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Per una idiomatica dell'italiano

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I modelli della morfologia

La storia dei modelli morfologici, illustrata qui in maniera molto sommaria, segue da un lato la messa in crisi dell’unità morfologica come segno biunivoco e dall’altro la sua riaffermazione secondo nuovi modello. Di seguito illustreremo come la biunivocità del segno nella formazione di parola vacilli nella

descrizione della lingua ed anzi la sua persistenza, come principio teorico, costringa il linguista ad impoverire la rappresentazione che egli da dei fenomeni morfologici.

Da quelle che sono alcune problematiche dei modelli morfologici

derivativi faremo emergere la necessità di inquadrare un 'nuovo' tipo di elemento morfologico a carattere prettamente funzionale. Il segmento prototipico che ci permetterà di delineare le qualità di questo elemento sarà il suffisso. Sottolineare che esistano unità non solo segniche ma anche funzionali nella lingua servirà a meglio comprendere quei casi in cui l’identificazione di costituenti (data per azione della funzione sull'argomento) non comporti automaticamente la trasparenza semantica. L'esistenza, in morfologia, di unità deputate non al riferimento ma al funzionamento della lingua ci darà un importante stimolo per affrontare, in seguito, come nelle costruzioni idiomatiche avvenga la

lessicalizzazione. Anticipiamo che, per noi, la produzione di lessico, inteso come uno tra gli scopi principali della morfologia, può avere, tramite un particolare processo di funzionalizzazione del materiale lessicale, una sua applicazione periferica in ambito sintagmatico.

Principalmente ci soffermeremo su:

-l'opacità semantica dell'unità funzionale,

-la particolarità della regola morfologica, differente dalle regole di base e dalle trasformazioni

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-la multistratalità che interessa il livello morfologico, da cui consegue un trattamento non isomorfico dei processi in azione nella formazione di parole.

-il differente rapporto che caratterizza i costituenti rispettivamente in sintassi e in morfologia

-la paradigmaticità come carattere peculiare di flessione e derivazione, ma con qualità diverse

-la nozione di funzione, intesa come relazione tra classi distinta dal predicato, come origine della differenza tra la nozione di testa in morfologia e in sintassi.

- lo sviluppo di un approccio alla lessicalizzazione che permetta di delineare i suoi strumenti dalla morfologia alla sintassi, e non escluda a priori livelli diversi da quello morfologico

Le differenze, ed i passaggi da un modello all’altro ci serviranno a meglio intendere quale sia la natura particolare delle costruzioni idiomatiche.

Noi pensiamo che la morfologia possa servire ad illuminare aspetti dell’idiomatica finora poco considerati. Vista la preminenza di studi sintattici e semantici, che poca considerazione danno ai fatti di morfologia nell’idiomatica, sarà nostro compito dimostrare tramite delle precise similitudini, come gli studi riguardanti il livello di parola, deputato alla formazione di lessico, possano suggerire un trattamento dell’idiomatica.

2.1 Il morfema e l’affisso secondo i tre paradigmi tradizionali della morfologia

In questo capitolo mostreremo perché la messa in crisi della nozione di morfema1 è stata parallela al mutamento dei modelli teorici in ambito

morfologico.

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I principali modelli morfologici di riferimento sono:

-modello a entità e disposizioni -modello a entità e processi -modello parola e paradgma

Il paradigma ad entità e disposizioni scompone la parola e cerca di individuare al suo interno ulteriori costituenti che motivano la parola intera con significato parziale. Per individuare i morfemi, bisogna confrontare il lessico della lingua. Questa operazione permette di isolare degli elementi comuni con

significato indipendente (affissi) ed altri,idiosincratica, speculari alle parole (radici e temi). La parola una volta segmentata non deve comportare dei residui, per cui la somma dei morfemi della forma libera dovrà coincidere con l'intera parola in esame. Ad esempio dal confronto di

prendere imprendibile inprendibili disponibile

otteniamo i morfemi:2 [prend], [im], [ibil],[e],[i], [dispon]. Nel modello a entità e disposizioni la parola non è un elemento primitivo ma complesso e perciò può essere interamente analizzabile e scomponibile. La morfologia è quel livello linguistico che descrive quali unità e quali 'modi' il parlante utilizzi per costruire la maggior parte del proprio lessico. In questo modello il morfema gode di un grado di autonomia tale da poter essere il ‘perno’ su cui costruire tutta la morfologia. Così concepita l'unità rappresenta contenuti linguistici frutto delle analisi distribuzionali fatte dal linguista e nello stesso tempo contenuti lessicali a disposizione del parlante.

Una volta constata la variabilità di forma e la difficoltà di segmentazione che uno stesso contenuto morfematico presenta, diventa necessario modificare la nozione di morfema introducendo quella di morfo. I morfi sono i segmenti

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fonologici lineari laddove i morfemi costituiscono i significati lessicali e grammaticali della parola. Ad esempio è si presenta come il morfo /è/ che rappresenta i morfemi{essere}+ {presente ind.}+{terza persona singolare}. Il morfema non è più considerato una entità lineare, bensì assume il valore di unità più astratta.

La distinzione non risolve però alcune problematiche. In certi casi una stessa sequenza può ammettere più segmentazioni

«In turco, la sequenza ellerine può essere scomposta in due modi diversi:

el-ler-i-n-e {mano} + {plurale} + {suo} + n +{dativo} «alle sue mani»

oppure

el-ler-in-e {mano} + {plurale} + {tuo} + {dativo} «alle tue mani» »3

Non è poi sempre possibile operare chiaramente assegnando un significato univoco allo stesso morfo o, in casi più problematici, assegnare un significato in generale. Nel primo caso avremo variabilità di significato con la stessa forma. E' il caso, ad esempio, del prefisso in- per imparare e per immettere. Nel secondo caso è identificabile, dal confronto di un corpus, il morfo, ovvero la forma , ma il suo significato è opaco. In questo caso ci troveremmo nella situazione paradossale di avere un morfo senza il suo morfema. Siamo nel caso dei cosidetti MORFI 'CRANBERRY'.

A nostro avviso i problemi presentati derivano dal fatto che il

MORFEMA non sia altro che la proiezione,in morfologia, di un segno biunivoco, necessario affiché si voglia costruire un sistema pienamente formalizzato. Per formalizzare una stringa bisogna indicizzare univocamente i contenuti delle unità del nostro linguaggio affinché, successivamente , si possa lavorare

autonomamente sulla sole forme vista l'indipendenza dataci dall'unione biunivoca di forma e contenuto. In una formalizzazione 'perfetta' lavorare sulla forma vuol dire anche agire sui contenuti. Quando, invece, siamo di fronte ad una

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dissoluzione dell'unità del segno e quindi ad una discrepanza tra significante e significato non è più possibile 'evadere' quegli aspetti del nostro linguaggio che non possono essere esaminati in tal senso. Di per sé già ritenere il morfema come un’entità astratta vuol dire accettare che l'unità minima e principale della

morfologia abbia una natura diversa da quella del segno.

Questi tipi di problematiche hanno costretto i teorici ad abbandonare la morfologia morfematica in favore della nozione di 'parola' e 'lessema', istituendo nuovi modelli quali la morfologica lessicale e quella a Parole e Paradigmi. Tuttavia anche in questi approcci permane la difficoltà di capire cosa siano veramente i prodotti4delle analisi, o meglio delle segmentazioni, in morfologia.

Autori come Halle(1973)5 , che ancora accettavano l’esistenza dei morfemi, stipulavano, in un modello generativo, la presenza di due dizionari alternativi, uno per i lessemi e uno per i morfemi, a discapito dell’economia del sistema stesso. Thorton(2005)6 inquadra bene quest’aspetto della teoria quando dice che nella morfologia morfematica:

«Elementi come radici, desinenze, suffissi e prefissi hanno tutte le caratteristiche di un segno linguistico, in quanto sono corrispondenze stabili tra un certo significato e un certo significante; inoltre, hanno anche un’altra importante caratteristica, che li distingue da segni linguistici quali le parole e le frasi , e cioè sono segni linguistici minimi, non ulteriormente scomponibili in

costituenti che siano a loro volta dei segni linguistici»7

L'unità del segno data perlopiù come presupposta nel primo modello morfologico non ci permette di affrontare i segmenti individuati dall'analisi. Radici, desinenze, suffissi e prefissi sono il centro della morfologia indoeuropea ed in particolare dell'italiano. Decidere, in termini linguistici quali tipi d’unità rappresentano, non è privo di difficoltà a dispetto di ciò che poteva sembrare nel modello per entità e disposizioni. Lo ricordiamo, nel paradigma items and arrangements i prodotti dell'analisi sono tutti morfemi ed il morfema è l'unità minima di significato, ovvero un segno.

4 Radici, temi, affissi

5

Prelogomena to a Theory of Word Formation, in «Linguistic Inquirity»4, 3-16

6 Thornton.A.M. (2005) Morfologia. Carrocci 7Ibidem 33

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Questi elementi però, già in ambito strutturale, non erano equivalenti. Vi era distinzione tra morfemi lessicali e morfemi grammaticali. I primi si caratterizzano per avere un significato 'pieno' e per far parte di una 'classe aperta' (potenzialmente illimitata) mentre i secondi hanno un contenuto grammaticale e costituiscono una 'classe chiusa'. Questa divisione è di supporto anche a nozioni strettamente tipologiche. Ad esempio la morfologia delle lingue europee è detta CONCATENATIVA perché i morfemi grammaticali e i morfemi lessicali non si fondono nella catena sintagmatica ma vi appaiono disgiunti gli uni dagli altri.

Se i morfemi lessicali sono portatori di ciò che propriamente è definito concetto o significato, nel caso dei morfemi grammaticali la parola “significato” ha un’accezione 'particolare'. I morfemi non lessicali sono caratteristici per la funzione che hanno, in ambito sintagmatico o paradigmatico, non solo sulla parola (o più avanti il LESSEMA) che la contiene ma anche su altre parole a lei

combinate sintagmaticamente o paradigmaticamente. Nello specifico, parlando dei due maggiori affissi della morfologia italiana, i suffissi e i prefissi

avremo la funzione di DERIVAZIONE che attribuisce i valori categoriale nelle formazioni.

Prefissazione

ri + [contare]V → [ricontare]V

Suffissazione

[riparare]V + [bile] → [riparabile] AVV8

e quella di FLESSIONE che assegna valori sottocategoriali di genere, numero, tempo e coniugazione

Amic-o/a Amic-i/e

Mangiare: mangio, mangi..mangiamo... mangio, mangiò, mangiavo, mangerò...

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Visto il ruolo svolto dai suffissi e dai prefissi nei due maggiori campi della morfologia italiana è importante sottolineare l'importanza di questi elementi e capire di fronte a quale tipo di unità ci troviamo. Se rimaniamo all'interno della nozione di morfema avremo modo di descrivere in modo accettabile i morfemi

flessivi ma, nel caso della morfologia costruzionale si presenteranno difficoltà, a

noi già note, che riguardano sopratutto il tipo di significato di cui sono portatori

«Questi morfemi non esprimono solo l’insieme ristretto e ben definito di tratti morfosintattici obbligatori in una lingua; occasionalmente hanno significati molto specifici e simili a quelli di elementi lessicali ( per esempio , si può sostenere che –ile in lessemi come porcile , ovile,

canile e il recente gattile abbia il significato di “rifugio di animali”), ma per lo più esprimono un

tipo di significati il cui grado di generalità si colloca un po’ a metà strada tra quello generalissimo dei tratti morfosintattici e quello molto particolare dei morfemi lessicali. Ad esempio, dallo studio di Contermini ( 2002) si evince che la maggior parte dei prefissi italiani ha un significato di tipo spazio-temporale (per esempio , ante-, circuì-, infra-, inter-, pre-, post -,

sub-, trans-), valutativo ( per esempio , arci-,iper-, ipo-, maxi-, mega -, micro-,mini-, ultra) o

negativo (a-/an, de-,dis-,in-, non-,s-), e sono pochissimi i prefissi che hanno un significato paragonabile a quello di singoli elementi lessicali»9

Il divario tra flessione e derivazione più che dalla generalità dei presunti significati degli affissi, dipende dall’idiosincrasia dei risultati semantici che seguono alla loro applicazione. Non solo, lo stesso affisso può avere uscite semanticamente diverse, ma diversi affissi possono avere uscite simili. Ipotizzare un significato caratterizzato da un certo grado di generalità serve ad accumunare, mediante, analogie le diverse idiosincrasie che caratterizzano l'applicazione di un certo significato.

Nel caso dei prefissi e dei suffissi il significato generale o meno risulterà ipotetico ed accetterà un certo grado di eccezione. Sinonimia e opacità, sono sì caratteristiche del lessico ma, non raggiungono la medesima forza presente a livello morfologico per la sproporzione semiotica tra il livello morfologico e

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quello lessicale.In questo studio tralasceremo di trattare la flessione e ci

concentreremo sulla morfologia derivativa( o costruzionale) e maggiormente sui suffissi.

La distinzione tra morfemi lessicali e morfemi grammaticali riassume una dicotomia che va oltre la caratterizzazione interna al concetto di morfema. Essa riguarda il funzionamento stesso del linguaggio e non la sola identificazione d’unità primitive che rispettano la biunivocità del segno. Se in sintassi un sistema fondato su segni può funzionare, all'interno della morfologia esso vaccilla. Per meglio comprendere soffermiamoci sull'elemento 'nucleo' della sintassi, la parola. E' chiaro che un ipotetico parlante nell'eloquio e nell'ascolto combini delle parole e non dei morfemi. Questo, perché appunto, non tutti morfemi possono essere considerati segni biunivoci e sintagmatici. La parola è capace di

riferimento e 'dice di qualcosa', il morfema invece è 'chiuso' tutto all'interno della lingua e si giustifica totalmente per i rapporti che ha con gli altri elementi

linguistici. A dispetto di quanto suggerisce il concetto di morfema nel caso dei suffissi siamo in presenza di 'segmenti paradigmatici'10, la cui funzione richiama parole assenti dal contesto sintagmatico. Non a caso una delle differenze tra affissi derivazionali e affissi flessionali e che i primi agiscono formando relazioni in ambito paradigmatico mentre i secondi in ambito sintagmatico11.

Superare l'inadeguatezza di fondo del morfema ha voluto dire, in morfologia, cambiare paradigma teorico. In un modello a entità e disposizioni risultava problematico giustificare l’allomorfia

«..come assicurare che dopo cat sia selezionato per esprimere “il plurale” il morfo /S/ e non il morfo /Z/ o il morfo /IZ/?

Nel modello a entità e disposizioni questo problema è risolto dichiarando la distribuzione di ciascun morfo. In questo modello, però, la distribuzione di un certo morfo ha un carattere

10Non di segmenti sintagmatici forma-contenuto

11

Nei più recenti approcci sintattici generativi è possibile notare come le categorie flessionali (ad esempio quelle di accordo e tempo) possano essere rappresentate in costruzioni che hanno come obbiettivo quello di giustificare e descrivere sequenze sintagmatiche.

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puramente stipulativi, cioè può essere constata, ma non consegue da nessun principio indipendentemente stabilito…»12

Non potendo fornire un principio autonomo per la variazioni degli allomorfi si è modificato il paradigma teorico intero e passando da un modello items and arrangements ad uno ad “entità e processi.” Questo ultimo introduce nelle descrizioni i mutamenti fonologicamente condizionati dei morfemi

«Per rendere conto della non casualità della distribuzione degli allomorfi fonologicamente condizionati, è stato sviluppato un modello che, pur non abbandonando l’idea che le parole vengano formate per concatenazione di entità biplanari, permette di esprimere in modo più intuitivamente soddisfacente la relazione tra entità sinonime , quali i tre allomorfi /IZ/, /S/ e /Z/….Si tratta del modello a entità e processi. In questo tipo di modello, si assume che i tre /IZ/, /S/ e /Z/ del morfema “plurale” ( come qualunque altro insieme di allomorfi di uno stesso morfema ) non abbiamo , per così dire , pari dignità: uno di essi è considerato l’allomorfo principale, la forma basilare dalla quale gli altri possono essere derivati tramite operazioni ( processi) di natura fonologica.» 13

Ma anche questo nuovo modello risultava poco efficace nello spiegare alcuni fenomeni tra cui: la suppletività, i submorfemi(t nei pronomi terza persona singolare),morfi unici(cran-morfi), morfi vuoti(vocali tematiche)morfi

discontinui(ge…en nel tedesco), morfi non completamente specificati i quali,

questi ultimi, hanno la caratteristica di acquisire forma solo in relazione ad ogni specifico morfo lessicale a cui si combinano. Tutti questi fenomeni secondo diverse modalità mettono in discussione la relazione diretta significante-significato. La supplettività rappresenta un cambiamento di forma non

giustificabile fonologicamente, ad esempio nel verbo andare la prima-persona-singolare del presente vado con la prima-persona-plurale del presente andiamo. Spiegare il mutamento di forma in base al contesto fonologico avrebbe permesso al linguista di giustificare il cambiamento in termini indipendenti rispetto alla

12Thorton (2005),p.44.

13bidem.p.45. «L’allomorfo principale è detto forma sottostante e soggiacente (in inglese,

underllying representation). Nel caso del nostro esempio , si ipotizza che il morfema di plurale

dell’inglese abbia come forma sottostante /Z/: /Z/ subisce un processo di desonorizzazione se preceduto da una consonante sorda , e nel contestocostituito da un morfo lessicale terminante in sibilante seguito da /Z/ si applica un processo di epentesi di /I/ al confine tra i due morfi»

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morfologia. Riassumiamo nella seguente tabella i casi-limite dei modelli ad entità e disposizioni ed a entità e processi in cui la morfologia morfematica si trova in difficoltà.Nello specifico ci riferiamo alla FLESSIONE

«

A livello sintagmatico A livello paradigmatico Corrispondenza “molti a uno”

(molti significati ↔ un significante)

Segnalazione cumulativa, amalgama

Omonimia tra forme flesse

Corrispondenza “uno a molti” ( un significato ↔ molti significanti) Segnalazione molteplice, segnalazione estesa Allomorfia lessicalmente o grammaticalmente condizionata »14

Trattare con modelli che hanno come loro unità fondamentale un elemento biplanare di forma e contenuto significa spiegare i fenomeni o in chiave fonologica o in chiave semantica in corrispondenza con le due facce del segno arbitrario

«Per questo tipo di proprietà non c’è spazio in un modello a entità e disposizioni o a entità e processi , che assume entità definite solo dai due livelli del significante ( livello fonologico) e del significato (livello semantico). In generale , questi modelli possono render conto di fenomeni di allomorfia non fonologicamente condizionata solo in modo stipulativi, cioè dichiarando che le cose stanno in un certo modo , senza però che questo consegua da qualche altra proprietà»15

Il punto è che in questo modo la morfologia sembra non essere un livello a sé stante. Il suo studio si ridurrebbe ad un insieme di coppie di forme e significati il cui rapporto non sarebbe di pertinenza della morfologia. Ma per istituire una morfologia morfematica è importante dimostrare che esistono mutamenti

indipendenti dal contesto fonologico e in diretta corrispodenza con un mutamento di contenuto.

prosodia→ prosodico

14 Ibidem 79

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corretto → correnzione ma carretto → carrettiere

Per individuare un campo puramente morfologico alcuni linguisti hanno ritenuto necessario, viste l’insieme di problematiche sopra descritte, distaccarsi dalla nozione di unità linguistica biplanare. Alle morfologie morfematiche si è preferito il modello a parole e paradigmi

«In un modello a parole e paradigmi , invece, la distribuzione di –o e –e può essere spiegata come condizionata da una proprietà, irriducibile a proprietà fonologiche e semantiche , è di un ordine che possiamo chiamare propriamente morfologico ( seguendo Aronoff, 1994). Lo specifico del livello d’analisi morfologica delle lingue sta proprio nello spiegare fatti di

distribuzione d’allomorfi che non sono spiegabili né come governati fonologicamente né come governati semanticamente , come fatti di suppletivismo»16

In questo caso non saremo più di fronte ad una morfologia il cui carattere fondamentale sia quello della segmentazione e della identificazione di unità biplanari corrispondenti. Compito del linguista sarà quello di istituire i significati delle parole per capire, successivamente, come essi si realizzino

indipendentemente dalla fonologia sul piano sintagmatico. Sotto la guida degli approcci genarativi e non17 si è ritornati alla nozione di parola o meglio di LESSEMA.

Il LESSEMA è

«...un elemento dotato di un significato lessicale ( ad esempio , AMICO significa “persona con cui si ha un legame di affetto, di amicizia”), che appartiene ad una certa classe di parole ( per esempio , IL è un articolo , ESSERE è un verbo…) ed è rappresentabile da una o più forme ( ad esempio IL è rappresentabile da il ,lo,gli ecc; ESSERE è rappresentabile da sono,sei

,era,saremmo ecc.). Il lessema è un’unità di un livello più astratto di quello al quale

appartengono le sue diverse forme »18

Con questa nuova unità la morfologia diventa la disciplina che cura come i diversi lessemi di una lingua si realizzano nel discorso acquisendo valori grammaticali

16

Ibidem

17 Vedi Matheuws 1972

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(FLESSIONE), e come da lessemi 'semplici' si costruiscano lessemi 'complessi' (DERIVAZIONE e COMPOSIZIONE).

Caratterizzando il lessema diciamo che:

-il lessema è un significato lessicale, e proprio per la sua appartenenza a questo livello linguistic, è astratto rispetto alla sua realizzazione grammaticale (derivata o flessa che sia).

- il lessema è un’unita semantica appartenente al lessico. Essa è iscritta tra i significati comunemente usati dalla nostra grammatica secondo le modificazioni possibili in quest’ultima.

- Il concetto di lessema è una nozione non solo linguistica ma che appartiene a livello intuitivo al parlante

- E’ caratterizzato da un significato non complesso cioè non articolato sintatticamente

- Può essere espresso mediante diverse forme che rappresentano la sua articolazione flessiva

- Caratteristica d’ogni lessema è l’appartenenza ad una certa classe di parole e di conseguenza ad una certa distribuzione sintattica

- La distinzione tra lessema e le sue forme nel discorso fa di questa nozione una unità di livello più astratto.

- Il livello più astratto a cui si riferisce il lessema non è frutto di una necessità ma cerca di esplicitare la nozione intuitiva del parlante che sembra lavorare sulla propria lingua ad un livello di astrazione corrispondente.

Aggiungiamo che tutte queste caratteristiche tranne la terza possono essere attribuibili alla nozione di concetto.

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L’applicazione della GRAMMATICA ad un lessema forma il suo PARADIGMA, la rappresentazione delll'insieme dei valori che il lessema può assumere in ogni sua realizzazione

Prendiamo ad esempio il paradigma di un aggettivo; esso verrà caraterizzato mediante le categorie grammaticali pertinenti a questa parte del discorso:

NUMERO Singolare Plurale

Maschile GENERE

Femminile

Ogni forma flessa del lessema occuperà una cella del paradigma. Il cambiamento del paradigma si riflette sul modo presunto nel quale il parlante costruisce il discorso. La scelta paradigmatica non consiste in certo insieme di segni morfemici bensì in concetti lessematici da contestualizzare sull'asse sintagmatico.

Mentre i valori flessionali o le categorie morfossintatiche appartengono a paradigmi 'ristretti' 19 ed obbligatori, le relazioni paradigmatiche tra i lessemi caratteristiche della derivazione sono un qualcosa a priori della messa in discorso e tutta interna al lessico. A questo punto è di dovere domandarsi quale tipo di conoscenza rappresentino le relazioni, studiate dalla morfologia derivativa, presenti tra elementi lessematici del lessico e che tipo di 'posizione' abbiano nel modello a parole e paradigmi.

2.2 La regola morfologica come centro di un nuovo componente della grammatica

19

Che hanno un numero di valori limitato. L'obligatorietà, a differenza della scelta, è caratterizzata da uno scarso valore informativo. Per esempio il femminile per aggettivi e per articoli è totalmente ridondante.

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In una grammatica per regole non c'è la distinzione tra i diversi livelli del linguaggio20.

«La disparition des règle va de pair avec le fait que ces formalisme sont mono-strataux: toutes les information sont exprimeées au même niveau et il n'y a pas de dérivation»21

La segmentazione delle parole poteva portare il linguista ad etichettare come morfemi entità di natura chiaramente diversa. La diversità dei formativi che Chomsky(1965)22, nel suo primo modello, indica come elementi che soggiacciono alle regole di riscrittura, dimostra come le tecniche di analisi morfologica

individuassero già da tempo unità che mal si adattavano alla definizione tradizionale di morfema.

«i formativi grammaticali di Chomsky (1965; trad.it.p.104) corrispondono in parte a morfemi grammaticali intesi come segni linguistici minimi biplanari ( ad esempio, the), in parte invece a tratti morfosintattici, puri elementi di significato, non ancora connessi biplanarmente a un signicante (ad esempio, Perfetto o Possessivo). »23

Ciò che era fondamentale nel modello di Chomsky era individuare le unità combinatorie, di qualsiasi tipo fossero, e costruirle mediante un unico

componente, quello sintattico. La morfologia garantiva i concetti-base per altri livelli, ad esempio il lessema per la semantica o alcune categorie morfosintattiche ( tempo e accordo) per la sintassi, ma come componente autonomo veniva a scomparire. All'origine della formazione del lessico complesso vi era un particolare tipo di regola sintattica, la trasformazione. Questo trattamento, in seguito fortemente combattuto da Chomsky, descriveva i processi lessicali come derivazioni da rappresentazioni sintattico-semantiche che attraverso le

trasformazioni raggiungevano, ad uno stadio 'superficiale', lo stato di parola.

20 Tuttavia noi manteniamo la nozione di regola intesa come applicazione di funzioni perché ben si

adatta a descrivere e rappresentare non il fenomeno derivativo nel suo insieme ma il solo mutamento categoriale verso cui non è di nostro interesse l'attribuzione ad un livello d’appartenenza preciso.

21

Fradin.B.(2003). Nouvelles approches en morphologie.Presses Universitaires de France,p.266.

22Aspects of The Theory of Syntax, Cambridge (Mass.), MIT Press. 23Thornton (2002) p.91.

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Chomsky(1970), in quella che allora era la diatriba tra sintassi e semantica generativa, pose l’accento su alcune particolari formazioni nominali per affermare che il componente sintattico24 non poteva essere responsabile di tutte le

formazioni linguistiche e in particolari di quelle lessicali.

«Chomsky (1970) ha osservato che dai verbi inglesi è possibile derivare due tipi di nomi, o meglio che sono possibili, a partire da verbi inglesi, due tipi di nominalizzazioni, che egli ha denominato rispettivamente “nominali gerundivi” e “nominali derivati”. I due tipi di deverbali differiscono per diverse proprietà. In particolare, mentre quasi ad ogni frase con verbo corrisponde un possibile nominale gerundivo, non ad ogni frase con verbo corrisponde un possibile nominale derivato...»25

Queste osservazioni andavano ad inclinare il modello generativo per quanto riguarda il trattamento del lessico.

Entrando nello specifico, Lees (1968)26, uno dei sostenitori del trattamento sintattico dei composti nominali, sosteneva che le parole composte fossero

comprese sulla base dei loro soggiacenti rapporti sintattici, ovvero in termini di relazioni fra costiuenti.

Il trattamento trasformazionale, così com’era avvenuto per la sintassi (Harris 1957),27 riusciva a spiegare l'ambiguità nei composti ipotizzando strutture 'profonde' diverse, rimanendo all'interno della grammatica e senza fare appello a conoscenze extralinguistiche. Tuttavia mentre le trasformazioni tipo attivo-passivo, assertivo-interrrogativo implicano la ristrutturazione tramite movimento e soprattutto un’interdipendenza che va dal più semplice al più complesso, le trasformazioni di interlivello, se ammesse, hanno un andamento diverso che, nell'economia della lingua, si muove dal maggiormente analitico (frasi) al più sintetico (lessico). Da questo punto di vista, le 'trasformazione lessicali', sono per

24 Bisogna ricordare che una regola sintattica, se si vuol ritenere tale, ha una produttività illimitata

e garantisce, per la sua generalità, di essere applicata a fenomeni dello stesso genere.

25 Ibidem 97 26

Lees, Robert B. 1968. The grammar of English nominalizations. Bloomington: Indiana University Press.

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la teoria, poco adeguate. Esse, traducono una costruzione in un'altra che fa un ausilio maggiore della grammatica.28

«In altre parole, i tentativi di riportare il numero delle relazioni logiche possibili tra i due elementi di un composto ad un numero fisso di relazioni sintagmatiche non sembrano praticabili. Questa impossibilità ha le sue radici nelle assunzioni di base della Grammatica Generativa così come è comunemente intesa: le RSS generano insiemi fissi di strutture che sono state concepite originariamente come strutture profonde di frasi. L’estensione di questa ipotesi originaria comporta la necessità di postulare operazioni che non possono essere ristrette in alcun modo significativo»29

Alla luce di queste difficoltà si è preferito con la così detta ‘ipotesi lessicalista' mantenere la sintassi 'cieca' rispetto alla formazione di parole. Da uno studio più attento al lessico emerse che la produzione lessicale poteva essere descritta sempre tramite regole, ma di natura diversa rispetto alle

trasformazioni e alle regole-base di riscrittura. Le 'nuove' regole dovevano avere un comportamento ed una applicazione, all'interno del componente morfologico-lessicale, non sintattica. Alla morfologia veniva data una 'dignita' teorica

all'interno del processo generativo del linguaggio. Il suo compito era quello di descrivere le regole di formazione di lessemi.

2.3. Il significato della regola in morfologia

Dimostrare che esistono casi in cui l’unità forma-contenuto non è presente in morfologia, da un lato permette di passare alla morfologia lessicale, prendendo come unità di riferimento non più il morfema ma la parola, dall’altro ci fa

osservare come siano presenti tra i morfemi unità strutturali che hanno,

nonostante l’assenza di significato, una motivazione funzionale. Ciò nonostante una morfologia che stabilisce come base della regola un 'parola' incentra anch'essa la propria descrizione partendo dal segno. La differenza sta nel fatto

28 Grammatica è qui intesa versus lessico 29Thornton (2005),p.150.

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che il 'segno morfologico' non sarà più il morfema , bensì la parola come base di ogni regola di formazione. L’ipotesi perorata di una Word-based morphology è in continuità col ritenere le regole morfologiche sufficienti non solo a descrivere formalmente la costruzione di parola ma a motivarne la semantica. La regola di formazione come la regola sintagmatica trova il suo centro nel concetto di segno e quindi nell’isomorfismo tra forma e contenuto e non ammette un funzionamento dissociato dei livelli(sintattico, semantico, morfologico) interessati nella

formazione di parola.Certamente non pensiamo che le parole non siano in qualche misura regolari. Solamente diremo che descrivere la loro formazione secondo un isomorfismo tra forma e contenuto avrà uno scopo parziale,limitato a certe caratteristiche.

Sintassi e morfologia differiscono nella relazione testa-satelliti. La non testa morfologica è, secondo la gerarchia X-barra un X°, in sintassi sempre un XP. Inoltre la regola di riscrittura riscrive un simbolo tramite elementi diversi e d’ordine differente, la RFP può riscrivere un simbolo mediante l'ausilio del medesimo e senza implicare rapporti categoriali parafrasabili in 'e un':

F → SN + SV

che secondo la X-barra equivale a

..xn.. → …x n-1..

Mentre in:

N → V+ N

abbiamo

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Le RFP poi, a differenza delle derivazioni sintattiche non hanno memoria se non delle formazioni immediatamente precedenti. Riproponendo un utile schema in Scalise (1983)30 confrontiamo le regole di formazione di parola (da ora in poi RFP) con le trasformazioni

RFP T a) possono cambiare le categorie lessicali si no

b) sono locali si no c) costruiscono struttura si no d) hanno proprietà di ramificazione binarie si no e) coinvolgono categorie sintagmatiche no si f) sono ordinate no si g) hanno regole di movimento no si h) trattano informazioni idiosincratiche si no

Nel caso delle RFP non è pertinente parlare di una struttura 'superficiale' e di una 'struttura profonda' visto che il loro effetto è quello di costruire lessico da altro lessico e non quello di spostare elementi ristrutturandone le relazioni. La regola morfologica stessa descrive non solo un processo ma può essere considerata una buona rappresentazione della struttura lessicale binaria. Infine mentre la

trasformazione non convoglia informazioni la RFB si fa carico di

derivare,completamente,il lessico 'complesso' in tutti i suoi aspetti. Per far sì che ciò avvenga nel funzionamento della regola, anche in morfologia, trova posto il concetto di TESTA.

Possiamo definire la testa come il costituente della costruzione dal quale percolano (si proiettano) la categoria lessicale e i tratti sintattici

« allora la proposta che la testa di una parola suffissata sia il suffisso sarà perfettamente accettabile e sarà in linea con quanto detto sopra e cioè che l’aggiunta di un suffisso cambia

sempre la categoria lessicale della base . In altre parole , nelle RFP non c’è composizionalità

sintattica »31

30Scalise.S.(1983) Morfologia lessicale. Clesp,p.95. 31Ibidem 102

(19)

Per quanto riguarda tratti sintattici e categoria lessicale di uscita , nella

formazione morfologica un solo elemento, la testa, ne è responsabile. L'azione di una sola parte della costruzione limita la composizionalità della formazione intera. Dato che il valore categoriale-sintattico della costruzione morfologica dipende principalemente dalla testa, a discapito di altri elmenti, è un fatto che le RFP differiscano dalle derivazioni sintattiche per non essere sensibili anche a formazioni precedenti l’ultima.Tuttavia aver importato la nozione di testa nella morfologia non è esente da difficoltà.

E' possibile trovarsi di fronte a casi in cui decidere cosa sia testa e cosa non lo sia non appare scontato.Questi casi ci obbligano a distinguere tra una Testa semantica e una Testa sintattica.

«Si consideri un deverbale come derisione. Sulla base di quanto si è visto sin qui, la testa della parola è il suffisso –ione , dato che è il suffisso a determinare la categoria di Nome. La parafrasi di tale parola è ‘l’atto di deridere’. Il contributo «semantico» del suffisso al significato di tutta la parola è dunque parziale, dato che all’interpretazione della parola contribuisce in modo

sostanziale la non-testa deriso.

E’ dunque logico pesare che vi siano due tipi di testa: una testa sintattica e una testa semantica. In derivazione, la prima è il suffisso e la seconda la base

»32

Dal costituente di destra vengono percolate al nodo superiore le informazioni categoriali mentre da quello di sinistra quelle semantiche. La distinzione è fondamentale per la derivazione dove l'apporto semantico della base è necessario per la parola complessa.

32

Ibidem 195 Scalise Morfologia

Categoria Semantica

(20)

L’osservazione di sopra suggerisce come, anche in questo caso, un approccio alla morfologia basato sulla nozione di segno possa portare ad escludere tutto ciò che non rispetti l’isomorfismo tra forma e contenuto e che sfugga a rappresentazioni mediante regole monostratali. Nel processo derivativo può capitare che forma e contenuto siano governati da elementi diversi. La derivazione presenta

derivazione un mismatch tra morfologia e semantica.

Sintetizziamo brevemente le altre differenze tra testa sintattica e testa morfologica. Esse saranno utili per meglio marcare l'autonomia della morfologia rispetto alla sintassi ed allo stesso tempo suggeriranno un tipo di funzionamento alternativo e generale della combinazione linguistica. Qui di seguito aggiungiamo che

a)La testa in morfologia non è lessicale

b)La testa in morfologia è funzionale

c) sottraendo la testa in morfologia otteniamo un componente X° o proiettabile in XP

d) sottraendo la testa in sintassi otteniamo un struttura non governata e quindi sintatticamente impossissibile

e)in sintassi la testa è lessicale

2.4. L’autonomia dei livelli ed un 'nuovo' tipo di unità

L’unione tra forma e contenuto, se dato come principio d’ogni analisi, porta il linguista a considerare solo quei fenomeni la cui struttura formale e corrispondente a quella semantica. Non tutti gli approcci morfologici rispettano

(21)

questo principio. A questo proposito Corbin individua due tipi di teorie morfologiche

«...a distinction introduced by Corbin (1987:212) between what she calls associative and

dissociative theories of the lexicon. Associative theories are those in which meaning ad

morphological structure are seen as intimately associated, so that the mechanisms which account for a word’s structure must also determined (or at any rate suggest) what its meaning should be; dissociative theories are ones in which the meaning and structure of derived words are handled separately»33

Una teoria associativa non ammette l'esistenza separata degli affissi rispetto alla regola che li utilizza. Ogni regola agisce attraverso delle operazioni fonologiche, sulla base e sugli affissi, ed una lettura semantica della base su cui la regola opera. L’affisso rappresenta la regola come un processo, semantico-strutturale, preciso ed univoco di cui il risultato è predicibile e la cui produttività è conosciuta. Cercare di capire quei fenomeni che mettono in discussione la relazione forma contenuto, invece, è tra gli scopi di una teoria dissociativa

«bracketing paradoxes is one of the reasons that Lieber cites for adopting a dissociative view of the relationship between morphological structure and meaning»34

Qui la struttura formale non può essere direttamente responsabile del significato dell’intera costruzione. Se persistiamo nel far rientrare , in una teoria isomorfa, i fenomeni dissociativi il risultato sarà l'opacità, dal momento che la forma e il contenuto non possono godere di una giustificazione strutturale reciproca. L'utilizzazione di una costruzione opaca non garantisce in automatico il significato della stessa.

Nel proporre le sue regole di ridondanza, al posto delle RFP, Jackendoff, non a caso, evitava di considerare come regole, sulla base del modello sintattico, i processi morfologici, per non affrontarne il problema della semiproduttività, e la discrepanza semantica-struttura che comportavano. Già da allora maturava l'idea che la morfologia procedesse secondo modi a lei speculari. Si riconosceva che il

33 Ibidem 32

(22)

piano morfologico doveva essere qualcosa di a sé stante rispetto a semantica e sintassi

«But these redundancy rules, though fully productive, must be classified as purely morphological, because the meaning of the nouns concerned are not predictable from those of the verbs. Usually, though not always , the meaning of a noun in -mission or –ference corresponds to some meaning of the corresponding verb, but this may not be the verb’s commonnest meaning. The commonest meaning of defer is ‘postpone’, yet deference never means

‘postponement’ but only ‘courtliness, respectful yielding’, corresponding to a meaning of defer now virtually restricted to the cliché defer to X’s opinion»35

Ricordiamo che Jackendoff è stato uno dei protagonisti vincenti dello ‘scontro’ tra semantica interpretativa e semantica generativa. Sua preoccupazione era quella da una parte di contenere il potere generativo della semantica che, adeguatamente formalizzata, assorbiva tutti gli altri livelli, e dall'altra di subordinarla a principi esterni, morfologici e sintattici. Partendo da questi presupposti era sì auspicabile una morfologia autonoma ma risultava poco praticabile una linguistica stratificata laddove si riducevano i livelli della grammatica a pochi componenti

«Jackendoff’s reluctance probably stems from a feeling that to recognise purely semantic ‘redundancies’ would be open the door again to the free-and-easy manipulation of semantic and syntactic structures that gave geneative semantics a bad name. But the fact that semantic relationships were not handled successfully by generative linguists in the past does not prove that they must be subordinate to morphological structure in organising the lexicon. If generative morphologists had realised this earlier, they might have not only handled better the complex of issues grouped under the heading of productivity, but also avoided more successfully the temptation to equate the study of morphology with the study of the lexicon»36

Differenziare la morfologia dal lessico è un passo fondamentale per sostenere che la derivazione consista in un funzionamento della lingua atto a formare unità formali che possono o meno a loro volta svilupparsi in un parallelo lessicale. Il fatto che l’uscita di una regola morfologica costruzionale non

garantisca necessariamente un incremento del lessico è un ulteriore prova, a

35 Ibidem 51

(23)

discapito di una linguistica del segno, di come il piano morfologico sia un piano distinto da quello semantico-lessicale.La morfologia costituisce delle possibilità che il lessico realizza o meno.Un approccio stratificazionale non esclude la descrizione morfologica laddove non ci sia un corrispondenza con la relativa semantica. Ammettendo una certa autonomia tra i livelli linguistici, noi riteniamo ancora plausibile la nozione di morfema accanto a quella di lessema. La

segmentazione che il linguista fa delle parole deriva dal confronto analogico di un corpus a sua disposizione. L'analogia, come dimostrato in diacronia, non è solo un metodo di scoperta ma costituisce un vero e proprio comportamento del parlante nella produzione del linguaggio.

Per quelle unità concettuali che permettono uno sviluppo paradigmatico sarà opportuno utilizzare il lessema, a ragione del fatto che sia possibile astrarre l'unità e la sua realizzazione. Dove, scomponendo la parola, l'unità ha natura sintagmatica perché relazionale, manteniamo il morfema (vedi i suffissi derivazionali) con alcune variazioni. Ovvero, troviamo necessario, per individuare un particolare tipo d’unità, credere che le tradizionali analisi

morfematiche abbiano l'effetto di identificare segmenti linguistici dotati di 'realtà' nella competenza del parlante. Gli elementi di nostro interesse, indicati

classicamente come morfemi grammaticali, saranno, con queste precisazioni, quelli funzionali. Essi hanno sinonimia minima, appartengono a una classe chiusa, ma sopratutto la loro funzione all’interno della frase è identificabile

grammaticalmente ( più che semanticamente) in maniera univoca come un

generico passaggio, da una parola ad un'altra, responsabile della modificazione di categoria o di tratti sottocategoriali. Il passaggio da un termine ad un altro avviene secondo condizioni che garantiscano come 'ben formato' il termine di uscita. Nonostante le difficoltà incontrate dal linguista nell’inquadrare i morfemi nell’unità del segno le tecniche di segmentazione morfologica ci portano a constatare delle costanti nei processi formativi di parola. I risultati dell’analisi contestualizzati in una grammatica che tollera l’autonomia dei livelli, e in particolare ammette la discrepanza tra morfologia e semantica, può aiutarci a conservare e ridefinire l’unità morfologica.

(24)

Per fare ciò è importante, nel riconoscimento dell’unità morfologica, tenere di conto non solo il rapporto forma-contenuto ma pure delle relazioni orizzontali tra le forme secondo la nota equazione analogica x : y= n : m, dove i termini, ad esempio, sono parole come rimettere: impiegare= ripiegare :

immettere. In questo modo i termini vengono suddivisi in classi di rapporti che rendono evidenti la struttura di ogni parola appartenente alla classe di relazione.

«...occorre dunque riconoscere anzitutto una serie di coppie di parole, la sequenza < défaire /

refaire, décoller / recolter, déplacer / replacer..> costitutiva di una proporzioene nel senso in cui

la intendono i matematici: una equivalenza di rapporti.»i37

La relazione tra due parole non si basa sui termini presi isolatamente ma sulle relazioni complessive a cui cui ognuna soggiace. In questo senso diciamo che le relazioni tra parole semplici e complesse formano un sistema. Più numerosa sarà la serie, e maggiormente riconoscibili saranno i costituenti morfologici.

«...si potrebbe notare che se la coppia jeuner/déjeuner è analoga a faire /défaire, non c'è viceversa coppia rejeuner / déjeuner da contrapporre a refaire / défaire....

Diviene così possibile dare un senso linguistico preciso all'idea, matematicamente aberrante, di una appartenenza più o meno forte dell'elemento alla sua classe. Al tempo stesso, si potrebbe definire gradi segmentazione, e ammettere ad esempio che gli elementi di dé-jeuner sono meno separati di quelli di dé-faire, il che rende conto abbastanza della sensazione degli utenti della lingua …. »38

Casi in cui è possibile ottenere una forma appartenente ad una serie ridotta di parole relate non sono così rari.

«Monday , Tuesday, Wednesday, and so on all have the morpheme day in them, but what do Mon, Tues, Wednes, mean? With lexical connections we can associate the day sequence in these

words with each other and the word day without requiring that the remainder of the word be

37

Oswald Ducrot (1968) Lo strutturalismo in linguistica , in CHE COS'È LO

STRUTTURALISMO? p.39

(25)

meaningful. Rather the first syllable reamins as a part of the whole , but it has no connections to other items»39

Queste, come sopra per il francese, comportano un grado di segmentazione parziale che mette in discussione l'autonomia semiotica di uno dei costituenti identificati nell'analisi. Partendo da questa gradualità potremmo ridefinire il segno come un tipo particolare di forma, basata sull'isomorfismo forma-contenutoe e non un a-priori su cui impostare l'intera azione combinatoria del linguaggio.

Una descrizione di questo questo genere, non solo dà una rappresentazione aggiuntiva, come vedremo in seguito, della produttività degli affissi, ma chiarisce come da un confronto ORIZZONTALE, oltre che VERTICALE (di

forma-contenuto), si individui un tipo di forma relazionale fondamentale alla

derivazione. L'affisso si presenta come una funzione che associa classi di parole e non termini presi isolatamente come la descrizione per regole lascia intuire40. Questo chiarimento ci tornerà utile in seguito, nel trattamento delle espressioni idiomatiche41, al momento in cui sarà nostro scopo differenziare una funzione 'morfologica' da una funzione proposizionale. 'Forzando' ulteriormente il nostro ragionamento poniamo un parallelo tra l’identificazione del morfema e la nozione di valore che De Saussure assume nel descrivere i rapporti tra le parole.

A tale riguardo è d'uopo citare per intero

«Il valore linguistico considerato nel suo aspetto concettuale.

Quando si parla di valore di una parola, si pensa generalmente e anzitutto alla proprietà che essa ha di rappresentare un’idea, ed è questo in effetti uno degli aspetti del valore linguistico. Ma, se è così, in che questo valore differisce da ciò che si chiama la significazione?...Il valore preso nel suo aspetto concettuale, è senza dubbio un elemento della significazione, ed è assai difficile sapere come questa se ne distingua pur restando in sua dipendenza… Prendiamo anzitutto la significazione come la si rappresenta …Essa è nient’altro che la contropartita dell’immagine uditiva...

39 Bybee,J.L. Morphology as Lexical Organization. In THEORETICAL

MORPHOLOGY.Academic Press, Inc. p.128.

40

Questa affermazione giustifica il perché la funzione principale dell’affisso sia intuitivamente quella di cambiare la categoria lessicale.

(26)

Ma ecco l’aspetto paradossale della questione : da un lato, il concetto ci appare come la

contropartita dell’immagine uditiva nell’interno del segno e , dall’altro lato, questo segno in se stesso , vale a dire il rapporto che collega i suoi due elementi, è anche e in egual modo la contropartita degli altri segni della lingua...»42

L'identità di una forma non è solo garantita dall'essere una

RAPPRESENTAZIONE del contenuto. Una forma è individuabile per

segmentazione in base alla sua VALENZA, ovvero dal confronto con costruzioni simili in cui essa 'emerge'.

Le nostre precedenti osservazioni cercavano di dimostrare che

l'indentificazione di elementi non segnici mediante i metodi tradizionali della morfologia costituisce, in alcuni casi, più che un artificio della teoria, il risultato di processi prettamente morfologici distinguibili da altri livelli del linguaggio.

Dal morfema grammaticale al morfema funzionale(?)

La regola morfologica: non isomorfica ma paradigmatica

Accettando l'autonomia dei livelli il modello paradigma e parola introduce al posto delle RFP le REGOLE di REALIZZAZIONE

«….. le regole di realizzazione hanno anche delle caratteristiche diverse dai processi.. creano una entità biplanare (una forma flessa ) a partire da altre entità i cui componenti di significato ( il significato lessicale di un lessema e un certo insieme di tratti morfosintattici) e componenti di significante ( la forma fonologica che rappresenta il lessema e i tratti nella forma flessa ) sono ancora disgiunte.»43

Difatti la biplanarità in questo modello è valida per la parola nella sua totalità e non è assimilabile ai suoi costituenti.

«In questo modo, non costituiscono più un problema fenomeni come l’amalgama, i morfi zero e vuoti, i morfi non completamente specificati ecc»44

42

Saussure 159

43 Thorton 117

(27)

Laddove viene messa in crisi la corrispondenza biplanare di forma e contenuto delle entità combinate dalla grammatica, bisogna rifiutare la trasparenza

composizionale del livello grammaticale interessato da questo fenomeno. Questo perché la composizionalità è un principio della semantica ed esso può interessare la morfologia solo nel caso in cui valga isomorfismo. In questo caso la forma segnalerebbe il contenuto e la struttura descriverebbe la funzione del significato delle parti in sintonia con ciò che regola una semantica composizionale.

In morfologia la costruzione di 'buone forme' atte a costituire lessico non avviene necessariamente in modo parallelo ad un contenuto semanticamente

composizionale (vedi i paradossi di parentesizzazione).

Per dimostrare come questo non sia solo un assunto teorico basta considerare alcuni esempi riguardanti la flessione verbale

«(I) a. odo b.*udo “Ia sg. Pres.ind. di UDIRE” udite *odite “2a plur. Pres. ind. di UDIRE” ama *ame “3a sg. Pres. ind. di AMARE” vede *veda “3a sg. Pres.ind. di VEDERE” »45

In questo caso l'osservazione del comportamento flessionale del verbo suggerisce come la coniugazione del verbo non avvenga per semplice combinazione d’unità biunivoche. Altrimenti dovremmo registrare forme verbali come udo e ame con il significato rispettivamente di “I.sg di UDIRE” e “3.sg di AMARE”.

In una morfologia a parole e paradigmi, con questi dati possiamo risalire a due proprietà, estranee al livello semantico e a quello fonologico, che dicono

«a. i lessemi appartengono a una classe di flessione;

b. il paradigma di un lessema può presentare una partizione »46

Il paradigma di un certo lessema consiste nell'insieme delle forme assunte dal lessema stesso nel momento in cui sia flesso o derivato. Ogni paradigma ammette

45 Thornton.A.M pp. 118

(28)

una classe di flessione e una partizione a seconda rispettivamente della variazione delle uscite flessive e delle basi cui vengono applicati i valori flessionali.

Prendiamo il verbo amare e temere47

1 singolare 2 singolare 3 singolare 1 plurale 2 plurale 3 plurale

a.* b.* c.* d.* Amo Amo Temo Temo Ami Ami Temi Temi Ame Ama Tema Teme Amiamo Amiamo Temiamo Temiamo Amate Amate Temete Temete Amano Amono Temono Temano

La co-occorenza delle uscite flessionali di 3.sg 3 e 3.plu del verbo non è casuale ma è governata da un principio prettamente morfologico ovvero l'appartenenza ad una certa classe flessionale.

Anche la variazione delle basi dimostra di appartenere a un principio generalizzabile e di tipo morfologico. Per dimostrare che questa relazione non risponda ad altri principi che a quelli morfologici prendiamo un altro esempio da Thornton(2005)

UDIRE Odo Odi Ode Udiamo Udite Udono

UDIRE Odo Udi Ude Odiamo Udite Udono

UDIRE Udo Udi Ode Udiamo Udite Odono

I cambiamenti che interessano la base non riguardano forme caratterizzabili da informazioni morfosintattiche come singolare/plurale, 1 persona o 3 persona, ma seguono una partizione autonoma tipica di

(29)

«un livello che , seguendo una proposta di Aronof (1994), viene oggi denominato livello

morfomico»48

Anche per la derivazione possiamo identificare un livello morfomico49 che interessa le basi Lessema B1 (con esempio di foma flessa) B dei derivati. (con esemio di derivato) B dei composti (con esempio di composto) 3.sg.pres.ind Imperativo singolare PORTARE porta portavo porta portatore Porta portabagagli porta pora TENDERE Tende tendevo Tendi tenditore Tendi tendicinghia tende tendi COPRIRE Copri coprivo Copri copritore Copri copricapo copre copri PULIRE Puli pulivo Puli pulitore Pulisci puliscipenne pulisce pulisci

Anche qui la distribuzione delle basi dipende dal paradigma del lessema e le relazioni che seguono la partizione del paradigma non sono che di tipo morfomico, ad esempio la relazione tra la base del composto V+N e la forma singolare dell'imperativo.

Diversamente da una morfologia lessicale per entità e processi il modello a paradigma e parola non stabilisce che le regole morfologiche (nel suo caso regole di realizzazione) devano applicarsi ad una forma sottostante unica, corrispondente alla forma di citazione. Assumendo la variazione paradigmatica delle basi scompaiono regole aggiuntive come le RR e le RCV50.

Quest'ultime erano indispensabili per descrivere il mutamento fonologico della base soggiacente, inspiegabile secondo allomorfia, per effetto della regola di formazione o di flessione. Alle conoscenze di livello semantico, sintattico, e fonologico che il parlante ha delle parole bisogna aggiungerne di nuove e

48

Thornton A.M. pp. 124

49

Aronoff (1994) chiama morfoma ognuna delle stringhe, che rappresentano un certo lessema, distribuite in maniera definita all'interno del paradigma.

(30)

particolari. Queste sono disposte 'metaforicamente' tra il significante e il

significato e ne mediano il rapporto secondo una relazione diversa da quella del segno biplanare.

Le osservazioni precedenti illustrano come lo sviluppo di una

paradigmatica in morfologia abbia permesso al teorico di elaborare un modello differente, che descrivesse le particolarità della struttura “parola”, senza

concentrarsi sui soli fenomeni sintagmatico-combinatori. Tenuto conto che

«Given any sentence , one can of course list other sentences related to it in various ways , as interrogatives are related to declaratives , passives to actives and so on, but one does not habitually characterise these as different ‘form’ of ‘the same ‘ sentence; by contrast , the notion that ‘the same’ word can have more than one form crops up in one guise or another in almost every approach to morphology. In other words, the paradigmatic dimension of language structure looms larger in morphology than in syntax»51

dobbiamo in parte riconsiderare l'approccio alla morfologia laddove la paradigmatica diventi un parametro non trascurabile. Anzi la paradigmaticità stessa appare essere un fattore critico per la biunivocità del segno saussoriano, e fa della forma un aspetto estremamente variabile, indipendentemente dal contesto. Ancora, il contenuto diventa adattabile nelle diverse circostanze discorsive

mediante le variazioni funzionali del suo paradigma. Grazie alla realizzazione in esso, l'unità, riconosciuta come sintagmatica, può combinarsi (flessione) ed essere ulteriormente concettualizzata (derivazione).

Di conseguenza la lingua funzionalizza la propria forma affinché i propri concetti possano evolversi o mantenersi in contesti diversi. La presenza

d’elementi prettamente funzionali e ‘poco’ semantici avrebbe il compito di consentire la realizzazione paradigmatica della lingua nel discorso lineare. L’elemento funzionale, lontano dall’essere un segno, visto che ne è un a-priori, avrebbe il compito di ‘riferirsi a’

• Nella flessione, a un lessema per renderlo parola.

• Nella derivazione, a un lessema per renderlo un'altro lessema.

(31)

• Nell’espressione idiomatica, a un insieme di lessemi per renderli una costruzione intera lessicalizzata.

Gli elementi funzionali, quindi, si presentano come dei segnalatori di operazioni sintetiche precedenti allo sviluppo sintattico-discorsivo.

SULLA PRODUTTIVITA’

Particolarità delle RFP (o RFL) è di essere semiproduttivo. Se la regola sintattica diventa tale proprio per la sua produttività, le formazioni in morfologia, hanno una natura scalare la cui applicazione forma lessico in misura variabile. Va da sé che una regola di formazione di parola non solo può essere ritenuta

produttiva ma si definisce anche secondo il suo grado di produttività. Un primo passo nella descrizione del lessico, di genere più qualitativo, consisterà nel capire quali siano le 'regolarità' nella formazione di 'parole complesse', ed un secondo di carattere quantitativo, attribuirà alle regolarità individuate un rendimento

differente in base alla distribuzione del lessico complesso.

L'osservazione quantitativa del lessico, che consiste nel determinare quante parole complesse siano generate mediante una determinata regola, riterrà la frequenza indicativa per un certo tipo di formazione solo se precedentemente, per quest'ultima, sia supposta la produttività (qualitativa) in genere. Detto in altri termini, il dato statistico sulla frequenza di una RFP è indicativo se la regola stessa è produttiva qualitativamente nella sincronia da noi esaminata. Alcuni tipi di formazioni potrebbero presentarsi numerose e tuttavia non essere produttive. In questo caso la regola avrebbe agito sì produttivamente ma ad uno stadio della lingua precedente, e la frequenza della formazione nel lessico non sarebbe indicativa della produttività.

Generalmente gli studiosi rappresentano i diversi processi coinvolti nell'azione della regola ad un unico livello. Abbiamo più volte ribadito che ciò consegue dall'isoformismo dato, come scontato, nella rappresentazione dei componenti morfologici. Questa posizione ha un’influenza decisiva al punto tale

(32)

che una costruzione può essere ritenuta regolare o meno nel momento in cui sia trasparente tanto la sua struttura quanto la sua semantica. Vogliamo dire che laddove non si riesca a delimitare l'apporto semantico di un costituente, in sintonia con l'assunto l'isoformismo, verrà messo in dubbio lo status complesso della parola, quindi la sua derivazione secondo regola, e di conseguenza non avremo la necessità di considerazioni sulla produttività della formazione.

In altra sede sostenivamo che una delle differenze tra le regole sintattiche, intese sia tradizionalmente come regole di riscrittura sia come proiezioni del lessico nella teoria X-barra, e le regole morfologiche consista nel fatto che le prime abbiano come componenti terminali parole mentre le seconde combinino parole con elementi funzionali in quella che può essere considerata una successione che non esige proiezione alcuna di livello e mantiene

complessivamente il rango X° della base. Nell'ambito della regola di formazione abbiamo a che fare con costituenti sottolessicali il cui significato è difficilmente specificabile. Presunto l'isomorfismo tra forma e contenuto, la produttività non sarà inquadrata solo nella frequenza ma anche nella capacità del parlante o del linguista di individuarne la trasparenza semantica -strutturale al fine di poter riutilizzare la regola per altre formazioni. Anzi l'unità forma -contenuto è la premessa per individuare una formazione complessa non sosttoposta a lessicalizzazione e quindi potenzialmente produttiva.

Tuttavia abbiamo già sostenuto quanto sia difficilmente sostenibile in ambito morfematico mantenere un approccio isomorfo. I processi morfologici interessano più livelli i quali sono, in parte , autonomi. Per questo legare la produttività all'isoformismo della forma e del contenuto non garantisce una descrizione unitaria della regola e provoca una proliferazione di RFP che utilizzino ad esempio lo stesso suffisso per il medesimo passaggio categoriale. A conferma di quanto detto, si può facilmente riscontrare come nel lessico siano presenti parole complesse il cui significato è difficilmente prevedibile. Ma non solo, è constatabile pure, diffentemente dalla sintassi, che costruzioni produttive e trasparenti manchino di essere registrate nel nostro lessico complesso

«Chomsky and Halle point out two aspects of word formation which have no obvious analogue in syntax; the nonexistence of not only clearly ill-formed words (*ion-trans-al-at-form) but also

(33)

some apparently well-formed ones (*arrivation, *derival, *committance, *ridiculosity); and the unpredictability of the meanings of some words which do exist ( for example, recital versus

recitation, and transmission in the sense ‘car gearbox’). These aspects are often summed up by

saying that word-formation processes may be less than fully productive»52

Nella sintassi, il discorso sviluppandosi analiticamente, costruisce una situazione. Il termine 'cotruire' è fondamentale per capire per quale motivo la sintassi riesca a sviluppare situazioni 'reali', immaginarie o ipotetiche.

L'importante è che la costruzione segua la logica del linguaggio. Le formazioni morfologiche, avendo carattere sintetico, ovvero formando unità, devono, per essere parte del lessico, 'stabilizzare' un concetto o un referente e renderlo successivamente disponibile al riutilizzo. La parola è sì ben formata, ma la sua esistenza non può prescindere da 'un riferirsi a'. La capacità di riferimento53 è caratteristica della parola complessa come intero. Tra i costituenti è la sola base che gode di questa proprietà . Ricostruire per mezzo di significati generici la semantica di una regola isomorficamente alla sua forma, non garantisce affatto il significato finale, e più specifico, della parola. Secondo noi, quest’operazione rappresenta una interpretazione alla luce del risultato della regola ed è lontana dal rappresentare un ricostruzione affidabile della formazione in tutti i suoi aspetti.

In sintassi il fattore di produttività è dipendente dalla grammaticalità formale. Quando un’espressione è 'ben formata' si definisce automaticamente come produttiva ed è necessario specificare pochi tratti di sottocategorizzazione. La semantica non viene presa in considerazione ma è presupposto il suo

funzionamento composizionale. Di norma infatti ogni forma libera che fa parte di una combinazione sintattica ha un significato identificabile. La generalità di cui gode la regola e di conseguenza la produttività in sintassi dipende dal basso grado di specificazione dei termini che possono occorrere nella sua applicazione.

Abbiamo voluto sottolineare l'importanza dell'isomorfismo in sintassi, nel più ampio discorso sulla produttività, perché, comunemente, alla morfologia si attribuiscono comportamenti simili alla sintassi. Nel nostro caso l’isomorfismo delle parole, che ben si adatta in sintassi, si traduce, a livello morfologico, in

52

Carstairs.A-McCarthy. Current Morphology.Routledge.pp.32

53 Qui utilizziamo la parola riferimento non solo a oggetti della realtà ma anche a concetti,

(34)

isomorfismo dei costituenti morfemici. Questo comporta che al momento in cui si individui una formazione, senza pur chiarirne l'apporto semantico, è solito

riconsiderare la sequenza intera dandogli uno statuto a metà tra il lessico semplice e il lessico complesso produttivo.

«La semantica di una RFP è trasparente o ‘composizionale’, vale a dire che il significato della parola complessa si può ricavare dal significato degli elementi componenti. Ciò è vero quando la regola è produttiva mentre una parola che permane a lungo nel lessico può acquistare, come si è già detto, significati idiomatici non più desumibili dagli elementi che la costituiscono. Ad esempio un tavolaccio non significa soltanto ‘ un pessimo tavolo’ si riferisce anche al ‘giaciglio del prigioniero’, significato, questo , che non si può desumere dai due costituenti tavolo e

-accio»54

La produttività è un fattore da prendere in esame se si vuol considerare una unità lessicale complessa e il suo eventuale grado di lessicalizzazione. La semiproduttività delle regole morfologiche è conseguenza del peso delle restrinzioni a cui le formazioni devono sottostare. Esse sono la prova per alcuni linguisti che in morfologia lessico e processi non siano completamenti distinti ma che si compenetrino l’un l’altro.

«The productive and the general rules are the most independent of the representations to which they apply , but as we go down the scale, more and more information about particular

representations has to be built into the rule. Thus a rule that applies to a paticular lexical class ( such as the class of nouns that has a final fricative that voices in the plural) must contain a particular signal - a diacritic feature or a phonological feature used as a diacritic – to mach it with the particular representations to which it applies and prevent it from applying to forms which do not undergo the alternation (e.g., nouns such as chief). In other words, part of

representation has to be built into the rule. And of course, so-called rules governing suppletion are nothing more then rappresentations»55

54

Ibidem 102 Scalise morfologia

55 Bybee.L.J. Morphology as Lexical Organization. In Theoretical Morphology,

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Questa osservazione da alla regola morfologica uno statuto ibrido tra il processo e la rappresentazione. Un processo diventa generale quando la sua azione è

automatica e sottostà a poche condizioni che non ne impediscono di prevederne gli effetti. All'origine della distinzione tra regola e rappresentazione c'è la più nota dicotomia grammatica/lessico. Là dove finisce la ricerca delle regolarità del linguaggio, inizia il lessico che fornisce le unità prime emerse dall'analisi. Così sopratutto in sintassi.La morfologia, invece, difficilmente si confà alla stessa distinzione. La natura delle regole di formazione, come visto sopra, tengono conto di specifiche restrinzioni che oltrepassano un approccio differenziato per grammatica e lessico.Ecco, allora, che per descrivere le regolarità del lessico verrano osservati diversi aspetti della formazione di parola, a differenti livelli e con funzionamenti non sempre paralleli.

La RFP produce lessemi che hanno un significato in comune ma di tipo particolare. Solitamente quest'ultimo è indicato come il Wortbildungsbedeutung della regola. Il termine indica un significato che è di tipo relazionale e si distingue da un contenuto lessicale ottenuto mediante il confronto tra le parole soggette alla regola. Il Wortbildungsbedeutung consiste nella parafrasi frastica della relazione sintagmatica, identificata tra significato della base e il lessema d’uscita della regola. Le modalità di questa relazione dipendono, in gran parte, dal tipo di categorie interessate nella derivazione. Nel caso di un nome derivato da un verbo con i suffissi -tore e -trice

«la Wortbildungsbedeutung della regola che forma nomi derivati con i suffissi –tore e –trice in italiano consiste nel formare nomi che possono essere i soggetti del verbo cui i suffissi si aggiungono: una lavatrice lava , una stiratrice stira , un frullatore frulla , un lavoratore lavora. Solo il significato lessicale dei singoli derivati ci dirà poi se l’entità designata è una macchina o apparecchio , come nel caso di lavatrice e frullatore , o una persona , come nel caso di

lavoratore; in alcuni casi , poi, un stesso lessema , come stiratrice, può designare sia la macchina

che la persona in grado di compiere l’azione designata dal verbo56»57

56

Thorton.A.M (2005). pp142 Nota 12 Si potrebbe discutere in questo caso se si tratta dello stesso lessema o di due lessemi diversi.

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