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Un Sistema vegetato per la biorimediation di un suolo inquinato da metalli pesanti e idrocarburi: "Il caso di Madonna dell'Acqua in Toscana"

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NIVERSITÀ DEGLI

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TUDI DI

S

ASSARI

F

ACOLTÀ DI

A

GRARIA

D

OTTORATO DI

R

ICERCA

Monitoraggio e Controllo degli Ecosistemi Forestali in Ambiente Mediterraneo

XXI Ciclo

UN

SISTEMA

VEGETATO

PER

LA

BIOREMEDIATION

DI

UN

SUOLO

INQUINATO

DA

METALLI

PESANTI

E

IDROCARBURI:

“IL CASO DI MADONNA DELL’ACQUA IN TOSCANA”

Tesi di dottorato della:

Dott.ssa Agata Manca

Relatore: Prof. Sergio Vacca

Correlatore: Prof. Brunello Ceccanti

Coordinatore: Prof. Antonio Franceschini

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U

NIVERSITÀ DEGLI

S

TUDI DI

S

ASSARI

F

ACOLTÀ DI

A

GRARIA

D

OTTORATO DI

R

ICERCA

Monitoraggio e Controllo degli Ecosistemi Forestali in Ambiente

Mediterraneo

XXI Ciclo

UN SISTEMA VEGETATO PER LA BIOREMEDIATION DI

UN SUOLO INQUINATO DA METALLI PESANTI E

IDROCARBURI:

“IL CASO DI MADONNA DELL’ACQUA IN TOSCANA”

Tesi di dottorato della:

Dott.ssa Agata Manca

Relatore: Prof. Sergio Vacca

Correlatore: Prof. Brunello Ceccanti

Coordinatore: Prof. Antonio Franceschini

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RINGRAZIAMENTI

Questa parte è sempre la più complicata, perché si ha sempre paura di tralasciare qualcuno. Per ovviare a questo inconveniente in anticipo ringrazio tutti coloro che in questa esperienza mi sono stati vicini e mi hanno aiutato a portare a termine questa ricerca.

In particolare volevo ringraziare prof. Brunello Ceccanti per l’impegno dedicatomi nell’allestimento del progetto Master and Back, grazie al quale ho ottenuto una borsa di studio che mi ha permesso di arrivare al CNR-ISE di Pisa e per avermi guidato e sostenuto durante la ricerca sperimentale insieme alla Dott.ssa Graziana Masciandaro. Un ringraziamento al tutor, porf. Sergio Vacca per avermi presentato ed affidato a prof. Brunello Ceccanti Dirigente dell’Istituto CNR-ISE di Pisa.

Ringrazio anche il comune di San Giuliano Terme (Pisa) e la Dott.ssa Elena Fantoni che hanno creduto nella nostra professionalità, affidandoci la sperimentazione. Un particolare ringraziamento al Dott. Guido Masotti, collega e amico col quale abbiamo portato a termine la maggior parte della sperimentazione di campo, di laboratorio e di stesura della tesi. Senza il suo prezioso aiuto probabilmente avrei impiegato molto più tempo di quello previsto con risultati sicuramente inferiori. Ancora grazie a tutto il gruppo del CNR-ISE:

Dott.ssa Cristina Macci, Dott.ssa Serena Doni, Dott.ssa Eleonora Peruzzi, Dott.ssa Cinzia Trassinelli per essermi in primo luogo state amiche e per avermi aiutato e sostenuto in questa ricerca.

Un sincero grazie a mio marito per la sua comprensione e pazienza, perché durante la mia permanenza a Pisa mi è stato sempre e comunque vicino.

Non smetterò mai di ringraziare i miei genitori per avermi sempre sostenuto e

dimostrato fiducia nelle mie ardue imprese, fortunatamente andate sempre a buon fine. Senza il loro appoggio probabilmente questa esperienza non avrebbe fatto parte del mio bagaglio culturale, ancora un sincero grazie.

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Dott.sa Agata Manca

Titolo tesi: UNSISTEMAVEGETATOPERLABIOREMEDIATIONDIUNSUOLOINQUINATODAMETALLIPESANTI

EIDROCARBURI:“IL CASO DI MADONNA DELL’ACQUA IN TOSCANA”

Tesi di dottorato in Monitoraggio e Controllo degli Ecosistemi Forestali in Ambiente Mediterraneo Università degli Studi di Sassari – Facoltà di Agraria

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INDICE

PREMESSA……….5

1. INTRODUZIONE………...9

1.1L’INQUINAMENTO DEL SUOLO………..9

1.1.1 PRICIPALI CAUSE DELL’INQUINAMENTO DEL SUOLO……….12

1.2GLI IDROCARBURI………15

1.3IMETALLI PESANTI………...19

1.4ASPETTI NORMATIVI……….30

1.5TECNICHE DI BONIFICA………...31

1.5.1 CLASSIFICAZIONE DELLE TECNICHE DI BONIFICA………..32

1.5.2.LA BIORIMEDIATION………...36

1.5.3.VANTAGGI E SVANTAGGI DELLA BIORIMEDIATION………...39

1.6ECOLOGIA DEL TERRENO: LA FAUNA……………….42

1.6.1ILOMBRICHI……….43

1.6.2COMPOSTAGGIO E VERMICOMPOST………53

1.6.3IMICRORGANISMI DEL SUOLO……….54

2. OBIETTIVI DEL PROGETTO DI RICERCA……….59

3. PARTE GENERALE………....60

3.1INQUADRAMENTODELL’AREADISTUDIO………...60

3.2DATI DIPARTENZA……….………62

3.2.1INDAGINI DEL PIANO (ECOL STUDIO S.R.L)………...62

3.3 ANALISIPRELIMINARIDELSUOLO(CNR-ISE)………..66

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Dott.sa Agata Manca

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3.4 MATERIALIEMETODI………....74

3.4.1 MATERIALI UTILIZZATI……….74

3.4.2 CARATTERIZZAZIONE INIZIALE DEL CAMPIONE, LETAME E MISCELA………74

3.4.3PAULOWNIA TOMENTOSA……….77

3.4.4POPULUS NIGRA, VAR ITALICA (PIOPPO CIPRESSINO)………...78

3.4.5CYTISUS SCOPARIUS (GINESTRA DEI CARBONAI)………79

3.5 METODOLOGIE ANALITICHE………81

3.5.1 ESTRATTI IMPIEGATI………..81

3.5.2 METODOLOGIE CHIMICHE………...82

3.5.3METODOLOGIE BIOCHIMICHE……….87

3.5.4 ANALISI STATISTICA DEI DATI………..91

4. PARTE SPERIMENTALE………....93

4.1 CARATTERIZZAZIONEBOTANICA………..93

4.2 RICERCASCIENTIFICA……….103

4.2.1 SCHEMA DI LAVORO………103

4.2.2 CARATTERIZZAZIONE DEL CAMPIONE………103

4.2.3 SCELTA DELLE PIANTE PER LA BIORIMEDIATION………..104

4.2.4 COLTURA DEI LOMBRICHI (EISENIA FOETIDA)……….105

4.2.5 ALLESTIMENTO MESOCOSMI………..106

4.2.6 ANALISI PERIODICHE………..107

4.3 RISULTATI EDISCUSSIONE………109

4.3.1 PARAMETRI CHIMICO-FISICI:pH………..109

4.3.2CONDUCIBILITÀ ELETTRICA………..112

4.3.3AZOTO AMMONIACALE………...114

4.3.4NITRATI………116

4.3.5AZOTO TOTALE………118

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4.3.7RAPPORTO C/N………..126

4.3.8CARBONIO ESTRAIBILE TOTALE, ACIDI FULVICI E ACIDI UMICI………..130

4.3.9CARBONIO IDROSOLUBILE……….136 4.3.10FOSFORO TOTALE……….138 4.3.11FOSFORE ASSIMILABILE………...140 4.4 PARAMETRIBIOLOGICI………...143 4.4.1FOSFATASI………..144 4.4.2 ß-GLUCOSIDASI……….148 4.4.3DEIDROGENASI………...152 4.4.4UREASI………....155 4.4.5PROTEASI………157 4.4.6INDICE DI GERMINAZIONE……….161

4.5CONTAMINANTIORGANICIEINORGANICI……….163

4.5.1METALLI PESANTI TOTALI………..163

4.5.2 METALLI PESANTI NEI TESSUTI VEGETALI………..170

4.5.3METALLI PESANTI ASSIMILABILI……….176

4.5.4IDRCARBURI TOTALI………...179

4.6 ANALISISTATISTICA………....182

4.7 SINTESIDEIRISULTATI………184

5. CONCLUSIONI………190

6. SPERIMENTAZIONE SU MACORCOSMO………..191

6.1SUDDIVISIONEDELL’AREAINMICROAREE………191

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Dott.sa Agata Manca

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6.3PRELIEVOEANALISIDEICAMPIONI……….194

6.4RISULTATI………197

6.5PREDISPOSIZIONE DEL TERRENO PER LA PRATICA DELLA BIORIMEDIATION………...200

6.6ANALISI INQUINANTI PRIMA DELLA MESSA A DIMORA DELLE PIANTE………..201

7. COMMENTI PER FUTURE APPLICAZIONI DELLA METODOLOGIA…210 8. APPENDICE………...212

8.1RISULTATIPARAMETRICHIMICO-FISICI……….212

8.2RISULTATIPARAMETRIBIOLOGICI………..215

8.3RISULTATICONTAMINANTIORGANICIEDINORGANICI……….216

8.4MATRICI DI CORRELAZIONE………...220

8.5ANOVA………..222

9. RIASSUNTO………...231

10. ABSTRACT………...234

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PREMESSA

Il progressivo aumento dei siti da bonificare, frutto di nuovi ed efficienti sistemi di monitoraggio e di una maggiore sensibilizzazione e partecipazione civile, pone oggi i governi europei in uno stato di continua allerta sia per i rischi di esposizione diretta delle popolazioni, sia per le problematiche ambientali che ne potrebbero derivare soprattutto per le falde acquifere e il suolo. Ma l’ostacolo maggiore all’attuazione sistematica dei piani di bonifica è il forte impegno economico che, in un momento stagnante dell’economia nazionale e mondiale, rischia di far uscire dalle priorità nazionali temi importanti quali la salute del territorio e dei cittadini.

Siamo tutti consapevoli che il risanamento di questi siti (suoli ed acquiferi) contaminati è un’attività obbligata per garantire la protezione dell’ambiente e della salute pubblica attraverso il ripristino nel sito di condizioni tali da non generare rischio per la salute dell’uomo e degli organismi in genere. Questo intervento di risanamento però si configura spesso più come un atto amministrativo, una sorta di “messa in sicurezza” e di “messa a norma”, che come intervento ecologico e funzionale sul sito. In questo modo, pur ottemperando alle norme di sicurezza e di igiene ambientale, si rischia di sottrarre all’uso “produttivo” il suolo per molto tempo, anni e forse secoli causando a catena ulteriori danni ambientali ed economici. Infatti, quando il suolo perde la capacità filtrante delle acque meteoriche e le capacità depurative delle sostanze inquinanti, si ha l’inquinamento della falda sotterranea, la sua contaminazione e la perdita di una risorsa naturale.

Si stima che tra i Paesi membri dell’EU vi siano circa tre milioni di siti potenzialmente contaminati; le stime mostrano che più dell’8% (più di 240.000 siti) sono contaminati e necessitano di interventi, ma si ritiene che questa percentuale possa arrivare al 50% nel 2025, cioè in un tempo relativamente breve. La spesa nazionale annuale per la gestione dei siti contaminati è una media del 0,4 per mille del Pil, costo che a livello europeo è stato finanziato con fondi strutturali, con un budget totale di 2.250 miliardi di euro nell’EU25 per il periodo 2005-2013. I costi comunque sono strettamente dipendenti dagli obiettivi di bonifica, differenti da Paese a Paese e dalle diverse condizioni sito-specifiche. La bonifica di questi siti sta comunque procedendo molto lentamente, con

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6 80.000 siti bonificati ad oggi (EEA Report, August 2007) (EEA Report, August 2007 “Progress in management of contaminated sites (CSI 015)”.

L’ostacolo maggiore alle bonifiche in futuro sembra essere proprio la mancanza di un piano di investimenti tale da attrarre e coinvolgere il settore privato non solo nella fase di progettazione e attuazione dell’intervento ma anche in quella dello sfruttamento del sito bonificato, che può essere ai fini commerciali, urbani e ricreativi, come ci indica l’ex D.M. n. 471/99 ora D.Lgs. 152/2006 modificato, in maniera non sostanziale dal D.Lgs. 4/2008 . Occorre attivare da parte dei governi, politiche e misure di valorizzazione dei siti contaminati, coinvolgendo le strutture scientifiche che hanno l’onere di proporre tecnologie nuove di bonifica, soprattutto quelle meno impattanti, e di affinare quelle esistenti; allo stesso tempo si possono predisporre piani di monitoraggio e sfruttamento “sostenibile” del sito bonificato in modo che il costo dell’opera di bonifica non risulti un finanziamento a fondo perduto sulle spalle della collettività ma un investimento per una crescita dell’economia locale. Questo obiettivo è possibile raggiungerlo attuando interventi di recupero mediante le “Migliori Tecnologie Disponibili” che usano sistemi ecologici quali la “fitoremediation” combinata con un tipo di agricoltura organica in situ “Organic farming”; l’efficacia della combinazione si basa sull’uso di piante forestali fito-estrattrici per eliminare dal terreno i metalli pesanti, di piante erbacee per condizionare la fertilità e la permeabilità del terreno, e di ammendanti organici per stimolare i microrganismi del terreno che così utilizzano le sostanze organiche degradabili (compreso gli inquinanti organici) come fonte di alimentazione. In pratica, si tratta di attivare in situ nella zona di vadosa (zona superficiale insatura del terreno) un sistema biologico integrato pianta-lombrichi-microrganismi dove gli essudati radicali organici della radice hanno un duplice effetto: solubilizzare i metalli pesanti rendendoli disponibili sia per l’assorbimento da parte della pianta, sia per il bioaccumulo all’interno del tubo digerente dei lombrichi che potenziare e nutrire la microflora che così metabolizza gli inquinati biodegradabili (Masciandaro, 2003; Bianche and Ceccanti, 2008 TRIAD-approach in the bioremediation of polluted environmental matrices. Toxicological & Environmental Chemistry (in press). Tali processi avvengono più o meno intensamente a seconda della costituzione minerale del terreno e delle sue proprietà fisiche nel trasmettere acqua e

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7 aria in profondità (Ceccanti e Masciandaro, 2003). Queste sono tecniche naturali a baso costo, in via di sperimentazione da tempo nei Paesi del centro-nord Europa ed ora anche in Italia presso il CNR –Istituto per lo Studio degli Ecosistemi di Pisa. Se in futuro si attuasse su vasta scala sistematicamente questo tipo di intervento ecologico, si verrebbe a realizzare quella auspicata convergenza fra le politiche ambientali del disinquinamento con quelle strategiche della produzione di energia da fonti rinnovabili. La biomassa vegetale, infatti, rimossa dal sito di bonifica (due tre volte l’anno) potrà essere destinata alle future linee di produzione energetica, integrando così le biomasse coltivate su suolo agricolo. Le politiche europee si stanno sempre più orientando all’impiego di fonti energetiche rinnovabili (raggiungendo la meta del 20% nel 2020), in ottemperanza ai mandati di Kyoto, ma cercando di non entrare in conflitto con l’uso del suolo agricolo. L’impianto forestale ricostruito in site per la decontaminazione dei siti inquinati è senz’altro competitivo con altre forme di trattamento ex situ di tipo chimico-fisico.

Questa nuova cultura ecologica oggi non è solo patrimonio degli ecologisti ma si sta diffondendo anche nei governi e negli operatori ecologici, e le nuove conoscenze tecnologiche e scientifiche che scaturiranno ci permetteranno di pianificare interventi di bonifica sito-specifici, efficaci, sostenibili economicamente e, soprattutto, monitorati nel tempo con un programma elaborato su base scientifica.

Il lavoro di tesi svolto al CNR di Pisa, in collaborazione con L’Università degli Studi di Sassari, Facoltà di Agraria, dove ho vinto il concorso per dottorato di ricerca in “Monitoraggio e Controllo degli Ecosistemi Forestali in Ambiente Mediterraneo”, manifesta appunto una sua originalità anche se a primo acchito potrebbe sembrare non attinente al tipo di ricerca svolta, non strettamente connessa agli Ecosistemi Forestali. Infatti è originale non tanto per il coinvolgimento delle varie branche delle scienze ambientali, agrarie, forestali e botaniche, ma anche per la formazione di una nuova figura di operatore ecologico “esperto” che auspicabilmente, su basi scientifiche e tecnologiche, farà avanzare il settore delle bonifiche e della produzione energetica da fonti rinnovabili. Il modello, considerato i costi relativamente contenuti e i ritorni economici per l’uso delle biomasse energetiche, potrà essere riproposto e adattato ad altre tipologie di inquinamento (ad esempio l’inquinamento diffuso causato da

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8 dispersioni e ricadute atmosferiche , inquinamento agricolo, incendi, ecc) in area mediterranea, sfruttando specie vegetali locali in modo da rendere il sito di bonifica non un’area off-limit ma un percorso didattico ben inserito nell’ambiente.

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1. INTRODUZIONE

Negli ultimi anni un numero molto elevato di sostanze inquinanti, o potenzialmente tali sono state introdotte nell’ambiente. Tuttora, numerose attività industriali e pratiche agricole, contribuiscono ad aumentare il livello di tali sostanze in tutti gli ecosistemi e il suolo è sicuramente il più interessato.

Tra le sostanze organiche inquinanti, gli idrocarburi policiclici aromatici, possono avere serie conseguenze ambientali e rappresentano un rischio per la salute dell’uomo (Baheri e Meysami, 2001). Analogamente, molti metalli, se presenti a determinati livelli di concentrazione, sono molto tossici e possono facilmente distribuirsi tra i vari organismi viventi attraverso la catena alimentare.

Tutto ciò ha reso necessario la ricerca di metodologie per il disinquinamento e il recupero di siti contaminati. Ovviamente, lo scopo di ogni strategia di decontaminazione, dovrebbe essere quello di ripristinare nel sito trattato, livelli di qualità compatibili con la sopravvivenza degli esseri viventi, rispondendo nel frattempo a principi di economicità, facile applicabilità e bassi o nulli rischi d’impatto ambientale. Fondamentalmente sono possibili due tipi di strategie: strategie di tipo ingegneristico, basate principalmente su metodologie chimiche, fisiche e termiche e strategie biologiche (bioremediation), cioè che si avvalgono di agenti biologici per la decontaminazione con il vantaggio di avere uno scarso impatto ambientale (Bollag e Bollag, 1995).

1.1. L’INQUINAMENTO DEL SUOLO

Le attività industriali, i trasporti e le conseguenti infrastrutture, l’agricoltura intensiva, l’urbanizzazione sempre più spinta e il grave problema dello smaltimento dei rifiuti prodotti dalle attività antropiche, hanno prodotto un sempre maggiore inquinamento del suolo, che ha interessato aree sempre più vaste. L’inquinamento del suolo è particolarmente grave dato che quest’ultimo costituisce un bene limitato ed un anello fondamentale della catena alimentare (Riffaldi et al., 1991).

L’estensione del fenomeno a livello europeo fu messa bene in evidenza dalle indagini effettuate da diversi gruppi di ricerca alla fine degli anni ’90; indagini da cui è emerso

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10 che i siti potenzialmente contaminati erano alcune centinaia di migliaia, mentre quelli sicuramente contaminati erano almeno diverse decine di migliaia ("Contaminated Sites" predisposto dall’ETC Soil nel 1998). Le indagini analitiche condotte su molti siti industriali (attivi e dismessi), su aree interessate da sversamenti ed incidenti rilevanti e su aree soggette a smaltimenti abusivi di rifiuti, hanno evidenziato come questi siti e queste aree rilevino una compromissione della qualità del suolo e degli ecosistemi ad esso legati. Una compromissione tale da impedire, totalmente o parzialmente, la normale funzionalità che il suolo stesso dovrebbe svolgere, sia a livello chimico-nutrizionale che biochimico-funzionale.

Linquinamento del suolo da parte di sostanze più o meno persistenti con caratteristiche di tossicità e mutagenicità, può inoltre rappresentere una fonte di grave pericolo per la salute umana e per gli organismi viventi in generale; sia direttamente (per contatto diretto), sia per il potenziale inquinamento di acque di falda sottostanti.

MIGRAZIONE DEGLI INQUINANTI NEL SUOLO

Gli inquinanti rilasciati nel suolo vanno incontro a una serie di fenomeni di migrazione, trasformazione e ripartizione tra le varie fasi del suolo stesso (gassosa, liquida e solida); fenomeni che determinano sia l’estensione spaziale e temporale della contaminazione, sia la possibilità che i contaminanti vengano in contatto con l’uomo e con gli altri organismi viventi. La comprensione di tali fenomeni è di essenziale importanza al fine di avere un quadro più completo della distribuzione degli inquinanti e una valutazione più corretta del rischio ambientale che deriva dalla loro presenza.

I fenomeni di trasporto e trasformazione (il “fato” degli inquinanti) sono in genere complessi e dipendono sia dalle proprietà chimico-fisiche delle sostanze coinvolte nell’inquinamento, sia dalle caratteristiche geologiche, idro-geologiche ed ecologiche del sito.

La situazione è particolarmente complicata quando gli inquinanti sono costituiti da miscele complesse e poco idrosolubili, come i prodotti petroliferi, che, insieme all’acqua e agli altri componenti del suolo, costituiscono un sistema a molte fasi e molte componenti. Per comprendere la complessità del problema, basti pensare che in una benzina possono essere identificati un centinaio di composti diversi, aventi ognuno

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11 caratteristiche chimiche e fisiche specifiche. Quando il contaminante in fase liquida penetra nel sottosuolo tende a drenare negli strati sottostanti, spiazzando l’aria e l’acqua interstiziale, ed è soggetto ad una serie di fenomeni concomitanti: evaporazione e diffusione in fase di vapore, solubilizzazione in acqua, diffusione ed adsorbimento nella matrice solida del suolo e degradazione microbica.

Tali fattori determinano così l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, dei sedimenti, delle acque superficiali e profonde e dell’atmosfera con sostanze chimiche pericolose e tossiche (Ronchi, 2002; Bonomo et al., 2005).

La migrazione degli inquinanti è regolata da due tipi di fenomeni concomitanti (Davini et al., 2001):

- macroscopici: processi regolati dalle leggi della dinamica dei fluidi, quali scorrimento, percolazione, adesione al terreno e capillarità;

- microscopici: fenomeni governati dagli equilibri termodinamici, come diffusione, ripartizione tra le fasi, dissoluzione, precipitazione, evaporazione, condensazione, adsorbimento, desorbimento e reazioni chimiche.

In figura 1. vengono mostrate, in forma schematica, le principali vie di migrazione percorribili da un inquinante idrocarburico una volta sversato sulla superficie del suolo (Grillo, 2001).

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Figura 1. Rappresentazione schematica delle principali vie di migrazione

di un prodotto petrolifero rilasciato dal suolo (da Grillo, 2001).

1.1.1 PRINCIPALI CAUSE DELL’INQUINAMENTO DEL SUOLO

L'inquinamento del suolo è un fenomeno di alterazione della composizione chimica naturale del suolo causato dall'attività umana.

Fra le sue cause principali si contano:

• rifiuti non biodegradabili

• acque di scarico • prodotti fitosanitari • fertilizzanti • idrocarburi • diossine • metalli pesanti • solventi organici

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13 Questo tipo di inquinamento porta all'alterazione dell'equilibrio chimico-fisico e biologico del suolo, lo predispone all'erosione e agli smottamenti e può comportare l'ingresso di sostanze dannose nella catena alimentare fino all'uomo.

Le sostanze che raggiungono le falde acquifere sotterranee, inoltre, possono danneggiare il loro delicato equilibrio. Le interferenze con queste ultime possono manifestarsi e, di conseguenza, causare alterazioni pericolose nelle acque potabili, e quindi in quelle utilizzabili dall'uomo.

EFFETTI SULLA SALUTE UMANA

I maggiori effetti sulla salute sono legati al contatto diretto delle persone con zone di terra contaminata e particolarmente frequentata. Di rilievo tossicologico sono l'assunzione di acqua contaminata, l'ingresso di tossici nella catena alimentare (ad esempio tramite gli animali che hanno pascolato su un terreno inquinato o il consumo di ortaggi) e l'inalazione di composti vaporizzati. Esiste un'ampia gamma di effetti sulla salute, acuti e soprattutto cronici, che possono manifestarsi a livello clinico; l'entità del danno biologico è legata a diverse variabili, tra le quali: natura chimica del contaminante, modalità di esposizione, quantità di contaminante presente, durata dell'esposizione, fattori genetici individuali.

Il cromo e diversi prodotti fitosanitari sono cancerogeni. Il piombo è particolarmente pericoloso per i bambini piccoli, nei quali c'è un alto rischio di sviluppare danni cerebrali e al sistema nervoso, mentre più in generale il rischio è legato a danni renali. Anche mercurio e ciclodieni sono noti per indurre una maggiore incidenza di danno renale, talvolta irreversibile. Le diossine sono noti cancerogeni nonché composti molto tossici che tendono anche a concentrarsi lungo l'avanzare della catena alimentare. L'esposizione cronica al benzene a concentrazioni sufficienti è notoriamente associata a una maggiore incidenza di leucemia. I policlorobifenili e i ciclodieni sono collegati a tossicità epatica. Gli organofosfati e i carbammati, presenti in molti prodotti fitosanitari, possono indurre una catena di effetti legati all'inattivazione dell'acetilcolinesterasi e che portano al blocco neuromuscolare.

Molti solventi clorurati provocano danni epatici, renali e depressione del sistema nervoso centrale. Esiste un intero spettro di ulteriori effetti sulla salute come mal di

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14 testa, nausea, affaticamento, irritazione oculare e rash cutanei, legati alle sostanze già citate e ad altre.

EFFETTI SULL'ECOSISTEMA

L'inquinamento del suolo può avere significative conseguenze deleterie per gli ecosistemi. Possono avvenire cambiamenti radicali della chimica del suolo che possono scaturire da molte sostanze chimiche pericolose persino a basse concentrazioni delle specie inquinanti. Questi cambiamenti possono manifestarsi nell'alterazione del metabolismo dei microrganismi e artropodi che vivono in un dato ambiente terreno. Il risultato può essere l'eventuale eradicazione di una parte della catena alimentare primaria, che a sua volta ripercuote le conseguenze maggiori sui predatori o sulle specie dei consumatori. Anche se gli effetti delle sostanze chimiche sulle forme di vita inferiori possono essere di lieve entità, si può avere normalmente un bioaccumulo che tende a concentrare la quantità stessa di sostanze lungo l'avanzamento della catena alimentare. Molti di questi effetti sono ben noti, come l'accumulo di DDT in consumatori aviari che conduce all'indebolimento dei gusci d'uovo, con il conseguente incremento della mortalità dei pulcini e il rischio potenziale dell'estinzione delle specie. Gli effetti si manifestano anche sui terreni adibiti all'agricoltura e che risentono di un dato livello di inquinamento. Gli inquinanti tipicamente alterano il metabolismo delle piante, il cui risultato più comune è la diminuzione della produzione di raccolto. Questo rappresenta un effetto secondario sulla conservazione del suolo, dato che la diminuzione dei raccolti favorisce i fenomeni di erosione. Alcuni dei contaminanti chimici possiedono lunga persistenza, mentre in altri casi si formano dei composti chimici derivati in seguito a reazioni secondarie che avvengono nel suolo stesso.

RIMEDI

Il rimedio principale all'inquinamento del suolo consiste nell'attuazione di corrette politiche di gestione dei rifiuti sensibili ai risvolti ambientali, nonché nell'emanazione e rispetto di specifiche normative volte alla sostenibilità ambientale e alla tutela dell'ambiente naturale. Il riciclaggio, recupero e reimpiego di materiali quali carta, vetro, plastica, metalli, svolge un ruolo importante nella prevenzione e riduzione a

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15 monte del pericolo di inquinamento. Molti prodotti chimici possono essere anch'essi recuperati e riciclati, ovvero smaltiti opportunamente dopo essere stati posti a trattamenti che ne annullano o riducono la pericolosità.

L'inquinamento del suolo può essere contrastato col rimboschimento dei territori forestali o mediante procedimenti di bonifica. La porzione di terreno inquinata può essere rimossa tramite escavazione e posta in zona di confinamento in modo che non si abbiano rischi per gli esseri umani o ecosistemi sensibili. Importante è l'affermarsi dei cosiddetti biorimedi, metodiche che sfruttano la digestione microbica di particolari sostanze organiche.

1.2. GLI IDROCARBURI

Gli idrocarburi sono un insieme piuttosto eterogeneo di circa un migliaio di molecole organiche, naturali e di sintesi, composte essenzialmente da carbonio ed idrogeno, anche se possono includere eteroatomi come ossigeno, azoto, zolfo, metalli o alogeni (Farnè, 2005).

Tali sostanze, in funzione della loro struttura, sono suddivise in (Davini et al., 2001): Idrocarburi alifatici, sono una classe di sostanze organiche lineari, ramificate o cicliche, sature o insature, composte da carbonio ed idrogeno (nel caso dei derivati alogenati sono presenti alogeni). Sono molecole a basso o medio peso molecolare e tendono a trovarsi allo stato gassoso o liquido, in funzione della tensione di vapore e del punto di ebollizione che hanno. Comprendono alcani, alcheni, alchini e dieni. Idrocarburi aromatici: sono una classe piuttosto eterogenea di molecole organiche, naturali e di sintesi, costituite da uno a sette anelli aromatici condensati. Sono sostanze presenti in natura allo stato liquido e solido e sono caratterizzate dall’avere una ridotta solubilità ed un’elevata tensione di vapore; possono avere reazioni di sostituzione con composti alogenati e presentare gruppi alchilici laterali. A questa classe appartengono gli idrocarburi monoaromatici, i BTEXS (Benzene, Toluene, Etilbenzene, Xileni, Stirene), e gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA); Idrocarburi eteroatomici: sono particolari molecole che contengono uno o più atomi diversi da carbonio, idrogeno e alogeni. In funzione dell’eteroatomo presente sono distinti in tre sottoclassi. Ne fanno

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16 parte i Furani, le Purine, le Pirimidine e gli idrocarburi Zolfo-derivati; Asfalteni e metallorganici: sono un gruppo di sostanze organiche ad elevato peso molecolare ed altamente idrofobiche, che possono avere legate a sé metalli di transizione. Sono composti che sono presenti allo stato solido e sono suddivisi in Asfalteni e Porfirine.

CARATTERISITICHECHIMICO-FISICHE

Le caratteristiche chimico-fisiche degli idrocarburi non sono la semplice sommatoria delle singole proprietà delle molecole che li compongono. In linea generale, per classi omogenee di composti, è possibile individuare andamenti regolari delle loro proprietà chimico-fisiche.

Sono composti altamente infiammabili con forti rischi di incendio, i cui vapori, più pesanti dell’aria, creano sovente miscele esplosive.

Gli idrocarburi a basso o medio peso molecolare tendono a trovarsi allo stato gassoso o liquido, mentre quelli a medio-alto e alto peso molecolare sono solidi (amorfi o cristallini).

Con il crescere del numero degli atomi di carbonio si osserva un aumento della densità, dell’adesione alle matrici solide, delle temperature di fusione e di ebollizione, del carattere idrofobico, del tempo di emivita e del flash point; mentre si ha una contemporanea diminuzione della tensione di vapore, della mobilità, del coefficiente di diffusione in aria, della solubilità in acqua e della campana di esplosività. Ad esempio gli alcani con più di dieci atomi di carbonio tendono ad essere poco mobili nel sottosuolo ed a parità di peso molecolare i corrispettivi idrocarburi aromatici tendono ad essere più solubili in acqua.

Infine, le sostanze che presentano eteroatomi capaci di creare legami di coordinazione (ad esempio ossigeno, azoto e zolfo), risultano molto più mobili e solubili in acqua.

VIEDIMIGRAZIONE

Gli idrocarburi sono sostanze immiscibili con l’acqua e per questo vengono detti NAPLs: Non-Aqueous Phase Liquids. Il loro comportamento nel suolo insaturo e nella falda dipende, oltre che dai parametri chimico-fisici precedentemente descritti, dalla loro densità. La maggior parte dei prodotti petroliferi (benzine, carburanti avio,

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17 cherosene e gasolio da autotrazione) sono meno densi dell’acqua, e sono chiamati per questo LNAPLs: Light Non-Aqueous Phase Liquids; mentre i restanti (oli combustibili ed asfalteni ad esempio) sono detti DNAPLs: Dense Non-Aqueous Phase Liquids (Mariotti e Merlo, 2003). Quando sono rilasciati nel suolo, i NAPLs si muovono verso il basso attraverso i pori della zona insatura, restando in parte adesi alle particelle del suolo (saturazione residua).

Proseguendo nella loro migrazione, essi arrivano nella zona satura e, in vicinanza della frangia capillare, i LNAPLs si espandono orizzontalmente, con una minima penetrazione al di sotto del livello di falda, e vengono trascinati da essa lungo la direzione di deflusso di falda. I DNAPLs invece penetrano nella falda sino a raggiungere lo strato impermeabile che la delimita (Kremesec, 2005).

Data la loro scarsa solubilità in acqua, essi si trovano negli ambienti acquatici essenzialmente nei sedimenti e questo comporta che vengano immobilizzati ed accumulati; vanno così a costituire una riserva inquinante che, tramite un continuo e lento rilascio, determina una cronica presenza di idrocarburi pesanti nelle acque superficiali e del sottosuolo.

Nel tempo la composizione della fase idrocarburica cambia continuamente: ogni specie chimica si ripartisce infatti tra le fasi del sistema (acquosa, oleosa, di vapore, solida), secondo coefficienti di partizione dettati da leggi termodinamiche e muovendosi tra esse. Il contatto con la falda e l’accumulo per infiltrazione degli inquinanti causano una lenta e continua dissoluzione di alcuni costituenti chimici della massa idrocarburica nell’acqua; i costituenti volatili possono muoversi nella fase gassosa interstiziale e quindi liberarsi nell’atmosfera, mentre gli idrocarburi trattenuti dal suolo tendono ad accumularsi.

A causa di questo complesso insieme di processi chimico-fisici, nel tempo i NAPLs si arricchiscono di componenti meno solubili e volatili, cioè delle frazioni più pesanti, che risultano più difficili da trattare.

TOSSICITÀ

Nella valutazione di un fenomeno di inquinamento da prodotti petroliferi non si può seguire la sorte di ogni singolo componente e perciò, oltre a ricercare il dato

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18 complessivo dato dagli “Idrocarburi Totali” o TPH (Total Petroleum Hydrocarbons), ci si concentra su un certo numero di contaminanti indicatori, che risultano rappresentativi delle proprietà chimico-fisico-tossicologiche delle varie classi idrocarburiche.

Per i prodotti più leggeri come le benzine, sono utilizzati i BTEXS (Benzene, Toluene, Etilbenzene, Xileni, Stirene); per i composti più pesanti come gli oli lubrificanti, vengono usati gli IPA (idrocarburi policiclici aromatici); mentre nel caso in cui i contaminanti siano di peso intermedio come per i gasoli, sono considerati sia i BTEXS sia gli IPA. Tra i contaminanti indicatori vengono presi in considerazione anche gli additivi non idrocarburici presenti nei prodotti petroliferi come derivati alchilici del piombo e il Metil-Ter-Butil-Etere (MTBE), presenti nelle benzine con funzione antidetonante.

Per tali sostanze rappresentative vi sono, in letteratura, innumerevoli studi di tossicità, sia di tipo acuto, sia di tipo cronico. In linea generale è possibile definire andamenti regolari delle loro proprietà tossicologiche.

Le sostanze a basso peso molecolare, con una minor idrofobicità e bassa tensione di vapore, tendono a trovarsi allo stato gassoso e quindi i maggiori rischi sono a carico dell’apparato respiratorio dove manifestano effetti di elevata tossicità acuta sulle mucose (ustioni chimiche). Inoltre hanno effetti anestetici ma, normalmente, non hanno nè azione mutagena, nè effetti cancerogeni.

Le sostanze a medio-alto peso molecolare hanno un’elevata idrofobicità e tensione di vapore e sono allo stato liquido o solido, per cui le principali vie di somministrazione sono per ingestione e per contatto dermico. Tali sostanze inducono sia effetti acuti che cronici sulle zone colpite e, per le sostanze aromatiche (sia mono che policicliche), si ha la certezza di una loro azione mutagena, carcinogena e genotossica.

BIODISPONIBILITÀ

Un fattore di cruciale importanza nei processi di biorisanamento è la biodisponibilità dell’inquinante. Dal momento che gli idrocarburi sono scarsamente solubili in acqua e sono prontamente adsorbiti dalle particelle della matrice solida, presentano una ridotta mobilità, e quindi biodisponibilità per la degradazione a carico della comunità microbica (Irvine, 1998).

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19 La biodisponibilità degli idrocarburi viene influenzata da (Farnè, 2003):

fenomeni di chelazione: diversi composti inorganici ed organici sono in grado di bloccare fortemente gli idrocarburi; fenomeni di adsorbimento, desorbimento e partizione: una matrice che presenta un’elevata quantità di materiale organico (principalmente sostanze umiche), ha alte capacità adsorbenti, soprattutto per i

composti idrofobici; questi composti partiscono preferenzialmente nella fase organica e vengono rilasciati con più difficoltà; altri fattori: tra essi abbiamo la forza ionica (un suo aumento riduce l’entità del desorbimento e quindi solubilità dell’inquinante), il potenziale redox (la sua diminuzione può causare la dissoluzione degli ossidi di ferro e di manganese, inducendo il rilascio dei contaminanti ed aumentando la mobilità all’interno della matrice) e l’ossigeno disciolto (gli ossidi di ferro e di manganese in seguito alla loro precipitazione, adsorbono la sostanza organica, immobilizzando il contaminante).

Alcuni microrganismi hanno la capacità di rendere maggiormente biodisponibili i composti organici a bassa solubilità in acqua, producendo biosurfattanti. L’uso di tensioattivi infatti può favorire il rilascio degli idrocarburi pesanti dal terreno, sia perché essi riducono la tensione superficiale all’interfaccia suolo-inquinante, sia perché i contaminanti si ripartiscono con il tensioattivo stesso, aumentandone così la biodisponibilità.

1.3. I METALLI PESANTI

Con il termine “metalli pesanti” si considerano, di solito, tutti quegli elementi metallici che presentano alcune caratteristiche (Riffardi e Levi-Minzi, 1989):

hanno una densità superiore a 4,5–5 g/cm3 e generalmente un numero atomico superiore a 30; presentano diversi stati di ossidazione (elementi metallici di transizione), in funzione del pH; hanno idrossidi con bassa solubilità; mostrano una grande attitudine a formare complessi; hanno una elevata affinità per i solfuri; hanno comportamento ionico (di solito sono dei cationi).

Possono essere definiti metalli pesanti, da un punto di vista chimico e/o in base a conoscenze bio-ecologiche, elementi come piombo, cadmio, mercurio, cromo, nichel,

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20 ferro, manganese, rame, zinco, cobalto; anche non metalli quali alluminio, molibdeno, selenio, boro, vanadio e arsenico sono considerati metalli pesanti per origine e meccanismo di azione.

Sovente si preferisce parlare di “metalli in traccia” per indicare complessivamente tutti quei metalli che rivestono un importante significato biologico, ma che possono indurre disturbi cronici nell’uomo e in altri organismi, nei quali sono presenti normalmente in concentrazioni molto basse.

LEFONTIELACONTAMINAZIONEAMBIENTALE

La presenza dei metalli pesanti, che alterano la qualità dell’ambiente, è riconducibile a fonti sia naturali, quali il substrato pedogenetico, sia antropiche, quali le attività industriali, civili e agricole.

I metalli originati dal substrato pedogenetico si possono definire inquinanti geochimici, ma i fenomeni di contaminazione del suolo, attribuibili al materiale originario e in grado di produrre danni biologici, sono di norma limitati ad aree ristrette.

La diffusione dei metalli pesanti nell’ambiente è quindi legata in massima parte all’attività antropica. Il problema dei metalli pesanti è accentuato dal fatto che molti processi produttivi ne richiedono la presenza e parallelamente aumentano la possibilità di una loro dispersione nell’ambiente. Le fonderie, le industrie elettrogalvaniche, i processi di fotoincisione, di vulcanizzazione ed in genere tutti quei processi che utilizzano l’elettrolisi sono fra le maggiori fonti di metalli pesanti quali Cu, Ni, Zn, Pb, Cr, Cd e Hg (Sequi, 1989).

Pb e Cd si liberano prevalentemente nei processi di combustione dei carburanti e dei lubrificanti, mentre il processo di usura dei pneumatici libera soprattutto Cd e Zn. Tali metalli raggiungono il suolo attraverso la deposizione atmosferica secca (con polveri e pulviscolo) ed umida (con le precipitazioni).

I più direttamente esposti a questa eventuale contaminazione sono i terreni agrari in genere. L’agricoltura intensiva, con i tentativi di migliorare i raccolti, ha comportato un utilizzo sempre crescente di fertilizzanti e pesticidi che contengono questi elementi come impurezze, rendendo così l’attività agricola stessa fonte di contaminazione per i terreni. È stato calcolato infatti, che più del 10% dei fungicidi e degli insetticidi

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21 tradizionalmente utilizzati apportano Cu, Hg, Mn, Pb e Zn (Sequi, 1989). Infine gli stessi concimi chimici possono essere la causa di inquinamento dato che, talora, contengono metalli pesanti (Co, Cr, Cu, Mn, Mo, Ni, Pb e Zn) derivanti sia dalle materie prime, che dai processi industriali; fra questi i perfosfati risultano particolarmente indiziati per il loro possibile apporto di Cd e di Pb. Ulteriori apporti al terreno agrario provengono dall’utilizzo di residui di varia natura, ad esempio le biomasse di riciclo (come fanghi e compost) che, oltre ad elementi di fertilità, contengono anche questi elementi metallici, spesso in quantità superiori alla normale dotazione dei terreni agrari, raggiungendo facilmente quella soglia di valori oltre la quale vengono compromesse la fertilità del suolo e la catena alimentare. Spesso il metallo pesante presente in concentrazioni maggiori risulta lo Zn, seguito da Cu, Pb, Cr, e Ni.

ECOTOSSICOLOGIA

Da un punto di vista ecotossicologico, i metalli pesanti possono essere classificati in tre gruppi:

1. Metalli dall’importante ruolo fisiologico, definiti essenziali per piante e animali, poiché fanno parte di strutture essenziali come gli enzimi (Zn, Cu); pur essendo essenziali ad un corretto sviluppo e sopravvivenza, ad alte concentrazioni possono essere però tossici.

2. Metalli chimicamente simili ad un elemento essenziale.

3. Metalli che non hanno un’azione fisiologica conosciuta e che non sono soggetti a regolazione metabolica da parte degli organismi.

Ad elevate concentrazioni intracellulari, i metalli possono essere la causa di danni alla membrana cellulare e al DNA con effetti genotossici per la cellula, possono modificare la specificità enzimatica e le funzioni cellulari. La tossicità dei metalli è dovuta alle interazioni che i medesimi stabiliscono con componenti cellulari essenziali mediante legami ionici e/o covalenti e che determinano una alterazione delle attività metaboliche cellulari (Bruins et al, 2000).

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Tabella 1. Effetto dei metalli pesanti sui processi metabolici delle piante.

Metalli pesanti Processi biochimici colpiti

Ag, Au, Cd, Cu, Hg, F, I, U Variazione di permeabilità delle membrane cellulari

Hg Inibizione della sintesi proteica

Ag, Hg, Pb, Cd, As(III), Tl Formazione di complessi con gruppi sulfidrilici

Maggioranza dei metalli pesanti Affinità con il gruppo fosfato e gruppi ATP e ADP

Tl, Pb, Cd Inibizione di enzimi

Cd, Pb Respirazione

Cd, Pb, Hg, Tl, As Traspirazione

Cd, Co, Cr, F, Hg, Mn, Ni, Se, Zn Clorosi

Al, Cu, Fe, Pb, Rb Foglie di tonalità più scura

IMETALLIPESANTINELSUOLO

Contrariamente ai composti organici, i metalli non possono essere metabolizzati. La bonifica di suoli contaminati con metalli consiste quindi primariamente nel modificare la mobilità dei contaminanti metallici per ottenere un suolo che presenti livelli accettabili nel contenuto di metalli.

La mobilità dei metalli dipende da una serie di fattori, ovvero: - dal tipo e dalla natura del suolo;

- dalla concentrazione del contaminante di interesse;

- dalla concentrazione e dal tipo di ioni che possono essere competitivi; - dai leganti complessati, sia organici che inorganici,

- dal pH e dallo stato di ossidazione.

In genere, è difficile prevedere il comportamento dei metalli in un determinato tipo di suolo (McLean e Bledsoe, 1992). Lo studio del comportamento nel suolo dei metalli

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23 pesanti che vi pervengono è reso estremamente complesso dal fatto che essi non permangono nella forma in cui sono stati introdotti, ma seguono il destino dei corrispondenti ioni di origine geochimica già presenti nel suolo. Destino che è, ovviamente, diverso per ogni elemento in relazione alle sue proprietà chimico-fisiche. Orientativamente, i metalli si possono trovare nel suolo nelle seguenti forme:

- come parte integrante dei reticoli cristallini; - come impurezza interstrato;

- come precipitati semplici o complessi; - come ioni inorganici semplici o complessi; - come complessi organici solubili o insolubili;

- addensanti come cationi di scambio sulle superfici attive dei colloidi minerali e organici;

infine possono far parte di varie e complesse combinazioni delle associazioni di cui sopra.

L’ASSORBIMENTODAPARTEDELLEPIANTE

Le radici delle piante, mediante l’energia derivante dalla respirazione, assimilano ioni metallici come tali o come chelati. Nel terreno nulla è statico e si modificano quindi in continuazione anche gli equilibri che regolano l’assimilabilità degli ioni metallici. Difatti l’insolubilità dei precipitati metallici contrasta la stabilità degli ioni e dei

complessi metallici solubili stabili in ambiente acido (rame, zinco, manganese); i precipitati insolubili di metalli allo stato di massima ossidazione vengono solubilizzati se si instaurano condizioni di ambiente riducente (tipici esempi il ferro e il manganese). Da quanto è stato detto risulta evidente che la valutazione della pericolosità dei metalli pesanti presenti nel suolo o che ad essi pervengono, costituisce un problema di grande attualità, ma anche di difficile soluzione (Izza et al., 1994).

L’assorbimento da parte delle piante oltre i limiti di tolleranza è, il più delle volte, conseguenza di: apporti di microelementi al suolo dovuti a correzioni incontrollate di una carenza, acque di scarico di particolari industrie, inquinamento atmosferico.

Anche l’acidità del suolo, provocando una più rapida alterazione dei minerali e consentendo quindi una maggiore mobilità degli elementi liberati, può dar luogo ad un

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24 eccessivo assorbimento di microelementi (ferro, rame, manganese, zinco, boro e molibdeno) da parte dei vegetali.

L’effetto tossico di un microelemento varia da pianta a pianta. Specie diverse mostrano sensibilità diversa per la stessa quantità di microelemento e la stessa specie sensibilità diversa in relazione al proprio stadio di sviluppo (Sequi, 1989). Così come il grado di tossicità di un microelemento può variare per fenomeni di antagonismi (la tossicità dello zinco, del manganese, del rame e del boro viene attenuata dalla presenza di sali di calcio), anche il suo effetto può essere esaltato per sinergismo (sinergia delle coppie ferro-rame e molibdeno-boro).

Seguono le principali caratteristiche dei principali contaminanti inorganici.

CADMIO

Il cadmio (Cd) è un metallo nocivo per qualsiasi essere vivente, con sperimentato potere cancerogeno. Ad ogni modo, le concentrazioni di Cd che normalmente si trovano nell’ambiente non sono causa di tossicità acuta. Il maggior rischio per la salute umana è rappresentato dall’accumulo cronico nei reni, dove esso può causare delle disfunzioni (Fassett, 1980).

Raramente si trova come composto puro, di solito si trova sotto forma di CdS e CdCO3. Molto ricche di Cd sono le miniere di piombo, zinco, e ferro. Esso è ritrovato come coprodotto quando questi minerali sono processati.

Fonti di inquinamento sono gli inceneritori, le operazioni di placcatura, i depositi di spazzatura, il fumo di sigaretta, le industrie chimiche, petrolchimiche e siderurgiche, i rifiuti urbani, la combustione del carbonio, i settori della galvanoplastica, delle vernici e dei coloranti (Alloway, 1995).

La concentrazione di cadmio nel suolo è funzione delle caratteristiche dei materiali originari e dell’utilizzo di sostanze contenenti metalli pesanti utilizzate per la difesa antiparassitaria o per la fertilizzazione (concimi fosfatici, fanghi di depurazione, pesticidi). In generale, il suolo contiene quantità < 1 mg/kg, eccetto i suoli contaminati da sorgenti discrete o sviluppati originariamente su materiali con contenuti alti di Cd.

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25 Il contenuto medio di Cd riportato dalla maggior parte degli esami analitici dei livelli di background di metalli nei suoli è compreso nel range di 0,06-1,1 mg/kg (Kabata-Pendias e (Kabata-Pendias, 1992).

Il Cd si trova normalmente concentrato nell’orizzonte superficiale; ciò è dovuto alla combinazione di vari fattori: è la zona con il più alto contenuto di sostanza organica e i metalli possono essere trattenuti in questo orizzonte dopo applicazioni di fertilizzanti e concimi contenenti Cd, o dopo le deposizioni secche o umide

provenienti dall’atmosfera. Comunque, diversamente da Cu e Pb, il Cd (insieme a Zn e Ni) ha una tendenza a penetrare lungo il profilo, sebbene l’estensione e la percentuale dipendono da vari fattori del suolo (Kabata-Pendias e Pendias, 1992).

CROMO

Il cromo (Cr) è uno dei metalli meno comuni sulla crosta terrestre e si trova solo come composto. Il più comune è il minerale cromite (FeCr2O4). Metallo molto tossico per piante e animali, è cancerogeno per l’uomo se l’esposizione a tale elemento è intensa. Quanto alle fonti di inquinamento, la sua presenza in atmosfera è imputabile ad impianti di cromatura; viene inoltre utilizzato nelle fotocopiatrici fotomeccaniche, nelle vernici come pigmento e nell'industria del petrolio come anticorrosivo. E’ presente nelle concerie, nelle cartiere, nelle tintorie e nella lavorazione di acciaio e di metalli vari. In particolare il contenuto di cromo può essere molto elevato in alcuni sottoprodotti dell’industria conciaria utilizzati per la produzione di concimi organici. La concentrazione di cromo nel suolo è riconducibile: ai naturali processi di degradazione dei substrati geologici (da cui i suoli stessi traggono origine), all’attività vulcanica e agli incendi di foreste; in parte è funzione dell’utilizzo sul suolo di sostanze contenenti metalli pesanti utilizzate per la difesa antiparassitaria o per la fertilizzazione. Le concentrazioni di Cr in forma disponibile per le piante sono estremamente basse nella maggior parte dei suoli, e questa carenza di solubilità rispecchia le basse concentrazioni dell’elemento nelle piante. Concentrazioni delle piante mostrano una piccola relazione con il contenuto totale del Cr nel suolo; le concentrazioni di

background nelle piante sono dell’ordine di 0,23 mg/kg, ed in generale le concentrazioni sono più basse di 1 mg/kg nel suolo (Bowen, 1979).

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FERRO

Il ferro (Fe) è uno dei metalli più abbondanti nella crosta terrestre; viene prodotto in grandi quantità negli altiforni per riduzione di suoi minerali (ossidi di ferro) con carbone. Il ferro è un microelemento catalitico indispensabile alla vita dei vegetali perché entra nella costituzione di vari enzimi e perché regola numerosi processi biochimici come la sintesi della clorofilla, la fotosintesi e la respirazione cellulare. Il Fe è uno dei maggiori componenti della gran parte dei suoli. Nel terreno il ferro è contenuto normalmente in quantità soddisfacente nella forma di ione ferrico (Fe3+), ma per essere assimilato ed utilizzato dalla pianta deve essere ridotto nella forma ferrosa (Fe 2+), anche per effetto delle secrezioni radicali. Non è quindi certamente la mancanza di ferro a provocare fenomeni di carenza, quanto quella di forme assimilabili per la vegetazione. Il pH del terreno ha un ruolo assai importante nella disponibilità del ferro. Nei terreni caratterizzati da pH elevato, con un alto contenuto in calcare, non si ha la riduzione dello ione ferrico a ferroso, determinando il mancato assorbimento dell'elemento per insolubilizzazione. Altre cause di Fe-carenza sono da ascriversi a fenomeni di antagonismo da parte dei cationi bivalenti (Ca, Mg, Zn e Cu) che

competono nella formazione di complessi, e alla presenza eccessiva di ioni fosfato che provocano l’insolubilizzazione del ferro (Allen, 1989).

MANGANESE

Il manganese (Mn) è un elemento largamente rappresentato in ecosistemi naturali; è estratto in grande quantità e trova importanti applicazioni in molti prodotti industriali. Esso ha origine litogena ed è tra i meno tossici sia per gli animali che per le piante (per queste ultime diviene tossico solamente su suoli acidi). Fonti secondarie possono essere la presenza di fonderie, la combustione di carbone o petrolio, gli inceneritori e l’uso di fertilizzanti. Tale elemento svolge un ruolo essenziale nella vita dei microrganismi, delle piante e degli animali. Il contenuto di Mn nel suolo riflette la composizione del substrato pedogenetico. Nei suoli il Mn si trova comunemente come ossido. Gli ossidi di manganese variano nella loro solubilità e ciò può implicare una relazione con la loro capacità di fornire Mn alle radici delle piante. L’assorbimento di Mn da parte delle

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Dott.sa Agata Manca

Titolo tesi: UNSISTEMAVEGETATOPERLABIOREMEDIATIONDIUNSUOLOINQUINATODAMETALLIPESANTI

EIDROCARBURI:“IL CASO DI MADONNA DELL’ACQUA IN TOSCANA”

Tesi di dottorato in Monitoraggio e Controllo degli Ecosistemi Forestali in Ambiente Mediterraneo Università degli Studi di Sassari – Facoltà di Agraria

27 piante è funzione della concentrazione di questo elemento in forma ionica (Smith, 1995)

NICHEL

In natura il nichel (Ni) è uno degli elementi più abbondanti: è due volte più abbondante del rame. Come gli altri metalli in traccia anche il nichel è tossico per le piante e gli animali in concentrazioni superiori ai livelli medi di esposizione.

Le sorgenti naturali di emissione di Ni sono dovute all’attività vulcanica, agli incendi, allo spry marino. Più dell’80% delle emissioni di Ni sono però di origine antropogenica: la maggiore sorgente di questo metallo è legata a combustibili e residui di olii; altre fonti sono date dalla placcatura e dalle batterie.

Il livello naturale di nichel nei suoli in alcune aree è particolarmente elevato, raggiungendo valori di gran lunga superiori a quelli previsti dalla Direttiva 86/278/CEE. La concentrazione di nichel nel suolo è funzione delle caratteristiche dei materiali originari (riconducibili a naturali processi di degradazione dei substrati geologici) e dell’utilizzo, per la difesa antiparassitaria o per la fertilizzazione, di sostanze contenenti metalli pesanti. La concentrazione media di Ni nel suolo è intorno ai 20 mg/kg. In diversi suoli il Ni, come il Fe e il Mn, può essere accumulato nell’orizzonte B come ossido, mentre in altri il Ni si può accumulare nella lettiera e nell’humus (McGrath, 1995). Questo accumulo in superficie comporta effetti deleteri sull’attività microbica, sulla germinazione dei semi e sulla crescita delle piante nell’area (Hutchinson, 1981).

Inoltre, la solubilità del Ni aumenta a pH bassi. Le concentrazioni di Ni nelle piante e nel suolo variano generalmente tra circa 0,1-5 mg/kg (Hutchinson, 1981). La concentrazione di Ni nelle piante riflette la concentrazione dell’elemento nel suolo, sebbene la relazione è più direttamente collegata alla concentrazione di ioni di Ni solubili.

PIOMBO

Il piombo (Pb) è un metallo tossico sia per le piante che per gli animali. Le sue emissioni sono dovute principalmente al traffico veicolare; altre fonti sono le fonderie,

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28 le miniere e la combustione di carbone. La concentrazione di piombo nel suolo è riconducibile in parte a naturali processi di degradazione dei substrati geologici, da cui i suoli stessi traggono origine. Fonte primaria di arricchimento della preesistente dotazione è però l’attività antropica con l’apporto di sostanze per la difesa antiparassitaria e per la fertilizzazione con concimi, fanghi e compost; ma anche attraverso processi di fallout atmosferico.

Quando il Pb è rilasciato nell’ambiente esso ha un lungo tempo di residenza rispetto agli altri inquinanti. Il Pb e le sue componenti tendono ad accumularsi nei suoli e nei sedimenti dove, a causa principalmente della loro bassa solubilità e indipendenza dalla degradazione microbica, rimarranno per molto tempo biodisponibili (Davies, 1995). Il Pb è presente in suoli non contaminati a concentrazioni < 20 mg/kg ma concentrazioni molto più alte sono state rilevate in molte aree come conseguenza di emissioni antropogeniche. Tale elemento si accumula naturalmente sull’orizzonte superficiale del suolo, mentre si assiste alla perdita di Pb per lisciviazione. La maggior parte dei metalli pesanti, incluso il Pb, rimane in una forma insolubile o stabile nello strato superficiale dopo l’applicazione di fanghi.

Solo una parte del Pb totale è disponibile per la pianta. C’è una relazione positiva tra la concentrazione di Pb nel suolo e quello nella pianta. Diversi parametri del suolo influenzano l’assorbimento di Pb. Tale elemento può influenzare le attività microbiche nel suolo e in tal modo ridurre la produttività del suolo. Per esempio il Pb potrebbe inibire la mineralizzazione dell’azoto e la nitrificazione (Davies, 1995).

RAME

Il rame (Cu) è uno dei più importanti ed essenziali elementi per piante e animali. Relativamente scarso nella litosfera (70 mg/kg), si trova, come ione idrato, solo lo ione rameico Cu2+. Nei suoli è presente in concentrazioni intorno ai 30 mg/kg. Tale elemento è associato con la sostanza organica nel suolo, con gli ossidi di ferro e di manganese, con i silicati e con altri minerali.

I composti rameosi esistono solo come composti insolubili o, in soluzione acquosa, come complessi. Fonti di inquinamento sono i tubi per l'acqua, gli utensili da cucina di

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29 rame o ramati, la presenza di industrie del ferro e dell’acciaio, la combustione del carbone e i rifiuti urbani.

Il rame è scarsamente tossico per l’uomo e per gli animali, mentre può risultare tossico anche a concentrazioni basse per le piante. Fonti atmosferiche di Cu al suolo sono riconducibili alla pioggia e alle deposizioni secche dovute alle emissioni industriali di Cu. La concentrazione di rame nel suolo è funzione del tipo di suolo, delle caratteristiche dei materiali originari e dell’utilizzo di sostanze contenenti metalli pesanti; sostanze utilizzate per la difesa antiparassitaria (in particolare contro gli insetti e funghi infestanti le piante), o per la fertilizzazione, soprattutto con reflui zootecnici. In particolare l’elevato contenuto di rame nelle deiezioni zootecniche è dovuto

all’utilizzo di integratori e additivi alimentari che contengono questo elemento. Le concentrazioni più elevate di rame sono tipiche di molti suoli utilizzati per la viticoltura. In particolar modo, le concentrazioni di Cu nelle piante sono comprese in un range che va da 5 a 20 mg/kg, e che può essere esteso fino a 30 mg/kg. Infine, il rame è un elemento relativamente immobile nelle piante.

ZINCO

Lo zinco (Zn) è un elemento non nocivo né per animali né per piante. Le fonti principali di emissioni sono il traffico veicolare, le fonderie, gli inceneritori, la combustione del carbone, la preparazione di vernici e gomma, i fertilizzanti e i pesticidi.

Il comune range per la concentrazione totale di Zn nei suoli è 10-300 mg/kg con una media di 50 mg/kg. La concentrazione di zinco nel suolo è riconducibile in parte a naturali processi di degradazione dei substrati geologici, da cui i suoli stessi traggono origine, in parte è funzione dell’utilizzo di sostanze per la difesa antiparassitaria o per la fertilizzazione. In particolare, l’elevato contenuto di zinco nelle deiezioni zootecniche è dovuto all’utilizzo di integratori e additivi alimentari che contengono questo elemento. L’importanza relativa delle differenti sorgenti di input di Zn al suolo (Kiekens, 1995) diminuiscono secondo tale ordine:

letame (70%) > fall-out atmosferico (25%) > fertilizzanti minerali (4,5%) > compost (0,3%) > fanghi (0,2%).

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