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Computational investigation of the binding properties of the antibacterial photodrugs azofloxacin and spirofloxacin with DNA gyrase

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Biologia

Corso di Laurea Magistrale in Biotecnologie Molecolari

TESI DI LAUREA

Computational Investigation of the binding properties of

the antibacterial photodrugs azofloxacin and spirofloxacin

with DNA gyrase

CANDIDATO

Enrico Bisquoli

RELATORI

Prof.

Benedetta Mennucci

Prof. Carles Eduard Curutchet Barat

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Abstract

Photopharmacology is a branch of pharmacology that is based on the introduction of photochromic fragments, called “photoswitch”, in the structure of a synthetic pharmacological molecule. These fragments, following absorption of light and through a photochemical reaction, undergo reversible changes capable to modify their geometry, polarity and the dimensions of the whole drug: this can increase or decrease its binding affinity for the target and, consequently, affects its bioactivity. In this thesis project, photopharmacology has been applied to investigate the activity of an antibiotic called ciprofloxacin whose main targets are topoisomerases, ubiquitous enzymes in prokaryotes and eukariotes which catalyze reactions that regulate the DNA’s topological state. The action of ciprofloxacin on this class of enzymes is to bind to a specific pocket present in them and stabilize the cleaved form of DNA to prevent the repair mechanism and therefore the production of topological modifications.

In order to obtain an optical control of the antibiotic activity, chemical modification of its structure has been proposed in the literature following two strategies:

- By adding the azobenzene photoswitch that, following light irradiation, undergoes a conformational change from the Trans state (high antibacterial activity) to the Cis one (low antibacterial activity), causing a decrease in the antibacterial activity of the modified drug, called azofloxacin.

- By adding the spiropyran photoswitch (spirofloxacin) that, following light irradiation, undergoes a conformational change from the spiropyran state (low antibacterial activity) to the merocyanine one (high antibacterial activity).

In this context, my thesis project studies, through a computational approach based on an atomistic description, the binding properties of the aforementioned antibacterial photodrugs to the S.aureus DNA gyrase (belonging to the topoisomerase family) in their respective photoswitch states to explain the interactions responsible for the different affinities and, therefore, for the different antibacterial activities.

Thanks to the combined use of various computational techniques for geometry optimization, molecular docking and molecular dynamics, it has been possible to obtain a structural and an energetic description necessary to understand how the “ON” and “OFF” states of the photodrug can interact differently with the site of interest at the level of the individual residues.

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Indice

Indice

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1. Introduzione

3

1.1 Fotofarmacologia……….. 3

1.2 Scenari e modalità di utilizzo della fotofarmacologia………... 5

1.3 Lunghezze d’onda permesse e principali organi target………. 9

1.4 Principali photoswitch………... 11

1.5 Ciprofloxacina………... 14

1.6 DNA topoisomerasi: la DNA girasi………. 17

1.7 Biochimica di interazione dei chinoloni alla DNA girasi……….. 19

2. Obiettivo della tesi

24

3. Metodi

27

3.1 Molecular Docking……… 27

3.1.1 Ricerca delle pose………... 28

3.1.2 Funzioni di score………. 29

3.2 Dinamica Molecolare………. 30

3.2.1 Aspetti teorici di base dell’approccio……….. 30

3.2.2 Algoritmi per la generazione della traiettoria………. 31

3.2.3 Condizioni di Simulazione……….. 34

3.2.4 Fasi costitutive di una simulazione di Dinamica Molecolare………. 36

3.3 MM/GBSA……… 37

4. Dettagli Computazionali

40

4.1 Preparazione dei ligandi………. 40

4.2 Preparazione della proteina……… 40

4.3 Molecular Docking……… 42

4.4 Dinamica Molecolare………. 42

4.5 MM/GBSA……… 43

5. Risultati e Discussione

46

5.1 Preparazione dei ligandi………. 46

5.2 Preparazione della proteina……… 48

5.3 Molecular Docking……… 52

5.4 Dinamica Molecolare………. 56

5.5 MM/GBSA..………... 60

6. Conclusioni

67

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1. Introduzione

1.1 Fotofarmacologia

La maggioranza dei trattamenti medici che vengono condotti in farmacoterapia al giorno d’oggi, è basata sulla risposta farmacologica che composti bioattivi (farmaci) sono in grado di attivare per interazione con differenti possibili target molecolari normalmente presenti nel corpo umano, quali canali ionici, recettori, enzimi e molecole carrier1,2,3.

Tuttavia, la capacità di questi approcci farmacoterapici di alleviare sintomi o curare patologie, nonché di migliorare la qualità della vita, è spesso minata da quelli che vengono definiti “drug-related

problems”4.

Primo fra tutti è la bassa selettività del farmaco, ovvero un’affinità della molecola bioattiva per target diversi da quello previsto, basti pensare al fatto che la maggior parte di questi target farmacologici sono espressi in tutto il corpo e in tessuti sia sani che malati. In questo contesto, la sfida più complicata da perseguire è realizzare la condizione ideale di disporre di un farmaco interagente simultaneamente con molteplici siti attivi e, allo stesso tempo, non interagente secondo modalità che potrebbero portare ad effetti collaterali2,5. Poiché tale presupposto finora raramente è stato conseguito, l’utilizzo della farmacoterapia nella maggior parte dei casi, comporta un abbassamento della soglia di tossicità, un restringimento della finestra terapeutica, nonché un decremento della dose di farmaco permessa che, quindi, non consente di sfruttarne l’intero potenziale terapico.

Il secondo “drug-related problem” è collegato al primo nella misura secondo la quale, considerando un farmaco antibiotico, la scarsa selettività di quest’ultimo comporta una sua azione non solo contro batteri che stanno causando infezioni in un paziente, ma anche in batteri esterni ad esso; tale fenomeno è attribuibile al rilascio di questi antibiotici nell’ambiente, sia in un contesto comunitario che ospedaliero ed è responsabile dello sviluppo di molti ceppi batterici resistenti 4,6,7.

La mancanza di un controllo dinamico sull’attività di un farmaco che, a causa dei problemi sopra citati, sarà attivo in siti (interni ed esterni all’organismo) e in tempi indipendenti da quelli che, da un punto di vista spazio-temporale, ne garantirebbero un’attività benefica, ha portato alla considerazione di strategie alternative: una di queste, prevede l’utilizzo della luce.

La luce, infatti, rappresenta un approccio regolatorio non-invasivo adatto ad applicazioni biologiche, poiché in primo luogo può essere indirizzata con una precisione spaziale e temporale molto elevata senza contaminare il campione, in secondo luogo, modificandone l’intensità e la lunghezza d’onda, è possibile regolarla rispettivamente da un punto di vista quantitativo e qualitativo e, infine, garantisce reversibilità alle strategie basate sul suo utilizzo8,9,10,11.

La luce, inoltre, è importante per la sua capacità di controllare l’attività biologica di molecole sintetiche perché consente di modificarne le proprietà farmacocinetiche e farmacodinamiche, dalle quali dipende l’efficacia del farmaco.

Le proprietà farmacocinetiche sono quelle che determinano la distribuzione del farmaco nell’organismo che dipende da quelli che sono l’assorbimento, la distribuzione, il metabolismo e l’escrezione. È possibile stimare e prevedere quella che sarà la farmacocinetica della molecola di interesse, considerandone la polarità, le dimensioni e la lipofilicità. Le proprietà farmacodinamiche12,

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4

Ricapitolando, quindi, tra le strategie utilizzate per garantire un’attivazione remota (dall’esterno) del composto bioattivo solamente nel sito di azione e solamente nel momento voluto, indipendentemente dalla sua distribuzione, di particolare interesse in ricerca negli ultimi anni è la strategia costruita su una combinazione di “fotochimica” (la chimica attivata dalla luce) e di “farmacologia”: la

fotofarmacologia13.

L’obiettivo di questa disciplina è quello di permettere di superare i limiti della farmacoterapia riguardanti l’off-target activity (bassa specificità) e i gravi effetti collaterali da questa derivanti, tramite la progettazione, la sintesi, lo studio e l’applicazione di farmaci la cui attività possa essere regolata esternamente (da remoto) attraverso la luce4,14.

Il principio cardine sul quale si basa la fotofarmacologia è quello che prevede l’introduzione nella struttura molecolare del farmaco, di “foto-commutatori” (i photoswitch) ovvero gruppi chimici responsivi alla luce che, per irradiazione (assorbimento di luce) subiscono cambiamenti reversibili nella loro struttura e questi cambiamenti, a loro volta, sono responsabili di mutamenti nella forma, nella polarità, nella flessibilità, nella geometria, nel grado di coniugazione e nelle dimensioni dell’intero composto bioattivo.

I photoswitch utilizzati sono generalmente dotati di coefficienti di estinzione molare elevati e rese quantiche che permettono l’utilizzo di luce ad intensità bassa (possono essere fotoattivati in modo efficace con LED standard). Inoltre, grazie alla stretta dipendenza dello stato fotostazionario ad una specifica lunghezza d’onda, è possibile usare il cosiddetto “dosaggio del colore” garantendo un forte controllo della concentrazione.

Figura 1.1, Rappresentazione schematica del meccanismo di Fotofarmacologia. [Lerch, M. M.,

Hansen, M. J., van Dam, G. M., Szymanski, W. & Feringa, B. L. Emerging Targets in Photopharmacology. Angewandte Chemie - International Edition 55, 10978–10999 (2016)].

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1.2 Scenari e modalità di utilizzo della fotofarmacologia

Le modalità con cui è possibile effettuare la fotofarmacologia sono svariate e possono essere suddivise in relazione al meccanismo di azione della luce sul ligando/farmaco; le principali sono rappresentate in Figura 1.215,16,17:

- Irreversible Photoinactivation (A), prevede l’inattivazione irreversibile del ligando tramite luce;

- Irreversible Photoactivation (B), prevede la modifica del ligando con “cages”, ovvero gruppi protettivi che possono essere rimossi tramite luce. La rimozione (cleavage), in questo contesto, permetterà il rilascio condizionale (condizionale alla luce) del ligando che diverrà quindi biologicamente attivo;

- Reversible photoactivation/inactivation (C), prevede l’utilizzo di ligandi fotocromici (PCLs), che possono diffondere liberamente e che possono esibire, in relazione ad irradiazione con luce, due o più forme isomeriche diverse aventi affinità diverse per il target biologico. - Tethered Photopharmacology (D), prevede l’utilizzo di ligandi legati covalentemente al

recettore attraverso bioconiugazione. In questo caso la risposta è molto rapida perché la concentrazione locale è più elevata e perché il ligando non può diffondere.

Figura 1.2, Rappresentazione schematica delle diverse possibili modalità di

Fotofarmacologia.[Hüll, K., Morstein, J. & Trauner, D. In Vivo Photopharmacology. Chemical Reviews 118, 10710–10747 (2018)].

Poiché l’apporto di photoswitch alla molecola farmacologica ha effetti sulle sue proprietà farmacocinetiche e farmacodinamiche: il loro utilizzo consente un controllo esterno dell’affinità di legame del composto bioattivo per il target (che può aumentare o diminuire), nonché della sua bioattività.

Perciò considerando fra le modalità precedentemente descritte quella di maggior interesse, ovvero la

Reversible photoactivation/inactivation, se il gruppo photoswitch è introdotto nella struttura

molecolare del farmaco, quest’ultimo potrà essere “cambiato” tra uno stato di bassa e uno di alta affinità in modo tale che possa essere favorito il primo stato, quando la molecola farmacologica sta raggiungendo il sito bersaglio (consentendo una riduzione degli effetti collaterali), e il secondo stato,

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quando avrà raggiunto il sito d’azione. Questo metodo di controllo dell’attività di un composto bioattivo è definibile come metodo non-covalente perché non è basato sulla creazione di un legame chimico tra il photoswitch e il target del farmaco.

Figura 1.3, Possibili scenari rappresentanti la relazione che sussiste tra la concentrazione di molecole target fotoattivate perché legate al photoswitch e il rapporto stechiometrico tra i due. Le

sfere in viola rappresentano le molecole target a differente attività biologica (assente a sinistra e presente a destra). L’attività biologica aumenta dal giallo al rosso scuro.[Velema, W. A.,

Szymanski, W. & Feringa, B. L. Photopharmacology: Beyond proof of principle. Journal of the

American Chemical Society 136, 2178–2191 (2014)].

Infatti, come rappresentato in Figura 1.3 a differenza della situazione (a) in cui il legame covalente del photoswitch molecolare al target garantisce una correlazione lineare tra la percentuale di photoswitch che subiscono fotoattivazione e il cambiamento dell’attività, nel caso “non-covalente” (b-c-d) la stechiometria tra il photoswitch e il target non è fissata rendendo possibile ottimizzare la risposta anche se solo una parte delle molecole di farmaco è fotoattivata. Quest’ultima casistica è rappresentabile da una curva dose-risposta a forma sigmoidale a differenza della prima che sarà descritta tramite una retta. In questo scenario, inoltre, è possibile trovare condizioni in cui la concentrazione dello stato attivo supera il punto di saturazione: in tale contesto, il controllo on-off ottenuto, sarà completo4,11,18.

Nell’ottica di comprendere i differenti meccanismi che consentono di osservare i vantaggi di un approccio fotofarmacologico rispetto a quello di farmacologia classica, è importante anche prendere in analisi i differenti quadri terapeutici che possono verificarsi per l’utilizzo di un farmaco classico o di un composto bioattivo il cui cambiamento tra gli stati “on” e “off” è reso possibile da irradiazione con luce a due diverse lunghezze d’onda.

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Figura 1.4, Possibili scenari terapeutici che possono verificarsi usando molecole photoswitchable in grado di switchare tra stati a diversa attività biologica, tramite irraggiamento con luce.[Velema,

W. A., Szymanski, W. & Feringa, B. L. Photopharmacology: Beyond proof of principle. Journal of

the American Chemical Society 136, 2178–2191 (2014)].

Come rappresentato in Figura 1.4, le casistiche “A” e “B”, fanno riferimento ad un farmaco convenzionale: “A” è la rappresentazione di un farmaco che resta in una forma attiva e non metabolizzata fino alla fase di escrezione, mentre “B” quella di un farmaco che ad un certo momento subisce una parziale degradazione metabolica essendo ancora all’interno dell’organismo.

In entrambi i casi, il limite è rappresentato dal fatto che il farmaco è presente nella sua forma attiva anche in tempi e in siti in cui non è necessario o nei quali addirittura potrebbe risultare dannoso19.

I successivi tre scenari fanno invece tutti riferimento ad un approccio fotofarmacologico:

- “C”, rappresenta ciò che sarebbe preferibile condurre quando il farmaco somministrato è un chemioterapico, nonché una molecola particolarmente aggressiva responsabile di notevoli effetti collaterali. In questo caso, il farmaco viene modificato in modo tale da poter essere cambiato ad uno stato attivo (stato in cui può svolgere la propria funzione) tramite irradiazione con luce e solamente nel sito di interesse; successivamente durante la fase di “clearing”, tramite irraggiamento con luce ad una lunghezza d’onda diversa, viene cambiato allo stato inattivo in modo tale che, man mano che si allontana dal sito d’azione a quello in cui verrà escreto, non possa più svolgere la propria funzione.

- “D”, rappresenta il caso in cui il farmaco da somministrare è attivabile per irradiazione con luce UV potenzialmente tossica per l’organismo; in tale contesto, il tutto può esse condotto in sicurezza, fotoattivando il composto quando questo è al di fuori del corpo e, successivamente, alla fase di “clearing”, portandolo nuovamente alla forma inattiva tramite irraggiamento con luce ad una lunghezza d’onda diversa.

- “E” è un approccio da adottare qualora il farmaco presentasse un’attività maggiore nella forma isomerica precedente a quella che si otterrebbe per irradiazione con luce UV (in altre parole, quando il farmaco è più attivo nella forma isomerica ottenuta in seguito al raggiungimento dell’equilibrio termodinamico). In questo caso prima della somministrazione (quando il farmaco presenta maggiore attività), la molecola farmacologica verrà resa inattiva tramite l’utilizzo di luce ad una specifica lunghezza d’onda poiché non è voluta una sua azione al di fuori del sito bersaglio. Al raggiungimento del sito d’azione, il composto viene attivato per irraggiamento ad una lunghezza d’onda diversa e poi, alla fase di “clearing”, viene

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nuovamente inattivato sfruttando la lunghezza d’onda usata antecedentemente alla somministrazione.

Inoltre, come accennato in precedenza, un farmaco modificato con un photoswitch può dimostrare una maggiore attività o nello stato termodinamicamente instabile o in quello stabile; quindi, sulla base di questo criterio e supponendo di disporre di un’emivita controllata del composto (modificando la molecola farmacologica con un photoswitch con l’emivita voluta), possono verificarsi differenti possibili sotto-scenari a quelli presi in esame.

Osservando la figura 1.5, le prime tre casistiche (“A”, “B”, “C”), fanno riferimento all’utilizzo di un farmaco fotoattivabile la cui attività biologica è associabile al suo stato termodinamicamente instabile; in particolare:

- Nel caso “A”, è necessaria un’irradiazione preventiva alla somministrazione per consentire un’attivazione temporale del composto. Se l’emivita di tale stato viene scelta in modo corretto, è possibile garantire un mantenimento dell’attività nel tempo in cui il farmaco si trova nell’organismo per poi essere persa al momento dell’escrezione.

- “B”, è invece da considerarsi nel caso in cui il composto possa essere attivato all’interno del corpo senza alcun rischio di tossicità. In tal caso sarà inoltre possibile assicurare un’attività del farmaco localizzata al sito in cui questo deve agire.

- “C” rappresenta il caso di un composto altamente citotossico, la cui attività al di fuori del sito bersaglio potrebbe causare gravi effetti collaterali. In questa situazione è possibile fare in modo che la sua attività venga esplicata solamente a livello del target, modificandolo con un photoswitch ad emività molto breve in modo tale che per poter svolgere la propria funzione sia necessario un “pulsing” nell’area desiderata, ovvero un’attivazione tramite irradiazioni con luce ripetute nel tempo.

Gli scenari “D” ed “E”, a differenza dei precedenti, fanno riferimento a farmaci la cui forma attiva è associabile ad un loro stato termodinamicamente stabile. Innanzitutto, considerando che le molecole sono attive prima dell’irraggiamento, è possibile limitare eventuali effetti collaterali irraggiandole prima della somministrazione, con luce ad una specifica lunghezza d’onda in modo tale da garantirne un cambiamento alla forma inattiva. Successivamente, se la scala temporale di rilassamento termico è scelta correttamente, man mano che il farmaco raggiunge il sito bersaglio riacquisirà gran parte della sua attività (“D”).

È anche possibile pensare, in quest’ultimo contesto, di sottoporre la molecola ad un secondo irraggiamento inattivante prima che venga eliminata dall’organismo in modo tale da prevenire eventuali effetti tossici in tessuti diversi dal sito d’azione (“E”).

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Figura 1.5, Possibili scenari terapeutici che possono verificarsi per utilizzo di molecole fotoattivabili con emivita controllato. [Velema, W. A., Szymanski, W. & Feringa, B. L.

Photopharmacology: Beyond proof of principle. Journal of the American Chemical Society 136, 2178–2191 (2014)].

1.3 Lunghezze d’onda permesse e principali organi target

Poiché il meccanismo su cui si basa la fotofarmacologia prevede di utilizzare la luce per innescare l’attività farmacologica, una delle sfide più importanti è proprio quella di veicolare fotoni agli specifici target presenti nei tessuti dell’organismo. Infatti, è ormai ampiamente noto come il corpo sia dotato di una sufficiente trasparenza alle radiazioni ad alta energia (come ad esempio, fotoni gamma o raggi X) e come, invece, la profondità di penetrazione della luce che ricade nello spettro dell’UV/vis (utilizzata in questo approccio) sia limitata da fenomeni di scattering ottico e di assorbimento da parte di cromofori endogeni che contribuiscono al fotodanno alle cellule20.

In linea di principio la luce UV/vis può essere utilizzata in un intervallo di lunghezze d’onda comprese tra 600 e 1200 nm a causa dell’assorbimento da parte dell’emoglobina che impedisce l’utilizzo di λ più corte e a causa dell’assorbimento da parte dell’acqua che, invece, limita l’uso di λ più grandi. In genere, luce a 630 nm è in grado di penetrare in un tessuto fino ad 1 cm di profondità ed a 800 nm fino a circa 2 cm, anche se in realtà la profondità di penetrazione è fortemente dipendente dal tipo di tessuto.

Tutto ciò, limita fortemente l’utilizzo di questa strategia per applicazioni in profondità nell’organismo proprio perché, la situazione ideale di disporre di una luce con una lunghezza d’onda in grado di garantire un’elevata profondità di penetrazione non essendo allo stesso tempo tossica, è fino ad ora solo teoria; perciò, con lo scopo di bypassare tale problema è possibile valutare per esempio l’utilizzo di una fibra ottica, inserita nel sito di interesse tramite una piccola incisione21.

Queste considerazioni sono inoltre correlabili a quello che è il concetto di photodruggability, ovvero la possibilità di un farmaco nel riconoscere e legare con elevata affinità lo specifico enzima/recettore bersaglio associato ad una specifica patologia cambiando la propria attività/proprietà22. In questo contesto, devono anche essere soddisfatti alcuni requisiti: il target deve essere responsivo ai cambiamenti strutturali e nelle proprietà del farmaco indotti dalla luce, deve essere correlato ad una

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malattia localizzata come per esempio un tumore solido o un’infiammazione locale e, infine, deve essere accessibile alla luce.

A questo proposito, esiste una classificazione degli organi in relazione alla facilità con la quale possono essere raggiunti dalla luce21,23:

- Classe 1, sono gli organi a più facile accesso da parte della luce come ad esempio gli occhi, la bocca, le orecchie e la pelle24,25. Sono molto allettanti riguardo potenziali applicazioni

fotofarmacologiche, soprattutto gli occhi, date le moltissime patologie oculari (degenerazione maculare, daltonismo, infezioni virali e batteriche, patologie autoimmuni ecc.) e dato che gli occhi si sono evoluti per interagire con la luce, quindi allo stesso modo, quest’ultima potrebbe essere utilizzata per possibili approcci terapeutici. In particolare, un sistema applicabile alla lotta contro la cecità potrebbe essere dato dall’utilizzo di un insieme di piccole molecole responsive a differenti lunghezze d’onda che, quindi, potrebbero essere responsive a diversi colori.

- Classe 2, sono organi accessibili tramite endoscopia come ad esempio il tratto gastro-intestinale, il sistema respiratorio, il tratto orofaringeo, la prostata, la vescica e la cervice. Anche in questo caso la loro facile accessibilità fa sì che questi organi rientrino nei target appetibili per applicazioni di fotofarmacologia, come ad esempio, per il trattamento di differenti tipologie di cancro.

- Classe 3; a questa classe, appartengono organi come i testicoli, le ghiandole salivari, i vasi linfatici, i muscoli, i nervi, le arterie, le vene, le ossa e la tiroide. Anche in questo caso, scegliendo accuratamente la profondità di penetrazione della luce utilizzata per consentire la fotoattivazione del farmaco e considerando che questi organi sono localizzati appena al di sotto della pelle, è possibile pensare un loro utilizzo come target per fotofarmacologia. - Classe 4, sono organi raggiungibili tramite un’incisione. A questa classe appartengono organi

come la milza, il fegato26, il pancreas27, i reni, stomaco, l’intestino, la maggior parte dei vasi sanguigni e le ghiandole surrenali.

- Classe 5; a questa classe appartengono il cervello28 e il midollo osseo che sono organi molto difficili da irradiare a causa dell’opacità del tessuto osseo. Al centro della sua funzione fisiologica, inoltre, sono i canali transmembrana neuronali che, nell’ipotesi di un approccio fotofarmacologico, rappresenterebbero i target sui quali i farmaci agirebbero; in tutto ciò, però, il problema principale che limita l’utilizzo della fotofarmacologia, è proprio la modalità con la quale far arrivare luce a livello cerebrale che richiederebbe un intervento chirurgico invasivo. Nonostante però questa inaccessibilità, la fotofarmacologia del cervello sta progredendo molto velocemente, grazie anche ai risultati ottenuti con l’approccio utilizzato preferibilmente in questo caso, ovvero l’optogenetica.

Vi è poi anche un’ultima classe alla quale, a differenza delle precedenti, non appartengono target catalogabili in termini di organi o strutture di organi, bensì metodi per contrastare infiammazioni, disturbi metabolici, disturbi neurologici e infezioni.

In particolare, le infezioni sono molto frequenti e normalmente vengono trattate mediante applicazione sistemica di antibiotici, alla quale sono associati importanti problemi7; i principali sono:

- l’accumulo di questi antibiotici nell’organismo che, quindi, influenzerà non solo il patogeno, ma anche tutti gli altri batteri presenti nel corpo (come per esempio il microbioma gastrointestinale e delle vie respiratorie).

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- il loro rilascio massivo nell’ambiente poiché, al giorno d’oggi, sono utilizzati in larga scala nella società (industrie, ospedali ecc.)29; a tutto questo corrisponde una grave minaccia dovuta al conseguente rapido accumulo di batteri multiresistenti.

In questo contesto, la fotofarmacologia potrebbe rappresentare una strategia tramite la quale poter bypassare questi seri problemi poiché consentirebbe l’introduzione di un controllo (tramite luce), per permettere l’attivazione dell’antibiotico solo quando questo raggiunge il sito bersaglio e, successivamente, una disattivazione quando si allontana per essere escreto.

1.4 Principali photoswitch

Come affrontato anche in precedenza, è possibile introdurre un controllo sull’attività di molecole farmacologiche, legando a queste gruppi photoswitch in grado di rispondere ad irraggiamento con luce UV/vis. In relazione alle modificazioni che questi gruppi possono subire per assorbimento di luce, possono essere suddivisi in cromofori convertibili da conformazioni cis a trans e viceversa o in cromofori convertibili da forme chiuse a forme aperte e viceversa.

Appartengono al primo gruppo gli azobenzeni e gli emitioindigo mentre sono esempi del secondo gruppo gli spiropirani e i diarileteni.

Gli azobenzeni, rappresentano una delle prime classi di photoswitch sintetici studiate30 e una delle più utilizzate grazie alla semplicità della loro sintesi, alla loro rapida fotoisomerizzazione, al basso tasso di photobleaching e agli elevati coefficienti di estinzione e rese quantiche. Sono dei gruppi cromofori costituiti da due anelli benzenici legati tra loro mediante un gruppo azoico (N=N); Grazie alla presenza di tale gruppo, i due anelli sono liberi di ruotare attorno al doppio legame generando i due possibili stati conformazionali Cis e Trans. L’isomero Trans, caratterizzato da una conformazione planare e non polare è, da un punto di vista termico, più stabile dell’isomero Cis costituito invece da una conformazione elicoidale chirale e con un dipolo di circa 3 Debye. Trans e Cis sono separati da una barriera energetica di circa 18 kcal/mol. L’azobenzene trans presenta inoltre un forte assorbimento nello spettro UV-vis a 320 nm associabile ad una sua transizione π-π*. Se irradiato con luce a tale lunghezza d’onda, il suo assorbimento favorirà un meccanismo di rotazione attorno al legame N=N portando alla generazione dell’isomero Cis. La transizione inversa dall’isomero Cis al Trans, invece, avviene o mediante un’attivazione termica oppure tramite irradiazione con una lunghezza d’onda diversa (luce visibile > 460 nm).31 Generalmente gli isomeri Cis e Trans coesistono

in rapporti che possono essere modificati tramite irradiazione con luce UV/vis.

Figura 1.6, Rappresentazione dei due stati conformazionali dell’azobenzene: Trans (a sinistra) e Cis (a destra).[Szymański, W., Beierle, J. M., Kistemaker, H. A. V., Velema, W.

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A. & Feringa, B. L. Reversible photocontrol of biological systems by the incorporation of molecular photoswitches. Chemical Reviews 113, 6114–6178 (2013)].

Gli emitioindigo, sono un gruppo di photoswitch costituiti da un anello aromatico legato mediante un legame olefinico ad un tetraidrotiofenone condensato ad un altro anello aromatico30. In questo caso

l’irradiazione con luce comporta una rotazione degli anelli attorno al legame olefinico, favorendo un’interconversione del gruppo cromoforo tra due possibili conformazioni denominate Z ed E. La conformazione Z presenta un massimo di assorbimento a lunghezze d’onda comprese tra i 400 e i 410 nm, pertanto irradiando con luce a λ compresa in questo range, è promosso il passaggio dall’isomero Z all’E con conseguente notevole cambiamento nell’orientazione del momento dipolo32. Al contrario,

irradiando a lunghezze d’onda maggiori (480-490 nm) è possibile favorire l’isomerizzazione inversa, dallo stato E a quello Z. Questo photoswitch è molto utilizzato soprattutto perché offre una notevole velocità di fotocommutazione da una conformazione all’altra (scale temporali di picosecondi).

Figura 1.7, Rappresentazione dei due stati conformazionali degli emitioindigo, Z (a sinistra) ed E (a destra).[Szymański, W., Beierle, J. M., Kistemaker, H. A. V., Velema, W.

A. & Feringa, B. L. Reversible photocontrol of biological systems by the incorporation of molecular photoswitches. Chemical Reviews 113, 6114–6178 (2013)].

Gli spiropirani sono dei photoswitch derivanti dalla sostituzione al carbonio in posizione 2 ad un anello di pirano, di un sistema ad anello. Il gruppo cromoforo sarà quindi costituito da un atomo di carbonio comune all’anello di pirano e al sistema aggiunto. Il carattere di photoswitch degli spiropirani è attribuibile alla presenza di un legame di tipo spiro tra l’atomo di ossigeno e il carbonio 2 del pirano che, a seguito dell’irradiazione con luce UV a lunghezze d’onda comprese tra 360 e 370 nm, viene scisso assumendo uno stato zwitterionico denominato merocianina33. Questo processo è

associato ad un cambiamento molto grande di polarità (con variazioni del momento di dipolo di 8-15 debye) al quale, nel caso in cui il photoswitch fosse legato ad una molecola di interesse, è associato un cambiamento importante nell’idrofilia/idrofobicità34. È inoltre un processo reversibile, infatti, per

irradiazione dello stato di merocianina con luce a lunghezza d’onda maggiore rispetto a quella precedentemente utilizzata (> 460 nm) è possibile ottenere il ripristino del legame spiro C-O e, quindi, lo stato di spiropirano. L’equilibrio che sussiste tra i due stati, è maggiormente spostato verso la merocianina suggerendo una maggiore stabilità di questa rispetto allo spiropirano.

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Figura 1.8, Rappresentazione dei due stati degli spiropirani: lo stato neutro, spiropirano (a sinistra), e lo stato zwitterionico, merocianina (a destra).

I diarileteni35,36 sono una classe di composti costituiti da due anelli aromatici legati tra loro tramite un doppio legame carbonio-carbonio. La loro attività di fotoisomerizzazione deriva dalla presenza, nella loro forma aperta (isomero E) di un gruppo esatriene che, per assorbimento di luce, ciclizza portando alla generazione di una forma chiusa (isomero Z). L’ampio utilizzo dei diarileteni deriva proprio dalla velocità (nell’ordine dei picosecondi) e dall’elevata resa (quasi al 100%) della reazione di ciclizzazione 6π alla quale incorrono. Poiché in questi cromofori, ad entrambi i lati del ponte alchenico, sono legati anelli aromatici in grado di apportare energie aromatiche di stabilizzazione, entrambi gli isomeri sono termicamente stabili.

Figura 1.9, Rappresentazione dei due stati dei diarileteni, isomero E (a sinistra) e isomero Z (a destra).

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1.5 Ciprofloxacina

La ciprofloxacina fa parte della famiglia dei chinoloni, farmaci chemioterapici antibatterici di sintesi contenenti un anello 3-carbossipiridin-4-one condensato ad un altro anello aromatico o eterociclo variamente sostituito37.

Figura 1.10, Struttura chimica dei chinoloni.

Tale classe di composti, è stata scoperta alla fine degli anni ’50 durante il processo di sintesi e purificazione della clorochina, una delle molte sostanze studiate negli Stati Uniti d’America contro la malaria subito dopo la 2° guerra mondiale.

Il primo chinolone ad essere stato sintetizzato e, quindi, il capostipite di questa famiglia, fu nel 1963 l’acido nalidissico: composto a struttura naftiridinica avente una modesta attività nei confronti dei batteri Gram – (negativi) il cui uso clinico fu circoscritto al trattamento delle infezioni del tratto urinario (UTIs). Al giorno d’oggi non è più utilizzato a causa del suo limitato spettro d’azione e dei problemi di resistenza batterica ma, a partire da modifiche strutturali in esso apportate, sono stati sintetizzati nuovi composti suddivisibili in ben quattro generazioni e dotati, rispetto al precursore, di attività antimicrobica incrementata, di un ampliamento dello spettro di azione e di una riduzione dei fenomeni di resistenza acquisita con conseguente diminuzione di effetti collaterali indesiderati38.

I chinoloni di prima generazione sono attivi esclusivamente contro batteri Gram (–) non particolarmente resistenti e sono usati esclusivamente per le infezioni delle vie urinarie39. A questo gruppo di farmaci appartiene il capostipite acido nalidissico.

I chinoloni di seconda generazione (a cui la ciprofloxacina appartiene) differiscono, rispetto ai precedenti, per l’introduzione di un atomo di fluoro in posizione 6 (per presenza del quale sono definiti fluorochinoloni) e di un anello piperazinico in posizione 7. Sono proprio questi “componenti aggiuntivi” ad aver apportato le modifiche più significative a questo gruppo di molecole, come:

- un’aumentata attività antimicrobica, quindi un ampliamento dello spettro d’azione;

- migliori caratteristiche farmacocinetiche e in particolare della biodisponibilità (che ha permesso in molti casi la loro somministrazione per via orale), un aumento della capacità di diffusione tissutale complessiva e, quindi, una migliore tollerabilità rispetto alla prima generazione;

- Azione sia contro i patogeni Gram (–) (come Escherichia coli, Pseudomonas aeruginosa,

Salmonella enteritidis) la cui efficienza è aumentata per presenza dell’anello piperazinico, sia

contro i batteri Gram positivi (+) (come Clostridium, Staphilococcus, Streptococcus) azione potenziata per presenza dell’atomo di fluoro.

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Sebbene utilizzati per lo più nelle infezioni delle vie urinarie, in alcuni casi la loro applicazione può essere estesa anche ad infezioni sistemiche.

Le molecole appartenenti alla terza e alla quarta generazione, infine, differiscono dalle precedenti solo per un potenziamento nella loro attività e, quindi, per la possibilità di impiegarli contro una gamma più vasta di batteri e di infezioni/patologie.

In generale, i chinoloni sono molecole anfotere che possono essere protonate sia sulla porzione carbossilica che sull’ammina terziaria della molecola. Data la loro elevata componente idrofobica, in genere sono poco solubili ma quando si trovano in soluzione acquosa, possono assumere tre differenti forme: cationica (quando l’ammina terziaria e il gruppo carbossilico sono entrambi protonati), zwitterionica (per presenza contemporanea dell’acido carbossilico e dell’ammina basica) e anionica (quando l’ammina terziaria e il gruppo carbossilico sono entrambi deprotonati).

Più precisamente, a pH acido entrambi i gruppi si trovano protonati, mentre a pH basico l’acido carbossilico è sotto forma di anione. In questo contesto, le proprietà acido-base influenzano in modo significativo la loro azione, il loro uso sistemico o locale e la loro farmacocinetica (volume di distribuzione, biodisponibilità, emivita ecc.). I valori di pKa mutano lievemente da farmaco a farmaco, ma generalmente il pKa del gruppo carbossilico varia da 6.0 e 6.5 mentre il pKa per l’azoto del gruppo piperazinico tra 7.5 e 8.0. Presentano anche un elevato punto di fusione che generalmente supera i 200 °C.

Prendendo poi in considerazione la struttura chimica di un chinolone, è possibile prevedere in linea generale, l’attività antibatterica che lo contraddistingue; tale attività, infatti, varia in base alla presenza o meno di specifici elementi strutturali che possono essere suddivisi in elementi strutturali

indispensabili e modifiche strutturali di minore importanza.

Al primo gruppo appartiene la presenza di un anello aromatico condensato ad un anello di piperidina (nucleo chinolico), e di un doppio legame in posizione 2-3. Sempre a livello di tale anello, un gruppo carbossilico libero in posizione 3 è fondamentale per le proprietà antibatteriche dei chinoloni tanto che, la sua sostituzione con un gruppo estereo, ammidico o con gruppi affini (-CN, -COCH3,

-SO2CH3), ne annullerebbe l’attività; la presenza del gruppo chetonico in posizione quattro dello

stesso, in egual modo, è indispensabile per l’inibizione della DNA girasi. Un sostituto legato all’azoto in posizione 1 della piperidina, poi, consente di modulare la farmacocinetica e aumenta la potenza contro i batteri (per esempio sostituzioni a questo azoto con un etile o un ciclopropile o un fluorofenile, portano ad uno spettro d’azione più ampio).

Al secondo gruppo, invece, appartengono le sostituzioni in posizione C8 responsabili della modulazione della farmacocinetica (per esempio l’aggiunta di atomi Cl o F in tale posizione porta ad un miglioramento della capacità del farmaco di penetrare nella cellula ed il suo assorbimento gastrointestinale). Le sostituzioni in posizione C5 potenziano invece l’attività contro i batteri Gram (+) positivi, mentre la presenza di un atomo di fluoro in posizione 6 favorisce la penetrazione della molecola nella cellula batterica e potenzia l’attività inibitoria verso la DNA girasi. Anche i gruppi in posizione 7 influenzano significativamente l’inibizione della DNA girasi e l’attività antibatterica; in tale contesto, piccoli radicali lineari come -CH3, -Cl, -NH2, -NHCH3, hanno permesso di ottenere

composti con spettro d’attività ristretto, benché più ampio di quello dell’acido nalidissico. Le sostituzioni con gruppi di maggiori dimensioni come ad esempio gruppi piperazinici, 3-amino-pirrolidinici e 3-metilaminometil-3-amino-pirrolidinici, hanno portato a composti caratterizzati da una minore potenza in vitro, ma con il vantaggio di garantire livelli plasmatici più elevati dopo somministrazione orale.

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In particolare, i fluorochinoloni sono farmaci molto attivi a concentrazioni estremamente basse, rispetto ai più tradizionali antibatterici (penicilline, tetracicline, inibitori dell’acido folico ecc.). La suscettibilità, però, di un certo microrganismo ai singoli composti del gruppo, pur essendo questi strutturalmente e chimicamente simili, può variare in misura considerevole.

Un importante esempio di fluorochinolone è la ciprofloxacina, denominata anche [acido 1-ciclopropil-6-fluoro-1,4-diidro-4-oxo-7-(1-piperazinil)-3-chinolin-carbossilico]. La ciprofloxacina è stata introdotta in terapia alla fine degli anni ’80 tramite deetilazione del precursore enrofloxacina40.

Figura 1.11, Strutture chimiche dell’enrofloxacina (a sinistra) e della ciprofloxacina (a destra).

Strutturalmente è dotata di un gruppo carbossilico acido -COOH in posizione 3 dell’anello di piperidina e di un gruppo amminico basico -NH sull’anello piperazinico laterale legato in posizione 7 all’anello aromatico41. Secondo tali caratteristiche, come anche rappresentato in Figura 1.12,

poiché a pH fisiologico entrambi i gruppi sono ionizzati, la molecola assumerà la forma di zwitterione, favorente la sua diffusione passiva attraverso l’involucro batterico. A pH acido prevale la sua forma protonata mentre, in ambiente basico, la forma deprotonata.

Figura 1.12, Schema di protonazione/deprotonazione della ciprofloxacina.

Dopo somministrazione orale, viene ampiamente distribuita nei fluidi corporei con concentrazioni tissutali e nei fagociti, paragonabili a quelle plasmatiche e, l’escrezione può avvenire sia per via renale che biliare. Reazioni avverse sono rare e, qualora manifeste, sono rappresentate da disturbi del tratto gastrointestinale (circa 3,4%) e rash (< 1%). Disturbi del SNC, tipici dei chinoloni, sono stati registrati approssimativamente nell’1% dei pazienti trattati. È efficace per il trattamento di un ampio range di infezioni come le UTIs, le infezioni gonococciche, le infezioni della pelle e le prostatiti batteriche croniche.

Ha attività contro una vasta gamma di bacilli Gram (-) e cocchi che includono Klebisiella ssp.,

Pasteurella spp., Pseudomonas spp., Salmonella spp. ed altri organismi come Micoplasma e Clamidia e alcuni batteri aerobi Gram (+) come gli Stafilococchi. Per questi ultimi, sebbene tutte le

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specie siano suscettibili ai fluorochinoloni, i valori di MIC per questi batteri sono più alte rispetto ai Gram (-) perché più resistenti tant’è che tale resistenza rappresenta un importante problema per i pazienti trattati.

I chinoloni e fluorochinoloni agiscono nei confronti di due enzimi coinvolti nella sintesi del DNA batterico: topoisomerasi IV e DNA girasi; entrambe topoisomerasi di tipo 2, cioè enzimi deputati a rendere favorevoli alcuni processi vitali per la cellula batterica quali replicazione e trascrizione.

1.6 DNA topoisomerasi: la DNA girasi

Le DNA topoisomerasi sono degli enzimi ubiquitari che catalizzano reazioni che regolano lo stato topologico del DNA, dove per isomeri topologici si intendono molecole di DNA differenti l’una dall’altra per il Lk (Linking Number)42. Ricordiamo che Lk è il numero di volte che un filamento passa

attraverso la superficie sulla quale è posto l’altro filamento, quando il DNA è sito su un piano e non presenta superavvolgimenti43 e che, inoltre, in relazione alla direzione verso la quale il filamento gira rispetto alla doppia elica, i superavvolgimenti possono essere suddivisi in: positivi o overwinding quando gira verso destra (nonché nello stesso verso dell’elica e a questo processo corrisponderà un’eccessiva torsione e un aumento del grado di condensazione) e in negativi o underwinding quando gira verso sinistra (in senso opposto all’elica favorendone una sottotorsione e, quindi, l’apertura)44.

In questo modo, tali enzimi svolgono un ruolo importante in processi quali la replicazione, la trascrizione, il rimodellamento della cromatina e nel mantenimento della stabilità genomica perché consentono la risoluzione di problemi strutturali derivanti dall’accumulo di superavvolgimenti prodotti da questi processi biologici45.

Il meccanismo generale attraverso il quale tutte le DNA topoisomerasi operano, prevede un iniziale taglio temporaneo che può essere a singolo o a doppio filamento per attacco nucleofilo di una o due tirosine presenti nel sito attivo a rispettivamente uno o due gruppi fosfato dello scheletro del DNA (tale evento perché lo stato topologico degli acidi nucleici non può essere modificato senza un taglio alla catena). In questo modo, il legame fosfodiesterico si rompe e, conseguentemente, se ne forma uno fosfotirosinico (tra il gruppo fosfato al 3’ e la tirosina, l’ossidrile al 5’ viene invece lasciato libero). Il filamento rimasto intatto, o un’altra catena, passa attraverso il taglio e, infine, il/i gruppo/i ossidrile (-OH) reso/i libero/i dalla reazione, attacca il legame tra il fosfato e la tirosina, portando ad un ritorno del DNA alla sua forma integra, sebbene topologicamente diversa rispetto a quella in origine46.

Le topoisomerasi possono essere suddivise in due classi in relazione al loro meccanismo d’azione e alle loro caratteristiche strutturali:

- Topoisomerasi di Classe I, sono degli enzimi monomerici che, agendo per introduzione di un taglio a singolo filamento, generano un superavvolgimento negativo in modo controllato eliminando, pertanto, un giro di elica (modificano il numero di legame di una sola unità). Questa reazione, inoltre, avviene senza la necessità di ATP e serve principalmente a rilassare superavvolgimenti e, quindi, permettere eventi replicativi e riparativi del DNA.

- Topoisomerasi di Classe II, sono costituite da più subunità e, a differenza delle precedenti, agiscono per introduzione di tagli a doppio filamento aumentando il numero di legame di 2 unità. Questo tipo di reazioni richiedono ATP e consentono il rilassamento di superavvolgimenti sia positivi che negativi, nodi, grovigli e sono coinvolte anche nel processo di condensazione del DNA.

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Figura 1.13, Reazione catalizzata dalle topoisomerasi.

Focalizzando l’attenzione sulla cellula batterica, un’importante topoisomerasi di cui questa dispone e che è anche uno dei componenti del sistema studiato in questo progetto di tesi, è la DNA girasi. La DNA girasi è una topoisomerasi di Classe II ubiquitaria nei batteri e unica nella capacità di introdurre superavvolgimenti negativi in molecole di DNA chiuse a doppio filamento, risolvendo in questo modo le sfide topologiche associate ai processi di replicazione e trascrizione. Il tutto è condotto in presenza di ATP e di ioni metallici (Mg2+)47. Sebbene questa sia la funzione prevalente, tale enzima è coinvolto anche in altri processi che sfruttano l’idrolisi di ATP per rilassare il DNA da superavvolgimenti positivi, condurre reazioni di catenazione, decatenazione e annodamento. Da un punto di vista generale, quindi, la DNA girasi è un enzima coinvolto nel rimodellamento del cromosoma batterico.

Strutturalmente è un eterotetramero A2B2 formato da due subunità denominate GyrA di circa 97 KDa

e due subunità GyrB di circa 90 KDa 48.

Nell’enzima, le due subunità GyrB formano un dimero, dove ciascun monomero è caratterizzato da: - Un dominio N-terminale di circa 43 KDa nel quale è localizzato un sito di legame per l’ATP,

dei residui fondamentali per i contatti tra i due monomeri nel dimero e quattro motivi conservati della superfamiglia di proteine GHKL ATPasi/Chinasi. Questo dominio di GyrB, quindi, è responsabile del legame dell’ATP e della sua idrolisi.

- Un dominio C-terminale di circa 47 KDa coinvolto nell’interazione con GyrA e con il DNA. Assieme al dominio analogo presente nell’altra subunità GyrB, forma una cavità centrale di circa 20 Å sufficientemente larga per ospitare un duplex di DNA e per stabilizzarlo, poiché rivestita internamente da residui di Arginina carichi positivamente (che, quindi, possono interagire con i gruppi fosfato carichi negativamente del backbone di DNA). Può, inoltre, essere suddiviso in due sottodomini denominati Topoisomerase-Primase (TOPRIM) domain, contenente tre residui acidi (Glu 435, Asp 508 e Asp 510,altamente conservati tra le DNA girasi) responsabili del legame dello ione magnesio (Mg2+) necessario alla reazione di scissione/rilegatura del DNA, e il Tail domain; i due, collegati tra loro tramite una regione loop-helix-loop.

Anche in questo caso le due subunità GyrA formano un dimero dove ciascun monomero è costituito da:

- Un dominio N-terminale di circa 59 KDa responsabile della rottura del DNA e suddivisibile in sottodomini denominati Tower domain, Winged-Helix domain (WHD) e Coiled-coil

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domain. Assieme al dominio analogo presente nell’altra subunità GyrA, forma una cavità di

circa 30 Å delimitata superiormente e inferiormente da due superfici di interfaccia tra i due monomeri, denominate rispettivamente “porta del DNA” e “porta C”. Di queste la “porta del

DNA”, formata dal dominio Winged-Helix e da TOPRIM di GyrB, contiene le tirosine del sito

attivo necessarie all’esecuzione del taglio a doppio filamento e apporta cariche positive (lo ione magnesio reclutato dai residui acidi di TOPRIM) che sembrano essere coinvolte nella promozione di un legame con il DNA.

- Un dominio C-terminale di circa 35 KDa importante nel conferire alla DNA girasi la capacità di superavvolgere negativamente il DNA (la sua eliminazione infatti trasforma la girasi in un normale enzima deputato al rilassamento del DNA). Questo dominio è collegato all’N-terminale tramite un linker flessibile e presenta una struttura a girandola-β a sei pale i cui due terzi di superficie esterna sono carichi basicamente suggerendo il coinvolgimento di questa regione nel legame e nella flessione del DNA. Inoltre, tra le pale 1 e 6, è presente un loop dove è localizzato un motivo a 7 aminoacidi chiamato GyrA-box fondamentale nell’attività di superavvolgimento.

Figura 1.14, Struttura della DNA girasi.In arancione il dominio N-terminale di GyrB, in rosso (sottodominio TOPRIM) e in azzurro (sottodominio Tail) è rappresentato il dominio C-terminale di

GyrB, in blu il dominio N-terminale di GyrA, in viola il C-terminale di GyrA ed, infine, in verde la molecola di DNA.[Bush, N. G., Evans-roberts, K. & Maxwell, A. MACROMOLECULES DNA

Topoisomerases. EcoSal Plus 6, (2015)].

1.7 Biochimica di interazione dei chinoloni alla DNA girasi

Per poter comprendere al meglio la biochimica di interazione dei chinoloni (e quindi anche della ciprofloxacina) con la DNA girasi, è innanzitutto importante prendere in esame il funzionamento del sistema target sul quale questa famiglia di molecole farmacologiche esplicherà la sua attività.

Come scritto anche nel precedente paragrafo, la DNA girasi è unica nella capacità di introdurre superavvolgimenti negativi; ciò avviene tramite un meccanismo chiamato a “doppio gate” perché coinvolge due cavità: una generata dal dominio N-terminale di GyrA, nella parte superiore della quale

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(a livello della superficie di interfaccia tra i due monomeri GyrA) verrà adagiato un segmento a doppia elica di DNA chiamato segmento G e un’altra, dal dominio C-terminale di Gyr B (localizzato sopra Gyr A) nel quale invece verrà posto un segmento adiacente a G sul DNA, chiamato segmento T (posizionato in seguito ad un processo di avvolgimento della molecola di DNA attorno all’enzima). Poiché nel primo gate descritto è presente il sito attivo della molecola enzimatica, le due tirosine presenti in esso provocheranno la scissione della doppia elica a livello del segmento G formando un nick. Successivamente, il segmento T verrà spostato dal gate di GyrB alla cavità GyrA sottostante, passando attraverso la rottura generata in precedenza. Il meccanismo infine terminerà con la riparazione della rottura nel segmento G e il rilascio della molecola di DNA.

Figura 1.15, Rappresentazione schematica del meccanismo di apporto di un superavvolgimento negativo da parte della DNA girasi. [Bush, N. G., Evans-roberts, K. & Maxwell, A.

MACROMOLECULES DNA Topoisomerases. EcoSal Plus 6, (2015)].

In questo scenario, il ruolo dei chinoloni e fluorochinoloni prevede un’inibizione selettiva della DNA girasi, alla quale seguirà una stabilizzazione della forma “cleaved” del DNA, prevenendo il meccanismo riparatorio e l’introduzione, quindi, dei superavvolgimenti. Il risultato finale di quest’azione inibitoria sarà il blocco dei processi replicativi, trascrizionali (sintesi dell’RNA) e di sintesi proteica; in particolare, l’inibizione del processo replicativo sembra essere conseguenza della collisione delle forche replicative con il complesso nel quale è localizzata la porzione scissa di DNA47. Tale evento, a sua volta, causa l’induzione del regulone SOS (proteine RecB e RecC); uno dei geni indotti in questa risposta SOS, è un inibitore della divisione cellulare che porta ad un processo di filamentazione delle cellule batteriche e, infine, alla loro morte.

L’inibizione indotta dai farmaci chinolonici del meccanismo attraverso il quale la DNA girasi apporta superavvolgimenti negativi al DNA, non si verifica per azione diretta sull’attività della DNA girasi stessa, ma sul complesso ternario chinolone-girasi-DNA49. Infatti, i chinoloni (compresa la

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ciprofloxacina) si legano debolmente sia alla DNA girasi che al DNA a livello di una tasca formata dalla regione QRDR di GyrA (l’interazione con GyrA sembra coinvolgere i residui Ser 83 e Asp 87 sull’elica 4 del dominio N-terminale), nonché la regione contenente i residui per il legame e la scissione del DNA, e dalla regione a sua volta formata dal legame del DNA scisso a QRDR. In questo contesto, poiché la DNA girasi è un eterotetramero formato da due tipi di subunità (due GyrA e due GyrB) e tali subunità sono organizzate, a formare la struttura proteica, in due catene identiche tra loro (ciascuna avente un monomero GyrA e un monomero GyrB) e disposte in modo speculare l’una all’altra interagendo tra loro grazie all’associazione di ciascun GyrA e ciascun GyrB con il rispettivo omologo nell’altra catena (per formare il dimero), in realtà questo enzima è caratterizzato da due tasche di legame per due molecole di ciprofloxacina (chinoloni). Nello studio condotto in questa tesi, dato che tali siti erano identici, ne è stato considerato uno.

A completamento del sito di legame, un ruolo importante è svolto anche dai residui di GyrB Asp 426 e Lys 447 posizionati l’uno vicino all’altro poiché conferiscono all’enzima la capacità di legare due tipi di chinoloni diversi. Difatti, la carica negativa dell’acido aspartico 426 si pensa interagisca con la carica positiva dei gruppi in posizione 7 nei chinoloni anfoteri, mentre la carica positiva della lisina 447 sembra interagire con il gruppo carbossilico carico negativamente dell’acido aspartico 426, generando un ambiente neutro adatto a legare gruppi idrofobici.

Figura 1.16, A sinistra rappresentazione della tasca di legame per la ciprofloxacina (chinoloni) nella DNA girasi e i residui che, in ogni subunità (GyrA e GyrB) interagiscono con essa. A destra, rappresentazione della struttura della DNA girasi e localizzazione delle regioni QRDR indicanti, di

conseguenza la localizzazione delle tasche di legame per i chinoloni (A’, indica la regione corrispondente a GyrA e B’ quella corrispondente a GyrB). [Heddle, J. & Maxwell, A.

Quinolone-binding pocket of DNA gyrase: Role of GyrB. Antimicrobial Agents and Chemotherapy 46, 1805– 1815 (2002)].

Il coinvolgimento di GyrB nel meccanismo può essere compreso considerando che, durante un normale ciclo catalitico, la DNA girasi subisce un cambiamento conformazionale che provoca lo spostamento del dominio TOPRIM vicino alla tirosina presente nel sito attivo e, quindi, vicino a QRDR di GyrA. La presenza, a livello di questa regione, di un chinolone, induce uno spostamento

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dei residui 426 e 447 vicino a QRDR e al chinolone legato, portando ad una stabilizzazione del complesso ternario e, in particolare, della molecola di DNA nello stato scisso (la rotazione del corpo rigido del chinolone di circa 9° sull’interfaccia del dimero GyrA, infatti, aumenta leggermente la separazione delle estremità generate dalla rottura del DNA).

Per quanto riguarda il posizionamento del farmaco rispetto al DNA, i chinoloni si inseriscono nella tasca di legame orientando gli anelli aromatici in modo tale che risultino in stacking/impilati tra le basi di DNA che sono state scisse e che sono localizzate nel sito attivo della DNA girasi.

Figura 1.17, Figura rappresentante un farmaco chinolonico (ciprofloxacina) nella tasca di legame della DNA girasi. Dall’immagine è possibile denotare come il chinolone si disponga nella tasca

disponendo la porzione costituita dai due anelli aromatici, in stacking tra le due basi della molecola di DNA (in verde) stabilizzando la forma scissa di questa.

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2. Obiettivo della Tesi

Questo lavoro di tesi si inserisce all’interno della nuova ed emergente branca della fotofarmacologia. In particolare, l’attenzione è qui rivolta a quelle applicazioni della fotofarmacologia che hanno coinvolto l’utilizzo della famiglia degli antibiotici chinolonici e, più nello specifico tra questi, della ciprofloxacina, i cui principali target sono gli enzimi topoisomerasi50.

L’applicazione della fotofarmacologia in questo caso ha permesso di rendere l’attività terapeutica della ciprofloxacina controllabile tramite irraggiamento con luce UV/vis. A tale scopo, quindi, la molecola della ciprofloxacina è stata modificata legando due diversi gruppi “photoswitch” (descritti in dettaglio nel capitolo precedente), azobenzene e spiropirano, a dare azofloxacina e spirofloxacina (si veda Figura 2.1).

Figura 2.1, Schema rappresentante le modificazioni della molecola di ciprofloxacina con i photoswitch azobenzene (a sinistra) e spiropirano (a destra) così generando l’azofloxacina (a sinistra) photoswitchabile da uno stato Trans ad uno stato Cis e viceversa, e la spirofloxacina (a

destra) tra uno stato di spiropirano e uno di merocianina e viceversa.

Ricordiamo che, in seguito ad irraggiamento, il gruppo azobenzene subisce un cambiamento conformazionale dalla forma Trans (più stabile) alla forma Cis (meno stabile) mentre in spiropirano, l’irraggiamento induce un cambiamento dalla forma neutra di spiropirano (meno stabile) alla forma zwitterionica di merocianina (più stabile).

I due sistemi sono stati valutati in termini della loro attività antibatterica dimostrando come in entrambi, i valori di MIC (Minima Concentrazione Inibente) fossero concordi con la stabilità di ciascuno stato, quindi, l’azofloxacina Trans (più stabile) presentava un valore di MIC inferiore (era necessaria una concentrazione più bassa dell’antibiotico per uccidere il batterio) rispetto

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all’azofloxacina Cis (meno stabile), mentre la spirofloxacina (meno stabile) possedeva un valore di MIC superiore rispetto all’antibiotico nello stato di merocianina (più stabile)51.

L’obiettivo della mia tesi è stato quello di analizzare nel dettaglio atomico tramite un’analisi computazionale, le proprietà di legame dei fotofarmaci antibatterici azofloxacina e spirofloxacina all’enzima DNA girasi del batterio Staphilococcus aureus nei loro rispettivi stati photoswitch al fine di poter confermare e approfondire i risultati di stabilità ed attività antibatterica ottenuti dagli studi sperimentali.

Il lavoro è stato condotto a partire dalla struttura cristallografica52 dell’enzima legato alla molecola di ciprofloxacina e grazie all’utilizzo di “tools” bioinformatici che hanno consentito di realizzare l’antibiotico modificato e tutte le possibili conformazioni spaziali che da ciascuna delle due modificazioni potevano derivare, di ottimizzare le strutture precedentemente generate.

Figura 2.2, Immagine del dato cristallografico di partenza. A sinistra la struttura della DNA girasi (in bianco), del DNA (in lilla) e della ciprofloxacina (in verde). A destra uno zoom sulla tasca di

legame.

Su queste sono poi state eseguite simulazioni di docking per studiare la modalità di legame di tutte le conformazioni alla DNA girasi. Sui complessi che, dal processo di docking, hanno ottenuto i migliori risultati di stabilità, è stata applicata la tecnica della dinamica molecolare e, infine, sono state condotte analisi MM/GBSA per analizzare l’energia di binding e ricavare da questa, informazioni sulle interazioni farmaco/enzima.

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3. Metodi

3.1 Molecular Docking

Il Molecular Docking è un metodo molto efficace per studiare a livello atomico le interazioni tra un ligando e un recettore, dove, generalmente, il ligando è una molecola di piccole dimensioni (per esempio una molecola ad attività farmacologica) mentre il recettore è una macromolecola53. Più precisamente l’obiettivo del docking è quello di caratterizzare il posizionamento del ligando all’interno della “binding pocket” del recettore target e comprendere le interazioni che portano al complesso risultante tramite una previsione del riconoscimento molecolare. L’analisi fornirà informazioni sia da un punto di vista strutturale, poiché da questa ricerca risulteranno tutta una serie di pose (possibili modalità di binding al sito attivo), che energetico perché a ciascuna di queste modalità sarà associata una binding affinity (affinità di legame)54,.

Per raggiungere questo obiettivo, i metodi di docking si avvalgono dell’utilizzo di un metodo di ricerca per fornire la previsione strutturale e di una funzione, denominata scoring function, per poter ottenere una previsione energetica55.

L’accuratezza del metodo di ricerca e della scoring function utilizzati, nonché l’efficienza dell’approccio, aumentano notevolmente quando la posizione del sito di legame nel recettore è conosciuta56,57; in molti casi, la posizione di questo è nota ancor prima di legare il ligando ed è anche possibile ottenere maggiori informazioni confrontando il target con recettori aventi funzione simile. Inoltre, dato che in chimica farmacologica molto spesso l’interesse ricade sul discriminare tra milioni di molecole organiche quelle che meglio potrebbero legarsi ad un recettore, per garantire un’efficiente conduzione di questi screening high-throughput, i metodi di docking devono essere molto veloci. Negli anni, l’approccio di docking ha subito un notevole sviluppo insieme a quello delle teorie alla base del concetto di specificità di legame ligando-recettore.

Uno dei primi metodi di docking ad essere stato utilizzato è quello denominato Docking Rigido58. Esso si basa sulla teoria “Lock & Key” di Fischer59 (o modello chiave e serratura) che attribuisce la specificità di legame, a forme geometriche del ligando e del recettore tali da essere perfettamente complementari l’una all’altra. In questi primi approcci di docking, dopo aver determinato la geometria del ligando e della molecola target, questi vengono considerati come due corpi rigidi in grado solamente di ruotare e traslare l’uno rispetto all’altro. In tale approccio, perciò, vengono considerati solamente i gradi di libertà traslazionali e rotazionali del ligando rispetto al recettore (6 gradi in totale, 3 traslazionali e 3 rotazionali) e lo spazio di ricerca in questo caso è molto limitato.

Successivamente, tale teoria è stata soppiantata da quella denominata “Induced-fit”60,61 creata da

Koshland, che sosteneva l’ipotesi di un continuo rimodellamento del sito attivo del target dovuto alle interazioni con il ligando.

In questo nuovo contesto, il Docking Rigido è stato sostituito da quello che è denominato Docking

Flessibile62, nel quale sia il ligando che il recettore vengono considerati come corpi flessibili perché vengono rilasciati tutti i vincoli di rigidità interna (tutti i vincoli sui gradi di libertà). Il Docking Flessibile però è un metodo molto costoso da un punto di vista computazionale perché i gradi di libertà considerati sono molti (3 coordinate per la posizione relativa, 3 coordinate per l’orientazione relativa, tutti i legami intorno ai quali possono avvenire delle rotazioni nel ligando L e tutti i legami intorno ai quali possono avvenire delle rotazioni nel recettore/target T, ovvero 3 + 3 + r L + r T).

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Date le problematiche relative ai due approcci descritti precedentemente, il metodo che al giorno d’oggi resta il più diffuso è il Docking Semi-Rigido63,64, secondo il quale vengono rilasciati i vincoli

di libertà del ligando ma non del recettore che continua ad essere considerato come un corpo rigido. Vengono rilasciati solo i gradi di libertà del ligando perché sono quelli che possono comportare veri e propri cambiamenti conformazionali che, a loro volta, possono determinare il processo di binding al recettore. Il recettore, invece, viene considerato come rigido perché i suoi moti interni sono più lenti ed è più difficile che vadano ad influenzare il binding (anche se non impossibile). Nel Docking Semi-Rigido i gradi di libertà sono pari a 3 + 3 + r L.

L’evoluzione del docking nel tempo, lo ha reso un ottimo compromesso tra accuratezza nel descrivere il binding ligando-recettore e costo computazionale. Questo è il risultato di tutta una serie di approssimazioni volte a ridurre la complessità del sistema pur mantenendone la veridicità. Alcune di queste sono già state prese in considerazione come, per esempio, l’assumere che il recettore sia un oggetto rigido date le sue notevoli dimensioni che rallentano molto i suoi movimenti rispetto al ligando e altre come, ad esempio, assumere che la forma geometrica del complesso sia indipendente dal solvente che, quindi, viene omesso per poi essere aggiunto nuovamente nell’espressione dell’energia.

3.1.1 Ricerca delle pose

Il docking, come descritto in precedenza, rappresenta un approccio basato sull’esplorazione di uno spazio di ricerca con l’obiettivo di trovare la modalità di legame più favorevole di un ligando al target di interesse (la posa migliore).

Poiché, in tale contesto, il binding mode di un ligando al recettore è definito in modo univoco dalla sua posizione (traslazioni in x, y e z), la sua orientazione (angolo dell’asse, angoli di Eulero ecc.) e, nel caso di un ligando flessibile, anche dalla sua conformazione (angoli di torsione) e, poiché ognuna di tali variabili descrive un grado di libertà nello spazio multidimensionale, il docking necessita di un efficiente metodo di ricerca in grado di fornire un’adeguata previsione strutturale di tutte le potenziali pose.

Tale requisito, viene soddisfatto grazie all’utilizzo di algoritmi di ricerca delle pose. Alcuni esempi di questi algoritmi sono:

- Matching Algorithms (MA)65,66,67: rappresentano una classe di algoritmi che sfruttano le

caratteristiche di forma e le informazioni chimiche di ligando e recettore per mappare il primo nel sito attivo del secondo. Il principale vantaggio dei matching algorithms è attribuibile alla loro velocità.

- Fragment-based methods: si basano su una frammentazione del ligando in gruppi rigidi. Tra questi uno dei più utilizzati è l’Incremental Construction (IC)63,68,69. Nell’IC, vengono rotti i

legami rotabili del ligando in modo tale da dividerlo in vari frammenti; di questi viene solitamente selezionato per agganciarsi per primo al sito attivo, quello più grande o quello che può avere un ruolo funzionale significativo o un’interazione con il target. I frammenti rimanenti vengono poi aggiunti di volta in volta in modo incrementale e, di questi, vengono generate varie orientazioni relative rispetto sito attivo in modo tale da garantire la flessibilità del ligando.

Riferimenti

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