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Il distretto industriale. il caso del distretto orafo ad Arezzo

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DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE

CORSO

DI

LAUREA

IN

SCIENZE

DELLE

PUBBLICHE

AMMINISTRAZIONI

TESI DI LAUREA

IN

METODI

STATISTICI

PER

LE

DECISIONI

AZIENDALI

Il distretto industriale. Il caso di Arezzo

Relatore:

Candidato:

Ch.ma Prof.ssa

Chiara Criscuolo

Barbara Pacini

Matr.: 528525

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INDICE

INTRODUZIONE……….……….4

Capitolo I Arezzo e il distretto orafo italiano……….………7

Il distretto industriale: un quadro generale……….………....7

Il distretto orafo Aretino………...………....13

Il settore orafo in Italia………..………...18

L’evoluzione del quadro economico: Arezzo e il confronto con l’Italia…………...…...25

Capitolo II Analisi quantitativa sui dati del comparto orafo-argentiero in Italia………...32

L’evoluzione della Produzione nel settore orafo-argentiero in Italia: dati di Industria e Costruzioni della piattaforma I.stat………..37

Approfondimento della composizione del Repertorio 32.1 della classificazione Ateco 2007 attraverso la Rilevazione annuale dei Prodotti Comunitari………...42

Analisi dell’evoluzione dell’esportazione del settore orafo attraverso l’andamento dell’indice dei prezzi alla produzione……….…….50

Capitolo III Imprese e Lavoratori dell’attività manifatturiere e del settore orafo ad Arezzo: un confronto………...……...….57

Il tessuto imprenditoriale dell’attività manifatturiere e del repertorio 32.1: dati di censimento e altre fonti………..………..58

Un’Istantanea dei lavoratori e delle tipologie contrattuali del settore orafo ad Arezzo: fonte C.O.B e l’Indagine sulla Forza Lavoro………..………..75

Il Lavoro Cognitivo………...……...…82

CONCLUSIONE……….………..…...88

Bibliografia & Sitografia………. 91

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Introduzione

Le piccole e medie imprese costituiscono da sempre una grande fetta del tessuto industriale italiano. In molti casi la medesima localizzazione geografica di aziende in un identico settore industriale ha dato vita ai distretti industriali. Essi sono protagonisti attivi dello sviluppo del sistema produttivo italiano e rivestono un importante ruolo sociale. Nel corso degli anni, questo modello di organizzazione industriale ha dovuto adattarsi ai cambiamenti dell’ambiente economico con particolare attenzione alle “minacce” dei paesi

esteri emergenti e delle crisi globali.

Il distretto orafo di Arezzo ricopre particolare importanza per la produzione e l’esportazione orafa nazionale. Se inizialmente era famoso per lavorazioni di livello

inferiore e quasi esclusivamente per la produzione di catene, recentemente si osserva una ristrutturazione che ha permesso di perfezionare la sua produzione interna. Il comparto orafo-argentiero aretino ha subito periodi di stagnazione economica, in special modo per gli artigiani (linfa vitale della provincia). Di conseguenza, le piccole e medie imprese hanno dimostrato un atteggiamento sempre più dinamico nel modificare le strategie sia di commercializzazione sia di marketing; lo scopo è conciliare l’ingente patrimonio storico del gioiello e le esigenze di cambiamento e innovazione (tecnologica, di processo e di prodotto). Dal 2013 il distretto sembra dare segnali di ripresa.

L’obiettivo dell’elaborato è focalizzarsi sull’analisi di fenomeni concernenti il settore orafo aretino e per verificarne l’eventuale superamento del periodo di flessione economica.

A tal fine, si è deciso di analizzare fonti statistiche di diversa provenienza, in particolare indagini e censimenti Istat, archivi amministrativi delle Comunicazioni Obbligatorie, dati Inps e dati e rapporti Unioncamere. Una prima parte del lavoro analizza l’andamento della produzione e del fatturato delle imprese. Le informazioni dell’ultimo Censimento dell’Industria e servizi permettono di presentare una istantanea al 2011 del tessuto

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imprenditoriale oggetto di studio. La piattaforma I.stat mette a disposizione dati provenienti da rilevazioni diverse con il relativo dettaglio sui metadati che ne descrivono il processo di produzione. Il patrimonio informativo consente confronti con le realtà distrettuali orafe italiane mettendo in luce disparità e analogie.

Contestualmente, i dati provenienti dall’indagine Istat sulla Forze Lavoro e i dati

amministrativi delle Comunicazioni Obbligatorie chiarificano la condizione degli occupati e dei lavoratori. È risaputo che ad una migliore qualità contrattuale corrisponde maggior benessere e produttività degli impiegati, appare dunque confacente studiare se vi sono soddisfacenti migliorie dei contratti.

Arezzo è conosciuta in tutto il mondo per la pregiata lavorazione dell’oro e si posiziona tra le prime città per l’esportazione. I dati relativi all’esportazione del comparto

gioielliero sono disponibili e scaricabili dalla piattaforma Coweb, il data warehouse di Istat che contiene le statistiche italiane del commercio con l’estero. Inoltre, Report e Notizie

sono pubblicate dalla sessione di Studi e Pubblicazioni della Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura che propone indagini dettagliate non solo sul settore orafo-argentiero ma sulla economia in toto della Provincia.

Come per la maggior parte dei distretti industriali italiani, anche quello aretino ha dovuto fronteggiare sfide che hanno modificato il suo modello di organizzazione: esso ha subito una drastica battuta d’arresto negli ultimi 10 anni causata dalle crisi del 2002 e del

2008 con effetti devastanti per il Made in Italy. Più in generale, il modello distrettuale è stato sottoposto a varie pressioni non solo delle recessioni ma anche dell’ingresso di paesi come India e Cina nel mercato globale. Ad oggi, il distretto si è mostrato capace di resistenza rispetto ad altri modelli di organizzazione industriale ma risulta ancora vulnerabile.

L’elaborato si compone di tre parti: una prima ripercorre un excursus storico del distretto industriale da Marshall ai giorni nostri. Il focus di analisi è Arezzo, ma è utile una

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comparazione con Valenza Po’, Vicenza e Napoli. Inoltre, si presenta una descrizione del

caso dei distretti industriali italiani e della loro evoluzione nel tempo la quale ha favorito il fiorire dei meta-distretti. L’arte della lavorazione del gioiello è antica e preziosa ma il distretto si sta adeguando all’uso di nuove tecnologie dimostrando di essere un esempio perfetto del connubio tra passato e presente.

La seconda parte si focalizza sulla produzione italiana del repertorio 32.1 “fabbricazione di gioielleria, bigiotteria e articoli connessi” del codice Ateco 2007. Si propone un’analisi sulla produzione in quantità e valore e sull’indice dei prezzi alla

produzione per esplorare, per quanto possibile, le specificità del repertorio 32.1.

Infine, una terza parte prende in esame le rilevazioni statistiche su Arezzo. L’obiettivo

è ottenere un quadro delle imprese e dei lavoratori del distretto orafo aretino. Delle prime si analizza l’andamento del numero di imprese e di addetti negli anni cercando di capire

quanto le crisi economiche abbiano inciso sul tessuto imprenditoriale: di ausilio è la verifica dell’andamento storico attraverso i dati del censimento dal 1961 al 2011. In questa parte del lavoro è inserito un esercizio di previsione dell’export dell’oreficeria e gioielleria

ad Arezzo, sulla base di serie storiche annuali e dei metodi classici per la stima e previsione statistica delle serie storiche.

La terza parte si conclude con un approfondimento della condizione dei lavoratori, sulla base sia delle tipologie contrattuali utilizzate che dell’evoluzione delle mansioni

lavorative. È di certo interessante indagare se le trasformazioni strategiche e commerciali del distretto abbiano condizionato e migliorato lo status degli occupati. Oltre ad aspetti prettamente contrattuali, si riportano i risultati di un lavoro svolto da Ires Toscana sul “Lavoro Cognitivo” (Rullani, 2011) al fine di testimoniare l’esistenza di un primo sviluppo dell’organizzazione di processi produttivi.

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CAPITOLO I

Arezzo e il distretto orafo italiano

Il territorio aretino gode di un vasto patrimonio artistico e culturale ed ha sviluppato la propria economia attorno alla lavorazione dell’oro, raggiungendo il primato del settore in Italia. Il distretto industriale di Arezzo, oggigiorno, è uno dei comparti tradizionali e antichi della regione Toscana; in Italia riveste un ruolo di primo piano rappresentando il Made in Italy per la sua peculiarità di utilizzare una manodopera altamente specializzata.

La produzione orafo spicca per la qualità dei prodotti e per le competenze di realizzazione, infatti la città produce alta gioielleria che da sola rappresenta un terzo del totale dell’export italiano.

In questo capitolo si offre una panoramica generale anche se non esaustiva del “distretto industriale”, con le sue evoluzioni nel tempo e involuzioni dovute all’effetto della crisi, dapprima degli anni ‘70, in seguito quella del 2002 e infine la recessione conosciuta nel 2008, che ancora oggi incide sull’economia del paese. Segue un riassunto dei fatti storici in loco, della produzione del distretto aretino e un quadro nazionale del settore di oreficeria e argenteria, con particolare attenzione al caso di Valenza Po’, Vicenza e Napoli. Si procede, innanzitutto, attraverso una contestualizzazione storica in ogni città succitata per poi analizzare il tipo di lavorazione e la specialità del territorio.

Il terzo paragrafo è dedicato all’economia aretina. Si è pensato di procedere partendo da alcuni cenni storici, poiché, ad oggi, è grazie all’arte antica che il settore dell’oreficeria e artigianato è diventato celebre e noto in tutta la penisola italiana e non solo. Infine, si presenta un quadro generale della provincia dal 2006 fino ai dati più aggiornati al 2015 focalizzandosi sui settori di punta: da quello agricolo a quello dell’informatica e dell’elettronica. L’idea è di mettere in luce le criticità che il sistema produttivo ha subito dalla dura crisi del 2008

1.1 Il distretto industriale: un quadro generale

Non è semplice dare una definizione univoca di distretto industriale in quanto esso è legato alle caratteristiche del territorio preso in analisi, alle differenti imprese e ai diversi studi empirici condotti da studiosi di varie discipline sui comparti industriali di riferimento.

Tuttavia una sua prima formulazione, nel 1896, è da attribuire ad Alfred Marshall che aveva individuato, nell’agglomerazione di molti piccoli e medi produttori in una stessa località, un possibile modo di organizzare la produzione. Il modello si poneva come alternativa alla “grande impresa” integrata verticalmente, senza rinunciare ai vantaggi della

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divisione del lavoro (Brusco e Paba 1997, Carboni 1996, Crestanello 1993, Fuà 1991, Garofali 1992, Giannola 1998, Moussanet e Paolazzi 1992, Nuti 1992, Pazienza 1998).

Le caratteristiche del distretto idealizzato da Marshall sono: modesta dimensione unitaria delle aziende, elevata numerosità di esse raggruppate in un medesimo ambito geografico e la specializzazione settoriale.

All’interno di un distretto vi sono possibili differenziazioni produttive: a) verticali o convergenti, quando si tratta di fasi differenti di uno stesso processo produttivo; b) laterali, quando si tratta della stessa fase in processi simili; c) diagonali, quando si tratta di attività di servizio alle industrie del distretto. In base a tale processo si parla di disintegrazione della produzione in imprese differenti che arreca vantaggi notevoli: diminuisce i costi di trasporto, favorisce un contatto personale tra gli attori e pertanto garantisce la buona riuscita delle transazioni. Si vengono così a creare numerose economie esterne ovvero particolari integrazioni che avvengono tra produzioni industriali complementari.

Un secondo concetto legato ai distretti industriale è l’atmosfera industriale che garantisce, secondo Marshall, la sua efficienza attraverso il “know how” ovvero le capacità professionali specializzate nell’esecuzione di un certo tipo di attività produttiva; attraverso il “learning by doing” ovvero processi di apprendimento realizzati all’interno dell’impresa stessa; e tramite la diffusione del progresso inteso come innovazione tecnologica condizionato dall’ambiente sociale. Questi tre aspetti favoriscono l’attitudine al lavoro industriale, ma anche la propensione all’innovazione: ed è proprio la capacità di innovare che consente la sopravvivenza del distretto nel tempo.

Un aspetto da sottolineare è l’appartenenza dei soggetti, che lavorano e vivono nelle località del distretto, ad uno stesso contesto sociale caratterizzato da consuetudini comuni, alla cooperazione che genera regole implicite di comportamento, condizionando quindi anche i rapporti economici.

La peculiarità del distretto industriale è sia la particolare forma organizzativa del processo produttivo sia l’ambiente sociale nel quale esso opera. I distretti industriali sono considerati sistemi locali dotati di specifiche proprietà costitutive di natura sociale, economica e territoriale. I vantaggi sono evidenti: “risparmi di costo che dipendono dallo sviluppo di una industria e che si producono grazie alla concentrazione in minimi spazi di piccole e medie imprese, grazie alla localizzazione dell’industria” (Marshall, 1890).

Negli anni ’90 del ‘900 l’economista e professore emerito dell’università di Firenze, Giacomo Becattini, interpreta la visione Marshalliana del distretto industriale e ne propone una nuova definizione: “un’entità socio-territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva,

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in un’area territoriale circoscritta, naturalisticamente e storicamente determinata, di una comunità di persone e di una popolazione di imprese industriali. Nel distretto, a differenza di quanto accade in altri ambienti, la comunità e le imprese tendono, per così dire, ad interpretarsi a vicenda” (Becattini, 1989). E’ un modello organizzativo capace di offrire un minuzioso controllo di efficienza durante ogni singola fase del processo produttivo in cui ciascuna impresa svolge una fase o poche fasi del processo stesso.

Le caratteristiche determinanti del distretto industriale sono: a) un’attività dominante di tipo industriale. Infatti la “regione economica” tipica si distingue da una comune perché l’attività deve configurare una specializzazione in una particolare produzione di beni; b) l’interazione con le istituzioni che permetta la diffusione di valori condivisi dalla comunità di persone. Essa tende a focalizzarsi su etica del lavoro e attività, reciprocità e cambiamento; c) la medesima localizzazione per le imprese che appartengono ad un unico settore; d) le risorse umane. All’interno delle varie posizioni in esame vi è un continuo processo di riallocazione dei lavoratori al fine di collocarli alle mansioni più adatte a ciascuno. Proprio tale processo influenza la produttività del distretto. L’autore individua, all’interno del comparto, una classe di lavoratori particolari: gli “imprenditori puri” che svolgono il compito di osservare costantemente il mercato globale e il distretto nella sua entità socioculturale; e) il mercato. Il classico, costituito da venditori e compratori che scambiano merci attraverso il prezzo come segnale, risulta inadeguato: i prezzi non sono sufficienti per orientare al meglio le scelte degli attori economici. Due sono i fattori rilevanti: 1) progresso tecnologico, come processo che prende forma da una crescente consapevolezza da parte delle industrie e della popolazione locale; 2) la banca locale che assume il compito di sopperire alle difficoltà nel finanziamento riscontrate nelle piccole- medie imprese.

I distretti industriali risultano una realtà ancora attuale nel territorio italiano, ma sono affiancati dalla presenza di grandi imprese (in antitesi all’idea di distretto industriale marshalliano). Sono molteplici gli esempi di come le piccole e medie imprese assumono grandi dimensioni ed alcune raggiungono un rilevante successo internazionale. Si osserva una relazione di fiducia, cooperazione ed influenza tra piccole/medie e grandi imprese che apporta un cambiamento nella struttura delle aziende stesse. Sono svariati gli esempi in Italia, precisamente in Toscana, in cui la grande impresa ricopre una leadership nei processi di crescita, innovazione e internazionalizzazione dei distretti: il settore orafo aretino è uno dei casi più eclatanti.

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I sistemi di organizzazione marshalliana si intendono superati per l’affermarsi di una continua competizione dinamica e dell’ampliamento dei mercati di riferimento: le imprese del distretto ricercano un più ampio sistema di convenienze a livello internazionale. Infatti, si è sviluppato un sistema di delocalizzazione sia per le imprese che producono i beni finali sia per quelle sub-fornitrici: dagli anni ’90 del ‘900, un numero crescente di unità produttive ha cominciato a spostare quote importanti della propria struttura manifatturiera verso le economie emergenti, implementando il fenomeno dell’internazionalizzazione (il quale può minare le tradizionali identità collettive che costituiscono il valore della produzione). Le imprese del distretto per restare in vita devono concentrare i loro investimenti in capitale umano, conoscenza, innovazione e ricerca (Correani, 2008).

Usuale è l’utilizzo delle strategie che conducono alla creazione di “nicchie di mercato”, un fenomeno tutto italiano, al fine di incentivare l’inserimento dei distretti e delle aziende interessate nei mercati internazionali (Rullani, 1999). Tuttavia la produzione nel distretto richiede una particolare specializzazione che mal coincide con la produzione di altri beni e conseguentemente una scarsa capacità degli imprenditori a gestire le diversificazioni all’interno di una azienda (Fiorelli, 2012). L’idea è che la produzione di nicchia potrebbe essere una delle possibili soluzioni a momenti di crisi. Un esempio è la difficoltà di inserimento dei distretti nei mercati esteri, subita dalla celere globalizzazione e dall’apertura dei mercati in paesi di nuova industrializzazione come India e Cina.

Il distretto industriale è un elemento dinamico ed in continua evoluzione. Nei primi anni 2000 nasce l’idea innovativa dei “meta-distretti” ovvero “reti di impresa” che non sono più appartenenti al medesimo territorio ma radicate in contesti territoriali diversi ma complementari. Essi rappresentano un vero e proprio salto di qualità rispetto alla realtà territoriale italiana (Cretì& Bettoni, 2001). Il concetto di riferimento è il “link”: la rete di relazioni tra piccole, medie e grandi imprese che sono diventate regionali, nazionali e potenzialmente globali. Il distretto prende vita da un agglomerato di piccole e medie imprese a conduzione familiare oppure più frequentemente vi è una grande impresa che ricopre una leadership nei processi di crescita, innovazione e internazionalizzazione dei distretti, o ancora la tendenza di piccole e medie imprese che assumono grandi dimensioni, ricoprendo anche un ruolo di global player.1 Emerge un overcoming delle circoscrizioni geografiche del distretto determinato dal ruolo di nuove tecnologie di informazione e

1 Fenomeno che si contrappone a ciò che accadeva durante gli anni novanta, in cui erano grandi

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comunicazione2: la rete delle imprese si è estesa a molteplici contesti territoriali

accomunati dall’utilizzo di medesime conoscenze e competenze.

S. Zucchetti (2002) offre un concetto peculiare della “nuova generazione di distretto industriale” definendo i meta-distretti come “nuove ripartizioni territoriali finalizzate ad individuare sul territorio delle filiere produttive3 con un elevato potenziale tecnologico, ove operare politiche di cooperazione tra le imprese specializzate e comprese nelle filiere e i centri di ricerca”. Dal suo elaborato si evince come le filiere produttive hanno il comune obiettivo di avvicinare la ricerca alla produzione per oltrepassare la continuità territoriale aprendosi verso una continuità virtuale. L’autore individua tre elementi innovativi: 1) specifiche filiere di produzione in cui vi è la presenza di peculiari attività (alimentari, moda design…) e compresenza di imprese; 2) la ricerca di alta specializzazione nella produzione e nella ricerca consente alle imprese maggiore “integrazione e interdipendenza territoriale”; 3) focalizzazione su processi di ricerca. I meta-distretti si basano su un continuo processo di rinnovamento, con forti legami con il mondo della ricerca. Tali processi possono però nascondere delle insidie: non è sufficiente mettere in contatto i ricercatori e le imprese, ma è necessaria l’utilità per le aziende. Esempi in Italia sono le regioni che attualmente hanno riconosciuto, sotto un profilo normativo, la fattispecie dei meta-distretti: Lombardia e Veneto4. Si segnala un caso di meta-distretto, quello della

Nautica da diporto di Viareggio: ha come obiettivo principale, infatti, la costruzione di un ampio sistema regionale di reti di impresa.

Lo studio concernente i meta-distretti è ancora in evoluzione; una prima classificazione, in letteratura, è offerta da Golinelli (2005) nell’Approccio sistematico al

governo dell’impresa, ripresa da A. Cresta (2008) che organizza i meta-distretti come

segue: 1) potenziale; 2) embrionale; 3) in via di sviluppo; 4) di successo.

Golinelli specifica due concetti: a) la consonanza, intesa come una sorta di compatibilità tra i sistemi5. Nello specifico due o più imprese che tendono a realizzare un’integrazione devono “tarare le proprie impostazioni produttive, logistiche, amministrative” per raggiungere tra loro un certo accordo; b) la risonanza, intesa come

2 ICT (information and Communications Technology) insieme dei metodi e delle tecnologie che realizzano i

sistemi di trasmissione, recezione ed elaborazione di informazioni.

3 Aree tematiche per i vari settori produttivi del territorio su cui si decide di intervenire; generalmente più

codici ATECO partecipano ad una medesima filiera produttiva.

4 Meta-distretto lombardo del design e Meta-distretto Legno-Arredo Veneto, entrambi riconosciuti sotto un

profilo normativo.

5 Una metafora adeguata ad esplicitare il concetto è quella dell’orchestra musicale, dove la presenza di più

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espansione della consonanza, aumenta i livelli di fiducia e condivisione di orientamenti e prospettive tra le imprese coinvolte.

Il meta-distretto sembra segnare il futuro del distretto industriale che muta costantemente per adattarsi agli sviluppi socio-economici globali.

Contestualmente all’evoluzione della letteratura, anche la legislazione si è perfezionata nel tempo. Nei primi anni ‘90 del secolo scorso la legge numero 317 del 5/10/1991 – Interventi per lo sviluppo delle piccole e medie imprese – ha sancito l’ingresso del concetto di “Distretto Industriale” nell’ordinamento italiano, definendolo come “un’area territoriale caratterizzata da elevata concentrazione di piccole imprese caratterizzate da una particolare specializzazione produttiva, dove esiste un particolare rapporto tra presenza di imprese e popolazione residente”. Un successivo decreto (Decreto Guarino) il 21/04/1993 ha individuato dei criteri6 per identificare, da parte di ciascuna regione, i distretti marshalliani nell’organizzazione territoriale dell’economia italiana: sono circa 200 distribuiti a macchia di leopardo sull’intero territorio nazionale, con specializzazione manifatturiera dominante dell’industria della moda e dei mobili. Sono delineate anche le aree da prendere come riferimento per la definizione dei distretti: i Sistemi Locali del Lavoro individuati dall’ISTAT7 in cui si verificano le seguenti condizioni: a) prevalenza delle unità locali e

degli addetti nel settore; b) sistema caratterizzato da una forte specializzazione in un determinato settore. Ulteriore modifica è la legge 140/1999 che ristabilisce la definizione di distretto industriale come “sistema produttivo locale in cui si rileva un’elevata concentrazione di imprese, in questo caso industriali, caratterizzata dalla specializzazione produttiva di sistemi di imprese” (D. Lucev,1999).

La legge 266 del 1997 all’art.3 ha previsto la realizzazione nei distretti industriali di programmi regionali volti al miglioramento delle reti di servizi, affidando la possibilità di azioni mirate e continuative delle regioni in materia. Per l’appunto con la delibera CIPE 3 maggio 2001 è stata conferita l’esclusività alle regioni come gli unici soggetti “individuatori” dei distretti industriale all’interno del territorio.

Punto di svolta è la legge 266 del 2005 che ha introdotto la nuova figura dei distretti produttivi che si configurano come una filiera di imprese che operano in un determinato settore merceologico, superando il concetto di territorialità e di contiguità (Penco, 2010).

6 A ciascun indice di industrializzazione, specializzazione, densità e presenza di piccole e medie imprese

(ricavate dal censimento del 1997, dall’ISTAT) è associata una soglia che deve essere rispettata per poter definire quell’insieme di comuni distretto industriale.

7 Istituto Nazionale di Statistica è un ente pubblico che dal 1989 svolge un ruolo di indirizzo, coordinamento,

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Successivamente, con la legge 112 del 2008, il governo ha deciso di promuovere lo sviluppo del distretto attraverso le cosiddette “azioni di rete” per rafforzare: 1) le misure organizzative delle imprese; 2) la diffusione di migliori tecnologie; 3) lo sviluppo dei servizi; 4) la collaborazione tra realtà produttive di regioni diverse. Per quanto concerne le misure fiscali, la legge 122 del 2010 dispone vantaggi anche amministrativi e finanziari a beneficio delle imprese appartenenti alla “rete”. Negli ultimi anni, si sottolinea la rilevanza dello Statuto delle imprese, sancito con legge 180/2011 in cui si ritrova la definizione di “distretto” e le sue evoluzioni nel tempo.

1.2 Il distretto orafo aretino

Il distretto orafo di Arezzo si sviluppa per la maggior parte nel territorio della sua provincia che, a seguito della delibera del consiglio regionale della Toscana n.69 del 21/02/2000 –Individuazione dei distretti industriali e dei sistemi produttivi locali manifatturieri- ai sensi dell’art.36 della legge succitata 317/1991 modificata dall’art.6 della Legge 140/1999, comprende anche i sistemi economici locali (SEL) e della Val di Chiana.

L’attività orafa è distinta in “oreficeria” e “gioielleria”: nella prima è prevalente il valore e l’uso dell’oro rispetto a quello di pietre preziose al fine ultimo di produrre monili di valore unitario non eccessivo che si prestano bene ad una produzione industriale. La seconda, invece, si distingue per un prodotto di maggior valore che fa uso elevato di pietre preziose con largo impiego di lavorazioni manuali e tempi di produzione molto lunghi. Il distretto aretino si concentra nella produzione di catene (di cui l’Italia è paese leader in termini di quota di mercato posseduta), negli anni vi sono esempi, anche, di imprese specializzate nella produzione di pendenti, bracciali, medaglie a maggior contenuto di design e moda.

La lavorazione dell’oro è un arte antica che vede i suoi inizi già al tempo degli antichi egizi, le varie tecniche si sono diversificate fino ai nostri giorni e si segnala una modifica recente con il DPR 4/08/2015 num.168 che prevede un adeguamento al progresso e tecnico e alle nuove esigenze dei produttori e dei consumatori. Quelle tipiche del distretto aretino come la goffratura, smaltatura, incisione e decorazione a filigrana.

Le fasi della produzione che assumono maggior rilievo nel processo di lavorazione dell’oro svolta dall’impresa sono: 1) il montaggio, mediante il quale avviene la realizzazione di oggetti grazie alla tecnica dell’assemblaggio; 2) la saldatura, processo attraverso cui più parti sono congiunte, 3) la finitura, operazione che ha il fine di rendere di gradevole aspetto il prodotto. La finitura, a sua volta si distingue in operazioni obbligatorie

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e facoltative. Tra quelle facoltative, vi sono l’incisione, lo sgrassaggio, sabbiatura, incassatura e la diamantatura.

Nella fase di commercializzazione vi sono alcune figure chiave, all’interno della citata “catena di distribuzione”: 1) il grossista, il quale fornisce al dettaglio una gamma intera di prodotti diversificata per prezzo e per qualità e fornisce l’oro in conto di lavorazione ai produttori, rappresenta l’anello più importante per le imprese; 2) il raccoglitore che svolge ruolo di intermediazione tra le botteghe artigiane e imprese commerciali all’ingrosso; 3) il dettagliante tradizionale; 4) il dettagliante orafo che gode di maggior fiducia da parte del cliente.

Rilevante è la presenza di macchinari che affiancano il lavoro manuale al fine di accelerare il processo produttivo e migliorare il livello qualitativo della merce. L’esistenza di esse ha aumentato il settore della meccanizzazione ed ha favorito lo sviluppo industriale. Per quanto concerne le imprese aretine, la maggior parte di esse lavora quasi esclusivamente prodotti di oreficeria, in minor numero sono le aziende che realizzano prodotti in argenteria; una piccola parte tra esse produce in entrambi i settori. L’osservatorio Nazionale dei distretti italiani ha messo in luce tre tipologie di impresa, tipiche della realtà aretina: 1) di marchio, tipicamente di dimensioni superiore alle altre due fattispecie, godono di un marchio affermato e utilizzano sistemi più all’avanguardia di strategia di marketing &sviluppo. Di solito sono più numerose nel settore dell’oreficeria; 2) in conto di terzi, usualmente sono le imprese di subfornitura che offrono servizi di lavorazione come l’incassatura, l’incisione, il montaggio, oppure producono semilavorati, oggetti che vengono rifiniti e assemblati dall’azienda committente; 3) infine, le imprese miste. L’oreficeria e, più in generale, la lavorazione dei metalli preziosi rappresenta uno dei comparti produttivi più importanti della provincia di Arezzo.

La produzione orafa locale si sviluppa tra il XIV e XV secolo, grazie alla crescita di potere della ricca borghesia e delle confraternite, con l’obiettivo di soddisfare il fabbisogno interno. Durante i secoli successivi, la produzione orafa risente dell’influsso dello sviluppo dell’arte religiosa infatti il suo utilizzo è subordinato alla richiesta di lavori all’interno di chiese e monumenti. L’oreficeria moderna nasce ufficialmente nel XX secolo e la provincia di Arezzo, con i distretti di Vicenza, Valenza Po’ e Valenza, sviluppa un massiccio processo di industrializzazione, per poi affermarsi negli anni ‘70 e ‘80 del ‘900. La specializzazione della lavorazione di pietre preziose raggiunge il suo apice grazie al

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cruciale ruolo dell’impresa leader “Uno A Erre”8 di Carlo Zucchi e Leopoldo Gori,

nell’attivare processi di gemmazione imprenditoriale diffusi nel territorio e nel trasferimento di innovazioni. Negli anni ‘60 si assiste all’espansione del settore, grazie al fenomeno del boom economico e la produzione orafa aretina si affaccia sui mercati internazionali. L’innovazione tecnologica è presente, grazie all’aumento del PIL e i primi investimenti su di esso. La situazione muta radicalmente dal 1973: con la cosiddetta “prima crisi energetica” e la rilevante inflazione. Lo stesso prezzo dell’oro direziona la produzione verso materiale meno caro: l’argento, ma il settore nazionale mantiene un trend positivo. Infatti, si assiste ad una proliferazione di imprese nel comparto orafo, con andamento positivo sino al 2008 (circa), facendo aumentare il numero di piccole e medie imprese, in

loco. Nella seconda metà degli anni ‘70 e l’evolversi della crisi energetica, le imprese

abbandonano l’attenzione all’ alta specializzazione della produzione artigiana e convertono la stessa verso il fenomeno della “meccanizzazione” che incide sul prestigio e la qualità del prodotto. Negli anni ’80, vi è una evoluzione della produzione ad Arezzo: relazioni e cooperazioni tra le imprese del territorio sono il principio della logica di distretto industriale; in espansione è il fenomeno della “catena di distribuzione” dai grossisti ai dettaglianti.

Negli anni ’90 il processo di crescita continua con una minore intensità rispetto al decennio precedente con andamenti alterni e con un forte impiego di nuove tecnologie9.

Particolare è l’attenzione all’innovazione definita a “diffusione orizzontale”: aree produttive ed organizzazione di ogni tipo si estendono su più filoni (cosiddetta innovazione di processo, di prodotto, organizzativa e tecnologica). Secondo Lazzeretti (2003) si assiste a tale fenomeno per alcune motivazioni: 1) specializzazione delle nuove aziende su pochi articoli; 2) decentramento di alcune fasi della lavorazione; 3) sviluppo della meccanizzazione e diffusione di nuove tecniche; 4) riduzione del costo della manodopera; 5) divisione di una singola impresa tra i vari soci con annessa creazione di nuove unità produttive.

Un drastico cambiamento è dovuto alla crisi conosciuta come “stock market downturn 200210”, all’impatto di politiche italiane ed estere e all’entrata in scena di artigiani e altre

8 Uno A Erre nasce nel 1926 ed ha attivato rilevanti processi di gemmazione imprenditoriale diffusi nel

territorio e trasferimento di innovazione. Inizialmente il suo nome originale è Gori & Zucchi in seguito modificato.

9 Nuova Tecnica della elettroformatura che ha permesso, anche in anni più recenti, di produrre gioielli di alto

effetto che hanno contribuito allo sviluppo dell’alta oreficeria aretina.

10 Ha interessato l’America del nord, l’Europa e l’Asia è dovuta al crollo del prezzo delle azioni e ad una

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aziende che hanno avuto strategie autonome e diversificate rispetto a quella leader: “Bon Compagni Luciano”, “AR S.P.A” e “Fratelli Chini S.R.L”. Il settore orafo mostra una variazione locale migliore rispetto a quella nazionale, dando prova di una notevole resistenza. Da sempre importante è il ruolo dell’Italia nell’esportazione di prodotti di oreficeria e gioielleria ma è proprio dal 2002 al 2004 che si assiste ad un fenomeno inverso. Infatti il vertiginoso aumento del prezzo di metalli preziosi ha influito sulla domanda estera facendo diminuire il numero di esportazioni senza precedenti, anche se i maggiori partner commerciali restano: Stati Uniti, Turchia, Panama, Emirati Arabi uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Spagna, Australia e Hong Kong. Rilevante è il ruolo della Svizzera che delega una parte rilevante delle lavorazioni in oro all’Italia per la sua tradizione dell’orologeria. Dall'inizio della crisi finanziaria del 2008, la domanda interna si è quasi completamente fermata per cui gli unici mercati dinamici sono quelli esteri, ma non privi di incognite: la quasi esclusiva dipendenza da essi comporta rischi per fattori che sono indipendenti dalle strategie poste in atto dalle imprese stesse (accanto al rischio tradizionale del cambio di valuta, vi sono attualmente criticità: crisi finanziaria e fattori geopolitici). Dal 2010 circa, si è registrata una più agguerrita concorrenza di altri paesi produttori: l’Italia ha perso il ruolo di primo player mondiale. Si tratta di una concorrenza estera primariamente di prezzo ma non solo: un ruolo di rilievo hanno avuto anche i cambi di moneta (caso eclatante è la perdita nei mercati degli USA, dovuta al maggior valore dell’euro sul dollaro), ma anche il miglioramento della qualità dei prodotti offerti da altri paesi. Per quanto riguarda le importazioni, il settore orafo esiste grazie agli scambi con Sud Africa, Stati Uniti, Australia e Russia.

È da evidenziare che le imprese del settore sono in grado di gestire il cambiamento: si sono dimostrate più dinamiche nel modificare anche la propria strategia commerciale al fine di trovare un equilibrio tra una solida base tecnologica e una buona organizzazione finanziaria. Emergono ancora alcuni costanti punti di debolezza del distretto orafo aretino: la dimensione piccola delle imprese che non consente la presenza di brand affermati e la scarsa attenzione al marketing da cui deriva una diffusa difficoltà a sviluppare una efficiente politica di marchio e comunicazione. Le imprese non attuano cospicui investimenti per migliorare il design, l’immagine del prodotto nei mercati e la tipologia del materiale impiegato nelle lavorazioni, ovvero fattori che aiuterebbero probabilmente a riposizionare la produzione orafa aretina nei mercati nazionali ed internazionali. Tuttavia, evoluzioni in merito non mancano: dal 2013, Unioncamere è impegnata nella diffusione della cultura dell’innovazione digitale con lo scopo di sensibilizzare le piccole e medie

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imprese verso un maggiore utilizzo delle ICT, con l’obiettivo di diminuire il divario geografico e accrescere i vantaggi apportati da tale servizio. Si riscontra anche un proattivo atteggiamento delle imprese nei confronti delle nuove esigenze dei consumatori: prezzo più contenuto attraverso utilizzo di percentuale maggiore di metalli meno “nobili” (ottone o argento) ma con caratteristiche del tutto simili ai gioielli in oro, poiché quest’ultimo diventa un bene accessorio che entra a far parte dell’immagine personale e che quindi presuppone un ricambio più veloce rispetto al passato. A migliorare il ruolo di Arezzo nel settore preso in analisi, vi sono eventi come la mostra internazionale dell’Oreficeria e Argenteria Aretina11: rappresenta circa 1200 piccole e medie imprese in continua ricerca di nuove tecnologie e qualità con particolare attenzione ai dettagli per l’accuratezza nella produzione. L’osservatorio Oro-Moda che ha il compito di monitorare in modo permanente i tre distretti aretini: il tessile-abbigliamento, il pelli-cuoio-calzature e l’orafo. Oltre tale azione, definisce le strategie di comparto e le politiche economiche ed industriali, per accrescere lo sviluppo delle attività distrettuali. E’ stato istituito presso l’organismo IDI12 che svolge un ruolo attivo per adottare politiche funzionali all’attività dei distretti aretini, occupandosi di una complessa attività di sviluppo locale e promuovendo processi di formazione, innovazione e internazionalizzazione e sostenere l’occupazione. Il Consorzio Arezzo Innovazione13 ha l’obiettivo di svolgere le attività necessarie per sviluppare

“quanto connesso alla produzione manifatturiera effettuata nel territorio della provincia di Arezzo”. La nascita della Federazione nazionali Orafi Argentieri Gioiellieri Fabbricanti14

che comprende la quasi totalità delle imprese industriali del settore le quali offrono lavoro a seimila addetti e trasformano in gioielli il 70% dell’oro lavorato in Italia e li esportano in tutto il mondo. E, ancora, la Federazione Nazionale delle imprese Orafe Gioielliere Argentiere Orologiaie15 che svolge sia un’opera di tutela sindacale che azioni per la crescita in termini di professionalità del settore.

La diffusione delle conoscenze tecniche è garantita dalla presenza di varie specializzazioni orafe all’interno delle scuole secondarie di secondo grado con indirizzi professionali, che trasmettono le capacità, le conoscenze e le abilità nella lavorazione dell’oro. Inoltre, massiccia è la presenza di scuole specializzate in corsi di formazione

11 “OroArezzo”, Organizzata dal Settembre 1980, la fiera si svolge annualmente, in primavera ed accoglie gli

operatori del settore nazionali e internazionali; tuttavia, durante l’arco dell’anno sono organizzati particolari eventi sostenuti da strette collaborazioni con il modo della moda.

12 Istituzione dei distretti industriali della provincia di Arezzo nata nel 2001. 13 Cai, nato nel 2003.

14 “FederOrafi”, statuito nel luglio 2012. 15 “FederPreziosi”, statuita nel giugno 2012.

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orafo, che si estendono su tutto il territorio regionale16. Negli ultimi anni si riscontra anche

un maggior dialogo tra l’Università e mondo della ricerca con diverse imprese dei settori professionali per un continuo supporto di idee e progetti innovativi al fine di creare nuovi prodotti processi e modelli di bussiness.

1.3 Il settore orafo in Italia: un confronto

La produzione orafa italiana rappresenta motivo di orgoglio per l’intero paese e ciò non solo in termini economici: i “distretti orafi”, oltre alla riconosciuta rilevanza qualitativa e quantitativa della produzione, vantano un bagaglio culturale inestimabile. Per quanto riguarda la produzione di oro Arezzo, Vicenza, Valenza Po’ e Napoli sono i distretti che detengono le quote di mercato maggiore per quanto riguarda la gioielleria e la produzione in oro, la città di Padova, Palermo, Firenze e la regione Marche il settore della argenterie. Inoltre, vi è un piccolo riferimento alla lavorazione dell’oro a Milano, seppur non rappresenta un vero e proprio distretto industriale e Roma che sta sviluppando, con il settore moda e abbigliamento, una sua esperienza a riguardo.

1.3.1 Valenza Po’

La lavorazione dell’oro in loco risale al 1845 quando V. Morosetti apre il primo laboratorio, con l’ausilio di due maestri alessandrini: Zacchetti e Bigatti. I loro prodotti sono destinati alla clientela locale, con una produzione incentrata sulla bigiotteria; la produzione è diventata di un certo prestigio servendosi di tecniche maggiormente raffinate, con l’ausilio di incisori, orefici, smaltatori e pulitori. Successivamente, V. Melchiorre17

apre un laboratorio con una produzione nettamente superiore alla media di Valenza e il suo esempio ottiene un gran seguito. Dunque, l’origine della produzione orafa valenziana nasce dall’intreccio delle conoscenze acquisite all’estero e quelle locali, servendosi di una mano d’opera qualificata.

Come per la maggior parte dei distretti industriali, più in generale di tutta l’economia italiana, si assiste ad un vero boom economico fino agli anni ‘70 del’900: con l’avvento della “prima crisi energetica” la domanda interna cala trattandosi di beni di lusso. Pertanto, è richiesta una profonda trasformazione della struttura commerciale tradizionale: necessaria è stata la creazione della “Società di vendita” e l’associazione orafa Valenziana. Entrambe si occupano della partecipazione a fiere e mostre a livello internazionale, per

16 ScuolaLeArtiOrafe, Scuola di tecnica de disegno orafo del Metallo Nobile affiancati da diversi Istituti

Statali.

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sopperire alla diminuzione di produzione nel territorio italiano. Negli anni ‘90, il distretto viene riconosciuto dalla regione Piemonte, compresa l’area di otto comuni di cui tre lombardi noti per il processo di “gemmazione”.

Oggigiorno, la filiera produttiva è completa: gioielleria, lavorazione di pietre preziose e bigiotteria. Nel 2007, il settore risente della più agguerrita concorrenza straniera, infatti le esportazioni diminuiscono radicalmente. Valenza, ma in generale l’intera penisola italiana importa la materia prima da: Olanda, Stati Uniti e Africa. Una costante sono i punti sfavorevoli che accomunano i distretti industriali orafi italiani: 1) criticità della funzione di commercializzazione; 2) limitate azioni di marketing e pubblicità; 3) eccessiva dipendenza delle imprese distrettuali di grandi firme internazionali di gioielleria. Non mancano punti di forza del distretto che si caratterizza per alcune specialità tipiche della regione: 1) presenza di lavoratori qualificati, con conoscenze trasmesse e assimilate direttamente “on the job”18; 2) massiccio patrimonio di know-how tecnico e professionale; 3) rapporti densi

tra le imprese ed elevata propensione all’imprenditorialità; 4) presenza in loco di Università e Politecnico.

A sostegno dell’attività produttiva vi sono azioni svolte dall’associazione orafa valenziana19 che rappresenta più di 500 aziende e contribuisce alla diffusione

dell’immagine del prodotto del distretto, tutelando anche gli interessi della categoria. L’associazione è tra i promotori del Consorzio del marchio DIVALENZA, a tutela dell’alta peculiarità del gioiello prodotto interamente dal distretto e lavora in congiunzione con la camera di commercio di Alessandria. Da ricordare, inoltre, la mostra internazionale di gioielleria oreficeria e pietre preziose riservata ai dettaglianti e grossisti, la quale affianca dal 2013 Valenza Gioielleria Prestige, una innovativa manifestazione aperta al pubblico. La società dall’omonimo marchio DIVALENZA certifica e garantisce i prodotti provenienti dal distretto al fine di garantirne la qualità e le caratteristiche culturali e creative provenienti dalla tradizione orafa Valenziana.

Infine, il distretto si contraddistingue per una connotazione bipolare: vi è la presenza di poche aziende di grandi dimensioni che presiedono tutte le funzioni tipiche di una industria manifatturiera e di numerose aziende artigiane che lavorano su commessa.

18 Training on job o anche detto mentoring, consiste dell’affiancare un team di sviluppo nelle attività

progettuali, completando il percorso di formazione con partecipazioni a corsi e conferenze.

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1.3.2 Vicenza

Vicenza rappresenta uno tra i distretti più antichi al mondo: alcuni monili in oro sono risalenti all’epoca paleo-veneta, circa II-I secolo A.C.. Risale al 1300 un primo documento “Fraglia degli Orafi di Vicenza” che certifica l’esistenza di una fiorente attività nel settore (circa 150 artigiani). Negli anni, si assiste all’influenza della Repubblica Serenissima di Venezia che richiede manufatti di grandissimo pregio artistico per affermare ancor di più il loro potere. Con il trascorrere del tempo e la persistente domanda si assiste ad un vero e proprio proliferare di botteghe ed artigiani tanto da rendere Vicenza e Bassano del Grappa i poli più importanti sul territorio.

La connotazione produttiva di tipo industriale nasce solo nel 1800, con lo sviluppo di decine di imprese, prevalentemente a carattere industriale capaci di soddisfare e prevenire le tendenze di moda dei prodotti. Differentemente dalla storia degli altri distretti orafi italiani, quello vicentino conosce, negli anni ’70 del ‘900, una massiccia espansione per l’utilizzo di pratiche del tutto sconosciute ai concorrenti nazionali determinando una importante diversificazione di prodotto e tecniche di commercializzazione. Le imprese sono, infatti, le prime a puntare sulle economie di scala tramite l’utilizzo di macchinari che permettono una elevata produzione, garantendo economicità ed efficienza. Nei primi anni del XXI secolo, si assiste ad un fenomeno di tendenza inversa: molte imprese perdono ingenti numeri di lavoratori e riducono le loro dimensioni, seppure riuscendo a restare nel mercato.

In genere i prodotti sono catene, medaglie e cinturini: negli ultimi anni la gamma produttiva risulta ampliata e diversificata. Si tratta di oreficeria fine e mini-gioielleria che si differenzia da quello tradizionale per una forma più leggera e una percentuale di metalli inferiore. Il polo vicentino continua ad essere riconosciuto per una produzione orafa di fascia alta, in grado di dar vita a gioielli di qualità e valore.

Il distretto gode di alcune particolarità che la rendono competitiva, a livello nazionale e non solo: 1) flessibilità produttiva; 2) forte orientamento ai mercati esteri (negli ultimi anni, si assiste ad un calo di export dovuto non solo alla concorrenza di altri paesi, ma anche alla scarsa affermazione del luogo di origine del distretto poiché scarsa è l’affermazione del brand e contestualmente all’affermarsi di sistemi fieristici di altri paesi); 3) esistenza di una filiera completa: aziende, botteghe artigiane, centri di formazione e di ricerca, laboratori. Le criticità riguardano le imprese che non svolgono sufficiente attività di marketing, di innovazione nella ricerca e nel design del prodotto. Una grave conseguenza della crisi economica è quella della contrazione del credito al sistema

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imprenditoriale che, seppur sostenuto dalla rete di consorzi, determina una situazione di stallo del settore che potrebbe essere non più sostenibile dalle piccole e medie imprese. Inoltre, la contraffazione rappresenta una grossa minaccia per le imprese del distretto vicentino (e non solo). Per far fronte a tale situazione, le aziende si sono unite, svolgendo una azione di lobby presso il Ministero delle Attività Produttive: il patto sancisce la nascita di due comitati che hanno il compito di coordinare e pianificare le azioni del distretto. Il primo segue le strategie e le politiche di distretto; il secondo è di natura tecnica e si occupa di attuare e gestire le singole iniziative. Tra gli scopi di tale patto, vi è una particolare attenzione alla ricerca20 di nuovi modelli di produzione e trasferimento tecnologico di conoscenze del settore; vantaggi in termini di defiscalizzazione come incentivo specialmente alle aziende di piccole dimensioni e ancora abbattimento di dazi doganali.

Importante per il comparto è il ruolo giocato dalla fiera di Vicenza: polo internazionale per la gioielleria che vanta un elevato senso tecnologico e artistico, sostenuto da una antica tradizione storica. La fiera propone quattro appuntamenti annuali: 1)VICENZA ORO WINTER, solitamente in gennaio, in cui le aziende presentano le nuove collezioni; 2) VICENZAORO T-GOLD, in cui si presentano i macchinari più all’avanguardia dell’oreficeria e preziosi e strumenti per la gemmazione; 3) VICENZA ORO SPRING, in cui si mostra la collezione di gioielli estiva ma che di solito riceve meno affluenza dell’evento winter; 4) infine, VICENZA ORO FALL che è concepito come momento di condivisione tra le ditte interessate e in cui si presentano le collezioni natalizie. Comune è l’idea di creare una struttura di esposizione permanente, ipoteticamente un museo, che contenga la storia della lavorazione dell’oro con annesso una sezione dedicata alle tecnologie più evolute per la lavorazione dei metalli preziosi.

Dunque, si riscontra la volontà del distretto Vicentino di essere un centro, non solo di produzione, ma anche di commercializzazione: l’evento è sponsorizzato da un canale TV che si attiva in occasione delle succitate fasi della fiera “VICENZA ORO channel”; presente è anche un Magazine specializzato che contiene informazioni mirate sui prodotti, sulle tendenze e i mercati “VIORO MEGAZINE”. Pertanto tale fiera richiama visitatori da ogni parte del mondo, rendendo la città-capitale italiana della produzione orafa.

20 L’indagine è sviluppata in collaborazione con diversi enti, in modo particolare il CNR (Consiglio

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1.3.3 Napoli

Il proto-distretto orafo campano ovvero l’area dove è possibile la nascita di un nuovo distretto industriale, ha origini molto antiche: dal 1594 si registra la presenza di alcuni laboratori orafi che lo stesso sovrano Federico II di Svevia ha protetto, garantendo una elevata qualità dei prodotti (Reti di impresa, 2013).

Nella seconda metà del XIII secolo, Carlo II d’Angiò provvede a stipulare la prima corporazione degli orafi “la nobile arte degli orefici”, con lo scopo di garantire una collaborazione ad hoc tra i produttori e i clienti. Particolare è l’attenzione alla qualità del manufatto ed infatti, pochi anni dopo, è stato imposto l’obbligo del “punzone” a specificare il titolo dei metalli utilizzati. È però, solo dal 1400 che si sviluppa una vera e propria scuola napoletana dell’oro che si estende nel quartiere Pendino21, una zona limitata nella

città napoletana. Durante il dominio spagnolo, la produzione si concentra su collane e medaglie; lo stesso re Carlo di Borbone, nel’700, nomina l’orafo un membro ufficiale del suo staff, incoraggiando con diverse attività di ricerca un continuo progresso delle tecniche di lavorazione. Contestualmente, si incrementa anche la lavorazione dell’argento della quale si occupano oltre 600 botteghe in loco. La produzione conosce un fiorente incremento grazie alla ascesa della borghesia che tramite il possesso di oggetti, monili e gioielli in oro e argento, afferma la sua posizione sociale. Una peculiarità, tutta partenopea, è il ritrovamento di minuscoli gioielli ovvero i “pastori” che venivano utilizzati per adornare il presepe.

Verso la fine dell’ottocento, si abolisce la corporazione e si dà vita ad una serie di norme e benefici fiscali per gli artigiani. Inoltre, si assiste alla diffusione della bigiotteria destinata in prevalenza alle classi medio-alte del regno. Nonostante gli effetti dei venti rivoluzionari, tipici del XIX secolo, si registra una massiccia presenza di botteghe e laboratori. Nel novecento, la seconda guerra mondiale e i bombardamenti hanno distrutto la città e il centro antico, ma si presenta, presto, il ripopolamento del Borgo che prosegue la sua vocazione artigiana. Molto antica risulta la lavorazione del corallo e del cammeo, nella zona di Torre del Greco: già nel ‘500, sono migliaia le imbarcazione armate “coralline” adatte per la pesca del corallo, ma è solo nell’800 che ha inizio la lavorazione del corallo, ancora in corso oggi, grazie all’interessamento dei re Borboni.

Attualmente la produzione, l’ingrosso e il commercio sono divise tra le aree di Napoli, dove sono presenti botteghe artigiane e commercio; Marcianise, con una summa di attività

21 Conosciuto oggi come “Borgo Orefici” dove sono giunti i primi maestri francesi al seguito degli angioini

affiancati, successivamente, dagli artigiani locali; è stata la regina di Napoli, Giovanna d’Angiò la prima che porge un riconoscimento ufficiale alle botteghe artigiane.

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dalla produzione alla distribuzione e Torre del greco con la sua specializzazione in coralli e cammei, con una vasta occupazione e una esportazione in crescita. Nonostante la specializzazione sia legata all’oro, all’argento, il core business è la lavorazione di gemme naturali e preziose. Sebbene il distretto si è dotato di molteplici punti di forza tali da renderlo competitivo a livello nazionale, come 1) capacità creativa degli artigiani; 2) design e qualità esclusiva; 3) innovazione di processo22 e di prodotto; 4) flessibilità e adattabilità alle nuove domande dei clienti, molteplici sono fattori per i quali si può definire quello campano un distretto ancora in evoluzione: 1) la dimensione aziendale ridotta; 2) mancanza di un vero e proprio coordinamento delle imprese nei territori; 3) produzione circoscritta a limitate aree geografiche. Per l’appunto, nel 2009, la regione ha istituito l’azione “reti di impresa” volto ad accrescere la capacità innovativa e competitività del mercato, creando sistemi duraturi per le aree territoriali simili o complementari dal punti di vista produttivo.

Con l’avvento del XXI secolo, anche il consorzio “Antico borgo orefici” organizza una attiva partecipazione degli operatori delle zone più caratteristiche di Napoli alla valorizzazione dell’area e dell’artigianato. E ancora, nell’area di Marcianise vi sono le iniziative del Tarì e di OroMare. Il primo accorpa circa 300 aziende e si occupa di due fiere specializzate nel settore con la presenza di non pochi operatori esterni. Atteggiamento proattivo è riscontrato anche da parte degli imprenditori: nasce nel 1996, “la città dell’oro” con lo scopo di creare spazi al di fuori dell’hinterland napoletano, dove allestire locali più ampi e servizi adeguati alle richieste. Sono molteplici le varie scuole e corsi di formazione di orafi, design, gemmologi ed esperti informatici che danno vita a svariati laboratori creativi. OroMare nasce in seguito all’esigenza di unificare piccole e medie imprese artigiane che si dedicano alla produzione e commercializzazione del corallo, offrendo il

know-how tipico napoletano e i servizi necessari per far apprezzare i manufatti sia a livello

nazionale che internazionale.

Oggi, quello campano è un distretto industriale in fase ancora embrionale e coinvolge un elevato numero di piccole e medie imprese delle quali solo poche note all’estero.

22 Tecnica di lavorazione tipica partenopea è l’ageminatura che consiste nell’incastro di piccole parti di uno o

più metalli, di vario colore, in sedi appositamente scavate (oro su argento), per ottenere una colorazione policroma e Champlevè: le cavità vengono riempite con pasta vitrea, al termine tutte le parti vengono levigate.

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1.3.4 Milano

La lavorazione dell’oro è risalente all’alto medioevo quando Milano è sede di numerosi artigiani ed esperti collocati per la maggior parte nella famosa via degli Orefici. Differentemente dalle altre città sedi dei laboratori orafi, la capitale lombarda non è nota per particolarità di processo o innovazione di prodotto, né tanto meno per un utilizzo di specifici materiali. Ciò che la caratterizza, fin dal’400, sono le qualità immateriali: rapidità di azione e efficienza nel soddisfare la domanda. Oggigiorno, per la situazione economica di stallo del paese, anche Milano ha perso la sua competitività.

Altro aspetto da sottolineare è che, nonostante il comparto orafo lombardo abbia una peculiare coesione territoriale, basata su una coesione di progetto, produzione, formazione, promozione e comunicazione, non è riuscito a unire tali forze. Mancano, infatti, progetti condivisi e strategie comuni, differentemente dai settori di punta dell’hinterland milanese: moda e disign. Per l’appunto non vi è presente per il settore un distretto industriale.

Non sono mancati interventi regolamentativi: nel 2006, la camera di commercio di Milano e la CISGEM23 ha emanato “nuove norme sulla qualità” dei prodotti gemmologici. Infatti sono presenti dei servizi specialistici richiesti dal mercato: la certificazione di gemme (pari ad una normale carta di identità, emanata dalla Camera di Commercio di Milano), certificazioni aggiuntive, di Lotti e saggio facoltativo: queste ultime tre per implementare l’esportazione. I punti di forza non mancano, si assiste alla presenza dell’ufficializzazione del corso di laurea “Scienze e tecnologie orafe” presso l’università statale Bicocca e corsi di formazione presso alcune scuole specializzate.

Attivo è il ruolo giocato dall’associazione orafa lombarda24, che organizza eventi,

mostre e partecipa alla riconoscimento e valorizzazione delle attività professionali e commerciali degli associati, oltre ad attività di formazione.

1.3.5 Roma

Il settore tessile, dell’abbigliamento e della moda (in cui risiede il settore orafo) occupa una posizione rilevante e di grande qualità. Roma è sede delle migliori sartorie internazionali che, frequentemente utilizzano filamenti e gioielleria. Il suo territorio e la sua immensa risorsa di creatività articolata nella moda, nell’arte e nel design rappresentano una grande potenzialità per il settore moda in tutta la penisola, in termine di immagine e di risorse industriali sia di creatività e di cultura.

23 Centro informazioni e servizi gemmologici nata nel 1945, costituisce un punto di riferimento non solo per

il settore lombardo, ma per tutte le città italiane

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1.4. L’evoluzione del quadro economico: Arezzo e il confronto con l’Italia

La posizione baricentrica della città di Arezzo è stata fin dall'antichità elemento chiave per il fiorire delle attività economico-commerciali. Questa caratteristica geografica continua, anche oggigiorno, a contraddistinguere la città quale "snodo strategico" nell'ambito delle grandi direttrici di sviluppo infrastrutture25.

In considerazione delle grandi aree economiche in via di sviluppo nel basso medioevo, la città si trova a cavallo tra quella toscana e quella che dalla Romagna giunge al regno meridionale. Nell’analisi dell’economia aretina, questa prima caratteristica è da tener presente poiché è stato ed è tutt’ora uno dei fattori produttivi della città: sono stati favoriti contatti economici non solo con la grande metropoli di Firenze, ma anche con Genova e Pisa. Grazie allo sbocco sul mare delle due realtà cittadine è stato possibile esportare e importare i beni, contribuendo allo sviluppo e l’affermazione del sistema produttivo aretino.

L’economia di Arezzo è dedita all’agricoltura e all’allevamento del bestiame, specialmente al commercio e all’intermediazione dei prodotti agricoli, nella zona della conca del Casentino. Infatti la fertilità del terreno e l’abbondanza di acqua hanno creato precocemente un ambiente favorevole allo sviluppo. Altro fattore produttivo, è stata la presenza dell’impianto di una cartiera vicino Sansepolcro, che nel 1300, dà prova di ulteriore vivacità economica e capacità imprenditoriale della provincia.

Fin dal 1200 si riscontra un forte tessuto artigiano (con ben sessantacinque qualifiche diverse ed estranee all’agricoltura) che copre svariati settori produttivi: 1) laniero, che è stato fino al XIX secolo quello di punta; 2) del cotone, in cui ancora oggi si concentra l’attenzione degli studiosi; 3) della seta; 4) del ferro, dedita alla produzione di armi; 5) del rame, utilizzato frequentemente per costruire oggetti di uso comune; 6) dell’argilla che è stata utilizzata per la costruzione di edifici; 7) della pelle e del cuoio che prende origine dell’antica arta dei “lanaioli”. La vera ricchezza è rappresentata dal guado, dalle cui foglie, opportunamente trattate, si ricava una sostanza di tintoria per la colorazione del pellame e dalla robbia, altra essenza di tintoria costosa che ha consentito profitti maggiori. Una vera svolta è la nascita di vetrerie ovvero piccoli laboratori per fabbricare utensili, vetri per uso domestico e per chiese.

25 Nel 2007, la CCIAA si è attivamente impegnata a seguire alcuni progetti di sviluppo infrastrutturale, con lo

scopo di migliore le vie di comunicazioni stradali, dell’interporto e dei collegamenti ferroviari. Segue la valorizzazione dell’aeroporto e diversi poli fieristici.

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Nel medioevo, si registrano due caratteristiche della realtà aretina che hanno il pregio di avvalorare il tessuto artigiano: la propensione ad associarsi in compagnie (seppur di piccola taglia) per condure iniziative in qualsiasi ambito economico e la facilità di accesso al credito, venendosi così a creare una rete fittissima di interessi che coinvolgono l’intera città e che ne permettono, dunque, un celere sviluppo, supportato anche dalla facilità di prestito di denaro (Barlucchi, 1997).

Nell’800, punto di svolta per l’economia è stata la costruzione di tre linee ferroviarie e nascono le prime fabbriche di materiale rotabile che hanno favorito la posizione di Arezzo tra Firenze e la capitale, e favorendo lo sviluppo di industrie chimiche e metalmeccaniche che hanno svolto un ruolo cruciale per la ricostruzione dell’ultimo dopoguerra. La seconda metà del ‘900, ha visto fiorire la famosa produzione dei metalli preziosi, ed anche il settore moda e abbigliamento: il sistema moda.

Accanto alla lavorazione dell’oro e dell’argento, sono diffuse ancora oggi l’arte della ceramica aretina che spazia dalle terrecotte alle terraglie e a quella antica del mobile, grazie alla quale vengono realizzati oggetti di stile rinascimentale, rustico e moderno.

Grazie ad una costante e imponente presenza di artigiani all’interno della provincia di Arezzo, nel 1946, nasce Confartigianato Arezzo26.

La nascita di questa associazione ha dato vita negli anni ad una serie di benefici agli artigiani, alla produzione e all’intera economia della provincia. Per citare lo stesso ente: “La vita di un organismo associativo è analoga a quella di un uomo ed è quindi utile di tanto in tanto, soffermarsi a riflettere su ciò che è stato fatto e su quello che si è diventati perché, serenamente, si possono trovare la forza, i presupposti e le motivazioni giuste per pensare al futuro in termini di progetto e di interventi specifici”. Per l’appunto, dagli anni ‘50 del ‘900, si assiste ad una serie di leggi che garantiscono l’autonomia degli artigiani sia in campo contrattuale sia nei rapporti socio-economici con le altre realtà territoriali. In risposta alla crisi degli anni ‘70 e all’inflazione del prezzo, l’artigianato aretino sviluppa il movimento consortile e cooperativistico, dando vita ai sindacati di categoria con lo scopo di allargare le possibilità di produzione e commercializzazione. Gli anni ‘80 hanno influito sul potenziamento dei servizi, dell’informazione e formazione; iniziano a pullulare le iniziative fieristiche, mostre ed eventi.

Una panoramica della situazione economica di Arezzo, negli ultimi anni, è ben rappresentata dal “Rapporto sulla Provincia di Arezzo” presentato dalla Camera di Commercio, Industria Artigianato e Agricoltura durante la Giornata dell’Economia,

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disponibile sul sito CCIAA: l’esposto si occupa del tessuto imprenditoriale, concernente il settore manifatturiero, del commercio, artigiano e turistico (ove presente); inoltre, si presenta un raffronto tra l’Italia e Arezzo. L’dea è quella offrire un quadro generale della situazione negli ultimi dieci anni.

Nel 2006, la base imprenditoriale italiana si è accresciuta, aumentando in maniera rilevante lo stock delle imprese iscritte al Registro delle Imprese, generando un saldo positivo tra la nascita e la mortalità delle imprese. L’economia toscana ha mostrato dopo circa 5 anni, alcuni incoraggianti segnali di ripartenza: grazie alla spinta degli ordinativi esteri, la produzione è accresciuta e il fatturato ha raggiunto il 3,3% (un dato simile si era raggiunto solo nel 2000). Ad Arezzo, le imprese attive al 2006 sono 34.245 e decisamente superiore al dato nazionale sono le società più evolute con la soglia di 5.000 addetti, come per le società di capitali che hanno avuto un trend positivo e come l’imprenditoria extracomunitaria che segna una crescita ingente. È un progresso che esalta la dinamica dei settori in crescita, ma rappresenta un limite per le attività in perdita. A dimostrazione di ciò, si evidenzia un rallentamento significativo del settore agricolo che ancora ricerca la dimensione ottimale di produzione e del manifatturiero che presenta un assetto eterogeneo. La moda segnala arretramenti pesanti, ad accezione della pelletteria e del commercio, soprattutto quello in dettaglio. In difficoltà sono le attività tradizionalmente presenti nel territorio: lavorazione del legno e della ceramica. In crescita sono: il settore delle costruzioni e delle attività/servizi alle imprese. L’export ha attraversato una fase critica, specialmente nei primi mesi dell’anno, i motivi risiedono nelle difficoltà del settore manifatturiero (flessione marcata della moda e l’aumento del prezzo dei metalli preziosi del settore orafo), nell’ultima fase dell’anno si assiste ad una forte accelerazione nella ripresa che riguarda proprio l’oreficeria, moda e meccanica &elettronica.

Il 2007 mostra i primi segnali della decrescita della produzione italiana: infatti, si registra il tasso di crescita più contenuto tra i principali paesi industrializzati, le motivazioni sono da ricercare nelle criticità strutturali della stessa economia nazionale, per citare i punti più critici (molti dei quali sono presenti ancora oggi e che influiscono ingentemente sulla economia del paese): 1) elevato debito pubblico; 2) eccessiva frammentazione del sistema produttivo; 3) forte dipendenza energetica dall’estero; 4) difficoltà nelle relazioni banche-imprese; 5) elevata pressione fiscale; 6) alti costi e lentezza burocratica. Le imprese italiane affrontano il cambiamento negativo del ciclo economico che, come sappiamo, penalizzerà il paese in misura maggiore rispetto alle principali economie dell’Unione. Un primo elemento che segnala l’inizio di una crisi più

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ANDRICCIOLA Maria Carmela (Sostituto procuratore Isernia) magistrato addetto al settore penale. QUARANTA Elena (Magistrato sorveglianza Campobasso) magistrato addetto al

SERRI Maria Rita (Giudice tribunale Reggio Emilia) magistrato addetto al settore civile. LOSAVIO Paola (Consigliere corte appello Bologna) magistrato addetto al

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