• Non ci sono risultati.

Fra Cinema e Storia. I documentari di Leni Riefenstahl sui congressi nazionalsocialisti a Norimberga

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Fra Cinema e Storia. I documentari di Leni Riefenstahl sui congressi nazionalsocialisti a Norimberga"

Copied!
11
0
0

Testo completo

(1)

Leni Riefenstahl è una regista contro-versa. Artista di grande livello, come Faust, che impegnò la propria anima col diavolo per ottenere fama e succes-so incontrastato, lei fa un patto con Adolf Hitler che la porta a diventare la più importante cineasta del Terzo Reich. Popolare attrice e regista esor-diente di successo già prima della Machtergreifung, nel 1933, quando il dittatore sale al potere, accetta di met-tere al servizio della causa nazista il suo genio cinematografico. Realizza così, su diretto incarico del Führer, quattro documentari nell’arco di sei anni, due dedicati ai congressi nazio-nali del Partito Nazionalsocialista del 1933 e 1934 (Der Sieg des Glaubens [t.l. La Vittoria della fede, 1933] e Triumph des Willens [Trionfo della volontà, 1935]), uno dedicato alla Wermacht (Tag der Freiheit [t.l. Giorno della libertà, 1935]) e uno, articolato in due parti, dedicato alle olimpiadi di Berlino del 1936 (Olympia. Fest der Völker [Olympia, 1938] e Olympia. Fest der Schönheit [Apoteosi di Olympia, 1938]).

All’interno dell’efficace, ma sostanzial-mente semplice e schematico, sistema di produzione del consenso costruito dal Nazismo, la regista emerge per la sua capacità di affascinare ben oltre i confini nazionali attuando un modello emblematico di ciò che Walter Benjamin chiama estetizzazione della politica.

La scelta di lavorare su fatti reali, e quindi di usare la forma del documen-tario, permette a Leni Riefenstahl di costruire dei film stratificati dove è possibile affrontare particolari temati-che facendole apparire come naturali o senza dichiararle in maniera esplici-ta. I congressi del partito a Norimberga come le Olimpiadi offrono un’immagi-ne di superficie dietro la quale si intra-vede ben altro. Il Nazismo, al di là delle svastiche, dei saluti romani, degli “Heil Hitler” e degli slogan, tra-spare in filigrana, oltre il palese signi-ficato immediato delle cose mostrate. Sono nazisti la visione del mondo, la rappresentazione dell’uomo e dei rap-porti interpersonali, il modello estetico e l’idea di bello, la concezione del

ANALISI

Fra Cinema e Storia

I documentari di Leni Riefenstahl sui congressi

nazionalsocialisti a Norimberga

*

di Antioco Floris

* Il presente testo è una riedizione leggermente modificata del saggio La mistica

dell’imma-gine. Propaganda e performance rituale in due film di Leni Riefenstahl, pubblicato in

Cristina Lavinio, Francesco Tronci (a cura di), Tra saggi e racconti. In onore di Giovanni

(2)

tecniche di produzione del consenso giungendo a elaborare strategie in cui i mass media (radio e cinema in partico-lare, anche se già nel 1934 Goebbels indicava la radio come un qualcosa di ormai appartenente al passato – «L’invenzione della radio è già qualcosa di ieri» – perché presto – «probabil-mente già domani» – sarebbe arrivata la televisione4) interagiscono con i

rituali di massa. Queste modalità andranno via via perfezionandosi negli anni e segneranno la propaganda poli-tica anche nei decenni successivi fino ai giorni nostri5.

Se i mezzi di comunicazione di massa permettono di entrare in contatto col popolo tedesco nei luoghi in cui vive, e quindi di incontrarlo nelle sue abitazio-ni (con la radio) o nelle comuabitazio-nità loca-li (con il cinema) per trasmettergloca-li in modo semplice e chiaro una serie di indicazioni, ciò nondimeno le assem-blee di massa svolgono un ruolo impor-tantissimo che non può essere

surro-gato da altro. In esse, infatti, spiega Hitler «il singolo, che dapprima, essen-do sulla via di diventare un seguace del giovane movimento, si sente isola-to e colisola-to dalla paura di essere solo, vede per la prima volta lo spettacolo di una grande comunità, e ne resta inco-raggiato e rafforzato. [...] Le manifesta-zioni di massa non solo rafforzano il singolo, ma lo avvincono e contribui-scono a creare lo spirito di corpo. L’uomo che, quale primo rappresen-tante di una nuova dottrina, è esposto nella sua azienda o nella sua officina, a gravi imbarazzi, ha bisogno di essere rafforzato dalla convinzione di essere membro e campione di una vasta comunità. E solo una manifestazione di massa può dargli l’impressione del-l’esistenza della comunità»6.

Questi raduni sono organizzati come delle vere e proprie liturgie scandite da rituali che da un lato sanciscono il rap-porto fra la figura del capo e gli ade-renti al movimento legittimando i

ANALISI

lavoro e della pace. È la tensione di fondo che è nazista1.

Questa tensione assume caratteri dif-ferenti nei diversi film, e in Trionfo della volontà diventa propaganda. Il film è una summa dell’ideologia nazista in senso estetico, politico e sociale rap-presentata nelle forme della perfor-mance rituale, e del rito assume fina-lità e caratteri diventando a sua volta una liturgia di massa in versione cine-matografica.

Propaganda e rito

Per la produzione e il mantenimento del consenso il regime nazista, come noto, usa delle forme di coinvolgimen-to articolate su due livelli. Joseph Goebbels enuncia chiaramente il prin-cipio nel suo intervento al congresso di Norimberga del 1934: «Può essere una buona cosa tenere il potere riposto sulle armi. Tuttavia è preferibile e più gratificante conquistare il cuore del popolo e mantenerlo»2. Per

conquista-re e manteneconquista-re il cuoconquista-re, das Hertz, del popolo il regime costruisce un forte stato sociale sostenuto da una martel-lante propaganda. Accanto, è costituito un articolato sistema di campi di con-centramento supportato da un effi-ciente corpo di polizia e da altre forme di repressione selvaggia per quei casi che “sfuggono al controllo”.

Adolf Hitler considera la propaganda uno dei mezzi fondamentali per la con-quista del potere e indica diverse modalità efficaci per attuarla al meglio: l’oratoria, le assemblee di massa, fino, l’uso dell’immagine fissa e in movimento3. L’incontro col giovane

Joseph Goebbels a metà anni Venti

(3)

mente nel corpo della sua guida11.

Adolf Hitler, assumendo un carattere trinitario, giunge a incarnare nella sua persona l’essenza della Germania, del popolo e del partito. «Lei è la Germania. Quando lei agisce, agisce la nazione. Quando lei giudica, giudica il popolo» afferma ad alta voce Rudolf Hess rivolgendosi al Führer in apertura del congresso di Norimberga del 1934, e in chiusura rilancia sostenendo: «Il partito è Hitler, ma Hitler è la Germania così come la Germania è Hitler!». E infi-ne, i rituali hanno una funzione cono-scitiva, producono senso e permettono ai partecipanti di cogliere in maniera condivisa gli eventi della vita sociale che si stanno vivendo12.

Il congresso dunque attraverso il ritua-le consacra il carattere assunto da Hitler in quanto Führer della Germania e nel contempo lo rende solennemen-te pubblico e lo socializza con le centi-naia di migliaia di persone presenti13.

Da ciò l’esigenza di trasferire in ambiente cinematografico quanto accade nella realtà del congresso non più come semplice documentazione o materiale informativo da cinegiornale – da sempre gli appuntamenti del par-tito a Norimberga sono stati filmati –, quanto piuttosto come prodotto in grado di veicolare l’evento oltre l’hic et nunc.

I due film sui congressi del 1933 e 1934 realizzati da Leni Riefenstahl ver-ranno distribuiti in Germania capillar-mente in modo da essere visti dal mag-gior numero di persone e all’estero in maniera selettiva rivolgendosi a un pubblico qualificato14. Nel caso di

Triumph des Willens in Germania gli spettatori nella sola prima settimana

di programmazione sono circa 180.000 con punte in alcuni cinema di oltre 3.500 presenze al giorno. Nel solo bacino di Colonia viene proiettato nelle scuole a 60.000 studenti15.

Come scrive il quotidiano del partito qualche giorno prima della presenta-zione pubblica: «Il popolo non deve limitarsi a vedere questo film, ma deve viverlo interiormente»16.

Il congresso della vittoria

Leni Riefenstahl assume dapprima l’in-carico di realizzare il solo film del con-gresso del 1933 che si svolge da mer-coledì 30 agosto a domenica 3 settem-bre. È il Parteitag in cui si celebra il rag-giungimento del potere e si tiene all’in-segna del motto “Sieg des Glaubens”, la vittoria della fede di quelli che hanno creduto nell’idea nazionalsocialista e hanno lottato fino a vedere il suo com-pimento e la sua affermazione nello stato tedesco.

La regista lavora alle riprese con una piccola troupe organizzata in tempi brevi. Nella sua autobiografia Riefenstahl parla di un boicottaggio di Goebbels nei suoi confronti che non l’avrebbe informata per tempo dell’in-carico di realizzare il film sul congres-so, Der Sieg des Glaubens, costringen-dola quindi a lavorare a tappe forzate e senza preparazione; dai diari del Ministro della propaganda emerge invece che la regista ha ricevuto l’inca-rico da mesi e ha iniziato a lavorare al progetto sin da giugno17. Bisogna dire

che la Riefenstahl a proposito di que-sto film negli anni assume posizioni curiose, giungendo addirittura a nega-re che il film sia mai stato fatto18,

oppure che si è trattato di un

cortome-ANALISI

rispettivi ruoli, e dall’altro rinnovano la fedeltà al potere e quindi il potere stes-so. Le assemblee di massa più impor-tanti nella vita del Partito Nazionalsocialista, e quindi dopo la Machtergreifung dell’intera Germania, sono gli annuali congressi nazionali, i Parteitage, che si svolgono a Norimberga. La loro funzione, secondo le parole di Hitler, è: «1) offrire al Führer del movimento la possibilità di entrare personalmente di nuovo in contatto con l’insieme del partito; 2) rinnovare nei membri del partito il legame con la direzione; 3) irrobustire tutti insieme la fiducia nella vittoria; 4) dare un grosso impulso spirituale e psi-cologico per il proseguimento della lotta»7.

Il congresso si svolge seguendo un per-corso fortemente formalizzato e ritua-lizzato, con cerimoniali che segnano le

tappe in cui il Führer incontra le diver-se componenti del movimento. I rituali permettono agli astanti di entrare all’interno del movimento come parte integrante, non più semplici osservato-ri ma elementi essenziali del movimen-to stesso. In tal senso la partecipazio-ne al congresso produce una identità politica, è un’esperienza formativa che favorisce e rafforza l’identificazione del partecipante con il partito. Utilizzando la schematizzazione generale proposta da Gianmarco Navarini, si può notare che nel contesto dei Parteitage il ritua-le viene impiegato in primo luogo «per raccogliere solidarietà, cioè per diffon-dere un senso di membership e di appartenenza a un insieme simbolico che trascende i confini identificanti del singolo individuo»8. Attraverso questo

tipo di esperienza infatti «il singolo diventa in grado di osservarsi al di là della propria esistenza individuale, dentro la cornice di un “noi” collettivo, solidale e morale, che sembra espri-mere al tempo stesso comunanze al proprio interno e differenze rispetto agli altri»9. Ma i rituali hanno anche

un’altra funzione, infatti vengono «uti-lizzati per mostrare un potere, cioè per rendere tangibile la forza, lo status e la legittimità di chi esegue la pratica rituale o di chi in essa viene celebra-to»10. Questo aspetto è tanto più

evi-dente se si considera che il Partito Nazionalsocialista tende a configurar-si, soprattutto nelle sue manifestazioni pubbliche, come una sorta di religione politica. Il Nazismo infatti recupera tutta una serie di miti della tradizione tedesca e li rielabora in modo da pro-durre un culto nei confronti della nazio-ne germanica che si attua

(4)

simbolica-l’essere presenti, l’entusiasmo dei par-tecipanti che si manifesta non solo nei confronti di Hitler ma anche verso gli altri gerarchi, Röhm in particolare. L’insieme rimane in una dimensione reale e materiale, contingente, umana. Forse troppo umana. Il film, infatti, non preserva quell’atmosfera sacrale costruita intorno al congresso e quindi non è in grado di esportare all’esterno la forza simbolica dell’evento. La com-binazione di immagini e sonoro non riesce a raggiungere quell’effetto di fascinazione che avrebbe dato al film la forza di una liturgia cinematografica rimanendo un “semplice” documenta-rio.

Il film del trionfo

Dopo i problemi sorti in seguito al “pre-sunto” boicottaggio da parte di Goebbels, Leni Riefenstahl – così rac-conta la regista nell’autobiografia – una volta concluse le riprese fa cono-scere a Hitler le difficoltà a cui è anda-ta incontro, ed è per questo che il Führer, profondamente amareggiato per l’accaduto, prende l’impegno di affidarle un nuovo film in occasione del congresso del 1934, garantendo personalmente che avrebbe potuto lavorare senza ostacoli e senza dover rendere conto a nessuno. È una deci-sione a cui lei è contraria, ma a cui non ha la forza di opporsi20. Triumph des

Willens nascerebbe quindi come sem-plice occasione per recuperare quanto perduto in Der Sieg de Glaubens a causa delle condizioni di lavoro. Quanto sostiene la regista, però, pur non essendo del tutto falso, è certa-mente riduttivo. Infatti, come abbiamo evidenziato, i problemi del film non

sono semplicemente legati a difficoltà di realizzazione; sono piuttosto i conte-nuti e il modo in cui vengono proposti a non raggiungere il risultato che ci si auspicava, tanto da costringere in bre-vissimo tempo a ritirare la pellicola dalla circolazione. Gli eventi storici e il progetto del film sul successivo con-gresso del partito sembrano oscurare definitivamente il documentario, così di Der Sieg des Glaubens non si hanno più notizie non solo durante i successi-vi anni del periodo nazista ma anche dopo la caduta del regime fino ai primi anni Novanta, tanto da ritenerlo defini-tivamente scomparso. A proposito della sparizione della pellicola sono state fatte diverse ipotesi sostenendo ora che sia stata distrutta dalla guerra, ora dagli stessi nazisti perché docu-mentava un rapporto di forte sintonia

ANALISI

traggio realizzato a partire da poche migliaia o centinaia di metri di girato19.

La stampa dell’epoca ci informa che vennero girati non meno di 16.000 metri di pellicola corrispondenti a circa 10 ore di filmato; a questi, in sede di montaggio, come specificano i titoli di testa del film, si aggiunge il girato dei cinegiornali: «Le Wochenschauen tede-sche hanno messo a disposizione le loro riprese. Hanno così contribuito sostanzialmente alla riuscita del film». Il film dura 64 minuti ed è articolato in sei sequenze. Ogni blocco si caratteriz-za per omogeneità tematica e narrati-va e, a seconda della durata, si artico-la in sottosequenze seguendo un’im-postazione che verrà ripresa in manie-ra sostanzialmente simile in Trionfo della volontà.

A eccezione delle prime due sequenze, collocate in un tempo iniziale chiaro in quanto esplicitato dall’arrivo dei parte-cipanti e dall’apertura del congresso, il film si sviluppa attraverso la giustappo-sizione di blocchi tematico-narrativi che si susseguono in un ordine non motivato in senso causale o cronologi-co. Buona parte del film – dalla sequenza III alla VI – si sviluppa senza la presenza di indicatori temporali che collochino il singolo evento in un preci-so momento della giornata e segnino il passaggio in senso evolutivo da un nucleo all’altro. L’articolazione reale di svolgimento del congresso in quattro giorni viene deformata per compattare il tempo diegetico in un’unica giornata. Più articolato lo sviluppo spaziale che rende identificabili i diversi luoghi in cui si svolgono gli eventi del congresso. La Riefenstahl costruisce il film con inquadrature brevi che parcellizzano lo

spazio, e punti di vista che cambiano costantemente di angolazione, pro-spettiva e distanza. La macchina da presa osserva a 360 gradi e sembra sistemata ovunque, trova posto anche nella macchina del Führer per ripren-dere, in una sorta di soggettiva, lo sguardo sulla folla. Molte inquadrature sono fatte con un potente teleobiettivo che annulla la profondità di campo e schiaccia le immagini fin quasi a far perdere i tratti esteriori e trasformarle in astratte. Il montaggio evidenzia la partecipazione di giovani e giovanissi-mi sottolineando i loro sorrisi e i saluti nazisti ma soprattutto costruendo, attraverso una sorta di campo-contro-campo, uno scambio di sguardi d’inte-sa con Hitler. Il parlato, sempre diege-tico, è ridotto al minimo e usato solo in momenti particolari, per il resto la sonorità del film è data da rumori d’ambiente – principalmente le urla della folla esaltata – e dalle musiche, sia infra che extradiegetiche, scritte da Herbert Windt a partire da brani del repertorio del movimento nazionalso-cialista uniti con temi popolari e motivi ispirati all’opera di Wagner.

Der Sieg des Glaubens fotografa molto bene le atmosfere del congresso, l’en-tusiasmo dei partecipanti, il clima di scambio e partecipazione, l’eccitazio-ne per essere presenti a un evento di tale importanza, l’ammirazione per Hitler. Permette di vedere l’ambizione all’ordine e alla perfezione formale evi-denziando i rituali collettivi e la massa omogenea che si incontra intorno alla figura del Führer. Ma lascia anche tra-sparire le difficoltà, le carenze organiz-zative, i contrattempi, gli intoppi nel cerimoniale, la fatica che comporta

(5)

del Parteitag cinematografico diversa da quella del Parteitag reale. Parallelamente combina i diversi momenti con un ordine differente in modo da modificarne il senso e la fun-zione. Non si tratta quindi di un aspet-to legaaspet-to alla diversa articolazione del-l’intreccio in relazione alla fabula, ma proprio della costruzione di una fabula nuova rispetto alla realtà24.

Il film è composto da dodici sequenze di diversa durata ed è articolato in tre grossi blocchi che da un lato segnano lo sviluppo del film in rapporto alle fasi di svolgimento dell’evento di Norimberga, dall’altro strutturano il testo in modo da offrire al materiale trattato una valenza simbolica che per-mette di far emergere solo l’essenza dell’intera liturgia che si attua intorno al congresso. La riorganizzazione degli elementi visivi fa sì che all’interno della pellicola rimangano solo unità fortemente significanti ottenendo così un concentrato particolarmente effica-ce.

I tre grossi blocchi contenutisco-narra-tivi che compongono il film possono essere sinteticamente definiti “affetti-vo” (sequenze I-II), “politico” (sequenze III-X) e “istituzionale” (sequenze XI-XII). Nel primo avviene l’epifania di Hitler, protagonista assieme alla città di Norimberga con i suoi abitanti che lo accoglie festosa. Qui i gerarchi nazisti trovano spazio solo marginalmente come semplici figure di contorno, meri elementi profilmici, quasi la Riefenstahl ritenesse la loro presenza un di più che potesse distrarre l’atten-zione dall’aspetto centrale, cioè il rap-porto fra Hitler e la città, i suoi abitan-ti, i suoi monumenti. Il secondo blocco

porta il tutto in una dimensione politi-ca in quanto conduce l’insieme dei partecipanti all’interno dello spazio dedicato al congresso25. È uno spazio

che prende corpo idealmente e si defi-nisce come luogo altro rispetto alla città, tant’è che, escluse poche inqua-drature della prima sequenza nelle quali durante la sfilata in costume e il corteo di auto dei gerarchi che lascia l’hotel Deutscher Hof si intravede qual-che strada o palazzo, in questo blocco Norimberga è del tutto assente. Ma si distingue anche, e forse soprattutto, per le forme che lo caratterizzano: equilibrio, regolarità, ordine, perfezio-ne formale, rigore geometrico, impo-nenza, razionalità contrapposti a caos, disordine, confusione che avevano segnato il primo blocco. Simbolicamente lo spazio di svolgi-mento del congresso diventa lo spazio del partito.

Il terzo blocco sintetizza il tutto, da un lato riportando Hitler e i partecipanti nel cuore della città, che viene da loro letteralmente occupato e trasformato (le geometrie regolari e meccaniche delle parate contro le linee divergenti dell’architettura medioevale), e dall’al-tro sancendo l’ufficialità della vittoria nell’affermazione del Reich millenario: la città che simbolicamente si è aperta per ospitare il partito nazionalsociali-sta ora se ne impregna e ne diventa parte integrante. Rappresenta così la nuova Germania che ha preso corpo dopo l’ascesa al potere del movimento nazionalsocialista e che ora si ritrova con il suo popolo e la sua guida per festeggiare il trionfo della volontà. Ma non siamo più come nella sequenza d’apertura in un rapporto di

interazio-ANALISI

fra il Führer e Röhm, il capo delle SA

ucciso assieme a molti dei suoi uomini durante la notte dei lunghi coltelli, o forse perché l’uscita del successivo Triumph des Willens ne superava la qualità e quindi rendeva inutile l’esi-stenza della prima pellicola21.

La macchina organizzativa che viene messa in moto per il secondo film sul congresso del 1934 è di dimensioni straordinarie soprattutto se considera-ta in rapporto agli sconsidera-tandard di produ-zione di un documentario22. Il progetto

iniziale prevedeva fra l’altro che il documentario del congresso venisse preceduto da un’introduzione storica dove si ripercorrevano le tappe che hanno portato il Nazismo al potere. La regia di questa prima parte è affidata a Walter Ruttmann che ci lavora per mesi, ma il film non viene mai portato a termine. Triumph des Willens esce così come documentario del congres-so realizzato unicamente da Leni

Riefenstahl. Il film dura 114 minuti, 3109 metri di pellicola contro i 128.000 girati.

Triumph des Willens, nonostante l’im-pegno grandioso nella preparazione e nelle riprese, prende corpo essenzial-mente in sede di montaggio dove l’au-trice, lavorando da sola, combina le inquadrature secondo una architettura che colloca gli elementi su diversi livel-li di importanza con l’alternanza di punti forti e deboli, e rispettando un ritmo che coinvolga lo spettatore23.

Alle esigenze del montaggio si piega la realtà del congresso tanto da venire stravolta. Nella sintesi cinematografi-ca, la regista non si limita a seleziona-re gli avvenimenti più inteseleziona-ressanti escludendo quanto non ritenuto rile-vante nell’economia del film, ma rior-ganizza lo sviluppo temporale di ciò che è accaduto a Norimberga (il con-gresso si svolge dal 4 al 10 settembre 1934), creando una durata diegetica

(6)

simbolicamente che il passaggio da un giorno all’altro è più di un semplice tra-scorrere del tempo e rappresenta il transito da un’epoca a un’altra: per la Germania nasce un nuovo giorno26.

Subito dopo il risveglio, ancora giocato sul comportamento scanzonato e informale, per quanto rispettoso dei riti, del Kameradschaftsgeist che porta addirittura a effettuare in gruppo l’igie-ne intima, si notano evidenti cambia-menti che progressivamente escludo-no gli aspetti informali per collocare ogni singolo elemento visivo in una dimensione simbolica e cerimoniale. Dopo l’offerta dei doni a conclusione della sfilata dei costumi tradizionali, Hitler passa in rivista un gruppo di gio-vani dell’Arbeitsfront. Volti statuari, disposizione in ranghi regolari, assetto militaresco caratterizzano questo grup-po che, immobile, rende ossequio al Führer. È un campione di come si svi-lupperà il film a partire da questo momento. Il rito introduttivo vero e pro-prio si ha dopo i primi venti minuti con l’apertura ufficiale del congresso: «Den Kongreß des 6. Parteitages eröffne ich...» dichiara dal podio Rudolf Hess davanti a una sala affollata di persone e alla presenza delle massime cariche del Reich. Dopo lui appaiono per bre-vissime dichiarazioni ministri e alti gerarchi del partito. Ciascuno propone uno spunto, uno slogan da ricordare. Leni Riefenstahl riprende la realtà, ma al fine di rendere più efficace la ceri-monia la corregge aggiungendo inqua-drature riprese in altri contesti e facen-do recitare in studio le parti mal riusci-te27. All’apertura del congresso segue

la giustapposizione di sequenze che rappresentano altrettanti rituali:

l’ap-pello agli uomini del servizio del lavoro, l’incontro fra il capo delle SA Victor Lutze e gli aderenti al corpo, l’appello ai giovani della Hitlerjugend, la parata della Wermacht, l’appello ai funzionari del partito, la commemorazione dei caduti e il rinnovo della fedeltà al parti-to. Ciascuno di questi momenti, pur con modalità differenti, permette di raggiungere gli obiettivi generali dei rituali nazisti, e cioè rafforza il senso di appartenenza al partito, mostra il pote-re e lo legittima, svolge un’azione conoscitiva.

ANALISI

ne fra Hitler e Norimberga; qualcosa è cambiato, e chi arrivava dall’alto come un ospite illustre accolto con fervore dalla città, dopo i cerimoniali del con-gresso ha assunto il ruolo di capo indi-scusso anche della città. E ciò si può notare sia dal superamento del gioco di sguardi – l’alternanza di soggettiva e oggettiva – che offriva allo spettatore il privilegio di guardare con gli occhi di Hitler e di trovarsi nel posto in cui Hitler guardava, sia perché lo spazio prima occupato dai cittadini adesso è preso del tutto dai militanti nazisti. Sono infatti questi ultimi che ora occupano il centro della città ed è con loro che il Führer è in rapporto. I “normali” citta-dini sono distanti e semplici spettatori di un evento, non più protagonisti. Hitler in piedi nella sua macchina, al centro di quella che un tempo si chia-mava Hauptmarkt e che ora si chiama Adolf-Hitler-Platz, riceve l’omaggio di gerarchi e militanti in una situazione marcatamente formale che non lascia il minimo spazio al sorriso.

Questa tripartizione struttura il flusso delle performance rituali, destinando precisi momenti ai cerimoniali che ven-gono ripresi dalla realtà del congresso ma anche rielaborati o prodotti dalla macchina cinematografica. Il film sele-ziona gli elementi, li classifica per importanza, li accorpa e li distribuisce nel suo corso secondo una strategia che ne amplifica la portata. E allora se nella sfera informale il rito non è fun-zionale all’ottenimento di specifici risultati viene escluso, mentre trova ampio spazio nella sfera formalizzata, anche in quei momenti apparentemen-te o falsamenapparentemen-te informali.

All’interno del blocco che abbiamo

chiamato “affettivo”, il rito è assente. Sono certamente presenti elementi portatori di una dimensione simbolica propri della ritualità nazista – basti pensare alla ripetizione di gesti e paro-le dal carattere “magico” e sacralizzan-te quali il braccio alzato con la mano aperta, le parole “Heil Hitler”, “Sieg Heil” –, come anche comportamenti riconducibili ai cerimoniali di culto del capo, ma il modo in cui vengono pre-sentati li colloca in una dimensione non rituale. La naturalezza e l’entusia-smo, i ricorrenti sorrisi, il gioco di sguardi scambiati fra Hitler e la folla caratterizzano questo momento e lo contraddistinguono per spontaneità e informalità privandolo in qualche modo della dimensione cerimoniale. L’ingresso nel secondo blocco, marca-to dal cambiamenmarca-to delle forme disor-dinate dei tetti del centro di Norimberga con la perfetta regolarità della disposizione delle tende nel Zeltlager dei partecipanti, modifica questo carattere. Le stesse modalità con cui il passaggio avviene assumono una valenza rituale che può sussistere solo nella dimensione cinematografi-ca. Solo a questo livello infatti è possi-bile che l’avvicendarsi di due giornate possa avere una valenza simbolico-rituale, con un officiante, ruolo svolto dall’istanza narrante, e dei partecipan-ti, gli spettatori in sala. La città con le sue strade semideserte dorme ancora, cullata da una quieta musica extradie-getica tratta dal preludio al terzo atto del Meistersinger di Wagner, e la fase del risveglio non avviene nelle strade della città, ma nello spazio ideale del congresso dove ci si è spostati grazie alla dissolvenza incrociata, a indicare

(7)

grazie all’uso di particolari teleobietti-vi, in modo da rendere l’insieme quasi un’immagine astratta. Dopo l’“omelia” di Hitler, in cui si richiama l’unità del partito per la crescita della nuova Germania, si procede alla sacralizza-zione delle insegne del partito con il rito della Blutfahne, la bandiera bagna-ta col sangue dei nazisti colpiti nel put-sch del 1923. Accompagnato delle salve dei cannoni e con in leggero sot-tofondo le note dell’Horst Wessel Lied, l’inno ufficiale del partito, Hitler segui-to dai gerarchi passa in rassegna una nutrita fila di portabandiera. Con la mano sinistra tiene stretta la Blutfahne, portata da un militante in divisa che lo segue, e contemporanea-mente, per consacrarlo, tocca lo sten-dardo di ciascuna sezione locale del

partito, mentre con l’altra stringe la mano del suo rappresentante. Il mon-taggio è giocato sull’alternanza di piani americani, primi piani e particolari di Hitler, delle bandiere, dei cannoni, delle mani che si stringono, dei militan-ti in divisa sottolineando la solennità del momento.

Altro esempio efficace è l’incontro con il Reichsarbeitsdienst, nella prima parte della quinta sequenza, che dà vita a un rituale che non potrebbe avere la sua efficacia simbolica se non grazie al montaggio cinematografico. È una delle sequenza più curate fin dalla preparazione, che diventa emblemati-ca del modo in cui Leni Riefenstahl ha lavorato per caratterizzare i momenti rituali.

ANALISI

Trasfigurare la realtà

Come già accennato i rituali, in sinto-nia con la stratificazione che caratte-rizza il film, si svolgono a due livelli. Uno è quello della realtà, dove la mac-china da presa raccoglie immagini che vengono combinate al tavolo di mon-taggio nel sostanziale rispetto di ciò che accade. L’altro è quello della finzio-ne, dove la macchina da presa utilizza immagini della realtà e le combina in modo da ottenere un senso che la realtà da sola non avrebbe saputo o potuto dare. Abbiamo qui un ruolo determinante del montaggio come pro-duttore di realtà. La decima sequenza, quella della commemorazione dei caduti e del rinnovo della fedeltà al partito, è un esempio efficace. La sequenza inizia con una lenta e breve panoramica verticale dall’alto verso il basso che inquadra una maestosa aquila del Reich in pietra collocata su una altrettanto maestosa e imponente svastica, e attraverso una dissolvenza incrociata si passa nella Luitpoldarena dove Hitler, Himmler e Lutze si appre-stano a commemorare i caduti. È la sequenza più imponente e austera del film. L’immensa arena, inquadrata dal-l’alto, è occupata da centinaia di migliaia di membri delle SS e SA che,

raggruppati in file lineari, formano degli immensi poligoni regolari. Non un corpo si muove, non un oggetto è fuori posto. Alle due estremità dell’arena, così ornata da questi poligoni umani, da un lato si staglia l’alta e immensa tribuna in pietra sovrastata da tre drappi con la svastica lunghi decine di metri, dall’altro lato un monumento commemorativo, al centro un grande corridoio attraversato dalle uniche

figure umane che, nell’inquadratura in campo lungo, mantengono caratteristi-che fisicaratteristi-che definite: il Führer e i due capi delle SSe SA. La musica diegetica,

con la SS-Kapelle in campo, come si addice alla solennità dell’evento, è lenta e solenne. Il montaggio rinuncia al ritmo che lo ha contraddistinto fino-ra per dare spazio a lunghe inquadfino-ra- inquadra-ture che caratterizzano la sequenza per la lentezza. Anche se le macchine da presa sono disposte un po’ ovun-que e offrono al montatore materiale sufficiente per offrire varie angolazio-ni, la Riefenstahl ne sceglie poche, le più suggestive, privilegiando le panora-miche. Nessuna parola; anche la musi-ca si interrompe nel momento più solenne, quando i tre capi si trattengo-no con il braccio alzato in un lungo saluto nazista davanti alla corona di oltre tre metri di diametro poggiata sul pavimento. La macchina da presa indugia su di loro inquadrati in campo medio da diverse angolazioni e alterna la loro immagine con quella delle colonne ai lati della corona con sopra dei bracieri ardenti. Quindi Hitler, Lutze e Himmler si voltano e riattraversano il largo corridoio che divide in due l’are-na accompagl’are-nati dalle note di Ich hatt’ einen Kameraden – un canto funebre di inizio Ottocento ripreso nel reperto-rio canoro del movimento nazionalso-cialista – che entrano in dissolvenza. Concluso l’omaggio ai caduti il ritmo cambia: la musica si fa vivace così come i movimenti all’interno dell’arena che, inquadrata da tutti i lati e dall’alto, progressivamente viene invasa da un’orgia di bandiere. Sono ben ventun-mila i drappi utilizzati e qui vengono inquadrati nei modi più vari ma anche,

(8)

strumenti del lavoro per portare lo stato tedesco in un’epoca nuova grazie a Hitler. Dichiarazione di fedeltà e impegno che si rafforza più avanti quando si commemorano, citando una frase del canto Horst Wessel Liedt, i «camerati assassinati dal Fronte rosso e dalla reazione»32. Gli Arbeitsmänner

dichiarano: «Voi non siete morti, voi vivete nella Germania», dove alla paro-la Germania corrisponde l’immagine dell’intera platea composta dai 52.000 presenti inquadrata in campo lungo e seguita dal primo piano di Hitler.

Il terzo blocco si apre con quello che potremmo chiamare rito di ringrazia-mento, con le parate nel centro della città dove tutti i partecipanti, marcian-do a passo dell’oca e col braccio destro teso in avanti, si presentano

con il corpo di appartenenza davanti al Führer per rendergli ossequio. Il volto di Hitler è sempre solenne e austero, come lo sono anche i volti degli altri gerarchi e delle autorità presenti. I diversi momenti del lungo cerimoniale – è la sequenza più lunga del film, dura circa 18 minuti – sono segnati dal saluto nazista, elemento sacralizzante al quale il pubblico aggiunge anche il levarsi in piedi in segno di deferenza. La macchina da presa inquadra Hitler dal basso, in modo che il suo capo svetti fra le nuvole, mentre i parteci-panti sono inquadrati con un’angola-zione dall’alto a indicare un punto di vista – quello della persona a cui si presentano – che osserva da una posi-zione superiore. L’uso del teleobiettivo giunge in talune inquadrature a far perdere la definizione delle

caratteri-ANALISI

La sequenza si apre sulle insegne e le bandiere del corpo del Reichsarbeitsdienst, quindi Constantin Hierl annuncia al Führer la presenza di 52.000 uomini e Hitler saluta la folla: «Heil Arbeitsmänner!». La parola passa subito agli Arbeitsmänner che all’uni-sono urlano «Heil, mein Führer!» e attraverso uno Sprechcohr – sorta di coro non cantato in cui il parlato assu-me talvolta una cadenza musicale – si presentano e giurano fedeltà alla Germania. Gli Arbeitssoldaten, come anche vengono chiamati, in un alter-narsi di voci che giungono da più fronti spiegano: «Non siamo stati nelle trin-cee e neanche in mezzo al fuoco mar-tellante delle granate ma siamo lo stesso soldati. Con i nostri martelli, asce, pialle e vanghe siamo i giovani lavoratori del Reich». Se già nella realtà del congresso questo momento è forte-mente teatralizzato28, è comunque

solo attraverso la scelta delle inqua-drature e il montaggio audiovisivo che può raggiungere una dimensione sim-bolica straordinariamente efficace. Vediamo alcuni casi. Il nuovo Reich deve riunire tutti i popoli di lingua tede-sca in un unico stato (pangermanismo) e così gli Arbeitsmänner che si presen-tano davanti al Führer dichiarano di provenire dalle diverse regioni della Germania. «Camerata, da dove vieni?»29inizia a voce alta un soldato

del lavoro, e si prosegue con voci in e fuori campo: «Dalla Frisia. E tu, came-rata? Dalla Baviera. E tu? Dal Kaiserstuhl. E tu? Dalla Pomerania. E da Königsberg. Dalla Slesia. Dalla costa. Dalla Foresta nera. Da Dresda. Dal Danubio. Dal Reno. E… dalla Saar». Per concludere all’unisono: «Ein Volk,

ein Führer, ein Reich: Deutschland!»30.

I diversi piani sono collegati da raccor-di sonori – la voce si sovrappone fra le due inquadrature e anticipa la succes-siva – che uniscono in un insieme i diversi volti, i nomi delle regioni di pro-venienza e i simboli della nuova Germania: la svastica, l’aquila del Reich, il volto di Hitler. La macchina da presa è fissa e inquadra in primi piani stretti o compie dei leggeri movimenti panoramici che anticipano le voci dei singoli Arbeitsmänner. La chiusura della scena con il richiamo all’unità di popolo, stato e guida è composta allo stesso modo, con i raccordi sonori che legano le inquadrature e il soggetto motivato dalle parole: «Ein Volk,…», inquadratura in campo medio di un Arbeitsmann con in mano una bandie-ra e sullo sfondo un folto gruppo di per-sone; «… ein Führer,…», inquadratura del primo piano di Hitler; «…ein Reich:…», inquadratura di un’aquila sti-lizzata in metallo simbolo del Reich; «…Deutschland!», inquadratura di una bandiera con la svastica. E ancora allo stesso modo è costruita una delle prime scene della sequenza: «Hier stehen wir,…», primo piano di una vanga con la lama poggiata in terra fra due stivali; «…wir sind bereit,…», parti-colare di mani poggiate sul manico della vanga; «…und tragen Deutschland in die neue Zeit,…», figura intera, inquadrata leggermente angola-ta dal basso, di Arbeitsmänner disposti in fila, lo sguardo solenne, il viso rivol-to a sinistra; «…Deutschland!», piano americano di Hitler sul podio con ango-lazione dal basso31. Noi siamo su

que-sta terra, ci dicono anche le immagini oltre le parole, pronti con le mani sugli

(9)

ANALISI stiche corporee dei militanti

trasfor-mandoli in giochi di luci e ombre, forme geometriche astratte, fiumi di oggetti in movimento. È come se per-dendo ogni elemento accessorio rima-nesse solo l’essenza di queste perso-ne che si unisce in un tutt’uno per diventare massa.

Ed è proprio la dialettica singolo/massa tipica dell’ideologia nazista che attraverso questo rituale trova compimento, portando il singolo partecipante a fondersi nella folla immensa degli aderenti al partito e facendo emergere l’unico individuo in questo contesto ammissibile: Adolf Hitler, uno e trino, nel contempo guida, popolo e nazione. La comunione per-fetta fra Hitler e il popolo si ottiene uni-camente nella misura in cui l’individuo perde le sue caratteristiche di singolo e si annulla nella massa.

Il film è un progressivo incedere verso questa direzione fino al risultato finale, che appare ineluttabile perché presen-tato come reale. La forma del docu-mentario con la pretesa di raccontare il mondo così com’è – la regista parla addirittura di film-vérité33 – colpisce

con la forza dell’evidenza mascheran-do la mistificazione della messa in scena. Il cinema in tal senso completa e rifinisce il processo iniziato nel con-gresso perché, come nota Benjamin, permette alla moltitudine di vedere in

volto se stessa, di vedersi rappresenta-ta come prorappresenta-tagonisrappresenta-ta, ma pur sempre unicamente come massa: «Alla violen-za esercitata sulle masse, che vengo-no schiacciate nel culto di un duce, corrisponde la violenza da parte di un’apparecchiatura, di cui esso si serve per la produzione di valori cultua-li»34.

Se la liturgia del congresso deve sanci-re il potesanci-re attraverso lo svolgimento di riti e cerimoniali, il film amplifica il risultato in maniera esponenziale in quanto opera a un livello concentrato e permette di estenderne l’esperienza oltre lo stretto ambito temporale e fisi-co. Triumph des Willens diventa così prodotto da esportare non solo all’in-terno della Germania ma all’estero per evidenziare l’unanimità di consensi nei confronti del Führer e di conseguenza la forza di Hitler e la compattezza della Germania nazista.

Quando nel 1942 Frank Capra, ingag-giato dal governo USA per realizzare documentari di propaganda che rinfor-zassero lo spirito dei soldati mandati in guerra, vede il film rimane sconvolto: «Il Trionfo della volontà non sparava colpi di fucile, non buttava bombe eppure come arma psicologica funzio-nava perfettamente e mirava a distrug-gere ogni opposizione, e, in tal senso, era letale»35.

(10)

ANALISI Note

1. A questo proposito si veda il saggio di Susan Sontag dove l’autrice evidenzia come l’inte-ra opel’inte-ra della Riefenstahl sia sempre stata espressione di un’estetica nazista anche negli anni successivi alla caduta del regime (S. Sontag, Fascino fascista in: Id., Sotto il segno di

Saturno, Einaudi, Torino 1982, pp. 61-88).

2. Il testo dell’intervento di Goebbels è pubblicato integralmente in Julius Streicher (hrsg.),

Reichstagung in Nürnberg 1934, Vaterländischer Verlag C.U. Weller, Berlin 1934, pp.

226-246.

3. «Maggiori prospettive [dello scritto] possiede l’immagine in tutte le sue forme, compreso il film. Qui c’è ancor meno bisogno di lavorare con l’intelletto: basta guardare, tutt’al più leggere brevi testi: perciò molti sono più disposti ad accogliere in sé un’esposizione fatta con l’immagine che a leggere un lungo scritto. L’immagine apporta in breve tempo, e quasi di colpo, chiarimenti e nozioni che lo scritto permette solo di ricavare da una noiosa lettu-ra» (A. Hitler, Mein Kampf/La mia battaglia, Sentinella d’Italia, Monfalcone 1997, p. 123). 4. Intervento di Goebbels al congresso di Norimberga del 1934 (in: J. Streicher, Op. cit., p.

234).

5. Solo a titolo di esempio si può osservare come un partito italiano nato agli inizi degli anni Novanta abbia organizzato il suo primo congresso nazionale su un modello che ricalca i congressi della NSDAPdopo la presa del potere. Si confronti Gianmarco Navarini, Il

congres-so di Forza Italia: descrizione di una performance rituale, «Rassegna italiana di congres-

sociolo-gia», anno XL, 1999, n. 4, pp. 532-565, con Siegfried Zelnhefer, Die Reichsparteitage der

NSDAP in Nürnberg, Verlag Nürberger Press, Nürberg 2002, in particolare pp. 91-160.

6. A. Hitler, Mein Kampf, cit., p. 131.

7. A. Hitler, intervento di apertura del V congresso del partito a Norimberga, 30 agosto-3 set-tembre 1933, in: J. Streicher, Reichstagung in Nürnberg 1933, Vaterländischer Verlag C.U. Weller, Berlin 1934, pp. 49-50.

8. G. Navarini, Tradizione e post-modernità della politica rituale, «Rassegna italiana di socio-logia», anno XXXIX, n. 3, 1998, p. 309.

9. Ibidem. 10. Ibidem.

11. Sull’argomento si veda George L. Mosse, La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo

politico e movimenti di massa in Germania dalle guerre napoleoniche al Terzo Reich, Il

Mulino, Bologna 1975.

12. Cfr. G. Navarini, Tradizione e post-modernità della politica rituale, cit., p. 310.

13. Il numero dei partecipanti negli anni del potere oscilla mediamente fra le quattrocento e le cinquecentomila persone.

14. Cfr. A. Floris, Leni Riefenstahl ambasciatrice del Terzo Reich: il cinema per esportare il

Nazionalsocialismo, «Cinema e Storia. Rivista di studi interdisciplinari», n. 1/2017, pp.

83-98.

15. Cfr. Peter Nowotny, Leni Riefenstahl “Triumph des Willens”. Zur Kritik documentarischer

Filmarbeit im NS-Faschismus, Arbeitshefte zur Medientheorie und Medienpraxis Bd. 3,

1981, pp. 152-156; Martin Loiperdinger, Rituale der Mobilmachung. Der Parteitagsfilm Triumph des Willens von Leni Riefenstahl, Leske+Budrich, Opladen 1987, pp. 45-50. 16. Festliche Uraufführung in Berlin, «Völkischer Beobachter», n. 82, 23. März 1935 (citato da

P. Nowotny, Op. cit. p. 153).

17. Si veda L. Riefenstahl, Memoiren, Evergreen, Köln 1987/2000, pp. 204-209 (dell’auto-biorgrafia di Riefenstahl si è utilizzata l’edizione tedesca in quanto quella italiana – Stretta

nel tempo, Bompiani, Milano 1995 – è una traduzione ridotta); J. Goebbels, Tagebücher. In fünf Banden 1924-1945, Piper, München 20033, vol. 2, pp. 802; 812; 814; 820; 822. Si veda a proposito anche David H. Culbert, Leni Riefenstahl and the Diaries of Joseph

Goebbels, «Historical Journal of Film, Radio and Television», vol. 13, No 1, 1993. A partire

dalla caduta del Nazismo, Leni Riefenstahl non perderà occasione per sottolineare i suoi contrasti con Goebbels responsabile, a suo dire, di ricorrenti boicottaggi nei suoi confron-ti. È probabile che questi contrasti siano stati ingranditi ad arte al fine di rimarcare un con-flitto con i vertici del partito e quindi contestare chi sostiene che lei fosse organica al regi-me.

Der Sieg des Glaubens. Der Film vom Reichsparteitag der N.S.D.A.P. Regia: L. Riefenstahl; montaggio: L. Riefenstahl, Waldemar Gaede; riprese (b/n): Sepp Allgeier, Franz Weihmayr, Walter Frentz, Richard Quaas, Paul Tesch; musiche: Herbert Windt; sonoro: Siegfried Schulze; montaggio del suono: W. Gaede; regis-trazioni sonore: apparecchi Tobis-Klangfilm; coordinamento tecnico: R. Quaas; costruzioni a Norimberga: Albert Speer, Schulte Frohlinde; edizione: UFA, Landesfilmstellen der NSDAP; direttore di produzione: Arnold Raether; produzione: Reichspropagandaleitung der NSDAP, Hauptabteilung IV (Film), Berlin; lunghezza: 1.756m; origine: Germania 1933; formato: 1:1,33 (35mm); durata: 64 min. Trionfo della volontà

t.o.: Triumph des Willens

Regia: L. Riefenstahl; assistenti: Erna Peters, Guzzi e Otto Lantschner, Walter Prager,

Wolfgang Brüning; montaggio: L. Riefenstahl; direttore della fotografia (b/n): S. Allgeier; direttore delle riprese in interni: Arthur Kiekebusch; operatori: S. Allgeier, Karl Attemberger, Werner Bohne, W. Frentz, Hans Gottschlalk, Werner Hundhausen, Herbert Kebelmann, Albert Kling, Franz Koch, Herbert Kutschbach, Paul Lieberenz, Richard Nickel, Walter Kiml, Arthur von Schwertfeger, Karl Vass, Franz Weihmayr, Siegfried Weinmann, Karl Wellert; effetti speciali: Gruppo di lavoro Sven Noldan, Fritz Brunsch, Hans Noack; materiali dei cinegiornali: UFA, Tobis-Melo, Fox, Paramount; riprese aeree: Albert Kling; luci: Bernhard Delschaft jun. (Koerting & Mathiesen A.G.); fotografo di scena: Rolf Lantin; scenografia del congresso: Albert Speer; musiche: Herbert Windt, marce eseguite da Kapelle der SS-Leibstandarte Adolf Hitler; suono: Siegfried Schulz, Ernst Schütz, su strumentazioni Tobis-Klangfilm; montaggio del suono: Bruno Hartwich, Alice Ludwig; supervisione alla propaganda: Herbert Seehofer; produttore: L. Riefenstahl; direttore di produzione: Walter Traut; pro-duzione: Reichsperteitagfilm der L.R. Studio-Film, Berlin; NSDAP, Geschäftstelle für den Reichsperteitagfilm; lunghezza: 3.109m; origine: Germania 1935; formato: 1:1,33 (35mm); durata: 114 min.

(11)

ANALISI

Nei suoi film d’animazione il regista Enzo d’Alò si è concentrato su storie dal messaggio universale, coinvolgen-do illustratori, coinvolgen-doppiatori, attori e musi-cisti dallo stile ben definito e concen-trandosi sull’aspetto registico dei film. Il tutto, nel rispetto del testo originario e con la volontà di emozionare il pub-blico. Il saggio ripercorre le scelte stili-stiche di d’Alò nella realizzazione dei suoi cinque lungometraggi.

1. Il Pinocchio animato tutto italiano «L’idea nasce proprio dal fatto che secondo me [...] non esisteva un film d’animazione Pinocchio italiano che partisse dalle nostre radici, che fosse un film europeo, che fosse qualche cosa da poter raccontare a tutto il mondo»1. Parole di Enzo d’Alò, che ben

esprimono l’approccio adottato nella realizzazione del film e, in particolare, nella sua trasposizione da classico della letteratura non solo per ragazzi a film d’animazione per il grande pubbli-co. Il Pinocchio di d’Alò, sceneggiato insieme a Umberto Marino, è davvero diverso da quelli che l’hanno precedu-to, soprattutto dal celebre esempio disneyano del 19402.

Innanzitutto nel trattamento della sto-ria, perché il film preserva il messaggio

educativo del libro di Carlo Collodi, concentrandosi volutamente sul rap-porto padre-figlio, come ha sottolinea-to d’Alò: «io credo che Collodi, che di figli suoi non ne ha avuti, abbia messo molto di sé nella figura di Geppetto, e che il suo burattino sia stato per lui davvero come un figlio»3. A questo si

aggiunge una scelta precisa in merito ai personaggi da includere rispetto al testo originario e a come caratterizzar-li e animarcaratterizzar-li. Ecco allora comparire il Pescatore Verde, poco sfruttato da altri

La coerenza interpretativa nei film di Enzo d’Alò

Scelte stilistiche e collaborazioni illustri nel rispetto delle

storie

di Cinzia Bottinij 18. «Ce film – dice la regista a proposito del suo secondo documentario – était mon premier

documentaire. C’était Le Triomphe de la volonté» (Michel Delahaye, Leni e le loup.

Entretien avec Leni Riefenstahl, «Cahiers du cinéma», n. 179, sept. 1965, p. 46).

19. Con Hilmar Hoffmann parla di qualche migliaio di metri di pellicola (cfr. Zum 100. mein

neuer Film. Ihr Werk, ihr Verhältnis zu Hitler, ihr Tauchprojekt: Leni Riefenstahl spricht mit Hilmar Hoffmann, «Die Welt», 7 gennaio 2002), mentre nell’intervista rilasciata a Gordon

Hitchens parla di soli 1.500 metri (cfr. Leni Riefenstahl interviewed by Gordon Hitchens,

October 11th, 1971, Munich, «Film Culture» Tribute to Leni Riefenstahl, No. 56-57, spring

1973, p. 114).

20. Cfr. L. Riefenstahl, Memoiren, cit. pp. 208-209.

21. Cfr. Leonardo Quaresima, «Belichtetes Material» Leni Riefenstahl, Der Sieg des Glaubens

(1933), in: Matteo Galli (a cura di), Da Caligari a Good Bye Lenin. Storia e cinema in Germania, Le Lettere, Firenze 2004, pp. 148-151.

22. La preparazione del film inizia molti mesi prima e si svolge in sintonia con l’allestimento del sito del congresso. Per le riprese la troupe è composta da 172 persone, fra questi 36 operatori – alcuni di loro si muovevano sui patini a rotelle e in divisa per potersi spostare velocemente e camuffare nella folla –, 10 tecnici, 37 addetti al controllo, 12 fonici, 17 tec-nici luci, 26 autisti (cfr. L. Riefenstahl, Hinter den Kulissen des Reichsparteitag-Films, Zentralverlag der NSDAP, München 1935).Il film riceverà i seguenti premi: Premio naziona-le del cinema 1934-1935; Coppa Istituto LUCE, miglior documentario straniero presso la Mostra di Venezia 1935; Medaglia d’oro e Gran premio presso l’Esposizione internaziona-le di Parigi, 1937.

23. Cfr. M. Delahaye, Op. cit., p. 49.

24. Sulla riarticolazione degli eventi del congresso all’interno del film si veda la tavola sinotti-ca in A. Floris, Liturgie naziste. I documentari di Leni Riefenstahl sui congressi del Partito

nazionalsocialista 1933, 1934, Cuec, Cagliari 2013, pp. 131-132.

25. Bisogna considerare che i Parteitage avevano la funzione primaria di ribadire parole d’or-dine già affermate o di socializzare le nuove politiche definite da Hitler e dal suo entoura-ge. Lo statuto del partito approvato il 22 maggio del 1926, infatti, sancendo i poteri asso-luti del Führer vietava ogni forma di dissenso interno e la discussione.

26. Cfr. A. Floris, Riti cinematografici nel Trionfo della volontà di Leni Riefenstahl, «Fata Morgana», n. 17/2012, pp. 165-169.

27. Si vedano le testimonianze di Albert Speer (Memorie del Terzo Reich, Mondadori, Milano 1997, pp. 74-75) e della stessa Riefenstahl (Memoiren, cit. pp. 778-779).

28. Perché le manifestazioni di massa siano efficaci, e quindi possano far presa sui parteci-panti, devono essere organizzate secondo una regia elaborata che dà vita a veri e propri spettacoli teatrali di dimensioni grandiose con degli attori, una messa in scena, una dram-maturgia, una curata colonna sonora composta da particolari brani musicali, una sceno-grafia, una coreografia.

29. In tedesco «Kamerad, woher stammst du?», dove il verbo “stammen” indica qualcosa in più di una generica provenienza e rimanda alle origini, alla stirpe, al ceppo.

30. «Un popolo, una guida, una nazione: Germania!».

31. «Noi siamo qui, / siamo pronti / e portiamo la Germania in una nuova epoca, / Germania!». 32. La Canzone di Horst Wessel, fu scritta da Wessel, ventenne comandante del V reparto SA di Berlino, nel 1927 e pubblicata in «Der Angriff», il giornale di Goebbels. Fu proprio questi che quando il giovane autore nel 1930 venne ucciso per mano del “Rotfront”, lo trasformò in un eroe facendo diventare la canzone l’inno del Partito Nazista.

33. Cfr. M. Delahaye, Op. cit., p. 49.

34. W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino 1984, p. 46.

Riferimenti

Documenti correlati

Equilibrium of the system is indeed fostered by this revenue sharing mechanism and by the synergies that collaboration generates from complementary core competences

Tuttavia questo è vero solo se si resta nell’ambito dell’enticità, perché dal punto di vista dell’Essere l’oltrepassamento non soltanto è possibile, ma addirittura

within the J=ψ signal region for J=ψ → γϕ is estimated as 1.4% by comparing the selection efficiencies between data and MC.. The uncertainties due to the details of the fit

In this paper, the ongoing BPM4ED (Business Process Management for EDucation) research project is described: schools are seen as organizations and the business

Devonshire, “Extrait de l’histoire d’Égypte”.. Per concludere, si può affermare che gli scambi diplomatici ci permettono di accostarci alla problematica della parola del

Given a set of patients waiting to be operated for a set of surgical specialties and a number of OR time blocks assigned to each specialty, we face problem of determining for a

Beyond the well-known effects on blood pressure of the dietary ap- proaches, lifestyle changes and the bene ficial effect of adopting the Mediterranean diet, a large number of

Perché va detto che lo status symboi non è tale solo per la vasta platea degli altri, per ottenerne l'applauso e l'am- mirazione; troppo spesso quella platea è nel teatro infe-