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A chi spetta decidere sulla retroattività di una legge? Considerazioni intorno alla decisione della Corte di Cassazione sul decreto sicurezza.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE

Anno LXV Fasc. 2 - 2020

ISSN 0436-0222

Valeria Marcenò

A CHI SPETTA DECIDERE SULLA

RETROATTIVITÀ DI UNA LEGGE?

CONSIDERAZIONI INTORNO

ALLA DECISIONE DELLA CORTE

DI CASSAZIONE SUL DECRETO

SICUREZZA

(2)

CORTE DI CASSAZIONE — Sez. un. civ. — 4 settembre 2019, n. 29459 —

Pres. Mammone — Rel. Perrino — Ministero dell’interno c. R.M.M.

[7132/264] Sicurezza pubblica - Stranieri (in particolare: extracomunitari) - Permesso di soggiorno - Per motivi umanitari - Intervenuta abrogazione - Applicabilità alle domande di permesso presentate prima della abrogazione.

(D.lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; d.l. n. 113/2018, convertito nella legge n. 132 del 2018).

Il diritto a ottenere il permesso di soggiorno per motivi umanitari, in quanto espressione del diritto di asilo costituzionale, è diritto soggettivo non degradabile, che sorge al momento della presentazione della domanda e che deve, dunque, continuare a essere regolamentato secondo la procedura vigente in quel momento, nonostante la successiva abrogazione dell’istituto.

(Omissis)

RAGIONI DELLA DECISIONE. — 1. Con l’unico motivo di ricorso il Ministero

dell’interno ha lamentato la violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma 3, del d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25 e dell’art. 5, comma 6, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, là dove il giudice d’appello ha ravvisato i seri motivi umanitari idonei al riconosci-mento del relativo permesso contentandosi del fatto che il richiedente abbia docu-mentato di aver ottenuto un lavoro, in tal modo dimostrando di essersi inserito nel contesto sociale.

1.1. La soluzione della questione postula per un verso la permanente configu-rabilità del permesso per seri motivi umanitari e richiede per altro verso l’individua-zione della rilevanza, in seno ai seri motivi umanitari, dell’integral’individua-zione sociale.

Su entrambi gli aspetti si diffonde l’ordinanza interlocutoria indicata in narra-tiva, manifestando dissenso rispetto agli orientamenti al riguardo emersi all’interno della prima sezione civile.

2. Quanto al primo dei due aspetti, ossia a quello concernente il regime normativo applicabile, rileva il d.l. 4 ottobre 2018, n. 113, conv., con modificazioni, con l. 1 dicembre 2018, n. 132, che ha disciplinato ex novo la materia già regolata dall’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286/98, il quale vietava il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno quando comunque ricorressero «seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano»: su questa norma si è fondato l’istituto della protezione umanitaria. La norma era richiamata dall’art. 32, comma 3, del d.lgs. n. 25/08, secondo il quale «nei casi in cui non accolga la domanda di protezione internazionale e ritenga che possano sussistere gravi motivi di carattere umanitario, la Commissione territo-riale trasmette gli atti al questore per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 5, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286».

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2.1. Ad avviso del legislatore della novella la definizione di protezione umani-taria, dai contorni incerti, ha lasciato «...ampi margini ad una interpretazione estensiva in contrasto con il fine di tutela temporanea di esigenze di carattere umanitario per il quale l’istituto è stato introdotto nell’ordinamento» (così si legge a pag. 3 della relazione di accompagnamento del decreto). Si è quindi ritenuto necessario «...delimitare l’ambito di esercizio di tale discrezionalità alla individua-zione e valutaindividua-zione della sussistenza di ipotesi predeterminate nella norma» (ibid.).

Così il d.l. n. 113/18 ha sistematicamente disposto l’espunzione da ogni dispo-sizione, legislativa o regolamentare, di qualsivoglia riferimento al permesso di sog-giorno per motivi umanitari, ha abrogato la disposizione, sopra indicata, contenuta nell’art. 5 comma 6 del d.lgs. n. 286/98 e ha introdotto alcune ipotesi nominate di titoli di soggiorno, ossia:

— il permesso di soggiorno per calamità naturale, regolato dal nuovo art. 20-bis del d.lgs. n. 286/98, a fronte di una situazione di «contingente ed eccezionale calamità naturale che non consente il rientro in condizione di sicurezza» nel Paese d’origine; — il permesso di soggiorno per atti di particolare valore civile, previsto dal nuovo art. 42-bis del medesimo decreto;

— il permesso di soggiorno per cure mediche, inserito con la lettera d-bis) dell’art. 19, comma 2, del d.lgs. n. 286/98, relativo a «stranieri che versano in condizioni di salute di particolare gravità, accertate mediante idonea documenta-zione, tali da non consentire di eseguire il provvedimento di espulsione senza arrecare un irreparabile pregiudizio alla salute degli stessi».

2.2. Sono rimasti fermi altri titoli di soggiorno riconducibili a esigenze uma-nitarie, tra i quali quello in favore delle vittime di violenza domestica (art. 18-bis del d.lgs. n. 286/98) e di sfruttamento lavorativo (art. 22, comma 12-quater, del mede-simo decreto), nonché quelli in favore dei minori (artt. art. 28, lettere a-b, del d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394 e 31 del d.lgs. n. 286/98).

2.3. Accanto a questi permessi il legislatore ha introdotto una nuova forma di protezione, denominata speciale: il testo novellato dell’art. 32, comma 3, del d.lgs. n. 25/08 prevede che le Commissioni territoriali trasmettano gli atti al questore per il rilascio di un permesso di soggiorno annuale che reca la dicitura “protezione spe-ciale”, qualora non sia accolta la domanda di protezione internazionale, ma comun-que sussistano i presupposti previsti dall’art. 19, commi 1 e 1.1, del d.lgs. n. 286/98, salvo che possa disporsi l’allontanamento verso uno Stato che provvede ad accordare una protezione analoga.

La protezione speciale è quindi configurata come norma di chiusura, in ideale contraltare all’apertura del catalogo dei seri motivi già contemplati dall’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286/98.

2.4. La costruzione di questa norma è diversa da quella precedente ed eviden-zia il mutamento dell’approccio del legislatore.

Nella disciplina abrogata i seri motivi umanitari costituivano il titolo per rimanere in Italia.

In quella odierna la protezione speciale si traduce nel diritto di non essere allontanati, espressione del divieto di refoulement. L’art. 19, commi 1 e 1.1., del d.lgs. n. 286/98 stabilisce difatti che:

«1. In nessun caso può disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o

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sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione.

1.1. Non sono ammessi il respingimento o l’espulsione o l’estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell’esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani». 2.5.-Diverso è anche il regime delineato dal diritto sopravvenuto.

Il permesso di soggiorno per motivi umanitari aveva la durata di due anni, rinnovabile, ed era convertibile in permesso per motivi di lavoro (art. 14, comma 1, lett. c), e comma 3, del d.P.R. 31 agosto1999, n. 394) e per motivi familiari (art. 30, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 286/98).

La nuova protezione speciale, invece, ha durata di un anno,rinnovabile, previo parere della competente Commissione territoriale e non consente la conversione in permesso di soggiorno per motivi di lavoro. E ciò, si è visto, al fine di scongiurare le “interpretazioni estensive” della protezione temporanea per ragioni umanitarie.

2.6. La novella contiene al riguardo due sole disposizioni transitorie:

— in virtù della prima (art. 1, comma 8) i permessi di soggiorno per motivi umanitari già rilasciati restano validi e continuano a essere regolati secondo la disciplina precedente fino alla loro naturale scadenza, salva la possibilità di conver-sione in altro tipo di permesso di soggiorno; una volta scaduti non potranno essere rinnovati, ma, ricorrendone i presupposti, ossia il rischio di persecuzione o il rischio di tortura, sarà rilasciato il permesso per “protezione speciale”;

— in base alla seconda (art. 1, comma 9) qualora siano in corso procedimenti in cui le Commissioni territoriali abbiano già ritenuto la sussistenza di gravi motivi di carattere umanitario, dovrà essere rilasciato un permesso di soggiorno “per casi speciali” della durata di due anni, convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo o subordinato, alla scadenza del quale si applicherà la medesima disciplina prevista nel precedente comma.

3. Non è espressamente regolata la sorte del caso che si è verificato nell’odierno giudizio, in cui il permesso è stato denegato dalla Commissione territoriale e ricono-sciuto dal giudice antecedentemente all’entrata in vigore del d.l. n. 113/18.

Ineludibile è quindi il ricorso alle regole che scandiscono la successione delle leggi nel tempo.

3.1. In base all’orientamento generalmente assunto da questa Corte (con sentenza 4 febbraio 2019, n. 4890, seguita da Cass. 2 aprile 2019, n. 9090; 5 aprile 2019, n. 9650; 10 aprile 2019, n. 10107; 18 aprile 2019, n. 10922; 2 maggio 2019, nn. 11558, 11559, 11560, 11561; 3 maggio 2019, n. 11593; 8 maggio 2019, n. 12182; 15 maggio 2019, nn. 13079 e 13082; 20 maggio 2019, nn. 13558, 13560, 13561; 22 maggio 2019, nn. 13883 e 13884; 24 maggio 2019, n. 14278; 19 giugno 2019, nn. 16457, 16460, 16461, 16462, 16463 e 16464; 27 giugno 2019, nn. 17306, 17308, 17310, 17311; 5 luglio 2019, nn. 18208, 18211, 18212, 18213 e 18214 e applicata, a quanto consta, dalla parte preponderante della giurisprudenza di merito) la disciplina dinanzi indicata conte-nuta nella normativa introdotta con il d.l. n. 113 del 2018, come convertito, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di sog-giorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) delle nuove norme.

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d’irretroat-tività della legge, stabilito dall’art. 11 delle preleggi, che non può soffrire di deroga al cospetto del mutamento, dovuta a diritto sopravvenuto, del fatto generatore del diritto azionato o delle conseguenze giuridiche, attuali o future, di esso.

Nel caso in questione, difatti, ha argomentato la Corte, il diritto del cittadino straniero di ottenere un titolo di soggiorno fondato su “seri motivi umanitari” desumibili dal quadro degli obblighi costituzionali e internazionali assunti dallo Stato è già sorto antecedentemente all’entrata in vigore del d.l. n. 113/18, per effetto del verificarsi delle condizioni di vulnerabilità e la proposizione della domanda ne ha cristallizzato il paradigma legale, che non può essere modificato per effetto della successione delle leggi nel tempo; e ciò in aderenza al principio generale di ragione-volezza, che impedisce d’introdurre ingiustificate disparità di trattamento, nonché a esigenze di tutela del legittimo affidamento, connaturato allo Stato di diritto.

3.3. Sul punto, sottolinea la Corte, irragionevole sarebbe discriminare il trat-tamento giuridico di situazioni giuridiche sostanziali simili, date dalla sussistenza dei presupposti d’insorgenza del diritto a ottenere il rilascio del permesso per ragioni umanitarie, per il solo fatto, del tutto eventuale, che essa sia già stato rilasciato o vi sia stata delibazione favorevole della Commissione territoriale antecedentemente all’entrata in vigore del d.l. n. 113/18.

3.4. Benché, peraltro, il diritto sia già sorto, prosegue la Corte, la fase della sua attuazione non potrà che essere disciplinata dal diritto sopravvenuto; sicché, ha concluso, va riconosciuto, sussistendone i presupposti, il titolo di soggiorno sostenuto da ragioni umanitarie in base a una domanda proposta antecedentemente all’entrata in vigore del d.l. n. 113/18, ma la disciplina e la durata di esso dovranno seguire le prescrizioni del d.l. n. 113/18, e specificamente dell’art. 1, comma 9, di esso, unica fonte normativa applicabile al momento dell’accertamento giudiziale del diritto.

4. Con l’ordinanza interlocutoria è contestata anzitutto la tenuta di que-st’orientamento.

Si obietta che l’applicazione del diritto sopravvenuto, compresa l’espunzione dall’ordinamento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ai giudizi già in corso non sarebbe affatto retroattiva.

Ci si limiterebbe ad applicare in quel momento, in cui procedimento volto al riconoscimento del diritto è ancora pendente, le norme vigenti e quindi obbligato-riamente applicabili, in base agli artt. 73 Cost. e 10 delle preleggi.

Il che acquisirebbe ancor maggior forza in base alla considerazione che il diritto sopravvenuto trova fonte in un decreto legge, che per definizione normativa (dettata dall’art. 15, comma 3, della 1. 23 agosto 1988, n. 400) deve «contenere misure di immediata applicazione».

4.1. D’altronde, si sottolinea con l’ordinanza interlocutoria, il ragionamento seguito dall’orientamento dominante rivelerebbe la propria intrinseca contradditto-rietà quando, dopo aver negato l’applicabilità ai giudizi in corso del diritto soprav-venuto, comunque finisce per applicarlo, in relazione al nomen e alla durata del permesso da rilasciare: sicché, si rimarca, si finirebbe col creare una norma transitoria nuova, data dalla commistione di norme diverse.

5. Merita adesione l’orientamento maggioritario affermatosi nella giurispru-denza di questa Corte.

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delle preleggi il tempo dell’applicabilità della legge non può che coincidere con quello del vigore di essa; sicché effettivamente l’applicazione immediata di una nuova norma è la regola vincolante per gli interpreti e non richiede conferme nel testo normativo da applicare.

L’abrogazione determina, però, la perdita di vigore per il futuro; per cui non si può escludere l’applicabilità della legge abrogata per il passato, ossia per il periodo anteriore all’abrogazione: la legge abrogata, semplicemente, è dotata di efficacia temporalmente limitata, nel senso che la disciplina ivi stabilita concerne, di norma, i soli fatti che si siano verificati antecedentemente all’abrogazione, quando, cioè, essa era ancora applicabile.

5.2. La nuova norma, divenuta vigente, è senz’altro immediatamente appli-cabile; ma quel che si discute è se essa sia, o no, retroattiva.

Rileva, allora, il principio generale d’irretroattività, che non gode di copertura costituzionale nella materia in questione, ma che è pur sempre stabilito, salvo deroghe, dall’art. 11 delle preleggi.

Esso, di là da distinzioni, di rilievo eminentemente descrittivo, tra retroattività in senso proprio e retroattività in senso improprio, è volto a tutelare non già fatti, bensì diritti: quel che il divieto di retroattività garantisce è il divieto di modificazione della rilevanza giuridica dei fatti che già si siano compiutamente verificati (nel caso di fattispecie istantanea) o di una fattispecie non ancora esauritasi (nel caso di fattispecie durevole non completata all’epoca dell’abrogazione).

La retroattività consente alla legge di regolare diversamente fatti avvenuti precedentemente, quando la legge vigente era un’altra: essa, quindi, postula la vigenza della legge successiva, ma non si esaurisce in essa, in quanto, per mezzo della retroattività, la legge successiva amplia a ritroso il tempo della propria applicabilità. L’applicabilità ai giudizi già in corso del d.l. n. 113/18 implicherebbe quindi, e ineludibilmente, la retroattività in parte qua del decreto.

5.3. A differenza di quanto si sostiene con l’ordinanza interlocutoria, secondo cui la protezione umanitaria è «una fattispecie complessa e a formazione progressiva, come chiaramente si desume dal fatto che essa consiste in un permesso del quale l’ordinamento postula che si verifichino i presupposti nell’ambito di un apposito procedimento» (punto 4.3.2), il procedimento non incide affatto sull’insorgenza del diritto, che, se sussistente, è pieno e perfetto e nelle forme del procedimento è soltanto accertato; se insussistente, esso non potrà nascere per effetto dello svolgi-mento del procedisvolgi-mento.

5.3.1. Il diritto sorge quando si verifica la situazione di vulnerabilità quale sussumibile nella fattispecie allora vigente e irrilevante è che esso non comporti il riconoscimento di uno status, ma una protezione temporanea.

5.3.2. La verifica all’attualità delle condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno, sollecitata dal riferimento alle «informazioni precise e aggiornate» conte-nuto nel comma 3 dell’art. 8 del d.lgs. n. 25/08, non è espressione della natura costitutiva dell’accertamento, affermata con l’ordinanza interlocutoria, ma del-l’estensione dei poteri di accertamento. Al momento della decisione devono sussistere i presupposti di fatto per l’accoglimento della domanda, ossia deve risultare la fondatezza di essa; ma, in virtù dell’irretroattività della novella, è salvaguardato il diritto che la rilevanza giuridica di tali fatti risponda alle norme previgenti.

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Come ripetutamente affermato (si vedano, fra le più recenti, Cass., sez. un., 29 gennaio 2019, n. 2441; 19 dicembre 2018, nn. 32778, 32777, 32776, 32775 e 32774; 28 novembre 2018, nn. 30758, 30757; 27 novembre 2018, n. 30658), la situazione giuridica soggettiva dello straniero nei confronti del quale sussistano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria ha natura di diritto soggettivo, da annoverarsi tra i diritti umani fondamentali garantiti dagli artt. 2 Cost. e 3 della convenzione europea dei diritti dell’uomo. Essa non è pertanto degradabile a inte-resse legittimo per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministra-tivo, in seno al relativo procedimento: all’autorità amministrativa è richiesto sol-tanto l’accertamento dei presupposti di fatto che danno luogo alla protezione umanitaria, nell’esercizio di mera discrezionalità tecnica, poiché il bilanciamento degli interessi e delle situazioni costituzionalmente tutelate è riservato al legislatore.

5.5. Il procedimento amministrativo è sì atto necessario, ma pur sempre esprime, in base al modello generale, esercizio di attività vincolata, ricognitiva della sussistenza dei presupposti determinati dalla legge.

Sinanche la nullità del provvedimento amministrativo di diniego reso dalla Commissione territoriale sarebbe del tutto irrilevante,poiché la natura di diritto soggettivo al riconoscimento della protezione umanitaria impone che il procedimento giurisdizionale giunga alla decisione sulla spettanza, o non, del diritto stesso, senza potersi limitare al mero annullamento del diniego amministrativo (Cass. 21 novembre 2018, n. 30105; 22 marzo 2017, n. 7385; 3settembre 2014, n. 18632).

Il diritto unionale, d’altronde, sia pure con riferimento allo status di rifugiato, stabilisce (considerando 21 della direttiva n. 2011/95) che il relativo riconoscimento è atto ricognitivo e che la conseguente qualità non dipende dal riconoscimento (Corte giust., grande sezione, 14 maggio 2019, cause C-391/16, C-77/17 e C-78/18, punto 92).

6. Tutte le protezioni sono quindi ascrivibili all’area dei diritti fondamentali, sia quelle maggiori (ossia il riconoscimento dello status di rifugiato e la protezione sussidiaria), sia quella, residuale e temporanea, per ragioni umanitarie (in termini, tra varie, Cass., sez. un., 12 dicembre 2018, n. 32177 e 11 dicembre 2018, nn. 32045 e 32044).

E tutte le protezioni, compresa quella umanitaria, sono espressione del diritto di asilo costituzionale.

6.1. Se ne legge conferma, pure da ultimo, nella giurisprudenza costituzionale, secondo la quale la protezione umanitaria, insieme con la tutela dei rifugiati e la protezione sussidiaria, attua il diritto di asilo costituzionale ex art. 10, comma 3, Cost. (Corte cost. 24 luglio 2019,n. 194). Il che vale anche per i nuovi istituti, l’interpretazione e l’applicazione dei quali devono rispettare la Costituzione e i vincoli internazionali, «nonostante l’intervenuta abrogazione dell’esplicito riferi-mento agli “obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano” precedente-mente contenuto nell’art. 5, comma 6, del t.u. immigrazione» (così ancora Corte cost. n. 194/19).

6.2. Recessivo risulta l’approccio seguito con l’ordinanza Interlocutoria, se-condo cui la riconducibilità del permesso per motivi umanitari nell’alveo dell’asilo costituzionale non gioverebbe all’orientamento dominante, in considerazione della discrezionalità del legislatore, perché l’art. 10 Cost. prevede il diritto d’asilo «secondo le condizioni stabilite dalla legge».

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come ha osservato sin da epoca risalente autorevole dottrina, in seno all’apertura amplissima della Costituzione verso i diritti fondamentali dell’uomo.

Il diritto di asilo è quindi costruito come diritto della personalità, posto a presidio di interessi essenziali della persona e non può recedere al cospetto dello straniero bisognoso di aiuto, che, allegando motivi umanitari, invochi il diritto di solidarietà sociale: i diritti fondamentali dell’uomo spettano ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani, sicché la condizione giuridica dello straniero non può essere considerata ragione di trattamenti diversificati e peggiorativi (Corte cost. 10 aprile 2001, n. 105; 8 luglio 2010, n. 249). Le condizioni che possono essere definite per legge, necessariamente conformi alle altre norme costituzionali e internazionali, allora, sono quelle chiamate a regolare il soggiorno dell’esule, la definizione dei criteri di accertamento dei requisiti richiesti per l’asilo e le modalità del relativo procedimento di accertamento.

Di qui la coerenza del consolidato orientamento della giurisprudenza di queste Sezioni unite delle quali si è dato conto, che relegano la discrezionalità, anche del legislatore, al solo accertamento e all’individuazione delle modalità di esercizio del diritto.

Quanto alla preoccupazione espressa dai collegio rimettente che, a seguire quest’orientamento, il giudice potrebbe giungere a riconoscere la protezione inter-nazionale anche ai richiedenti responsabili di gravi reati, non previsti dalla norma-tiva precedente, ma da quella sopravvenuta, può bastare, per superarla, il riferi-mento alla giurisprudenza unionale: la grande sezione della Corte di giustizia ha pure di recente sottolineato (con sentenza 14 maggio 2019, cause C-391/16, C-77/17 e C-78/17, cit.) che, anche in caso di rifiuto del riconoscimento o di revoca dello status di rifugiato per ragioni di pericolo per la sicurezza o per la comunità dello Stato membro ospitante, è possibile autorizzare il soggiorno nel territorio dello Stato membro «in base a un altro fondamento giuridico» (punto 106).

6.3. Irrilevante è altresì l’obiezione mossa con l’ordinanza interlocutoria se-condo cui occorrerebbe dimostrare che la sommatoria delle forme di protezione attualmente vigenti sia insufficiente a garantire il nucleo minimo dell’asilo costitu-zionalmente garantito dalla Costituzione.

Ininfluente è che sia garantito il nucleo minimo dell’asilo costituzionalmente protetto, giacché la rilevanza del relativo diritto ne merita la massima espansione.

La scelta italiana di garantire una terza forma di tutela complementare alle due protezioni maggiori riconosciute dal diritto unionale trova d’altronde legittimazione — anche — nel sistema europeo: la direttiva n. 2008/115/CE (c.d. direttiva sui rimpatri) stabilisce (art. 6, paragrafo 4) che

«In qualsiasi momento gli Stati membri possono decidere di rilasciare per motivi caritatevoli, umanitari o di altra natura un permesso di soggiorno autonomo o un’altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare a un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare. In tali casi non è emessa la decisione di rimpatrio. Qualora sia già stata emessa, la decisione di rimpatrio è revocata o sospesa per il periodo di validità del titolo di soggiorno o di un’altra autorizzazione che conferisca diritto di soggiornare».

6.4. In questo contesto di rilevanza costituzionale, sarebbe ben difficile pro-spettare la retroattività delle disposizioni abrogatrici dell’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286/98. Prospettazione, questa, prodromica e comunque autonoma rispetto alle valutazioni sulla legittimità della scelta di retroattività.

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6.5. A indirizzare la scelta ermeneutica sulla natura della disposizione senz’al-tro milita la considerazione che la resenz’al-troattività debba senz’al-trovare «adeguata giustifica-zione sul piano della ragionevolezza attraverso un puntuale bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e i valori, costituzionalmente tutelati, al contempo potenzialmente lesi dall’efficacia a ritroso della norma adottata» (così, in particolare, Corte cost. 22 febbraio 2017, n. 73, nonché, tra le ultime, 12 luglio 2019, n. 174).

Laddove, nel caso in esame, la diversa valutazione giuridica dei fatti già accaduti, e posti a base del riconoscimento per via giudiziale del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, ossia, appunto, la retroattività, con-seguirebbe l’effetto di escludere il diritto al rilascio del permesso in questione, della cui inerenza all’area dei diritti fondamentali nella stessa ordinanza interlocutoria non si dubita. Effetto, che, al cospetto della riduzione dell’area di tutela che il legislatore della riforma intende perseguire, scoraggiando, come si è visto, interpretazioni estensive dell’istituto della protezione umanitaria, rischierebbe di entrare in frizione con la tenuta dei valori costituzionalmente tutelati.

6.6. Non è, allora, affatto ovvia, come si prospetta con l’ordinanza, la dedu-zione, tratta dalla disposizione transitoria contenuta nell’art. 1, comma 9, del d.l. n. 113/18, come convertito, che il legislatore avrebbe inteso escludere che alle situazioni pendenti siano da applicare le norme ormai abrogate. Al contrario: la consistenza della situazione soggettiva già maturata e le criticità di tenuta costituzionale della scelta di retroattività impongono di pervenire alla soluzione opposta.

6.7. Né infine giova alla tesi ivi sostenuta il riferimento all’orientamento (affermato, in particolare, da Cass., sez. un., 28 novembre 2016, n. 21691, seguita, tra varie, da Cass. 28 febbraio 2017, n. 5226), che ammette l’applicazione del ius

superveniens ai giudizi in corso, anche qualora sia intervenuto dopo la notificazione

del ricorso per cassazione. Ciò perché la giurisprudenza citata si riferisce chiaramente al caso in cui la legge sopravvenuta sia dotata di efficacia retroattiva.

7. Benché il diritto di asilo nasca quando il richiedente faccia ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità che mettano a repentaglio l’esercizio dei propri diritti fondamentali, è la presentazione della domanda che identifica e attrae il regime normativo della protezione per ragioni umanitarie da applicare.

È con la domanda in sede amministrativa che il titolare del diritto esprime il bisogno di tutela, e il bisogno di tutela per ragioni umanitarie va regolato secondo le modalità previste dal legislatore nazionale: sicché è quella domanda a incanalare tale bisogno nella sequenza procedimentale dettata dal legislatore nell’esercizio della discrezionalità a lui rimessa ed è quindi il tempo della sua presentazione a indivi-duare il complesso delle regole applicabili.

7.1. Se ne trova chiara traccia nel diritto positivo: stabilisce l’art. 3 del d.P.R. 12 gennaio 2015, n. 21, il quale detta il regolamento relativo alle procedure per il riconoscimento e la revoca della protezione internazionale, a norma dell’art. 38, comma 1, del d.lgs. n. 25/08, che «2. Quando la volontà di chiedere la protezione internazionale è manifestata all’ufficio di polizia di frontiera all’ingresso nel territorio nazionale, tale autorità invita formalmente lo straniero a recarsi al più presto, e comunque non oltre otto giorni lavorativi, salvo giustificato motivo, presso l’ufficio della questura competente alla formalizzazione della richiesta, informando il richie-dente che qualora non si rechi nei termini prescritti presso l’ufficio indicato, è considerato a tutti gli effetti di legge irregolarmente presente nel territorio

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nazio-nale»; aggiunge il comma 2, poi abrogato dal d.l. n. 113/18, del successivo art. 6 che «Nei casi di cui alle lettere b) e c) del comma 1, la Commissione, se ritiene che sussistono gravi motivi di carattere umanitario trasmette gli atti al questore per il rilascio del permesso di soggiorno di durata biennale ai sensi dell’articolo 32, comma 3, del decreto».

Da un lato, il crisma della regolarità non può che derivare dal complesso dì norme in quel momento in vigore; dall’altro, gli “elementi utili all’esame” che il richiedente è chiamato a indicare in domanda (giusta l’art. 10 del d.lgs. n. 25/08) non possono che essere gli elementi da ritenere utili in base alle regole allora vigenti.

7.2. Non vale addurre che il principio di eguaglianza sarebbe violato dalla differenziazione normativa tra coloro che abbiano presentato la domanda entro il 5 ottobre 2018 e coloro che, pur trovandosi nella medesima situazione, non l’abbiano fatto.

Spetta difatti alla discrezionalità del legislatore, nel rispetto del canone di ragionevolezza, delimitare la sfera temporale di applicazione delle norme (tra varie, Corte cost. 8 novembre 2018, n. 194 e 23 maggio 2018, n. 104). Ed è ragionevole che si applichino regole diverse a seconda del momento in cui il titolare della situazione soggettiva innesti il procedimento indirizzato alla tutela di essa, diversamente disciplinato nel tempo dal legislatore.

7.3. Irragionevole sarebbe, invece, assegnare diverso trattamento normativa a situazioni soggettive sostanziali già sorte e fatte valere con la domanda, per il solo fatto che qualcuna di esse, al momento di entrata in vigore della novella, per ragioni che sfuggono alle possibilità di controllo dei rispettivi titolari, sia stata già favore-volmente delibata nel corso di un procedimento, il quale, va ribadito, è chiamato a svolgere mera funzione ricognitiva.

La divaricazione delle tutele, destinata a durare e, quindi, di carattere struttu-rale, sarebbe difatti incoerentemente ancorata a un criterio eccentrico, perché contingente, rispetto alla fattispecie disciplinata.

7.4. Il legislatore della novella ha espresso la volontà che, al cospetto della sussistenza dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, i permessi già rilasciati restino validi fino alla scadenza (art. 1, comma 8, del d.l. n. 113/18) e gli accertamenti già compiuti — dalle Commissioni territoriali — restino fermi, ai fini del rilascio di permessi di durata biennale (art. 1, comma 9 del decreto).

Questa volontà annette quindi rilievo preminente alla sussistenza di quei presupposti. L’interpretazione costituzionalmente conforme della novella impone allora che, a fronte di tale sussistenza, recessiva sia la circostanza che vi sia stato un accertamento, meramente ricognitivo. Sicché non soltanto nel caso in cui, alla data di entrata in vigore del d.l. n. 113/18, la Commissione territoriale abbia già ritenuto la sussistenza dei gravi motivi di carattere umanitario (come stabilito dall’art. 1, comma 9, del d.l. n. 113/18), ma anche in quello in cui l’accertamento sia comunque in itinere il titolo di soggiorno dovrà rispondere alle modalità previste dall’art. 1, comma 9, del d.l. n. 113/18.

7.5. E nessuna contraddizione sussiste in questo ragionamento: la permanente rilevanza della protezione per seri motivi umanitari o risultanti da obblighi costitu-zionali o internacostitu-zionali dello Stato italiano discende dalla irretroattività della no-vella, che l’ha espunta dall’ordinamento; il concreto atteggiarsi del permesso, che pur sempre risponde a quella protezione, è dettato dall’interpretazione conforme a

(11)

Costituzione, che valorizza la volontà del legislatore, coerente con la natura ricogni-tiva dell’accertamento.

(Omissis).

P.Q.M.

la Corte, a Sezioni unite, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla (Omissis) in diversa composizione.

A commento della decisione pubblichiamo un’osservazione della prof.ssa Valeria Marcenò.

A chi spetta decidere sulla retroattività di una legge? Considerazioni intorno alla decisione della Corte di cassazione sul Decreto sicurezza.

1. Un principio cardine del nostro ordinamento giuridico è il principio di irretroattività delle leggi: gli atti normativi producono effetti solo per il futuro (art. 11 disp. prel. c.c.); dunque, attraverso un rigoroso argomentare

a contrario, non possono disciplinare per il passato. Un principio giuridico, in

quanto inerisce alle regole sulla successione delle leggi nel tempo. Un principio che rappresenta una delle massime manifestazioni della raggiunta civiltà giuridica: seppur non costituzionalizzato nella sua generalità (nel senso che la retroattività è costituzionalmente vietata solo per le leggi penali sfavorevoli), esso ha a che vedere con esigenze fondamentali della vita collettiva (la certezza del diritto; la dignità del singolo; la fiducia del singolo nello Stato ...).

Tale principio postula l’esigenza di una dichiarazione espressa del legi-slatore: esso è derogabile dal legislatore stesso (in forza di fonti normative equiparate), purché la volontà di disporre anche per il passato sia esplicita. Corollari di questo postulato sono il fatto che: a. devono sussistere specifiche e ragionevoli cause di giustificazione alla base della deroga (1); e b. il principio di irretroattività opera come un canone di interpretazione per l’interprete: in caso di dubbio (ossia, in assenza di espressa volontà legisla-tiva derogatoria), egli dovrà intendere il diritto positivo come dettato solo per il futuro (2).

Se quanto appena detto può servire per conoscere e comprendere la portata del principio in discussione, tuttavia non sempre risulta sufficiente per darne una applicazione piana nei casi che concretamente si pongono all’interprete.

(1) Così ammettendosi l’esistenza di un vincolo del legislatore per la propria attività futura: «è bensì vero che il legislatore può distaccarsi dalle precedenti autolimitazioni a patto che il suo intervento sia “ragionevole” [...]; ma il vincolo sarebbe imposto da una norma gerarchicamente superiore [...]» (A. PACE, Leggi di

incentivazione e vincoli sul futuro legislatore (1983), in Per la Costituzione. Scritti scelti,

vol. I, Napoli 2019, 370).

(2) A. MORRONE, Fonti normative, Bologna, il Mulino, 2018, 46ss. Per una

ricostruzione ad ampio spettro dell’argomento, C. PADULA (a cura di), Le leggi

(12)

La vicenda del c.d. Decreto sicurezza (d.l. n. 113 del 2018 (3), conver-tito, con modificazioni, nella legge n. 132 del 2018) ne è un’evidente testi-monianza. Intorno alla sua efficacia retroattiva o non retroattiva si è aperto, immediatamente a ridosso della sua entrata in vigore, un vivace dibattito, sia giurisprudenziale che dottrinale. Un dibattito conclusosi con una sen-tenza della Corte di cassazione che, però, al di là della definitività della decisione (in quanto assunta a sezioni unite) e della (soggettiva) condivisi-bilità del decisum, mostra come il principio di irretroattività, per quanto considerato caposaldo della tenuta del nostro ordinamento giuridico e ripe-tutamente studiato, sia sempre un argomento scivoloso, spigoloso, al mo-mento della sua applicazione.

2. La Corte di cassazione, chiamata a decidere a sezioni unite, con una serie di sentenze (n. 29459, n. 29460 e n. 29461 del 24 settembre 2019) ha risolto un contrasto interpretativo, affermando che l’istituto della prote-zione umanitaria di cui all’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998 (T.U. Immigrazione) trova ancora applicazione, nonostante l’avvenuta sua abro-gazione ad opera del d.l. n. 113 del 2018, per quelle domande che sono state presentate prima dell’avvenuta abrogazione (5 ottobre 2018) e che sono ancora in fase di approvazione (sia in sede amministrativa che giudiziale).

Il casus belli consiste in ciò: a un soggetto richiedente il riconoscimento dello status di rifugiato e la conseguente protezione internazionale ai sensi dell’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998, la Commissione territoriale competente nega tale riconoscimento e respinge la richiesta di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari; successivamente, lo status e il permesso vengono riconosciuti dal giudice d’appello. Ciò prima dell’entrata in vigore delle nuove ipotesi di rilascio di permessi di soggiorno introdotte con il decreto-legge. Avverso la decisione del giudice d’appello viene propo-sto ricorso dal Ministero dell’Interno, adducendo che la novella, in senso restrittivo, avrebbe dovuto produrre effetti anche nei casi analoghi a quello riportato.

Il tema, dunque, è quello della efficacia retroattiva o non retroattiva del Decreto sicurezza. Tema che ha avuto due risposte giurisprudenziali con-trapposte — da qui, la necessità di investire la Cassazione a sezioni unite —, e due ricostruzioni dottrinali diverse. Sul presupposto che le disposizioni transitorie,pur previste nel decreto-legge (i commi 8 e 9 dell’art. 1), non siano idonee a dirimere con chiarezza, contrariamente alla loro naturale funzione, la questione del regime intertemporale.

3. Il primo orientamento esclude che il contenuto normativo del decreto-legge abbia portata retroattiva. Meglio: riconosce la volontà del legislatore novellatore di mutare la disciplina in materia di permessi di

(3) Il cui titolo esteso è «Disposizioni urgenti in materia di protezione inter-nazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla crimi-nalità organizzata».

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soggiorno in maniera radicalmente diversa da quella in vigore (4), ma ritiene che la nuova disciplina non possa trovare applicazione nei casi in cui la domanda di permesso per motivi umanitari sia stata proposta prima del-l’entrata in vigore del Decreto sicurezza. Secondo questa impostazione, il diritto a ottenere il permesso di soggiorno per motivi umanitari sorge al momento della presentazione della domanda e deve, dunque, continuare a essere regolamentato secondo la procedura vigente in quel momento. La qualificazione del diritto al permesso di soggiorno come «diritto soggettivo perfetto appartenente al catalogo dei diritti umani, di diretta derivazione costituzionale e convenzionale» (5) e la conseguente «natura meramente ricognitiva dell’accertamento da svolgere in sede di verifica delle condizioni previste dalla legge» (6) escludono l’applicazione retroattiva della nuova disciplina. La presentazione della domanda «cristallizza il paradigma legale sulla base del quale, per la richiamata qualificazione giuridica del diritto azionato e per la natura ricognitiva dell’accertamento statuale, deve essere scrutinato» (7). A ragionare diversamente, si legge nella sentenza, si deter-minerebbero «disparità ingiustificate ed irragionevoli di trattamento dovute esclusivamente ad un fattore, del tutto estrinseco ed accidentale quale la durata del procedimento di accertamento» (8).

Il secondo orientamento esclude che si possa parlare di retroattività. Meglio: ritiene di dover dare applicazione immediata alle disposizioni che sono, in un determinato momento, quello in cui il procedimento volto al riconoscimento del diritto è ancora pendente, vigenti (9). Secondo questa impostazione, in presenza di una legge sopravvenuta, entrata in vigore in pendenza di un procedimento amministrativo e giurisdizionale, «il giudice per poterla applicare non è chiamato a verificare l’esistenza nella nuova legge di una disposizione speciale che ne preveda (o ne consenta) l’immediata applicazione» (10); il giudice è tenuto semplicemente ad applicarla. A

ragio-(4) «Il nuovo quadro legislativo dei permessi introdotti dal d.l. n. 113 del 2018 e le modifiche all’art. 32, terzo comma, d.lgs. n. 25 del 2008, pongono in luce la rilevante diversità, peraltro coerente all’affermata intentio legis declinata nella rela-zione illustrativa, tra il sistema della proterela-zione umanitaria incentrata sull’art. 5 c. 6 d.lgs. n. 286 del 1998 e l’attuale, fondato sulla specialità e tipizzazione dei permessi, che proprio dall’eliminazione di questa norma prende le mosse» (punto 8.4, Cass., I sez. civ., n. 4890 del 2019).

(5) Ivi, punto 8.5.

(6) Ivi, punto 9.1.

(7) Ivi, punto 13.1.

(8) Ivi, punto 14.

(9) Parlare di retroattività implicherebbe confondere tale nozione «con quella di “applicazione immediata”, la quale è connaturata al principio di imperatività della legge, che finirebbe altrimenti per applicarsi solo ai rapporti “nuovi”, cioè intera-mente “sorti” dopo l’entrata in vigore della nuova legge, mai a quelli “in corso” al momento della decisione, conclusione questa che non trova riscontri nell’ordina-mento» (punto 4.1., Cass., I sez. civ., n. 11749 del 2019).

(10) «[...], poiché “le leggi e i regolamenti divengono obbligatori” quando entrano in vigore (il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione), “salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine diverso” (artt. 73, comma 3, Cost. e 10 preleggi)» (ivi, punto 4.1.).

(14)

nare diversamente, si introdurrebbe una norma transitoria non prevista. Inoltre, anche a voler parlare di effetto retroattivo, il compito di control-larne la ragionevolezza (la cui violazione inficerebbe la legittimità dell’atto normativo stesso) non è affidato al giudice ordinario ma, «venendo in gioco un’operazione di bilanciamento di interessi e valori [...], è rimess[o] solo al legislatore ed è sindacabile, se del caso, solo dalla Corte costituzionale» (11). Il primo orientamento è quello maggioritario (ex multis, si è fatto riferimento alla sentenza Cass., I sez. civ., n. 4890 del 2019), che fa leva sull’interpretazione adeguatrice: ritenere l’efficacia retroattiva del decreto-legge implicherebbe l’applicazione di un’interpretazione dalle conseguenze discriminatorie e irragionevoli; interpretazione che non può essere seguita, dovendosi propendere, dinanzi a due possibili significati del medesimo testo normativo, per quello conforme a Costituzione.

Il secondo orientamento è quello minoritario (Cass., I sez. civ., n. 11749 del 2019), che fa leva sull’intenzione del legislatore: l’applicazione del pro-cedimento introdotto con la novella è imposta dalla stessa natura dell’atto novellatore, un decreto-legge che per definizione normativa deve contenere misure di immediata applicazione (12).

Entrambi gli orientamenti si interrogano sulla portata delle disposizioni transitorie previste nel Decreto sicurezza, pervenendo però anche su questo punto a considerazioni contrapposte. Per il primo, «non vi è una espressa disciplina legislativa di carattere intertemporale riguardante i giudizi in corso» (13) (sebbene poi si concluda, con riferimento al provvedimento emesso dal questore, per l’applicabilità in maniera analogica della fattispecie prevista dal comma 9 dell’art. 1 (14)). Per il secondo, invece, «[è] arduo negare che la nuova legge contenga una norma di diritto intertemporale, qual è l’art. 1 (comma 9)»: con la conseguente logica deduzione che «il legislatore ha inteso escludere che alle situazioni pendenti siano da applicare le norme ormai abrogate» (15).

4. A ridosso della sua entrata in vigore il Decreto sicurezza è stato

(11) Ibidem.

(12) «Neppure va sottovalutato che lo strumento utilizzato del decreto legge, convertito con legge che esclude la vacatio (ex lege n. 400 del 1988), è segno dell’intenzione del legislatore di intervenire immediatamente nella fattispecie in corso (l’art. 15 della legge n. 400 del 1988 dispone che i decreti legge “devono contenere misure di immediata applicazione”): escludendo l’applicazione della nuova legge a tutti coloro che abbiano avviato un procedimento per il riconoscimento della protezione umanitaria, sarebbe impedito alla legge di raggiungere i suoi effetti, esonerando tra l’altro indebitamente la stessa autorità amministrativa dall’appli-carla» (Ibidem).

(13) Punto 11.1., Cass., I sez. civ., n. 4890 del 2019.

(14) «È lo stesso legislatore che, nel prevedere la disciplina dell’art. 1 c. 9 del d.l. n. 113 del 2018, limitatamente alla conformazione del provvedimento del que-store, ha indicato un principio di diritto intertemporale che, indipendentemente dalla portata letterale della disposizioni, non può non essere applicato a tutte le situazioni soggettive omogenee, secondo un’interpretazione sistematica che ne assicuri la tutela di sostanziale parità» (ivi, punto 18).

(15)

oggetto di attenzione, sotto molteplici profili, da parte della dottrina. Non è sfuggito il profilo di cui qui si discute, e particolarmente quello della legittimità costituzionale di un eventuale suo effetto retroattivo. Quello che merita in questa sede, nei limiti del presente commento, evidenziare è il diffuso riconoscimento da parte della dottrina della volontà retroattiva del legislatore novellatore e della incostituzionalità di tale volontà. Richiamata la costante giurisprudenza costituzionale sul tema (16), la dottrina ha rile-vato il superamento dei limiti costituzionalmente imposti alla retroattività di una norma di legge: per violazione degli stessi presupposti a fondamento della decretazione d’urgenza (e, dunque, per contrasto con l’art. 77 Cost.) (17); e per violazione del principio di affidamento nella sicurezza giuridica, a causa della previsione di un trattamento giuridico diverso pur nella analogia delle situazioni (e, dunque, per violazione dell’art. 3 Cost.) (18). La pretesa applicazione delle nuove disposizioni pur nei proce-dimenti in corso si rivela una scelta legislativa irragionevole: a parità di condizioni soggettive (la presentazione, nello stesso tempo, della richiesta di rilascio di un permesso di soggiorno), l’esito potrebbe risultare diverso non a causa del «mutamento del regime giuridico, ma di variazioni di fatto che il caso capricciosamente produce» (19).

Il piano sul quale la dottrina si è divisa, sollecitando in una certa misura quella contrapposizione giurisprudenziale di cui si è dato conto nel paragrafo precedente, è quello della soluzione applicativa. Secondo un primo orienta-mento dottrinale i commi 8 e 9 dell’art. 1 del decreto possono (devono, da

(16) «[N]el nostro sistema costituzionale non è affatto interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti di durata, anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti (salvo, ovviamente, il limite imposto in materia penale dall’art. 25, secondo comma, della Costituzione). Unica condizione essenziale è che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto» (Corte cost., n. 64 del 2014). Limiti alla efficacia retroattiva di nuovi interventi legislativi — superati in quali la retroattività è viziata da illegittimità costituzionale — attengono, dunque, «alla salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, di altri fondamentali valori di civiltà giuridica, posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; la tutela dell’affidamento legitti-mamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costitu-zionalmente riservate al potere giudiziario» (Corte cost., n. 209 del 2010; ex multis v. anche Corte cost., n. 209 del 2010, n. 78 del 2012, n. 170 del 2013).

(17) Sia consentito rinviare a V. MARCENÒ, Qualche riflessione sui pretesi effetti

retroattivi di alcune disposizioni del “Decreto sicurezza”, in Osservatorio sulle fonti n. 3

del 2018, 6 ss.

(18) Ibidem; C. PADULA, Quale sorta per il permesso di soggiorno umanitario dopo

il dl 113/2018?, in Questione giustizia 21 novembre 2018.

(19) A. PUGIOTTO, Liberazione anticipata speciale e reati ostativi: problemi e

(16)

parte dei giudici chiamati a darvi applicazione) essere sottoposti ad un’in-terpretazione conforme a Costituzione: ricorrendo all’inun’in-terpretazione lette-rale e logico-sistematica, essi possono (debbono) essere interpretati «nel senso che il d.l. 113/2018 non intende escludere il rilascio del permesso umanitario a chi abbia già maturato il diritto prima del 5 ottobre 2018»; «qualora il d.l. 113/2018 impedisse di rilasciare il permesso umanitario a chi abbia già maturato il diritto, ci troveremmo di fronte a una norma estintiva in toto, in modo imprevedibile, di un diritto soggettivo, con conseguente violazione dei principi costituzionali di ragionevolezza e certezza del diritto e compromis-sione della tutela dell’affidamento» (20).

Secondo un altro orientamento dottrinale, la volontà del legislatore di includere sotto il regime delle neo-introdotte forme di permesso di soggiorno anche i casi ancora pendenti (volontà resa palese dalla lettura sistematica delle norme transitorie e del preambolo dello stesso decreto, da cui traspare l’intenzione di una ri-modulazione e di una ri-organizzazione dell’intera materia) esclude la possibilità di un’interpretazione adeguatrice dei commi 8 e 9 dell’art. 1 del decreto-legge, con la conseguenza che l’unica strada percorribile per il giudice che incontri delle perplessità sulla costituzionalità dell’efficacia retroattiva delle disposizioni sia quella di sollevare una que-stione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale per violazione degli artt. 3 e 77 della Costituzione (21).

Per il primo orientamento, dunque, il giudice può (deve) direttamente escludere l’efficacia retroattiva delle disposizioni qui discusse ricorrendo all’interpretazione adeguatrice, senza cioè sollevare la questione di legitti-mità costituzionale(ciò che in definitiva ha fatto la sentenza Cass., I sez. civ., n. 4890 del 2019); per il secondo, il giudice, non potendo ricorrere all’inter-pretazione adeguatrice, deve sollevare una questione di legittimità costitu-zionale dinanzi alla Corte (ciò che in un certo senso suggerisce la sentenza Cass., I sez. civ., n. 11749 del 2019).

5. Che cosa ha deciso la sentenza a sezione unite della Corte di cassazione? In sintesi: la procedura per il rilascio del permesso di soggiorno dipende dal momento della presentazione della domanda; il tempo deter-mina il complesso delle regole applicabili. Ciò esclude che le nuove disposi-zioni, introduttive di regole più restrittive sui permessi di soggiorno, possano essere applicate a coloro che avevano presentato domanda prima dell’en-trata in vigore del decreto-legge.

Tale pronuncia aderisce integralmente alla struttura argomentativa della sentenza n. 4890 del 2019, ossia al primo orientamento giurispruden-ziale. Per quanto si possa concordare con la soluzione offerta nel caso concreto, è comunque imprescindibile per lo studioso del diritto soffermarsi sulla correttezza del percorso logico-argomentativo adottato. Valutarne la

(20) C. PADULA, Quale sorta per il permesso di soggiorno umanitario dopo il dl

113/2018?, cit.

(21) V. MARCENÒ, Qualche riflessione sui pretesi effetti retroattivi di alcune

(17)

persuasività, ossia l’essere gli argomenti posti a fondamento della decisione

convincenti in quanto stringenti.

La scelta argomentativa (perché di scelta si tratta (22)), finalizzata a un determinato decisum (la non applicabilità delle regole restrittive ai casi pendenti), mostra, però, almeno per chi scrive, alcune contraddittorietà, facendo perdere alla decisione quel carattere di persuasività che dovrebbe connotare ogni pronuncia giudiziaria.

I. Nel ricostruire i tratti essenziali della nuova disciplina dei permessi di soggiorno, il giudice nomofilattico non trascura di soffermarsi sulla volontà del legislatore di abbandonare il carattere aperto e flessibile del permesso di soggiorno per motivi umanitari: «ad avviso del legislatore della novella la definizione di protezione umanitaria, dai contorni incerti, ha lasciato “... ampi margini ad una interpretazione estensiva in contrasto con il fine di tutela temporanea di esigenze di carattere umanitario per il quale l’istituto è stato introdotto nell’ordinamento”» (è richiamata la relazione di accom-pagnamento del decreto); la nuova disciplina è «diversa da quella precedente ed evidenzia il mutamento dell’approccio del legislatore» (23); diverso è anche il regime delineato dal diritto sopravvenuto, al fine — si legge nella sentenza — «di scongiurare le “interpretazioni estensive” della protezione temporanea per ragioni umanitarie» (24).

Nel riprendere puntualmente il contenuto delle disposizioni transitorie, ne spiega l’ambito di applicazione: ricadono sotto la previsione del comma 8 quelle situazioni in cui i permessi siano già stati rilasciati; ricadono sotto la previsione del comma 9 quelle situazioni in cui le domande siano già sottoposte al giudizio delle Commissioni territoriali e da queste riscontrata la sussistenza di gravi motivi di carattere umanitario.

La novella legislativa ha, dunque, un’evidente volontà retroattiva; e la Cassazione riconosce esplicitamente questa volontà, laddove ricostruisce la

ratio della nuova disciplina e descrive puntualmente la portata normativa

delle disposizioni transitorie.

Tuttavia, entrambi i percorsi ricostruttivi giungono a discutibili con-clusioni.

Con riferimento alla intenzione del legislatore, la Cassazione afferma che «non è, allora, affatto ovvia, [...] la deduzione [...] che il legislatore avrebbe inteso escludere che alle situazioni pendenti siano da applicare le norme

(22) La sussistenza di due interpretazioni contrapposte a partire da un mede-simo testo normativo rende palese l’idea, ormai diffusa e consolidata negli studi in tema di interpretazione, che non esiste un “percorso interpretativo obbligato”, nel senso di un percorso che conduca a un univoco e del tutto prevedibile significato. Con la conseguenza che il significato prescelto è una variabile dipendente dalla volontà dell’interprete medesimo. In questo contesto assume fondamentale importanza ogni valutazione sulla correttezza logica di ciò che sta a fondamento di una scelta decisoria.

(23) «Nella disciplina abrogata i seri motivi umanitari costituivano il titolo per rimanere in Italia. In quella odierna la protezione speciale si traduce nel diritto di non essere allontanati, espressione del divieto di refoulement» (Cass., sez. un., n. 29459 del 2019, punto 2.4).

(18)

ormai abrogate. Al contrario: la consistenza della situazione soggettiva già maturata e le criticità di tenuta costituzionale della scelta di retroattività impongono di pervenire alla soluzione opposta» (25). Questa seconda parte dell’affermazione apre a considerazioni che saranno sviluppate più avanti. Qui si può evidenziare una certa incoerenza tra la premessa e la conclusione: nella premessa, vi è piena consapevolezza della volontà restrittiva del legislatore; nella conclusione, si propende, attraverso la non applicazione delle nuove norme ai casi pendenti, per una attenuazione di quella stessa volontà restrittiva.

Con riferimento alle disposizioni transitorie, la Cassazione conclude per l’esistenza di una lacuna nella disciplina: il caso concreto, ove il permesso è stato denegato dalla Commissione territoriale e riconosciuto dal giudice prima dell’entrata in vigore del decreto-legge, «non è espressamente rego-lato» (26). Eppure, la conclusione avrebbe potuto più rigorosamente con-durre all’assenza di una lacuna: tutti i casi non esplicitamente contemplati nei commi 8 e 9 ricadono sotto la nuova procedura (27).

II. Il diritto al permesso di soggiorno sorge a prescindere dal procedi-mento. È con la domanda in sede amministrativa che il titolare del diritto esprime il bisogno di tutela; è quella domanda «a incanalare tale bisogno nella sequenza procedimentale dettata dal legislatore nell’esercizio della discrezionalità a lui rimessa ed è quindi il tempo della sua presentazione a individuare il complesso delle regole applicabili» (28). La Cassazione ricono-sce, dunque, un ambito di discrezionalità al legislatore, non in punto di diritto d’asilo (riconosciuto a livello costituzionale e sovranazionale (29)), ma in punto di accertamento e individuazione delle modalità di esercizio del diritto. L’indubbia discrezionalità che compete al legislatore concerne l’ac-certamento e le modalità di esercizio del diritto, non la sua concessione (30). Queste affermazioni, tuttavia, non sono sufficienti a escludere in maniera netta la possibilità per il legislatore di prevedere procedure diverse anche per casi pendenti. «Altro [...] è ammettere che la legge attuativa della Costitu-zione sia modificabile da altra legge che persegua diversamente il medesimo obiettivo costituzionale» (eventualmente, anche in senso più restrittivo rispetto alla disciplina precedente); «altro è ritenere legittima la legge che da quegli obiettivi costituzionali successivamente si discosti» (31). Ciò che deve

(25) Ivi, punto 6.6.

(26) Ivi, punto 3.

(27) L’utilizzo dell’argomento a contrario in senso interpretativo conduce al riconoscimento dell’esistenza di una lacuna; l’utilizzo dell’argomento a contrario in senso produttivo, invece, conduce a colmare la lacuna.

(28) Ivi, punto 7.

(29) Sulla natura costituzionale della protezione umanitaria, cfr. le sentenze della Corte costituzionale n. 194 e n. 195 del 2019 (proprio sul Decreto sicurezza), nonché il commento di C. PADULA, Le decisioni della Corte costituzionale sul decreto

sicurezza (sentt. nn. 194/19 e 195/19), in Forum di Quaderni costituzionali 29 agosto

2019.

(30) C.M. BIANCA, «La legge non dispone che per l’avvenire» (art. 11 disp. prel.

c.c.): a proposito del decreto sicurezza, in Questione giustizia, 17 giugno 2019, 6.

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essere valutato è, allora,se la nuova procedura possa incidere sul diritto riconosciuto fino a negarlo, possa cioè determinare un azzeramento della protezione costituzionalmente tutelata (32). L’azzeramento del diritto è escluso; ma non è esclusa, anzi rientra nella discrezionalità legislativa, la previsione di procedure diverse. Se la procedura è tale da determinare questo azzeramento, ne conseguirà una violazione della Costituzione. Ma, allora,si assiste a uno spostamento di piano: non si tratta più di ragionare in termini di successione delle procedure nel tempo, ma di legittimità costituzionale delle stesse procedure.

III. Il tema della retroattività è — si legge nella sentenza — «prodro-mic[o]e comunque autonom[o] rispetto alle valutazioni sulla legittimità della scelta di retroattività» (33). Tuttavia, lo svolgimento del punto si intreccia in maniera inestricabile con quello della legittimità costituzionale, tanto che il rapporto di pregiudizialità che lega i due argomenti si stempera in un rapporto di identità. La scelta a favore della natura non retroattiva delle disposizioni dipende, afferma la Cassazione, dal fatto che ad una diversa valutazione giuridica dei fatti già accaduti «conseguirebbe l’effetto di escludere il diritto al rilascio del permesso in questione [...]. Effetto, che, al cospetto della riduzione dell’area di tutela che il legislatore della riforma intende perseguire, scoraggiando [...] interpretazioni estensive dell’istituto della protezione umanitaria, rischierebbe di entrare in frizione con la tenuta di valori costituzionali tutelati» (34). Come a dire: la disposizione ha nella intenzione del legislatore effetti retroattivi; ma la retroattività produce effetti irragionevoli; dunque, la retroattività deve ritenersi esclusa. I due piani perdono la loro specificità.

IV. La decisione della Corte di Cassazione coglie l’irrazionalità della scelta legislativa non tanto nel tempo della presentazione della domanda, quanto nel tempo della decisione sulla domanda: rientra, infatti, nella discre-zionalità del legislatore delimitare la sfera temporale di applicazione delle norme, con la conseguenza che «è ragionevole che si applichino regole diverse a seconda del momento in cui il titolare della situazione soggettiva innesti il procedimento indirizzato alla tutela di essa, diversamente disciplinato nel tempo dal legislatore». Irragionevole (più correttamente, irrazionale (35)) è, invece, «assegnare diverso trattamento normativo a situazioni soggettive sostanziali già sorte e fatte valere con la domanda, per il solo fatto che qualcuna di esse, al momento di entrata in vigore della novella, per ragioni che sfuggono alle possibilità di controllo dei rispettivi titolari, sia stata già favorevolmente delibato nel corso di un procedimento» (36). Perché i per-messi di soggiorno non ancora rilasciati ma per i quali le Commissioni

(32) M. RUOTOLO, Brevi note sui possibili vizi formali e sostanziali del d.l. n. 113

del 2018 (c.d. decreto “sicurezza e immigrazione”, 16 ottobre 2018, in Rivista AIC n. 3

del 2018.

(33) Ivi, punto 6.4.

(34) Ivi, punto 6.5.

(35) G. ZAGREBELSKY, V. MARCENÒ, Giustizia costituzionale, Bologna 2018, vol. I,

163ss.

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territoriali abbiano ritenuto la sussistenza di gravi motivi di carattere umanitario rientrano nell’ambito di applicazione del comma 9; mentre i casi, come quello in concreto, per i quali la Commissione territoriale abbia negato tale sussistenza ma questa sia stata riconosciuta dal giudice d’appello non rientrano in questo ambito applicativo. La rilevata irrazionalità porta la Cassazione ad estendere, in maniera analogica, il regime previsto dal comma 9 alle ipotesi esplicitamente non previste (37). Un’estensione che lascia qualche dubbio: davvero si può ritenere corretta l’applicazione di un regime (quello di cui al comma 9) a ipotesi diverse? Nel caso concreto non si era in attesa di una valutazione (ancora in itinere) della sussistenza dei gravi motivi di carattere umanitario; questa era già stata negata. Forse, una più evidente irrazionalità avrebbe potuto cogliersi tra le due norme transitorie, che distinguono il regime a seconda che il permesso sia stato rilasciato o sia ancora sotto valutazione pur se già sia stata accertata la sussistenza di gravi motivi di carattere umanitario da parte della Commissione territoriale. Ma ciò avrebbe dovuto portare obbligatoriamente a sollevare una questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale.

V. Sulla scia dell’orientamento maggioritario l’argomento cardine adot-tato nella sentenza è quello dell’interpretazione conforme a Costituzione. La scelta in senso retroattivo del legislatore, date le conseguenze irragionevoli (irrazionali) che deriverebbero dalla sua applicazione, può e deve essere superata. L’opzione interpretativa nel senso della non retroattività si im-pone: «il concreto atteggiarsi del permesso [di soggiorno], che pur sempre risponde a quella protezione [i.e., protezione per seri motivi umanitari], è detto dall’interpretazione conforme a Costituzione, che valorizza la volontà del legislatore, coerente con la natura ricognitiva dell’accertamento» (38). Davvero, alla luce di quanto detto sin qui, vi è una valorizzazione della volontà del legislatore? Davvero, la Corte di Cassazione ricorre, muovendo dalla consistenza costituzionale del diritto e dalle conseguenze che sarebbero derivate dal ragionare in senso retroattivo, a una interpretazione conforme a Costituzione? Oppure, non si è dinanzi, piuttosto, a una disapplicazione della legge?

6. È pur vero che la dottrina ritiene, come detto sin dalle prime righe di questo commento, che l’effetto retroattivo o irretroattivo di un atto normativo non sta nell’atto stesso, non è «un carattere in sé delle disposizioni normative, ma un carattere di tipo giuridico, da apprezzarsi alla stregua del diritto previgente». È pur vero che esso costituisce un canone di interpreta-zione per l’interprete «che, in caso di dubbio, dovrà intendere il diritto

(37) «[...] non soltanto nel caso in cui, alla data di entrata in vigore del d.l. n. 113/18, la Commissione territoriale abbia già ritenuto la sussistenza dei gravi motivi di carattere umanitario (come stabilito dall’art. 1, comma 9, del d.l. n. 113/18), ma anche in quello in cui l’accertamento sia comunque in itinere il titolo di soggiorno dovrà rispondere alle modalità previste dall’art. 1, comma 9, del d.l. 113/18» (Ivi, punto 7.4.)

(21)

positivo come dettato solo per il futuro» (39). Ma, quando l’efficacia retroat-tiva è evidente (e la stessa Cassazione mostra di ritenerla tale deducendola dalla intenzione del legislatore); quando non può dirsi sussistere alcun dubbio sulla sua portata retroattiva (la stessa Cassazione rigetta l’orienta-mento giurisprudenziale che ha provato a sostenere la non retroattività del decreto-legge); quando, come nel caso di specie, vi è certezza della sua retroattività ma si dubita delle legittimità di tale efficacia dal punto di vista della sua irragionevolezza, può ancora dirsi che la valutazione spetta all’in-terprete del caso concreto? Può la Cassazione, seppur a sezioni unite, risolvere siffatto tipo di problemi?

La vicenda qui trattata mette in luce le difficoltà sul piano applicativo di un principio apparentemente pacifico. È chiaro che quando il legislatore prevede esplicitamente l’efficacia retroattiva delle proprie disposizioni, l’in-terprete (qualunque inl’in-terprete) tace; quando la volontà del legislatore non è univoca (nel senso che non è evidente la volontà di produrre effetti retroat-tivi o irretroatretroat-tivi), l’interprete deve operare come se la disposizione non avesse effetti retroattivi; quando la volontà del legislatore non è, però, esplicita nel senso della retroattività, ma tale verso è deducibile da una lettura sistematica dei lavori preparatori e delle disposizioni nel loro com-plesso, e l’interprete ritenga che tale volontà superi i limiti posti dalla Costituzione e dalla giurisprudenza costituzionale, tale vizio (che, si badi, è un vizio di legittimità costituzionale) non può essere superato attraverso un’interpretazione conforme, ma attraverso un intervento della Corte costi-tuzionale (40). Diversamente, il rischio sembra essere quello di ricorrere solo in apparenza al canone della interpretazione conforme, ma di fatto alla disapplicazione della volontà del legislatore e alla creazione di una norma nuova (41).

Non si nasconde che le considerazioni fin qui sviluppate possano tradire una sorta di affezione per le proprie tesi (42). La costruzione argomentativa

(39) G. ZAGREBELSKY, Manuale di diritto costituzionale, vol. I, Il sistema delle

fonti del diritto, Torino 1988, 70 ss.

(40) La soluzione qui proposta sembra resistere (anzi, forse addirittura avva-lorarsi, anche alla luce della più recente giurisprudenza costituzionale che vede la Corte costituzionale ri-appropriarsi del suo ruolo di custode dei diritti) anche qualora ci si ponesse nel solco dell’impostazione che «nega che il problema della retroattività legislativa si collochi esclusivamente sul piano giuridico-formale della relazione tra norme, preferendo trattarlo come problema squisitamente costituzionale che investe i diritti di libertà, la certezza del diritto e l’autonomia» (A. PUGIOTTO, Retroattività

legislativa e materia civile: Corte costituzionale e Corte Edu parlano la stessa lingua?, in Rivista AIC n. 2 del 2018, 7, nt. 22).

(41) Si consideri, inoltre, che la Cassazione, confermata la spettanza al legisla-tore del compito di determinare le modalità attraverso cui riconoscere il diritto, conclude il suo ragionamento estendendo la procedura di cui al comma 9 dell’art. 1 del Decreto sicurezza ai casi nei cui confronti aveva escluso l’effetto retroattivo: è, dunque, la Cassazione, e non il legislatore, a individuare, per analogia, queste modalità.

(42) Le tesi qui sottintese sono quelle già affermate in V. MARCENÒ, Qualche

(22)

adottata dalla Corte di cassazione a sezione unite non favorisce, però, almeno per il momento, un loro abbandono.

VALERIA MARCENÒ

ABSTRACT

La vicenda del c.d. Decreto sicurezza (d.l. n. 113 del 2018, convertito, con modifi-cazioni, nella legge n. 132 del 2018) e il dibattito che si è svolto, sia in dottrina che in giurisprudenza, intorno alla sua efficacia retroattiva o non retroattiva mostrano come il principio di irretroattività, per quanto considerato caposaldo della tenuta del nostro ordinamento giuridico e ripetutamente studiato, sia sempre un argomento scivoloso, spigoloso, al momento della sua applicazione. Il lavoro si sofferma sull’ul-timo tassello di questo dibattito: la sentenza con cui la Corte di cassazione a sezioni unite, risolvendo un contrasto interpretativo sul diritto inter-temporale, ha affer-mato la non retroattività di alcune disposizioni del decreto-legge. L’A. si sofferma sulle argomentazioni della decisione e sulla loro persuasività, mostrando come, anche in sede di applicazione del principio di irretroattività, può incorrersi nel rischio di adottare solo in apparenza il canone della interpretazione conforme, ma dar seguito di fatto alla disapplicazione della volontà del legislatore e alla creazione di una norma nuova.

The matter of the so-called Security Decree (Decree Lawn. 113/2018, converted, with amendments, into Law n. 132/2018) and the debate that took place, both in doctrine and in jurisprudence, around its retroactive or non-retroactive effectiveness show how the principle of non-retroactivity, although considered a cornerstone of the strength of our legal system and repeatedly studied, is always a slippery subject at the time of its application. The work focuses on the last piece of this debate: the ruling by which the Court of Cassation in joint sections, resolving an interpretative conflict on inter-temporal law, affirmed the non-retroactivity of some provisions of the decree-law. The A. dwells on the arguments of the decision and on their persuasiveness, showing how, even in the application of the principle of non-retroactivity, there may be the risk of adopting the canon of adaptive interpretation to the Constitution only in appearance, but actually following the non-application of the will of the legislator and the creation of a new rule.

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