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Alcuni spunti recenti sul confine tra definizione e discrezionalità nel diritto penale

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Academic year: 2021

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Classe accademica di Scienze Sociali

Settore di Scienze Giuridiche

Diploma di licenza

ALCUNI SPUNTI RECENTI SUL CONFINE TRA

DEFINIZIONE E DISCREZIONALITÀ NEL DIRITTO PENALE

Relatori

Chiar.mo Prof. A. di Martino

Chiar.ma Prof.ssa Gaetana Morgante

Scuola Superiore Sant’Anna

Candidata

Barbara Occhiuzzi

Allieva ordinaria

Anno Accademico

2016/2017

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«Le leggi statistiche delle scienze sociali vedono accresciuto il loro ufficio, che non è soltanto quello di stabilire empiricamente la risultante di un gran numero di cause sconosciute, ma soprattutto di dare della realtà una testimonianza immediata e concreta. La cui interpretazione richiede un’arte speciale, non ultimo sussidio dell'arte di governo» E.MAJORANA,Il valore delle leggi statistiche nella fisica e nelle scienze sociali

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ALCUNI SPUNTI RECENTI SUL CONFINE TRA DEFINIZIONE E DISCREZIONALITÀ NEL DIRITTO PENALE

Introduzione – 1. La prospettiva di indagine. – 1.1. Un’occasione storica per le

definizioni: la codificazione. – 2. Definizioni del legislatore e ridefinizioni del giudice. – 2.2. Il problema della legalità in materia penale – 2.3. Il diritto vivente: l’esempio del concorso esterno in associazione mafiosa. – 2.4. La costruzione interpretativa della fattispecie di concorso esterno. – 2.5. Limiti al criterio di prevedibilità in materia penale. – 2.6. Le suggestioni di politica criminale nella funzionalizzazione dei processi di contiguità alla mafia. – 2.7. Se l’interprete costruisce ex nihilo i termini della premessa maggiore: ragioni dell’impossibilità sistematica del law – making sino al divieto di interpretazione analogica. – 4. Processi decisionali automatizzati e diritto penale. – Conclusioni.

Introduzione

Il presente elaborato si propone di individuare i principali interrogativi emersi in alcune ipotesi di particolare attualità che richiamano il dibattito teorico sui metodi di definizione del penalmente rilevante ora nell'operazione di selezione e bilanciamento di interessi compiuta in prima istanza dal legislatore al momento di definizione della fattispecie, ora nell'attività creativa del giudice. La tesi si propone dunque di approfondire I processi di selezione del penalmente rilevante nella definizione della fattispecie e nell'opera di interpretazione, analizzando la definizione positiva come strumento con funzione di limite e come questa viene intesa nei due termini del fenomeno. L'elaborato guarda inoltre ai metodi di definizione legislativa (dalle fattispecie vaghe all' "ansia descrittiva") ai metodi di definizione giurisprudenziale (in particolare: il precedente rilevante). La riflessione si sviluppa con riferimento a due casi studio: il dato statistico ed i processi decisionali automatizzati.

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Un profilo centrale nella trattazione del problema dei rapporti tra definizione e discrezionalità nel diritto penale riveste il fenomeno della c.d. crisi della legalità, che negli ultimi anni si è tradotto nei termini di una ‘nuova legalità’ di carattere inteordinamentale e polisemantica, una legalità integrata. Si pone, dunque, in questo senso, un primo problema di carattere definitorio, che investe un nuovo concetto di legalità in materia penale. È in funzione del carattere della prevedibilità, in cui gli elementi della definizione e della discrezionalità oggi, potenzialmente, coesistono, che le corti europee ed in particolare la Corte Europea dei Diritti Umani ha elaborato un concetto ampio di diritto in materia penale, che comprende la legislazione positiva ed il diritto di matrice giurisprudenziale. Questa concezione del diritto, da parte della Corte, è finalizzata ad un giudizio di prevedibilità della sua applicazione. In questo senso, una valutazione rigorosa della conoscibilità della legge penale deve tenere conto anche del formante giurisprudenziale. All’interno del problema della legalità si coglie un profilo di stretta connessione tra il requisito della foreseeability, inteso come prevedibilità dell’esito interpretativo della norma penale, dunque anche come capacità della stessa fattispecie di determinare in modo chiaro ed inequivocabile il profilo operativo e l’ambito di applicabilità della fattispecie. Proprio il concetto della prevedibilità così inteso e con particolare riguardo alla fattispecie di origine giurisprudenziale, non può prescindere dalla valutazione di soluzioni di carattere obiettivo che consentano di individuare un confine, dunque il preciso ambito di applicazione, per la norma penale e la fattispecie astratta, sia questa di origine positiva o giurisprudenziale.

Il problema della legalità, prospettiva costante del tema di indagine, si declina dunque e naturalmente come problema metodologico ed investe una dimensione particolare che attiene alle dinamiche tipiche dei rapporti di ‘potere’. Una simile dinamica si rintraccia non solo, e propriamente, nel ‘Dialogo tra Corti’, ma anche e precisamente nel momento decisivo di opera e selezione del penalmente rilevante che oggi non sembra essere solo mestiere del legislatore, ma anche del giudice. Il profilo metodologico attiene a quelle che possono chiamarsi ‘le nuove dinamiche della penalità’, così come definite dal Prof.

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Padovani, che richiede, se non un ripensamento delle categorie tradizionali, la definizione del retroterra di garanzie che le sorreggono e che, nonostante il succedersi degli eventi, non possono per ciò solo venire a mancare.

L’idea di fondo dell’indagine, in questo senso, risiede nella convinzione che una visione quanto più ampia dell’efficacia attuale del principio di legalità in materia penale si possa cogliere mediante una precisa analisi della ‘qualità operativa’ del paradigma giudiziale.

Di qui la predilezione per una prospettiva volta ad analizzare alcuni specifici metodi definitori che siano (o sembrino) in grado di garantire un paradigma obiettivo di selezione dell’ambito di operatività della norma penale. In questo senso, l’approfondimento incidentale sulla codificazione rappresenta l’esemplificazione di un momento programmatico e, per questo, emblematico, di definizione della portata operativa della fattispecie penali, nel quale, tuttavia, si inserisce anche un chiaro indirizzo discretivo e ‘politico’ in senso proprio. Il momento della codificazione è avvertito come necessario al momento in cui la legislazione speciale si copre di «frutti immaturi di opportunità contingenti1» e la fattispecie astratta vive una crisi che nelle parole della giurisprudenza non trova solo un modello (è il caso della c.d. «tematizzazione dal basso»), ma finanche un sostituto. Secondo quali modelli e a quali condizioni è dunque possibile ipotizzare una giurisprudenza creativa, una legalità integrata?

Da ultimo, l’impiego di algoritmi predittivi, di processi decisionali automatizzati nel procedimento penale, salvo costituire un’esperienza del tutto peculiare in materia di giudizio di pericolosità sociale (da doversi tuttavia doverosamente circoscrivere alla particolarissima esperienza statunitense), ai fini della presente trattazione rappresenta, prima di tutto, un modello. Per inciso, un modello matematico, di natura statistica e probabilistica, che pretenda di costituire un metodo garante di oggettività in precisi momenti del procedimento penale, compreso il momento interpretativo. La possibilità che un preciso calcolo

1 P. NUVOLONE, Natura e storia nella scienza del diritto penale, in Trent’anni di diritto e procedura penale, vol.

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matematico pervenga a determinare il livello di pericolosità sociale di un individuo, riesca a ponderare il rischio di recidiva e sia ragionevolmente in grado di sostituirsi al giudice penale nel fondare una sentenza di condanna, prima che un ideale illuministico, è oggi divenuta una realtà storica. Gli algoritmi predittivi sono utilizzati da anni negli Stati Uniti, e da qualche tempo anche in Europa, in specifici momenti del procedimento penale. Nulla ad oggi esclude che per loro natura, per i compiti e la funzione che adempiono, questi processori automatici di informazioni possano un giorno sostituirsi del tutto all’attività giudiziale, portando con sé vantaggi e dilemmi in grado di riscrivere o finanche superare principi fondanti il nostro sistema penale.

La presente ricerca ha inteso dunque prendere la figura degli algoritmi predittivi a modello di metodo statistico-matematico che possa risultare d’ausilio all’opera interpretativa del giudice e finanche alla costruzione della fattispecie. Il ricorso a concetti statistici nelle fattispecie astratte, ad esempio, ha rivelato una oggettività soltanto apparente. Lungi dall’essere un elemento di chiarezza dei limiti prescrittivi della norma penale, il ricorso ad un parametro di valutazione statistico tradisce un apprezzamento arbitrario della capacità operativa della norma stessa, lasciata alla sensibilità dell’interprete. Non solo si è lamentata la mancanza di rilevamenti quantitativi condotti con metodo scientifico rigoroso, ma si è anche esclusa la stessa possibilità di procedere a simili rilevamenti nell’applicazione giudiziale: il metodo statistico ha così finito per coprire opzioni interpretative viziate dall’arbitrio soggettivo. Se anche un algoritmo efficiente riuscisse ad offrire una soluzione in tal senso, questo renderebbe la fattispecie

mobile e non già determinata.

1. La prospettiva di indagine.

Il tema dei rapporti tra definizione e discrezionalità nel diritto penale è quantomai vasto e complesso, lungi dal poter essere esaurito in poche pagine, appunti sparsi e riflessioni che tutto possono avere, a riguardo, meno la pretesa di essere esaustivi. Si tratta tuttavia di un profilo, un fenomeno tanto vasto e pervasivo, da consentire appunto a poche parole di avere la pretesa di coglierne

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il riflesso, e lasciar intendere la vocazione sistematica di certi paradigmi che arrivano ad esprimere la cifra concreta della situazione spirituale di un intero ordinamento giuridico. Questo vuole essere il caso, nella presente trattazione, appunto della riflessione su alcuni “spunti” soltanto, di recente attualità, con riguardo ai quali è ipotizzabile calettare, almeno nelle forme del tentativo, gli elementi della discrezionalità e della definizione all’interno di alcune categorie del diritto penale.

La presente ricerca si propone, dunque, di individuare i principali interrogativi emersi in alcune ipotesi di particolare attualità che richiamano il dibattito teorico sui metodi di definizione del penalmente rilevante ora nell'operazione di selezione e bilanciamento di interessi compiuta in prima istanza dal legislatore al momento di definizione della fattispecie, ora nell'attività creativa del giudice. La tesi si propone dunque di approfondire i processi di selezione del penalmente rilevante nella definizione della fattispecie e nell'opera di interpretazione, analizzando la definizione positiva come strumento con funzione di limite e come questa viene intesa nei due termini del fenomeno. L'elaborato guarda inoltre ai metodi di definizione legislativa (dalle fattispecie vaghe all' “ansia descrittiva”) ai metodi di definizione giurisprudenziale (in particolare: il precedente rilevante). La riflessione si sviluppa con riferimento a due casi studio: il dato statistico ed i processi decisionali automatizzati.

Tale analisi non può prescindere dalla considerazione di determinati fenomeni che hanno inciso, storicamente, nella definizione di alcune categorie portanti il nostro sistema penale, in primo luogo il principio di legalità in materia penale. Così come maturata nel pensiero illuministico del XVIII secolo2, la formula del nulla poena sine lege3 è placidamente riportata nella rubrica della

traduzione italiana dell’articolo 7 della Convenzione europea dei Diritti umani,

2 VASSALLI G., voce Nullum crimen, nulla poena sine lege, in Dig. disc. pen., VIII, 1994, p. 280.

3 Ferma restando la distinzione tra il tema della legalità della pena rispetto a quello del precetto,

CEDU Grande Camera, sent. 8 luglio 1999, Baskaya e Oçkuoglu c. Turchia e sent. 7 febbraio 2002,

E.K. c. Turchia; MAZZACUVA F., La corte europea sul principio di legalità della pena, nota a CEDU, V

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il quale enuncia il principio di legalità dei reati e delle pene nei termini in cui «nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o

internazionale». Nelle traduzioni delle lingue ufficiali della Corte, il richiamo al

brocardo latino scompare in una traduzione letterale: no punishment without law,

pas de peine sans loi. Non solo, si può sostenere ormai che del contenuto di quella

medesima formula, di “origine e significato politico indiscutibili4”, non rimanga che il

riflesso letterale in una traduzione secondaria, andando la sostanza a dissolversi nella dimensione interordinamentale della nuova legalità penale, la c.d. legalità

integrata.

La definizione di legalità penale espressa dalla Convenzione, così come maturata all’interno della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e richiamata dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, gode di una notevole autonomia di significato ed è del tutto priva di una dimensione istituzionale5. Si tratta di due profili, quello del contenuto della legalità e quello delle sue istituzioni di riferimento, che vanno a insieme determinandosi progressivamente nella dimensione privilegiata delle Supreme Corti e spogliano il principio di quella dimensione formale e storica che le è propria sin dagli albori della letteratura giuridica dei Paesi continentali. Di fronte agli scenari descritti dalla c.d. legalità

integrata, il paradigma della crisi diventa un tratto qualificante della dimensione

giuridica attuale, presupposto logico ed allo stesso tempo profilo problematico dello studio sul principio di legalità in materia penale6. Lungi dal voler risolvere la dimensione della nuova legalità in un fatale crepuscolo degli idoli della democrazia, l’approccio metodologico che si intende assecondare

4 ROMANO M., Complessità delle fonti e sistema penale. Leggi regionali, ordinamento comunitario, Corte costituzionale, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2008, 538 ss.; DI MARTINO A., Una legalità per due? Riserva di legge, legalità CEDU e giudice fonte, in Criminalia, 2015, 91 ss.; BOSCARELLI A., voce Nullum crimen sine lege, in Enc. giur. Treccani, XXI, 1990, p. 2; O.DI GIOVINE, Come la legalità europea sta riscrivendo quella nazionale. Dal primato delle leggi a quello dell’interpretazione, in Riv. trim. dir. pen. cont., 2013, 159 ss. 5 V. VALENTINI, Diritto penale intertemporale, Giuffrè,2012,150;MITSILEGAS V., EU Criminal law,

Oxford – Portland, 2009, 107 ss.;

6 FIANDACA G., Crisi della riserva di legge e disagio della democrazia rappresentativa nell’età del protagonismo giurisdizionale, in Criminalia, 2011, 79ss.;INSOLERA G., Qualche riflessione e una domanda sulla legalità penale nell’“epoca dei giudici”, in Criminalia, 2012, 285 ss.; PALAZZO F., Legalità penale: considerazioni su

trasformazione e complessità di un principio “fondamentale”, in Quad. fior., vol. 36, 2007, 1280;A.RUGGERI, La Corte costituzionale “equilibrista”, tra continuità e innovazione, sul filo dei rapporti con la Corte EDU, in Dir. pubb. comp. Europ., 2011, 1755 ss.

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nell’approfondimento sul tema riflette piuttosto un’ideale di crisi che è anzi forse connaturale al metodo scientifico7 ed arriva ad esaltarne le potenzialità.

La complessità del tema d’indagine risiede dunque nella difficoltà a rintracciare un paradigma comune all’operatività del principio di legalità in materia penale nella dimensione europea, che possa riflettersi sul fondamento delle categorie e degli strumenti in cui si realizza la tutela penale in modo del tutto coerente ai propri presupposti di garanzia. Una simile complessità rileva accanto ad una difficoltà forse più propriamente metodologica che si pone di fronte alle “nuove dinamiche” della penalità8.

I presupposti della ricerca che qui si propone attengono ai profili istituzionali in cui si inquadra la riserva di legge in materia penale nel sistema multilivello, la definizione concettuale ed i contenuti attuali del principio di legalità e lo standard di garanzia che oggi esprime il sistema penale.

In primo luogo, la dimensione della legalità europea non gode di un riferimento istituzionale paragonabile al fondamento democratico attribuito, nell’ordinamento italiano, al corollario della riserva di legge. Quest’ultima non risulta in alcun modo contemplata dalle fonti convenzionali ed europee9, che anzi equiparano il formante giurisprudenziale al dato positivo10, in via di principio ispirate ad un sistema di common law, nel quale la certezza del diritto è tuttavia assicurata da un peculiare sistema da garanzie riferibile al rispetto della

Rule of law. È possibile rintracciare nella vicenda giurisprudenziale che coinvolge

le Corti di Strasburgo e Lussemburgo un più ampio fenomeno di «resistenza giuridica» degli Stati membri al diritto dell’Unione, una giurisprudenza della

disobbedienza11 forse idonea a porre le basi di un «lowest – common – denominator

7 PULITANÒ D., Crisi della legalità e confronto con la giurisprudenza, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2015, I, 24 ss. 8 PADOVANI T., Lezione itnroduttiva sul metodo nella scienza del diritto penale, in Criminalia, 2010 ,227ss. 9 CEDU, Grande Camera, Scordino c. Italia, 27 marzo 2003 (ricorso n. 36813/97); GRANDI C., Riserva di legge e legalità penale europea, Giuffrè, 2010.

10 MANES V., I principi penalistici nel network multilivello: trapianto, palingenesi, cross-fertilization, in Rid. It. Dir. Proc. Pen., 2012, 274;

11 MARTINICO G., La giurisprudenza della disobbedienza. Il ruolo dei conflitti nel rapporto fra la Corte costituzionale e la Corte europea dei diritti dell’uomo, in I controlimiti: primato delle norme europee e difesa dei principi costituzzionali, Napoli, 2017, 407; BERNARDI A, Presentazione: I controlimiti al diritto dell’Unione europea e il loro discusso ruolo in ambito penale, in I contolimiti: primato delle norme europee e difesa dei principi costituzionali, Napoli, 2017, VII.

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approach» dei diritti12 in cui da ultimo la Corte costituzionale italiana avanza l’ipotesi che siano le Corti nazionali interpreti esclusive del parametro di identità nazionale13 (enunciato all’art. 4, 2 TUE). Da questo tit for tat tra Corti sembra destinato ad emergere un nuovo assetto delle competenze, che si misura ora sulle dirette attribuzioni tra Corti nazionali e Corti europee (ECJ e CEDU), ora nelle definizioni dei singoli paradigmi di diritto applicabili al caso concreto. Sull’interrogativo di fondo in materia di competenza si colloca la distinzione tra attribuzioni ricavabili da un’espressa previsione normativa e le competenze che si esplicano nell’esercizio di un potere di carattere sostanzialmente legislativo, frutto di un procedimento di derivazione interpretativa dalla norma pattizia. È questo il caso della prima c.d. “regola Taricco”, rispetto alla quale la Corte costituzionale ha richiesto un chiarimento interpretativo che coinvolge direttamente una norma del Trattato (art. 325 TFUE). In modo del tutto analogo anche altre disposizioni del Trattato, così come il diritto di derivazione convenzionale e le più generali esigenze di tutela promosse in ambito europeo possono incidere sulle scelte di criminalizzazione e di discrezionalità politica.

Una definizione concettuale e sostanziale del principio di legalità risente dell’interazione tra le fonti del diritto riconducibili ai due paradigmi di riferimento, quello interno e quello internazionale. Il principio di riserva di legge nel nostro ordinamento è direttamente espressivo di una esigenza di carattere

politico, quella di «una allocazione razionale e virtuosa tra competenze e potestà politico – decisionali, e competenze e potestà di garanzia dei diritti individuali contro abusi della maggioranza e aberrazioni delle dinamiche decisionali14». Il canone di determinatezza, per quanto direttamente riconducibile ad una primaria esigenza di certezza del diritto15, nondimeno esprime un preciso intento di giustizia sostanziale strettamente connesso alla limitazione del potere punitivo. Di contro, l’indeterminatezza della fattispecie, capace di soddisfare in modo più efficace un ideale di giustizia sostanziale, nondimeno “costituisce sempre almeno una

potenziale breccia attraverso la quale il potere statale può far passare i più alti e nobili ideali

12 RUGGE,2017,25.

13 C. Cost. ord. n. 24/2017.

14 A. VALLINI, Le due legalità: quale convivenza nel diritto penale?, in Criminalia, 2013,250. 15 GROSSO,2001, 1; SINISCALCO,1969,994

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di giustizia come anche la più spietata criminalità legalizzata16». Il formante legislativo della legalità penale a livello convenzionale si rintraccia nell’art. 7 della Convenzione, nell’art. 15 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, l’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali di Nizza, richiamata in ambito comunitario dall’art. 6, § 1 del Trattato di Lisbona. La Convenzione è stata ratificata e resa esecutiva nell’ordinamento italiano con la legge n. 848/1955, andando progressivamente ad assumere, grazie anche all’intervento della Corte Costituzionale, il rango di fonte “privilegiata” di livello “sub – costituzionale”17. Tale considerazione, non comune all’interno dei Paesi membri dell’Unione18, si declina in particolare nell’ampio potenziale interpretativo delle norme contenute nella CEDU, così come applicate dalla Corte europea dei Diritti umani. Il diritto vivente concorre ad assicurare il grado di legalità convenzionale laddove «il dato decisivo da cui dedurre il rispetto del principio di legalità, sempre secondo la Corte EDU, è, dunque, la prevedibilità del risultato interpretativo cui perviene l'elaborazione giurisprudenziale, tenendo conto del contenuto della struttura normativa, prevedibilità che si articola nei due sotto-principi di precisione e di stretta interpretazione»19. I parametri qualitativi della legalità convenzionale si misurano nella accessibilità (accessibility) della norma e prevedibilità (foreseeability) dell’esito interpretativo, dovendosi intendere quali caratteristiche sostanziali del dato normativo e del diritto vivente. Il profilo problematico della definizione concettuale del principio di legalità nel sistema multilivello si sostanzia nella difficoltà di rintracciare nei parametri di prevedibilità ed accessibilità della norma penale un livello di garanzia pari o superiore ai principi di tassatività e determinatezza20.

In astratto, non sembra azzardato avanzare l’ipotesi che la legalità formale, così come storicamente intesa nei sistemi di civil law, possa entrare potenzialmente in contrasto con il formante giurisprudenziale. Occorrerà a tal fine valutare come

16 PALAZZO,1961, 189.

17 C. Cost. sentenze 348 e 349/2007; TEGA,2008,133;

18 MANES,2011,12da VON BOGDANDY CRUZ VALLÓN HUBER,2007, 170.

19 CEDU sentenze 2 novembre 2006, Milazzo c. Italia (ricorso n. 77156/01); Grande Camera 17

febbraio 2004, Maestri c. Italia, (ric. 39748/98); 15 novembre 1996, Kokkinakis c. Grecia, S.W. e C.R.

c. Regno Unito, Pessino c. Francia, Dragotoniu e Militaru-Pidhorni c. Romania, Liivik c. Estonia 20 A. VALLINI, Le due legalità: quale convivenza nel diritto penale?, in Criminalia, 2013,205ss.;

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il sistema normativo interno si integri in tal senso con quello europeo, ‘a patto’ di non arrivare a determinare, di fatto, una regressione per le garanzie sostanziali che lo qualificano. In tal senso occorre verificare, alla luce degli indirizzi ermeneutici prevalenti, la legittimità, sul piano teorico e pratico di una declinazione della legalità ancorata al rilievo formale della fonte del diritto e all’autosufficienza del testo legale. L’idea di fondo dell’indagine, in questo senso, dovrebbe piuttosto risiedere nella convinzione che una visione quanto più ampia dell’efficacia attuale del principio di legalità in materia penale si possa cogliere mediante una precisa analisi della qualità operativa del paradigma giudiziale. In questo senso risulta quantomai opportuno interrogarsi sul ruolo del giudice e delle Corti di ultima istanza, nella dimensione del “dialogo tra Corti”, delle competenze esplicite e derivate conferite a quest’ultime dalle fonti nazionali e convenzionali, il divenire delle attribuzioni rispetto alla tutela delle garanzie del diritto penale sostanziale e processuale, infine della riconducibilità astratta dei meccanismi interpretativi alle teorie dell’interpretazione e dell’ermeneutica. E questo in ragione di una contingenza storica che forse vuole dal formante giurisprudenziale qualcosa di più di una mera discrezionalità, arrivando a richiedere ‘un atto di governo’, un atto di scelta e selezione. La ricerca di una coerenza sistematica degli equilibri fattuali tra meccanismi di produzione ed applicazione del diritto si fonda su un’unità di misura fondamentale: il significato attuale del linguaggio giuridico in materia penale. Il linguaggio normativo, in primo luogo, soffre degli spasmi di “un’ansia descrittiva” poco funzionale a soddisfare i requisiti e gli scopi di tutela apprestati dai corollari di tassatività e determinatezza della legge penale. Una condizione simile arriva a costituire un fattore che influisce direttamente sul rischio dell’assunzione di un ruolo del giudice potenzialmente sostitutivo della legge nella produzione di diritto. In questo senso la riflessione sul profilo c.d. critico21 della legalità in materia penale

è piuttosto un approdo della riflessione pratica sulla coerenza sistematica del connubio tra legge e interpretazione. Ecco allora come la definizione concettuale dei singoli istituti di diritto penale risulti direttamente connessa al ruolo

21 PINO G., Legalità penale e Rule of Law, in G. PINO, V. VILLA (a cura di), Rule of Law. L’ideale della legalità, Bologna, 2016, 219

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esercitato da ciascuna Corte, alle competenze o piuttosto alle funzioni ad essa attribuita. Le potenzialità del rapporto tra il paradigma interno e convenzionale sono molteplici, probabilmente del tutto imprevedibili, se solo si tiene conto della sensibilità variabile dei giudici interni di merito e legittimità a far propria l’interpretazione delle Corti sovranazionali senza necessariamente passare per l’ermeneutica della sorveglianza22 promossa dalla Consulta. Il formante giudiziale arriva ad assumere «un ruolo decisivo nella precisazione del contenuto e dell'ambito applicativo del precetto penale», per questa ragione il discorso sulle competenze quanto la riflessione sulle garanzie nella dimensione interordinamentale deve svolgersi sulla base della parola giudiziale e sulla sua efficacia. La parola giudiziale è oggi potenziale espressione di un potere nuovo, e nel suo significato, nella coerenza di questo discorso, risiede l’unico strumento di verificabilità del funzionamento del sistema penale. Anche in questo si misura la plausibilità di un criterio fondamentale della legalità integrata, quale la prevedibilità dell’esito giudiziario23.

Una simile riflessione si compone della verificabilità di una nuova consapevolezza interpretativa, dunque del fondamento teorico idoneo ad accompagnare una diversa funzione istituzionale del giudice, ed infine dell’approccio al dato testuale, interrogativo che coinvolge l’attività di traduzione della norma giuridica e quindi la definizione e la conoscenza del suo significato. In questo senso si colloca la prova ultima della coerenza e della praticabilità del criterio della prevedibilità dell’interpretazione24.

La legalità convenzionale avrebbe, secondo taluni autori25, disvelato la inevitabile e intima componente creativa dell’attività di interpretazione. L’attribuzione alla giurisprudenza di una funzione creativa del diritto oggettivo, al pari del legislatore, dovrebbe costituire un esito coerente con le conclusioni

22 VALENTINI V., Continua la navigazione a vista, in Dir. Pen. Cont.¸ 20 gennaio 2015, 253ss.

23 VIGANÒ F., Il caso Contrada e i tormenti dei giudici italiani: sulle prime ricadute interne di una scomoda sentenza della Corte EDU, in Dir. pen. cont., 2016, 5ss.; DI GIOVINE O., Come la legalità europea sta riscrivendo quella nazionale. Dal primato delle leggi a quello dell’interpretazione, in Riv. trim. dir. pen. cont., 2013, 159ss.

24 PAPA M.,La tipicità iconografica della fattispecie e l'interpretazione del giudice, in Per un manifesto del neoilluminismo penale, a cura di G. Cocco, Wolters Kluver-CEDAM, Milano, 2016, 138.

25 VOGLIOTTI M., Lo scandalo dell’ermeneutica per la penalistica moderna, in Quad. fior., 2015, 131ss.;DI

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raggiunte dalle teoriche ermeneutiche di impianto filosofico – gnoseologico. In tal senso occorre verificare, alla luce degli indirizzi ermeneutici prevalenti, la legittimità, sul piano teorico e pratico di una declinazione della legalità ancorata al rilievo formale della fonte del diritto e all’autosufficienza del testo legale.

La compatibilità funzionale tra le due legalità è un aspetto nevralgico del tema che qui si intende approfondire. Sul punto occorre verificare la praticabilità di un criterio di legalità effettuale26 di fronte alle specifiche attribuzioni di

competenza professate dalle Corti europee e nazionali di ultima istanza. A questa riflessione si lega in particolare una necessaria attenzione per il ruolo e la responsabilità del potere giudiziario27, per l’attività giudiziale, cui spetta un compito fondamentale di chiarezza della norma penale. A ben vedere, si tratta dei presupposti di una determinazione progressiva della definizione concettuale e sostanziale della legalità, prima ancora che del contenuto della norma penale. Questo processo si amplifica in modo considerevole attraverso l’opera di recepimento e «partecipazione» delle Corti nazionali al diritto vivente, andando potenzialmente a configurare un intervento di produzione e non mera applicazione del diritto che non interessa solo le Corti di ultima istanza, ma finanche i giudici di merito28.

La verifica di un potenziamento funzionale delle garanzie dovrà infine misurarsi sull’emblematica prossimità esistente nel diritto convenzionale tra analogia ed interpretazione estensiva29, fino alla possibilità che il criterio di

ragionevole prevedibilità arrivi a sostituire, degradandone gli scopi di tutela, il

principio di tipicità in materia penale. A ciò contribuisce la naturale tendenza del diritto convenzionale a soggettivizzare i presupposti di responsabilità30 avvalendosi di parametri di natura oggettiva quanto soggettiva, spesso sensibile

26 DI MARTINO A., Una legalità per due? Riserva di legge, legalità CEDU e giudice fonte, in Criminalia, 2015,

117.

27 INSOLERA G., Qualche riflessione e una domanda sulla legalità penale nell’“epoca dei giudici”, in Criminalia,

2012,285.

28 CEDU sent. Costa Pavan c. Italia, 28 agosto 2012 (n. 54270/10).

29 A. VALLINI, Le due legalità: quale convivenza nel diritto penale?, in Criminalia, 2013,270;MAZZACUVA,

2010,370ss.

30 MANES,274;VALLINI,256; CEDU sent. 16 aprile 2010, Flinkkilä e altri c. Finlandia, ric. n. 2557/04;

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a «diffusi orientamenti etico – sociali – culturali31». L’analisi dei profili di apertura

alla complessità multilivello tra ordinamenti di origine europea e nazionale non può dunque prescindere dalla verifica della corrispondenza tra gli istituti di diritto penale e le garanzie cui il sistema penale si ispira, a fronte di una riconsiderazione dei principi di tassatività e determinatezza, nell’opera di

chiarificazione della norma da parte del giudice.

Il problema delle definizioni nel diritto penale si colloca al centro del delicato equilibrio tra interpretazione e principio di legalità. Il significato stesso della definizione, in quanto tale e per i principi nei quali esso fonda la propria ragion d’essere, è un elemento del discorso giuridico dai contorni multiformi e flessibili. Il processo definitorio è un fenomeno in grado di presentarsi come modello alle soglie delle epoche di codificazione, come prodotto dell’esperienza od obiettivo, a seconda del combinarsi dei due termini che ne costituiscono il limite: il rigorismo positivista e la creatività interpretativa.

1.1. Un’occasione storica per le definizioni: la codificazione.

Al momento della codificazione, sia questo primigenio o di riforma, la questione delle definizioni si avverte in primo luogo come un problema di opportunità o di necessità32. La codificazione è un momento programmatico in cui non solo il contenuto dev’essere circoscritto e delimitato, ma anche la necessità di ricorrere alla definizione in sé è messa in dubbio. Tale perplessità è anche il prodotto di «frutti immaturi di opportunità contingenti33», ovvero dei tempi in cui, di contro, la definizione è una zattera di salvezza, almeno apparente, la cui necessità è indubbia, il ricorso ultroneo quanto smodato.

La codificazione, come tempo critico, è un tempo in cui la scelta cade definitivamente sull’opportunità di definire. Un momento in cui il giurista è chiamato ad adempiere in modo decisivo e sistematico ad un compito che Pietro

31 A. VALLINI, Le due legalità: quale convivenza nel diritto penale?, in Criminalia, 2013,256. 32 F. BRICOLA, Le definizioni normative, in ---

33 P. NUVOLONE, Natura e storia nella scienza del diritto penale, in Trent’anni di diritto e procedura penale, vol.

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Nuvolone avverte come fondamentale: la costruzione della norma34. In questo, l’attività del giurista si distingue dalle parentesi meramente applicative dell’esegesi, dell’interpretazione, nelle quali tuttavia non è rado rintracciare anche un’ispirazione del momento costitutivo della norma.

Non sono radi a proposito gli esempi di «tematizzazione dal basso35» delle fattispecie, che dal ‘diritto vivente’ diventano direttamente modello per il legislatore, il quale non trova migliore conferma dell’opportunità di uno strumento se non nell’utilità e nell’efficacia di una realtà già esistente. In questi casi, tuttavia, si perde propriamente la funzione della definizione in un determinato linguaggio. Si perde il significato di un linguaggio in un determinato contesto, si invertono i piani dell’attività del giurista che arriva ad utilizzare il linguaggio dell’esegesi per la costruzione della norma. Si tratta di una confusione metodologica che pretende di utilizzare uno strumento concepito ad uno scopo e per una determinata attività, per un’altra attività, in cui il momento definitorio è ontologicamente differente.

Per «legislazione dell’emergenza» si intende una fenomeno che è stato definito di «sospensione delle garanzie della legalità penale»36. In esso è possibile rintracciare una costante nello sfaldamento, nella crisi del principio di legalità, e questa costante è rappresentata da un modello prototipico di stabilizzazione di situazioni di carattere emergenziale, di stati di eccezione che diventano la regola, in ambiti istituzionali e finanche particolarmente aderenti alla sfera dei diritti fondamentali dell’uomo.

L’espressione diritto penale del nemico rappresenta una delle molteplici formule suggestive adottate anche in ambito giuridico con cui vengono designate spesso le strategie di controllo penale. È questo il caso anche della c.d. “tolleranza zero”, ascrivibile alle forme di tutela nei confronti dagli attentati alla sicurezza provenienti dalla piccola delinquenza di strada, alla criminalità organizzata. Si tratta di una ipotesi che è stata definita di legalità sospesa, con riferimento alla

34 P.NUVOLONE, I fini e i mezzi nella scienza del diritto penale, in Riv. it. dir. Pen., 1948, 38

35 Sono le parole di C.DE MAGLIE, L’agente provocatore – Un’indagine dogmatica e politico – criminale, --- 36

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condizione dei cc.dd. nemici dello stato quali soggetti come tali non meritevoli di fruire delle garanzie previste per gli imputati comuni37.

Ben diversa l’ipotesi in cui la necessità definitoria tragga beneficio nell’apprendere da una diversa realtà: «la realtà naturalistica oggetto delle c.d. scienze ausiliarie, le verità scientifiche da queste elaborate, diventano la materia su cui il giurista deve lavorare per trovare quell’optimum di equilibrio sociale, da cui nasce la vera norma giuridica38». In questo caso il giurista apprende necessariamente da un’altra materia e se ne serve per regolare la realtà al proprio scopo.

Il processo di codificazione si caratterizza, prima che sul piano metodologico, differenziandosi dalla legislazione speciale, per un procedimento di adozione istituzionale. Se pure il problema delle definizioni deve ritenersi anche un “problema istituzionale”, inteso come «problema di rapporti di potere39», esiste anche un iter istituzionale che anche il fenomeno di codificazione si ritiene debba seguire: «un codice penale deve nascere come ultimo atto di una vicenda che inizia con un progetto scritto, articolato con la stessa compiutezza di un nuovo codice, frutto della elaborazione di cerchie più o meno vaste di specialisti che si avvalgono di indagini comparatistiche e criminologiche; deve proseguire con il corale dibattito di tutte le categorie interessate, chiamate ad esprimersi sul progetto; deve sfociare, infine, nella discussione davanti alle Camere, preferibilmente preceduta dall’esame, in sede redigente, da parte di commissioni parlamentari ad

hoc»40. Anche il momento della codificazione idealmente si qualifica, dunque,

come momento tecnico41, in quanto tale garantito da una scansione procedurale

che coinvolge diversi soggetti (specialisti, esponenti di categorie, esame davanti alle Camere) e si compone di momenti diversi.

37 Tra gli esempi nel diritto interno si possono citare la legge 31 luglio 2005, nr. 155 in materia di

“misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale” permeata dall’idea di ascendenza hobbesiana secondo cui solo attraverso il sacrificio delle libertà fondamentali può soddisfarsi il bisogno di sicurezza, art. 41bis nell’ordinamento penitenziari introduce il carcere duro.

38 P. NUVOLONE, Natura e storia nella scienza del diritto penale, in Trent’anni di diritto e procedura penale, vol.

I, Cedam, Padova, 1969, 193.

39 G. Tarello, Stato dell’organizzazione giuridica e tendenze evolutive, in Sullo stato

dell’organizzazione giuridica. Intervista a Giovanni Tarello, M. Bessone (a cura di), Bologna, Zanichelli, 1979, 10.

40 MARINUCCI E.DOLCINI, Sul metodo della codificazione penale, in Riv. it. dir. Proc. Pen., II, 1992, 306. 41 V. DI CIOLO, Procedimento legislativo (voce), in Enciclopedia del diritto, XXXV, 1986.

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Idealmente, il momento della codificazione aspira ad essere frutto di un progetto largamente condiviso, ma non è questa una proprietà che qualifica almeno gli ultimi tentativi di riforma del codice. La necessità di una codificazione è propriamente una scelta politica, un momento che in quanto tale deve essere concepito e maturato secondo una logica comune, per trovare realizzazione. Tale opzione finirebbe col difettare, tuttavia, di efficacia là dove a mancare fosse l’ulteriore concordia necessaria tra gli operatori del diritto chiamati a dare veste alla volontà politica. Tale auspicabile condivisione di forme e contenuti non si risolve nel mero impegno sul versante della politica criminale, che pure è vivo nella dottrina e negli studiosi. Nello specifico, tale impegno sembra talvolta risolversi piuttosto verso una maggiore attenzione per la legislazione speciale ed

extra codicem42, la quale spesso partecipa del moltiplicarsi di «frutti immaturi» che

invece contribuiscono alla «svalutazione» dell’idea unitaria di codice43.

I tentativi di riforma del codice penale del 1930 sono stati molteplici. Già a partire dal secondo dopoguerra si è affacciata l’opzione di riformare un codice storicamente proveniente dall’esperienza fascista e per questo idealmente lontano dal nuovo volto democratico del Paese44. La compatibilità tra un codice promanante dal regime totalitario è una peculiarità che oggi sembra tuttavia aver resistito ai tempi, per quanto i giuristi si trovassero «di fronte ad un prodotto indelebilmente marcato dall’ideologia, ovvero, salvo qualche ineliminabile aggiustamento, si trattava di una pregiata elaborazione tecnica che aveva sedimentato acquisizioni scientifiche che, prescindendo dalla parentesi autoritaria, affondavano le proprie radici in una vicenda culturale, culminata nella scuola tecnico – giuridica, contrassegnata dalla continuità rispetto alla

42 F. PALAZZO, Diritto penale, in Giuristi e legislatori. Pensiero giuridico e innovazione legislativa nel processo di produzione del diritto - Atti dell’incontro di studio Firenze, 26-28 settembre 1996, a cura di Paolo Grossi,

Giuffrè, Milano, 1997, 312 ss.

43 G. FIANDACA, Concezioni e modelli di diritto penale tra legislazione, prassi giudizia- ria e dottrina, in La riforma del diritto penale. Garanzie ed effettivita` delle tecniche di tutela, a cura di L. Pepino, Milano, 1993, 16 44 Da come si deduce dalle relazioni di accompagnamento del d.lgs. 10 agosto 1944 n. 244 e 11

settembre 1944 n. 288. Con questi interventi viene soppressa la pena di morte, la prova liberatori nei delitti contro l’onore e reintrodotte le attenuanti generiche la scriminante della reazione legittima agli atti arbitrari del pubblico ufficiale, abrogati i delitti di attentato ed offesa alla libertà ed all’onore del capo di Governo.

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esperienza prefascista»45. La connotazione totalitaria è, dunque, un profilo proprio del Codice Rocco, ed è questa una peculiarità cui non mancano di appellarsi le prime istanze di riforma. Se ne apprezza tuttavia, ed al pari, la raffinata elaborazione tecnica, pure frutto dei tempi, e più propriamente dell’elaborazione scientifica dell’epoca. Numerose peculiarità del codice non sono suscettibili di un inquadramento univoco che ne tradisca la vocazione totalitaria. Non così, ad esempio, per la previsione di fattispecie di reati vaghe, ma non al punto da fondare una generale incertezza del diritto. È stato obiettato, in primo luogo, come codice Rocco non possa definirsi un codice “fascista” tout

court, se non nella parte speciale, nella previsione dei singoli reati, mentre per la

parte generale si rinviene in larga misura quel tecnicismo proprio e raffinato dell’epoca: «la storia delle parte generale è la storia del pensiero; mentre, spesso, quella della parte speciale dei codici è cronaca politica contingente»46. È inoltre in alcune scelte di fondo che l’ideologia liberale sembra venire meno, e non per ciò solo, e per l’epoca in cui se ne colloca la genesi, si può definire “illiberale” il Codice Rocco. Ne è un esempio la previsione di misure di prevenzione, che pure esistono in sistemi processuali liberali47.

L’apprezzamento per i contenuti e la tecnica del Codice del 1930 consente di limitare l’intervento riformatore ad alcuni profili determinati, senza investire una modifica radicale, se non la sostituzione, dell’intero testo. È questa un’opzione propria in realtà soltanto dei primi anni successivi alla caduta del regime fascista. La possibilità di una riforma globale del codice e i tentativi di eliminare i connotati di questo più affini al regime totalitario sembra presentarsi invero solo a partire dagli anni Cinquanta, per poi naufragare di fatto già appena vent’anni più tardi. In questa parentesi si collocano tuttavia i primi interventi della Corte costituzionale e l’influenza della Costituzione stessa, nelle parti in cui direttamente interessa la materia penale (artt. 25 e 27). È questo, del resto, uno strumento che ha consentito in parte la sopravvivenza del codice di procedura penale e che sul versante sostanziale inizia a tradursi nella necessità di declinare

45 G. INSOLERA, Progetti di riforma del codice Rocco: il volto attuale del sistema penale, in AA.VV., Introduzione al sistema penale, Vol.I, 1997, 31.

46 P. NUVOLONE, La parte generale del codice Rocco dopo cinquant’anni, in La questione criminale, 1981, 39. 47 PIO MARCONI, Codice penale e regime autoritario, in La questione criminale, 1981, 130.

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le disposizioni contenute nel codice alla luce dei principi della carta costituzionale48.

In questa fase storica della riflessione sull’opportunità di una riforma complessiva del codice penale, le speranze vengono infrante da un intervento legislativo che insieme tradisce le aspettative di riforma e scardina l’equilibrio di poteri tra legislatore e giudice andando a svelare i caratteri di una «crisi istituzionale» sulla quale sarà difficile isolare la volontà condivisa di un nuovo codice. Con il d. l. 11 aprile 1974, n. 99 convertito in l. 7 giugno 1974, n. 22049 il legislatore italiano ha modificato, tra gli altri, il regime delle circostanze del reato, ed in particolare l’art. 69, comma IV del codice penale. L’articolo si limitava a prevedere che gli aumenti e le diminuzioni di pena venissero considerati a norma dell’art. 63, valutata per ultima la recidiva. Con la modifica, il legislatore ha inteso che le disposizioni precedenti (relative al computo di circostanze aggravanti e attenuanti) «si applicano anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole e a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato». Bisognerà attendere l’art. 3 l. 5 dicembre 2005, n. 251 per limitare (in parte) l’effetto della legge del 1974 sulla disciplina del computo delle circostanze ed in generale sulla porta della discrezionalità giudiziale. La Novella ha eliminato il divieto di considerare, nel giudizio di bilanciamento, circostanze inerenti la persona del colpevole, quelle indipendenti e quelle autonome.

La riforma nasceva con l’intento di attenuare il rigore di alcune ipotesi di parte speciale che altrimenti, nella forma aggravata, avrebbero condotto a trattamenti sanzionatori eccessivi50. Eppure, proprio un simile intento poteva perseguirsi in modo più efficace per tramite di una riforma della parte speciale del codice: « e,

48 R. PASELLA, Osservazioni sugli orientamenti della Corte costituzionale in tema di funzione dell pena, in indice penale, 1977, 311; V. ONIDA,L’attuazione della costituzione tra Magistratura e Corte costituzionale, in

«Aspetti e tendenze del diritto costituzionale» in Scritti in onore di C. Mortati, IV, Milano, 1977, 518 ss.

49

50 G. LATTANZI E.LUPO, Codice penale – rassegna di giurisprudenza e di dottrina, vol. II, Il reato, artt. 39-84, Milano, Aggiornamento 2015, 789; CRESPI –STELLA –ZUCCALÀ, Commentario breve al codice penale,

Padova, 2017, 350. La tendenza all’ampliamento della discrezionalità giudiziale si registra invero già dalla l. 24 aprile 1962 n. 191 e l. 25 novembre 1962 n. 1634.

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in particolare, mediante una nuova modulazione delle cordini edittali delle singole fattispecie di reato»51. La riforma del 1974 si colloca dunque in un momento storico e rispetto ad una materia in cui l’intervento sul codice, e precisamente sulla parte generale, pur perseguendo tutt’altro scopo, finisce per alterare in modo significativo il significato della discrezionalità giudiziale: «il giudice non è più chiamato soltanto a perseguire l’opera del legislatore, ma a sostituire le proprie valutazioni, legate alla concretezza dell’episodio criminoso, a quelle normative di parte speciale52», «che il legislatore è incapace di modificare attraverso una riforma globale del sistema penale53». A ben vedere, la necessità di modificare il codice Rocco, pur dotato di una raffinatezza intellettuale ineguagliata, quanto frutto di un’elaborazione scientifica in parte superata54, si fonda anche sulla necessità di ripensare alcuni caratteri profondi, che pure sono prodotto del regime totalitario. Tale necessità rimane inascoltata, e soltanto parzialmente, ed a volte in modo maldestro, esaudita dal legislatore, che vi interviene sporadicamente, e dalle pronunce della Corte costituzionale, in particolare con riguardo ai reati radicalmente incompatibili. Alla base delle ragioni di tale necessità rimasta inaudita, si manifesta «un lassismo per nulla affatto democratico, ma unicamente demagogico, che invece di umanizzare ulteriormente il codice lo ha fatto oggetto di derisione e quindi di un uso privo di efficacia. Un codice democratico può e deve essere severo, ma non può divenire umoristico con tutte quelle riformette da caffè concerto che un legislatore sprovveduto ha apportato al codice dal ’70 al ‘7555».

Proprio l’incapacità del legislatore nell’affrontare una riforma necessaria del codice, nelle forme appropriate, ha finito per scalfire una caratteristica peculiare del codice Rocco: «la stretta osservanza del principio di legalità e di tipicità e la correlativa riduzione dello spazio della discrezionalità giudiziaria56». Accanto a

51 G. LATTANZI E.LUPO, Codice penale – rassegna di giurisprudenza e di dottrina, vol. II, Il reato, artt. 39-84, Milano, Aggiornamento 2015, 789

52 A.STILE, Discrezionalità e politica giudiziaria, in Studi urbinati, 1977-78, 275 ss. 53 F. BRICOLA, Considerazioni introduttive, in La questione criminale, 1981, 11.

54 G. BETTIOL, Il ruolo svolto dal Codice Rocco nella società italiana, in La questione criminale, 1981, 37. 55 G. BETTIOL, Il ruolo svolto dal Codice Rocco nella società italiana, in La questione criminale, 1981, 38. 56 P. NUVOLONE, La parte generale del codice Rocco dopo cinquant’anni, in La questione criminale, 1981, 42,

che precisa «per quanto un articolo (l’art. 133) sia dedicato all’uso del potere discrezionale limitato alla determinazione della pena il concreto; non solo, ma anch’esso è legato a criteri legislativi

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questa, è sempre una tecnica sofisticata a contraddistinguere la parte generale del codice, in particolare nella scelta di ricorrere a definizioni, di cui è un esempio la formulazione dell’art. 43 e delle forme di colpevolezza.

Eppure il medesimo «formalismo » che distingue il codice Rocco è talvolta declinato in taluni meccanismi tali da eludere la vocazione alla legalità formale che ne contraddistingue la natura: «sul piano tecnico, si scorge la presenza di meccanismi capaci di ‘sabotare’, di vanificare la legalità formale e l’oggettivismo, di conferire duttilità e discrezionalità nel caso concreto, pur salvando le apparenza: pur accreditando, cioè, l’immagine esteriore di un diritto penale articolato per fattispecie, per ‘tipi’ di fatto oggettivo»57. In questi esempi di «intensità variabile»58 del rispetto della legalità formale rientrano le tautologie (cui si riconducono, ad esempio, le figure criminose incentrate sull’istigazione o sulla sedizione, e ancora, per antonomasia, il concorso di persone nel reato descritto dall’art. 110 c.p. con riguardo appunto a «coloro che concorrono nel reato»), la sovrapposizione di fattispecie identiche che consentono di ricondurre un medesimo fatto oggettivo a molteplici incriminazioni, e così il ricorso ad elementi soggettivi che lasciano dipendere la punibilità da un atteggiamento interiore59.

La Novella del 1974 segna dunque un primo abbandono della scelta di affrontare una riforma globale del codice. Tale impostazione si ricava anche da una serie di interventi novellistici che tuttavia non scalfiscono il ruolo centrale che nel sistema continua ad assumere il codice Rocco: «il codice del ’30 non ha avuto alcun processo di decodificazione analogamente al codice civile: può

prefissati; e inoltre la precisa previsione di tutte le possibili circostanze aggravanti e attenuanti, la limitazione entro confini piuttosto ristretti del giudizio di prevalenza e di equivalenza nel testo originario dell’art. 69, l’automatismo della recidiva obbligatoria, la presunzione di pericolosità, la stessa formulazione della norma sul tentativo imperniata sul concetto di idoneità alla produzione dell’evento, l’elenco tassativo dei limiti scriminanti, le disposizioni in tema di revoca dei benefici di legge, sono tutti indici di un sistema ancorato alla legalità, alla tassatività e alla tipicità, in cui la rigorosa distinzione tra l’elemento oggettivo e l’elemento soggettivo rappresenta una nota dominante».

57 F. SGUBBI,Meccanismo di «aggiramento» della legalità e della tassatività nel codice Rocco, in La questione criminale, 1981, 321.

58 G.BETTIOL, Il ruolo svolto dal Codice Rocco nella società italiana, in La questione criminale, 1981, 42. 59 L’esemplificazione è di F. SGUBBI, Meccanismo di «aggiramento» della legalità e della tassatività nel codice Rocco, in La questione criminale, 1981, 320. Cfr. D. PULITANÒ, Supplenza giudiziaria e poteri dello stato, in Questione giustizia, 1993, 93; MANTOVANI, Autodeterminazione e diritto penale, in Arch. Giur., 2011, 33.

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considerarsi al centro di un sistema positivo, con taluni correttivi adottati dalla giurisprudenza della corte costituzionale, non sempre coerenti e soddisfacenti (è il caso ad esempio dell’interpretazione dell’art. 116 attraverso un legame di ‘prevedibilità’ variamente manipolabile con l’evento diverso) e con taluni innovazioni che ne hanno alterato l’armonia e il disegno unitario (la Novella del 1974)»60. La restante legislazione novellistica è intervenuta prevalentemente sulla parte speciale61, ora con interventi di depenalizzazione (l. 689/1981; l. 205/1999 per la depenalizzazione dei reati minori e la riforma del diritto penale tributario), ora con alcune riforme in materia economica, di criminalità organizzata, libertà di stampa, delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione62.La riforma del 1974 segna l’inizio di una tendenza destinata a divenire costante negli anni a venire, il fenomeno della c.d. «supplenza giudiziaria».

2. Definizioni del legislatore e ridefinizioni del giudice

Le prime occasioni di riforma del codice, non più di trent’anni successive alla caduta del regime totalitario che quel medesimo codice aveva visto nascere, se pure votate all’intento di assolvere al gravoso compito di riformare, appunto, un codice ritenuto sotto molti incompatibile con il nuovo ordinamento democratico, provvedendo a tale incombenza in modo maldestro, finirono per promuovere uno sbilanciamento di poteri, risolvendo di fatto le incoerenze del codice Rocco nell’affidarne la soluzione alla discrezionalità giudiziale, ampliandola. In altre parole, è curioso osservare come il tentativo di riforma della parte generale del codice penale, fulcro decisivo intorno al quale continua a ruotare il sistema penale, anche successivamente ai molteplici interventi sulla legislazione speciale, sia in grado di risolversi, di fatto, in uno sbilanciamento di

60 F. BRICOLA, Considerazioni introduttive, in La questione criminale, 1981, 23.

61 Senza, tuttavia, che questa acquisisse carattere di “monosistema”: «ad eccezione della legislazione

penale d’emergenza che rappresenta un arretramento rispetto alle stesse regole generali del codice, ma anche costituisce un pericolo di effetti corrosivi per tutto il sistema», sempre F. BRICOLA, Considerazioni introduttive, in La questione criminale, 1981, 23.

62 Per una ricognizione puntuale G. INSOLERA, Progetti di riforma del codice Rocco: il volto attuale del sistema penale, in AA.VV., Introduzione al sistema penale, Vol.I, 1997, 33 ss.

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poteri. È questo il caso della l. 7 giugno 1974, n. 220 così come anche, mutatis

mutandis, della l. 689/198, ad esempio, che ha visto dilatarsi «i margini di

incertezza connaturati all’attività interpretativa», in quanto tale «suscettibile di essere gestita in una dimensione ‘discrezionale’»63. Quello della discrezionalità è un profilo connaturale all’applicazione del diritto, del quale possono essere date letture molteplici: «si va dall’aspetto costituzionale e di politica legislativa, relativo all’opportunità di riservare alla discrezionalità del giudice un ambito sempre maggiore a discapito del principio di tassatività, al problema dommatico della validità della concezione di discrezionalità come categoria di genere comprensiva di tutte le singole ipotesi normative e dotata di propria operatività sul piano del diritto penale sostanziale e processuale, alla ricostruzione della struttura logica del ragionamento del giudice nella decisione discrezionale e ai suoi rapporti con l’attività di interpretazione ed applicazione della legge, al problema dommatico-processuale del grado di certezza garantito dalla valutazione discrezionale ed alla possibilità di un suo controllo, infine all’esame sociologico dell’atteggiamento assunto di fatto dalla magistratura e dalla dottrina di fronte al recente ampliarsi dei poteri discrezionali del giudice penale»64. Il fenomeno degli algoritmi predittivi e quello della legislazione penale in materia di stupefacenti si collocano in un più complesso processo di commistione e trasformazione della componente ‘emotiva’ del procedimento decisionale legislativa e giurisprudenziale rispetto a quegli elementi, propri tanto della fattispecie, quanto della decisione giurisprudenziale, derivanti direttamente dal dato empirico, statistico – matematico. È alquanto singolare osservare come determinati fenomeni vadano a collocarsi in un momento storico, quello presente, per certi versi analogo ai tempi passati65, in cui «proprio mentre la metodologia giuridica più avanzata mette in luce, irrefutabilmente, gli aspetti di avalutatività e politicità della scienza giuridica, e mentre appare prospettabile ,

63 V.MAIELLO, Interpretazioni «discrezionali» nell’applicazione della l. 689/81. Sono depenalizzati i reati di cui all’art. 171, prima parte, legge 22 aprile 1941, sulla tutela del diritto d’autore?, in Riv. it. dir. Proc. Pen., 1985,

879.

64 A.R.LATAGLIATA, Problemi attuali della discrezionalità nel diritto penale, in Il Tommaso Natale, 1975,

337.

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almeno sul piano prescrittivo e politico giuridico, un’evoluzione in senso «umano» piuttosto che logico – rigoroso, delle professioni giuridiche cosiddette «pratiche» [...] l’automa giurisprudenziale accenna a risorgere, e nella sua forma perfetta di macchina, proprio mentre l’idea del giurista come macchina deduttiva e autonoma per sillogismi tramonta per sempre»66.

In altre parole, l’importanza e le nuove possibilità dei processi decisionali che investano, del tutto o in parte, il calcolo matematico di dati empirici sembra ripresentarsi in un momento storico, per il diritto penale, in cui tale capacità è in qualche modo auspicata nel duplice senso di definizione della fattispecie e controllo della decisione giudiziale. Il dato empirico, promanante dagli studi e maccanismi di carattere scientifico, in quanto tali esterni al linguaggio ed alla sfera di approfondimento giuridici, risulta, di fatto, funzionale ad assistere il momento definitorio anche nel linguaggio giuridico, tanto in quello del legislatore, quanto in quello giudiziale. L’esperienza degli algoritmi predittivi sembra poi compiere un passo ulteriore, nel costituire il profilo metodologico ideale di formazione della fattispecie ed, ancora ulteriormente, nel concorrere a determinare la fattispecie giurisprudenziale, il precedente rilevante, il diritto vivente. Sono molteplici le modalità con le quali l’idea di un algoritmo predittivo, ad esempio, possa dirsi funzionale a concorrere nell’opera decisionale posta in essere dal giudice. Occorre comprendere, tuttavia ed ad esempio, in che modo, in astratto, il processo decisionale di un algoritmo predittivo arrivi ad investire il momento

creativo dell’interpretazione: «l’atto giudiziale, in quanto intervento decisivo sulla

norma, in quanto fase della stessa vita della norma, è sempre creativo, nel senso che non manca mai, neppure in regime legalista, di elaborare, producere in melius, inventare il diritto»67. La giustizia predittiva è una giustizia “anticipata”. Consiste nell’uso di un calcolo probabilistico da parte di un computer. Ponendo l’ipotesi che i precedenti siano catalogati per esiti e non per massime, principi, un

66 G.ORRÙ, Le definizioni del legislatore e la ridefinizioni della giurisprudenza, in AA.VV., Omnis definitio

in iure periculosa? Il problema delle definizioni legali nel diritto penale, studi coordinati da A. Cadoppi, Padova, 1996, 147.

67 G.ORRÙ, Le definizioni del legislatore e la ridefinizioni della giurisprudenza, in AA.VV., Omnis definitio

in iure periculosa? Il problema delle definizioni legali nel diritto penale, studi coordinati da A. Cadoppi, Padova, 1996, 149

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computer potrebbe essere in grado di fornire l’esito probabile di una controversia. In questo caso, l’impiego di algoritmi predittivi sarebbe funzionale a cercare forme di raccordo che garantiscano la prevedibilità delle decisioni. Si affianca alla prevedibilità una ars combinatoria che è ‘ausiliaria’ e non ‘sostitutiva’ nelle decisioni giudiziali. Altro conto è ipotizzare, ad esempio, che l’algoritmo sia funzionale a sistematizzare le variabili interpretative. Un conto è matematizzare i canoni dell’interpretazione e altro conto è automatizzare il risultato. Si potrebbero evitare domande di giustizia pretestuose, ad esempio attraverso uno screening informatico dei precedenti, in modo tale da avere cambi di giurisprudenza più consapevoli.

Esistono tuttavia dei vantaggi nella emotività del giudice68. Per sua natura la fattispecie legale si protende verso il futuro. Il processo di sussunzione del fatto nella norma ricostruisce nel presente un fatto del passato. Non si può negare come una simile ipotesi vada ad inquadrarsi in un momento di crisi della fattispecie, per mancanza di una struttura rigorosa e indefettibile che consenta oggettivamente anche solo di ipotizzare, idealmente, che il giudice possa essere «bocca della legge». È in questo modo che il diritto diviene, al contrario, incalcolabile, imprevedibile. La fattispecie è un momento difficile su cui basare la modellizzazione matematica. La giustizia predittiva è un fenomeno di razionalizzazione: consente l’esame statistico probabilistico degli orientamenti giurisprudenziali. Recuperare a valle della fattispecie, del complesso delle decisioni e del diritto vivente la calcolabilità e prevedibilità delle decisioni. È difficile che il legislatori recuperi la limpidezza della fattispecie, ma un simile meccanismo potrebbe consentire, agevolare ed ausiliare una valida opera di razionalizzazione69.

2.2. Il problema della legalità in materia penale

Il principio di legalità in materia penale si declina, nell’ordinamento italiano nei suoi corollari, nel principio di riserva di legge, nel principio di

68 A. FORZA G.MENEGON R.RUMINATI,Il giudice emotivo, Bologna, 2017. 69

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tassatività e determinatezza e nel principio di irretroattività della legge penale70. Il principio di legalità formale, enunciato nel brocardo nullum crimen, nulla poena sine

praevia lege poenali71, è suscettibile a sua volta di essere declinato in varie formule

ed includere così al suo interno ulteriori corollari che ne arricchiscono il significato. L’art. 1 del codice penale del 1930 riprende la formulazione del codice liberale del 1889: «nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite». Si può dunque concludere che il nostro codice penale declini il principio di legalità con riferimento al reato quanto alla pena.

Il richiamo al principio di legalità nel nostro ordinamento non si limita all’art. 1 del codice penale. Il medesimo è stato «costituzionalizzato» nell’art. 25 della Costituzione, che prevede: «Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso». Il testo costituzionale esprime un’ulteriore definizione del principio di legalità, relativo alla irretroattività della legge penale. In funzione di tale principio (nullum crimen sine

proevia lege poenali scripta et stricta) la legge penale si applica soltanto ai fatti

commessi dopo la sua entrata in vigore e non può, in quanto tale, essere applicata a fatti anteriori. L’art. 2 del codice penale definisce poi le ulteriori declinazioni del principio di irretroattività della legge penale: il principio di non ultrattività, per il quale la legge non si applica ai fatti posti in essere dopo la sua estinzione ed il principio di attualità della legge penale, per cui la validità della legge penale è circoscritta al tempo in cui essa è in vigore72.

2.1. Il diritto vivente: l’esempio del concorso esterno in associazione mafiosa.

70 F. BRICOLA, Legalità e crisi: l'art. 25, commi 2 e 3 della Costituzione rivisitato alla fine degli anni ‘70, in La questione criminale, 1980, p. 204 ss.; G. VASSALLI,Nullum crimen, nulla poena sine lege, in Dig., VIII, 1994, 278; F. BRICOLA, La discrezionalità nel diritto penale, Milano, 1965, 229; TRAPANI, Legge penale, in Enc. Giur., XVIII, 1990; F. PALAZZO, Legge penale, in Dig., VII, 1993, 343; BOSCARELLI, Nullum crimen sine lege, in Enc. Giur., XXI, 1990; PADOVANI, Diritto penale, 2017, 35.

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