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La Nouvelle Héloise contro l'Esprit de Julie: un caso di espurgazione.

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Academic year: 2021

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INDICE

 AVVERTENZA………...PAG. 2  INTRODUZIONE………....PAG. 3  CAPITOLO 1: Jean-Henry-Samuel Formey: chi è costui?... .PAG. 5  Formey, Potsdam, i philosophes………...PAG. 7  Formey e Rousseau: un tentativo di approccio che non andò a buon fine...PAG. 10  Formey non molla la presa: una pratica parassitaria………PAG. 13  Confutazioni, sillogi, satire, espurgazioni………PAG. 16  CAPITOLO 2: Chi erano i lettori di Rousseau?...PAG. 25  Il paradigma Ranson……….PAG. 25  Altri critici: gli avversari, i lettori aristocratici, le donne……….PAG. 26  Sentimento e religione della sincerità………...PAG. 33  Una diversa sociologia dei Rousseauistes? Gl’insegnamenti di Roche e Launay………...PAG. 36  CAPITOLO 3: Nouvelle Héloïse contro Esprit de Julie………..PAG. 50  Passioni……….PAG. 52  Letture………...PAG. 59  Educazione………PAG. 63  Virtù/Onore………..PAG. 69  Matrimonio………...PAG. 73  Economia domestica……….PAG. 77  Beneficenza………PAG. 80  Nascita e talenti……….PAG. 86  Campagna e vita contadina………...PAG. 88  Religione………PAG. 90  CONCLUSIONI……….PAG. 97  BIBLIOGRAFIA………PAG. 100

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AVVERTENZA

Tutte le citazioni dalla Nouvelle Héloïse di Rousseau sono tratte dalle seguenti edizioni: Rousseau J.-J., Julie ou la Nouvelle Héloïse, lettres de deux amants habitants d’une petite

ville au pied des Alpes, Amsterdam, Marc Michel Rey, 1761.

Rousseau J.-J., Julie ou la Nouvelle Héloïse, Lettres de deux amans, habitans d’une d’une

petite Ville au pied des Alpes, troisième partie, Paris, Libraire de Lecointe, 1830.

Tutte le citazioni dall’Esprit de Julie di Formey sono tratte dalla seguente edizione:

Formey J., L’esprit de Julie ou extrait de La Nouvelle Héloïse, ouvrage utile à la société et

particulièrement à la jeunesse, Berlin, Jean Jasperd, 1763.

Nelle citazioni in lingua francese dei testi settecenteschi è stato scelto di conservare l’ortografia originale.

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INTRODUZIONE

Tutti conoscono lo straordinario successo del romanzo epistolare Julie ou la Nouvelle Héloïse del filosofo ginevrino Jean-Jacques Rousseau. Pubblicato nel 1761, divenne un vero e proprio

best-seller, tanto che prima della fine del secolo ne uscirono ben 72 ristampe e l’anno

seguente comparvero presso l’editore Duchesne di Parigi dodici incisioni di Humbert- François Bourguignon, detto Gravelot, il quale all’epoca era un disegnatore di fama, che ne illustravano la storia e di cui Rousseau stesso aveva seguito l’esecuzione.Tutto questo successo non se l’aspettava di certo nemmeno lo stesso autore, che quando cominciò a tessere la trama del romanzo, nell’isolato Ermitage a Montmorency, non era sicuro che l’avrebbe pubblicato poiché si vergognava, si sdegnava e si sentiva in imbarazzo per il fatto di scrivere un genere che aveva sempre esecrato e contro il quale aveva ripetutamente lanciato le invettive più sferzanti, come riporta nel Libro IX delle Confessions. Meno nota e narrata è, almeno in dettaglio, la storia delle confutazioni e delle condanne cui quest’opera è stata oggetto, in special modo da parte degli ambienti devoti, che la definivano empia e blasfema. Tra loro c’era Jean-Henry-Samuel Formey, pastore e uomo di lettere protestante, nato in Germania da genitori ugonotti francesi, il quale si sentì in dovere di pubblicare una versione espurgata della Nouvelle Héloïse con lo scopo di salvaguardare l’onore dei suoi lettori, soprattutto se giovani e donne, alla quale diede il titolo di Esprit de Julie e che appare come una sorta di breviario, una raccolta di massime che, però, non riproduce la trama del romanzo originale né i suoi personaggi.

In questa tesi abbiamo inteso innanzitutto portare alla luce un’opera semi-sconosciuta quale è l’Esprit de Julie con lo scopo ulteriore di far conoscere un autore molto poco noto, ma che all’epoca si distinse per la sua indefessa difesa della religione cristiana e per la veemenza con cui si scagliava contro i maggiori philosophes, Rousseau e Voltaire in prima linea, contribuendo con un larghissimo numero di scritti alla corrente anti-illuministica. Rousseau stesso, sempre nelle Confessions, lo definirà uno sfrontato saccheggiatore che si mantiene a spese delle opere altrui, quando racconta l’aneddoto in cui viene a sapere della pubblicazione da parte di Formey, di una sua lettera privata a Voltaire circa il terremoto di Lisbona. Questa peraltro è l’unica occasione in cui vediamo citato il suo nome nelle memorie del ginevrino. Dopo aver introdotto la figura di Formey e il suo modus operandi, che vedremo non si limita all’espurgazione della sola NouvelleHéloïse, ma si estende anche ad altre opere tra cui l’Émile, ci siamo soffermati sul pubblico dei lettori di Rousseau, comparando i diversi studi compiuti a riguardo, dal classico di Robert Darnton al contemporaneo di Nicholas Paige, cercando di guardare con occhio critico i pregi e i difetti di ciascuna ricerca e non sempre appoggiando la linea di pensiero maggiormente riconosciuta, ma opponendo delle obiezioni ugualmente valide e meritevoli d’attenzione. Anche l’analisi di Daniel Roche e Michel Launay sulla sociologia dei corrispondenti di Rousseau s’inserisce in questa dinamica e ci darà modo di conoscere più attentamente gli interessi, gli interlocutori e forse anche le strategie del philosophe per riuscire nella sua ascesa sociale, dal momento che lo vedremo interagire con la nobiltà molto più di quanto ci si aspetti da lui. Per finire arriveremo al vero tema di questa tesi ovvero il lavoro di censura messo in atto da Formey per arrivare ad una versione casta e pure, moralmente irreprensibile della Nouvelle Héloïse. Il metodo che

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abbiamo utilizzato è stato quello comparativo: una volta letto l’Esprit de Julie abbiamo ricercato massima dopo massima nel romanzo originale e una volta individuata, controllato se il testo combaciava o meno, in che contesto è stata ricavata la massima, cosa era stato quindi volutamente ignorato e cosa invece preso in considerazione. Una volta ritrovate tutte le massime le abbiamo organizzate all’interno di una decina di argomenti e messe a paragone con il testo originale, chiosando ogni passaggio e cercando di ricostruirne il contesto di modo da evidenziare tutte le modifiche apportate da Formey ed avere in questo modo chiari, argomento dopo argomento, tutti gli elementi considerati empi ed eversivi dell’opera di Rousseau.

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CAPITOLO 1: JEAN-HENRY-SAMUEL FORMEY: CHI ERA COSTUI? 1. Pastore, savant, accademico, poligrafo

Jean-Henry-Samuel Formey nacque a Berlino il 31 maggio 17111. Era un rifugiato ugonotto di seconda generazione poiché il padre, Jean Formey, anch'egli appartenente alla "Religion Prétendue Reformée (R.P.R.), emigrò in Germania con le sue tre sorelle da Dompierre-sur-Morvre. Originaria di Lubecca, anche la madre di Samuel era protestante. Rimasto orfano di entrambi i genitori ancora bambino, Formey fu cresciuto dalle zie paterne. Nel 1720 entrò al

Collège français di Berlino dove dal 1726 studiò catechismo con Philippe Forneret, erudito

francese che emigrò dalla Borgogna per motivi religiosi e si rifugiò in Germania, dove fece presto carriera ecclesiastica ed accademica2; filosofia con Mathurin Veyssière de La Croze, un monaco di Nantes che si convertì al protestantesimo e divenne bibliotecario di Federico II e precettore della sorella di lui, Guglielmina, prima di ottenere la cattedra di filosofia3 . A partire dall'anno successivo, il 1727, cominciò a seguire i corsi di teologia tenuti da Antoine Achard, teologo ginevrino di origini francesi che ricoprì anche la carica di pastore a Berlino4 . Nel 1729 venne avviato al sacerdozio evangelico, e ricevette i voti nel 1731 nella chiesa di Brandeburgo. Fu il suo antico maestro, Forneret, a condurre la cerimonia dell’imposizione delle mani.

In verità Formey rimase nella Chiesa del Brandeburgo solo dal 26 marzo al 12 agosto 1731, visto che andò a coprire quasi da subito la carica di assistente di Forneret a Berlino. Egli racconta nei suoi Souvenirs d’un citoyen come questo incarico altro non fosse che un dono della Provvidenza. Formey vi sostiene infatti che il re - l'allora "Re Sergente", Federico Guglielmo I - avesse deciso di bocciare il candidato favorito, Varin, perché questi non era stato capace di riconoscerlo appena incontrato5:

Sans cela il aurait été fort possible que je passasse ma vie à Brandeburg, comme mon successeur M. de Durant, qui y a vécu cinquante ans, et y est mort. Mais, revenu dans la capitale à vingt ans, j’ai passé successivement par toutes les situations et rempli tous les postes, qui m’ont conduit au terme où je suis arrivé, grâce à la bonne Providence6.

Una vita sulle cui svolte sembra dover vegliare la Provvidenza a ricompensa dello zelo e della devozione del Giusto. Alla morte di Forneret, il 26 febbraio 1736, Formey gli successe come pastore della comunità francese a Fredericstadt, nominando come suoi assistenti Lorent e poi Boistiger.

1

Traiamo l'essenziale delle notizie su Formey dalla voce relativa (Jean Henri Formey), presente in Dictionnaire

des journalistes, sous la direction de J. Sgard, edizione elettronica, 1999, adesso consultabile open source in

http://dictionnaire-journalistes.gazettes18e.fr/auteur/jean-sgard, nonché da R. Trousson e F.S. Eigeldinger,

Dictionnaire de Jean-Jacques Rousseau, Champion, 1996 alla voce “Formey”

2

J. Formey, Souvenirs d’un citoyen, Berlin, François de la Garde, 1789, vol. I, p.70-77

3

Ibid. p. 57-69

4 Ibid. p. 25-32 5

Ibid. p. 89. Circa il ruolo dell’Académie Royale des Sciences di Berlino durante il regno degli Hohenzollern cfr

E. Tortatolo, La ragione sulla Sprea, Bologna, Mulino, 1989, cap. II, p. 37-59

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L’11 agosto 1734 si unì in matrimonio con Suzanne Bonnafous, che morì il 12 maggio 1743 e dalla quale ebbe una figlia, nata il 12 luglio 1738, e che morì anch'essa, di vaiolo il 18 dicembre 1758. Perciò, il 23 giugno 1744, Formey sposò in seconde nozze Elizabeth Camont d’Ausin, che gli restò accanto per il resto della sua vita (gli premorì appena venti mesi prima). Da Elisabeth, Formey ebbe quattordici figli: la metà di loro (cinque maschi e due femmine) giunse all’età adulta.

Nel 1737 Formey cominciò a insegnare al Collège français e il 31 maggio 1739 divenne professore di Filosofia al posto di La Croze. Fu a questo punto che egli abbandonò il suo ruolo di pastore - ufficialmente per ragioni di salute - senza però mai rinunciare alla predicazione. Dal 1745 al 1747 fu impiegato come traduttore del re al Département des Affaires étrangères di Berlino e nello stesso 1745 fu nominato storiografo dell’Académie

Royale des Sciences, della quale, nel 1748, divenne segretario perpetuo. La sua carriera di

accademico venne coronata nel 1789 con la nomina a direttore della classe di Filosofia di quella istituzione.

Savant e poligrafo di fama europea, Formey occupò altresì numerosi scranni accademici del

continente: oltre che dell’Académie des Sciences di Berlino, egli fu anche membro dell’Académie de Saint-Petersburg, della Royal Academy di Londra, delle Académies di Göttingen e Greifswald, della Société de Haarlem, della Société des curieux de la nature, delle Académie di Mantova e di Bologna. Inoltre, diresse la Maison d’Orange, un’istituzione caritatevole della schiavista "Colonie française" delle Antille, e a partire dal 1772 fu nominato consigliere privato del comitato esecutivo della "Colonie" stessa. Nel 1778 fu secrétaire des

commandements della principessa vedova di Wurtenberg, e alla morte di quest’ultima, nel

1781, agente della corte di Macklemburg-Schwerin.

Una vita intensissima, dunque. Formey fu capace di assommare in sé differenti compiti e profili professionali: il letterato-poligrafo, l'accademico, il predicatore, l'amministratore, il funzionario. Per quel che riguarda la situazione finanziaria, si può dire perciò che egli poté vivere nell’agio grazie alle pensioni e agli stipendi recepiti per i suoi molteplici incarichi a corte, nei ministeri e negli ambiti del grande commercio internazionale, ma anche le sue attività letterarie e di poligrafo-giornalista gli garantirono consistenti guadagni.

Oltre a piccoli giornali letterari - di cui il "Mercure et Minerve" sembra essere stato il primo ad aver redatto, nel 17377 - il Formey collaborò con altre testate, tra le più più importanti dell’epoca, come la "Bibliothèque germanique"8, il "Journalenciclopédique"9, e la "Gazette

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Il Mercure et Minerve ebbe vita breve: venne pubblicato il 26 dicembre 1737 da Jean-Pierre Schmid per rimpiazzare il Courrier de Postdam, ma già nell’aprile 1738, lo stesso editore lo sostituisce con gli Amusements littéraires, che durò solo fino a luglio dello stesso anno. Cfr J. Sgard, Dictonnaire des journalistes, ed. elet., alla voce “Jean Henri Formey”.

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Il giornale era stato cominciato sotto la direzione di Beausobre, che quando morì venne sostituito da Formey, il quale si prese come socio Paul Emile de Mauclerc. I due portarono a termine il giornale nel 1741, dopo 25 volumi. Ibid.

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des Deux-Ponts"10 solo per citarne alcune. Dieudonné Thiébault, latinista ed ex gesuita che insegnava lettere all’Académie Royale11 scrisse di lui a riguardo:

On disait qu’il gagnait régulièrement cinq ducats par jour: un au jeu le soir, car il jouait parfaitement et heureusement tous les jeux de société; un à ses compositions littéraires, faisant au moins sa feuille dans sa matinée et ne la vendant pas moins d’un ducat; deux par ses appointements à l’académie; et un comme professeur de philosophie au collège français de Berlin. Je ne compte pas ce qu’avoit pu lui valoir la place

de pasteur, qu’il abandonna au bout d’un temps.12

Johann-Bernhard Merian, l'uomo che nel 1797 gli succedette come segretario perpetuo dell’Académie Royale, scrisse nel suo Éloge de monsieur Formey di una fortuna che non contraddice il premio dovuto ad una vita di frugalità e di zelo, nel più puro spirito dell'etica protestante dell'esistenza,

qu’il ne devait qu’à lui-même, à sa vie laborieuse, à l’ordre qui régnait dans sa maison, et à une prudente économie qui ne tenait point de la lésine. Par la il vit insensiblement s’accumuler cette fortune jusqu’à un degré considerable, fait rare dans la classe lettrée.13

2. Formey, Potsdam, i philosophes

Anche le sue memorie testimoniano come Formey fosse in contatto con i maggiori letterati del tempo, e nella sua corrispondenza troviamo lettere a editori e a un numero consistente di pastori14. Secondo Merian , egli scambiò lettere con “tous ceux qui se sont le plus illustrés

dans les scienceset les lettres”15. Occorre però rendere chiaro quale fosse l'idea che Formey aveva sulle "sciences" e sulle "lettres". La sua fitta rete di relazioni e la sua professione circa il ruolo e la grandezza della "République européenne des lettres" non devono trarre in inganno. Nei suoi scritti Formey non mancò mai occasione per attaccare la Filosofia dei

savantseccessivamente disinvolti nella esegesi del testo biblico ed ancor più la storiografia e

la prosa dei liberi pensatori, contro i quali pubblicò a ripetizione un certo numero di opere, in particolare: Les Pensées raisonnables opposées aux pensées philosophique (1749), la Lettre

de M. Gervais Holmes à l’auteur de la Lettre sur les aveugles (1750), contro Diderot; una

monumentale Philosophie chrétien (4 voll., 1750-1756), e infine L’Anti-Émile (1763), contro il romanzo-trattato di Jean-Jacques Rousseau. L'accademico e funzionario Formey, il poligrafo e savant protestante al servizio di Federico II fu perciò anche un'acuto e battagliero polemista, proiettato coi suoi libri i suoi interventi giornalistici ad una difesa della tradizione che intendeva eleggere a campo di battaglia l'intera Europa dei filosofi e dei letterati. La sua puntigliosa confutazione della proibitissima Lettre sur les Aveugles di Diderot, ad

10

Venne recrutato da Dubois-Fontanelle e Formey vi collaborò nel 1770 a patto che non comparisse il suo nome.

Ibid.

11

J. Sgard, Dictionnaire des journalistes, ed. elet., alla voce “Dieudonné Thiébault”

12

D. Thiébault, Mes souvenirs de vingt ans de séjour à Berlin; ou Frédéric le Grand, Paris, Buisson, 1805 vol. V, p. 69

13

J. B. Merian, Éloge de Monsieur Formey[1797] in “Mémoires de l’Académie Royale des Science set Belles-Lettres, depuis l’avènement de Frédéric Guillaume II au trône. Avec l’histoire pour le même temps”, Berlin, Decker, 1800, p. 49-82

14

Per la corrispondenza di Formey: J. Häseler, La correspondancede Jean Henri Samuel Formey (1711-1797):

inventaire alphabétique, Honoré Champion, Paris, 2003. Una quantità significativa di lettere sono tuttora

conservate alla Staatsbibliothek di Berlino e ad oggi non sono ancora state sistematicamente visionate.

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esempio,intendeva difendere e preservare la Verità e il dettato biblico stesso dal una nuova concezione materialista, "trasformista" e "temporizzata" della natura, andando a colpire l'opera più significativa e pericolosa prodotta fino a quel momento da quello che era già il redattore in capo dell'Encyclopédie.16

E tuttavia, nonostante il palese astio di Formey nei confronti dei philosophes, troviamo il suo nome tra gli autori di molti articoli del grande dizionario il cui primo volume vide la luce nel 175117. Oggi siamo a conoscenza del fatto che Formey pubblicò nel 1767 un Dictionnaire

instructif18dedicandolo al principe Frédéric-Henri-Luis, fratello di Federico II e committente dell’opera 19 . La silloge contiene anche gli articoli che Formey aveva scritto per l’Encyclopédie, in un'epoca nella quale forse non gli erano ancora del tutto chiari scopi eversivi e finalità polemiche della grande opera. Cambiato il contesto di ricaduta, in questa nuova veste editoriale gli articoli erano stati preventivamente censurati dal loro stesso autore: Formey se ne era riappropriato rimodulandoli secondo letture più tradizionali e moderate. Un episodio che ben si presta ad anticipare i temi che intenderemmo trattare analizzando il suo

Esprit de Julie, anche perché i procedimenti di "montaggio" e di riscrittura messi in opera dal savant - in quel caso su una materia altrui - sono più o meno gli stessi impiegati per il suo Dictionnaire instructif. E identiche sono in entrambi i casi, in tutta evidenza, le intenzioni.

La sua avversione per le idee illuministe si riflette evidentemente anche sugli uomini, sulle persone dei pensatori. Più mediato eppure niente affatto indulgente, appare il tipo di considerazioni che Formey formulò attorno alla persona del Patriarca dei Lumi, Voltaire. Con costui, che gli era più anziano di almeno una generazione, egli ebbe certamente modo di intrattenersi più volte negli anni di residenza del philosophe in quella "Sparta dal clima rigido" ch'era la Berlino di Federico II20. Certo Formey dovette considerarlo assai più stravagante, istrionico e mondano, e perciò assai meno pericoloso, di altri antagonisti più giovani, appartenenti invece alla sua stessa generazione - Diderot, in particolare, ma anche Rousseau. La testimonianza che Formey lasciò dell'"uomo del secolo" nei Souvenirs,dove gli dedicò ampio spazio, risente molto del clima e della sociologia della corte: le rivalità, le antipatie concepite sul filo del favore o del disfavore del sovrano, l'arbitro incontestato della congregazione curiale, Federico. Di Voltaire Formey scrive:

Il peut avoir été bon homme, quoique toujour un peu grivois, mais cela ne suffit pas pour être bon auteur; et ses œuvres complètes n’étoient pas, selon moi, un présent à faire au public. Les bons mots répandus

16

L'opera, infatti, era costata a Diderot (ormai riconosciuto come autore) la segregazione nel castello di Vincennes. Cfr P. Casini, Diderot philosophe, Bari, Laterza, 1962.

17

Sul composito mondo dei collaboratori del dizionario rimandiamo a J. Proust, Diderot et l'Encyclopédie, Armand Colin, 1962; sul contesto e sulla dominante 'politica' dell'impresa, allo studio di F. Diaz, Filosofia e

politica nel Settecento Francese, Torino, Einaudi, 1973.

18

J. Formey, Dictionnaire instructif où l’on trouve les principaux termes des sciences et des arts dont

l’explication peut être utile ou agréable aux personnes qui n’ont pas fait des études approfondies, Halle, Justin

Gebauer, 1767.

19

“S.A.R. me dit qu’ELLE souhaiteroit qu’il existât un Dictionnaire, oû l’on pût trouver l’explication courte et distincte des principaux termes qui arrêtent quelquefois dans leurs lectures les personnes, dont l’esprit est à la vérité orné de bien de bien de connoisances, mais qui n’ont pas fait des cours d’etudes et de science proprement dites. Quelques exemples que le Prince allégua, me mirent pleinement au fait de ses vues. Il daigna ensuite m’inviter à la composition d’un semblable Dictionnaire, et témoigner qu’il s’en promettoit la réussite entre mes mains” (Formey, Dictionnaire instructif, cit., prefazione)

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9 dans sa vie, et qui ont couru toute l’Europe pendant un demi-siècle ne sont les uns que des facéties, et les autres que des impertinences21.

Con sprezzante sufficienza, Formey tendeva a ricacciare insensibilmente il grande philosophe nella dimensione ludica, sfrontata ma in definitiva semi-nicodemitica e libertina, sempre aperta ritrattazioni, dell'empietà salottiera e alla moda, invalsa in molte corti. Un'attitudine comune a molti tra i letterati eterodossi della vecchia generazione cresciuta negli anni della Reggenza, come il poeta Jean-Baptiste Rousseau e come lo stesso Voltaire. Formey vede nel patriarca di Ferney quasi un buffone di corte, venale e completamente privo di morale:

Il raisonne sans principes, et par-là est sujet, comme tout autres, à des accès de folie. Avec une tête ouverte, il a un coeur corrompu; il pense sur tout et met et tourne tout en ridicule. Libertin sans tempérament, il moralise sans avoir des mœurs. Vain au suprême dégré, mais encore plus avaricieux que vain: il écrit moins pour la gloire que pour l’argent, ne travaillant,pour ainsi dire, que pour vivre: quoique fait pour jouir, il ne se lasse d’amasser. Tel est l’homme: voici l’auteur22.

E d'altra parte, per uno come Formey, tutta quella vivacità, tutta quella libertà di pensiero, quell'audacia non potevano che essere viste come il risultato conclamato di una patologia mentale non diagnosticata, come una specie di follia: Dio stesso, insomma, acceca coloro che vuole perdere; ed Egli aveva accecato Voltaire.

Non era forse follia prendersi gioco del Creatore, degli uomini, del principio di autorità? Una follia pericolosa soprattutto per gli altri, ma ancor più pericolosamente tollerata dal sovrano stesso, il re di Prussia. Non è affatto un caso che il predicatore Formey considerasse Voltaire un “tentateur”,almeno sul piano delle idee e del pensiero - rispolverando così uno degli antichi attributi del Maligno, "nemico del genere umano".

Quanto a lui, egli preferiva piuttosto “passer pour un génie borné, pour un homme à préjugés,

que de m’illustrer en déraisonnant, et sourtout en cherchantà sapper et à détruire des édifices auxquels tiennent la tranquillité et la sûreté du genre humain.23

Voltaire era tentatore in prosa e in versi, sì; ma per lo meno professava di credere in un Dio, anche se nella variante non meno esecrabile del deismo. Ben più severo sarà il giudizio del

savant su chi, rifugiatosi a Berlino, e adesso perfino suo collega in accademia, si professava

apertamente ateo, sia di persona e per iscritto. Era ovviamente il caso di Julien Offroy de La Mettrie, per il quale Formey concepì una inestinguibile avversione, non disgiunta, ancora, da piccole e grandi gelosie di corte. Formey non si peritò infatti d'incolparlo di averlo messo in cattiva luce agli occhi di Federico II. Al servizio degli Hohenzollern dai tempi del padre di questi, Federico Guglielmo, incredibilmente Formey venne ricevuto dal re per la prima volta solamente il 24 dicembre 1779, a quasi quarant'anni dall'ascesa al trono...

Je n’ignorois pas que le Roi avoit reçu des impressions désavantageuses sur mon compte. Elles lui avoient été données par La Mettrie.[…] Il me répresenta donc au Roi, avec qui il avoit des entretiens familiers et quotidiens, comme un théologien intolérant: et lorsque j’eus inféré dans un volume de nos Mémoires des réflexions sur la liberté, qui ne s’accordoient pas avec ses idées, comme un philosophe manqué. Le mal

21

Formey, Souvenirscit., vol. I, p. 316.

22

Idem, p. 328-329

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10 étoit irrémédiable, mais il n’en résulta aucun effet sensible jusqu’à la fin de 1752, où je fus ménacé d’un coup de foudre, qui m’auroit écrasé.24

Non è difficile capire come Formey esecrasse la scelta di Federico di accogliere a corte e nelle sue accademie quella supponente ciurmaglia di pericolosi esuli e miscredenti; anche perché, finché aveva regnato il vecchio re, il terribile Re Sergente, tutto era andato sempre per il verso giusto. Col padre di Federico il Grande, Formey aveva intrattenuto eccellenti rapporti, e ancora venerava "la mémoire de Frédéric Guillaume I, sous lequel", scrive, "s’est passée la fleur de ma jeunesse, et qui a toujours confirmé gracieusement les demandes qui lui ont été faites en ma faveur". Ancor più chiaro appare il fatto che Formey considerasse come del tutto inconcepibile che un monarca, il figlio di Federico Guglielmo, tollerasse certi discorsi all'interno delle sue accademie, alla sua stessa tavola, nel cuore stesso della corte. Queste sue considerazioni si trasformano nei Mémoires in una sorta di vibrante professione di fede, in una difesa senza tentennamenti della teologia politica e di ogni forma di autorità stabilita:

J’ai un respect inné pour les souverains, et sourtout pour ceux sous la nomination desquels je vis […]. Le sage s’accommode aux temps et aux circonstances, dès qu’il n’en coûte rien à ses vertus; le chrétien, qui est le vrai sage, obéit à ses maître, lors même qu’il sont fâcheux. Toute doctrine contraire excite des inquiétudes, des fermentations, un esprit de révolte, dont les suites sont beaucoup plus nuisible à la societé que les caprices d’un souverain.25

D'altra parte le sue opinioni non dovevano essere ignote neanche a Federico. Non è un caso che al momento della pubblicazione dell’Anti-Sans-Souci (1751), un libello dove ci si scaglia con violenza contro Federico II per l'accoglienza da lui riservata a Potsdam ai philosophes francesi, Formey si sbracciasse per dichiarare ai quattro venti la sua completa estraneità all'opera,anche perché il pamphlet era stato erroneamente attribuito proprio a lui:

Certain de n’avoir aucune part à cette production, j’écrivis, en rentrant chez moi, deux lettres perfaitement semblable à M. le Marquis d’Argens et à M. de Catt, qui étoient alors à Leipzig à la suite du Roi, pour leur marquer ce qui venoit de m’arriver, et les prier de mettre sous les yeux de S.M. la protestation de ma parfaite innocence, me soumettant aux peines les plus rigoureuses, si cette protestation n’étoit pas conforme à la plus exacte vérité.26

3. Formey e Rousseau: un tentativo di approccio che non andò a buon fine

Detto ciò, occorre adesso rilevare che Formey resta famoso alla storia della letteratura soprattutto per esser stato il divulgatore delle opere di Rousseau in Germania. Nelle sue memorie troviamo scritto:

24 Souvenirs, t. I, p. 116-117 25 Idem, p. 100-104 26

Idem, p. 142. Continua poi: “Ayant ensuite examiné l’ouvrage plus à loisir, je trouvai l’explication à l’énigme. L’Anti-Sans-Sauci avoit un auteur quelconque qui ne m’a jamais été connu, mais on avoit detaché d’un ouvrage que j’avois publié peu auparavant, intitulé ‘Pensées raisonnables opposées aux pensées philosophiques’ (de Diderot) des réflexions générales sur l’incredulité, qui ne renfermoient rien de rélatif aux écrits du philososphe de Sans-Souci; et en les plaçant à la tête de l’Anti-Sans-Sauci, on avoit mis: avec des réflexions préliminaires par M. F. … Je ne sais point à quelle intention le tout avoit été fait; si c’étoit un artifice pour me nuire, ou un simple dessein de faire valoir l’ouvrage en mettant à la tête un nom connu. Ce qu’il y a de certain, c’est que l’ouvrage même étoit écrit d’une manière peu judicieuse, et même grossiere, comme le titre seul le fait assez connoître.”

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11 Ce fameux écrivain a tant parlé de lui-même,et l’on en a tant parlé à charge et à décharge, qu’il ne reste rien à en dire.Il a balancé la réputation de Voltaire, et cela suffissoit pour que cet ennemi juré de toutes

les réputations cherchât à l’écraser […]Il parôit, de son propre aveu, s’être souvent trouvé dans des états

qui tenoient de l’aliénation. Et les Confessions, qui ont paru depuis sa mort, ne donnent pas une idée

avantageusede ses mœurs, ni de ses sentimens. Requiescat tamen in pace.27

Dopo quanto detto, vi sono notevoli probabilità che almeno all'inizio Formey si fosse interessato a Rousseau soprattutto nella sua veste di avversario di Voltaire, di suo primo ed efficace confutatore polemico. In effetti fino a quel momento nessuno era ancora riuscito a fare tanto.

Nel 1759 Formey pubblicò le Lettres sur l’état présent des scienceset des mœurs. Avendo trovato dal suo libraio una brochure dal titolo Lettres de M. Jean Jacques Rousseau à M. de

Voltaire, egli la lesse immediatamente rimanendo talmente colpito dalla forza delle

argomentazioni del Ginevrino da decidere di inserirla integralmente nelle sue Lettere XLIII e XLIV,e aggiungendovi un ricco stilobate di note esplicative.

Rousseau, venuto a conoscenza di questa pubblicazione, ne chiese notizia al suo editore di Amsterdam - anch'egli protestante - Marc-Michel Rey, il quale si offerse di fare da tramite tra i due letterati. Ricordiamo che in questo periodo Rousseau ha rotto i legami con gli altri

philosophes, dopo che nel 1757 Voltaire e d’Alambert vollero provocatoriamente inserire

nella voce “Ginevra” dell’Encyclopédie la proposta di aprire un teatro di modo che il soggiorno in città risultasse più piacevole e meno noioso, soprattutto per i francesi, abituati a quel genere d’intrattenimento. Infatti l’attività teatrale nella città svizzera, in cui imperava il calvinismo, era vietata dal 1617; inoltre contro il teatro e gli attori vigeva un forte pregiudizio morale. Rousseau si sentì immediatamente in dovere di difendere la città e, soprattutto, il suo mito28. Scrisse, quindi, l’opera che determinò il distacco dal gruppo degli enciclopedisti, ovvero la celeberrima Lettera a d’Alambert sugli spettacoli (1759), in cui sosteneva che il teatro fosse sostanzialmente un’istituzione politica, da salvaguardare dalla corruzione di questi poeti e dalla frivolezza che invece caratterizzava la società parigina, assidua frequentatrice di spettacoli teatrali.

Dunque, nel giugno 1760 Rey scrive al savant ottenendo un'immediata e calorosa risposta. A quel punto Formey decide di rompere il ghiaccio scrivendo direttamente anche a Rousseau, con cui spera di cominciare una fitta corrispondenza. Chiarisce la situazione che l’ha portato a pubblicare quella lettera e dopo aver blandito il philosophe con tutta una serie di elogi, che mai ci saremmo aspettati di leggere, profittadell’occasione per “lui exposer [ses] propres idées sur le prurit, alors dominant, de traiter des matières dont la discussion ne servoit qu’à troubler la société”29. In quella lettera, datata 7 luglio 1760, Formey dapprima spiega che la sua intenzione iniziale era quella di portare a conoscenza un'opera già pubblicata ma rimasta in gran parte ignorata, come a fargli presente che è grazie a lui se quello che scrive viene messo in circolazione; coronandola con delle note (qui troviamo il primo tentativo di ‘normalizzazione’ dei testi di Rousseau da parte di Formey, il quale ha capito che in quello che scrive il philosophe può esserci del materiale utile alla sua causa, ma è necessario

27

Formey, Souvenirs, t. II, p. 114-115

28

Per maggiori approfondimenti cfr P. Casini, Introduzione a Rousseau, Roma, Laterza, 1974 e E. Cassirer, R. Darnton, J. Starobinski, Tre letture di Rousseau, Roma, Laterza, 1994.

29

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espurgarlo e riformularlo in maniera più eterodossa). Per la qual cosa egli credeva o almeno sperava che Rousseau non potesse risultare indisposto nei suoi confronti. Fra l’altro notiamo come nella modulazione della lettera Formey proceda per gradi, da buon predicatore, secondo retorica. Dopodiché, chiedeva gli fosse permesso di passare dal particolare al generale, alle questioni di principio che più gli stavano a cuore: vale a dire a quegli scritti di Rousseau e di altri filosofi che, a suo dire, avevano come scopo comune quello di distruggere o per lo meno indebolire la religione. Elencava quindi le sue riflessioni in merito, ed è impossibile non notare come con quest’operazione Formey sembra volergli proporre un esame di coscienza, chiedendo un riscontro da parte di Rousseau:

1) Pourquoi écrire des livres dangereux? Ce ne peut plus être pour se distinguer; la route est aujourd’hui trop battue. Ce ne sauroit être par amour pour la vérité; car quelles sont les vérité qu’on enseigne aux hommes! On les conduit au contraire à un doute universel, dont on a beau nier l’influence sur la pratique; elle n’est que trop réelie. Ceux qui enseignent cette doctrine destructive,peuvent vivre moralement bien, je le veux: mais des milliers de personnes que ce venin infecte, suivront-elles pas plutôt de la license à laquelle mènent leurs principes?

2) Le bonheur temporel des hommes me paroît dépendre de l’union aussi parfaite qu’il est possible des ces trois choses, une saine religion, une saine politique, une saine philosophie. Tout le prix de la philosophie, qui n’est d’ailleurs pas faite pour le vulgaire, consiste à épurer les deux autres sources du bonheur, la religion et la politique. Mais il semble que aujourd’hui qu’elle veuille demeurer seule maîtresse et victorieuse sur les débris des deux autres. Cela ne lui réussira jamais.Les hommes ne peuvent,

ni ne veulent se laisser gouvenrner par des philosophes et par la philosophie. Il leur faut des lois et un culte fondé sur des dogmes et des faits. Si la philosophie rend la législation plus humaine et la religion moins superstitieuse, on lui aura les plus grandes obligations. Si elle veut renverser le trône et l’autel, on la méprisera, on la détestera30.

Quei due punti chiariscono inequivocabilmente quali fossero le convinzioni non negoziabili di Formey sul rapporto tra religione e autorità costituita; ragioni che innervano tutta la sua confutazione dei dubbi sollevati dai philosophes circa i fondamenti della fede e la certezza del dogma rivelato: “Je crois", affermerà egli infatti, "la religion démontrable, je la crois démontré. Mais je n’ai rien de nouveau à vous dire là-dessus: tout est dit".Dato però per certo che ciascuno sarebbe rimasto immoto sulle proprie posizioni, Formey si dice allora disponibile ad accettare di considerare la religione in una visione puramente funzionalista, come un semplice instrumentum regni."Que la religion soit ce que vous voudrez", concedeva, "fiction toute pure; je vous laisse passer cette supposition". Ciò nondimeno si rendeva necessaria la più stretta obbedienza all'autorità costituita, poiché, proseguiva,

Elle demeurera toujours le lien de la société et l’appui le plus solide de la tranquillité publique. Vous dites, (je parle des philosophes anti-religieux), que les anciens législateurs se sont servi de cette invention pour réunir les hommes. Eh bien, soyez aussi sages qu’eux, profitez de cette excellente invention, pensez tout en vous même, ce qu’il vous plaira; mais ne croyez pas avoir une vocation à renverser un édifice, après la ruine duquel les hommes n’auront plus de retraite.[…] Tout gouvernement est en droit de

proscrire, c’est-à-dire, de prohiber toutes les doctrines qu’il juge contraires au bien public.Cela est aussi

déraisonnable de combattre le mahométisme que le christianisme, dès qu’on n’a que l’irréligion à y substituer.”31

30

Formey, Souvenirs, t.II, p. 121-123

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Insomma: fate pure a meno di credere - sembra suggerire Formey -, ma non azzardatevi a disubbidire: e sarà meglio ancora se di queste cose cercherete di fare a meno di discutere pubblicamente; cesserete almeno di dare scandalo a chi ha fede.

Ecco spiegate le intime convinzioni che spingevano da una parte Formey a scagliarsi con veemenza contro i liberi pensatori atei e deisti, ad indurlo dall'altra a blandire Rousseau attraverso vaghe concessioni di principio, nella vana speranza di poterlo conquistare alla propria causa. Leggendo questa sua lettera resta comunque forte l'impressione che, almeno rispetto a Rousseau, Formey fosse completamente fuori strada; che davvero non avesse compreso la tormentata complessità della sua concezione religiosa, e ancor meno avesse capito quale fosse il suo ideale di spiritualità etica. E' abbastanza probabile, poi, che il predicatore e savant non avesse ancora chiara né l'entità né i termini esatti della rottura consumatasi qualche anno prima tra il Ginevrino e i suoi vecchi compagni di strada: gli aspetti più dolorosi di quella rottura, i vari distinguo, i molti ripensamenti.

Di tanta incomprensione rende testimonianza la fredda, sbrigativa risposta indirizzata a Formey da Rousseau. Scrivendo, questi gli prometteva che a breve sarebbe seguita una missiva più lunga nella quale avrebbe dato piena soddisfazione a tutte le sue curiosità. Inutile dirlo, ma quella lettera Rousseau si guardò bene dal scriverla. Nella sua corta risposta il

philosophe si limitava unicamente a correggere il suo interlocutore, volendo ribadire e

puntualizzare che nessuno al mondo più di lui amava e rispettava la religione. Insomma nel mucchio, confuso assieme agli atei e ai libertini, proprio Rousseau non voleva stare. Né però desiderava essere confuso coi fanatici e con i superstiziosi. Amare Dio significa anche - ribatteva seccato -eliminare tutto ciò che all'idea di religione e alla sua pratica gli uomini avevano saputo annettere di “barbare, d’injuste et de pernicieux à la société”32.

Era una porta che si chiudeva per sempre. Rousseau si era affacciato un po' fuori; poi aveva capito che il prodotto che l'altro gli stava vendendo non era ciò che gli serviva.

4. Formey non molla la presa: una pratica parassitaria.

Si può perciò dire che il primo tentativo di Formey per avvicinare Rousseau era fallito più o meno miseramente. Eppure da quel personaggio ombroso, intrattabile, sfuggente - ma soprattutto più che dall'uomo dai suoi scritti - il savant continuò comunque a credere di poter cavare qualcosa di buono in nome della propria causa. I temi sollevati da Rousseau, la sua forza argomentativa, la sua recentissima celebrità, adesso anche la sua posizione di "apostata" della coterie enciclopedista: tutto concorreva a farne un personaggio utile e interessante. Se non era possibile conquistarlo alla causa del Trono e dell'Altare, era però possibile cercare di emendare ex-post la parte più eversiva dei suoi sconcertanti asserti. E l'occasione buona per lui non si fece attendere molto. Infatti tra il 1761 e il 1762 Rousseau pubblicò i suoi due capolavori letterari, opere coronate da enorme e immediato successo: Julie ou la Nouvelle

Héloïse e l’Émile. Appena un anno, e già Formey rilanciava da Berlino L’esprit de Julie e

l’Anti-Émile (1763), per poi tornare a breve sull'argomento con un Émile Chretien (1764).

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Già dai titoli - si trattava in tutta evidenza di dichiarate confutazioni - era facile capire che Formey non facesse parte della vasta e composita schiera di coloro che erano rimasti ammaliati, o comunque colpiti, dalla lettura delle due opere di Rousseau, al punto da abbracciarne in toto gli asserti. Si trattava tra l'altro di opere già controverse, e il loro successo venne controbilanciato da asprissime critiche e, nel caso dell’Émile, da una condanna del parlamento di Parigi33, il quale emanò anche un ordine di arresto per il philosophe. Come noto Rousseau fece appena in tempo a rifugiarsi in Svizzera.

Nei SouvenirsFormey non farà mai menzione delle sue compilazioni, né dell’Esprit de Julie, né della Nouvelle Héloïse; neppure vi troviamo alcun riferimento alla confutazione:

L'Anti-Émile. L’Anti-Émile34 venne pubblicato a Berlino nel 1763, dedicato al principe Ferdinando, fratello di Federico, al quale Formey indirizzò queste parole di elogio:

Monseigneur, défendre la cause de la Religion, c’est défendre celle de Princes, dont le thrône n’a point de plus ferme appui que cette doctrine céleste, destiné à rendre les hommes vertueux et heureux. […] Le sang royal qui coule dans vos veines, les lauriers éclatans que vous avez cueillis en défendant la Patrie, toutes ces vertus qui font également respecter et chérir Votre Altesse Royale, tirent leur prix du principe qui n’a jamais cessé de vous animer, de la crainte du Très-Haut et de l’amour de la Religion.

Puissiez-vous, Monseigneur, donner encore long-tems un si bel exemple à la Terre!35

Dunque era soprattutto compito dell'autorità civile difendere il culto e gli altari. Nell’introduzione il savantsi compiace dell’indignazione e quindi delle misure che i Tribunali, “chargés du depôt sacré de la Religion et des Loix”, avevano preso nei confronti dell’Émile in modo che ne fosse impedita la libera circolazione36.Si chiede, poi, cosa ci guadagnassero i sempre più numerosi autori di "livres dangereux" a correre simili rischi e sobbarcarsi il peso della pubblica indignazione, calcolando inoltre che la società che ne sarebbe uscita dalle loro idee non sarebbe stata certo migliore di quella in cui vivono. È utile notare come anche in questa sede il Formey riprendesse gran parte dei quesiti già presenti nella sua lettera a Rousseau del 1760, ossia che riproponesse quelle domande alle quali avrebbe desiderato ardentemente ricevere pubblica risposta dal philosophe37. Identiche restavano perciò quelle tesi che egli riespose ancora una volta come confutazione di quelle del Ginevrino. Ed è a questo punto che Formey si sofferma ad illustrare il suo metodo: riportare, seguendo l’ordine del libro, una serie di osservazioni a confutazione di tutti quei punti dell’Émile che, a suo dire, erano da contestare perché socialmente pericolosi, massime

33

L’Émile fu condannato da 11 giudici, ovvero il numero minimo che serviva a rendere valido un arresto. Rousseau non poté godere dell’aiuto degli amici Malesherbes, Luxembourg e Conti che si astennero e anche in Parlamento i magistrati che avrebbero potuto rifiutare la condanna non erano presenti. É probabile che, secondo gli usi e le leggi del tempo, fosse impossibile salvare l’opera e il suo autore una volta che l’azione giudiziaria era stata intrapresa. Sembra, quindi, verosimile che a comporre il numero esiguo di coloro che firmarono la condanna, vi fosse gente meramente intenzionata a infliggere una pena. Rousseau, infatti, nelle Confessioni(Confessions, I. XI) scrisse che sì sentì vittima di un complotto ordito contro di lui. Per approfondire cfr G. Lanson,Quelques documents inédits sur la condamnation et la censure de l’Émile et sur la condamnation

des Lettres écrites de la Montagne, in Annales de la Sociétè Jean-Jacques Rousseau, n° 1, p. 95-136, nonché

K.-R. Gallas, La condamnation de l'Emile en Hollande, "Annales de la Société Jean-Jacques Rousseau ..(1924), pp. 53-72.

34

J. Formey, Anti-Émile, Berlin, Joachim Pauli, 1763

35

Ibid. prefazione

36

Ibid. p. 3

37

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trattandosi di romanzi continuamente attraversati da dissertazioni filosofiche38. Spiega infatti che

“les Esprits forts de ce siècle […] tantôt ils écrivent par Pensées véritablement détachées, et tout à fait incohérentes; […]Tantôt ils inventent des fictions, dans lesquelles ils répandent leurs opinions, les incorporant en quelque sorte dans les faits, et les semant d’une maniere si éparpillée qu’il faudroit beaucoup de patience pour les rassembler, et beaucoup d’art pour les ramener à des notions vrayement déterminées. De ce genre sont la Nouvelle Héloïse et Émile, qui, en se suivant de près, ont mis à nud l’ame de leur Auteur, et ne laissent plus aucun doute sur ses intentions.”39

Quello era insomma lo scopo: e Formey dichiarò di consacrare questo suo lavoro, come sempre, ai Mani dell’utilità pubblica.

Un altro passaggio dei Souvenirs ci mette al corrente delle circostanze che portarono Formey a pubblicare l’Émile Chrétien.

Nel 1762 il libraio Neaulme pubblicò un’edizione dell’Émile“suivant la copie de Paris", dichiarando trattarsi della versione che godeva di una "permission tacite" concessa dalla Librairie ("avec permission tacite pour le libraire”)40. Ovviamente si trattava di un falso, di una vera e propria frode commerciale. In Olanda questa edizione fu censurata e sequestrata, e Neaulme rischiò d’essere condannato a pagare una grossa ammenda. Riuscì però a scampare la multa solo accettando di pubblicare una nuova edizione di Émile"repurgée de tout ce qui pouvoit donner matière à scandale”41. L'editore quindi si rivolse proprio a Formey chiedendogli di approntare questa nuova edizione espurgata, che apparve nel 1764 col titolo eloquente di Émile Chrétien; l'ennesima opera “consacrée à l’utilité publique, rédigé par M.

F[ormey], auteur du Philosophe chrétien”42. Neaulme vi scrisse un avvertenza apologetica43, e Formey, nell’introduzione,cercò di schermirsi dichiarando che non intendeva affatto appropriarsi dell’opera di Rousseau, quanto piuttosto prestarsi ad una causa benefica44. Per far ciò ammise d’aver sostituito al vero oggetto di scandalo nell'Émile, ossia“à la confession du

38

C. Duflo, Du dissertatif. Les lettres «fasteusement raisonnées» de la Nouvelle Héloïse, in Id., Les Aventures de

Sophie. La philosophie dans le romanau XVIIIe siècle, Paris, CNRS Éditions, pp. 43-64.

39 Anti-Émile, p. 16-17 40 Souvenirs, t. ll, p. 131 41 Ibid. p. 132 42

J. Formey, Émile Chrétien, consacré à l’utilité publique, redigé par M. Formey, auteur du philosophe chrétien, Berlin, Jean Neaulme, 1764. 4 voll

43

“J’espere que le projet de souscription que j’ai publié, pour pouvoir donner ce véritable Émile, aura suffit

pour justifier ma conduite. Si cependant j’avois le malheur d’être blâmé de nouveau, je crois qu’il me resteroit encore des moyens de défense.Ayant d’ailleurs justifié le tître de véritable Émile, j’ai cru qu’il en résultoit naturellement, celui d’Émile Chrétien, que j’ai préferé. Tout ce que M. Formey y a ajoûté soit dans le texte, soit dans les notes, sera désigné par les caracteres M. F. outre une ligne de separation pour les notes et par des Etoiles. Je suis si persuadé qu’il aura rendu cet ouvrage recommandable et estimable, que je ne fais nulle difficulté de signer tous les exemplaires de cette edition.” (Formey, Émile Chrétien, cit., prefazione)

44

“La Religion est, pour ainsi dire, continuellement harcelée par une foule d’Ennemis, qui croyent se signaler en

levant l’étendart contr’elle. Mais pour l’ordinaire ce n’est pas la peine de se mettre en devoir de les repousser. Ils ne font que répéter des choses qui ont eté mille fois dites, et autant de fois refutées. Ils ne cherchent qu’à faire parler d’eux, et l’on ne sauroit mieux les punir qu’en laissant tomber leur nom dans l’abyme de l’oubli. […] Si personne ne faisoit attention à leurs Écrits, ils se dégouteroient bientôt de les produire. […] Le venin de leurs ouvrages est trop dangereux, il fait de trop rapides progrès dans la societé pour n’y opposer aucun contre-poison, et voir périr, de sens froid, tant d’ames qui en sont les misérables victimes. […] Celui-ci sera le siècle de la peste des ames; et malheureusement elle est la plus terrible de toutes. Deux ou trois Ecrivains ont fait tout le mal, et ont même l’audace de se glorifier.”(Formey, Émile Chrétien, cit., introduzione p. IV-V-VI)

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vicaire savoyard45, un morceau où la doctrine contraire étoit exposée. Je mis des notes au bas du texte, et j’eus soin de le distinguer de celles qui appartenoient à l’auteur"46.

"Avec ces précautions", confessa,"je crus être à l’abri de tout reproche. Je me trompois.”. Cosa era successo? L'impresa di Neulme andava palesemente a confliggere con gli interessi commerciali di un suo diretto concorrente, che era proprio l'editore olandese di Rousseau, Marc Michel Rey: con colui che tra l'altro aveva pagato in denaro sonante il manoscritto dell'Émile e che perciò cercava disperatamente quanto legittimamente di difenderne l'esclusiva47. Rey fece inserire nell'edizione olandese del «Journal de Savant» una nota di avvertenza ai lettori dove denunciava la truffa e il plagio, lasciandosi andare a considerazioni francamente insultanti nei confronti del savant, tanto che in un primo momento questi aveva persino pensato di rivolgersi direttamente agli Stati Generali delle Provincie Unite per ottenere una condanna dell'editore48.

Il tutto si chiuse con un nulla di fatto, almeno sul piano penale. Certo è che l'episodio, oltre a distruggere la rete di relazioni intessuta da Formey proprio attraverso Rey, faceva evaporare qualsiasisua residua illusione circa una collaborazione di Rousseau alla sua causa in funzione "antilluminista". In una lettera del 13 dicembre 1764, un diplomatico, il barone de Chambrier, informava Formey di aver incontrato Rousseau e di aver parlato a lungo tanto di lui che del pasticcio dell'Émile Chrétien:

il me parut d’abord fort piqué de l’Émile Chrétien, et il me dit là-dessus, que vous vous enrichissiez en vendant ses ouvrages. Il dit aussi, que vous le maltraitiez fort dans cet ouvrage; je ne sais si c’est dans la préface, ou dans les notes; qu’il étoit surpris que vous fîssiez imprimer un ouvrage que vous dépeignez sous des couleurs si dangereuses etc. Après qu’il eût donné l’effor à sa bile, je lui dis ce qui convenoit pour le ramener à des sentimens plus justes et plus modérés sur votre manière de penser, et sur les motifs qui vous avoient engagé à la publication de cet Émile; je lui fis entendre que ce projet ne venoit point

originairement de vous, et que l’on vous y avoit engagé malgré vous.49.

45

“Les chrétiens sont à juste tître affligés et scandalisés de l’indecente confession du Vicaire. Il n’est donc pas

possible de passer tous ces attentats sous silence […] il faut que ces réponses soyent mises à la portée, et en quelque sorte sous les yeux de tout le monde, comme le sont les attaques. Car le comble de la rage dans les Incrédules modernes consiste en ce qu’ils veulent sourtout être lûs par les personnes du plus bas rang, par toutes celles dont la conditions, le sexe, l’âge, sembloient devoir les préserver de semblables lectures. C’est pour cela qu’écrivant en langue vulgaire, ils prodiguent encore tous les agrémens du stile et de l’imagination, ils employent le genres de fiction qu’ils croyent les plus propres à reussir. Ils mettent leur gloire à troubler le repos de tant d’honnêtes gens, de bonnes ames, qui cherchent dans la Religion le bonheur de leur vie […] ils veulent, en les convainquant qu’ils se trompent grossièrement, les priver de tout ce qui peut adduci pour eux les amertumes de la vie.”(Formey, Émile Chrétien, cit., introduzione p. VII-VIII); cfr. anche R. Trousson, Jean-Jacques Rousseau jugé par ses contemporains, cap. VI, Paris, Honoré Champion, 2000.

46

Formey, Souvenirs, t. II, p. 132

47

cfr. anche R. Brin, Rousseau et ses editeurs, in "Revue d'histoire moderne et contemporaine", 40, 1 (1993), pp. 120-136.

48

“Depuis j’ai vu dans l’édition des œvres de Rousseau faite aux Deux-Ponts des notes sous le texte de son

Émile, où il ne me ménage pas, et qui sentent plus l’amour-propre que la philosophie. Elles peuvent reposer avec lui; et la posterité ne s’en mettra guères en peine. Réflexion faite, j’ai jugé que j’avois eu tort de jetter ma faucille dans sa moisson, et que je ne devois pas condescendre à la démande de Neaulme. Mais je puis bien assurer aujourd’hui en conscience que je ne croyois alors violer aucun devoir, ni blesser aucun droit. Conclusion: je crois que Neaulme n’a pas eu grand débit de l’Émile Chrétien, mais au moins n’a-t-il pas payé l’amende.” (Formey, Souvenirs, cit. p. 133-134)

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5.Confutazioni, sillogi, satire, espurgazioni

Dietro tutte queste polemiche non vi erano perciò unicamente questioni ideali: i Lumi e, in opposizione, la reazione; gli atei, i deisti e dall'altra parte i difensori dell'ordine costituito, i sicofanti del Trono e dell'Altare. C'erano anche, innanzitutto, forti interessi commerciali che, almeno nel caso dell'attività di Formey, si manifestavano in una qual certa forma di parassitismo editoriale; nella creazione di fortunate edizioni 'alternative' che andavano ad intervenire - assai fruttuosamente per il savant, non c'è dubbio - sul ciclo di diffusione di quelli che ormai si stavano profilando come i maggiori successi editoriali del secolo. Come affermava Rousseau, Formey si stava arricchendo "vendant ses ouvrages". Eppure il barone de Chambrier non si sbagliava nell'invitare il philosophe a guardare con occhio più clemente alla "manière de penser" del Formey, ma soprattutto ai motivi che lo avevano "engagé à la publication de cet Émile". Più che le confutazioni la silloge, risultante da una vasta e accorta opera di espurgazione, andava incontro a vaste fasce di pubblico che altrimenti avrebbero guardato con ostilità e persino con scandalo a molte delle affermazione eterodosse presenti nei testi di Rousseau. In fondo Formey non faceva altro che proporre una conciliazione più o meno ragionevole di questi e di quegli asserti con le abitudini e le convenzioni di una platea devota, timorata, conformista. Analizzando le sue opere capiamo che c’era un pubblico più refrattario ai Lumi, che comunque partecipava al culto del Rousseau romanziere, ma in maniera diversa, per via ‘negoziale’attraverso letture ‘selettive’ in chiave conservatrice e ciò rendeva necessaria una rimoralizzazione dei testi di successo.

Formey non fu l’unico a compiere questo tipo di operazione a partire dalle opere di Rousseau. Un altro esempio eclatante - assai più sistematico e prolisso nella pianificazione come nei risultati -ci viene fornito dall’opera di un altro dei tanti disperati in cerca di padrone che incrociavano nella bohème letteraria del tempo50, il poligrafo-giornalista abate Joseph de La Porte.

La Porte nacque verosimilmente nel 171451 a Belfort da una famiglia di mercanti e morì a Parigi il 19 dicembre 1779. Entrò a far parte dell’ordine dei gesuiti a Strasburgo nel 1731, ma già nel 1746 aveva lasciato la Compagnia. Caduto in miseria venne aiutato da Fréron, che come noto era una delle "bestie nere" degli Illuministi. Con lui La Porte cominciò a collaborare scrivendo proprio per la vituperatissima "Année litteraire", giungendo poi a rilevare personalmente, nel 1758, il privilegio di una rivista reputata, l’"Observateur litteraire"52. Poligrafo instancabile, l’immenso numero di articoli e di pubblicazioni prodotte nel corso di oltre quarant'anni di giornalismo riuscì a procurargli cospicue, benché faticate, ricchezze che al momento di morire egli lasciò per legato ai poveri della sua città natale. In una certa fase della sua vita, ossia dopo la definitiva rottura con Fréron, il giornalistà cercò persino di avvicinarsi agli Enciclopedisti. Frequentò per un po' d’Alembert e Diderot, che comprensibilmente non si fidarono mai granché di lui - come si vedrà, a ragion veduta.

50

Su di loro si veda R. Darnton, L'intellettuale clandestino. Il mondo dei libri nella Francia dell’Illuminismo, Garzanti, 1990.

51

Da J. Sgard,Dictionnaire des journalistes: la data di nascita è incerta, ma quella del battesimo è il 19 gennaio 1714.

52

L’Observateur litteraire viene pubblicato dal 1758 al 1761 sotto la redazione di La Porte. Darà spazio a tutti i generi letterari e all’attualità, anche se particolare attenzione verrà posta sul teatro. La sua distribuzione toccherà ben 122 città. Per ulteriori informazioni cfr la voce “Observateur litteraire” in Dictionnaire des journaux

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Nel 1764 La Porte pubblicò un Esprit, maximes, et principes de M. Jean-Jacques Rousseau53 in cui compendia, riportando degli estratti, quella che era l’opera omnia di Rousseau, ovvero quel che si conosceva di lui fino a quel momento. Ogni capitolo tratta di un argomento generale, poi diviso in paragrafi più specifici dal carattere analitico54. Quel che lo rendeva diverso da Formey erano sicuramente le intenzioni di fondo. La Porte non intendeva affatto condannare toto coelo le opere di Rousseau: non ne aveva né la forza sociale né le capacità intellettuali; soprattutto non aveva ancora deciso da che parte stare, né cosa gli convenisse davvero fare. Si proponeva per il momento di rendere più accessibili quegli scritti al grande pubblico dei lettori. La strutturazione dell'Esprit de Rousseau seguiva d'altra parte quella tradizionale delle raccolte di lieux communs, organizzate anch'esse per temi, largamente corredate da indici.

Per vedere come il La Porte si barcameni tra gli uni e gli altri, cercando di non scontentare mai nessuno ma occheggiando di preferenza verso i lettori conservatori e la corrente

anti-philosophe, basterà leggere alcune righe dell'avvertenza al lettore del suo Esprit:

…M. Rousseau - scrive - a gardé le silence avec tous les critiques de sa Lettre sur les Spectacles; à moins qu’on ne regarde son Essai sur l’Imitation Théâtrale et surtout la Nouvelle Héloïse, comme la meilleure réponse qu’il pût leur faire, selon leur différente façon de penser. En effet, on ne peut lire ce Roman moral, sans se persuader de plus en plus que les Spectacles et le Théâtre ne sont nullement l’école des bonnes mœurs, et que les personnes religieusement chrétiennes sont bien fondées à applaudir à la morale inéxorable du Citoyen de Genéve. Quoi qu’il en soit, la Nouvelle Héloïse est peut-être le meilleur ouvrage que nous ayons en ce genre […] La vertu y est peinte avec tous ses traits les plus touchant et les plus propres à se soumettre les ames honnêtes. […] La Nouvelle Héloïse a sans doute des défauts; mais ils sont compensés par tant de beautés, qu’à peine on les apperçoit: ils prouvent seulement, que l’esprit le plus sublime et le cœur le plus vertueux ne sont pas toujour à l’épreuve de la qualité d’Auteur et de Philosophe.55

È chiaro come l’attacco ai teatri sia una presa di posizione implicita contro i philosophes, infatti la ‘Lettera a d’Alambert’ è all’origine della rottura con loro. Anche il La Porte, quindi, vuole ricondurre la Nouvelle Héloïse in un alveo devote, esaltandola come valida alternativa al gruppo enciclopedista.

Eppure neanche La Porte giunge ad esaurire il numero degli imitatori, dei plagiatori e degli espurgatori dei due romanzi roussoviani. Un ultimo, breve esempio può essere cercato nella

Nouvelle Héloïse dévoilée di Louis Milon, pubblicata nel 1775. L’autore, un ballerino

dell’Académie royale de musique di Parigi, diceva di essersi deciso ad attaccare Rousseau perché si era accorto che era un romanzo profondamente immorale:

Le plus grand mal de ce singulier roman est la philosophie perverse qui s’est attachée à y justifier les

excès d’une passion forcenée sous le nom de philosophie moral de la nature.56

53

J. de La Porte, Esprit, maximes, et principes de M. Jean-Jacques Rousseau de Genève, Neuchâtel, Libraires Associés, 1764; Sui rapporti tra Rousseau e La Porte vedi anche R. Trousson, Jean-Jacques Rousseau jugé par

ses contemporains.

54

Ad esempio “CHAPITRE I: RELIGION. De Dieu; De la spiritualité; De l’ame; De l’evangile; De la dévotion; De l’irreligion”

55

Ibid, introduzione, p. XV-XVI

56

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Il fatto è che Julie cede alla passione, donandosi a St.-Preux, e poi invece di perdersi, si redime. Come per il protestante Formey questo è il vero problema, perché non ci si può salvare una volta che si è caduti nel peccato.

Abbiamo perciò sul mercato ben due Rousseau: quello delle sue opere, ed il Rousseau censurato,espurgato, rivisitato e reinventato - sempre partendo dalla stessa materia di base, eppure distorto al solo fine di farlo rientrare entro determinati canoni, per lo più di ascendenza confessionale, con finalità religiose.

Formey, da ministro della confessione protestante farà proprio questo: leggerà, individuerà gli elementi devianti, estranei ai precetti del Cristianesimo, e li farà sparire, secondo un’ottica pedagogica, mirata ad una buona educazione del lettore tanto sul piano morale che religioso.

6. I pericoli della lettura

Ma cosa ci poteva essere di tanto pericoloso in un romanzo? Innanzitutto, il romanzo stesso. Molto si è discusso sulla funzione sociale del romanzo nell'Europa della tarda età moderna; in particolare del romanzo epistolare e sentimentale come fomite o come traccia di un lungo percorso di emancipazione delle soggettività57. Resta ancora aperta, soprattutto tra gli storici della letteratura delle due sponde della Manica, la questione del primato: tra inglesi e francesi, chi aveva inventato il romanzo moderno?58

In genere viene data per accettata la sequenza Richardson-Prévost-Rousseau: dove il primo figura come il creatore di un modello di romanzo epistolare, "morale" e sentimentale, dalle dimensioni imponenti; Prévost ne sarebbe il traduttore, o meglio l'adattatore ad uso del costume francese, colui che ne avrebbe permesso l'acclimatazione sul continente, anche se a prezzo di pesanti "tradimenti" testuali, censure legate soprattutto al principio della

bienséance 59 . Rousseau rappresenterebbe invece il creatore di un nuovo canone romanzesco,ottenuto manipolando e "politicizzando" il materiale di partenza, anche se il Ginevrino non volle piegarsi mai a riconoscere il suo debito con il modello di partenza. Ciò che possiamo dire è che la nascita del romanzo moderno segue di pari passo i processi settecenteschi di secolarizzazione dei costumi, le evoluzioni sociali, assecondando vasti processi di alfabetizzazione che si legano a importanti movimenti di inurbazione, specie in Inghilterra60. Si è sostenuto infatti che la caratteristica principale del romanzo moderno sia quella di essere un’opera d’invenzione sempre più vicina alla realtà comune; che il lettore si possa immedesimare empaticamente nelle situazioni o nei personaggi, spesso gente appartenente ai ceti mezzani; che i comportamenti dei protagonisti di questi romanzi riflettono

57

L. Hunt, La forza dell'empatia, una storia dei diritti dell’uomo, Laterza, 2010.

58

Cfr. ad es. F. Jost, Richardson, Rousseau et le roman épistolaire, in: "Cahiers de l'Association internationale des études francaises", 29 (1977), pp. 173-185.

59

F. du Sorbier, Heurs et malheurs du roman anglais en France au XVIIIe siècle, in: Le continent européen et

lemonde anglo-américain aux XVIIe et XVIIIe siècles. Actes du Colloque, Société d'études anglo-américaines des

17e et 18e siècles, 1986. pp. 119-131; P. H. Roddier, L'Abbé Prévost et le problème de la traduction au XVIIIe

siècle, In: "Cahiers de l'Association internationale des études francaises", 8 (1956), pp. 173-181.

60

Cfr. in particolare L. Stone, Famiglia, sesso e matrimonio in Inghilterra tra Cinque e Ottocento (trad. It.), Torino, Einaudi, 1983; nonché J. Kramnick, Making the English Canon: Print-Capitalism and the Cultural Past,

1700-1770 ,Cambridge, Cambridge University Press, 1998; Cl. Siskin, The Work of Writing: Literature and Social Change in Britain, 1700-1830, Baltimore and London, The Johns Hopkins University Press, 1998.

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