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Valutazione dello Spettro dei Disturbi del Comportamento Alimentare in pazienti ricoverati presso il Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura (SPDC) dell'Ospedale S.Chiara di Pisa

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Academic year: 2021

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Introduzione

In seguito all’apertura del Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura (SPDC) Pisano, al rafforzamento di presidi alternativi e complementari al ricovero (centri diurni, centri residenziali, day service etc ) e alla conseguente maggiore integrazione tra territorio e reparto, il numero complessivo dei posti letto per Pisa e provincia si è ridotto, alzandosi così la soglia di accettazione dei ricoveri, destinati sempre più spesso a pazienti con livelli di gravità psicopatologica molto elevati. Nonostante questo, nella valutazione diagnostica dei pazienti in questo SPDC, viene posta molta attenzione oltre che alla dimensione categoriale anche ai sintomi di spettro, considerati elementi

imprescindibili per un corretta risposta terapeutica.

La mantenuta attenzione verso i sintomi di spettro è inoltre in sintonia con il passaggio dal DSM IV-Tr al DSM 5, dove si integra il sistema categoriale con un approccio dimensionale, potenziando il concetto di spettro, tramite l’individuazione di cluster di sintomi. Durante il mio tirocinio presso questo reparto, ho per questo maturato l’interesse verso le manifestazioni parziali, atipiche ed attenuate, in sostanza verso tutte le condizioni psicopatologiche “sottosoglia” che pongono l’individuo in un contesto diagnostico più ampio che va al di là di una semplice “etichetta diagnostica”, cogliendo così più elementi psicopatologici potenzialmente

sensibili a più risposte terapeutiche.

Ho deciso così di concretizzare la ricerca dei sintomi di spettro con la somministrazione del questionario per l’individuazione dei sintomi di spettro dei disturbi della condotta alimentare ( SCI-ABS). Ho scelto in particolare lo spettro dei disturbi della condotta alimentare perché sono di mio particolare interesse in quanto sono disturbi sempre più diffusi, in considerevole e costante aumento nel mondo occidentale e presenti in comorbidità con molte malattie psichiatriche come i disturbi dell’umore, il disturbo ossessivo-compulsivo, i disturbi d’ansia e quelli da abuso di sostanze. La presenza di caratteristiche dello spettro anoressico-bulimico in pazienti con altri disturbi mentali interferisce con la presentazione clinica, la risposta al trattamento e con la prognosi.

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2 Ho somministrato così l’Intervista Clinica Strutturata per la valutazione dello Spettro dei DCA (SCI-ABS) a 53 pazienti ricoverati presso il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) presso l’Ospedale S. Chiara di Pisa con lo scopo di valutare l’eventuale presenza ed entità dei sintomi dello spettro dei disturbi della condotta alimentare in questa popolazione di pazienti.

La valutazione dello spettro in questo reparto non è stata facile, soprattutto per la compromissione psicopatologica di questi pazienti che ha influito sulla lunghezza della somministrazione dei questionari.

La somministrazione dello SCI-ABS infatti si è protratta per 5 mesi perché soltanto alcuni pazienti sono stati in grado di rispondere con attendibilità alle domande del questionario.

L’identificazione dei sintomi di spettro, ed in questo caso dei disturbi della condotta alimentare, è quindi importante perché la sua presenza può costituire un fattore prognostico negativo, evolvere in un disturbo di Asse I, complicare il decorso del disturbo conclamato, o comunque facilitare l’individuazione di una strategia terapeutica più appropriata. Infatti attraverso l’individuazione dei sintomi di spettro in pazienti che presentano tratti dismorfofobici e/o paure di aumentare di peso, e che siano in grado di effettuare una psicoterapia, può migliorare la compliance al trattamento farmacologico associando ad esso un sostegno psicologico mirato.

1. Psicopatologia dei disturbi del comportamento alimentare

Al di là dei criteri diagnostici, la caratteristica centrale dei DCA è l’eccessiva importanza attribuita all’alimentazione, al peso, all’immagine corporea e al loro controllo nella valutazione di sé. Infatti, mentre la maggior parte delle persone si percepisce e si valuta in base alle prestazioni nei vari domini della sua vita (ad esempio, la qualità delle relazioni, dei risultati lavorativi e sportivi), quelle con disturbi dell’alimentazione giudicano il loro valore quasi esclusivamente in termini di

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3 alimentazione, peso, forma del corpo e loro controllo. Questi soggetti si pesano frequentemente e si preoccupano per le minime variazioni di peso, altre invece evitano totalmente di pesarsi e mantengono la paura nei confronti del peso. Inoltre non sono inusuali i comportamenti di body checking (esempio scrutinare parti del corpo allo specchio, prendere in mano le pieghe del grasso, misurare parti del corpo, confrontare il proprio corpo con quello di altre persone) che testimoniano

la forte preoccupazione per la forma stessa del corpo.

Una parte centrale della patologia si manifesta con un forte disprezzo nei confronti del proprio corpo espressa attraverso l’evitare di guardarlo o di esporre parti di esso alla vista degli altri. Altre espressioni sono il sentirsi grasso, gonfio e pieno, la continua ricerca della magrezza e la paura di ingrassare che non diminuisce con la perdita di peso. La restrizione dietetica e calorica estremamente rigida provoca spesso una situazione di sottopeso con la conseguente comparsa di sintomi di denutrizione. In molti casi proprio perché le regole imposte sono estreme e rigide portano al verificarsi di episodi bulimici che, anche se seguiti da comportamenti di compenso, ad esempio il vomito auto-indotto, mantengono una situazione di bilancio energetico in pareggio. Questa situazione, chiamata restrizione dietetica cognitiva è tipica delle persone che non sono sottopeso ma che comunque presentano un disturbo alimentare.

1.1. I disturbi del comportamento alimentare (DCA)

I disturbi dell’alimentazione (DCA) possono essere definiti come “un persistente disturbo dell’alimentazione oppure comportamenti inerenti l’alimentazione che hanno come risultato un alterato consumo o assorbimento di cibo e che compromettono significativamente la salute fisica o

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4 I disturbi principali sono di tre tipi: Anoressia nervosa, Bulimia Nervosa e Disturbo da alimentazione incontrollata (Binge Eating Disorders).

1.1.1. Anoressia Nervosa (AN)

Per effettuare una diagnosi di Anoressia Nervosa (AN), il DSM V richiede che siano presenti i seguenti criteri diagnostici:

A. Restrizione dell’assunzione di calorie in relazione alle necessità, che porta a un peso corporeo significativamente basso nel contesto di età, sesso, traiettoria di sviluppo e salute fisica. Il peso corporeo significativamente basso è definito come un peso inferiore al minimo normale oppure, per bambini e adolescenti, meno di quello minimo atteso.

B. Intensa paura di aumentare di peso o di diventare grassi, oppure un comportamento persistente che interferisce con l’aumento di peso, anche se significativamente basso.

C. Alterazione del modo in cui viene vissuto dall’individuo il peso o la forma del proprio corpo, eccessiva influenza del peso o della forma del corpo sui livelli di autostima, oppure persistente mancanza di riconoscimento della gravità dell’attuale condizione di sottopeso.

Sottotipi:

Tipo con restrizioni: Durante gli ultimi 3 mesi, l’individuo non ha presentato ricorrenti episodi di abbuffate o condotte di eliminazione (per es., vomito autoindotto o uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi). In questo sottotipo la perdita di peso è ottenuta principalmente attraverso la dieta, il digiuno e/o l’attività fisica eccessiva.

Tipo con abbuffate/condotte di eliminazione: Durante gli ultimi 3 mesi, l’individuo ha presentato ricorrenti episodi di abbuffata o condotte di eliminazione (cioè, vomito autoindotto o uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi).

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5 I quadri possono essere:

 In remissione parziale: Successivamente alla precedente piena soddisfazione dei criteri per l’anoressia nervosa, il Criterio A (basso peso corporeo) non è stato soddisfatto per un consistente periodo di tempo, ma sia il Criterio B (intensa paura di aumentare di peso o diventare grassi o comportamenti che interferiscono con l’aumento di peso) sia il Criterio C (alterazioni della percezione di sé relativa al peso e alla forma del corpo) sono ancora soddisfatti.

 In remissione completa: Successivamente alla precedente piena soddisfazione dei criteri per l’anoressia nervosa, non è stato soddisfatto nessuno dei criteri per un consistente periodo di tempo.

In base alla gravità del disturbo si identificano tre condizioni:

 Lieve: Indice di massa corporea ≥ 17 kg/m2

 Moderato: Indice di massa corporea 16-16,99 kg/m2

 Grave: Indice di massa corporea 15-15,99 kg/m2

 Estremo: Indice di massa corporea < 15 kg/m2

1.1.2. Bulimia Nervosa (BN)

Per effettuare diagnosi di Bulimia Nervosa (BN), il DSM-5 richiede che siano presenti i seguenti criteri diagnostici:

1. Ricorrenti episodi di abbuffata. Un episodio di abbuffata è caratterizzato da entrambi i seguenti aspetti :

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6 A. Mangiare, in un determinato periodo di tempo (per es., un periodo di due ore), una quantità di cibo significativamente maggiore di quella che la maggior parte degli individui mangerebbe nello stesso tempo e in circostanze simili.

B. Sensazione di perdere il controllo durante l’episodio (per es., sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o a controllare cosa o quanto si sta mangiando).

2. Ricorrenti ed inappropriate condotte compensatorie per prevenire l’aumento di peso, come vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici o altri farmaci, digiuno o attività fisica eccessiva.

3. Le abbuffate e le condotte compensatorie inappropriate si verificano entrambe in media almeno una volta alla settimana per 3 mesi.

4. I livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla forma e dal peso del corpo.

5. L’alterazione non si manifesta esclusivamente nel corso di episodi di anoressia nervosa.

I quadri possono essere:

 In remissione parziale: Successivamente alla precedente piena soddisfazione dei criteri per la bulimia nervosa, alcuni, ma non tutti, i criteri sono stati soddisfatti per un consistente periodo di tempo.

 In remissione completa: Successivamente alla precedente piena soddisfazione dei criteri per la bulimia nervosa, nessuno dei criteri è stato soddisfatto per un un consistente periodo di tempo.

In base alla gravità del disturbo si identificano tre condizioni:

 Lieve: Una media di 1-3 episodi di condotte compensatorie inappropriate per settimana.  Moderato: Una media di 4-7 episodi di condotte compensatorie inappropriate per settimana.

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7  Grave: Una media di 8-13 episodi di condotte compensatorie inappropriate per settimana.  Estremo: Una media di 14 o più episodi di condotte compensatorie inappropriate per

settimana.

1.1.3. Binge Eating Disorders

Per il Binge Eating Disorder (BED), o in italiano Disturbo da Alimentazione Incontrollata (DAI), i criteri del DSM-5 sono i seguenti:

1. Ricorrenti episodi di abbuffate. Un episodio di abbuffata è caratterizzato da entrambi gli aspetti seguenti:

A. Mangiare, in un periodo definito di tempo (per es., un periodo di due ore) una quantità di cibo significativamente maggiore di quella che la maggior parte degli individui mangerebbe nello stesso tempo ed in circostanze simili.

B. Sensazione di perdere il controllo durante l’episodio (per es., sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o a controllare cosa o quanto si sta mangiando).

2. Gli episodi di abbuffata sono associati a tre (o più) dei seguenti aspetti:

A. Mangiare molto più rapidamente del normale.

B. Mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni.

C. Mangiare grandi quantità di cibo anche se non ci si sente fisicamente affamati.

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8 E. Sentirsi disgustati verso se stessi, depressi o assai in colpa dopo l’episodio.

3. È presente un marcato disagio riguardo alle abbuffate.

4. L’abbuffata si verifica, in media, almeno una volta alla settimana per 3 mesi.

5. L’abbuffata non è associata alla messa in atto sistematica di condotte compensatorie inappropriate come nella bulimia nervosa, e non si verifica esclusivamente in corso di bulimia nervosa o anoressia nervosa.

I quadri possono essere:

 In remissione parziale: Successivamente alla precedente piena soddisfazione dei criteri per il disturbo da binge-eating, gli episodi di abbuffata si verificano con una frequenza media di meno di un episodio a settimana per un consistente periodo di tempo.

 In remissione completa: Successivamente alla precedente piena soddisfazione dei criteri per il disturbo da binge-eating, nessuno dei criteri è stato soddisfatto per un consistente periodo di tempo.

In base alla severità del disturbo e quindi al numero di abbuffate a settimana si identificano tre condizioni:

 Lieve: Da 1 a 3 episodi di abbuffata a settimana.  Moderata: Da 4 a 7 episodi di abbuffata a settimana.  Severa: Da 8 a 13 episodi di abbuffata a settimana.  Estrema: 14 o più episodi di abbuffata a settimana

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2. Il concetto di Spettro

Il modello di spettro in psicopatologia prende in considerazione,altre ai sintomi tipici di ciascun disturbo, anche i cosiddetti sintomi atipici e le manifestazioni della vita quotidiana che non arrivano a soddisfare la soglia stabilita per la diagnosi categoriale.

Lo Spectrum Collaborative Project ("The spectrum assessment,") nasce come un progetto

internazionale che ha coinvolto medici e ricercatori da Italia e Stati Uniti (Liliana Dell’Osso, Mario Maj, M.D. Andrea Fagiolini, Katherine Shear, Mauro Mauri, Gabriele Massimetti, Claudia

Carmassi, Susanna Banti, Mario Miniati, Antonella Benvenuti, Camilla Gesi).

Il progetto originale era basato sull'osservazione di Giovanni Cassano che mise in evidenza come in molti dei disturbi classificati nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) vi sia una gamma di caratteristiche cliniche che anche se non incluse nei criteri diagnostici avrebbero potuto avere implicazioni importanti per la clinica e la ricerca. Uno degli obiettivi principali del progetto è stato quello di sviluppare e testare strumenti tra cui interviste strutturate e questionari self-report per la valutazione dello spettro di caratteristiche cliniche associate con i più importanti disturbi mentali. .

Il concetto di spettro ha evidenziato fin dall'inizio importanti implicazioni per quanto riguarda il decorso della malattia, l’aderenza e la risposta al trattamento in seguito alla rilevazione di sintomi atipici, isolati e di condizioni sotto-soglia. I sintomi di spettro possono essere prodromi, precursori, costituire conseguenze, coesistere con il disturbo conclamato o in comorbidità con altri disturbi.

Nel corso degli ultimi anni c'è stato un grande interesse per la classificazione dei disturbi mentali. I criteri diagnostici sono stati sviluppati e descritti nei sistemi internazionali di

classificazione ufficiali, vale a dire il Manuale Diagnostico e Statistico (DSM), e Research

Diagnostic Criteria (RDC). L'adozione di un linguaggio comune ha prodotto notevoli progressi in termini di affidabilità diagnostica. Tuttavia, questi sistemi non sempre riescono a catturare la

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10 complessità della realtà clinica che emerge quando si considera la comorbidità o quando i sintomi sono esaminati con un approccio dimensionale. L'opzione offerta dalle categorie ufficiali non rispecchia del tutto la complessità della realtà clinica, in quanto spesso le categorie diagnostiche forniscono una caratterizzazione utile, ma incompleta della psicopatologia. Alcuni soggetti possono sperimentare un sostanziale impedimento solo a causa di sintomi isolati o di manifestazioni sotto soglia che stanno intorno alle principali caratteristiche cliniche dei disturbi. Inoltre, l'attuale sistema di classificazione non tiene conto del continuum tra i sintomi che definiscono i criteri di un

disturbo e la sua fase prodromica, gli eventuali sintomi residui, atipici, o subclinici ("The spectrum assessment,").

L’impatto di questo concetto è stato tale che il DSM-5 è stata arricchito dallo spettro che compare accanto alle diagnosi categoriali per meglio qualificarle, al fine di generare un migliore inquadramento diagnostico, fondamentale per la scelta terapeutica.

Inoltre l'implementazione di categorie del DSM con le categorie “non altrimenti specificato’’ tenta di dare un significato clinico alle manifestazioni atipiche e sotto-soglia dei disturbi mentali (The Spectrum Project).

Il modello di spettro esplora i sintomi "core" del disturbo e le caratteristiche ad essi associate, nonché la vasta gamma di sintomi che circondano le caratteristiche tipiche di disturbi mentali, in un formato unitario. I risultati suggeriscono che il concetto di spettro è in grado di offrire ai medici una valutazione più significativa della psicopatologia rispetto alle misure stabilite riguardo alla gravità dei disturbi mentali ("The spectrum assessment,").

Esistono strumenti che valutano lo spettro di numerosi disturbi mentali tra cui il disturbo dell’umore (MOODS), panico agorafobico (PAS), fobia sociale (SHY), disturbo ossessivo-compulsivo (OBS), disturbo del comportamento alimentare(ABS), psicosi (PSY), ansia di separazione (SAS) disturbo d’ansia generalizzata (WORRY), uso di sostanze (Sub),

depersonalizzazione - derealizzazione (DER), trauma e la perdita (TAL), adulto autistico (ADAS) (Rucci & Maser, 2000).

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Molti strumenti sono stati sviluppati come interviste cliniche strutturate e poi convertiti in un formato self-report. Gli strumenti di spettro sono utili per aiutare gli operatori sanitari a comprendere meglio i pazienti, che si sentono compresi a loro volta, sono quindi strumenti funzionali sia per il medico che per il paziente in quanto attraverso di essi gli operatori hanno l’opportunità di distinguere eventuali sintomi di malattie fisiche che possono essere espressioni di disturbi mentali o emotivi. Inoltre questi strumenti sono facili da completare, nonché semplici per quanto riguarda l’attribuzione dei punteggi e la loro interpretazione. Sono inoltre molto flessibili, capaci di valutare i sintomi per tutta la durata, il mese o la settimana precedente, pertanto sono utili nelle fasi iniziali di pianificazione del trattamento, nonché per effettuare una prognosi e quindi predire gli esiti clinici ("The spectrum assessment,").

2.2. Lo spettro dei disturbi della condotta alimentare

I disturbi del comportamento alimentare (DCA) presentano una caratterizzazione eterogenea con alla base l’eccessiva influenza sui livelli di autostima esercitata dal peso e dalle forme corporee, ciò può comportare non solo un deterioramento dal punto di vista fisico ma anche importanti ed elevati livelli di sofferenza soggettiva.

L’espressione clinica dei DCA si situa lungo un continuum di gravità, i casi che giungono all’osservazione dello specialista rappresentano probabilmente la punta di un icerberg di una situazione molto più estesa.

Spesso i DCA vengono diagnosticati in fase conclamata ma numerosi sono i casi di forme

sottosoglia: frequentemente tratti e sintomi del disturbo alimentare potrebbero rappresentare fattori di vulnerabilità per lo sviluppo di un disturbo conclamato o costituire residui di un disturbo

precedente.

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12 numero di soggetti che non soddisfano i criteri diagnostici per un DCA, infatti un soggetto potrebbe esibire sintomi psicopatologici sotto-soglia o forme atipiche riguardo a certi comportamenti legati al cibo e all’alimentazione (Mauri et al., 2002).

Per questo motivo è sorta la necessità di costruire uno strumento specifico al fine di rilevare o di diagnosticare la fenomenologia dello “spettro” dei Disturbi del Comportamento Alimentare tra i soggetti che non sono soddisfano a pieno i criteri del DSM o dell’ICD, in quanto spesso nella realtà clinica potrebbero emergere differenze tra la nosografia e la presentazione psicopatologica e questo potrebbe limitare la comprensione del paziente nella sua totalità.

Nonostante, come verrà descritto in seguito, dalla revisione della letteratura emerge in larga misura la presenza di numerose psicopatologie in comorbidità con i DCA, la realtà clinica evidenzia come la polarizzazione sulla forma fisica, sul peso corporeo e sul cibo siano molto più diffuse e come questi aspetti possano influenzare negativamente l’aderenza al trattamento psicofarmacologico o essere slatentizzati dal trattamento stesso (Mauri, et al., 2002).

Nello studio di Mauri e collaboratori si afferma che l’Intervista Clinica Strutturata per lo Spettro Anoressico-Bulimico è stata sviluppata e validata in collaborazione con il Western Psychiatric Institute and Clinic della Università di Pittsburgh (WPIC, PA), ed in seguito è stata adottato in una vasta ricerca che ha coinvolto 27 centri italiani in cui sono stati valutati 372 soggetti. I risultati di questo studio multicentrico, oltre a confermare il potere discriminante dello SCI-ABS, hanno permesso di evidenziare come sia presente un’importante fenomenica riconducibile allo spettro Anoressico-Bulimico anche nel gruppo dei soggetti con Disturbi dell’Umore, superiore a quella dei soggetti di controllo. Questo risultato va al di là dei dati della letteratura che, come illustrerò successivamente, seppur numerosi per quanto concerne la concomitanza di problematiche della sfera affettiva tra i soggetti con DCA, sono tutt’oggi scarsi relativamente alla presenza della sintomatologia anoressico-bulimica nei Disturbi dell’Umore.

Nella SCI-ABS viene indagata la presenza durante il corso della vita di atteggiamenti e credenze riguardo al peso e alle forme corporee, la storia del peso, la soddisfazione per il corpo e l’aspetto

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13 fisico, la presenza di paure e comportamenti di evitamento e compulsivi, di discontrollo alimentare, il mantenimento del peso nel corso del tempo, il grado di imparment e di insight , nonché le

conseguenze dei diversi comportamenti utilizzati e dei pensieri sulla vita quotidiana.

La SCI-ABS differisce dagli altri questionari che vengono comunemente utilizzati per i DCA poiché indaga non solo i sintomi tipici, ma anche la sintomatologia atipica, lieve e sottosoglia ed il suo impatto sugli aspetti comuni della vita quotidiana, con particolare attenzione alla

compromissione sociale.

Dallo studio precedentemente citato, emerge pertanto che i Disturbi del Comportamento Alimentare sono patologie complesse e multiformi e che l’utilizzo di strumenti in grado di rilevare una

sintomatologia di spettro, e quindi sottosoglia, dovrebbe necessariamente a far parte della

valutazione diagnostica che rilevando questo genere di componenti potrebbe essere più efficace e funzionale (Mauri, et al., 2002).

2.3. Lo spettro della condotta alimentare nei pazienti affetti da patologie

psichiatriche

Diversi studi dimostrano come i DCA siano spesso associati al Disturbo Bipolare (DB). Gli studi epidemiologici sulla prevalenza nella popolazione generale del DB (Bijl, Ravelli, & van Zessen, 1998; Judd & Akiskal, 2003) e dei DCA (Bijl, et al., 1998; Fairburn & Harrison, 2003; Spitzer et al., 1993) indicano che entrambi sono comuni, in particolare quando vengono esplorate le forme

attenuate e quelle subsindromiche.

Tuttavia numerosi studi hanno dimostrato che, sia nell’ambito del DB che dei DCA, i pazienti con forme subsindromiche spesso sono altrettanto compromessi rispetto a quelli con quadri più gravi (Angst, 1998; Judd & Akiskal, 2003; MacQueen et al., 2003). Per questo motivo insieme agli studi che usano criteri restrittivi sarebbe importante tenere in considerazione anche quelli che utilizzano

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14 criteri allargati e di spettro (McElroy, Kotwal, & Keck, 2006). Fogarty e collaboratori nell’esaminate la prevalenza dell’Anoressia Nervosa (AN) in 3.258 studenti universitari da 18 anni in poi, riportano che non è stata osservata alcuna comorbidità nei soggetti con almeno un episodio di mania durante il corso della vita, né in quelli che avevano sofferto di depressione, però non sono stati valutati lo spettro bipolare né altri tipi di DCA (Fogarty, Russell, Newman, & Bland, 1994). In uno studio di Lewinsohn e colleghi vengono esaminati i dati relativi a 891 studenti delle scuole medie superiori, utilizzando i criteri del DSM-IV per la diagnosi di DCA e del DSM-III-R per quella del DB considerando anche le forme sottosoglia (Lewinsohn, Striegel-Moore, & Seeley, 2000). In questo studio i soggetti che soddisfacevano i criteri per i DCA avevano una incidenza di malattia maniaco depressiva comparabile al gruppo senza DCA rispetto a quelli con sintomi sottosoglia, tuttavia in entrambi i casi la presenza dei sintomi dello spettro bipolare era molto elevata (21,7 e 26,3% rispettivamente) (Lewinsohn, et al., 2000). Wittchen et al., nel valutare 3021 individui fra adolescenti e giovani adulti, riportano una prevalenza aumentata di DCA nei soggetti con ipomania o con depressione maggiore, ma non in quelli con mania (Wittchen, Mhlig, & Pezawas, 2003). Angst e collaboratori in uno studio riportano che in 4547 soggetti provenienti dalla popolazione generale è presente una prevalenza elevata di Binge Eating Disorders in tutti i sottotipi di ipomania, in particolare il tasso maggiore è stato rilevato nella ipomania breve e ricorrente (22%)

(Angst, 1998).

Queste indagini confermano che le forme bipolari di tipo II attenuate e quelle di tipo ciclotimico sembrano avere ampi margini di associazione con i DCA, sia nella forma conclamata che in quella subsindromica. L’ipomania in particolare si presenta spesso associata a comportamenti alimentari caratterizzati da episodi di abbuffate (binge eating). Strakowski e colleghi. hanno valutato 41 donne bipolari al primo episodio maniacale e hanno trovato che il 7,3% soffriva di BN (Strakowski, Tohen, Stoll, Faedda, & Goodwin, 1992). In uno studio successivo dello stesso autore condotto su 60 pazienti, la percentuale di soggetti affetti anche da BN era del 6,6% (Strakowski, et al., 1992). Vieta e collaboratori, hanno evidenziato che il 2,3% di 162 pazienti bipolari in cure ambulatoriali

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15 soffriva anche di BN. In questo studio viene però considerato il disturbo conclamato e non i sintomi

di spettro (Vieta et al., 2001).

Nell’unico studio sul BED, Krüger et al. hanno valutato 61 soggetti bipolari di tipo I e II in fase eutimica ed hanno rilevato che il 13% dei soggetti era affetto anche da BED, il 37,7% presentava abbuffate ricorrenti ed il 25% circa soffriva di un BED subsindromico; infine 10 soggetti presentavano abbuffate notturne (Kruger, Shugar, & Cooke, 1996).

In generale si conferma che il disturbo bipolare II e le forme subsindromiche dei disturbi dell’umore sono quelle che presentano il tasso più alto di comorbidità con l’AN e la BN, mania e depressione sono associati ad anoressia e perdita di peso (Cassidy, Flanagan, Spellman, & Cohen, 1957; McElroy, et al., 2006), allo stesso tempo la depressione atipica è accompagnata da iperfagia, riduzione del senso di sazietà ed incremento ponderale (Angst, Gamma, Sellaro, Zhang, & Merikangas, 2002; Levitan, Kaplan, Levitt, & Joffe, 1994), mentre numerosi pazienti con DB sono sovrappeso ed obesi (Elmslie, Silverstone, Mann, Williams, & Romans, 2000; Keck & McElroy, 2003). McElroy e collaboratori, accomunano l’alternanza di digiuno e abbuffate con l’alternanza di stati affettivi di opposta polarità, tipica delle forme bipolari II, e ciò è in relazione con la presenza di abbuffate, paura di ingrassare, disforia, impulsività e compulsività tipica dei DCA (McElroy, et

al., 2006).

Pertanto in conclusione ciò che emerge dalla lettura è che il disturbo bipolare II e le forme subsindromiche dei disturbi dell’ umore sono quelle che presentano il tasso più alto di comorbidità con l’AN e la BN, il BED invece può essere associato sia al DB I che al DB II.

2.4. Spettro della condotta alimentare nella popolazione generale

Diversi studi evidenziano la presenza di un disturbo alimentare conclamato o sottosoglia anche nella popolazione generale. Nel corso della vita, le donne che sperimentano un disturbo alimentare sono lo 0,9 %

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16 per quanto riguarda l'anoressia nervosa, l’1,5 % per la bulimia nervosa e il 3,5 % delle donne dovrà far fronte alla presenza di abbuffate. Gli uomini sviluppano l’anoressia nervosa nel 3% dei casi, lo 0,5% degli uomini bulimia nervosa, mentre il 2 % soffre di Binge Eating Disorder ("Eating Disorder Statistics & Research,").

L'Istituto Nazionale di Salute Mentale riporta che il 2,7% degli adolescenti in un’ età compresa tra 13 e 18 anni lotta con un disturbo alimentare. Tra gli adolescenti, il 50% delle ragazze e il 30% dei ragazzi utilizzano comportamenti non salutari per controllare il peso, come saltare i pasti, digiunare, fumare sigarette, presentano vomito autoindotto e uso di lassativi ("Eating Disorder Statistics & Research,"). Il 46% di individui tra i 9 e gli 11 anni molto spesso sono a dieta e nell'82% lo sono anche le loro famiglie

(Gustafson-Larson & Terry, 1992).

Dalle statistiche sulla prevalenza dei DCA emerge che il 91% delle donne recentemente intervistate in un campus universitario riporta di aver tentato di controllare il peso attraverso la dieta mentre il 22% conferma di essere stato spesso a dieta o di esserlo sempre. Tra le donne in età universitaria il 25% compie abbuffate e utilizza condotte di eliminazione come metodo per controllare il peso ("Eating Disorder Statistics & Research,").

Per quanto riguarda gli atleti risulta che una percentuale del 13,5% ha un disturbo alimentare a livello subclinico, mentre il 42% delle atlete in competizione nello sport in cui l’estetica riveste un ruolo importante mostrano comportamenti alimentari disordinati (Sundgot-Borgen & Torstveit,

2004). .

In generale il 95% di tutte le persone a dieta riacquisterà il peso perso in un periodo che va da 1 a 5 anni. (Grodstein et al., 1996). Il dato rilevante è che il 35% delle persone che si sottopongono ad una dieta normale progressivamente ha probabilità di andare verso il versante patologico. Di queste, il 20-25% svilupperà un disturbo alimentare parziale o completo. Un ulteriore dato importante è che il 25% degli uomini americani e il 45% delle donne sono a dieta ogni giorno

(Shisslak, Crago, & Estes, 1995).

Uno studio sullo spettro dei disturbi alimentari nelle giovani donne è stato condotto da Favaro e colleghi con l’obiettivo di valutare la prevalenza e le caratteristiche dello spettro dei disordini

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17 alimentari in un campione rappresentativo di giovani donne. Nel presente studio sono stati coinvolti soggetti di sesso femminile, di età compresa tra i 18 e i 25 anni, che risiedevano in due aree (urbane e suburbane) di una grande città. Tutte le donne (n = 934) sono state sottoposte ad un colloquio clinico strutturato secondo il DSM-IV. Dallo studio è emerso che nel corso della vita l’anoressia nervosa (AN) e la bulimia nervosa (BN) sono state diagnosticate rispettivamente nel 2% e nel 4,6% dei soggetti. La prevalenza durante il corso della vita di disturbi del comportamento alimentare atipici è risultata del 4,7%, mentre quella del Binge Eating Disorder (BED) è stata dello 0,6%

(Favaro, Ferrara, & Santonastaso, 2003).

Dagli studi emerge che il grado di urbanizzazione ha un impatto significativo sulla prevalenza di AN, BN, e BED. La classe sociale, lo status professionale e l'istruzione non sono stati associati ad un aumentato rischio di riportare un disturbo alimentare, mentre fattori associati in modo significativo al disturbo sono il numero di diete ipocaloriche effettuate, l’essere stato vittima di un abuso infantile, e, nel caso della bulimia nervosa, l’essere stato sovrappeso nel corso della vita. I risultati ottenuti sottolineano l'importanza di ulteriori studi per migliorare le conoscenze sui fattori che hanno un’ influenza sulla patogenesi del disturbo, sulle modalità più efficaci di trattamento e i possibili outcomes (Favaro, et al., 2003).

3. Comorbidità dei disturbi della condotta alimentare

I disturbi alimentari sono psicopatologie multifattoriali che coinvolgono fattori fisici, psicologici, culturali e sociali e che spesso presentano ulteriori complicazioni dovute alla presenza di un alto

tasso di comorbidità.

Klerman definisce la comorbidità come la presenza, nello stesso momento, di due o più disturbi, mentre in senso più esteso indica, con tale termine, la presenza di due o più disturbi nel corso della vita di un individuo (Klerman, 1990). Questo termine indica quindi la presenza contemporanea di

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18 patologie diverse in uno stesso individuo. Si pone quindi come necessità principale un trattamento integrato costituito da un’equipe di psichiatri, psicologici, nutrizionisti e medici internisti, al fine di proporre e seguire un progetto il più possibile individualizzato. La presenza di più disturbi contemporaneamente può influire negativamente sulla gravità e la cronicità della patologia nonché su un esito favorevole della cura, pertanto la conoscenza dei dati sulla comorbilità dei DCA è utile dal punto di vista pratico per una scelta terapeutica ragionata e per

un giudizio prognostico efficace.

Siracusano e colleghi hanno effettuato una revisione degli studi condotti negli ultimi dieci anni sulla comorbilità dei disturbi alimentari, da cui emerge la possibilità che i disturbi del comportamento alimentare rappresentino un disturbo transnosografico che si può manifestare in diversi disturbi psicopatologici (Siracusano, Troisi, Marino, & Tozzi, 2003). . Dagli studi effettuati su familiari e sui gemelli è emersa la presenza di una componente genetica nell’eziologia dei DCA (Bulik, Sullivan, Wade, & Kendler, 2000). Kendler e collaboratori in studi condotti su gemelli affermano che l’ereditarietà dell’Anoressia Nervosa si colloca tra il 33 e l’84% (Kendler et al., 1995), allo stesso tempo un altro studio condotto da Bulik et al., ha stimato l’ereditarietà della Bulimia Nervosa tra il 28 e l’83% (Bulik, et al., 2000). Diversi studi su famiglie evidenziano che esiste un rischio di sviluppo che varia dal 2 all’8% e dall’1 al 4,7% per BN

(Gershon et al., 1984; Woodside, 1993).

I dati emersi potrebbero essere ricondotti alla possibilità che uno stesso ambiente familiare possa predisporre allo sviluppo di diversi quadri psicopatologici, così come particolari variabili ambientali

potrebbero costituire fattori di rischio.

In generale diversi studi condotti in familiari di pazienti con DCA rispetto ai controlli evidenziano la presenza di un aumentato rischio di sviluppare alcune patologie psichiatriche, come i disturbi dell’umore (Kendler, et al., 1995; Lilenfeld et al., 1998). Studi basati su interviste diagnostiche strutturate o questionari self-report hanno mostrato che una percentuale tra il 25 e l’80% di anoressiche e bulimiche presenta i criteri per una diagnosi di

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19 Depressione Maggiore. Nell’anoressia nervosa i sintomi depressivi sembrano essere per lo più secondari alla perdita di peso, mentre nella bulimia nervosa lo stato depressivo è solitamente dovuto all’incapacità di controllare l’alimentazione, alla preoccupazione per il peso e la forma del corpo, alla marcata interferenza delle abitudini alimentari nella vita quotidiana, nonché ai sentimenti di colpa e vergogna suscitati dalle condotte alimentari abnormi (Comorbilità psichiatrica di anoressia e bulimia nervosa Chiara Borri, V. Camilleri, S. Cortopassi, M.Mauri). Il fatto è che il cibo non soddisfa solo un bisogno fisiologico bensì i comportamenti alimentari disfunzionali possono essere utilizzati come un tentativo per regolare l’umore e alleviare uno stato di tensione. Questo genere di condotte a sua volta può sfociare in sensi di colpa, vergogna, ansia, frustrazione, nonché difficoltà a mantenere relazioni sociali e lavorative e può finire col condurre ad uno stato di depressione che frequentemente si riscontra in pazienti con DCA. Esistono infine alcuni studi che osservano la presenza di una comorbilità con il Disturbo Bipolare frequente tra il 3 e l’11% dei soggetti esaminati (Hudson, Pope, Yurgelun-Todd, Jonas, & Frankenburg, 1987; Powers, Coovert, Brightwell, & Stevens, 1988). Nel valutare i sintomi depressivi e maniacali in 50 pazienti affette da anoressia nervosa, Wildes e colleghi. trovarono che l'86% aveva sintomi di soglia per la depressione e il 60% per la mania, e ciò è stato associato con una storia di vomito autoindotto e suicidalità (Wildes, Marcus, Gaskill, & Ringham, 2007). Secondo la maggior parte delle osservazioni, la comorbilità DCA e disturbi dell’umore risulta essere tra le più significative sul piano clinico, in termini di compromissione funzionale, di ridotta risposta alle terapie e di cronicizzazione, sia dei quadri depressivi, sia della sintomatologia del DCA.

Un altro fattore che può rendere incerto l’esito del trattamento è la presenza dei disturbi d’Ansia. Nello studio effettuato da Bulik e colleghi in un campione composto da 116 donne affette da bulimia e 68 da anoressia, nel 90% nelle anoressiche e nel 94% delle bulimiche si è osservata la presenza di un Disturbo d’Ansia precedente alla comparsa del disturbo alimentare, esso può quindi presentare un importante fattore di rischio (Bulik, Sullivan, Fear, & Joyce, 1997). In quest’ottica il

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20 controllo ossessivo delle calorie, le condotte di eliminazione, l’esercizio fisico eccessivo possono essere inquadrati come tentativi per esercitare un controllo al fine di gestire l’ansia e lo stress, mentre il bingeing e il purging tipici delle pazienti bulimiche possono essere rappresentare tentativi

di abbassare la tensione (Bulik, et al., 1997).

Lo studio su una popolazione composta da 26 anoressiche, 47 bulimiche e 44 casi controllo condotto da Lilenfeld e collaboratoti ha individuato una prevalenza di Fobia Sociale e Disturbo d’ansia Generalizzata nel 31%, delle anoressiche, nel 4% un disturbo di panico, e nel 27% di Fobia Specifica, mentre nelle bulimiche è stata riscontrata una presenza del 15% di Fobia Sociale, 21% DOC, 13% GAD, 4% DAP, 19% Fobia Specifica (Lilenfeld, et al., 1998).

In letteratura sono presenti studi da cui emerge l’elevata prevalenza di comorbilità tra i DCA e il Disturbo Ossessivo Compulsivo al punto che i due disturbi vengono inquadrati in un unico continuum di spettro, in quanto caratteristiche dei pazienti con DCA come la preoccupazione estrema legata alle proporzioni corporee, la polarizzazione ideativa sul cibo, richiamano i comportamenti ripetitivi e ritualistici dei pazienti con DOC.

Esistono diversi studi che hanno dimostrato un’associazione frequente tra Disturbi del Comportamento Alimentare e Abuso di Sostanze. Weiderman e colleghi hanno mostrato in pazienti bulimiche una frequenza del 23% di abuso di alcol e di uso di droghe tra cui cocaina nel 26% dei casi, mentre nelle pazienti anoressiche l’abuso di droga si presenta con una frequenza che va dal 12 al 19% mentre l’abuso di alcol è del 5% (Wiederman & Pryor, 1996). I disturbi del controllo degli impulsi risultano associati con comportamenti compensatori patologici, come l’uso improprio di lassativi, diuretici, anoressizzanti e il digiuno. Il rischio di sviluppare un disturbo da abuso di sostanze è risultato sette volte maggiore nelle pazienti con AN B/P rispetto a quelle con AN-R

(Bastiani et al., 1996).

In tutti i casi presentati la presenza di un disturbo concomitante costituisce un fattore predittivo di una risposta peggiore al trattamento e di un decorso sfavorevole della malattia sia nel caso di Anoressica Nervosa che di Bulimia Nervosa.

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3.1. L’importanza della valutazione dei sintomi di spettro della condotta alimentare

nella popolazione dei pazienti affetti da altri disturbi psichiatrici.

La maggior parte delle persone con disturbi dell'alimentazione non riceve una diagnosi e un trattamento adeguati. Molti casi arrivano all'osservazione clinica dopo una lunga storia di malattia,

quando è più difficile raggiungere una guarigione.

L’individuazione di eventuali patologie concomitanti è importante per specificare la proposta terapeutica più adatta al paziente, per la definizione della durata del trattamento e per la prognosi a lungo termine, inclusa la qualità di vita della persona. Infatti per far sì che i miglioramenti raggiunti nel corso della terapia vengano mantenuti nel tempo, è fondamentale trattare sia il disturbo

principale che il disturbo alimentare concomitante.

L’elevata frequenza di comorbidità psichiatrica, sia di spettro che di disturbi di Asse I, dei disturbi della condotta alimentare nei pazienti affetti da altre patologie pone numerose difficoltà nell’impostazione del trattamento, rendendo spesso necessaria l’associazione di una terapia farmacologica. La presenza dei sintomi di spettro in questo caso potrebbe indirizzare i clinici verso la scelta di terapie che non interferiscano con l’immagine corporea o che non comportino variazioni di peso, in questo modo viene favorita la compliance al trattamento. La valutazione dello spettro in pazienti psichiatrici permette di cogliere anche aspetti lievi o attenuati di alterazioni delle condotte alimentari, ciò consente una migliore caratterizzazione del paziente ed è fondamentale per le sue potenziali implicazioni terapeutiche, pertanto si pone come necessario al momento dell’impostazione di un trattamento personalizzato.. Nei casi in cui vi sia una comorbidità anche solo di spettro, con la sfera psicopatologica dei disturbi della condotta alimentare potrebbe essere utile associare alla terapia farmacologica un sostegno psicologico di tipo psicoeducazionale e cognitivo-comportamentale che intervenga sul

sintomo e sulla sua tendenza ad auto perpetuarsi.

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22 dell’immagine corporea favorendo la compliance al trattamento sempre più scarsa nei pazienti con sintomi dello spettro della condotta alimentare per l’intensa paura di aumentare di peso e quindi ingrassare.

4.

La psicoeducazione

Con il termine “psicoeducazione” si fa riferimento ad una metodologia sviluppata negli anni ’80 nel campo delle scienze della salute mentale. Questo metodo mira a rendere consapevole la persona con un disturbo psichico e i membri della sua famiglia della natura della patologia di cui soffre e dei

mezzi con cui fronteggiarla.

La psicoeducazione è costituita da un insieme di interventi basati su evidenze scientifiche che tengono conto dei fattori biologici e psicologici coinvolti nella genesi e nello sviluppo delle malattie mentali, finalizzati al miglioramento della qualità di vita del paziente e del suo nucleo familiare,

oltre che al semplice e puro controllo clinico.

Alcuni tra gli interventi sono finalizzati a ridurre lo stress e il carico familiare, per questo motivo vengono potenziate le abilità per una comunicazione efficace nonché le capacità di problem solving.

I modelli psicoeducativi hanno avuto origine dalle ricerche sull’Emotività Espressa (E.E.), concetto che identificava alcuni fattori tra cui i commenti critici, l’ostilità, l’empatia, l’ipercoinvolgimento emotivo e l’insoddisfazione, ricorrenti nei contesti familiari che permettevano di distinguere famiglie ad alta o bassa Emotività Espressa. A partire da queste indicazioni si svilupparono tecniche di intervento familiare, gli interventi psicoeducazionali appunto, con l’obiettivo di ridurre gli alti livelli di Emotività Espressa nelle famiglie problematiche e il conseguente aumento delle ricadute nei pazienti (Falloon & Magliano, 1993). Falloon afferma che "lo scopo principale di questo modello è il miglioramento delle capacità dei componenti della famiglia di comunicare costruttivamente e di risolvere insieme i problemi".

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23 In questo senso assume un’importanza fondamentale il ruolo dei familiari che possono essere educati ad individuare i campanelli di allarme e le reazioni disfunzionali ma anche aiutare il

soggetto nel rispettare le cure mediche.

La psicoeducazione nelle famiglie riguarda l’intervento nell’ambiente di riferimento del paziente che ha come obiettivi principali quelli di aiutare la famiglia a sviluppare strategie per affrontare le situazioni problematiche, diminuire la tensione ed eventuali sensi di colpa, in questo contesto la famiglia oltre ad agire su sé stessa assume un ruolo di supporto alla terapia individuale del paziente.

Per quanto riguarda l’intervento sul paziente la psicoeducazione serve appunto ad “educare” le persone che hanno il disturbo a conoscerlo per non temerlo. In questo modo al paziente vengono insegnate delle strategie per accettare e affrontare la patologia di cui è affetto, è una sorta di

speranza che può essere attuata nel concreto.

I pazienti vengono educati a conoscere la propria patologia, fornendo loro chiarimenti, spiegazioni ed informazioni utili. Il paziente in questo modo non si sente giudicato e colpevole per il proprio disturbo, ma trova un posto dove viene accettato e questo ha ripercussioni sull’autostima e sull’evolversi del disturbo stesso in quanto il paziente “psicoeducato” diventa parte attiva del percorso terapeutico e nel caso di sedute di gruppo ha modo di confrontarsi con persone che hanno i

suoi stessi problemi e provano le stesse sofferenze.

I benefici della psicoeducazione di gruppo sono dati dal fatto che il coinvolgimento di più pazienti contribuisce a diminuire la sensazione di stigmatizzazione e isolamento, inoltre la coesione e lo sviluppo di un clima di fiducia permette di affrontare tematiche anche molto personali, senza tralasciare il fatto che il contatto con gli altri membri crea un effetto di “modellamento”, in quanto ognuno può apprendere dagli errori degli altri e imitare le esperienze positive.

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4.1. La Psicoeducazione nei Disturbi del Comportamento Alimentare

Ai fini della mia Tesi di Laurea farò riferimento al concetto di psicoeducazione applicato in modo particolare ai Disturbi della Condotta Alimentare, perché in generale la cosa che personalmente più mi piace del metodo psicoeducativo è l’idea del “conoscere per non avere paura”. Si è detto che la psicoeducazione ha lo scopo di far conoscere i meccanismi di insorgenza e mantenimento del disturbo. Tuttavia nei disturbi del comportamento alimentare spesso i soggetti hanno già appreso diverse informazioni relative alle proprietà dei nutrienti, al contenuto calorico del cibo e all’uso di molteplici diete, se non che la maggior parte delle volte molte di queste

informazioni risultano sbagliate e distorte.

Il trattamento psicoeducativo nell’Anoressia Nervosa fornisce informazioni dal punto di vista biologico e fisiologico sugli effetti delle condotte restrittive e del forte calo di peso, il ruolo dei vari nutrienti, il funzionamento del metabolismo, nonché la relazione tra dimagrimento e sintomi fisici (aumentata sensibilità al freddo, amenorrea, perdita di capelli, difficoltà digestive, problemi odontoiatrici) e il legame tra dimagrimento e sintomi psicologici (depressione, pensieri ed rituali

ossessivi, isolamento sociale).

Il solo trattamento psiceducativo raramente risulta efficace per il paziente anoressico ma ad ogni modo, fornendo informazioni corrette, può rendere il paziente partecipe e più collaborativo al trattamento.

Nel caso della Bulimia Nervosa il soggetto riceve informazioni sul circolo vizioso costituito dall’alternanza delle abbuffate e del digiuno o dell’estrema restrizione e indicazioni sui danni fisici e psicologici di comportamenti come il vomito, l’abuso di lassativi e diuretici. Nei quadri meno gravi, in assenza di comorbidità e condotte di eliminazione e nel caso in cui il disturbo abbia una breve durata, la psicoeducazione di per sé può portare ad una remissione della sintomatologia, benché il successo dell’intervento puramente psicoeducativo spesso sia reso difficile

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25 Benché l’intervento nel paziente con disturbo alimentare sia essenzialmente individuale, è utile coinvolgere i familiari che possono essere d’aiuto al paziente nell’attuare i cambiamenti durante il percorso terapeutico. Infatti la scarsa conoscenza da parte della famiglia dei sintomi presenti nei Disturbi Alimentari, può generare una scorretta interpretazione dei comportamenti problematici e scatenare reazioni emotive disfunzionali che contribuiscono al mantenimento del disturbo. Soprattutto all’esordio, familiari tendono a percepire i comportamenti del soggetto come un problema che può essere facilmente superato solo con la propria forza di volontà, di conseguenza spesso è proprio la famiglia ad esprimere commenti critici e aggressivi nei confronti della persona con la convinzione che in questo modo riusciranno a farle interrompere i comportamenti disfunzionali, al contrario purtroppo tale reazione spesso genera l’effetto contrario a quello desiderato: le critiche non sono ascoltate oppure suscitano emozioni negative nella persona affetta, che accentua i comportamenti alterati. Senza tralasciare che questo genere di comportamento colpevolizzante da parte della famiglia crea forti conflitti interpersonali in casa, portando i familiari ad un senso di disperazione accompagnata da frustrazione per il senso di impotenza di fronte ad un

disturbo che appare incomprensibile.

Dall’altro lato spesso la famiglia può presentare un comportamento iperprotettivo verso la persona che utilizza condotte disfunzionali come la restrizione, il vomito autoindotto, il controllo del peso come strumento per manifestare il suo desiderio di autonomia o al contrario per attirare l’attenzione

su di sé.

In questo contesto l’intervento psicoeducativo è fondamentale oltre che per l’apprendimento di informazioni corrette sul disturbo, per insegnare ai familiari ad adottare uno stile comunicativo più adeguato finalizzato ad aiutare e supportare il membro della famiglia affetto dal disturbo. I dati della letteratura confermano che l’esperienza di caregiving per i familiari di pazienti affetti da un disturbo alimentare è particolarmente problematica e che gli interventi psicoeducativi familiari possono essere particolarmente efficaci (Volpe, Monteleone, Nigro, Caldararo, & Monteleone).

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26 Il ruolo dei familiari è stato considerato centrale per lo sviluppo ed il mantenimento dei disturbi del comportamento alimentare fin dalle prime formulazioni cliniche dei differenti quadri diagnostici. I familiari erano stati per lo più considerati un elemento di disturbo per il percorso terapeutico dei pazienti, al punto che molti terapeuti consigliavano l’allontanamento dal nucleo familiare (Volpe, et al.)

Dalla seconda metà del XX secolo il modello di “famiglia psicosomatica” di Minuchin ha evidenziato all’interno delle famiglie di soggetti affetti da DA la presenza di alcuni meccanismi relazionali come rigidità, invischiamento ed evitamento che potrebbero costituire un fattore di rischio per il successivo sviluppo di un DA; tuttavia, Minuchin, sottolineava l’importanza del coinvolgimento dei familiari nel processo terapeutico di modo da attuare i cambiamenti proprio

all’interno del contesto familiare (Minuchin et al., 1975).

Un’ampia rassegna sull’argomento ha evidenziato la presenza di un caregiving spesso problematico all’interno di queste famiglie caratterizzate da madri ipercoivolte (Anastasiadou, Medina-Pradas, Sepulveda, & Treasure, 2014), ma anche dalla presenza di una figura paterna autoritaria che promuove nelle figlie l’insoddisfazione verso il proprio corpo (Enten & Golan, 2009). Benché non si possa affermare che il contesto familiare rivesta un ruolo causale nell’insorgenza e nel mantenimento dei DA, esso assume un ruolo fondamentale: è per questo motivo che agli interventi specifici per i DA viene spesso affiancato un programma psicoeducativo.

4.2. L’intervento psicoterapico nel Dipartimento di Salute Mentale, Servizio

Psichiatrico Diagnosi e Cura (S.P.D.C)

Il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura è uno dei servizi più complessi e delicati del Dipartimento di Salute Mentale. Durante la mia esperienza di tirocinio ho potuto constatare che la maggior parte degli utenti che giunge al ricovero è costituita da pazienti gravi, spesso in fase

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27 psicotica acuta che giungono sia in regime di ricovero volontario che obbligatorio, come previsto

dalla Legge n. 180 del 1978.

Questi soggetti provengono da un contesto individuale, familiare e sociale spesso drammatico e doloroso. Il ricovero nel reparto psichiatrico innanzitutto fornisce un servizio diagnostico e terapeutico che ha come fine la cura del disturbo psichico, oltre a questo riveste un ruolo cruciale nel percorso terapeutico dei pazienti in quanto si propone di recuperare le relazioni del soggetto con l’ambiente in cui vive per consentirgli una ripresa della sua quotidianità. Oltre alla definizione di una categoria diagnostica, la diagnosi è orientata ad una osservazione dei bisogni del paziente, al fine di identificarne le parti sane e le risorse ancora disponibili.

Al reparto si accede tramite un TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) disposto con un’ordinanza del Sindaco su proposta di ricovero da parte del medico, nei casi di alterazione psichica grave in cui il soggetto rifiuta ogni trattamento. L’accesso può avvenire anche tramite un Trattamento Sanitario Volontario (TSV) nel caso in cui la persona accetti le cure. Il ricovero in questo tipo di reparto è solo temporaneo in quanto la disponibilità di posti letto è estremamente limitata, pertanto il paziente viene dimesso quando è stabile e le condizioni cliniche

sono migliorate.

Durante la degenza i pazienti sono seguiti dal personale sanitario e tecnico: psichiatri, psicologici, infermieri, operatori socio sanitari. Gli interventi terapeutici prevedono colloqui a scopo diagnostico e terapeutico modulati per ogni paziente e trattamenti farmacologici specifici,

accertamenti internistici quando necessari e pertinenti.

Oltre alla valutazione clinico-diagnostica e all’impostazione del trattamento farmacologico è importante il recupero cognitivo del paziente e quindi gli aspetti riabilitativi finalizzati ad un

possibile reinserimento sociale e familiare.

In Italia in alcuni di questi reparti ha assunto importante rilevanza la psicoterapia di gruppo considerata uno strumento valido per integrare la qualità delle cure offerte. Il gruppo si pone come contenitore che accoglie le emozioni distruttive e i pensieri invasivi che

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faticano ad essere metabolizzati.

Sulla base di ciò, il gruppo viene instituito al fine di riportare il paziente nel momento presente, in un contesto in cui può confrontarsi, allontanandosi dal sintomo che lo conduce al delirio e alla dissociazione. In questo contesto la figura dello psicologo e dello psicoterapeuta risultano fondamentali. Gli obiettivi terapeutici sono fornire informazioni sulle diverse patologie e creare un

contesto per lo sviluppo di relazioni interpersonali.

In SPDC un contesto di gruppo non prevede sempre lo stesso numero di pazienti, in quanto la loro permanenza in reparto è limitata, inoltre questi soggetti portano con loro un insieme eterogeneo di sintomi, età, livello economico e culturale diverso, ciò fa sì che il gruppo diventi molto disomogeneo, ma nonostante questo può comunque rivelarsi utile ai fini terapeutici in quanto il paziente è inquadrato in maniera più completa perché inserito in un contesto di socialità, ciò è importante per la relazione tra pazienti ma anche tra pazienti e staff medico, perché aiuta a chiarire

dinamiche che altrimenti rimarrebbero insondate.

La presenza del gruppo non è purtroppo una realtà presente in tutti i reparti, spesso viene attuata in forma sperimentale e non fa sempre parte della pratica clinica dove non sembra ricoprire un ruolo importante. Va comunque sottolineato che un simile contesto permette di cogliere, guardare e ascoltare anche chi in un dato momento “pensa a modo suo” ed è rilegato in un mondo lontano da quello reale, che esiste solo nella sua mente, pertanto le narrazioni di gruppo danno significato a

simili esperienze cercando di comprenderle.

Il risultato di una simile terapia, dato il tempo limitato, non potrà essere rilevante ma potrebbe influire sul consolidamento della volontà di cooperare alle cure successive.

Per quanto riguarda il trattamento dei disturbi alimentari, dalla revisione della letteratura emerge che questi disturbi sono molto frequenti nelle donne occidentali. Uno studio interessante è quello di Hay et al. (Hay, Bacaltchuk, Stefano, 2004 Psychoterapy for Bulimia and Binge eating) in cui viene valutata l’efficacia della terapia cognitivo comportamentale (CBT) nella Bulimia Nervosa rispetto ad altre psicoterapie per il trattamento di adulti con il suddetto disturbo o con diagnosi di

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29 Binge Eating Disorders. Questo studio supporta l’efficacia della CBT nel trattamento dei disturbi alimentari, benché la sola psicoterapia non si è dimostrata efficace per cambiare la concezione dell’immagine corporea di questi pazienti. In generale la terapia cognitivo comportamentale è la più utilizzata nel trattamento dei pazienti con una forte svalutazione del peso e delle forme del corpo.

5.Il trattamento dei disturbi del comportamento alimentare

La maggior parte delle persone con disturbo dell’alimentazione ha una forte paura di affrontare un cambiamento ed è poco consapevole della propria problematica. I sintomi tipici del disturbo come la ricerca continua della magrezza, l’alimentazione senza controllo, le diete rigide, l’uso di condotte di compenso tra cui vomito o dei lassativi, sono spessi visti non come il problema bensì come la soluzione. La persona si illude in questo modo di poter controllare i problemi della vita perché la pervasività del disturbo impegna completamente la mente della persona che ne è affetta. Ciò spiega perché, soprattutto nelle fasi iniziali della malattia, molte persone non chiedono aiuto o addirittura

lo rifiutano.

Molte volte le persone che richiedono un trattamento non hanno già maturato una vera e propria convinzione di voler intraprendere una terapia per cercare di guarire dal disturbo, spesso la simbiosi col esso è diventata talmente forte che la persona fatica a separarsene, quasi fosse

diventato per lei un modo di stare al mondo.

Come per tutte le patologie psichiatriche gravi, la costruzione della motivazione alla trattamento costituisce una componente della terapia stessa, perché quando la paziente giunge alla consapevolezza di essere ammalata e accetta il trattamento ha già iniziato una parte del percorso terapeutico, la conseguente possibilità di costruire quindi un’alleanza terapeutica rappresenta un fattore un prognostico positivo ed è fondamentale ai fini del trattamento. La persona ha bisogno di sentirsi capita e di sentire che il suo disturbo è riconosciuto e può essere

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affrontato con competenza.

Durante la valutazione diagnostica vengono indagati la storia del peso, le abitudini alimentari e gli atteggiamenti riguardo al cibo e al corpo, viene valutata la situazione familiare e sociale, il funzionamento globale delle persona, incluso quello scolastico o lavorativo e le relazioni interpersonali. Oltre al colloquio clinico, ci si può avvalere di strumenti come interviste semistrutturate e strutturate di questionari autosomministrati. Quelli più utilizzati sono l’EAT–40 – Eating Attitudes Test (Garner & Garfinkel, 1979; Garner, Olmsted, Bohr, & Garfinkel, 1982); l’EDE 12.OD –Eating Disorders Examination (Mond, Hay, Rodgers, Owen, & Beumont, 2004; Pretorius, Waller, Gowers, & Schmidt, 2009) e l’SCID –Structured Clinical Interview (Williams et

al., 1992).

Alla base del trattamento dei disturbi dell'alimentazione vi è quindi un approccio multidimensionale, interdisciplinare e integrato, la presenza di un’equipe specializzata permette infatti di effettuare una diagnosi psicologica e psichiatrica mirata da cui, oltre che alla presenza di eventuali comorbidità, si possono trarre indicazioni sulle possibili interferenze dell’ambiente familiare e sociale del paziente nei confronti del processo terapeutico. Può essere necessario includere una valutazione internistico-nutrizionale che completa quindi la valutazione diagnostica in caso di una magrezza rilevante o di pericolo di complicanze mediche. Infine, se il soggetto è minorenne o comunque vive con la famiglia, è indicata anche una visita per i genitori che ha la funzione di completare il quadro diagnostico e ottenere una valutazione ecologica del funzionamento del soggetto, in questo modo i genitori si sentano coinvolti nel programma terapeutico e questo crea un clima collaborativo che può portare benefici al trattamento.

I Quaderni del Ministero della Salute riportano che “la gestione dei disturbi dell'alimentazione dovrebbe avere i seguenti obiettivi:

 il ripristino di uno stato nutrizionale sano e di comportamenti alimentari fisiologici e salutari;

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 l'interruzione dei comportamenti non salutari di controllo del peso;

 il supporto psicologico in merito alla possibilità di modificare i comportamenti alterati di nutrizione;

 l'identificazione e la gestione degli aspetti psicologici e relazionali della malattia;

 l'identificazione e il trattamento delle condizioni di comorbidità.”

Il trattamento dei disturbi del comportamento alimentare può essere effettuato in un contesto ambulatoriale per i soggetti per cui non sono necessari trattamenti intensivi, mentre per i pazienti che non rispondono al trattamento ambulatoriale convenzionale può essere utile la terapia in un centro diurno che fa si che il paziente si senta in un’atmosfera contenuta e affronti meglio le sue

difficoltà sperimentandole nel concreto.

Nei casi più gravi occorre una riabilitazione intensiva ospedaliera che utilizzi un programma strutturato in cui vengano integrata la riabilitazione nutrizionale, fisica, psicologica e psichiatrica.

Nel trattamento dei disturbi del comportamento alimentare la terapia farmacologica viene utilizzata per le patologie in comorbidità più frequentemente associate a questi disturbi, soprattutto depressione maggiore, disturbo bipolare, disturbi d'ansia e da abuso di sostanze. Il quaderno del Ministero della Salute riporta che dagli studi clinici controllati emerge che la terapia farmacologica può comportare miglioramenti a breve termine di sintomi come depressione, ansia, pensieri ossessivi, benché i farmaci non contribuiscano a risolvere il nucleo fondante del DCA che, in caso di miglioramento, va frequentemente incontro ad una riacutizzazione nel lungo termine (salute, 2012). La terapia farmacologica si pone come necessaria nelle forme di bulimia nervosa molto gravi al fine di attutire la violenza della malattia, infatti questi soggetti presentano molti episodi di abbuffate e vomito nel corso della giornata, costituiscono forme che spesso impediscono

almeno inizialmente un approccio psicoterapeutico.

Come detto in precedenza, nel trattamento dei disturbi del comportamento alimentare la famiglia assume un ruolo fondamentale, per questo l’intervento deve sempre includere un approccio psicoeducativo per i genitori e i partner dei pazienti.

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5.1. I disturbi alimentari da un punto di vista cognitivo-comportamentale

Da un punto di vista cognitivo-comportamentale i disturbi alimentari sono caratterizzati da idee disfunzionali nei confronti del peso e delle forme corporee (Garner & Dalle Grave, 1999). Si tratta di un comportamento alimentare disfunzionale, pertanto il fine del trattamento sarà quello di favorire un cambiamento in grado di modificare le convinzioni errate riguardo al peso e alle forme del corpo con l’obiettivo di sostituire il regime alimentare patologico con comportamenti più “sani”

(Santoni Rugiu et al., 2000).

Dalla letteratura sull’argomento emerge che le credenze disadattive più importanti nei disturbi alimentari sono il perfezionismo e la bassa autostima (McLaren, Gauvin, & White, 2001). I soggetti con disturbi del comportamento alimentare hanno un forte desiderio di avere un’immagine impeccabile e tendono ad interpretare ogni imperfezione corporea o oscillazione di peso come fallimenti catastrofici (Sassaroli & Ruggiero, 2005). Inoltre è presente un sentimento pervasivo di non essere sufficientemente adatte e competenti per far fronte alle richieste dell’ambiente esterno, pertanto questi soggetti trascorrono molto tempo rimuginando su questi pensieri negativi. Infatti, alcuni studiosi sostengono che il rimuginio svolga un ruolo fondamentale nella psicopatologia di

questi disturbi (Sassaroli & Ruggiero, 2005).

I soggetti con DCA passano molto tempo preoccupandosi del peso perché temono le conseguenze negative che esso potrebbe avere su altri aspetti della loro vita, ad esempio sulle relazioni interpersonali.

Lo schema di valutazione disfunzionale di sé costituisce il nucleo patologico centrale, infatti le persone con questo disturbo si valutano esclusivamente in base al peso, alle forme corporee e al

controllo che riescono ad esercitare sull’alimentazione.

Lo scopo della psicoterapia cognitivo comportamentale dei Disturbi Alimentari è quello di portare il paziente a costruire uno schema di autovalutazione più funzionale, per far questo è necessario interrompere i fattori cognitivi e comportamentali innescati che contribuiscono a mantenere lo

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schema presente.

Un ruolo fondamentale tra i fattori di mantenimento è ricoperto da pensieri e preoccupazioni per il peso e le forme corporee e il controllo dell’alimentazione che mantengono in un continuo stato di attivazione lo schema di autovalutazione disfunzionale che a sua volta produce nuove preoccupazioni sugli stessi argomenti. Ad esempio, il pensiero automatico di una paziente che dopo essersi pesata scopre di essere aumentata di pochissimo potrebbe essere“ho perso il controllo, ingrasserò all’infinito”, da questo pensiero potrebbero attivarsi una serie di preoccupazioni che inducono un aumento del rimuginio sul fatto di essere grassa e di aver fallito.

Il paziente rimane all’interno del disturbo alimentare in quanto nelle dinamiche che si instaurano si ha la presenza di potenti rinforzi. Dal punto di vista cognitivo i rinforzi positivi sono il senso di trionfo, disciplina e potenza che un soggetto percepisce quando riesce a controllare l’alimentazione, il peso e le forme del proprio corpo, mentre i commenti positivi da parte di altre persone in seguito all’iniziale perdita di peso costituiscono potenti rinforzi sociali e interpersonali. Dall’altro lato la perdita di peso permette al soggetto di evitare alcune situazioni negative, come avere un corpo da donna adulta, situazioni sociali o esperienze sessuali ansiogene.

Un potente fattore di mantenimento è rappresentato dalla dieta che il soggetto si impone di seguire alla lettera, perché il non rispettarla produce un profondo senso di fallimento che scatena forti sensi di colpa. E’ proprio quella dieta che spesso induce il soggetto a saltare i pasti, ridurre le porzioni, eliminare alcuni cibi, che incrementa lo sviluppo delle preoccupazioni nei confronti dell’alimentazione che a loro volta mantengono attivo lo schema di autovalutazione disfunzionale. In questo modo si crea un circolo vizioso che porta il soggetto a pensare al cibo; allo stesso tempo il digiuno favorisce la comparsa di abbuffate che a loro volta contribuiscono a mantenere il disturbo. Un ulteriore rinforzo portato inizialmente dalla dieta è il fatto che ad essa consegue un senso di benessere dovuto alla produzione di endorfine e di oppioidi endogeni, fenomeno funzionale alla ricerca del cibo che nel soggetto determina iperattività, riduzione della stanchezza e del sonno; in questo modo il soggetto si percepisce come efficace e in grado di funzionare normalmente

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