano

Umberto Tolino Thingk & Dipartimento di Design, Politecnico di Milano

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C ont es to d i r if er im ent o

Abstract. Il progresso tecnologico e la trasformazione digitale stanno svol-gendo un ruolo fondamentale nell’influenzare il modo in cui percepiamo il mondo, viviamo e agiamo. Dal punto di vista dell’utente, ha alimentato tra-sformazioni rilevanti fornendo accesso diffuso a dati e strumenti. La stessa natura pervasiva dell’informazione e della comunicazione ha ridisegnato i nostri usi e abitudini. Questo saggio presenta casi studio significativi a di-verso titolo, che riteniamo di ispirazione e connotanti le sperimentazioni in corso.

Keyword. Interfacce utente, smart object, user experience, IoT.

In uno scenario in continuo cambiamento

Siamo in un momento storico che si caratterizza per un co-stante progresso tecnologico che influenza il nostro modo di interagire con ciò che ci circonda. Che si parli di relazione con gli altri, con gli oggetti, o con l’ambiente, ci troviamo di fronte ad una serie incessante di cambiamenti che in modo più o meno evidente ci stanno portando a rivedere le nostre modalità di interazione, imbrigliandoci in un flusso di adat-tamenti, apprendimento, rivisitazione che non possiamo che considerare come evoluzione culturale. Pensiamo ad esem-pio alla pervasività tecnologica che caratterizza un numero crescente di dispositivi, e a come ciò abbia portato i nostri ambienti a essere più intelligenti, interattivi e dialoganti tra loro, con il contesto circostante, e con noi. Il risultato è una serie di esperienze innovative e avanzate che si traducono in altrettanti modelli e modelli d’uso, basati sulla

reinterpreta-zione del rapporto tra uomo e tecnologia (Latour, 1996).

Gli avanzamenti tecnologici e la trasformazione digitale in atto stanno svolgendo un ruolo fondamentale nell’influenza-re il modo in cui viviamo e agiamo (Castells, 2004). L’obiettivo alla loro base è una progressiva semplificazione della nostra vita e delle attività che svolgiamo quotidianamente,

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fornen-In te rfa cc e, o gg et ti sm ar t e d e sp er ie nz a u te nt e 9

do risposte ai bisogni che spesso la tecnologia stessa ha cre-ato (McLuhan, 1964). Ci troviamo in uno scenario in continua evoluzione, che mostra una marcata tendenza a includere e porre in relazione persone, oggetti e sistemi in ecosistemi più o meno complessi. Così facendo, la tecnologia ha di fatto influenzato – e sta tutt’ora influenzando – in modo significa-tivo il modo in cui percepiamo il mondo.

Una molteplicità di dispositivi diffusi e pervasivi dotati di sen-sori e capacità di calcolo ha reso le nostre interazioni onni-presenti, dinamiche e immediate, talvolta persino invisibili. Nel campo dell’HCI questo cambiamento è corrisposto a un significativo spostamento da una prospettiva che considera persone e computer come separati e distinti verso una pro-spettiva che guarda a persone, materiali intelligenti e com-putazionali, e quindi alla tecnologia nel suo complesso, come un insieme (Wiberg et al., 2012; Wiberg & Robles, 2010). La pervasività stessa dell’informazione e della comunicazione sta ridisegnando i nostri usi e le nostre abitudini. Inoltre il ruolo della tecnologia all’interno della società è progressi-vamente mutato, passando dall’essere risolutore di proble-mi, al soddisfare bisogni percepiti (Hassenzahl & Tractinsky, 2006), al diventare attivatore di nuovi bisogni.

L’integrazione di capacità computazionale nelle nostre vite e nelle attività che svolgiamo ogni giorno ha raggiunto un livel-lo tale da consentire di concettualizzare la tecnologia stessa

come materiale di progettazione che opera in simbiosi con

altri materiali fisici, in un ecosistema integrato che consen-te nuove esperienze e pratiche di utilizzo. Lo scopo è quello di ottenere interazioni soddisfacenti senza dover fornire in-formazioni, in quanto queste vengono colte e processate da macchine intelligenti, in grado di comprendere, prevedere,

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e interagire con noi e con altre macchine dotate di potere computazionale. L’attenzione è rivolta al progettare e imma-ginare artefatti sensibili rispetto a ciò che li circonda, con-nessi a Internet e/o tra di loro, regolati da un codice che ne governa i comportamenti, e che ne definisce di conseguenza il modo in cui interagiscono con altri oggetti e applicazioni e persino ambienti, anch’essi connessi. Incorporare potere computazionale in oggetti e connetterli in rete significa do-tarli di intelligenza e abilido-tarli ad interazioni. Il considerare e implementare questi aspetti delineano un campo di indagi-ne impegnativo che richiede approcci interdisciplinari ibridi, in cui il Design incontra, si confronta, per arrivare spesso a fondersi con l’ingegneria.

Soprattutto l’abbattimento dei costi delle componenti elet-troniche cui abbiamo assistito negli ultimi decenni ha ali-mentato una nuova fase di elettrificazione e digitalizzazione, che ha incontrato un rapido sviluppo soprattutto in ambito domestico (Røpke et al., 2010). Soprattutto nel segmento delle Smart Home Appliances (Bansal et al., 2011) si sono fatte strada nuove interazioni destinate migliorare, ripensa-re o soppiantaripensa-re le esperienze esistenti (Balta-Ozkan et al., 2013; Cook, 2012; Firth et al., 2013; Lin et al., 2002; Park et al., 2003). Seguendo un principio per cui il sistema è da pen-sarsi come olistico e interconnesso, stiamo assistendo a una riprogettazione dei nostri ambienti che acquisiscono intelli-genza in quanto ospitanti tecnologie distribuite (Miraz et al., 2015; Wilson et al., 2015) che formano reti di dispositivi e di oggetti dotati di sensori, attuatori e controllori che con-sentono di processare e scambiare informazioni, e agire di conseguenza.

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Un caso studio significativo è dato dalle lampadine intelli-genti. Nel corso degli ultimi anni, abbiamo assistito a un pro-gressivo interesse del mercato nei confronti delle lampadi-ne smart, che non solo sono più efficienti dal punto di vista energetico, ma che riescono ad accendersi senza il bisogno di interagire/premere un interruttore. Philips Hue è tra gli esempi più noti, soprattutto per la sua capacità di dialogare senza soluzione di continuità con hub domestici come

Ama-zon Alexa e Google Home. Questa tipologia di lampadine ci

consente di definire routine per gestire l’accensione e lo spe-gnimento in determinati momenti e/o a determinate condi-zioni, e persino di variare i suoi colori sfruttando una vasta gamma cromatica.

Indagando ulteriormente sulle possibilità offerte in termi-ni di illuminazione “più intelligente”, non si può non citare

LIFX Switch1. Alla base dell’innovazione di prodotto promosso

dall’azienda australiana troviamo un approccio lungimirante che guarda ad incorporare sensori destinati oltre al coman-dare l’accensione e lo spegnimento della luce. Le implemen-tazioni tecnologiche riguardano sensori di luce ambientale, accelerometri, infrarossi e altri componenti volti a far evolve-re la lampadina in un dispositivo intelligente dotato di poteevolve-re decisionale. LIFX Switch è infatti da considerarsi uno smart

switch con funzioni da hub IoT. Tra le sue capacità, quella di

riconoscere le nostre abitudini, interpretando ciò che i sen-sori stanno rilevando – senza ricorrere allo smartphone. Dal sensore a infrarossi delle lampadine all’accelerometro per azionare altri smart object, ai sensori che le rendono capaci di gestire la loro stessa intensità sulla base del valore di

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minazione ambientale, senza ricevere comandi: LIFX Switch vuole andare ben oltre il sostituire il tradizionale interruttore della luce di casa trasformando gli switch in hub che gover-nano lampadine non smart, lampadine intelligenti, e altri og-getti smart presenti nell’ambiente domestico.

L’Internet delle cose nei nostri oggetti e nelle nostre case

In senso lato, il termine Internet of Things (IoT) viene usato per indicare tutto ciò che è connesso a internet. Tuttavia l’u-so più frequente si è estel’u-so, diventando sinonimo di oggetti che “parlano” tra loro. L’IoT si vede quindi costituito da di-spositivi di diversa scala, con diverse funzioni, collegati tra loro. Ben presto però questa definizione è diventata stretta per gli usi in atto: la connessione tra gli oggetti ha sfondato la barriera degli oggetti stessi, e si è ulteriormente allargata, espandendosi al contesto in cui si trovano, e all’ambiente in generale. Ciò ha richiesto l’introduzione di un nuovo concet-to, quello ancora un più inclusivo di Internet of Everything

(IoE) (Evans, 2012).

Il concetto di IoE guarda quindi al quadro più ampio in cui si inserisce l’IoT, abbracciando una visione di una rete distri-buita che pone crescente attenzione al decentramento delle attività. Quindi, se l’IoT abbraccia principalmente il punto di vista dei dispositivi collegati, delle loro capacità di rilevamen-to, comunicazione e trasmissione di dati prodotti dai disposi-tivi per guidare/informare specifici processi, il concetto di IoE vuole offrire una visione più ampia.

L’IoT è costituito dal fatto che gli oggetti possono imparare dall’ambiente circostante e interagire con gli altri elementi integrati nell’ambiente e che compongono l’ecosistema

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digi-In te rfa cc e, o gg et ti sm ar t e d e sp er ie nz a u te nt e 13

tale (Vermesan & Friess, 2013) Tali ecosistemi sono in realtà progettati per ruotare intorno all’utente senza richiedere una performance ingombrante o una presenza costante (come nel caso delle Interfacce a linea di comando, CLI). In effetti, si adattano automaticamente alle circostanze. In tale conte-sto, alle macchine viene affidato il compito molto più com-plesso di raccogliere dati, analizzarli e agire di conseguenza, mentre l’utente può dedicare l’attenzione alla supervisione/ sorveglianza del processo. Il potenziamento di computer e device con sistemi che gli permettano la raccolta delle infor-mazioni consente agli oggetti di interpretare il mondo circo-stante, otrepassando il limite del ricevere dati unicamente per mano degli utenti (Ashton, 2009). In parallelo, il vantag-gio significativo di un progressivo aumento della capacità di calcolo (ubiquitous computing) risiede nella diminuzione delle informazioni che gli utenti devono elaborare e tenere a men-te duranmen-te le attività, ricordando quello che Sweller definisce come carico cognitivo (Sweller, 1994).

Il primo caso studio che presentiamo per tracciare lo sta-to dell’arte sull’evoluzione delle interfacce unitamente alla diffusione dell’IoT, che lo ha reso possibile, è la BMW Vision

iNEXT2. Il concept sviluppato da Qualcomm descrive la prima

macchina a guida autonoma connessa con rete 5G, e dota-ta di sistemi IoT per migliorare l’esperienza di guida stessa, che affianca ad una rivisitazione delle tradizionali interfacce grafiche attraverso l’uso dei materiali. In questo concept gli interni sono stati completamente ripensati per reinventare la qualità dell’esperienza di spostamento in auto.

L’abitaco-2

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lo integra tecnologia a comando vocale e gestuale nel legno del bracciolo e nell’impiego di smart textile3. La superficie del

bracciolo posto nella console centrale fa trasparire punti luminosi che seguono le interazioni dell’utente attraver-so l’impiallacciatura del legno stesattraver-so, fornendo importan-ti feedback visivi. La tecnologia che BMW rinomina come “ShyTech” – nome che fa risuonare l’affinità concettuale con la calm technology (Case, 2015; Weiser & Brown, 1996) su cui si basa – affiora dalla console centrale senza necessità di af-fidarsi a ulteriori schermi. Inoltre le superfici in smart textile consentono la gestione e riproduzione musicale interagen-do tramite gesti sul sedile posteriore. Anche in questo caso l’interazione viene sottolineata introducendo un ulteriore feedback visivo a segnalare l’avvenuto dialogo. La comuni-cazione visiva è data da LED che si illuminano attraverso il tessuto. Le superfici sono quindi immaginate per ospitare tecnologie digitali che emergono dai materiali e diventano visibili solo quando l’utente ne desidera l’uso.

La realtà che conosciamo si delinea come sempre più connes-sa e interconnesconnes-sa. Ciò offre a designer, ingegneri e impren-ditori nuove opportunità in termini di innovazione e sviluppo. Tuttavia, accanto alla varietà di intriganti possibilità e sfide, è nostro dovere porci continuamente nuove domande e soprat-tutto riflettere sulle implicazioni ne derivano, tanto dal punto di vista economico, quanto da quello sociale e culturale. Non è un caso che la nascita dell’IoT sia stata accompagnata dalla stesura di un codice di condotta, in cui sono contenuti dieci principi volti ad aiutare chi progetta a creare prodotti

3 Per ulteriori dettagli sul tema degli smart textile si fa riferimento al

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che siano equilibrati all’interno del contesto in cui si situano, rispettosi tanto delle unicità quanto delle diversità, e onesti (van der Vleuten et al., n.d.).

Osservando le pratiche nell’ambiente domestico, è un dato di fatto che i sistemi e i dispositivi quotidiani di tipo smart si siano ampiamente diffusi (Cook, 2012; Park et al., 2003). L’essenza di una casa smart è la presenza di tecnologie di informazione e comunicazione intelligenti, distribuite tra le stanze: oggetti elettronici tra loro connessi che creano si-stemi in rete capaci di trasmettere informazioni agli utenti, percepirne i comandi e agire in modo indipendente al fine di ottimizzare e facilitare la gestione dell’ambiente domesti-co (Cook, 2012; Firth et al., 2013). La gestione del domesti-consumo energetico rappresenta un ambito particolarmente cruciale e di interesse per le tecnologie domestiche intelligenti, di-ventano oggetto di numerosi progetti di ricerca (Froehlich et al., 2010, 2010; Gupta et al., 2009; Scott et al., 2011) e di offer-te commerciali4. In questo settore, accanto alla ricerca di

in-terazioni fluide e interfunzionalità (Lin et al., 2002), è centrale la questione delle alte prestazioni. Inoltre i dispositivi smart non solo devono essere dotati di processori dalle sofisticate capacità di comunicazione, che li rendono capaci di comuni-care tra loro e con il mondo esterno, ma devono avere un’in-frastruttura facile da installare e configurare, che richieda poco impegno per la manutenzione e la propria gestione. Questi aspetti hanno supportato lo sviluppo di interfacce

minimal che tendono progressivamente a scomparire

(Bru-gnoli, 2015). Per comprendere meglio le sfide legate all’im-plementazione di sistemi intelligenti che operano sul nostro

4 10 Smart Digital Appliances You Wish You Owned, CNBC. http://www.

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ambiente domestico, presentiamo il caso studio del Learning

Thermostat Nest5, un termostato che impiega la tecnologia di

apprendimento automatico, rilevamento e connettività, uni-tamente a funzionalità di eco-feedback. Introdotto sul finire del 2011, Nest è stato fin da subito al centro delle attenzioni tanto da parte dei media6, quanto da parte di ricercatori. Il Nest è di fatto un interessante fenomeno da analizzare,

es-sendo il primo termostato per il mercato di massa negli Stati Uniti con apprendimento automatico adattivo che consente di generare programmi di riscaldamento e raffreddamen-to personalizzati sulla base delle abitudini degli utenti della casa, promuovendo il risparmio energetico.

Riconoscendo che la maggior parte delle ricerche sull’espe-rienza utente in ambito domestico di oggetti di tipo smart e con capacità adattive o di apprendimento tendono a essere condotte in laboratorio impiegando prototipi e contesti di-versi dallo spazio a cui sono destinati, i ricercatori Yang e Newman (2013) decidono di attivare uno studio a lungo ter-mine che indaga l’adozione e l’uso del termostato nella pro-pria casa. L’obiettivo è analizzare l’esperienza di vivere con un simile oggetto smart, osservando la reazione degli utenti alla sua capacità di apprendere e adattarsi tipica di Nest. I ricercatori hanno quindi condotto uno studio su 10 famiglie con un Nest nella loro casa, accompagnato da interviste con 23 partecipanti. I risultati che emergono da tale studio mo-strano una generale benevola accoglienza, sebbene accom-pagnata da un lato oscuro non trascurabile. Dalla ricerca è infatti emerso che le caratteristiche smart di Nest non erano state percepite in modo favorevole, risultando meno utili o

5 http://www.nest.com 6 http://nest.com/reviews

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intuitive del previsto. In particolare sono emerse difficoltà da parte degli utenti nella comprensione del funzionamento del sistema di apprendimento, e quindi le motivazioni alla base dell’adozione di specifici comportamenti. Alcuni partecipanti sono arrivati a dover mettere in pratica soluzioni alternative atte a colmare alcune ”carenze” riscontrate. Questi risulta-ti mostrando in modo inevitabile una necessità dell’utente, che è il bisogno di sapere cosa sta accadendo, o perlomeno capire su quali basi un oggetto smart arrivi a prendere deter-minate decisioni. Mentre l’interazione, l’interfaccia grafica, il controllo da telecomando e le informazioni riguardanti i con-sumi energetici sono risultate tutte positive, i partecipanti hanno inteso diversamente la capacità di l’apprendimento le routine quotidiane e le abitudini legate all’occupazione degli spazi. I risultati dello studio condotto sul primo modello di

Nest possono essere sintetizzati e semplificati affermando

che il sistema di apprendimento non è riuscito a compren-dere l’intento dell’utente, e viceversa7. Ciò accadeva nel 2013.

Oggi Nest Learning Thermostat è alla terza generazione, e ha migliorato notevolmente la sua comunicazione, così come la sua capacità di capire e interpretare gli utenti e le loro abi-tudini. Nest è oggi incluso tra i prodotti Google8, e arriva a

far risparmiare agli utenti fino al 60% dei consumi di energia elettrica. Un’informazione che viene condivisa tramite l’app dedicata e l’Home Report, che mostra quando viene utilizzata più energia, consigliando su come fare per ridurre i consumi.

7 Per un approfondimento con l’analisi del caso studio integrale svolto

da Yang e Newman, rimandiamo all’articolo Learning from a Learning Thermostat: Lessons for Intelligent Systems for the Home.

https://dl.acm.org/doi/epdf/10.1145/2493432.2493489

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Nel seguire un analogo approccio innovation-driven, Nike ha scelto di adottare fin dal principio una direzione user-cente-red. Il mercato dei sistemi di monitoraggio per il fitness e in particolare sulle prestazioni si è fatto velocemente ambito di sperimentazione e adozione di sistemi IoT, intravedendone fin da subito gli ampi vantaggi e benefici. È così che si è rapi-damente popolato di vari dispositivi. In particolare, il brand ha deciso di incentrare il proprio programma di innovazione non sulla tecnologia, bensì sulle esigenze uniche dei suoi uti-lizzatori. Oltre ai sistemi di monitoraggio all’interno del suo programma Nike+ 2019 ha promosso un paio di scarpe da ginnastica autoportanti capaci di adattarsi alla forma unica del piede di chi le indossa, e controllabili tramite uno smar-tphone. Aspetto non da sottovalutare, soprattutto a fronte delle lezioni apprese dal caso studio precedente.

Analizzando gli usi dei suoi utenti nel tempo, l’azienda ha colto come le esigenze del piede cambino nel tempo, e di-pendano dallo sport praticato, dalla sua durata e intensità dell’attività, e dai movimenti specifici compiuti. Nike riporta come nel corso di una partita professionale di basket, per esempio, non è insolito che il piede si allarghi di quasi mezza misura, portando l’utente a rivalutare una calzata, che fino a quel momento era percepita come adatta e comoda, costrit-tiva solo mezz’ora dopo. Le scarpe IoT progettate vogliono incontrare e rispondere a questo preciso bisogno, per que-sto quando sono indossate, un motore e un ingranaggio per-cepiscono la tensione necessaria al piede e si auto-regolano, lasciando comunque agli utenti la possibilità di modificare le impostazioni di calzata inserendo nuovi parametri più adatti alle loro abitudini e ai diversi momenti delle loro attività – un esempio è il desiderio di allentare i lacci durante le pause

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e stringendo prima di iniziare a giocare. L’intero sistema si appoggia a un’app che rende visibile e gestibile l’attività in corso, permettendo di poter capire le decisioni intraprese ed eventualmente intervenire.

Analogamente, un altro caso interessante di IoT nello sport arriva dalla società britannica per l’innovazione sportiva SportScientia, che ha presentato una soletta wireless intel-ligente, progettata per migliorare significativamente le pre-stazioni dei giocatori di calcio. La società è specializzata nel-la raccolta e nell’interpretazione di dati biometrici dinamici nelle performance tramite wearable technology, che risponda alle esigenze analizzate. In questo caso la sperimentazione ha portato alla progettazione e realizzazione tramite stampa 3D di una serie di solette smart: solette intelligenti wireless che raccolgono dati in tempo reale per apprendere lo svi-luppo della performance di un giocatore durante la partita, e analizzare la distribuzione del carico di allenamento, il re-cupero e le prestazioni. I dati ottenuti oltre che essere fun-zionali alla definizione della forma della soletta, possono poi essere impiegati dal giocatore, dall’allenatore e dal fisiotera-pista per monitorare, prevedere e prevenire eventuali infor-tuni. Diventa sempre più evidente come i progressi nei cam-pi dell’Internet of Things (Evans, 2011; Miraz et al., 2015) e dell’Internet of Everything (Evans, 2012) abbiano portato allo sviluppo sempre più diffuso di (eco)sistemi interconnessi

in cui oggetti intelligenti e sensoriali imparano dall’ambien-te circostandall’ambien-te e dialogano, sia tra di loro che con gli esseri umani. Questo ponte tra il mondo fisico e quello digitale è diventato possibile grazie all’introduzione di sensori, micro-controllori e attuatori che rendono le macchine sensibili e reattive agli stimoli esterni. In questo modo, oggetti prima

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isolati diventano parte di una rete più ampia, cui contribu-iscono con la loro capacità di catturare caratteristiche e va-riazioni trasmettendole. I dati raccolti vengono poi elaborati dai microcontrollori e restituite all’oggetto attraverso l’uso di attuatori, che generano feedback comprensibili – dal suono agli effetti di luce alle vibrazioni, per fare qualche esempio. Ciò che caratterizza questi ecosistemi è la ridotta complessi-tà del rapporto uomo-macchina (HCI), che ha portato e sta alimentando studi volti a facilitare le interazioni. Una conse-guenza è stato lo sviluppo di interfacce più semplici, più in-tuitive, progettate per controllare attività complesse in modo semplice e immediato.

Negli ultimi anni abbiamo assistito a diverse sperimentazioni di oggetti smart e hub di gestione che utilizzano interfacce progettate per essere discrete. Questo concetto di

interfac-ce nascoste si traduce nel loro celarsi fino al momento del

bisogno, per poi manifestarsi. Seguendo la tendenza della tecnologia a dissolversi nel cloud, nell’ambiente e negli og-getti, anche le interfacce sono mutate, tendendo spesso a scomparire (Brugnoli, 2015; Hui & Sherratt, 2017). Questo ragionamento non considera volutamente i vari assistenti vocali personali disponibili sul mercato sebbene non pre-sentino interfacce visive. La retorica della scomparsa della tecnologia a favore dell’ubiquitous computing è infatti perfet-tamente incarnata negli assistenti vocali personali. Tuttavia il focus sugli assistenti vocali personali va oltre lo scopo di questo saggio. Prendiamo come caso studio per la discussio-ne lo smart display mui di Mui Lab9, l’hub per controllare gli

elementi smart della casa costruito in legno naturale, e che

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basa il suo concetto sulla calm technology (Case, 2015; Weiser & Brown, 1996). Mui è un termine giapponese che indica uno stato d’animo rilassato, e che ben descrive l’idea alla base di questo prodotto: integrarsi perfettamente nel nostro spazio vitale, in modo però discreto ed elegante.

Il dispositivo, in stato di riposo, ha le sembianze di una su-perficie in legno. Quando un tocco o un comando avviano l’interazione, il display posto sotto l’impiallacciatura si illu-mina con pulsanti o messaggi che vengono visualizzati di-rettamente sulla matericità del legno. Il dispositivo utilizza un display digitale affogato sotto la superficie del legno, che compare al tocco della mano o tramite conversazione. In qualità di hub permette di inviare/ricevere messaggi, anche audio, leggere le notizie, il meteo e controllare i dispositivi smart (illuminazione, termostati, ecc.). Terminata l’interazio-ne il display scompare nuovamente, ri-acquisendo le sem-bianze di un semplice pezzo di legno. Seguendo i principi di una tecnologia che si palesa al bisogno, mui non richiede costantemente l’attenzione dell’utente, ma rimane “muto” finché non ne sono richieste le prestazioni.

L’obiettivo è quindi una comunicazione digitale senza

di-strazioni, volta a lasciare ai suoi utenti spazio per le normali

attività, senza imporre la propria presenza. L’interazione av-viene sia via touch che via comando vocale, andando a ri-spondere a diverse esigenze che si alternano durante la gior-nata. Diversi casi d’uso dimostrano come il controllo vocale non sia adatto o apprezzato, mentre un’interazione tangibile risulta più consona, e viceversa. Ad esempio, le interazioni basate sulla conversazione soffrono gli ambienti rumorosi, in cui i suoni di sottofondo o la co-presenza di più voci influ-iscono su una chiara comprensione dei comandi. Altrimenti,

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il comando vocale risulta un’ottima soluzione quando l’inte-razione avviene a distanza, permettendo in modo semplice di controllare i dispositivi collegati, inclusi altoparlanti intelli-genti ed elettrodomestici smart.

L’attenzione riguarda quindi non l’impianto tecnologico, ben-sì l’aspetto estetico, basti pensare che per impostare il timer non è possibile agire sui numeri; si traccia invece una linea sulla superficie dello smart display, dove la lunghezza del tratto rappresenta l’intervallo di tempo. Una volta interrotto il disegno della linea, il timer si avvia e si può notare la linea che si accorcia progressivamente al passare del tempo, per-mettendo di avere una rappresentazione di quanto manca allo scadere del timer.

Aumentare i prodotti e i servizi quotidiani introducendo mo-dalità di interazione “non-tradizionali” significa mettere in discussione i presupposti impliciti che sottendono le nostre comuni esperienze con gli oggetti. Il conseguente aumento di prodotti e servizi con interfacce intuitive porta a un chiaro spostamento verso il coinvolgimento degli utenti con diverse

ecologie di interazione. Modi d’uso che attivano nuovi rituali

a livello sociale e culturale. Ciò necessita di ripensare al modo di costruire e utilizzare artefatti tecnologici, considerando i benefici dal punto di vista di chi utilizza tali prodotti/servizi, oltre che il desiderio di innovazione che spinge i progettisti. E quindi la reale questione si articola in una varietà di aspet-ti altrettanto fondamentali. Quali sono le conseguenze che derivano dall’introduzione di interazioni che si basano su grammatiche altre rispetto a quelle che abbiamo imparato a utilizzare e gestire fin’ora? Fino a che punto siamo disposti a cedere i nostri dati e quindi la nostra privacy a fronte di maggiore comfort?

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