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Nuova procedura anestesiologica nelle fratture pertrocanteriche di femore:blocco del nervo femorale e femorocutaneo laterale come alternativa all'anestesia subaracnoidea.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA

Scuola di Specializzazione in Anestesia e Rianimazione

Tesi di Specializzazione:

Nuove strategie anestesiologiche nella frattura

pertrocanterica di femore: blocco del nervo femorale e

femorocutaneo laterale una valida alternativa al blocco

centrale.

Candidato Relatore

Dott.Alessandro Tartarelli Dott.Stefano Buzzigoli

Dott.Michele Martini

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Introduzione

Le fratture pertrocanteriche di femore rappresentano una patologia di frequente riscontro nella popolazione anziana e vengono chirurgicamente trattate attraverso il posizionamento di un mezzo di sintesi rappresentato dal chiodo endomidollare o dalle tre viti.

Tali procedure ortopediche vengono condotte generalmente attraverso l’esecuzione, laddove non esistano controindicazioni specifiche, di anestesia subaracnoidea che garantisce un grado di anestesia ed analgesia profondo per l’esecuzione dell’intervento stesso.

Frequentemente la frattura pertrocanterica di femore interessa pazienti con importanti patologie(Cardiopatie, cerebropatie, insufficienze renali e respiratorie di differente grado, epatopatie, alterazioni della coagulazione).

Anche l’anestesia subaraconidea, oltre all’anestesia generale, può quindi rappresentare, attraverso i suoi effetti collaterali e le complicazioni ad essa legate, un fattore di rischio all’esecuzione dell’intervento chirurgico oltre ad un fattore di aggravamento o slatentizzazione delle patologie coesistenti.

Scopo del nostro lavoro è stato quello di dimostrare l’efficacia del blocco contemporaneo ecoguidato del N.Femorale e del Femoro Cutaneo Laterale in combinazione ad una sedazione con remifentanyl in infusione continua al fine di ridurre al minimo l’incidenza anestesiologica sulla multi patologia preesistente.

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Le fratture prossimali di femore nell’anziano:

aspetti epidemiologici

Le fratture prossimali di femore sono fra le maggiori cause della drammatica riduzione della qualità della vita negli anziani e costituiranno nel futuro una delle problematiche di salute più urgente.

TIPOLOGIA

Le fratture del femore prossimali possono essere suddivise in mediali o intracapsulari e laterali o extracapsulari.

Le mediali a loro volta vengono distinte in composte e scomposte.

Le fratture mediali o intracapsulari vengono generalmente trattate con un intervento con osteosintesi per quelle composte e con intervento di protesi per le scomposte soprattutto sopra i 70 anni (K-G Thorngren et al Injury vol 33 suppl 3 2002 c1, s-c7).

Le fratture extracapsulari sono trattate con interventi di osteosintesi e solo in alcuni casi selezionati con sostituzione protesica parziale o totale

Ogni anno in Italia sulle fratture prossimali di femore sono effettuati circa 33000 interventi di sintesi, 19000 sostituzioni parziali protesiche e 27000 artroprotesi totali (Ciaschi A. 2005).

La quasi totalità fra 41 e 99 aa riguarda soprattutto donne; il 60% su donne oltre i 70 aa.

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INCIDENZA

La patologia in esame è un problema talmente vasto che l’OMS ha dichiarato 2000-2010 il decennio dell’osso.

Le fratture prossimali di femore sono rare prima dei 50 anni, il 75% sono donne e l’età media è 81 aa. (K-G Thorngren et al Injury vol 33 suppl 3 2002 s-c1, s-c7) ed i dati internazionali sono imponenti.

Nel Regno Unito si è passati da 55000 interventi nel 1991 a 66000 nel 1999.

Nei paesi mediterranei all’età di 80aa 1 donna su 5 ed a 90 aa 1 donna su 2 ha avuto frattura di femore almeno una volta.

I tassi di incidenza della frattura del femore aumentano esponenzialmente dai 65 aa in poi raddoppiando ogni 5 aa di età.

Nelle donne oltre i 65 anni la frattura di femore è la seconda causa di ricovero dopo l’ insufficienza cardiaca.

La prevalenza di fratture è maggiore nelle donne in cui la madre ha subito la frattura del femore entro i 75 aa (Pedrazzoni M VI Congresso naz SIOMMMS 2006)

In Toscana nel 2004 sono stati registrati 6629 ricoveri per frattura di femore negli anziani (oltre 65 aa) con il tasso di ospedalizzazione pari a 7,5 ricoveri ogni 1000 anziani e le due tipologie di frattura mediale e laterale si sono divise la torta al 50%.

TIMING E MORTALITA’

Il 5% dei pazienti muore in acuto prima o subito dopo l’intervento e la mortalità perioperatoria a 30 gg dall’intervento risulta essere intorno al 13% (Kehlet H. Br J Anaesth 2005 94(1): 24-9)

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La mortalità ad un anno è pari al 20% e di questi il 60% ,muore nei primi 4 mesi. Confrontando la mortalità osservata con quella della popolazione generale, il rischio relativo di morte ad un anno è del 2,7 nelle donne e del 3,2 negli uomini.

La mortalità nelle fratture extracapsulari dove si esegue una sintesi risulta essere maggiore rispetto a quelle intra capsulari dove si impianta una protesi.

L’analisi epidemiologica della mortalità da frattura di femore ha indotto a considerare, in tutto il mondo, questa patologia come esempio di “evento avverso in ambiente non preparato” (The New Zealand Health information Service, UK Audit Commission, UK NHS and Nice, Medicare).

Il trattamento dei pazienti con frattura prossimale di femore è tale da essere considerato un ottimo indicatore di qualità dei servizi ospedalieri.

Il trattamento precoce e l’approccio intensivo multidisciplinare rivestono un’importanza fondamentale, non solo sulla mortalità, ma anche sui risultati funzionali; in uno studio con cinque campioni di pazienti fra il 1972 ed il 1994, gli autori dimostrano che la percentuale di collasso della testa è molto più bassa se l’osteosintesi viene eseguita entro 6 ore dal trauma, nella fase di ischemia reversibile. L’intervento precoce (entro 24-48 ore) si associa ad una riduzione della mortalità ad un anno(Parker 1992, Perez 1995).

Nel paziente anziano (>65aa) la mortalità è dello 0-20% se l’intervento avviene nelle 24 ore, si colloca fra il 25% ed il 50% se l’intervento avviene dopo i tre giorni (Davis 1987, Roger 1995, Zuckerman 1995, Hamlet 1997).

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Il rischio di morte è 4,5 volte superiore se l’intervento dopo le 24 ore anche per classi ASA 1 e 2 (Hamlet 1997)

I principali motivi del ritardo sono attribuibili alla valutazione medica (52%) ed alla mancata disponibilità di sale operatorie e di chirurghi (29%) (Gretchen Orosz et Al 2002).

In uno studio di Novack V et Al Int J Qual Health Care 2007 (Harvard Clinical Research Boston USA è stato dimostrato come Il ritardo nella chirurgia delle fratture prossimali di femore è associata ad un significativo aumento di mortalità a breve e ad un anno.

Esiste comunque un consenso generale sul fatto che sia necessario prolungare i tempi di attesa in presenza di patologie concomitanti per preparare adeguatamente ed ottimizzare le condizioni cliniche (Bertini 2003).

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Le fratture pertrocanteriche di femore

CLASSIFICAZIONE

Nel 1949 Evans diede un grande contributo alla nostra comprensione delle fratture pertrocanteriche pubblicando un suo sistema di classificazione (fig.1) basato sulla stabilità della frattura e sulle potenzialità di convertire un tipo di frattura instabile in una riduzione stabile.

Nelle fratture stabili, la corticale postero-mediale rimane intatta o ha una minima comminuzione, rendendo possibile ottenere una riduzione stabile.

Le fratture instabili, d’altro canto, sono caratterizzate da una maggiore comminuzione della corticale postero-mediale.

Benché siano inerentemente instabili, queste fratture possono essere stabilizzate se si riesce ad ottenere un’apposizione corticale mediale.

Inoltre Evans osservò che la frattura ad obliquità inversa era intrensicamente instabile a causa dell’alta tendenza alla dislocazione mediale della dialisi femorale.

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Fig.1

Nella classificazione alfanumerica (fig.2) delle fratture dell’Orthopaedic Trauma Association (OTA), le fratture pertocanteriche dell’anca comprendono il tipo 31-A. Queste fratture sono divise in tre gruppi, ognuno dei quali è a sua volta suddiviso in sottogruppi basati sull’obliquità della rima di frattura e sul grado di comminuzione.

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Le fratture del gruppo 1 sono fratture semplici, con la tipica rima di frattura obliqua che si estende dal grande trocantere alla corticale mediale; la corticale laterale del grande trocantere rimane intatta.

Le fratture del gruppo 2 sono comminute con un frammento postero-mediale; la corticale laterale del grande trocantere, comunque, rimane intatta.

Le fratture di questo gruppo sono generalmente instabili, a seconda delle dimensioni del frammento mediale.

Le fratture del gruppo 3 sono quelle in cui la rima di frattura si estende sia lungo la corticale mediale che lungo la corticale laterale; questo gruppo comprende le fratture ad obliquità inversa.

Fig.2

A.O.

A.O.

A.O.

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TRATTAMENTO

Prima dell’introduzzione di adatti mezzi di sintesi negli anni ’60, le fratture pertrocanteriche venivano necessariamente trattante in modo conservativo, mediante una lunga degenza a letto in trazione ,fino alla completa guarigione della frattura (generalmente da 10 a 12 settimane), seguita da un lungo periodo di riabilitazione e rieducazione alla deambulazione.

Le tecniche di fissazione chirurgiche sono totalmente cambiate dagli anni ’60 in poi ed i problemi associati ai primi mezzi di sintesi sono stati ampiamente superati.

Il trattamento chirurgico, che permette la precoce mobilizzazione e dà al paziente la migliore possibilità di ripresa funzionale, è la modalità elettiva di gestione della maggior parte delle fratture pertrocanteriche.

Il trattamento chirurgico di scelta per le fratture pertrocanteriche utilizzato presso U.O Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale Versilia ASL 12 è rappresentato dal Chiodo Gamma Corto (fig.3) per le fratture laterali e le tre Viti Cannulate (fig.4) per le fratture mediali.

fig.3

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fig.4

Tecniche anestesiologiche di prima scelta

Il progresso continuo delle tecniche sia chirurgiche che anestesiologiche ha determinato negli ultimi anni un sempre maggiore aumento delle indicazioni operatorie dei pazienti anziani.

Ciò è particolarmente vero nell'ambito della ortopedia e traumatologia, in cui si sono decisamente allargate le indicazioni della chirurgia sia traumatologica che ortopedica di tipo funzionale, come le sostituzioni protesiche di anca e di ginocchio.

L'età avanzata non costituisce più un ostacolo insormontabile al trattamento chirurgico se, tenendo presente lo stato e la fisiopatologia del soggetto anziano, si attuano delle scelte accurate sulla metodica anestesiologica da seguire.

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Nella valutazione dell'età avanzata, termine ormai preferito a quello di vecchiaia, è interessante distinguere un invecchiamento fisiologico, che si traduce in una progressiva involuzione delle principali funzioni organiche, con una riduzione delle possibilità di adattamento alle situazioni di acuzie, ed uno patologico in cui alla normale senescenza si associano uno o più stati patologici che vanno ad aggravare lo stato di salute e quindi il rischio operatorio.

Nell'ambito dell'invecchiamento fisiologico si evidenziano:

- un abbassamento delle performances dell'apparato cardiovascolare, con riduzione della gittata cardiaca e dell'elasticità vascolare;

- una globale riduzione di tutti i parametri volumetrici respiratori, una diminuita compliance toraco-polmonare ed, in rapporto alla ridotta forza muscolare, una minore efficacia del meccanismo della tosse;

- a livello renale, ad una progressiva riduzione del numero dei nefroni funzionanti corrisponde un deficit della filtrazione glomerulare e della capacità di concentrazione tubulare;

- per quel che riguarda il S.N.C. si apprezza una riduzione del flusso ematico con deterioramento psichico ed una maggiore sensibilità all'ipossia;

- è spesso interessato anche lo stato nutrizionale in rapporto a turbe dell'appetito ed alle condizioni socio-economiche del paziente.

Circa l'invecchiamento patologico, è frequente il riscontro di ipertensione arteriosa, cardiopatie di tipo ischemico, turbe dell'eccitabilità e della conduzione miocardica, insufficienza respiratoria cronica di tipo ostruttivo o restrittivo, diabete mellito,

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alterazioni psichiche che possono arrivare fino alla vera demenza o limitarsi a non meno pericolose turbe del cosiddetto tono o slancio vitale, le quali comunque pesano notevolmente sulla prognosi.

La strategia migliore nella scelta anestesiologica poggia su una valutazione accurata dello stato clinico del paziente con la correzione, finché possibile, di ogni patologia ritrovata.

La scelta di una tecnica di anestesia periferica, quale l'anestesia subaracnoidea ed il blocco periferico sono, non solo a nostro parere, più scevre da pericoli, in rapporto alla maggiore semplicità farmacologica, all'assenza di variazioni della coscienza, alla necessità di minore invasività del monitoraggio intra e post-operatorio, alla ridotta incidenza di emorragia intraoperatoria, di manifestazioni tromboemboliche post-operatorie e, nel caso del blocco periferico, possibilita di esecuzione nei pazienti con alterazioni della coagulazione riconducibili ad assunzione di farmaci anticoagulanti o a patologia.

Gli anestetici locali

Gli anestetici locali sono farmaci che bloccano la conduzione nervosa se applicati ad un tessuto o ad una fibra nervosa in concentrazioni che non danneggino permanentemente i tessuti stessi. Essi agiscono su ogni parte e su ogni tipo di fibra del tessuto nervoso in modo reversibile e prevedibile, senza lasciare danni strutturali. La potenza di un anestetico locale è la dose minima efficace che permette di ottenere le condizioni desiderate, quali ad esempio una regione anestetizzata che permetta un intervento chirurgico senza dolore.

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La tossicità è definita come la reazione dell’organismo ad una certa dose di farmaco. La tossicità in laboratorio si definisce con la mortalità, e, in particolare con la MDL 50, cioè la dose minima letale, la quantità di farmaco minima che è necessaria ad uccidere il 50% degli animali usati come test.

La tossicità può essere sistemica o locale: la prima è riferita agli effetti del farmaco sull’intero organismo, la seconda agli effetti sulle strutture cellulari ed è anche chiamata citotossicità.

Lasicurezza di un anestetico locale è dipendente dalla relazione tra la sua potenza e la sua tossicità, o meglio, è proporzionale alla potenza e inversamente proporzionale alla tossicità.

Se la potenza è elevata e la tossicità è bassa, il margine di sicurezza sarà ampio. Il rapporto tra potenza e tossicità viene detto indice anestetico.

Lidocaina

E’ un composto solubile in acqua e molto stabile.

Può essere sottoposto a sterilizzazione in autoclave per 6 ore o a trattamenti multiplienza perdere di potenza.

Ha una elevata affinità per i tessuti grassi. La maggiorparte di questo farmaco viene metabolizzata nel fegato per trasformazione in fenolo libero e coniugato, mentre la struttura ad anello viene idrossilata.

La porzione fenolica si può ritrovare nelle urine.

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E' un anestetico locale che si diffonde facilmente per la sua struttura molecolare e per il suo pKa, vicino al pH fisiologico.

Ha proprietà' vasodilatatrici e per questo motivo e' l'anestetico locale che meglio si presta ad essere somministrato assieme all'adrenalina che limita le concentrazioni plasmatiche, prolunga la durata d'azione e ne aumenta la potenza.

L'adrenalina può' essere aggiunta estemporaneamente immediatamente prima della somministrazione o può' essere gia' presente nelle confezioni in commercio.

Ha un tempo di latenza breve e una durata d'azione intermedia (70-90 min).

Bupivacaina

E’ solubile in acqua in forma di sale cloridrato e stabile alla sterilizzazione in autoclave.

Si lega alle proteine plasmatiche per il 79-90% e la forma non legata viene metabolizzata nel fegato per N-dealchilazione.

Il 10% è escreto, immodificato, nelle urine.

Questo anestetico locale e' caratterizzato da un lungo periodo di latenza e da una lunga durata d'azione.

La sua potenza e' quattro volte superiore a quella della lidocaina, ma anche la sua tossicità è maggiore.

In particolare, in gravidanza sembrerebbe aumentata la sua cardiotossicita'.

Levobupivacaina e ropivacaina

La levobupivacaina è un anestetico locale amino-amidico tra i più recenti disponibili per uso clinico.

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Lo sviluppo delle ultime due molecole a lunga durata d’azione, levobupivacaina e ropivacaina, fu stimolato dalla necessità di disporre di anestetici locali con più ampio margine terapeutico a parità di proprietà farmacodinamiche rispetto alla bupivacaina. Lo sviluppo di una nuova molecola a lunga durata d’azione ha tratto vantaggio dal fatto che la maggior parte delle molecole aminoamidiche possiede un centro chirale, rispetto al quale si possono differenziare due stereoisomeri con diversa struttura tridimensionale, definiti enantiomeri.

Nonostante le proprietà fisico-chimiche di due stereoisomeri siano sovrapponibili, la conformazione spaziale delle molecole chinali incide sull’affinità recettoriale dell’anestetico locale e dunque anche sulla sua tossicità: l’enantiomero levogiro è meno tossico di quello destrogiro (1).

In particolare, la levobupivacaina è l’enantiomero puro levogiro derivato dal composto racemico bupivacaina.

Come tutti gli anestetici locali, anche levobupivacaina, ropivacaina e bupivacaina agiscono inibendo in modo reversibile i canali voltaggio-dipendenti per il sodio nelle fibre nervose.

Tale inibizione è tempo e voltaggio-dipendente ed esita nell’innalzamento di soglia del potenziale d’azione, riducendo la propagazione dell’impulso elettrico lungo la fibra.

Il suo tempo di latenza è sovrapponibile a quello rilevato per la bupivacaina e non sembra essere modificato dall’aggiunta di adrenalina.

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La tossicità da anestetico locale si correla più frequentemente all’utilizzo di dosi elevate, come nel caso di blocchi nervosi periferici e di infusione prolungata postoperatoria a scopo analgesico; d’altra parte, anche l’iniezione intravascolare accidentale o il riassorbimento massivo dal comparto extravascolare possono condurre al rapido aumento delle concentrazioni plasmatiche del farmaco.

In caso di concentrazione plasmatica tossica, si verificano ulteriori interazioni della molecola con altri tessuti eccitabili, come il sistema nervoso centrale (SNC) e il miocardio, oltre che con il sito target.

Il SNC è più sensibile alla tossicità da anestetico locale rispetto all’apparato cardiovascolare: l’intossicazione sistemica si rende infatti clinicamente manifesta, in genere, proprio sulla base dei sintomi eccitatori neurologici, dovuti al blocco preferenziale delle vie inibitorie centrali.

Segni e sintomi sono causati, in sequenza, dal deficit dei nervi cranici (disartria, deficit visivi e uditivi, parestesie, sensazioni gustative alterate), dalla disfunzione delle vie inibitorie centrali (tremori, contrazioni muscolari e convulsioni tonico-cloniche) e, infine, dalla generalizzata depressione di tutte le funzioni neurologiche, il coma, l’inibizione delle risposte autonomiche e, da ultimo, l’arresto respiratorio. Uno dei metodi di misura oggettivi della tossicità neurologica di uno specifico anestetico locale è rappresentato dallo studio della soglia convulsiva.

Studi di tossicità possono essere condotti solo su animali: si consideri a tal proposito che la variabilità tra le specie e le differenze rispetto al modello animale possono profondamente inficiare l’estrapolazione di risultati validi al contesto umano.

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Gi isomeri puri levogiri appaiono più sicuri della bupivacaina racemica riguardo alla tossicità sul SNC: in modelli animali, la soglia epilettica è risultata essere infatti decisamente superiore per levobupivacaina e ropivacaina rispetto a bupivacaina. La tossicità neurologica dei due levo-isomeri è in parte specie-dipendente (4); anche la via di somministrazione, la rapidità di raggiungimento della soglia di concentrazione plasmatica, l’eventualità che l’animale sperimentale sia sveglio o in anestesia generale incidono sulla manifestazione dell’effetto tossico: ciò rende difficile estrapolare risultati all’uomo e complica molto la comparazione dei dati. Pochi studi hanno analizzato la comparsa dei primi sintomi di tossicità neurologica nell’uomo (senso di stordimento, alterazioni uditive, tinnito, disartria, parestesie periorali, alterazioni del gusto): Stewart et al. non hanno riportato alcuna differenza significativa, in termini di onset dei primi sintomi di tossicità neurologica, tra levobupivacaina e ropivacaina somministrate endovena in soggetti maschi volontari sani; studi simili condotti in volontari sani hanno dimostrato una minore tossicità neurologica di levobupivacaina e ropivacaina nel confronto con bupivacaina racemica, tanto da causare sintomi neurologici a dosi maggiori del 10-25% rispetto a quelle di bupivacaina.

Levobupivacaina e ropivacaina risultano dunque più sicure: esse si associano ad una minore tossicità potenziale sul SNC, minore incidenza di sintomi neurologici e di modificazioni elettro-encefalografiche rispetto alla bupivacaina racemica.

Gli effetti tossici cardiovascolari da anestetico locale si manifestano generalmente in seguito ad un’iniziale attivazione del sistema nervoso simpatico durante la fase di

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neurotossicità: le conseguenti tachicardia e ipertensione possono mascherare l’effetto miocardio-depressore diretto degli anestetici locali.

La seconda fase, caratterizzata da aritmie e severa disfunzione contrattile del ventricolo, subentra all’eccitazione simpatica man mano che la concentrazione plasmatici del farmaco aumenta; il risultato finale può essere il collasso cardiocircolatorio che, nel caso della bupivacaina, è spesso difficile trattare con successo.

L’arresto cardiocircolatorio può derivare sia dalla profonda depressione della funzionalità miocardica, cui consegue scompenso acuto, sia da disritmie fatali.

La fibrillazione ventricolare, preceduta da severa ipotensione, è l’aritmia terminale più comune nei modelli sperimentali e la prima causa di morte nei modelli animali di tossicità acuta da anestetico locale, eccetto che dopo intossicazione da lidocaina. L’inibizione della contrattilità miocardica è proporzionale alla solubilità lipidica e alla potenza dell’anestetico locale, suggerendo il seguente ordine di cardiotossicità (dal minore al maggior rischio): ropivacaina < levobupivacaina < bupivacaina racemica < bupivacaina destrogira.

Ropivacaina, levobupivacaina e bupivacaina rallentano inoltre la conduzione dell’impulso a livello cardiaco: ne derivano PR allungato e QRS slargato all’ECG. Tale effetto è causato dal blocco dei canali del calcio in fase diastolica e predispone a ritmi da rientro.

Inoltre, gli anestetici locali influenzano la conduttività di membrana al potassio, prolungando l’intervallo QT; si noti che l’isomero destrogiro della bupivacaina è sette

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volte più potente nel bloccare i canali del potassio rispetto all’isomero levogiro. Groban et al. hanno tuttavia dimostrato che le concentrazioni plasmatiche di anestetico locale tali da causare una riduzione del 35% della frazione di eiezione non sono poi così differenti tra levobupivacaina e composto racemico (2,4-1,3 mcg/ml per la levobupivacaina e 2,3- 2,1 mcg/ml per la bupivacaina); risultati simili sono stati riscontrati anche nelle pecore e in preparati di miocardio e potrebbero essere correlati alla simile inibizione selettiva dei canali del calcio da parte dei due enantiomeri o ai differenti effetti delle tre diverse molecole sul metabolismo energetico mitocondriale Come già accennato, criterio fondamentale discriminante nella pratica clinica è rappresentato dalla probabilità di successo delle manovre rianimatorie dopo arresto cardiocircolatorio da anestetico locale.

Groban et al. hanno valutato l’efficacia della rianimazione cardiopolmonare dopo dosi incrementali di lidocaina, bupivacaina, levobupivacaina e ropivacaina in cani sottoposti ad anestesia generale: sussistono differenze significative circa l’incidenza di failure delle manovre di rianimazione cardiopolmonare dopo intossicazione da bupivacaina racemica e levobupivacaina (50% e 30% rispettivamente) o da ropivacaina e lidocaina (10% e 0% rispettivamente).

I cani sottoposti a infusione di levobupivacaina hanno mostrato una minore mortalità rispetto a quelli riceventi il composto racemico, nonostante l’incidenza di fibrillazione ventricolare fosse paragonabile a quella dopo infusione di bupivacaina. Tali studi non riproducono però esattamente le condizioni cliniche di maggiore interesse nell’uomo: l’anestesia generale, cui erano sottoposti gli animali

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sperimentali, può quanto meno attenuare la componente simpatica della tossicità neurologica centrale e la conseguente iniziale risposta iperdinamica.

Così come per la tossicità neurologica, anche per quella cardiovascolare è molto difficile effettuare studi sull’uomo; nel confronto tra levobupivacaina e ropivacaina in infusione endovenosa in adulti sani volontari, nessuna differenza è risultata nella frazione di eiezione sistolica, nell’indice cardiaco, nell’intervallo PR, nella durata del QRS, nell’intervallo QT, né nella frequenza cardiaca; la depressione della conduzione e della contrattilità miocardiche è apparsa già a bassi dosaggi sia con bupivacaina racemica, che con ropivacaina o levobupivacaina.

Tuttavia, numerosi case report disponibili in letteratura hanno mostrato una completa ripresa senza sequele cardiovascolari importanti dopo iniezione intravascolare accidentale di levobupivacaina; in tutti i casi, i primi segni si tossicità erano neurologici.

L’affinità per i canali del sodio, la cardiotossicità e la potenza del farmaco sono caratteristiche strettamente interconnesse ed espressione della liposolubilità del farmaco.

È complesso determinare la potenza relativa degli anestetici locali: gli studi clinici disponibili in letteratura stabiliscono le potenze relative delle diverse molecole all’apice della curva dose-risposta, ovvero alla dose determinante la massima efficacia possibile per la tecnica regionale anestetica considerata.

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In modelli sperimentali animali, Brau et al. hanno dimostrato che la ropivacaina è meno potente del 50% rispetto alla levobupivacaina, o alla bupivacaina racemica, nell’inibire i canali del sodio.

Kanai et al. hanno comparato la bupivacaina destrogira, l’enantiomero levogiro levobupivacaina e la ropivacaina circa il loro effetto sulla propagazione del potenziale d’azione in un modello animale e hanno dimostrato che la bupivacaina levogira produce un blocco fasico più potente.

Sinnott et al. hanno dimostrato che la levobupivacaina allo 0,25% produce un blocco sensitivo-motorio del 30% più duraturo della ropivacaina, suggerendo dunque che la levobupivacaina è più potente della ropivacaina nel blocco completo del nervo sciatico nel ratto.

La valutazione della potenza relativa degli anestetici locali, attraverso la dimostrazione dell’intera curva dose-effetto, non è possibile nell’uomo; Alley et al. hanno somministrato tre diverse dosi intratecali di levobupivacaina e bupivacaina racemica in soggetti maschi volontari sani (4, 6, 8 mg) senza riscontrare alcuna differenza nel profilo clinico del blocco sensitivo-motorio, né nel recupero dall’anestesia spinale.

Un altro metodo per confrontare la potenza relativa degli anestetici locali si basa sulla MLAC, ovvero sulla minima concentrazione efficace di anestetico locale necessaria ad assicurare un’adeguata analgesia nel 50% dei soggetti, calcolata con allocazione sequenziale up-and-down.

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La valutazione della MLAC consente di determinare in modo accurato l’ED50 per una specifica risposta al farmaco e, per quanto inadeguata a definire in modo completo la curva dose-effetto, permette anche di estrapolare l’ED95 attraverso una regressione logistica lineare.

L’applicazione di tale modello di studio all’analgesia per il parto ha condotto all’osservazione che, mentre nessuna differenza è stata rintracciata tra le MLAC di levobupivacaina (0,083%) e bupivacaina (0,081%) (24), la ropivacaina presenta una MLAC maggiore del 40-50%.

Studi successivi hanno invece dimostrato che non sussistono differenze nel confronto tra MLAC di levobupivacaina e MLAC di ropivacaina per analgesia peridurale durante il parto (0,087% per levobupi, 0,089% per ropi) (25) o, in altri casi, hanno evidenziato solo differenze trascurabili, non significative statisticamente (26).

Casati et al. (27) hanno valutato il minimo volume di anestetico locale necessario a produrre un blocco femorale efficace nel 50% dei pazienti utilizzando una tecnica di allocazione sequenziale up-and-down: i risultati non hanno confermato i precedenti riscontri, dal momento che il volume di ropivacaina 0,5% necessario a determinare il blocco è risultato paragonabile a quello della bupivacaina 0,5%.

Per concludere, in base alle valutazioni svolte ad oggi e nonostante siano necessari ulteriori studi, sembra che la scala di potenze relative dei tre anestetici a lunga durata d’azione sia rappresentata dalla sequenza ropivacaina < levobupivacaina < bupivacaina.

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Gli US nel blocco periferico

Inizialmente l’anestesia periferica, in contrapposizione all’anestesia generale, era considerata una scelta subordinata alle condizioni cliniche del paziente ed alle capacità dell’anestesista, quindi appannaggio esclusivo di anestesisti “esperti”.

Parallelamente all’evoluzione delle tecniche chirurgiche, finalizzate ad una minore invasività per il paziente, le tecniche di anestesia periferica si sono via via perfezionate nella ricerca continua di una maggiore efficacia e sicurezza.

Le tecniche di anestesia loco-regionale hanno subito nel tempo una rapida evoluzione, dovuta soprattutto all’introduzione dell’ elettroneurostimolazione per la ricerca dei tronchi nervosi, avvenuta negli anni ’90.

fig.5

La possibilità di iniettare selettivamente l’anestetico locale in prossimità dei nervi, è data dall’utilizzo di un elettroneurostimolatore (fig.5), che inducendo piccole

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contrazioni muscolari (twiches) attraverso un ago conduttore, permette di individuare con precisione la branca nervosa che interessa l’area chirurgica.

In questo modo, il riscontro obiettivo e “non doloroso” del corretto posizionamento dell’ago ha reso i blocchi nervosi periferici altamente riproducibili, anche “in mani non particolarmente esperte”.

Tuttavia la grande variabilità anatomica individuale, l’esecuzione comunque “alla cieca” del blocco nervoso e il diverso grado di esperienza del medico esecutore, comportano una certa percentuale di insuccessi e un’incidenza, seppur modesta, di complicanze generalmente transitorie.

L’introduzione dell’ecografia ha portato un ulteriore contributo al perfezionamento e alla sicurezza dell’ anestesia periferica.

Mediante la guida ecografica oggi l’Anestesista può individuare e localizzare velocemente le strutture vascolari e nervose di pertinenza dell’area chirurgica ed effettuare la somministrazione dell’anestetico sotto visione diretta, in tempo reale, della sua distribuzione nei tessuti (fig.6).

(26)

L’utilizzo contemporaneo dell’elettroneurostimolazione accerterà la localizzazione visiva del nervo, azzerando la possibilità di errore e quindi l’insuccesso del blocco. Un’ulteriore vantaggio è la possibilità di “vedere” ecograficamente il posizionamento di un eventuale cateterino, in sede di blocco anestetico, per il mantenimento di un’analgesia post-operatoria.

L’utilizzo dei blocchi nervosi periferici per la chirurgia agli arti superiori e inferiori è quindi una pratica consolidata oramai da diversi anni.

L’estrema selettività del blocco periferico e il minimo dosaggio necessario di farmaco somministrato, hanno reso l’anestesia loco-regionale la tecnica più sicura, anche in funzione di una rapida ripresa funzionale post-chirurgica e di una dimissione precoce.

INNERVAZIONE DELLE AREE DI INTERSESSE CHIRURGICO E VISUALIZZAZIONE ECOGRAFICA

(27)

Nervo Femorale

Il nervo femorale (Fig.7) è il ramo principale del plesso lombare, fuoriesce dal muscolo psoas e decorre sotto il legamento inguinale ponendosi lateralmente all’arteria femorale, ricoperto dalla fascia iliaca da qui, si divide quasi subito in rami più profondi per l’innervazione del muscolo quadricipite, e in rami superficiali per il muscolo sartorio, pettineo e l’innervazione cutanea.

(28)

Visualizzazione Ecografica

Nervo Femorocutaneo Laterale

Il nervo femorocutaneo laterale (Fig.8) emerge da bordo laterale del del m. psoas subito al di sotto del m. ileoinguinale.

Decorre al di sotto della fascia iliaca ed al davanti del m. iliaco per emergere dalla fascia in un punto di poco mediale e caudale rispetto alla spina iliaca anteriore superiore.

Dopo essere passato al di sotto del legamento inguinale, incrocia od attraversa il m. sartorio alla sua origine e decorre al di sotto della fascia lata dove, ad una variabile distanza dal legamento inguinale, si divide in un ramo anteriore ed uno posteriore. Il ramo anteriore si distribuisce alla parte anterolaterale della coscia, mentre il ramo posteriore innerva la cute del grande trocantere fino alla metà della coscia.

(29)

fig.8

Visualizzazione Ecografica

(30)

Nostro Studio

OBIETTIVI DELLO STUDIO

Come già evidenziato nei capitoli precedenti, la frattura pertrocanterica di femore è un’evenienza che colpisce prevalentemente persone anziane in cui oltre alla normale

senescenza si associano uno o più stati patologici che vanno ad aggravare lo stato di salute e quindi il rischio operatorio, inoltre la sempre piu diffusa assunzione di farmaci anticoagulanti, antiaggreganti e l’avvento di nuove molecole come Dabigatran e Rivaroxaban, hanno reso necessario lo sviluppo di una valida tecnica anestesiologica alternativa all’anestesia subaracnoidea, nonché a quella generale, per ridurre così al minimo il rischio anestesiologico senza venir meno al “ confort ” del Paziente.

MATERIALI E METODI

Da Ottobre 2011 a Febbraio 2012 abbiamo svolto uno studio prospettico su pazienti operati per stabilizzazione di frattura pertrocanterica di femore.

Tutte le fratture sono state stabilizzate mediante l’utilizzo di Chiodo Gamma Corto o mediante Tre Viti Cannulate.

Abbiamo suddiviso i pazienti in due gruppi A e B a seconda della tecnica anestesiologica adottata:

(31)

- nel gruppo A sono stati inseriti tutti i pazienti sottoposti ad anestesia subaracnoidea; per tutte le procedure è stato utilizzato come anestetico locale la levobupivacaina 5% alla dose standard di 15 mg.

Abbiamo utilizzato per l’esecuzione della procedura un ago del 25 con introduttore ed è stata eseguita sul lato sano del paziente, mantenendo l’arto fratturato in trazione con l’aiuto dell’ortopedico.

Il livello dell’anestesia subaracnoidea è stato L2-L3 o L3-L4.

Abbiamo valutato la necessità di una premedicazione farmacologica e se necessario, di una sedazione intraoperatoria specificando dosaggio e tipologia. - nel gruppo B sono stati inseriti tutti i pazienti sottoposti ad ALR con blocco del

femorale e femorocutaneo laterale sotto guida ecografica; per l’esucuzione del blocco è stato utilizzato come anestetico locale la levobupivacaina 5% al dosaggio standard di 150 mg.

Alla miscela anestetica è stato aggiunto come adiuvante la Clonidina al dosaggio di 2γ/kg.

Abbiamo valutato la necessità di una premedicazione farmacologica ed intraoperatoriamente abbiamo effettuato una sedazione con Remifentanyl al dosaggio di 0,05-0,1γ/kg/min.

A tutti i pazienti è stato somministrato nel post-operatorio Perfalgan al dosaggio di 1gr x 4.

I parametri presi in considerazione prima, durante e dopo la procedura sono visibili nel format (vedi fig).

(32)

Tutti i parametri sono stati raccolti nell’immediato post-operatorio, a 3, 6 e 12 ore. Al termine della raccolta dati abbiamo formulato tre domande ai pazienti per verificare il “gradimento” del trattamento anestesiologico.

FORMAT

Nome e Cognome... Età...Peso...ASA...Data... Diagnosi e tipo di intervento...

Protocollo A

Anestesia sub aracnoidea selettiva Chirocaina subaranoidea mg:...

Farmaci Premedicazione: SI NO …...

Farmaci sedazione e dosaggio: SI NO …...

Protocollo B

Blocco N. Femorale e femorocutaneo laterale Chirocaina mg:...

Adiuvanti: Clonidina 2γ/Kg Premedicazione: SI NO

Farmaci Premedicazione:

…... Sedazione con Remifentanil (0,05-0,1 2γ/Kg/min)...

Onset time blocco (min):...

Inizio intervento:……… Fine intervento:……….

Analgesia postoperatoria:

Farmaci,dosaggi... ...

.Durata Blocco (ore):

(33)

Servizio del Dolore Acuto Postoperatorio

1. Si ritiene soddisfatto dell’assistenza ricevuta per il controllo del dolore postoperatorio?

Per niente Poco Molto

Moltissimo

2. Il controllo del dolore è stato :

Insoddisfacente Soddisfacente Buono Ottimo

3. Nell’eventualità di un altro intervento chirurgico richiederebbe lo stesso trattamento antalgico?

Si

No

Valutazioni: orari

RR Dopo 3h Dopo 6h Dopo12h

Dolore

Dolore Scala Numerica:

0=Assente,1=Lieve,2=Sopportabile,3=Forte,4=Insopportabile

VAS . 0 …... 10

VAS al movimento

Sedazione

( 0=No; 1=Si; 2=Dorme )

SaO2 (in aria)

P.A.

% rispetto alla media basale

F.C.

% rispetto alla media basale

Nausea/Vomito

(0=No; 1=Nausea occasionale; 2=Nausea costante; 3=Vomito)

Blocco motorio

(I=Muove liberamente gambe e piedi; 2=Flette le gambe e muove liberamente i piedi;

3=Non flette le gambe ma muove liberamente i piedi; 4= Incapacità di muovere gambe e piedi)

Blocco sensitivo

(I=Assenza blocco, 2=Parestesie, 3=presenza blocco)

Alimentazione

( 0=No; 1=idrica; 2=libera )

Complicazioni: Descrizione e trattamento

……… ………

(34)

RISULTATI

Da Ottobre 2011 a Febbraio 2012 sono stati sottoposti ad intervento chirurgico per frattura pertrocanterica di femore 50 pazienti.

Di questi 50 pazienti 41 sono stati stabilizzati mediante l’utilizzo del Chiodo Corto e i restanti 9 pz con le 3 Viti Canulate.

Gruppo A: sono stati sottoposti ad anestesia subaracnoidea 5 maschi e 20 femmine

con un età media di 82,84 aa ed un ASA medio di 2,82 (ASA 3 84%; ASA 2 16%). Con un dosaggio standard di Chirocaina 5% 15 mg abbiamo riscontrato un onset medio di 4,85 minuti.

La durata media dell’intervento chirurgico con 3 viti Cannulate è stato di 25,7 minuti, mentre la durata media dell’intervento con chiodo corto è stata di 54,4 min.

Intraoperatoriamente non abbiamo riscontrato stati ipotensivi degni di nota e quindi di trattamento; la media della pressione arteriosa, frequenza cardiaca e saturazione venosa è stata rispettivamente di 59,29 mmhg, 66,8 bpm e 95,52 SPO2 %.

Il 24% dei pazienti hanno ricevuto una sedazione preoperatoria con 1 mg di Midazolam e 50 γ di Fentanest.

Il 98% dei pazienti hanno potuto riprendere un’alimentazione libera al rientro in corsia.

Gruppo B: sono stati sottoposti ad anestesia loco-regionale periferica 6 maschi e 19

femmine con un età media di 83,80 aa ed un ASA medio di 2,84(ASA 4 4%; ASA 3 80%; ASA 2 16%).

(35)

La durata media dell’intervento chirurgico con 3 viti Cannulate è stato di 26,2 minuti, mentre la durata media dell’intervento con chiodo corto è stata di 53,6 min.

Con un dosaggio standard di Chirocaina 5% 150 mg e con la somministrazione di Clonidina come adiuvante (110 γ di media) abbiamo riscontrato un onset medio di 21,6 min.

Il 36% dei pazienti hanno ricevuto una sedazione preoperatoria con 1 mg di Midazolam e 50 γ di Fentanest.

Intraoperatoriamente abbiamo somministrato Remifentanyl in infusione continua ad un dosaggio totale medio di 158,52 γ.

Non abbiamo riscontrato stati ipotensivi degni di nota e quindi di trattamento; la media della pressione arteriosa, frequenza cardiaca e la saturazione venosa è stata rispettivamente di 56,29 mmhg, 64,6 bpm e 95,10 SPO2

Il 95% dei pazienti hanno potuto riprendere un’alimentazione libera al rientro in corsia.

L’andamento dei parametri presi in considerazione nel postoperatorio sono rappresentati nei grafici sottostanti.

Il confronto dei parametri presi in considerazione mediante Test T Student non ha dimostrato differenze statisticamente significative sia intraoperatoriamente che nel postoperatorio.

(36)

95,15 95,52 96,22 95,65 95,8 95,5 96,1 96,1 94,6 94,8 95 95,2 95,4 95,6 95,8 96 96,2 96,4 RR 3h 6h 12h

ANDAMENTO MEDIE SPO2

Gruppo A Gruppo B

ANDAMENTO MEDIE VAS A RIPOSO E VAS IN MOVIMENTO

0 0 0.44 0,61 0 0 0,72 0,88 0 0,5 1 1,5 2 VA S R IPO SO RR VA S R IPO SO 3 h VA S R IPO SO 6 h VA S R IPO SO 12 h VA S M O VIM ENTO RR VA S M O VIM ENTO 3h VA S M O VIM ENTO 6h VA S M O VIM ENTO 12 h Gruppo A Gruppo B

(37)

59,75 59,7 59,75 59,95 58,98 59,2 59,859,85 58 59 60

P.A. RR P.A. 3h P.A 6h P.A 12h

ANDAMENTO MEDIE P.A.

Gruppo A Gruppo B 66,868,64 65,75 69,95 65,98 69,2 66,8 69,85 40 45 50 55 60 65 70 F.C. RR F.C. 3h F.C. 6h F.C. 12h ANDAMENTO MEDIE F.C. Gruppo A Gruppo B

(38)

Conclusioni

Dalla Nostra esperienza il blocco del nervo femorale e del femorocutaneo laterale in combinazione con una sedazione con remifentanyl risultata essere una valida tecnica anestesiologica per il trattamento delle fratture pertrocanteriche di femore.

Non sono emerse differenze statisticamente significative tra il blocco centrale ed il blocco periferico, ma l’esecuzione del blocco periferico risulta essere di per sé più esente da complicazioni.

Inoltre il blocco periferico è stato possibile eseguirlo in urgenza in pazienti sotto trattamento anticoagulante e con patologie concomitanti importanti, diminuendo così il rischio anestesiologico senza venir meno al confort del paziente.

Si è dimostrata determinante l’infusione precoce di Remifentanyl (5-10 min prima della manovra di riduzione della frattura) ed un continuo aggiustamento dell’infusione in base ai diversi momenti chirurgici.

Inoltre l’esecuzione del blocco periferico sotto guida ecografica ci ha permesso di essere estremamente precisi, di non avere complicazioni legate alla procedura, di ridurre la quantità di anestetico locale e, riducendo l’amperaggio dell’elettroneurostimolatore a 0.5mA, migliorare il confort per il paziente.

Da non dimenticare che con la messa in commercio dei nuovi anticoagulati orali come Dabigatran e Rivaroxaban può essere fondamentale avere a disposizione una valida tecnica anestesiologica per poter trattare le fratture pertrocanteriche senza aumentare il tempo di attesa e quindi aumentare la percentuale di mortalità.

(39)

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Riferimenti

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