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Academic year: 2021

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Firenze University Press

Reti Medievali Rivista, 18, 2 (2017)

<http://www.retimedievali.it>

Una nuova prospettiva sui patti agrari

di Vito Loré

Sui patti agrari nell’Italia altomedievale

(secoli VIII-XI).

Tra forme documentarie e contesto sociale

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Una nuova prospettiva sui patti agrari

di Vito Loré

Il testo introduce brevemente la sezione monografica Sui patti agrari nell’Italia altomedievale

(secoli VIII-XI). Tra forme documentarie e contesto sociale, riassumendo gli articoli,

mostran-do alcune loro comuni premesse e implicazioni di metomostran-do.

The article briefly introduces the monographic section on Agrarian contracts in Early Medieval

Italy (8th to 11th Century). Between charters formulae and social context, by summarizing the

articles and indicating some outlines and implications of their common approach. Medioevo; secoli VIII-XI; Italia; patti agrari.

Middle Ages; 8th-11th Century; Italy; agrarian contracts.

I tre saggi e la lettura che seguono sono il frutto di una giornata semina-riale, organizzata nel febbraio 2016 da Yoshiya Nishimura e da me, presso l’Istituto Storico Germanico di Roma. L’idea di base era far reagire in alcuni contesti regionali una traccia di ricerca recente sui patti agrari altomedievali, ispirata da due importanti articoli di Antonella Ghignoli su origini, caratteri e prima diffusione delle carte di livello (Note intorno all’origine di uno ius libel-larium, in «Archivio storico italiano», 156 [1998], pp. 413-446 e soprattutto Libellario nomine: rileggendo i documenti pisani dei secoli VIII-X, in «Bul-lettino dell’Istituto storico italiano per il medio evo», 111 [2009], pp. 1-62). Gli studi di Ghignoli, che partecipò al seminario restituendoci la sua esperienza, hanno una trama concettuale complessa e si muovono su vari piani. Di questa trama ci hanno interessato soprattutto due elementi, che apparivano partico-larmente fecondi per una nuova prospettiva sul rapporto fra forme documen-tarie e strutture sociali delle campagne nell’alto e pieno medioevo.

Senza arrivare a negarne l’esistenza, Ghignoli decostruisce l’origine dell’oggetto “livello”: mette in rilievo come coesistano in un primo periodo vari formulari, soggetti a un’evoluzione e una selezione da ricondurre in pri-mo luogo all’uso degli scriventi, senza che ciò possa tradursi automaticamente sul piano sociale; in altre parole, l’evoluzione delle formule documentarie non esprime direttamente il mutamento sociale. La rivendicazione di una linea evolutiva propria alle forme del documento non porta con sé conseguenze di

Reti Medievali Rivista, 18, 2 (2017) <http://rivista.retimedievali.it> ISSN 1593-2214 © 2017 Firenze University Press DOI 10.6092/1593-2214/5332

Sui patti agrari nell’Italia altomedievale (secoli VIII-XI). Tra forme documentarie e contesto sociale

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Vito Loré

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scetticismo storiografico, perché non esclude affatto che le carte possano te-stimoniare della società, delle sue strutture e del suo cambiamento, oltre che delle pratiche di scrittura. Per non essere tratti in inganno dalla compresenza di più piani, bisogna però cercare traccia degli effettivi rapporti di forza fra le parti nella configurazione che essi prendono, caso per caso, nel singolo docu-mento, distinguendo fra gli schemi scrittorii di riferimento e lo specifico della singola situazione.

Nella sua indagine Ghignoli ha quindi proposto revisioni, talvolta radica-li, di alcune interpretazioni consolidate delle formule di livello: i riferimenti alla iustitia domnica non sarebbero automaticamente interpretabili nel senso di una giustizia signorile, esercitata dal proprietario sul dipendente, ma al-luderebbero in modo più generico agli obblighi del concessionario: “ciò che è giusto” fare, obbedendo agli ordini del proprietario. D’altro canto (e arrivia-mo così al secondo punto) i livellari non sarebbero assimilabili automatica-mente allo strato più basso della popolazione rurale. La stesura stessa di un documento scritto esprimerebbe una posizione non infima del concessiona-rio, capace di investire, anche economicamente, in una pratica di scrittura costosa e a lui non estranea. Infatti il livellario, che conserva la sua copia del documento, la sottoscrive spesso in forma autografa; il che è già di per sé suf-ficiente a elevarlo a un rango sociale superiore rispetto a quello del semplice contadino dipendente o del piccolo allodiere. Non avremmo quindi a che fare – non sempre, almeno – con modesti coloni, ma per lo più con forme variegate di notabilato rurale, com’è chiaro in alcuni casi, particolarmente illuminati da spie interne della stessa carta di livello o dalla ricostruzione prosopografica, laddove resa possibile dal contesto documentario. L’identità sociale dei livel-lari, data per scontata nella tradizione storiografica più antica, mostra di non esserlo affatto.

Una prospettiva di questo genere impone quindi per le serie dei patti agra-ri nell’alto e pieno medioevo un percorso di lettura complesso, che distingua il piano di permanenza/mutamento delle formule documentarie da quello degli specifici rapporti sociali, di cui le carte sono espressione. La via per limitare gli errori di valutazione è semplice quanto faticosa: non puntare l’attenzione su frammenti particolarmente espressivi, ma tenere conto in modo sistemati-co di tutti gli elementi di sistemati-contesto disponibili, sistemati-considerando nel loro sistemati- comples-so i bacini documentari di riferimento. È ciò che fanno, in modo divercomples-so, i tre saggi che compongono questa sezione.

Nicola Mancassola analizza la serie delle carte di concessione piacenti-ne fra fipiacenti-ne VIII e fipiacenti-ne IX secolo, lavorando sulle differenze interpiacenti-ne alla se-rie e mantenendo lo sguardo al complesso dei fondi dell’epoca per quell’area, in modo da definire, nella loro notevole varietà, identità e livello sociale dei concessionari. I contratti cavensi, oggetto dell’articolo di Yoshiya Nishimura, sono indagati soprattutto in relazione agli scarti dal formulario, che l’autore interpreta come segno delle strategie dei proprietari, interessati a trarre van-taggio da rinnovi contrattuali e ambiguità semantiche nel dettato della carta, imponendo quasi furtivamente nuovi obblighi ai dipendenti. Qui

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ne non è puntata tanto sul profilo dei concessionari, ma sull’evoluzione del-le formudel-le, restituita alla sua dimensione di strumento di potere, solo appa-rentemente anodino. Sfruttando le possibilità offerte dalla documentazione lucchese, non solo ricchissima, ma tipologicamente varia, Paolo Tomei punta di nuovo l’attenzione sull’identità sociale dei livellari, che restituisce in gran parte al côté elevato della società politica lucchese, attraverso una complessa sovrapposizione fra inventari e livelli vescovili fra IX e XI secolo.

L’acuta lettura finale è un saggio a sé stante: tirando le somme dai tre stu-di precedenti, Gianfranco Pasquali mette in luce le loro implicazioni al livel-lo di fonti sistematiche come gli inventari, in un certo senso capovolgendo il percorso compiuto da Tomei per Lucca. Considerati normalmente nell’ambito della dipendenza rurale minuta, insieme con massari e manentes, i livellari chiedono ora di essere isolati nell’ambito dei polittici e considerati nella loro specificità; a conferma di come i polittici siano fonti sì ricchissime, ma per certi aspetti infide, in assenza di contesti di riferimento.

Al di là dell’oggetto specifico cui si applicano questi esercizi di esegesi, la posta in gioco ha un valore più generale: la maggiore consapevolezza del limi-te della documentazione evita generalizzazioni indebilimi-te e proprio per questo comporta un effettivo progresso di conoscenza. È una delle piste di ricerca più promettenti, scaturite dagli studi sull’alto medioevo degli ultimi vent’anni. Vito Loré

Università degli Studi Roma Tre vito.lore@uniroma3.it

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