Corso di Laurea Magistrale
in
Economia e Gestione delle Arti e delle Attività
Culturali (EGArt)
Ordinamento ex D.M. 270/2004Tesi di Laurea
La fotografia nelle attività delle Onlus
Il caso del Veneto
Relatore
Ch. Prof. Riccardo Zipoli
Correlatore
Ch. Prof. Giovanni Bertin
Laureando Francesca Brunello 987925 Anno Accademico 2016 / 2017
Indice
Introduzione………7 Capitolo I ONLUS E ONG: ORGANIZZAZIONI UMANITARIE………9
I.I Onlus e Ong: aspetti normativi……….9
I.II Onlus e Ong nei Paesi in Via di Sviluppo………..12
I.III Nord e Sud del mondo: terminologie………..17
I.IV Onlus e Ong: l’importanza del fundraising………21
I.V Il ruolo delle emozioni nel fundraising……….23
I.V.I Le donazioni: immagini e empatia……….26
I.V.II Quali immagini funzionano di più….………33
Capitolo II REPORTRAITS NELLE ORGANIZZAZIONI UMANITARIE………...37
II.I Fotoreportage in Italia fra ieri e oggi………...37
II.I.I Fotoreporter nelle organizzazioni umanitarie.…………47
II.II Un dibattito in corso: la pornografia della povertà………52
II.II.I Il rafforzamento degli stereotipi.………...61
II.II.II La dignità dei beneficiari………..………..66
II.II.III Le fotografie-‐shock e il rischio dell’apatia..………69
Capitolo III
LE ONLUS VENETE E I FOTOGRAFI………85
III.I Onlus di Padova………87
• S.O.S. Onlus – Solidarietà Organizzazione Sviluppo:………….87
intervista a Sonia Bonin Mansutti………89
e a Daniele Gobbin………...92
• Incontro fra i Popoli ONG Onlus:………107
intervista a Michele Guidolin………...110
e a Stefano Stranges………..115
III.II Onlus di Vicenza……….129
• Tushinde Onlus:………129
Intervista a Giosuè De Carli………...131
III.III Onlus di Treviso……….135
• Smiley Hand – Una mano per un Sorriso – For children Onlus:………135
intervista a Paola Viola………..136
• Neo Humanistic Relief Onlus:………..147
intervista a Alessandro Carrer………...…149
e a Angelo Redaelli………....152
III.IV Onlus di Venezia………....161
• Fondazione Elena Trevisanato Onlus:……….161
intervista a Liliana Trevisanato……….162
e a Luca Vascon………165
III.V Onlus di Belluno……….175
• Associazione Makena Onlus:……….175
intervista a Gianni Sansone………...178
e a Alessandro Sogne……….184
III.VI Onlus di Rovigo………...191
• Ramatnal Onlus:………...191
intervista a Paolo Gavioli………194
III.VII Onlus di Verona………..201
• Dada Maisha Onlus:………...201
intervista a Fernanda Zanteschi……….203
e a Paolo Brutti………....206
Conclusione………....213 Bibliografia……….217 Sitografia………..223
Introduzione
Sono molte oggigiorno le organizzazioni umanitarie che lavorano per i Paesi in Via di Sviluppo, talmente tante che anche in questo ambito è nata una grande competizione. La raccolta fondi per questi enti è fondamentale essendo delle organizzazioni non profit, ma per raggiungere il grande pubblico hanno bisogno anch’esse di una forte comunicazione.
Qui assume un ruolo fondamentale la fotografia che, intorno agli anni ‘70, diventa il mezzo di comunicazione predominante anche in queste organizzazioni, che si avvalgono di fotografi professionisti per ottenere dei reportage fotografici.
Viceversa, data la precarietà del mondo giornalistico, sono molti i fotoreporter che, negli ultimi anni, si appoggiano a organizzazioni come Ong e Onlus per poter portare avanti i loro progetti.
La fotografia è sempre più presente nelle nostre vite, oggi non riusciremmo più a vivere senza le immagini, ne siamo bombardati continuamente. Proprio per questo motivo le immagini che vengono utilizzate per la raccolta fondi delle organizzazioni umanitarie devono distinguersi dalla massa e colpire il più possibile l’osservatore per non passare inosservate. Spesso, per questo motivo vengono utilizzate immagini poco etiche nei confronti delle popolazioni ritratte, specialmente delle popolazioni africane. Si tratta soprattutto di ritratti, il volto e gli occhi colpiscono di più; ma quello che ha scatenato il dibattito che è tuttora in corso, è l’uso di immagini di bambini in stato grave di salute: il bambino con la pancia gonfia o con le mosche sul viso è ormai un cliché. E’ corretto utilizzare queste fotografie? Perché dobbiamo provare pietà per fare una donazione? Queste immagini supportano gli stereotipi derivanti dall’epoca coloniale?
I
ONLUS E ONG: ORGANIZZAZIONI UMANITARIE
I.I Onlus e Ong: aspetti normativi
Secondo l'art. 10 del d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, le Onlus sono organizzazioni che, senza fini di lucro, operano nel sociale. Il nome, infatti, è l’acronimo di organizzazione non lucrativa di utilità sociale.
Sono Onlus le associazioni, i comitati, le fondazioni, le società cooperative e gli altri enti di carattere privato, con o senza personalità giuridica.
Non possono essere Onlus enti pubblici, partiti e movimenti politici, fondazioni bancarie, le associazioni dei datori di lavoro, le società commerciali diverse dalle cooperative, sindacati.
Al fine di acquisire la qualifica di Onlus è necessario che lo statuto o l’atto costitutivo dell’ente, redatto nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata, prevedano espressamente:
• lo svolgimento di attività in uno o più dei seguenti settori:
- assistenza sociale e socio-‐sanitaria; - assistenza sanitaria;
- beneficenza; - istruzione; - formazione;
- sport dilettantistico;
- tutela, promozione e valorizzazione delle cose d’interesse artistico e storico;
- tutela e valorizzazione della natura e dell’ambiente; - promozione della cultura e dell’arte;
- tutela dei diritti civili;
- cooperazione allo sviluppo e solidarietà internazionale;
• l’esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale; • il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di
gestione;
• l’obbligo di impiegare gli utili o gli avanzi di gestione per la realizzazione delle attività istituzionali e di quelle ad esse direttamente connesse;
• l’obbligo di devolvere il patrimonio dell'organizzazione, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale o a fini di pubblica utilità;
• l’obbligo di redigere il bilancio o rendiconto annuale;
• l'uso della locuzione “organizzazione non lucrativa di utilità sociale” o dell'acronimo “ONLUS”.1
L'appartenenza a tale categoria attribuisce la possibilità di godere di agevolazioni fiscali.
Non possono usufruire delle agevolazioni: enti pubblici, società commerciali che non siano cooperative, enti conferenti, partiti e movimenti politici, organizzazioni sindacali, associazioni di datori di lavoro, associazioni di categoria. Per beneficiare delle agevolazioni fiscali le Onlus devono essere iscritte all’anagrafe delle Onlus, che è essenziale anche per la qualificazione degli enti come Onlus. Adempimento che non è richiesto alle Onlus di diritto.
Il regime tributario particolare delle Onlus prevede agevolazioni per le imposte sul reddito, per l’Iva e altre imposte indirette. Inoltre con l’approvazione della legge 80 del 14 maggio 2005, chiamata “più dai meno versi”, che ha attuato il decreto legislativo n°35 del 14 marzo 2005, è stata resa possibile una maggiore deducibilità delle donazioni effettuate a favore delle Onlus e si è così favorita l’attività di raccolta fondi.2 Inoltre, dal 2006,
1 Agenzia delle entrate, www.agenziaentrate.gov.it. 2 Ivi.
le Onlus possono concorrere al cinque per mille.3
Anche le Ong sono organizzazioni senza scopo di lucro. L’acronimo Ong sta per Organizzazione non governativa: un termine che indica una qualsiasi organizzazione o associazione locale, nazionale o internazionale di cittadini che non sia stata creata dal Governo, non faccia parte di strutture governative e che sia impegnata nel settore della solidarietà sociale e della cooperazione allo sviluppo.
La legge 49 del 1987 sulla Cooperazione definisce idonee le Ong che, dopo un’istruttoria selettiva, ottengono dal Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale un riconoscimento di idoneità per la gestione di progetti di cooperazione. Il riconoscimento d’idoneità consente alle Ong di accedere al finanziamento governativo per la realizzazione di progetti di cooperazione.
Le prime Ong sono nate all’inizio degli anni Sessanta come movimento associativo spontaneo per entrare in contatto diretto con i bisogni delle popolazioni del Sud del mondo e per rispondervi con una visione politica comune delle problematiche.4
Queste due tipologie di organizzazioni, oltre che lavorare nei paesi autoctoni, lavorano principalmente per cercare di combattere e risolvere i gravi problemi che affliggono i paesi del Sud del mondo, come per esempio calamità naturali, guerre, carestie, povertà, con lo scopo di salvare e di aiutare la popolazione.
3 Meccanismo che permette a chi paga le tasse di devolvere parte dell’Irpef a una Onlus.
4 Ivi.
I.II Onlus e Ong nei Paesi in Via di Sviluppo
Le più vecchie realtà di volontariato italiane sono il Cuamm e Coopi.
Il Cuamm, Medici con l’Africa, è la prima organizzazione italiana che si spende per la promozione e la tutela della salute delle popolazioni africane. Inizia la sua attività nel 1950 con lo scopo di accogliere e preparare studenti di medicina italiani e stranieri che volessero dedicare per un periodo della loro attività professionale al servizio degli ospedali missionari e delle popolazioni più bisognose nei paesi in via di sviluppo.
L’iniziativa è promossa grazie al professor Francesco Canova e al vescovo di Padova Mons. Girolamo Bortignon.
I primi medici partono tra il 1954 e il 1960, quasi sempre la loro destinazione è l’Africa, nei paesi sotto il domino coloniale, e la loro attività si svolge presso ospedali gestiti da missionari.
Gli anni ‘60 sono caratterizzati da forti cambiamenti che si riflettono anche sulle scelte prese dall’organizzazione. Quasi tutti i paesi africani conquistano l’indipendenza, Papa Giovanni XXIII emana l’enciclica Pacem in
terris e convoca il Concilio Vaticano II avviando un processo di profondo
rinnovamento nella Chiesa, Kennedy e Kruscev intraprendono la via della “distensione”, successivamente Papa Paolo VI, con l’enciclica Populorum
progressio, afferma la centralità e la mondialità della questione sociale e poi
nel ‘68 la contestazione studentesca segna una profonda rottura nella cultura e nel costume del mondo occidentale.
Lo stesso anno i medici del Cuamm presenti in Kenya e in Uganda, si riuniscono nel convegno di Nyeri (Kenya, 1968), dove propongono che anche gli esponenti delle comunità locali possano entrare a far parte dell’amministrazione degli ospedali missionari e, inoltre, spingono per l’integrazione di questi con le strutture pubbliche ed i piani sanitari dei
governi africani per poter garantire l’accesso ai servizi sanitari anche alle fasce più povere della popolazione, integrando l’attività ospedaliera con l’assistenza di base e la prevenzione.
Tutto ciò segna un passaggio fondamentale a una nuova visione dell’intervento sanitario nei paesi in via di sviluppo.
Nel 1972 il Cuamm ottiene un riconoscimento dal Ministero degli Esteri come organizzazione idonea a svolgere incarichi di cooperazione con i paesi in via di sviluppo. Finalmente ha inizio la cooperazione diretta con i governi e le autorità pubbliche per la realizzazione di ampi progetti finalizzati allo sviluppo globale delle popolazioni africane, valorizzando le risorse umane locali con l’apertura di scuole per infermiere e collaborando con le università locali. Queste scelte in parte anticipano la dichiarazione di Alma Ata dell’OMS5 del 1978 che individua nella salute un diritto fondamentale di
ogni persona e promuove con forza l’assistenza sanitaria di base nei paesi in via di sviluppo.
Durante il suo percorso, oltre alla partenza del personale medico e sanitario, il Cuamm fa in modo di mandare anche tecnici e logisti a supporto, insegnanti, psicologi e assistenti sociali, una cosa nuova all’epoca. Gli anni ’80 sono più difficili, il Cuamm raggiunge meno paesi rispetto agli anni precedenti e inoltre i paesi del terzo mondo sono strangolati dai debiti e dalle politiche di aggiustamento strutturale imposte dalla Banca Mondiale, che colpiscono in particolare la sanità e l’istruzione. Questi fattori impongono al Cuamm una riflessione e una verifica sugli obiettivi e sulle strategie da adottare. Al centro della questione si pone la sostenibilità dei programmi e la ricerca di fonti alternative di finanziamento. L’organizzazione riesce ad ottenere fondi dall’Unione Europea e dalla CEI6 e
si moltiplica l’impegno per l’auto-‐finanziamento.
5 Acronimo di Organizzazione Mondiale della Sanità. 6 Acronimo di Conferenza Episcopale Italiana.
Ad oggi il Cuamm è una delle principali Ong italiane grazie alla quale è, ed è stato possibile migliorare lo stato di salute di molte persone in Africa. Uno degli obiettivi che si pone il Cuamm è anche di promuovere un atteggiamento positivo e solidale nei confronti dell’Africa, ossia di contribuire a far crescere nelle istituzioni e nell’opinione pubblica interesse, speranza e impegno per il futuro del continente.
Negli stessi anni, precisamente il 15 aprile 1965, a Milano nasce anche Coopi Cooperazione Internazionale, la prima organizzazione di volontariato laico italiana. Ma la storia di COOPI comincia già nel 1961 quando il giovane gesuita Vincenzo Barbieri viene mandato dai superiori a studiare a Lione alla Facoltà di Teologia, in vista di una futura partenza per il Ciad come missionario, all’epoca solamente i missionari partivano per gli aiuti umanitari.
In Francia incontra un ambiente culturale molto più vivace e aperto rispetto a quello che offriva la provincia italiana. Infatti, nei primissimi anni Sessanta la maggior parte del mondo cattolico in Italia era chiusa e ostile alla modernità, e polarizzata sulla contrapposizione al comunismo ateo e marxista. La Francia era la nazione europea dove il processo di scristianizzazione era stato più diffuso. Il cattolicesimo francese aveva visto fiorire un piccolo gruppo di filosofi e scrittori che ha marcato la cultura del Novecento: Charles Péguy, Paul Claudel, Jacques Maritain, Léon Bloy.7
E’ questo il clima culturale che incontra Barbieri, egli qui entra in contatto con movimenti laici internazionali impegnati da anni nel volontariato nei paesi in via di sviluppo. Nel 1962 Barbieri rinuncia a partire come missionario e rientra a Milano con l’intenzione di formare volontari pronti a
7 Luciano Scalettari, Claudio Ceravolo, Ho solo seguito il vento. Vita di Vincenzo Barbieri,
partire per il sud del mondo. È lui ad introdurre la componente laica nelle missioni.8
Padre Barbieri, definito come “l’uomo col megafono” e “il megafono della carità”, per il suo stile in grado di smuovere le coscienze di un’Italia in piena trasformazione, fu missionario fino all’ultimo giorno della sua vita. Non si accontentò di presiedere la sua Ong, ma si spese in prima persona in attività di sensibilizzazione e raccolta fondi per i bisognosi.9
Cosi lo descrive Luciano Scalettari10: “La prima volta che lo vidi era davanti
al teatro Smeraldo di Milano. […] Un vecchio berretto in testa, una tunica bianca, barba semi-‐incolta. Un megafono in mano e un banchetto alla sua sinistra. Sul tavolino una cassettina con la scritta davanti: «Mille lire per un bambino». Era il 1993, o forse il 1994. […] lui in piedi, gli spettatori frettolosi che sfilano verso l’ingresso. Qualcuno fa la rapida deviazione fino alla cassetta, qualche altro no. L’omone in bianco incita i passanti a lasciare un’offerta con brevi frasi […].11 Un prete. Era senz’altro un prete, mi dissi. O
un missionario. Cattolico?, mi chiesi. Mah, i missionari cattolici non usano questi sistemi per raccogliere denaro. Mi sembrava uno stile un po’ démodé, […]. A Milano, poi… mi sembrava strano. Io c’ero appena arrivato, nella grande Milano, e tutto mi sembrava così avanzato e ultramoderno da risultarmi stridente l’immagine di quella cassettina e delle mille lire raccolte dai passanti. Eppure funzionava. […] Erano molti di più quelli che si fermavano di coloro che riuscivano a far finta di nulla e a ignorare l’invito.”12
“Una vera ossessione, la sua battaglia contro la povertà. In ogni momento della vita, in ogni momento della giornata, in ogni occasione utile. Fino all’ultima ora dell’ultimo giorno. Padre Barbieri è stato davvero uno dei
8 http://www.coopi.org/. 9 Ivi.
10 Giornalista di Famiglia Cristiana per anni inviato in Africa. 11 Op. cit, Luciano Scalettari, Claudio Ceravolo, pag. 13. 12 Op. cit, Luciano Scalettari, Claudio Ceravolo, pag, 14.
grandi «padri fondatori» del nostro volontariato internazionale e della nostra cooperazione, anche se pochi lo sanno. Un visionario quando iniziò, o se preferite un profeta. Quando la parola cooperante manco esisteva.”13
Da qui prende avvio un cammino lungo 50 anni durante i quali COOPI e la cooperazione internazionale 14 italiana con tutte le molteplici voci
cresceranno e si trasformeranno insieme.15
Il Cuamm e Coopi, due organizzazioni esempio per le realtà successive che l’Italia ha visto nascere nel corso degli anni. Organizzazioni che hanno fatto la storia degli aiuti umanitari con modalità diverse, ma dove il fine rimane sempre quello di aiutare le popolazioni del sud del mondo.
13 Ibid, pag, 17.
14 La cooperazione allo sviluppo è quella forma di collaborazione che avviene tra Stati (e tra Stati e organizzazioni internazionali) il cui obiettivo è lo sviluppo del sistema globale, in particolare di quelle aree considerate deboli.
I.III Nord e Sud del mondo: terminologie
La divisione tra Nord e Sud del mondo, fu usata per la prima volta da Willy Brandt16 che volle distinguere queste aree secondo il loro sviluppo socio-‐
economico.17
Il termine “Terzo Mondo”, è il più noto utilizzato per definire la situazione di povertà dei paesi del sud del mondo, quali Asia, Africa e America Latina, appena usciti dalla soggezione coloniale oppure in lotta per il conseguimento dell’indipendenza. Proprio perché non industrializzati ed estremamente poveri, tale parola è diventata uno stereotipo.
Questa denominazione fu introdotta nell’agosto del 1952 dall’economista e sociologo Alfred Sauvy, che utilizza per la prima volta queste parole all’interno di un articolo intitolato ‘Trois Mondes, Une Planète’, dove sottolinea la mancanza di potere dei paesi da poco indipendenti quali Asia e Africa, concludendo che ‘the Third World has, like the Third Estate, been ignored and despised and it too wants to be something’.18
Infatti, questo termine fa riferimento al Terzo Stato della rivoluzione francese del 1789, un’espressione utilizzata per indicare la maggioranza della popolazione francese che era esclusa dall’avere i diritti delle classi più abbienti.19
Sarà poi nella Conferenza di Bandung del 1955 che questa denominazione entra nel linguaggio delle relazioni internazionali a indicare i paesi che non appartenevano agli altri due blocchi.
16 è stato un politico tedesco membro del Partito Socialdemocratico di Germania di cui è anche stato Presidente dal 1960 al 1987 e membro del Parlamento Europeo
dal 1979 al 1983.
17 Willy Brandt, North-‐South: A Programme for Survival: Report at the Independent
Commission on International Development issues, Pan Books (MIT Press), 1980.
18 Leslie Wolf-‐Phillips, “Why Third World? Origin, Definition and Usage”, 1987, Third World
Quarterly, 9(4): 1311-‐1327. Originale:“ Car enfin ce Tiers Monde ignoré, exploité, méprisé comme le Tiers Etat, veut, lui aussi, être quelque chose”.
Al Primo Mondo appartenevano i paesi a economia capitalista, l’Occidente, e al Secondo Mondo quelli a economia pianificata, i paesi del blocco comunista.
Con la caduta del muro di Berlino, nel 1989, questo assetto geopolitico venne a mancare, ma il termine Terzo Mondo è rimasto ad indicare i paesi sottosviluppati, ossia caratterizzati da un basso prodotto interno lordo, da una crescita demografica elevata e da una struttura produttiva per la maggior parte dipendente dall’importazione di capitali e tecnologie dai paesi industrializzati, e, inoltre, anche per definire un largo numero di società e culture eterogenee del Sud dell’emisfero, o per stigmatizzare i migranti provenienti dai paesi poveri del mondo.20
Il Terzo mondo, però, non è omogeneo, i paesi che ne fanno parte non hanno le stesse strutture politiche o sociali, non hanno la stessa collocazione geografica, non sono uniti dalla stessa storia. Come dice John Goldthorpe nel 1975 nel suo libro The Sociology of the Third World:
Disparity and Involvement, i vari paesi dell'Asia, dell'Africa e dell'America
Latina (per non parlare delle isole del Pacifico e altrove) sono molto diversi per le loro dimensioni, le loro ideologie politiche, le strutture sociali, le prestazioni economiche, le origini culturali e le esperienze storiche. Queste differenze non esistono solo tra i paesi del Terzo Mondo, ma anche dentro i paesi del Terzo Mondo.21
20 Ibid, p.8.
21 Tomlinson, B.R. "What was the Third World"(2003), Journal of Contemporary History, 38(2): 307–321.
Questa nozione si è radicata a partire, prima dalla Guerra Fredda, e poi dalle teorie post-‐coloniali. Infatti, Bandung ha fornito un’utile divulgazione per lo status diplomatico delle ex potenze coloniali, ma la conferenza ha anche rivelato la misura in cui il linguaggio della guerra fredda aveva già minato il senso d’identità collettiva.22
Negli anni recenti, quest’espressione è sempre meno utilizzata in ambito accademico per via dei cambiamenti nei sistemi politici, economici e culturali che accompagnano la globalizzazione.23
Questi paesi sono stati, recentemente, definiti anche come “Paesi in Via di Sviluppo o PVS”.24
La maggior parte dei paesi del Terzo Mondo sono ex colonie. Dopo aver ottenuto l'indipendenza, molti di questi paesi, in particolare quelli più piccoli, si sono trovati ad affrontare, per la prima volta, da soli, sfide come la costruzione di una nazione. A causa di questo background comune, molte di
22 Ibid, p.9. 23 Ivi. 24 Ivi.
Primo Mondo Secondo Mondo Terzo
Mondo
queste nazioni sono state definite come “in via di sviluppo” in termini economici per la maggior parte del XX secolo, e molti lo sono ancora. Questo termine, usato tutt’oggi, generalmente indica quei paesi che non si sono sviluppati secondo i livelli dei paesi OCSE25, e sono quindi in fase di
sviluppo.26
L’economia di questi paesi è principalmente agricola e caratterizzata da coltivazioni di sussistenza, quindi il raccolto è destinato al diretto consumo da parte delle famiglie contadine per la loro sopravvivenza e solo una minima parte è destinata alla vendita. L’instabilità dei raccolti porta, poiché spesso si tratta di monoculture, oltre alla povertà, anche all’incertezza economica.27
Queste popolazioni sono, dunque, soggette a enormi disagi: non hanno lavoro, istruzione, cure mediche e cibo per sfamarsi, tra i vari esempi che si possono riportare.
Fortunatamente, è ormai da molto tempo che i paesi occidentali fanno di tutto per aiutare queste popolazioni. Organizzazioni come Onlus e Ong, sempre più numerose, continuano a portare avanti importanti progetti per cercare di alleviare il più possibile il problema della miseria che colpisce queste aree del pianeta.
25 Per approfondimenti su cos’è l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) vedi:
http://www.rapponunewyork.esteri.it/Rapp_OCSE/Menu/OCSE/Cos_OCSE/ 26 Arthur O'Sullivan, Steven M. Sheffrin, Economics. Principles in Action, Boston, Massachussetts, Upper Saddle River, New Jersey, Pearson Prentice Hall, 2007, p. 471. 27 http://www.treccani.it/enciclopedia/terzo-‐mondo/.
I.IV Onlus e Ong: l’importanza del fundraising
Negli ultimi vent’anni Onlus e Ong si sono trasformate in vere e proprie aziende capaci di intervenire, nei campi di utilità sociale, con efficacia ed efficienza. Questo vuol dire che deve essere presente anche una corretta pianificazione delle attività, che prevede l’applicazione di strategie di marketing, in vista di un migliore risultato e una più efficace realizzazione della raccolta fondi o fundraising.28
La corretta gestione della raccolta fondi porta dei vantaggi all’ente, una maggiore trasparenza porta a una maggiore fiducia da parte dei finanziatori, che vogliono vedere il risultato del loro supporto economico. La tematica della gestione dei compensi assume, dunque, un valore connesso alle prospettive stesse di crescita dell’ente no profit.
Il ricorso, quindi, a forme di marketing strategiche nelle organizzazioni non lucrative, è in costante crescita. Sempre di più le organizzazioni come Onlus e Ong ricorrono ad iniziative finalizzate a rendere maggiormente visibile la propria azione. Da ciò consegue la necessità di farsi conoscere e, quindi, di sviluppare forme di marketing rivolte a potenziali donatori.
I criteri adottati per la realizzazione di strategie sono paragonabili a quelli aziendali. D'altronde anche il settore non profit è inserito all’interno di un rispettivo mercato con il quale deve confrontarsi e ciò incide sulle metodologie e sulle proposte, ossia sulle modalità di raggiungimento delle sue finalità istituzionali.
28 Giuseppe Rivetti, Onlus. autonomia e controlli. Associazioni, organizzazione di
volontariato, enti religiosi cattolici e di culto diverso, organizzazioni non governative, cooperazioni sociali, associazioni di promozione sociale, Milano, Edizione Giuffrè, 2004, pp.
112.
Inoltre, l’applicazione di strategie è fondamentale, dato che, essendo sempre di più organizzazioni come Onlus e Ong sul territorio, anche nel settore non profit si sta creando una competizione.
Il fundraising è uno strumento fondamentale per gli enti non profit. Trova la sua origine proprio nell’azione di queste organizzazioni.
Il termine stesso sta ad indicare la raccolta e la ricerca di fondi destinati a finanziare le attività di enti senza scopi di lucro.
Infatti, le organizzazioni non lucrative come Onlus e Ong sono caratterizzate dallo svolgimento di attività senza fini di lucro, quindi il ricavato della raccolta fondi deve essere destinato alla realizzazione di progetti solidaristici e a beneficio della società.
La trasparenza della gestione è fondamentale ed è, dunque, necessario adottare delle misure volte a garantire l’effettività dei fondi in modo da non incidere negativamente sulle future scelte dei donatori.
Un riferimento sicuro per i donatori è sapere che gli utili ricavati non sono distribuiti ma investiti nello sviluppo di finalità sociali.
Per questo è opportuno ricorrere a figure professionali o strutture in grado di poter seguire le iniziative di fundraising al meglio. Le campagne di raccolta fondi hanno i loro costi, le organizzazioni necessitano di pubblicità, stampa e quindi anche di personale. Tutto questo richiede un controllo per garantire la corretta gestione economica che alla base deve essere priva di intenti speculativi.
I.V Il ruolo delle emozioni nel fundraising
Perché doniamo del denaro per sostenere qualcuno che non conosciamo o un’organizzazione? Di fatto non ci torna nulla di concreto che in mano. Non è come comprare qualcosa al supermercato o in un negozio di abbigliamento.
L’economista americano James Andreoni sostiene che l’atto di donare a qualcuno di sconosciuto o ad un’organizzazione non sia un atto completamente gratuito, anzi egli dice che l’atto di donare è motivato da un aumento dell’autostima che serve a farci sentire una persona migliore perché ci percepiamo più altruisti e privi di egoismo, un po’ come quando ci sentiamo coccolati indossando dei guanti di lana per ripararci dal freddo (warm glow theory).29
E’ interessante anche notare che le donazioni sono cresciute o rimaste uguali anche in periodi di crisi economica come quelli recenti.
Secondo un’indagine condotta dall’Istituto Italiano della Donazione (IID) nel periodo di luglio 2016, dopo un trend positivo continuo dal 2012 al 2014, nel 2015 i miglioramenti delle entrate totali sembrano essersi stabilizzati: il 36% delle ONP ha aumentato le proprie entrate totali nel 2015; il 37% non ha avvertito nessun cambiamento sostanziale; il 25% ha diminuito le proprie entrate totali nel 2015.
Mentre per quanto riguarda la raccolta fondi l’andamento nel 2015 registra invece un miglioramento rispetto al 2014: aumentano di 3 punti percentuali le Organizzazioni che migliorano le proprie performance, ma soprattutto diminuiscono di 9 punti percentuali le organizzazioni che hanno registrato dei peggioramenti.30
29 James Andreoni, Impure Altruism and Donations to Public Goods: A Theory of Warm-‐Glow
Giving, in “Economic Journal”, 100 (401), 1990, pp. 464-‐477.
30 Osservatorio IID di sostegno al non profit sociale, L’andamento delle raccolte fondi:
Per capire perché la gente dona, solitamente si cercano gli ultimi sondaggi e tra le motivazioni più frequenti ci sono:
- voglio aiutare le persone in difficoltà; - voglio sostenere una causa in cui credo;
- voglio contribuire a risolvere un problema che mi tocca personalmente (o tocca un mio familiare/amico);
- è parte della mia tradizione/educazione (come ad esempio la religione);
- me lo ha chiesto qualcuno di cui mi fido. 31
I sondaggi però sono delle opinioni, cioè delle risposte razionali o delle riflessioni conseguenti all’atto di donare. Ciò non ci svela nulla su che cosa abbia veramente spinto una persona all’atto di donare. Infatti, oggi, molti ricercatori di mercato e di imprese non si fidano più dei sondaggi.
Alcuni studi hanno dimostrato come il 50-‐70% delle persone che rispondono ai sondaggi online fornisce risposte incomplete o a caso e che il 75% dei partecipanti ai focus group tende ad non dire veramente quello che pensa ma si adegua a quello che pensano gli altri.32
Sono stati in molti, nel corso degli anni, a formulare delle teorie sul perché la gente faccia delle donazioni. Francesco Ambrogetti, nel suo libro
Emotionraising. Neuroscienze applicate al fundraising, racconta di come
l’arrivo delle neuroscienze e delle scoperte che sono state fatte in questo ambito, abbiano cambiato la situazione. Poter vedere che cosa accade veramente nel nostro cervello ha cambiato tutto dal punto di vista evolutivo, cognitivo e medico, ma soprattutto da un punto di vista filosofico, morale ed economico.33
Interessante il punto di vista di Antonio Damasio, un neurologo portoghese, che ha confutato la teoria di Cartesio del cogito ergo sum (penso dunque
31 Francesco Ambrogetti, Emotionraising. Neuroscienze applicate al fundraising, Rimini, Maggioli Editore, 2013, pp. 10.
32 Dan Hill, Emotionomics: Leveraging emotions for business success, London, Koran Page, 2008.
sono) basandosi sulle scoperte fatte dalle neuroscienze. Egli ritiene che questa locuzione sia un inganno poiché le nostre decisioni sono prese non dal cogito, che è la parte razionale del nostro cervello, ma da quella parte del cervello che gestisce le nostre emozioni, le quali si attivano sulla base di
input sensoriali che provengono dal nostro corpo (udito, vista, olfatto, tatto
e gusto).34
Dunque è l’istinto a fare la prima mossa e solo in seguito la parte razionale del nostro cervello si rende conto della scelta35.
Nel corso degli anni sono molti gli studi e gli esperimenti che hanno confermato questa scoperta che ha cambiato radicalmente il modo di comunicare e fare marketing, oltre che di fare raccolta fondi. «Perché ora sappiamo davvero che le emozioni – la cui origine etimologica latina e-‐
muovere vuol dire “attivarsi, muoversi verso qualcosa o qualcuno” anche
fisicamente – sono quelle che decidono se premeremo il tasto “dona” o quello “mi piace” su Facebook, se comporremo un numero di telefono per adottare a distanza un bimbo, se manderemo un sms solidale o se apriremo il nostro portafoglio a un giovane dialogatore sconosciuto sulla strada all’uscita della metropolitana».36
Inoltre è fondamentale sapere che le emozioni sono un tratto evolutivo universale dell’essere umano, è biologico e trans-‐culturale: «Certo, il modo di piangere, ridere o indignarsi cambia a seconda del contesto geografico, della cultura e del linguaggio, ma tutti gli esseri umani provano biologicamente le stesse emozioni e reagiscono allo stesso modo. E infatti lo possiamo leggere sui loro volti a prescindere da dove vengano, dalla loro educazione o dalla loro estrazione sociale e, addirittura, possiamo vedere le stesse emozioni anche se sono non vedenti».37
34 Antonio Damasio, L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi, 1995 (edizione originale Descartes’ Error: Emotion, Reason, and the Human Brain, Putnam, 1994).
35
36 Francesco Ambrogetti, op. cit., p. 12. 37 Ibid., pp. 12-‐13.
I.V.I. Le donazioni: immagini e empatia
Negli ultimi anni sono molte le emergenze che ci sono passate davanti agli occhi. I social media e i media hanno avuto un ruolo molto importante nel coinvolgimento del grande pubblico, infatti sono moltissime le persone che hanno contribuito economicamente a sostenere le più svariate organizzazioni. Anche quelle meno conosciute hanno potuto raccogliere cifre importanti, e questo grazie alla presenza di forti contenuti emozionali.38
A seguito della scoperta del funzionamento bio-‐chimico e nervoso del cervello, tramite strumenti come la risonanza magnetica, si sono scoperte applicazioni rivoluzionarie su come comunicare con il pubblico e influenzare i suoi comportamenti.39
Francesco Ambrogetti riassume in questa tabella i principali passaggi storici che hanno portato ad oggi.
38 Ibid., p. 19.
39 Ivi.
Figura 2. Immagine tratta dal libro di Francesco Ambrogetti, p. 20: principali passaggi storici.
I pionieri sono proprio Charles Darwin e Adam Smith.
Come accennato in precedenza, le emozioni sono universali, questa teoria nasce per la prima volta grazie al lavoro di Darwin, il padre dell’evoluzionismo.40 Egli si era reso conto che le emozioni sono universali e
quindi non sono determinate dal contesto geografico e dalla cultura di appartenenza. Teoria dimostrata anche dai successivi studi: le emozioni sono le stesse anche in popolazioni che non conoscono una lingua scritta e per i non vedenti.41
Anche Adam Smith, uno dei padri dell’economia moderna, si era interessato alle emozioni e in particolare dell’empatia, cioè della capacità che l’essere umano ha di immedesimarsi e fare propri gli stati d’animo di un’altra persona. Sono le sue preliminari ricerche che hanno ispirato le neuroscienze e la neuro-‐economia.42
Successivamente, nel 2005, Malcom Gadwell, giornalista scientifico del Washington Post, pubblica il suo libro Blink43, dove spiega come le emozioni
e le decisioni che prendiamo nella vita siano strettamente connesse. Basandosi sulle più recenti scoperte della neurofisiologia, ci racconta come le nostre decisioni siano prese in 2-‐3 secondi, quindi in un “battito di ciglia”, e solo in seguito vengano razionalizzate. Secondo lo studioso decidiamo selezionando un numero minuscolo di informazioni, la maggior parte visive.
Queste decisioni sono guidate dalla parte inconscia del cervello che ha a che fare con le emozioni: la parte destra.
40 Darwin aveva notato le forti similitudini presenti nelle espressioni sul viso di un
bambino e su quello delle scimmie. Charles Darwin, L’espressione delle emozioni nell’uomo e
negli animali, Torino, Bollati Boringhieri, 1999.
41 Bob Willingham, David Matzumoto, Spontaneous Facial Expressions of Emotion of Congenitally and Noncongenitally Blind Individuals, in “Journal of Personality and Social Psychology”, vol.96, n.1, 2009, pp.1-‐10.
42 Francesco Ambrogetti, op. cit., pp. 20-‐21.
43 Malcom Gadwell, In un batter di ciglia. Il potere segreto del potere intuitivo, Milano, Mondadori, 2006.
Questa parte del cervello, detta anche sistema limbico, è, infatti, la più antica: influenza il sistema endocrino e il sistema nervoso e, attraverso l’amigdala e l’ippocampo, richiama alla memoria le decisioni primordiali (quindi regola i ricordi e il nostro battito cardiaco e stimola il rilascio nel sangue di sostanze come l’adrenalina) come, ad esempio, scappare davanti a un pericolo o lottare per difendersi ecc.
L’amigdala attribuisce il livello giusto di attenzione agli stimoli sensoriali, -‐ dove la vista ha un ruolo preponderante -‐ da loro un’emozione e infine li immagazzina sotto forma di ricordo. Invece l’ippocampo, grazie agli stimoli dell’amigdala, attiva il sistema nervoso e motorio. Tutto ciò accade prima che la corteccia, la parte del cervello relativa alla ragione, si attivi. 44
Fondamentale è il contributo di tre gruppi di scienziati che hanno portato avanti la ricerca sul perché della generosità e della donazione.
Il professor Giacomo Rizzolati45, con l’aiuto dei ricercatori dell’Università di
Parma, negli anni ’90, scopre i cosiddetti neuroni specchio che si illuminano quando vediamo qualcuno che ride o che soffre o che prova emozioni come rabbia, disgusto o felicità, anche se la situazione che ci si presenta è in forma virtuale come, per esempio, quando vediamo una fotografia o un filmato. Questo vuol dire che se utilizziamo la giusta immagine potremmo riuscire ad attivare le giuste emozioni che porteranno la persona a fare una donazione.46
Successivamente, l’economista e neuroscienziato Paul Zac47, scopre invece il
ruolo dell’ossitocina, detta anche della “molecola dell’amore”, e del cortisolo. L’ossitocina è un ormone che ha la capacità di aumentare il nostro potere empatico nei confronti degli altri, come quando stiamo facendo del bene, aiutando qualcuno, donando.
44 Joseph LeDoux, Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni, Milano, Dalai, 2003. 45 Giacomo Rizzolati, Corrado Sinigaglia, So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni
specchio, Milano, Raffaello Cortina, 2006.
46 Giacomo Rizzolati, Lisa Vozza, Nella mente degli altri. Neuroni specchio e comportamento
sociale, Bologna, Zanichelli, 2007.
47 Paul J. Zac, The Moral Molecule. The source of Love and Prosperity, Boston, Dutton Adult, 2012.