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L’uomo di Neandertal non era poi così diverso da noi

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«Il Libraio» 8 marzo 2018

L’uomo di Neandertal non era poi così diverso da noi

"Ora sappiamo che i neandertaliani non erano affatto dei bruti, ma degli uomini a tutti gli effet- ti. Però diversi da noi". Michele Luzzatto presenta l'uomo di Neandertal, protagonista di un in- contro a Tempo di Libri, con il saggio di Silvana Condemi e François Savatier Mio caro Nean- dertal. Trecentomila anni di storia dei nostri fratelli

Michele Luzzatto

C’è un motivo banale per cui l’uomo si è sempre considerato una specie così particolare nel mondo, ed è che siamo soli sulla Terra. Siamo tanto soli, siamo unici, non c’è nessuno con cui parlare e scambiare due idee. La specie più simile a noi, lo scimpanzé, mostra in effetti alcune inquietanti somiglianze con gli umani, ma non si può negare che sia tutta un’altra cosa: è pelo- so, non parla e, insomma, è a tutti gli effetti un animale e non un uomo.

Le conseguenze di questo stato di cose sono forse alla base di molta parte del pensiero umano.

Se si pensa in questi termini, persino il racconto della Genesi acquista una sfumatura nuova.

Adamo che nomina le creature, l’Arca di Noè, sono tutti miti che rimarcano il fatto che noi, noi esseri umani, abbiamo qualcosa di più del resto del mondo vivente e nessuno può davvero competere con le nostre facoltà: abbiamo un posto speciale nell’ordine del mondo e ci sentia- mo investiti (chi con umiltà, chi con spocchia, dipende) di questo ruolo di creature superiori.

Per secoli la fantascienza ha fantasticato di esseri intelligenti provenienti dallo spazio, creature di altri pianeti che, se arrivassero sulla Terra, potrebbero scalzarci dal trono sul quale siamo seduti. Ma mentre cercavamo timorosi tra le stelle i segni di civiltà intelligenti, abbiamo trala- sciato di cercare in casa nostra. Vuoi per arroganza, vuoi per abitudine, per secoli ci siamo ri- fiutati di credere che in passato le cose non stessero come appaiono oggi. E non nel passato remoto, bensì in quello tutto sommato recente.

Proprio in Europa, proprio a casa nostra, nella culla della civiltà occidentale (la più spocchiosa, forse, tra quelle umane), alcune decine di migliaia di anni fa viveva una specie umana alterna- tiva alla nostra, mentre noi eravamo ancora in Africa e iniziavamo appena il nostro lento e ine- sorabile cammino di conquista del mondo. L’uomo di Neandertal, che per tanto tempo abbiamo considerato un bruto, il nostro progenitore imperfetto, non ancora civilizzato, si è dimostrato essere tutt’altro. Dopo decenni di ritrovamenti fossili e di studi sempre più avanzati, ora sap- piamo che i neandertaliani non erano affatto dei bruti, ma degli uomini a tutti gli effetti. Però diversi da noi. Un’altra specie umana, con la quale abbiamo convissuto a lungo, con la quale ci siamo persino incrociati, abbiamo avuto dei figli, abbiamo scambiato informazioni, arte, lin- guaggio (pare).

I primi sapiens che osarono penetrare nelle gelate lande europee, in pratica, vi trovarono chi ci abitava già da tempo immemore, e non era un animale, ma un altro tipo di uomo. Si annusa- rono, si studiarono, in qualche modo vennero a patti. Poi i neandertaliani si estinsero (no, niente guerra di sterminio, non sembra proprio che sia andata così) e noi ne perdemmo la memoria, benché noi, gli europei, siamo anche figli loro e portiamo dentro un discreto pezzo del loro DNA. È questa forse la cosa più sbalorditiva dei neandertaliani: vivono in noi, ma noi non ne abbiamo trattenuto memoria, fino a pochissimo tempo fa, quando la biologia molecola- re e la paleontologia hanno svelato questa storia incredibile. Smemorati, iniziammo di nuovo a considerarci unici e soli, tanto soli, tanto da credere di essere stati creati in maniera speciale.

Per approfondire e immergersi nel mondo alternativo dell’uomo di Neandertal c’è il saggio di Silvana Condemi e François Savatier Mio caro Neandertal. Trecentomila anni di storia dei nostri fratelli (Bollati Boringhieri).

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