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Il ruolo del dirigente nella gestione dell'invecchiamento in ambito lavorativo

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e

Chirurgia

Corso di laurea magistrale in

Scienze Riabilitative delle Professioni Sanitarie

“Il ruolo del dirigente nella gestione dell’invecchiamento in

ambito lavorativo”

RELATORE CANDIDATA Prof. Alfonso Cristaudo Alessia Loffreda

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INDICE

Introduzione... 4

1: L’INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE... 5

1.1

Active Ageing e Healthy Ageing...9

1.2 L’invecchiamento del lavoratore...15

1.3

I riferimenti normativi su lavoro e invecchiamento...24

1.3.1 Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro...30

2: STRESS LAVORO-CORRELATO... 36

2.1

Scala per lo Stress Percepito (SSP)...41

3: CAPACITÀ LAVORATIVA ETÀ-CORRELATA... 42

3.1 Work Ability Index (WAI)...49

4: AGE MANAGEMENT...53

4.1 Il ruolo del dirigente...60

5: INDAGINE SULL’ABILITÀ LAVORATIVA E SULLO STRESS

PERCEPITO EFFETTUATA PRESSO L’AOUP – AREA DELLA

PREVENZIONE...68

5.1

Materiali e metodi...68

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5.1.2 Questionario somministrato... 69

5.1.3 Modalità di diffusione e raccolta del questionario...70

5.1.4 Strumenti di raccolta dati e analisi dell’indice...72

6: ANALISI E RISULTATI... 72

6.1 Analisi del campione...72

6.2

Analisi descrittiva dei risultati...77

6.3

Risultati WAI...84

6.4 Risultati SSP...87

7: DISCUSSIONE E CONCLUSIONI... 90

Appendice ... 109

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Introduzione

Il tema dell’invecchiamento della forza lavoro è oggi più che mai centrale, in Italia come in Europa, dove i lavoratori anziani costituiscono il 30% o più della popolazione attiva. A tal proposito è dunque fondamentale avviare politiche e indirizzare la gestione del lavoro stesso verso un miglioramento delle condizioni lavorative in relazione al prolungamento della vita lavorativa.

Fondamentale risulta operare in modo da valorizzare le diverse categorie di lavoratori, prima tra tutte quelle derivanti dall’età anagrafica, superando quelli che sono i preconcetti e le errate convinzioni sui lavoratori più “maturi” e prendendo invece in considerazione punti deboli e punti di forza di professionisti più anziani rispetto alle “nuove leve”, in una gestione che da una parte sopperisca e vada incontro a quelle che sono le mancanze e le necessità della categoria e che dall’altra metta a frutto ciò che di meglio ognuno può dare all’azienda (la grande esperienza acquisita negli anni e trasferibile ai giovani, per fare un esempio) con vantaggio in termini di benessere del lavoratore e conseguentemente prestazione e profitto.

A tal fine sono stati somministrati, ai lavoratori dell’area della prevenzione dell’AOUP, due questionari volti alla valutazione della capacità lavorativa attuale dei lavoratori stessi (WAI: Work Ability Index) e al loro livello generale di stress (SSP: Scala per lo Stress Percepito), successivamente raccolti ed analizzati.

Viene così proposto un modello valutativo della capacità e del benessere lavorativo esportabile in qualsiasi realtà lavorativa e sostenibile dal dirigente.

Sulla base dei risultati ottenuti il manager potrà attuare un’age management adeguata che contempli reclutamento a favore della diversità, promozione della salute sul luogo di lavoro, gestione dei rischi legati a salute e sicurezza, trasferimento di conoscenze (ad

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esempio attraverso la creazione di figure di tutoring o mentoring), formazione e apprendimento continuo che tenga conto nelle modalità delle esigenze della specifica categoria di lavoratori, sviluppo di carriera che promuova la giusta corrispondenza tra lavoro e competenze, rotazione della mansione e reimpiego in ruoli differenti unitamente a pratiche di flessibilità oraria e infine transazione graduale verso il pensionamento e l’uscita dal mondo del lavoro.

Capitolo 1

L’INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE

Un tema sempre più attuale e di rilievo risulta essere, in Europa ma in particolare in Italia, quello dell’invecchiamento della popolazione generale.

Negli studi di popolazione viene definito “invecchiamento demografico” il processo generato dal progressivo aumento della proporzione di anziani all’interno di una popolazione, considerando come popolazione anziana quella che ha 65 anni o più. Questa soglia d’età è stata determinata sulla base di motivazioni di tipo economico essendo questa generalmente l’età di pensionamento e di uscita dal mercato del lavoro.

Sulla base delle previsioni demografiche [ISTAT, 2018] si è calcolato che in Italia la speranza di vita media per gli uomini salirà da 80,8 anni calcolati al primo gennaio 2019 a 86,1 entro il 2065, mentre per le donne si prevede il superamento dei 90 anni (90,2 al 2065) a fronte degli 85,2 attuali [ISTAT, 2019].

Come conseguenza dell’innalzamento delle prospettive di vita, del miglioramento delle condizioni di salute e della bassa natalità, la struttura della società italiana si sta modificando sempre più, piazzandosi ai primi posti in Europa con un indice di vecchiaia

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che raggiunge nel 2019 il 173,1% (l’indice di vecchiaia è un dato percentuale ottenuto dal rapporto tra la popolazione con 65 anni o più e quella dagli 0 ai 14 anni).

Figura 1: Indice di vecchiaia in Italia (valori percentuali), fonte Istat

Al primo gennaio 2019 infatti la distribuzione anagrafica italiana vede una popolazione over 65 che supera quella tra gli 0 e i 14 anni del 9,6% costituendo il 22,8% della popolazione; si stima che tale divario aumenterà fino a determinare nel 2065 una distribuzione che vede i giovani costituire solo il 12% della popolazione contro il 33,3% degli anziani.

L’età media della popolazione residente in Italia, ad oggi 45,4 anni con valori più alti al Nord-Ovest (46,1) e più bassi al Sud (44,7), raggiungerà nel 2065 quota 50,1 con stime che si mantengono stavolta più basse al Nord-Ovest (49,5) e leggermente più alte al Sud e nelle Isole (51,6).

Negli ultimi anni si è quindi molto dibattuto sulle ripercussioni che l’invecchiamento della popolazione presente e futuro avrà sul mercato del lavoro, sull’integrazione sociale della popolazione anziana e sulla sostenibilità dei sistemi di welfare e sanitari.

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Considerando che la popolazione over 65, naturalmente, è molto eterogenea, vedendo persone ancora attive e indipendenti così come altre che non lo sono più (dipendente in buona parte da condizioni di salute, stili di vita e politiche adottate dal dato paese), ciò che interessa non è tanto l’invecchiamento in senso anagrafico quanto quello determinato dall’instaurarsi di limitazioni fisiche e/o psichiche tali da compromettere il normale svolgimento delle attività quotidiane e la partecipazione attiva alla vita sociale ed economica del proprio paese.

In quest’ottica, progressi della medicina insieme all’adozione di stili di vita più sani e investimento nella prevenzione potrebbero delineare la strada verso un’aspettativa di vita che sia in buona salute.

Un passo importante a livello europeo è stato compiuto nel 2012 con l’“Anno europeo dell’invecchiamento attivo”, partecipato anche dall’Italia, con il quale ha avuto inizio una campagna sull’invecchiamento attivo e sulla tutela e difesa del lavoratore maturo, puntando a sensibilizzare cittadini e operatori sui significati dell’Anno europeo e sugli obiettivi da perseguire in relazione alle sfide demografiche esistenti, a partire da alcune considerazioni condivise dagli stati partecipanti quali:

• in Europa l'invecchiamento è indubbiamente una sfida per l'intera società e per tutte le generazioni e rappresenta inoltre un problema di solidarietà intergenerazionale e per la famiglia;

• la fascia della popolazione dell'Unione formata dagli ultracinquantenni aumenterà ad un ritmo molto più veloce di quanto non sia mai accaduto in passato;

• numerosi Consigli europei hanno sottolineato la necessità di affrontare l’impatto dell’invecchiamento demografico sui modelli sociali europei;

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• la principale risposta a tale rapido cambiamento della struttura demografica consiste nel promuovere la creazione di una cultura dell'invecchiamento attivo lungo tutto l'arco della vita e quindi nel garantire che la popolazione degli ultracinquantenni, in rapido e progressivo aumento, che globalmente gode di una salute migliore ed è più istruita di qualsiasi gruppo di età analogo che l'ha preceduta, abbia buone possibilità di essere occupata e di partecipare attivamente alla vita familiare e sociale, anche attraverso il volontariato, l'apprendimento permanente, l'espressione culturale e lo sport.

L’adesione dell’Italia all’Anno europeo dell’invecchiamento attivo si è articolata in numerose iniziative sotto il coordinamento del Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha lanciato il “Programma nazionale di lavoro. Per un invecchiamento attivo, vitale e dignitoso in una società solidale” in un’ottica di reciproco sostegno e valorizzazione degli obiettivi nazionali e locali con il forte coinvolgimento delle regioni e degli enti locali.

I temi sviluppati hanno riguardato:

• la promozione di un’idea diversa e positiva della terza età; • l’importanza dell’apprendimento e della formazione permanente; • la promozione dell’impegno civile e dell’attività di volontariato;

• la trasmissione del sapere e delle conoscenze dagli anziani ai giovani e l’attenzione al superamento del conflitto potenziale o latente tra le generazioni;

• l’attenzione alla solidarietà, alle relazioni familiari e alle persone anziane e fragili; • la gradualità e l’accompagnamento del pensionamento;

• l’educazione a stili di vita sani e attivi;

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1.1

Active Ageing and Healthy Ageing

L’invecchiamento è un processo fisiologico. È un evento estremamente soggettivo e per questa ragione risulta difficile individuare un’età anagrafica precisa dalla quale considerare di far partire l’invecchiamento.

Possiamo dire in termini generali che già a partire dai 30 anni il nostro cervello inizia a perdere neuroni per apoptosi in numero progressivo fino a raggiungere il numero di 100.000 al giorno nei soggetti oltre i 70 anni di età. È così che dai 30 ai 75 anni il cervello perde fino al 10% del suo peso e fino al 20% del suo rifornimento di sangue.

Nell’invecchiamento è quindi tipico osservare una fisiologica modificazione delle funzioni cognitive, prime tra tutte quelle attentive: l’attenzione selettiva, ossia la capacità di ignorare le informazioni irrilevanti per il soggetto in uno specifico momento e di mettere in primo piano quella rilevante sembra diminuire nell’anziano; l’attenzione distribuita, quella che ci permette di eseguire doppi compiti come ad esempio quello di scrivere mentre si parla, è meno efficiente; così come l’attenzione sostenuta, utile a mantenere alti livelli di concentrazione su una stessa fonte d’informazioni, che si riduce determinando distraibilità [Rabbit, 1965; Stokes, 1992].

Oggi gli studiosi sono concordi sul fatto che non necessariamente l’invecchiamento deve associarsi al decadimento di tutte le funzioni cognitive, ma anzi può continuare a funzionare tutto correttamente anche in età più avanzata.

Soprattutto si è a conoscenza della possibilità che al declino di alcune funzioni si possa associare la presenza di altre che “sostituiscano” o superino quelle perdute, come ad esempio l’aumento della memoria semantica in risposta alla riduzione di quella episodica. Tali possibilità si verificano grazie alla plasticità neuronale, che permette di supplire alla

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riduzione delle cellule neuronali con la costituzione di nuove ramificazioni e circuiti alternativi.

Ciò che ne deriva è che ci sono anziani dotati di abilità cognitive del tutto conservate, se non in ascesa rispetto all’età giovane-adulta, ed è dunque fondamentale che possano vivere la propria vita pienamente e intensamente.

L’invecchiamento rimane comunque fortemente influenzato in modo soggettivo da fattori genetici e ambientali, la cui interazione è almeno in parte modificabile.

Nel tentativo di agire sulle relazioni tra questi fattori e ridurre quelle che vanno ad influire negativamente sullo stato di salute determinando un cattivo invecchiamento, sono nate iniziative e programmi di “invecchiamento attivo”.

L’invecchiamento attivo (o “active ageing”) viene definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) “un processo di ottimizzazione delle opportunità relative alla salute, partecipazione e sicurezza, allo scopo di migliorare la qualità di vita delle persone anziane”.

Tale concetto è stato promosso per la prima volta nel 1995 con il programma “Ageing and Health”, dove venivano promosse le potenzialità fisiche, mentali, sociali ed economiche degli anziani, o meglio promuovere la capacità delle persone, una volta invecchiate, di condurre vite socialmente ed economicamente attive. Un successivo passo è stato compiuto nel 2012, proclamato “anno europeo dell’invecchiamento e della solidarietà tra generazioni” all’interno del quale si sono sviluppate diverse iniziative per la promozione dell’invecchiamento attivo e per la conoscenza dell’argomento.

Tra il 2015 ed il 2030 al centro del lavoro dell’OMS sull’invecchiamento c’è il così detto “Healthy Ageing”, a prosecuzione della politica di “Active Ageing” perseguita dal 2002. L’invecchiamento sano (“Healthy Ageing”) così come l’invecchiamento attivo sottolinea

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la necessità di agire in più settori per consentire agli anziani di rimanere una risorsa importante per le loro famiglie, la comunità e l’economia.

Per l’OMS, invecchiare in buona salute significa creare gli ambienti e le opportunità che consentano alle persone di essere e fare ciò che apprezzano per tutta la vita; in quest’ottica essere liberi da malattie o infermità non sarebbe un requisito primario per un invecchiamento in buona salute poiché molti anziani hanno una o più condizioni di salute che, se ben controllate, hanno poca influenza sul loro benessere. Piuttosto l’OMS vede come essenziale al benessere in età avanzata che l’invecchiamento sia un processo di sviluppo e mantenimento delle capacità funzionali dell’individuo (Healthy = Active). Ciò include le capacità di una persona di:

- Soddisfare le proprie esigenze di base; - Imparare, crescere e prendere decisioni; - Essere mobile;

- Costruire e mantenere relazioni; - Contribuire alla società.

L’abilità funzionale è costituita dalle capacità intrinseche dell’individuo, dalle caratteristiche ambientali pertinenti e dall’interazione tra di esse.

La capacità intrinseca comprende tutte le capacità mentali e fisiche alle quali una persona può attingere e include la capacità di camminare, pensare, vedere, ascoltare, ricordare. Ovviamente il livello di capacità intrinseca rimane legato ad una serie di fattori quali la presenza di malattie, lesioni e cambiamenti legati all’età [WHO].

Gli ambienti comprendono la casa, la comunità e la società in generale e tutti i fattori al loro interno come l’ambiente costruito, le persone e le loro relazioni, atteggiamenti e

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valori, politiche sanitarie e sociali, i sistemi che li supportano ed i servizi che li implementano.

Poter vivere in ambienti che supportano e mantengono le capacità intrinseche e le abilità funzionali è la chiave per un invecchiamento attivo e sano (Active and Healthy Ageing). Considerazioni chiave dell’OMS sull’invecchiamento in buona salute sono due: diversità e disuguaglianze.

“Diversità” perché, come abbiamo detto, non esiste una persona anziana tipica. Alcuni 80enni hanno livelli di capacità fisica e mentale equiparabile ad un 40enne, altri alla stessa età possono necessitare di cure e supporto anche per attività di base come vestirsi e mangiare. Le politiche dovrebbero essere formulate per migliorare dunque le capacità funzionali di tutte le persone anziane, siano esse indipendenti, dipendenti da cure o in una situazione intermedia.

“Disuguaglianza” perché una grande percentuale (circa il 75%) della diversità di capacità e circostanze osservata in età avanzata è il risultato dell’impatto cumulativo di vantaggio e svantaggio nella vita delle persone.

Uno strumento nato in questi anni e utile a fornirci un quadro dell’invecchiamento nei 28 paesi europei (EU-28) aderenti è “l’indice di invecchiamento attivo” (Active Ageing Index, AAI), il quale misura la possibilità degli anziani di realizzarsi in termini di occupazione, partecipazione sociale e culturale, mantenimento dell’autonomia. Nella costruzione dell’indice vengono utilizzati i dati relativi al tasso di occupazione, allo svolgimento di volontariato, alla partecipazione politica, allo svolgimento di attività ed esercizio fisico, alla sicurezza ed autonomia economica, all’utilizzo e accesso ai servizi sanitari.

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L’invecchiamento attivo è diventato un argomento di centrale interesse proprio perché non riguarda solo la capacità dell’ultracinquantenne di mantenersi fisicamente attivo, ma anche il mantenimento di un ruolo partecipativo a livello sociale e culturale.

Oltre agli indicatori relativi ad ogni individuo, per la costruzione dell’indice sono stati presi in considerazione anche indicatori relativi all’ambiente esterno quali l’aspettativa di vita, il benessere psicologico, l’uso delle tecnologie ed il grado di connettività che influiscono positivamente o negativamente nella promozione dell’invecchiamento attivo. L’ultimo rilevamento, relativo all’anno 2016, vede l’Italia occupare solo il 18esimo posto della classifica generale. Vediamo nello specifico come l’Italia raggiunga il suo peggior risultato, con un 20esimo posto, nel dominio “indipendenza e vita sana/sicura” mentre otteniamo il 15esimo e 16esimo posto rispettivamente nei domini “capacità e ambiente abilitante” e “occupazione”.

Il miglior risultato (14esimo posto) lo registriamo invece nel dominio “partecipazione sociale”, anche grazie al tempo impiegato tipicamente nel nostro paese dalle persone anziane nella cura di figli e nipoti.

Tenersi impegnati in attività sociali e lavorative fisiche e mentali è, per le funzioni cerebrali, un elisir di lunga vita, in quanto incide positivamente sul rallentare il declino cognitivo favorendo un buon invecchiamento.

In Italia le politiche di invecchiamento attivo riguardano principalmente il prolungamento della vita lavorativa, non sempre accompagnato da un sufficientemente adeguato processo di transizione graduale verso la pensione.

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1.2

L’invecchiamento del lavoratore

L’invecchiamento della popolazione lavorativa è un fenomeno dipendente da vari fattori, quali la riduzione della natalità, il prolungamento della vita media, l’incremento dell’età e anzianità pensionabile, l’assenza o la riduzione del prepensionamento, la riduzione o erosione di pensioni e welfare ed aumento del costo della vita, il difficile accesso al credito per i giovani che intendono avviare attività lavorativa.

Non a caso aumentare i livelli di occupazione e prolungare la vita lavorativa sono importanti obiettivi delle politiche sia europee che nazionali fin dagli anni ’90.

La strategia “Europa 2020”, elaborata nel 2010, si pone come obiettivo, tra gli altri, quello di portare in Europa il tasso di occupazione della popolazione appartenente alla fascia d’età compresa tra i 20 e i 64 anni al 75%. Tale obiettivo pare vicino all’essere raggiunto in quanto, tra i paesi dell’EU-28, negli anni che vanno dal 2010 al 2018 il tasso di occupazione della popolazione in fascia d’età 20-64 è salito dal 68,5% al 73,2%.

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Andando a confrontare la popolazione più giovane e più anziana, vediamo come il tasso di occupazione per la fascia d’età 15-24 sia del 35,4% al 2018 contro il 58,7% della popolazione in fascia d’età 55-64 anni [Eurostat, 2019].

La stessa situazione è riscontrabile anche in Italia: nel nostro paese il tasso di occupazione per la fascia d’età 20-64 è passato dal 61% del 2010 al 63% del 2018. Ancor più marcata rispetto all’Europa è la differenza tra il tasso di occupazione giovanile e anziano, rispettivamente del 17,7% (15-24) e del 53,7% (55-64) al 2018.

Il trend di invecchiamento della popolazione generale e le sempre maggiori percentuali di occupazione over 55 rispetto a quella under 24, fa si che i cittadini Italiani, nonché Europei, debbano lavorare sempre più a lungo.

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Figura 5: Senior employment, fonte Eurostat

In questo contesto, con le intenzioni manifestate anche dall’Unione Europea (UE) nel delineare misure volte a promuovere le così dette “buone pratiche” e a migliorare le condizioni in tema di sicurezza e salute sul lavoro (SSL) per tutti i lavoratori, l’invecchiamento della forza lavoro pone l’attenzione su problematiche quali:

- potenziale maggiore e prolungata esposizione a rischi in relazione ad una vita lavorativa più lunga;

- potenziale maggiore vulnerabilità a determinati pericoli per la salute e/o sicurezza per i lavoratori in età più avanzata;

- aumento dei lavoratori con problemi di salute cronici ed esigenze specifiche; - necessità di tener conto del tasso elevato di problemi di salute legati al lavoro in

alcuni settori richiedenti particolare sforzo fisico e/o mentale e orario di lavoro atipico;

- importanza sempre crescente della prevenzione della disabilità, la riabilitazione ed il ritorno al lavoro;

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Risulta allora necessario promuovere l’invecchiamento attivo, sfruttando al meglio ciò che i lavoratori più maturi possono fare sia per la società che per l’economia, creando un ambiente di lavoro sano e sicuro per i lavoratori di tutte le età e garantendo che le persone possano arrivare alla fine della propria carriera in buone condizioni di salute.

L’EU-OSHA, agenzia di informazione dell’Unione Europea nel campo della sicurezza e della salute sul lavoro, il cui lavoro ha contribuito alla realizzazione di varie strategie e programmi tra cui Europa 2020, ha realizzato nel 2016 una guida digitale multilingue su come gestire la salute e la sicurezza sul lavoro in merito a una forza lavoro che invecchia. La guida è destinata in modo specifico a quattro categorie di utenti: datori di lavoro, lavoratori, responsabili delle risorse umane ed esperti di salute e sicurezza.

Per ognuna vengono messe a disposizione quattro sezioni informative: “invecchiamento e lavoro”, “luoghi di lavoro sani e sicuri ad ogni età”, “la promozione della salute sui luoghi di lavoro” e “il ritorno al lavoro”.

La guida vuole così sensibilizzare e informare, presentando i diversi aspetti dell’invecchiamento al lavoro e fornendo suggerimenti in merito alla gestione della salute e della sicurezza e delle relative criticità, oltre a esempi di buone pratiche per una forza lavoro chiamata ad essere tale sempre più a lungo. La guida mette inoltre a disposizione un glossario, link utili, casi di studio e test di verifica su quanto appreso.

Nel pensare i lavoratori anziani è fondamentale tener presente che essi non costituiscono per caratteristiche un gruppo omogeneo, i cambiamenti delle capacità funzionali dovuti all’età non sono uniformi in quanto esistono differenze individuali anche marcate in termini di stile di vita, alimentazione, forma fisica, predisposizione genetica alle malattie, livello di istruzione, lavoro e ambiente.

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Tuttavia, alcune capacità funzionali, principalmente fisiche e sensoriali, diminuiscono per il naturale processo di invecchiamento: a 25 anni si registra il massimo dell’efficienza fisica, mentre indicativamente dai 40-45 anni iniziano a verificarsi alcune riduzioni funzionali riguardanti capacità visiva, funzione uditiva, massima forza muscolare, minor resilienza, articolarità, apparati cardiovascolare e respiratorio, mantenimento dell’equilibrio, disturbi del sonno, termoregolazione. Parte di tali cali funzionali possono essere sempre compensati da un buon adattamento delle abilità, considerando la possibilità concreta che un anziano allenato possa avere anche maggiore capacità di un giovane sedentario.

In ogni caso i possibili cambiamenti delle capacità funzionali devono sempre essere presi in considerazione nella valutazione dei rischi e per far fronte a tali cambiamenti dovranno essere modificati l’ambiente di lavoro ed i compiti lavorativi.

Dai dati Inail risulta come nel 2018 il fenomeno infortunistico in Italia abbia riguardato per il 24% lavoratori di età compresa tra i 40 e i 49 anni, con il 23,1% la fascia 50-59 anni e a seguire col 17,3% la classe 30-39 anni. Il coinvolgimento in eventi mortali risulta tanto maggiore quanto più la fascia d’età è avanzata, vediamo infatti al primo posto la fascia 50-59 anni (31,8%), a seguire in ordine decrescente quella 40-49 anni (21,9%), 30-39 anni e 20-29 anni.

Per quanto riguarda le malattie professionali, la maggior parte delle denunce (65,3%) sono rappresentate dalle malattie del sistema osteo-muscolare e del tessuto connettivo (affezioni dei dischi intervertebrali, tendiniti) che insieme alle malattie del sistema nervoso (principalmente sindrome del tunnel carpale) e dell’orecchio continuano a rappresentare le prime tre malattie professionali denunciate, seguite dalle patologie del sistema respiratorio e dai tumori.

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Nel quinquennio 2014-2018 le denunce di malattie professionali sono aumentate del 3,7%; in particolare affezioni riguardanti i dischi intervertebrali e le tendiniti hanno visto un aumento del 3,2% rispetto al 2017 con oltre 38,7mila casi registrati mentre le sindromi del tunnel carpale sono aumentate addirittura del 4,8% con oltre 7mila denunce.

La crescita di queste malattie è soprattutto causata da agenti fisici influenti in particolare sull’apparato muscolo-scheletrico, eredità dell’innovazione tecnologica che oltre all’elettronica ha introdotto nel mondo del lavoro tipologie di mansioni che richiedono anche posture e movimenti ripetuti potenzialmente dannosi.

Alcuni cambiamenti muscolo-scheletrici, cardiovascolari e respiratori avvengono con l’innalzamento dell’età e possono combinarsi in modo tale da ridurre le capacità di un individuo di portare avanti un’attività stressante o fisicamente gravosa. I cambiamenti normali associati all’età nella vista e nell’udito possono avere anche un impatto sulla capacità di lavoro in occupazioni che fanno affidamento sulla precisione, sebbene l’esperienza del lavoratore più anziano possa compensare. Per quanto riguarda le funzioni cognitive si può notare come con l’età possano ridursi: i tempi di reazione aumentano, calano la memoria di lavoro, quella a breve termine e l’attenzione, si riduce la tolleranza alla confusione e aumentano le difficoltà nel processare informazioni e fare ragionamenti induttivi. Ne deriva un maggior tempo necessario per pensare ed imparare nuovi compiti. Tuttavia, le strategie di adattamento e vari altri fattori possono compensare questi deficit. Non c’è alcuna prova scientifica certa che le capacità di apprendimento diminuiscano con l’età: mentre la velocità alla quali si processa e si dà una risposta può ridursi dopo i 30 anni, la capacità di fare uso della conoscenza si stabilizza o continua a crescere, essendo possibilmente rafforzata dai benefici dell’esperienza [WHO, 1988].

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Studi su quella che è la performance lavorativa dei lavoratori più anziani hanno evidenziato in che modo i cambiamenti delle funzioni fisiche e mentali possano incidere sull’attività svolta e sul rendimento lavorativo.

In particolare si è evidenziato come la performance lavorativa possa essere ridotta in ambienti di lavoro caratterizzati da:

- attività fortemente dipendente dalla velocità di funzionamento cognitivo (processi produttivi richiedenti precisione manuale, attenzione selettiva e rapida elaborazione delle informazioni così come richiesto da una gran parte dei “moderni” lavori);

- fattori ambientali di stress quali rumori forti e continuativi, caldo e vibrazioni (per minor tolleranza);

- attività richiedenti elevata sensibilità sensoriale e percettiva (es. elettronica), così come situazioni di scarsa illuminazione;

- processi lavorativi richiedenti in modo consistente un’elevata attività fisica (per cambiamenti cardiovascolari e respiratori);

- scarsa varietà e flessibilità del ritmo di lavoro con ridotta possibilità di recupero dallo sforzo;

- produzione “just in time” (fatica fisica e nervosa derivante da ritmi di lavoro rapidi per la necessità di gestire un flusso ininterrotto di materiali con pronta risoluzione di eventuali disfunzioni).

Ciò significa che dove l’ambiente di lavoro esalta i cambiamenti che si ritengono più tipicamente legati all’avanzare dell’età, è fondamentale che siano apportate modifiche affinché l’impatto del passare degli anni sulla performance lavorativa e sul benessere del lavoratore possa essere ridotto al minimo.

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Ciò che ostacola ad oggi lo sviluppo di nuovi modelli di lavoro che possano ottimizzare tali aspetti, è la mancanza di strumenti utili a identificare e misurare le capacità correnti e future dei lavoratori, a identificare e misurare i requisiti di lavori specifici, a valutare quali siano i più appropriati aspetti dell’ambiente di lavoro da ridisegnare per eliminare lo scollamento identificato tra le capacità dei dipendenti e i requisiti del lavoro e a sviluppare metodi e criteri per la progettazione di nuovi sistemi di lavoro e di organizzazione. Su benessere e salute in età avanzata avranno una forte influenza i comportamenti e le politiche in materia di salute tenuti negli anni precedenti, a partire dalla giovane età fino a tutto il processo di invecchiamento. La riduzione delle capacità funzionali può essere limitata al minimo grazie ad abitudini e stili di vita sani, come attività fisica incentivata e svolta regolarmente ed una corretta alimentazione. L’ambiente di lavoro svolge un ruolo fondamentale nella promozione di uno stile di vita sano e di attività necessarie alla prevenzione del declino fisico, toccando aspetti quali dieta e alimentazione, consumo di alcolici, abbandono del fumo, svolgimento di attività fisica, recupero e sonno, contribuendo quindi a mantenere la capacità lavorativa [OSHA, 2016].

Nel pensare un’ottimizzazione dell’organizzazione dell’ambiente di lavoro tale da migliorare le condizioni lavorative a tutte le età, è importante tener conto che i cambiamenti delle capacità funzionali dovuti all’età non sono uniformi in quanto esistono differenze individuali in termini di stili di vita, alimentazione, forma fisica, predisposizione genetica alle malattie, livello d’istruzione ecc… I lavoratori anziani dunque non costituiscono un gruppo omogeneo, ma possono esserci differenze considerevoli anche tra persone della stessa età.

Inoltre, considerazione fondamentale è che il lavoratore anziano rispetto a quello giovane non presenta solo potenziali “limiti”, ma anche notevoli qualità e punti di forza.

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Se da una parte si può parlare di minore abilità di apprendimento e minore valenza delle doti fisiche, dall’altro parleremo di maggiore esperienza (familiarità con i diversi problemi, conoscenza dei “trucchi del mestiere”, e del contesto operativo…), maggiori competenze sociali e di relazione.

Figura 6: Performance lavorativa in relazione all'età

Molti attributi come la saggezza, il pensiero strategico, la percezione olistica e la capacità di giudizio si sviluppano solo con l’avanzare dell’età, accumulando altresì esperienza e competenza. Qualità spendibili del lavoratore anziano sono senza dubbio l’esperienza nella propria mansione, le capacità di problem solving, le capacità relazionali acquisite nel tempo e molte altre. In questo senso oggi non si vuole parlare più di lavoratore anziano, bensì di lavoratore “maturo”, spostamento di senso apparentemente insignificante ma che in realtà denota l’abbandono di pregiudizi e connotazioni negative per sottolineare il nuovo contesto nel quale si colloca il lavoratore over 50.

All’interno del mercato del lavoro i lavoratori maturi vengono da una parte trattenuti in azienda per la grande esperienza che li caratterizza, dall’altra vengono espulsi a causa del più alto costo del lavoro rispetto all’impiego di lavoratori giovani.

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In generale i lavoratori giovani vengono considerati “migliori” per attributi quali: adattabilità all’innovazione, familiarità con le apparecchiature informatiche, creatività, flessibilità e integrazione nel gruppo di lavoro, tutti “punti deboli” del lavoratore più anziano.

Il lavoratore maturo viene invece valutato positivamente rispetto al lavoratore giovane per attributi quali: rispetto della gerarchia, disponibilità a lavori pesanti e ripetitivi, disponibilità allo straordinario, continuità dell’attenzione, disponibilità ad aiutare i compagni di lavoro, affidabilità complessiva, responsabilità individuale, sensibilità agli interessi dell’impresa, accuratezza del lavoro, capacità di guida e fedeltà all’impresa. Queste caratteristiche fanno indubbiamente del lavoratore più anziano una solida base per l’impresa, un punto di riferimento stabile per far fronte alle esigenze di economicità, efficienza ed efficacia dell’azienda.

1.3

I riferimenti normativi su lavoro e invecchiamento

Dagli anni ’90 l’Europa ha iniziato a muoversi in materia di invecchiamento attivo dei lavoratori seguendo due direzioni principali: il contrasto delle discriminazioni per l’età e l’invecchiamento attivo attraverso l’allungamento della vita lavorativa e l’innalzamento dei tassi d’occupazione.

L’impegno dell’UE nei confronti del programma sull’invecchiamento attivo è basato sui suoi valori fondamentali, definiti nei trattati. Il trattato di Lisbona del 2009 ha ribadito che “L’Unione si fonda sui valori di rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani”.

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“L’Unione combatte l’esclusione sociale e la discriminazione e promuove la giustizia e la protezione sociale, la parità tra donne e uomini e la solidarietà tra le generazioni”. Mentre gli ambiti più rilevanti per l’invecchiamento attivo rimangono una responsabilità primaria degli Stati membri, vi sono alcune aree in cui la legislazione comunitaria contribuisce al programma generale sull’invecchiamento attivo. Attuare i valori fondamentali dell’UE come definiti nei trattati significa affrontare la discriminazione secondo ottiche diverse, incluse quelle fondate sull’età o sull’handicap.

La discriminazione fondata sull’età minaccia la capacità delle persone di partecipare pienamente al mercato del lavoro e alla società in generale. La discriminazione lede anche gli sforzi della società nel raggiungere gli obiettivi occupazionali e affrontare le sfide del cambiamento demografico. Affrontare la discriminazione basata sull’età nel mercato del lavoro è essenziale per il conseguimento dell’invecchiamento attivo nel mondo del lavoro. Nel momento in cui i lavoratori anziani sono invitati e incoraggiati a restare sul mercato del lavoro, è fondamentale anche offrire loro opportunità occupazionali. La discriminazione fondata sull’età limita ingiustamente la gamma di opportunità per i lavoratori più anziani.

Nel 2000, l’UE ha adottato la direttiva 2000/78/CE del Consiglio che stabilisce un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o le tendenze sessuali in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. Essa impone agli Stati membri di rendere illegale la disparità di trattamento fra le persone, anche per motivi di età e disabilità, nel settore dell’occupazione, professione o attività autonoma, ivi comprese le condizioni di assunzione, promozione, formazione professionale, condizioni di lavoro e partecipazione ad organizzazioni.

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La direttiva impone agli Stati membri di mettere a punto una normativa nazionale che vieta le discriminazioni dirette e indirette nonché le molestie e la vittimizzazione in base all’età. Le differenze di trattamento per motivi di età sono ammesse solo qualora siano oggettivamente giustificate da una finalità legittima del mercato del lavoro e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari.

Tutti gli Stati membri hanno recepito questo principio di non discriminazione nel loro diritto nazionale, compresa l’Italia, come vedremo più avanti. Gli Stati membri che non hanno applicato in modo soddisfacente i principi della direttiva, vengono sanzionati dalla Commissione europea.

La Corte di giustizia dell’Unione europea ha affermato che il principio di non discriminazione in base all’età è un principio generale del diritto comunitario in quanto costituisce una specifica applicazione del principio generale della parità di trattamento. La salute e la sicurezza sul posto di lavoro è essenziale per la prevenzione degli infortuni

sul lavoro e le malattie professionali.

Garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori durante la loro attività lavorativa è il presupposto per una vita lavorativa sostenibile e per un invecchiamento attivo e sano anche dopo il pensionamento.

Ciò rappresenta una parte importante delle misure globali che mirano a consentire e incoraggiare le persone a lavorare più a lungo e quindi favorire la sostenibilità dei sistemi pensionistici.

L’UE ha adottato una serie di direttive sulla salute e sicurezza sul lavoro nelle quali si stabiliscono i requisiti generali in materia di prevenzione e protezione dei rischi professionali sul luogo di lavoro. Gli Stati membri devono fare in modo che la loro legislazione nazionale rispetti tali direttive e che esse siano effettivamente attuate.

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L’Agenzia europea per la sicurezza della salute sul posto di lavoro (EU-OSHA) è un soggetto chiave di questa strategia.

Una parte consistente del bilancio dell’UE è destinata a sostenere l’impegno degli Stati membri nel creare posti di lavoro, promuovere lo sviluppo economico e sociale e la coesione sociale e territoriale in tutta l’Unione. Un invecchiamento attivo ed in buona salute è un elemento centrale per raggiungere questi obiettivi generali ed è quindi chiaramente visibile dei programmi e nei progetti di finanziamento.

La futura sostenibilità di sistemi pensionistici adeguati è un requisito fondamentale per l’invecchiamento attivo nei prossimi decenni. L’UE ha stabilito un quadro comune per gli Stati membri per condividere idee, approcci, conoscenze ed esperienze in materia di pensioni. Questo processo ha i seguenti obiettivi comuni:

- un adeguato reddito da pensione per tutti in uno spirito di solidarietà ed equità fra generazioni e all’interno di ciascuna generazione;

- sostenibilità finanziaria dei regimi pensionistici pubblici e privati, soprattutto favorendo il prolungamento della vita lavorativa e l’invecchiamento attivo; - sistemi pensionistici trasparenti, ben adatti alle esigenze dei singoli e alle necessità

della società.

È chiaro che l’UE sostiene l’invecchiamento attivo e la solidarietà tra le generazioni, tuttavia numerose sono le questioni da affrontare e la maggior parte del lavoro dovrà essere svolto dagli Stati membri, a livello nazionale, regionale e locale e nei processi di contrattazione collettiva.

Le riforme in Italia, come negli altri stati membri, dovrebbero in generale allinearsi alle raccomandazioni della Commissione europea intervenendo sulle principali questioni legate all’invecchiamento della popolazione dei lavoratori che riguardano:

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• l’allineamento dell’età pensionabile all’aumento della speranza di vita;

• l’equiparazione dell’età pensionabile delle donne a quella degli uomini;

• l’accesso limitato al prepensionamento;

• l’incentivazione a prolungare la vita lavorativa con l’accesso facilitato all’apprendimento permanente e la creazione di posti di lavoro per i lavoratori maturi.

Nel corso degli ultimi trent’anni, molte riforme hanno interessato anche il nostro sistema previdenziale, allo scopo di controllare la spesa pubblica e realizzare un sistema di previdenza complementare.

Il nostro sistema pensionistico è strutturato secondo il criterio della ripartizione: i contributi dei lavoratori e delle aziende vengono utilizzati per pagare le pensioni attuali, senza un accumulo di fondi. Ciò significa che può restare in equilibrio solo se il flusso delle entrate è equiparabile al flusso delle uscite. Questo non è più possibile sia per l’aumento della vita media della popolazione e l’invecchiamento della forza lavoro, sia per il rallentamento della crescita economica con meno contributi versati a causa della crisi e della disoccupazione.

In risposta al problema sociale ed economico dell’invecchiamento demografico, l’età per il pensionamento “di vecchiaia” è stata innalzata nel tempo fino a raggiungere al 2019 i 67 anni in funzione dell’aumentata “speranza di vita”, tuttavia esistono innumerevoli canali di uscita flessibile dal mercato del lavoro.

Vediamo di seguito quelle che sono le principali possibilità per l’uscita dal lavoro nel 2019:

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67 anni d’età e un minimo di 20 anni di contributi; lavoratori dipendenti e autonomi iscritti iscritti all’assicurazione generale obbligatoria nonché alla Gestione separata; decorre dal primo giorno del mese successivo a quello in cui vengono raggiunti tali requisiti; è richiesta la cessazione del rapporto di lavoro dipendente, non quella di lavoratore autonomo.

- Pensione anticipata (in base alla legge Fornero)

Trattamento pensionistico previsto per i lavoratori che abbiano raggiunto i requisiti contributivi anticipatamente rispetto al requisito anagrafico previsto dalla pensione di vecchiaia; 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne; decorrenza della pensione tre mesi dopo la maturazione dei requisiti.

- Lavori gravosi

66 anni e 7 mesi di età oppure 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne, 42 anni e 10 mesi per gli uomini.

- Lavori usuranti

Destinata a lavoratori che hanno svolto una o più delle attività usuranti tratte da un apposito elenco (es. lavori nelle cave, ad alta temperatura, notturni ecc…) per un tempo pari ad almeno la metà della vita lavorativa o sette anni negli ultimi dieci; quota 97,6 con almeno 61 anni e 7 mesi di età e 35 anni di contributi. - Lavoratori precoci

Lavoratori con un anno di contributi versati prima dei 19 anni, svolgimento di attività particolarmente faticose o essere care givers o invalidi civili almeno al 74% o disoccupati; 41 anni di contributi; decorrenza della pensione tre mesi dopo la maturazione dei requisiti.

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- Opzione donna

Lavoratrici con 58 anni di età (59 se autonome) e 35 anni di contributi; decorrenza posticipata di 12 mesi (18 per le autonome); taglio della pensione di circa il 30% per l’utilizzo di altri sistemi di calcolo per la determinazione dell’assegno pensionistico.

- Quota 100

62 anni di età e 38 anni di contributi; finestra trimestrale di uscita nel settore privato, semestrale nel pubblico.

- Ape sociale

63 anni d’età e 30/36 anni di contributi (le lavoratrici madri possono beneficiare di un anno di sconto sui requisiti contributivi per ogni figlio fino ad un massimo di due anni); rivolto a quattro categorie di lavoratori: disoccupati che hanno concluso l’indennità di disoccupazione da almeno 3 mesi con 30 anni di contributi, lavoratori che assistono familiari conviventi di 1° grado con disabilità grave da almeno 6 mesi con 30 anni di contributi, lavoratori con invalidità superiore o uguale al 74% con 30 anni di contributi, lavoratori dipendenti che svolgono un lavoro ritenuto pesante (e lo hanno svolto per almeno 6 anni negli ultimi 7) con 36 anni di contributi.

1.3.1

Salute e sicurezza sui luoghi di lavoro

Con il DECRETO LEGISLATIVO 81/2008 finalmente l’Italia si adegua alla legislazione europea, imponendo con l’art. 28 (Oggetto della valutazione dei rischi) comma 1 che la valutazione debba “riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi

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compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati all’età e allo stress lavoro-correlato (secondo i contenuti dell'accordo europeo dell'8 ottobre 2004)”. L'età è solo un aspetto della diversità della forza lavoro. Una valutazione dei rischi sensibile all'età tiene conto delle caratteristiche delle varie fasce di età, fra cui i possibili cambiamenti delle capacità funzionali e dello stato di salute. I rischi riguardanti i lavoratori più anziani comprendono in particolare:

- lavoro fisico pesante;

- pericoli connessi al lavoro a turnazione;

- lavoro in ambienti rumorosi o in condizioni di temperatura bassa o elevata.

Poiché le differenze individuali aumentano con l'età, non devono essere effettuate considerazioni esclusivamente su questa base. La valutazione dei rischi deve tenere conto dei requisiti del lavoro in relazione alle capacità e allo stato di salute individuali. Il “Testo Unico in materia di sicurezza”, il D.Lgs. 81/2008, al comma 1dell’art. 28, asserisce che la valutazione dei rischi deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli connessi all’età, risulta così che nella valutazione del rischio, ad esempio legato alla movimentazione manuale dei carichi, il fattore “età” incida in modo decisivo con una classificazione differenziata fra i lavoratori con età compresa fra i 18 ed i 45, ed i lavoratori di età superiore ai 45 anni. Anche se il D.Lgs. 81/2008 non indica il peso massimo sollevabile, in genere si fa riferimento ai valori definiti dalle norme ISO: 25 kg per l’uomo di età compresa tra 18 e 45 anni, 20 kg per la donna di età compresa tra 18 e 45 anni e per l’uomo sotto i 18 e sopra i 45 anni, 15 kg per le donne sotto i 18 e sopra i 45 anni. Se da un lato questa attenzione particolare verso i lavoratori maturi (e i più giovani) ha lo scopo di preservarne la salute e consentire loro il proseguimento della propria carriera lavorativa senza aggravarne le condizioni fisiche, dall’altro c’è il rischio

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che limitazioni troppo severe vadano poi a discriminare tali lavoratori circoscrivendo all’eccesso le mansioni in cui inserirli o spostarli. Tale rischio aumenta nelle aziende medio-piccole dove la varietà dei ruoli lavorativi è ovviamente limitata. Il rapporto dell'Agenzia Europea per la Sicurezza e Salute sul Lavoro vuole illustrare perché e in che modo la valutazione dei rischi deve includere tutta la forza lavoro e come deve aumentare la consapevolezza dei responsabili e degli interessati a salute e sicurezza sul lavoro sull'importanza di valutare i rischi per i lavoratori.

Nel D.Lgs. 81/08 si parla anche di ergonomia:

Ø art.15, comma 1 lettera d del suddetto decreto viene assegnato un ruolo primario, nell’ambito delle attività di prevenzione, allo studio dell’organizzazione del lavoro, del “rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro”; rispetto dei principi ergonomici nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, in particolare al fine di ridurre gli effetti sulla salute del lavoro monotono e di quello ripetitivo”, nonché l’allontanamento del lavoratore dall'esposizione al rischio e l'adibizione ad un'altra mansione. (conferma a quello che già introduceva il D.Lgs 626/94, art.3,comma 1,lett.f).

Ø art 18 comma 1: nell'affidare i compiti ai lavoratori, tenere conto delle capacità e condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e sicurezza.

Ø art 28 comma 1: la valutazione dei rischi deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui quelli collegati allo stress lavoro-correlato, quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, in base alle differenze di genere, età, provenienza...

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Ø art.32,comma 2 si parla della formazione che deve avere l’ RSPP e cioè che deve riguardare anche i rischi di “natura ergonomica e da stress lavoro-correlato”.

Ø art 42: il datore di lavoro attua le misure indicate dal medico competente e se queste prevedono un'inidoneità alla mansione specifica, adibisce il lavoratore a mansioni equivalenti o a mansioni inferiori garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza.

Il Decreto 81 segna così una tappa storica in tema di diritti dei lavoratori, ammettendo per la prima volta in maniera esplicita che lo stress occupazionale rappresenta un rischio lavorativo per la salute al pari della movimentazione dei carichi, degli agenti tossici o del rumore e promuovendo l’adozione di misure preventive per preservare lo stato di

benessere dei lavoratori.

Ancora un altro passo viene fatto con il DECRETO LEGISLATIVO 106/2009 del 3 agosto 2009, (Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) all’art 6 (Modifiche all’articolo 6 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81) comma 2 viene stabilito di affidare alla Commissione Consultiva Permanente per la Salute e Sicurezza sul Lavoro, istituita Presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, come previsto dall’art.6 del D.Lgs 81, il compito di “elaborare le indicazioni necessarie alla valutazione del rischio da stress lavoro-correlato”; inoltre viene ulteriormente prorogata la scadenza di effettuazione della valutazione del rischio stress con l’art.18 comma 1b, che recita: “il relativo obbligo decorre dalla elaborazione delle predette indicazioni e comunque, anche in difetto di tale elaborazione, a fare data dal 1° agosto 2010”.

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Riassumendo tutto quello visto fino ad ora sulla normativa, appare chiara la necessità, durante la valutazione, di tenere di conto dei molteplici fattori che rendono la risposta diversa da individuo ad individuo. Il rapporto dell'Agenzia Europea per la Sicurezza e Salute sul Lavoro vuole illustrare perché e in che modo la valutazione dei rischi deve includere tutta la forza lavoro e come deve aumentare la consapevolezza dei responsabili e degli interessati a salute e sicurezza sul lavoro sull'importanza di valutare i rischi per i lavoratori. Considerando l’invecchiamento un fattore di diversità all’interno della forza lavoro, i punti chiave per la valutazione dei rischi sono:

1. dare importanza alla diversità assumendo un impegno concreto per essa; 2. considerare la diversità della forza lavoro una ricchezza;

3. considerare l'intera forza lavoro;

4. adeguare il lavoro e le misure preventive ai lavoratori; 5. considerare le necessità di tutte le categorie;

6. integrare gli aspetti di sicurezza e salute sul luogo di lavoro in favore della parità; 7. formare e informare gli incaricati della valutazione dei rischi;

8. formare tutti i lavoratori sulla sicurezza e salute sui luoghi di lavoro; 9. fare una valutazione dei rischi che esamini la situazione effettiva di lavoro; 10. adottare misure preventive interconnesse tra loro;

11. fare una valutazione dei rischi per le categorie di lavoratori maggiormente esposti, che elimini i rischi e affronti i pericoli all'origine (adeguamenti dei locali o postazioni di lavoro, adozione di strumenti più ergonomici, fornitura di tutte le informazioni in materia di salute e sicurezza in formati accessibili, elaborazione di metodi e strategie per mantenere in attività in particolare i turnisti anziani);

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12. apportare modifiche o acquisire nuove attrezzature, ma che siano adatte a tutte le categorie di lavoratori;

13. richiedere la consulenza di esperti, se l'impresa non è in grado di trattare i rischi specifici;

14. coinvolgere tutte le parti direttamente interessate.

Nei primi mesi del 2016 è stata presentata in parlamento la proposta di legge sull’invecchiamento attivo: «Misure per favorire l’invecchiamento attivo della popolazione attraverso l’impiego delle persone anziane in attività di utilità sociale e in

iniziative di formazione permanente».

La proposta è rimasta purtroppo in fase di esame in commissione. Questa iniziativa segue altre di uguale natura e di livello locale: alcune regioni italiane, infatti, hanno già adottato una legge sull’invecchiamento attivo (Abruzzo, Umbria, Liguria, Friuli Venezia Giulia) e altre hanno presentato proposte di legge che si trovano ancora in via di approvazione. È inoltre quanto mai necessario continuare a portare avanti la sfida culturale che sottende la legge e superare la paura che si vive di molti ambienti sociali rispetto a possibili scenari di futuro caratterizzati da una società anziana afflitta da conflitti intergenerazionali. Proprio l’Anno europeo per l’invecchiamento attivo e la solidarietà tra le generazioni 2012 ha cercato di prevenire, o perlomeno ridurre, questi approcci negativi sostenendo il concetto che l’invecchiamento attivo deve essere pubblicamente espresso, sostenuto, socialmente condiviso e giuridicamente accompagnato in tutti gli aspetti della vita riguardanti le attività professionali, socio-culturali, partecipative e di inclusione familiare e sociale. La capacità di invecchiare mantenendosi indipendenti e in buona salute è obiettivo dell’invecchiamento attivo e una legge apposita è la benvenuta per consolidare

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e concretizzare questi aspetti al fine di fornire basi sicure alla solidarietà tra le generazioni riducendo i confini tra «giovani» e «anziani» via via che aumenta l’aspettativa di vita.

Capitolo 2

STRESS LAVORO-CORRELATO

Con il termine “stress” può essere indicato generalmente sia l’effetto di una causa di malessere, sia la causa stessa. Dagli anni ’70 viene definito come “risposta aspecifica dell’organismo ad ogni richiesta effettuata ad esso”. La sindrome da stress vede una fase iniziale di allarme in cui l’organismo reagisce in modo rapido allo stressor (fattore stressante) attraverso modificazioni quali aumento della frequenza cardiaca, della tensione muscolare, riduzione della salivazione,… legate ad attivazione ed accomodamento del sistema nervoso (shock e risposta); qualora gli stressor siano presenti in modo prolungato ed intenso, l’organismo cerca di contrastare la situazione opponendo resistenza (fase di resistenza) alle modificazioni dell’equilibrio suddette, ricercando un adattamento massimo dell’organismo alla situazione, seppur in modo instabile, col rischio di manifestazioni transitorie quali diminuzione delle difese immunitarie, inibizione delle reazioni infiammatorie, aumento dell’acidità gastrica, ipertensione, ecc…; infine questo tentativo costante di contrastare la situazione stressante porterà ad esaurimento dell’organismo, in quanto il costo della resistenza supera le possibilità di reazione dello stesso (fase di esaurimento). Emergono allora i veri effetti negativi terminali dello stress, con squilibri funzionali e patologie d’organo, fino a incorrere in danni permanenti nonché

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morte. Gli apparati e i sistemi maggiormente colpiti sono: cardiovascolare, nervoso, endocrino, gastrointestinale e immunitario.

È importante sottolineare l’esistenza di due tipologie di stress: l’eustress è uno stress positivo che spinge il soggetto ad utilizzare le proprie risorse e strategie, richiedendo sì uno sforzo di adattamento ma senza per questo andare a minacciare il benessere e l’equilibrio psicofisico della persona. Il distress si presenta invece nel momento in cui le condizioni sfavorevoli superano le capacità di adattamento dell’individuo o sono particolarmente prolungate nel tempo, si accompagna a sensazioni negative e può verificarsi sia nel caso in cui le sollecitazioni degli stressors siano superiori alle capacità di risposta del soggetto, sia nel caso in cui le pressioni esterne o interne risultino talmente povere e monotone da inibire le normali potenzialità d’attivazione della persona. Le condizioni di stress possono essere rimandate a cinque diverse categorie principali quali fattori ambientali, stili di vita, eventi della vita quotidiana, malattie/fattori mentali ed eventi e situazioni legate all’ambiente di lavoro.

Lo stress lavorativo in particolare, definito come “un insieme di reazioni emotive, cognitive, comportamentali e fisiologiche ad aspetti avversi e nocivi del contenuto del lavoro, dell’organizzazione del lavoro e dell’ambiente di lavoro”, non dipenderà esclusivamente da fattori ambientali all’interno del contesto lavorativo ma anche da una percezione e valutazione soggettiva del singolo lavoratore, influenzata a sua volta dall’eventuale presenza di fattori di stress esterni a tale contesto ma presenti e caratterizzanti la vita della persona. Nell’attività lavorativa l’individuo è soggetto a pressioni che non sempre è in grado di sorreggere ed è dimostrato come un elevato stress lavorativo può influire negativamente sullo stato di benessere psico-fisico; l’OMS ha

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registrato un aumento dei disordini psicologici in relazione ad un elevato rischio da stress lavorativo ed eccessive richieste sul posti di lavoro, inoltre sempre secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità alti livelli di stress occupazionale sono correlati ad un maggior rischio di infortuni e decessi sul posto di lavoro ed è in base a come il lavoro è organizzato e alle scelte adottate che può presentarsi o meno una situazione di pericolo o rischio per il benessere psichico e fisico dei lavoratori. Uno stesso evento lavorativo può comunque risultare in modo soggettivo per alcuni uno stressor mentre per altri totalmente indifferente: lo stress non è per tutti uguale in quanto in buona parte di natura soggettiva, non dipendendo dunque esclusivamente dalla situazione che si presenta al soggetto ma anche e soprattutto dal soggetto che vive emotivamente l’evento. Atteggiamenti e circostanze quali assenteismo, ritardo cronico, pause prolungate, infortuni ripetuti o l’abitudine di ritardare i rientri a lavoro successivamente a ferie o permessi sono gli indicatori più comuni, visibili di riflesso anche sul declino della performance lavorativa con progressiva intolleranza alla propria mansione, aumento degli errori, danneggiamento del materiale da lavoro, ritardo nei tempi di consegna, difficoltà a portare a termine i compiti assegnati, difficoltà a collaborare, mancanza di comunicazione, eccesso di competitività o/e rifiuto delle regole. Il fatto che lo stress incida in tal modo su abitudini e comportamenti in ambito lavorativo diventa maggiormente importante se consideriamo mansioni e ruoli di responsabilità verso terzi.

Vi è una stretta correlazione tra stress, disturbi di umore, mobbing e conflitto. Il malessere sociale che accompagna l’esperienza lavorativa è stato variamente descritto, nei termini di sindrome da stress lavorativo e work addiction, technostress, burnout, mobbing, ecc. Nella nostra realtà quasi totalmente dominata dai sistemi informatici, un’altra fonte di stress sul lavoro è rappresentata dall’introduzione delle nuove tecnologie (technostress).

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All’interno del quadro dello stress è anche considerata come detto la condizione di burnout, evidente soprattutto in termini di esaurimento emozionale, depersonalizzazione e diminuzione del senso di realizzazione personale; il burnout è definito come un particolare tipo di stress occupazionale prolungato (o un quadro conseguente ad esso) derivante dalle richieste lavorative interpersonali. Un’ulteriore modalità di “disagio professionale” è rappresentata dal mobbing, consistente in un “comportamento ripetuto, irragionevole, rivolto contro un dipendente o un gruppo di dipendenti, tale da creare un rischio per la salute e la sicurezza”.

Le tipologie di intervento applicabili nell’organizzazione allo scopo di migliorare il benessere dell’individuo sul posto di lavoro sono sostanzialmente quella socio-tecnica (cambiamenti strutturali ed oggettivi dell’ambiente di lavoro) e quella psicosociale (cambiamenti nella percezione del contesto lavorativo mediante incentivi alla partecipazione, riduzione delle ambiguità e del conflitto di ruolo, miglioramento della comunicazione e supporto sociale).

Entrambi gli interventi divengono ancor più importanti nei confronti dei lavoratori anziani, in quanto la già maggiore esposizione allo stress lavoro-correlato può determinare un peggioramento dello stato di salute associandosi a disturbi tipici dell’età avanzata. È stato visto come lo stress lavoro-correlato aumenti con l’età raggiungendo il suo massimo nella fascia 50-55 anni e decrescendo poi fino all’età di pensionamento, con numeri predominanti per le donne nella fascia 40-45 anni.

Alla luce di quanto descritto risulta fondamentale agire sia in termini strutturali che psicosociali per migliorare le condizioni di lavoro e permettere così una migliore gestione dell’invecchiamento.

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Si presenta ora la necessità da parte delle aziende di rilevare precocemente i sintomi di patologia da stress lavoro-correlato, allo scopo di intervenire tempestivamente sulle condizioni di salute dell’individuo per attuare una gestione più efficace ed efficiente delle risorse umane.

Secondo l’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro (ISPESL) questi sintomi o indicatori, raggruppati in quattro categorie, sono:

- sintomi organizzativi: assenteismo, turn over, conflittualità e difficoltà relazionali, bassa qualità prestazionale, infortuni e malattie professionali, cambio mansione, problemi disciplinari, violenza e molestie di natura psicologica, non conformità; - sintomi comportamentali: indecisione e insicurezza, irrequietezza, impulsività

crescente, diffidenza o aumento della stessa, ridotta capacità di giudizio ed aumento degli errori, impazienza e suscettibilità, voglia di isolarsi e non frequentare gli altri, difficoltà crescenti nei rapporti interpersonali, assuefazione ad alcool/fumo/sostanze calmanti/stimolanti, disturbi del comportamento alimentare;

- sintomi psicologici: concentrazione ed attenzione ridotte, memoria meno pronta, nervosismo ed irritabilità, stato ansioso e apprensivo costante, crisi d’identità, crisi depressive/autocommiserazione/crisi di pianto, tendenza a fantasticare, autocritica esagerata, pessimismo e cattivo umore;

- sintomi fisici/psicosomatici: disturbi dell’alimentazione (anoressia, bulimia), disturbi gastroenterici (ulcera, colite), disturbi cardiocircolatori (ipertensione, ischemia), disturbi respiratori (asma bronchiale), disturbi urogenitali (alterazioni mestruali, incontinenza), disturbi sessuali (impotenza), disturbi locomotori (dolori

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lombari, reumatismo psicogeno, cefalee da contrazione muscolare), disturbi dermatologici, disturbi del sonno.

2.1

Scala per lo Stress Percepito (SSP)

Essendo lo stress, come abbiamo visto, un fattore che può fortemente modificare la capacità lavorativa di un soggetto, nonché determinare malattie e/o disturbi tali da inficiare lo stato di salute e benessere della persona, per lo sviluppo di questa tesi si è ritenuto importante ricorrere ad uno strumento psicologico atto a misurare la percezione soggettiva di stress dei lavoratori. È stato somministrato il questionario Perceived Stress Scale (SSP, Scala per lo Stress Percepito) [traduzione italiana a cura di Andrea Fossati, Università Vita-Salute San Raffaele di Milano (1983)].

Il questionario è composto da 10 items, sia positivi che negativi, volti ad intercettare il livello in cui le persone che rispondono al test trovano la loro vita imprevedibile, incontrollabile o sovraccarica, nonché i livelli attuali di stress percepito. Le domande sono di natura generale, riguardanti sentimenti e pensieri provati ed avuti durante l’ultimo mese, di facile comprensione. La modalità di risposta prevede di indicare per ogni domanda la frequenza con cui il soggetto si è sentito/ha pensato in un certo modo durante il periodo indicato; la scala di frequenza va da 0 a 4 (0 = mai; 1 = quasi mai; 2 = a volte; 3 = abbastanza spesso; 4 = molto spesso).

I punteggi della SSP vengono attribuiti assegnando agli items formulati in modo positivo (nº 4, 5, 7 e 8) il punteggio di 4 per risposta = 0, 3 per risposta = 1, 2 per risposta = 2, 1 per risposta = 3 e 0 per risposta = 4. Agli items formulati in modo negativo ( nº 1, 2, 3, 6,

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9 e 10) si attribuisce un punteggio pari al valore della frequenza indicata in risposta. Si sommano poi i punteggi di tutti gli items della scala.

Il risultato ottenuto verrà confrontato secondo lo schema seguente:

PUNTEGGIO SIGNIFICATO

1-10 (sotto la media) Buona gestione degli eventi stressanti e adattamento agli imprevisti

11-14 (nella media) Ben lontani dalla mancanza di eventi stressanti, ma imparando a ridurne gli effetti si può raggiungere un buon livello di benessere

15-18 (medio-alto) È possibile che anche senza accorgersene, lo stress accumulato stia già influenzando corpo, pensieri e comportamento

19+ (alto) È possibile che corpo e mente stiano sperimentando livelli di stress molto elevato che alla lunga potrebbero essere dannosi

Capitolo 3

CAPACITÀ LAVORATIVA ETÀ-CORRELATA

La capacità lavorativa è “l’equilibrio tra il lavoro e le risorse individuali”. Oltre al luogo di lavoro, anche la famiglia e l’ambiente sociale circostante intervengono su tale equilibrio.

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Ricerche approfondite sulla capacità lavorativa dei lavoratori anziani hanno individuato i principali fattori che influiscono sulla capacità lavorativa dell’individuo. I risultati della ricerca illustrano la capacità lavorativa sotto forma di una “casa” composta da quattro piani.

Figura 7: Ilmarinen, 2006. Istituto finlandese per la salute sul lavoro. Age Power, disegno grafico Milja Ahola. Lundell et al. 2011 (in finlandese)

I tre piani inferiori della casa descrivono le risorse individuali: salute e capacità funzionali; competenza; valori, atteggiamenti e motivazione. Il quarto piano riguarda la vita lavorativa. La capacità lavorativa è l’equilibrio tra il lavoro e le risorse individuali; quando il lavoro e le risorse individuali sono compatibili, la capacità lavorativa è buona. Le scale tra i piani indicano che tutti i piani della casa interagiscono. L’interazione maggiore avviene tra il piano del “lavoro” e il piano di “valori e atteggiamenti” (piani 3 e 4). Le esperienze positive e negative sul luogo di lavoro giungono al 3° piano, per poi essere valutate positivamente o negativamente. Il 3° piano rappresenta la consapevolezza soggettiva del lavoratore riguardo al proprio lavoro – le sue opinioni e sensazioni su una varietà di fattori connessi al suo lavoro quotidiano. Il 3° piano ha un balcone da dove il

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