Roberta Braccia,
"Uxor gaudet de morte mariti": la donatio propter nuptias tra diritto comune e diritti locali *
[A stampa in "Annali della Facoltà di Giurisprudenza di Genova", XXX (20002001), pp. 76128 © dell'autrice -Distribuito in formato digitale da "Reti Medievali"]
Sommario: 1. Premessa: assegni maritali e assegni vedovili 2. L'antefactum nella tradizione giuridica genovese 3. Donatio propter nuptias: un unico nomen iuris per più istituti differenti 4. Scopi e funzioni attribuiti dalla dottrina alla donatio propter nuptias
1. Premessa: assegni maritali e assegni vedovili
Affrontare il complesso tema dei rapporti patrimoniali tra coniugi in età medievale e moderna, per comprenderne meccanismi ed evoluzione, richiede l'analisi di alcuni istituti di natura e tradizione giuridica differente. Come è noto, fra questi un'importanza fondamentale riveste soprattutto la dote che può essere senza dubbio considerata nel periodo medievale e moderno "uno dei pilastri della vita patrimoniale della famiglia"1.
Se la dote occupa un posto di assoluto rilievo non si possono però tralasciare gli impegni patrimoniali assunti dallo sposo e dalla sua famiglia d'origine nei confronti della sposa2.
* Abbreviazioni utilizzate:
ASG Archivio di Stato di Genova
BGB Biblioteca Giuridica P. E. Bensa-Genova BSEC Biblioteca della Società Economica-Chiavari
1G. S. PENE VIDARI, Dote, famiglia e patrimonio fra dottrina e pratica in Piemonte, in AA.VV., La famiglia e la vita
quotidiana in Europa dal 400 al 600. Fonti e problemi , Atti del convegno internazionale, Roma 1986, p. 110. Un'ampia rassegna della più importante bibliografia in tema di famiglia e di dote nel diritto intermedio si trova in M. G. DIRENZO VILLATA, voce Persone e famiglia nel diritto medievale e moderno, in Digesto italiano delle Discipline
Privatistiche-Sezione civile, XIII (1995), pp. 457-460.
2 Della vastissima letteratura in tema di rapporti patrimoniali tra coniugi oltre a Di Renzo Villata, di cui alla nota
precedente, si segnalano per l'approccio sia generale che specifico nei confronti degli apporti maritali (con particolare riguardo all'area italiana): A. PERTILE, Storia del diritto privato, in Storia del diritto italiano dalla caduta dell'Impero
Romano alla codificazione, Milano 1894, vol. III, p. 302 e ss.; F. BRANDILEONE, Studi preliminari sullo svolgimento
storico dei rapporti patrimoniali tra coniugi in Italia, in "Archivio Giuridico", 67 (1901), pp. 201-281 (ora in Scritti di storia del diritto privato italiano, vol. I, Bologna 1931; vedi ivi inoltre dello stesso autore Sulla storia e natura della "donatio propter nuptias", pp. 117-214); ID., Ultima fase delladonatio propter nuptias nella legislazione italiana, in
Scritti pel cinquantesimo anno di insegnamento del professore Francesco Pepere, Napoli 1900, pp. 57-68; C. NANI,
Storia del diritto privato italiano, Torino 1902, pp. 182-196; F. ERCOLE, Vicende storiche della dote romana nella
pratica medievale dell'Italia superiore, Roma 1908 e ID., L'istituto dotale nella pratica e nella legislazione statutaria
dell'Italia superiore, I (in "Rivista italiana per le scienze giuridiche", vol. XLV, fasc. II e III) e II (in "Rivista italiana per le scienze giuridiche", cit., fasc. IV-V-VI), Torino 1909; N. TAMASSIA, La famiglia italiana nei secoli decimoquinto e
decimosesto, Milano 1910, p. 287 e ss.; P. S. LEICHT, Ricerche sul diritto privato nei documenti preirneriani, Roma
1914, pp. 116-121; M. ROBERTI, Le origini romano cristiane della comunione dei beni fra coniugi, Torino 1919 e ID.,
Svolgimento storico della famiglia italiana, Milano 1932; E. BESTA, La famiglia nella storia del diritto, Padova 1933,
pp. 145-156; F. NICCOLAI, La formazione del diritto successorio negli statuti comunali del territorio lombardo-tosco,
Milano 1940; P. VACCARI, Dote e donazione nuziale nell'ultima età romana e nel Medio Evo italiano, in Scritti di
storia del diritto privato, Padova 1956, pp. 79-104; ID., Le vicende ultime degli assegni maritali nell'Italia
meridionale, in Scritti di storia del diritto cit., pp. 119-135, ID., Esperienze storiche sulle vicende del diritto romano
nell'alto medioevo. La "donatio propter nuptias", in Scritti di storia del diritto cit., pp. 105-117; M. BELLOMO, Ricerche
sui rapporti patrimoniali tra coniugi. Contributo alla storia della famiglia medievale, Milano 1961; A. MARONGIU,
Matrimonio e famiglia nell'Italia meridionale (sec. VII-XIII), Bari 1976, pp. 115-206; F. P. DE STEFANO, Romani,
longobardi e normanno-franchi della Puglia nei secoli XV-XVII. Ricerche sui rapporti patrimoniali tra coniugi fino alla prammatica 'de antefato' del 1617 , I, Napoli 1979, ID., La prammatica 'de antefato' nella dottrina e nella prassi
della Puglia, II, Napoli 1986; G. VISMARA, I rapporti patrimoniali tra coniugi nell'Alto medioevo, in Il matrimonio
nella società medievale, Settimane di studio del Centro italiano di studi sull'alto medioevo, Spoleto 1977, pp. 633-691 (ora inScritti di storia giuridica, 5, La famiglia, Milano 1988, pp. 139-189), ID.,La donazione nuziale dalla prassi
ebraico-cristiana al diritto romano, in Scritti di storia giuridica, 9, Tra antichità e medioevo, Milano 2000, pp. 1-106; C. STORTISTORCHI, La tradizione longobarda nel diritto bergamasco: i rapporti patrimoniali tra coniugi (secoli
Si pensa, più precisamente, a determinate figure giuridiche, che ebbero una certa diffusione in Italia e in Europa in particolare tra XI e XII secolo, come il dotario(in Sicilia e in Puglia), l'escreix
(in Sardegna), l'antefato o antiferna (nel regno di Napoli), le arrhae (in Castiglia), lo screix o
sponsalitium (in Catalogna), il douaire (in area francese), l'aumento dotale (in Piemonte), il
quarto (a Roma), la contradote o incontro (in Veneto)3.
Con il presente studio si vuole offrire un contributo al tema degli apporti maritali nell'età del diritto comune secondo due differenti prospettive. Si intende cioè prendere in esame un singolo diritto locale, quello genovese, che sul tema è oltremodo significativo e, quindi, analizzare alcune delle linee generali dell'elaborazione dottrinale, relativa agli apporti in questione, circa la loro qualificazione giuridica e la loro funzione.
Come si avrà modo di constatare, a Genova l'apporto maritale, detto antefactum, avente principalmente la funzione di tutelare la donna in caso di vedovanza, si configura fin dal XII secolo come un atto obbligatorio (antefatto legale). Da altri contesti politico-territoriali e dalla dottrina di diritto comune affiorano invece situazioni del tutto antitetiche rispetto alla tradizione giuridica e alla prassi genovese, per cui, ad esempio, gli apporti maritali o non sono praticati affatto oppure sono previsti come immediata controprestazione del marito per la dote ricevuta dalla moglie.
Fonti privilegiate dell'indagine sono pertanto sia gli statuti e la documentazione notarile, sia la letteratura giurisprudenziale .
Intanto è opportuna una premessa di ordine definitorio. Coloro che si sono impegnati in studi sui rapporti patrimoniali tra coniugi hanno compreso questi istituti, tendenzialmente affini, all'interno di un'unica categoria diversamente e indifferentemente nominata: mentre, ad esempio, Besta ha adottato il termine "apporti maritali", Tamassia ed Ercole hanno fatto riferimento agli "assegni maritali", altri, infine, hanno preferito utilizzare quello di "donazioni nuziali"4.
Un altro termine che risulta essere adoperato largamente dalla storiografia, alternativo spesso a quelli sopraindicati, è "lucri dotali", con cui andrebbero però intesi non tanto gli assegni maritali, aventi una funzione anche constante matrimonio, quanto gli assegni vedovili cioè i reciproci guadagni realizzati dal marito (lucro dotale maritale) e dalla moglie (lucro dotale muliebre) in caso di premorienza di uno o dell'altro coniuge, detti pure "lucri di sopravvivenza"5.
Un'analisi preliminare delle fonti dottrinali permette di affermare che tutti questi istituti, generati dai diversi iura propria, anziché essere considerati autonomamente furono ricondotti dalla scienza giuridica medievale e moderna alla donatio propter nuptias romana6.
Milano 1980, pp. 483-553; A. BELLAVITIS, Identité, mariage, mobilité sociale. Citoyennes et citoyens à Venise au XVIe
siècle, Roma 2001, pp. 193 e passim.
3Per una rassegna dei nomi "volgari" menzionati si veda, ad esempio, A. PERTILE, Storia del diritto privato cit., p. 327
e ss.
4Cfr. rispettivamente E. BESTA, La famiglia cit., pp. 145-156; N. TAMASSIA, La famiglia cit., pp. 287-288; F. ERCOLE,
Vicende storiche della dote cit., soprattutto pp. 160-209. Di apporti maritali o assegni maritali ha parlato anche M. ROBERTI, Le origini romano cristiane cit., p. 110 e ss.. Tra coloro che hanno utilizzato in prevalenza la categoria
"donazioni nuziali" si ricorda, inoltre, P. VACCARI, Dote e donazione nuziale cit., pp. 100-104.). Fra le categorie di più o
meno recente utilizzazione si segnala anche quella di "dote indiretta", cfr., ad esempio, C. KLAPISCHZUBER, La maison
et le nom. Stratégies et rituels dans l'Italie de la Renaissance , Paris 1990, p. 185 e J. GOODY, Famiglia e matrimonio in
Europa. Origini e sviluppi dei modelli familiari dell'Occidente , Roma-Bari 1991, p. 281 e ss.
5La categoria "lucro di sopravvivenza" è stata utilizzata, ad esempio, da M. BELLOMO, La struttura patrimoniale della
famiglia italiana nel tardo medioevo, in Marriage, property and succession, edited by L. BONFIELD, Berlin 1992, p.
63. Anche nella storiografia francese sul tema si fa riferimento ai "gains de survie", cfr. da ultimo J. MUSSET, Le régime
des biens entre époux en droit normand du XVI siècle à la Révolution, Caen 1997, p. 125 e J. BART, Histoire du droit
privé de la chute de l'Empire romain au XIX siècle, Paris 1998, p. 308. Di recente Massetto col termine "lucro dotale" ha indicato esclusivamente il guadagno realizzato sulla dote dal vedovo e non quello ottenuto dalla vedova sul patrimonio del marito, G. P. MASSETTO, Il lucro dotale nella dottrina e nella legislazione statutaria lombarde dei
secoli XIV-XVI, in Ius Mediolani. Studi di storia del diritto milanese offerti dagli allievi a Giulio Vismara, Milano 1996, pp. 190-364.
6Ad esempio, negli indici sistematici di numerose opere "enciclopediche" tra cui, ad esempio, D. TUSCHIPracticarum
conclusionum iuris in omni foro frequentiorum , Romae ex typographia S. Paulini 1606, M. A. SAVELLI, Pratica
universale, Firenze nella stamperia di V. Vangelisti 1696, e nello stesso indexdel Tractatus Universi iuris, non sono quasi mai stati rinvenuti i nomi "volgari" sopraindicati. La voce donatio propter nuptiasli sostituisce tutti. Per quanto riguarda la donatio propter nuptiasla sedes materiaeprincipale si trova all'interno del libro V titolo III del Codex(de
Secondo il diritto romano giustinianeo tale donazione era fatta dal marito alla moglie in compensazione della dote ricevuta ad sustinenda onera matrimonii, era costituita di importo uguale alla dote e una volta sciolto il matrimonio doveva tornare al marito, così come la dote doveva essere restituita alla moglie. Era lecito, però, derogare al suddetto regime mediante la stipulazione inter partesdei cosiddetti pacta de lucranda dote e de lucranda donatione propter nuptias. Tramite questi accordi stipulati al momento delle nozze, ma anche durante il matrimonio, si permetteva al coniuge superstite, marito o moglie, di trattenere soluto matrimonio una parte della dote o della donatio7.
Il fatto che la scienza giuridica medievale e moderna abbia ricondotto tutti gli assegni maritali alla
donatio propter nuptiasrappresenterebbe il risultato di un processo volto alla circolazione di una terminologia giuridica uniforme di cui è ravvisabile un inizio nei secoli precedenti; come sottolinea Vismara "già nell'altomedioevo l'accostamento di termini latini e germanici si era avviato verso il predominio dei primi passando attraverso la ricerca della sinonimia, che è quanto dire attraverso l'identificazione di istituti sorti come espressioni di civiltà diverse, affiancati nella convivenza dei popoli, confluenti infine nell'unità del diritto romanico affermatosi su base territoriale. Taluni nomi hanno mutato significato e sono diventati fungibili"8.
Fra tutti coloro che si sono interrogati sulle sorti della donatio propter nuptiasnei secoli merita di essere ricordato in special modo Brandileone9. I suoi studi si inseriscono in un momento in cui la
storiografia sembra essere stata estremamente sensibile e attenta alla necessità di dare una risposta alle problematiche legate all'origine longobarda, franca o romana dei diversi istituti, scavando nei tempi più remoti per coglierne le primitive radici e intuirne poi le possibili contaminazioni10.
Dopo una dettagliata e contestuale descrizione sia della donatio propter nuptias, sia degli istituti ad essa equivalenti nelle fonti del diritto romano, longobardo e franco, lo studioso ne analizza le vicende in età comunale facendo, quindi, specifico riferimento ai contenuti e all'applicazione del diritto statutario. Forse con l'atteggiamento tipico di quel clima interessato a riportare tutto alla "romanità"11, Brandileone afferma che attraverso gli statuti, i quali avrebbero in qualche modo
recuperato la donatio propter nuptias, l'antico istituto, pur subendo alcune alterazioni, avrebbe soppiantato gli assegni germanici decretandone la scomparsa. In generale lo studioso osserva come la donatio propter nuptias, costituita entro un certo valore, in parecchi luoghi diventò legale, donationibus ante nuptias vel propter nuptias et sponsalitiis). Questa donazione nuziale era stata regolata da Giustiniano che la sostituì alla donatio ante nuptias, entrata in vigore sotto gli imperatori Severo e Antonino; prima di Giustiniano fu, inoltre, modificata da Giustino che ne aveva consentito l'accrescimento anche dopo la celebrazione delle nozze. Ammettendo un'eccezione al generale divieto di donazioni fra coniugi si diede pertanto agli stessi la possibilità di aumentarsi reciprocamente il patrimonio constante matrimonio. Per una ricostruzione sintetica dell'istituto nel diritto romano cfr. M. KASER, Das Romische Privatrecht. 2. Die Nachklassichen entwicklungen,
Munchen 1959, p. 134 e ss; A. GUARINO, Diritto privato romano, Napoli 1997, p. 618; G. PUGLIESE, Istituzioni di diritto
romano, Torino 1998, p. 265. Considerazioni sulla donna nella legislazione giustinianea si trovano in M. T. GUERRA
MEDICI, I diritti delle donne nella società altomedievale, Napoli 1986, pp. 51-64.
7Con la Nov. 97 (Auth. Coll. VII, tit. IX, De aequalitate dotis et propter nuptias donationis, del 539 d. C.) era stata
richiesta l'eguaglianza sia per le quote pattuite sia per la quantità della dote e della donatio propter nuptiasaffinché i lucri fossero uguali non solo "in quotitate" ma anche "in quantitate". Su questo aspetto si sofferma in maniera puntuale G. BOISSONADE, Histoire des droits de l'époux survivant, Paris 1874, pp. 56 e passim. Per un confronto tra la
legislazione antegiustinianea e quella giustinianea in materia di donatiocfr. P. VACCARI, Dote e donazione nuziale cit.,
p. 83 e ss.
8 Cfr. G. VISMARA, I rapporti patrimoniali tra coniugi cit,. p. 169 nt. 102 e pp. 187-188.
9F. BRANDILEONE, Studi preliminari cit., in "Archivio Giuridico", 67 (1901), pp. 201-281; ID., Sulla storia e natura cit.,
pp. 117-214.
10Per una sintesi degli sforzi del Brandileone rivolti a combattere la tesi di coloro che sostenevano la netta derivazione
germanica dell'antefactum,tra cui il Leicht (P. S. LEICHT, Ricerche sul diritto privato cit., pp. 116-121), cfr. per tutti P.
VACCARI, Dote e donazione nuziale cit., pp. 100-104. Sulle diverse interpretazioni e posizioni della storiografia a
proposito della crisi e della scomparsa delle donazioni nuziali di tradizione germanica cfr. inoltre dello stesso P. VACCARI, Esperienze storiche cit., pp. 105-117.
11Su questo atteggiamento assunto dalla storiografia del tempo cfr. per tutti A. ROMANO, Successioni mortis causa nel
Regno di Sicilia (secoli XIII-XVI ), in La transmission du patrimoine. Byzance et l'aire méditerranéenne,édité par J. BEAUCAMP et G. DAGRON, Paris 1998, p. 218 nt.
mentre prima era stata solo convenzionale. Queste trasformazioni sarebbero state formalizzate dal legislatore il quale, "quando abolì gli assegni germanici da prima usati, volle accordare un compenso alle donne, trasportando sull'antifactum il carattere di iustitia proprio della quarta e della tertia abolite"12.
Le indagini del Brandileone dirette sostanzialmente a ricondurre l'origine e la figura dell'antefatto entro gli schemi romanistici, allo scopo di rimarcare la crisi e la scomparsa delle donazioni nuziali di tradizione germanica, sono state, superate da studi posteriori che ne hanno messo in luce i limiti e completato le lacune13. A questo riguardo devono essere segnalati gli studi di Bellomo che si è
concentrato sugli sviluppi della prassi e sull'evoluzione della scienza giuridica in tema di donatio propter nuptias nel periodo compreso tra XII e XIII s
ec
olo14.Dopo aver criticato alcuni dei metodi di indagine adoperati dalla vecchia storiografia, lo studioso osserva che "nello sforzo di risolvere un problema di origini (che per noi è diventato inespressivo ed inattuale, per lo meno nella sua tradizionale impostazione) e nel tentativo di fondare la storia dei donativi coniugali sulle leggi del passato, la nostra storiografia ha finito col lasciare nell'ombra una vasta problematica, che muove dall'esigenza di comprendere i motivi per i quali le famiglie comunali usavano dell'antefactum ed avversavano ed odiavano la quarta e la donatio propter nuptias". In sostanza per Bellomo "che l'antefactum coincidesse, più o meno perfettamente, con la
donatio ante nuptias praticata al tempo dell'Impero romano e codificata dal diritto teodosiano, è una constatazione meramente erudita che può avere qualche valore, ma che non può ambire a spiegare fenomeni di così vaste proporzioni come la trasformazione e la riorganizzazione della famiglia medievale nel punto dei rapporti patrimoniali tra coniugi"15. Superata in tal modo la
vexata quaestio delle origini, lo studioso dimostra che l'antefatto si presenta nelle fonti di ius proprium come un semplice diritto di credito e non come fonte di diritti reali; da qui la radicale differenza tra l'antefatto e la donatio propter nuptias romana che, invece, implicava proprietà e possesso della moglie sui beni oggetto della donazione anche constante matrimonio16.
Contemporaneamente rileva come i glossatori, trascurando quanto stava accadendo nelle singole realtà politico-istituzionali, non solo indicavano col medesimo nome i donativi maritali di diversa origine, ma configuravano in ogni caso come diritti reali le ragioni vantate dalla moglie constante matrimonio sulla donatio propter nuptias17.
12 F. BRANDILEONE, Studi preliminari cit., p. 252. Per quanto riguarda gli assegni germanici, il riferimento è alla
disciplina del morgengabe o dono del mattino nella legislazione longobarda (poi quarta) e del corrispondente istituto nella legislazione franca (tertia); per una descrizione di sintesi di questi istituti cfr. M. BELLOMO, La condizione
giuridica della donna in Italia. Vicende antiche e moderne, Roma 1996, pp. 21-27. Un'analisi sommaria della disciplina degli assegni germanici recepita anche in Italia è stata condotta da M. T. GUERRAMEDICI, I diritti delle
donne cit., pp. 108-112 e 261-271.
13 Lo sforzo di ricondurre i lucri dotali alla donazione obnuziale romana è evidente anche in un altro saggio di
Brandileone in cui studiando gli apporti maritali "nelle consuetudini e negli statuti locali vigenti in molte terre d'Italia, e prima dell'introduzione del codice civile francese e anche dopo, là dove la restaurazione s'affrettò ad abrogar subito le leggi straniere" si chiese se fosse esatto dal punto di vista storico e giuridico "riconnettere sia le disposizioni statutarie accennate sia quelle dei codici parmense e albertino alla donatio propter nuptiasdel diritto romano", F. BRANDILEONE,
Ultima fase della donatio propter nuptias cit., pp. 57-68.
14 M. BELLOMO, Ricerche sui rapporti patrimoniali cit. Per comprendere la complessità del tema dei rapporti
patrimoniali tra coniugi e degli apporti matrimoniali nell'età precedente a quella indagata da Bellomo, ovvero nell'Italia romana, bizantina e germanica, è fondamentale lo studio di G. VISMARA, I rapporti patrimoniali tra coniugi
cit., pp. 139-189. Si veda inoltre dello stesso G. VISMARA, La donazione nuziale cit., pp. 1-106. 15 M. BELLOMO, Ricerche sui rapporti patrimoniali cit., p. 19.
16 M. BELLOMO, Ricerche sui rapporti patrimoniali cit., p. 27; ID., voce Rapporti personali tra coniugi (dir.
intermedio), in Enciclopedia del diritto, vol. XXXVIII (1987), pp. 382-383; ID., La struttura patrimoniale della
famiglia italiana cit., p. 63. Sulle diverse specie di donazione nel diritto intermedio cfr. ID., voce Donazione (dir.
intermedio), in Enciclopedia del diritto, vol. XIV (1964), pp. 955-965.
17M. BELLOMO, Ricerche sui rapporti patrimonialicit., pp. 35-36. Un caso emblematico di dissidio tra teoria e pratica
in materia di apporti maritali è stato analizzato da A. GOURON, Un échec des glossateurs: l'égalité des apports
matrimoniaux et la pratique méridionale, in "Recueil de mémoires et travaux publiés par la Société d'histoire du droit et des Institutions des anciens pays de droit écrit",fasc. XII (1983), pp. 93-105.
Questa costruzione dottrinale, favorevole alla configurabilità di un diritto reale in capo alla moglie, non sarebbe stata del tutto coerente con la tendenza a limitare progressivamente i diritti patrimoniali delle donne compresi quelli successori, secondo meccanismi che si diffusero in molteplici contesti politico-istituzionali europei.
Si capisce quindi come nella pratica risultasse preferibile che la moglie constante matrimonio
fosse solamente creditrice della donatio propter nuptias, non dominadi essa, e potesse conseguire la soddisfazione del suo credito solo nel caso in cui fosse sopravvissuta al marito. L'attività ermeneutica dei glossatori, sviluppata sul testo del corpus, volta invece ad affermare la posizione di
domina della moglie sui beni costituenti la donatio, era poco aderente ai mutamenti socio-economici in atto, che - come si è detto - non potevano prescindere da un ridimensionamento dei poteri della moglie e dei diritti patrimoniali della donna.
Un ulteriore e non trascurabile elemento che ha contribuito a complicare la situazione, rendendo problematica, se non impossibile, una prima coerente elaborazione dottrinale in materia, è costituito dagli intrecci con le consuetudini di origine diversa da quella romana.
Al fine di comprendere quale fosse la percezione nella scienza giuridica coeva del problema relativo alla presenza della tradizione giuridica longobarda, sembra significativo segnalare l'opinione di Andrea Bonello da Barletta e di Biagio da Morcone. Con grande capacità di sintesi e consapevolezza il primo delinea le differenze esistenti tra il diritto romano e quello longobardo in tema di doni maritali18. Confrontando la donatio propter nuptias romana e il morgengab, cioè il
corrispondente istituto di diritto longobardo, sottolinea come una differenza evidente sia ravvisabile nella determinazione del quantum: per il diritto romano, infatti, rispettando il principio dell'aequalitas (C. 5. 3. 20. 6),la donatiodeve essere di importo uguale alla dote; per il diritto longobardo, invece, la donazione che il marito corrisponde alla moglie in occasione delle nozze non può superare la quarta parte dei propri beni. L'elemento distintivo più consistente tra i due donativi risiederebbe nel fatto che mentre la donatio propter nuptiasdel diritto romano era costituita ad mensuram dotis e in mancanza di questa la moglie non poteva pretendere alcuna donazione, la donatio matutina del diritto longobardo era attribuita sempre e indipendentemente dalla presenza di un apporto muliebre, andando ad incidere sul complesso del patrimonio del consorte.
Un altro giurista meridionale, Biagio da Morcone, in un'opera simile e posteriore a quella di Andrea Bonello da Barletta, interrogandosi sull'origine delle donazioni nuziali tra marito e moglie, non riscontra invece alcuna differenza fra la tradizione giuridica longobarda e quella romana: "super qua donatione propter nuptias est dicendum quod non discrepent ius Romanum et Longobardum inter se quo ad inventionem ipsius donationis, quia talis donatio propter nuptias quam nos legiste quartam interpetramur est inventa tam Longobardo quam Romano iure"19.
In ogni caso già dal XII secolo può considerarsi ormai largamente avviata la fase di sovrapposizione delle fonti del diritto romano e longobardo. E' possibile quindi seguire le tappe evolutive di istituti che, pur assumendo caratteristiche peculiari da luogo a luogo, presentano lo stesso comune denominatore: la riconducibilità alla donatio propter nuptias. Non è improbabile che il lavoro dei giuristi, condotto sul diritto giustinianeo, abbia contribuito in parte al processo di assimilazione delle donazioni nuziali di origine e tradizione differente20.
L'esperienza genovese permette di seguire questo tipo di evoluzione: dal superamento di una tradizione giuridica diversa da quella romana, si delinea un istituto che, con alcuni aspetti di originalità rispetto a realtà coeve, risponde ad istanze di riorganizzazione familiare e sociale
18ANDREEDEBARULOCommentaria, in Leges langobardorum cum argutissimis glosis Caroli de Tocco, rist. anast.
ed. Venetiis 1537, a cura di G. ASTUTI, Torino 1964, tit. XXII de donationibus propter nuptias, p. 473. Su autore e opera
cfr. F. LIOTTA, voce Bonello Andrea, in Dizionario Biografico degli Italiani, XI, Roma 1969, p. 778.
19BLASIIDE MORCONODe differentiis inter ius longobardorum et ius romanorum tractatus, a cura di G. ABIGNENTE,
Napoli 1912, r. de his que a viro in uxorem dantur, pp. 115-116. Su Biagio da Morcone e la sua opera cfr. F. CALASSO,
Medioevo del diritto. I. Le fonti, Milano 1954, pp. 553-554.
20 Questa spiegazione è condivisa da B. M. KREUTZ, The twilight of morgengabe, in Portraits of Medieval and
Renaissance Living, Essays in Memory of David Herlihy , edited by S. K. COHNJr. and S. A. EPSTEIN, Ann Arbor
comuni nelle linee essenziali a tutto il contesto europeo. La dottrina del diritto comune si farà portatrice di queste istanze, approntando degli schemi e avvallando soluzioni che esprimono norme e pratiche di un'identità familiare incentrata sul nome dei padri.
2. L'antefactum nella tradizione giuridica genovese
Verso la fine del XII secolo a Genova e in Liguria sia la prassi notarile sia la legislazione statutaria testimoniano la presenza di un apporto maritale: l'antefatto o antifactum21. In particolare, per
quanto concerne la legislazione genovese, il più antico accenno a tale istituto si rinviene all'interno di un provvedimento dei consoli della città del 113022. Da sempre la storiografia sostiene che i
contenuti di quest'ultimo attestino la presenza a Genova di una distinzione tra donne maritate "secundum usum et consuetudinem" e donne maritate "secundum legem" con evidenti implicazioni circa la costituzione degli apporti maritali. Alle spose, infatti, "secondo la consuetudine" sarebbero stati attribuiti due apporti maritali distinti, l'antefatto e la "tercia", mentre nel secondo caso sarebbe spettato loro esclusivamente l'antefatto23.
Sulla base di opinioni consolidate la "tercia", istituto di origine franca, non solo avrebbe consentito alle mogli di acquisire un terzo dei beni del marito una volta che questi fosse morto, ma avrebbe attribuito alle stesse constante matrimonio un diritto reale sulle sostanze dello sposo dando vita ad una sorta di comunione parziale dei beni tra coniugi24.
Le vicende dell'antefatto nella tradizione giuridica genovese hanno suscitato l'interesse della storiografia soprattutto in merito ad un provvedimento del 1143 mediante il quale i consoli del Comune, riuniti ai consoli dei Placiti, abolirono la "tercia" lasciando alle donne il solo antefatto. Si tratta di una delibera intitolata appunto "laus de terciis ablatis mulieribus" con cui i magistrati cittadini "laudaverunt et affirmaverunt ut firmum et stabile sit quod nulla femina de Ianuensi episcopatu dehinc in antea habeat terciam per aliquam occasionem ex parte mariti, sed pro antefacto possit habere usque in libras centum et hoc habeat secundum preteritam consuetudinem huius civitatis"25.
Come emerge dal contenuto del provvedimento in esame, oltre all'abolizione della terza, l'antefactum, istituto ormai consolidato nella prassi consuetudinaria genovese, si trasformò da assegno convenzionale in assegno legale; inoltre ne venne sancito il valore massimo delle 100 lire entro il quale poteva essere costituito26.
21Per quanto riguarda il termine antifactum, esso sarebbe comparso per la prima volta nell'Expositio ad Librum
Papiensem, G. VISMARA, I rapporti patrimoniali tra coniugi cit., p. 172.
22Cfr. I Libri Iurium della Repubblica di Genova, vol. I/1 a cura di A. ROVERE, Genova 1992, doc. 138 (1130). Come
osservò già a suo tempo Salvioli (G. SALVIOLI, La condizione giuridica della donna a Genova nel secolo XI, in "Rivista
di storia e filosofia del diritto", I (1897), pp. 205-206) in questi anni a Genova la capacità giuridica della donna subì un forte ridimensionamento attraverso provvedimenti che ne limitarono la capacità contrattuale, cfr. ad esempio, I Libri Iurium cit., doc. 90.
23Cfr. F. ERCOLE,Vicende storiche della dotecit., pp. 92-95; F. NICCOLAI, La formazione del diritto successoriocit.,
pp. 193-194. La coesistenza a Genova di una pluralità di assegni non stupisce. E' noto, infatti, che le donne franche, come le longobarde, potevano ricevere dallo sposo due assegni: la tertiae la quartarispettivamente e un altro assegno, detto appunto antifactum, G. VISMARA, I rapporti patrimoniali tra coniugi cit., p. 172; sul cumulo degli assegni cfr.
inoltre F. ERCOLE, Vicende storiche della dote cit., pp. 131-136.
24 G. VISMARA, I rapporti patrimoniali tra coniugi cit., in particolare p. 124 e ss.
25I Libri Iurium cit., doc. 64, pp. 106-107. Il provvedimento così prosegue: "Femine vero que habent viros tertiam
prorsus non habeant, set antifactum firmiter optineant sicut pactum illis fuit et si alicui femine ab aliqua persona vel pro pacto vel pro sacramento vel sub aliqua occasione plus fuerit factum quam hoc quod supra determinatum est eo quod maritum accipiat nichil valeat, sed heredes possint requirere superfluum de hoc quod supra determinatum est. Mulieribus autem illis quarum mariti iam morti sunt ista capitula non noceant".
26 Sul provvedimento del 1143, sulla tertiae sull'antefactum nel XII secolo a Genova cfr. F. BRANDILEONE, Studi
preliminari cit., pp. 239-240 e pp. 269-270; F. ERCOLE,Vicende storiche della dotecit., pp. 92-101 e pp. 164-168; D.
OWENHUGUES, Urban growth and family structure in medieval Genoa, in "Past and Present", 66 (1975), pp. 13-15 e
ss. (tradotto in italiano, Sviluppo urbano e struttura della famiglia a Genova nel medioevo, in I vincoli familiari in Italia, a cura di A. MANOUKIAN, Bologna 1983, pp. 85-109). Delle fonti genovesi del XII secolo in tema di antefatto si è
occupato in maniera specifica Giovanni Forcheri in un breve studio dedicato alla regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra coniugi a Genova in quel periodo, G. FORCHERI, I rapporti patrimoniali tra coniugi a Genova nel
L'annalista Caffaro riporta l'evento riferendo che "in isto consulatu tercie ablate fuerunt mulieribus"27; molto più significativa di qualunque commento o riflessione è la nota immagine,
riprodotta nella ristampa degli Annali, di due donne "con enormi mani visibilmente vuote, alzate come per atto di disperazione"28.
Anche l'annalista Giustiniani menziona l'episodio sottolineando come esso determinò non tanto la fine della "tercia" quanto "l'origine della legge dell'antefatto": "Sequita l'anno di mille cento quaranta tre nel quale furono consoli... e perché era consuetudine che in quel tempo in la terra, che le donne vedove, così quelle che havevano figlioli, come quelle che non havevano, hereditavano la terza parte de i beni del marito, fu cassata et annullata nel tempo di questi consoli questa consuetudine della qual cosa lamentandosene le donne e parendosi gravate fu fatta la legge dell'antifatto in favor loro la quale si osserva infino a questo tempo..."29.
Considerata la "tercia" un istituto di derivazione franca, che, come si è detto, permetteva alle vedove di pretendere una parte del patrimonio del marito defunto, la sua abolizione - in base a conclusioni generalmente condivise - potrebbe essere il segno da un lato della "rinascita" del diritto romano, dall'altro di una nuova maniera di pensare i rapporti patrimoniali tra coniugi e la stessa famiglia nella nascente realtà comunale. L'abolizione genovese della "tercia" viene infatti riportata dagli storici come l'episodio emblematico di un fenomeno di ampia portata che si manifestò progressivamente nel giro di qualche decennio e nei secoli successivi in altre città e zone dell'Italia settentrionale: l'odium terciae e quartae30.
Claudia Storti Storchi nelle sue recenti ricerche sui costituti pisani della legge e dell'uso ricorda come già nel 1141 a Pisa il legislatore avrebbe provveduto ad abolire la quarta con effetto retroattivo, mediante una norma che rappresenta il vero precedente dell'odiumnei confronti degli assegni maritali di tradizione diversa da quella romana31. Rileva inoltre la studiosa che dopo
l'abolizione della quarta"l'antifactum, come la donatio anteo propter nuptias del diritto romano finì per indicare il donativo offerto dal marito alla moglie in cambio della dote"; un donativo che se all'inizio aveva avuto efficacia durante il matrimonio poi si convertì in un mero lucro vedovile32.
La storiografia, che - come si è detto - si è soffermata spesso sull'odium terciae e quartae per decifrarne le cause, è concorde nel ritenere come una delle possibili spiegazioni di tale fenomeno possa essere ricercata nel sovrapporsi in età altomedioevale degli assegni maritali germanici alla
donatiodel diritto romano. Una simile coesistenza avrebbe portato ad un notevole accrescimento dei diritti delle donne sulle sostanze dei mariti, a danno degli interessi di questi ultimi e della loro secolo XII, in "Bollettino ligustico per la storia e la cultura regionale", II (1970), pp. 3-20. Un sintetico riferimento al provvedimento consolare del 1143 si trova anche in M. STAGLIENO, Le donne nell'antica società genovese, Genova
1879, pp. 43-44; P. CAMMAROSANO, Aspetti delle strutture familiari nelle città dell'Italia comunale (secoli XII-XIV),in
"Studi Medievali", ser. 3, 16 (1975), pp. 419-420; e, da ultimo, in S. A. EPSTEIN, Genoa and the Genoese (958-1528),
Chapel Hill 1996, p. 45. Si segnalano, inoltre, per l'interessante contesto in cui viene inserito l'istituto dell'antefatto due studi rispettivamente di D. OWEN HUGUES, Domestic ideals and social behavior: evidence from medieval Genoa, in
The history of the family, a cura di C. ROSENBERG, Filadelfia 1975, pp. 115-143 e di M. ANGELOS, Women in Genoese
commenda contracts, 1155-1216, in "Journal of Medieval History", 20 (1994), p. 310.
27Cfr. gli Annali genovesi di Caffaro e de' suoi continuatori, I, cura di L. T. BELGRANO, Fonti per la storia d'Italia, X,
Genova 1890, p. 31. Sugli annalisti cfr. G. PETTI BALBI, Caffaro e la cronachistica genovese, Genova 1892. 28 Cfr. M. BELLOMO, La condizione giuridica della donna cit., p. 38.
29 A. GIUSTINIANI, Castigatissimi Annali con la loro copiosa tavola della eccelsa et illustrissima Repubblica di
Genova , Genova 1537, cc. 37 v. e 38 r..
30Sull'odium tertiaee, soprattutto, quartaecfr. per tutti M. BELLOMO, Ricerche sui rapporti patrimoniali cit., pp.
1-25, sul caso genovese cfr. pp. 8-9. Su questo argomento e, in particolare, sulle vicende legate alla quartasi veda inoltre C. STORTISTORCHI, La tradizione longobarda nel diritto bergamasco cit.,pp. 503-506 e passim. La terzae la quarta
furono abolite, ad esempio, ad Alessandria nel 1179, a Novara nel 1187, cfr. F. NICCOLAI, La formazione del diritto
successorio cit., p. 215 nt. La quarta sarebbe stata abolita anche a Parma, cfr. F. ERCOLE, La dote romana negli statuti
di Parma, Parma 1908, p. 22 e ss. in cui si fa ampiamente riferimento ad altri casi analoghi.
31C. STORTISTORCHI, Intorno ai costituti pisani della legge e dell'uso (secolo XII), Napoli 1998, pp. 72-73. La norma in
questione intitolata de morgincap sublato recita: "Quarta non detur mulieribus ab anno MCXLI incarnationis Domini die sancte Lucie. Viduis autem ante hoc tempus quarte petitio iuxta legem longobardam denegetur".
famiglia: da qui la necessità di ridimensionare in qualche modo le pretese e le ambizioni delle mogli sul patrimonio del coniuge33.
Questa contrazione dei diritti patrimoniali delle donne sarebbe poi contemporanea ad un ulteriore fenomeno per cui a Genova nel dodicesimo secolo le famiglie aristocratiche urbanizzate iniziarono ad orientarsi verso un regime patrilineare che ebbe modo di svilupparsi, tra l'altro, grazie ad un sistema successorio favorevole più agli uomini che alle donne34.
L'abolizione genovese della tertia, pertanto, potrebbe essere stata dettata da esigenze di riorganizzazione familiare e, quindi, politiche35.
Qualunque siano state le ragioni che indussero i consoli genovesi ad eliminare la tertia dalle pratiche matrimoniali, ci si deve interrogare sulla natura dell'apporto maritale sopravvissuto. Per fare ciò occorre indagare sia sul tipo di beni solitamente oggetto di donazione sia sui poteri concreti ed eventuali spettanti al marito e alla moglie sui beni donati constante matrimonio, questioni entrambe che non sono state sufficientemente approfondite dalla storiografia.
Dagli atti notarili rogati nel XII secolo si evince che solo raramente l'antefatto veniva costituito dal marito o dai parenti di esso in specifici beni. Viceversa nella maggior parte dei casi era rappresentato da una somma da prelevarsi pro more et consuetudine civitatis Ianuae su tutti i beni del marito habiti et habendi: quindi sul complesso del suo patrimonio36. In genere negli atti
esaminati i contraenti si accordano nel modo seguente:
Ego Albertus quondam dono nomine antefacti tibi Rosae sponsae meae libras quinquaginta in bonis que habeo et habiturus sum, habendas et tenendas pro more et consuetudine civitatis Ianuae37.
Dalla formula "habeo et habiturus" - ma soprattutto, come si vedrà, dalla legislazione statutaria successiva - si ricava che l'antefatto si traduceva sostanzialmente in un lucro vedovile e non in un vero e proprio apporto maritale di cui la donna potesse disporre constante matrimonio.Sebbene dalle fonti coeve non sia possibile delineare con esattezza la portata della formula "pro more et consuetudine Ianuae", l'antefatto sembrerebbe da intendersi come un semplice diritto di credito della moglie, legato all'alea della sua sopravvivenza al marito ed esigibile su tutte le sostanze di
33Cfr. F. ERCOLE,Vicende storiche della dotecit., p. 160. Secondo Vaccari in questo periodo si afferma una "esigenza
nuova dei rapporti familiari e comunali, che si esprime nella conservazione dei patrimoni aviti e quindi nell'avversione agli assegni maritali e nella preferenza accordata al marito superstite", P. VACCARI, Dote e donazione nuziale cit., p.
104.
34D. OWEN HUGUES, Sviluppo urbano e struttura della famigliacit., p. 85 e ss. e ID., Struttura familiare e sistemi di
successione ereditaria nei testamenti dell'Europa medievale, in "Quaderni storici", 33 (1976), p. 936 e sg. La studiosa arriva a tali conclusioni analizzando numerosi rogiti notarili genovesi del XII e XIII secolo dal 1156 in poi. Per quanto riguarda il diritto successorio genovese cfr. nota 48.
35 C'è chi sostiene che il divieto di corrispondere alle donne l'assegno di tradizione franca avrebbe favorito il
consolidamento del potere di quelle famiglie che componevano la nobiltà di governo e che partecipavano attivamente alla vita politica del comune, M. BELLOMO, Ricerche sui rapporti patrimoniali cit., p. 24; D. OWEN HUGUES, Sviluppo
urbano e struttura della famiglia cit., pp. 95-98 la quale, in particolare, osserva che "i collegamenti fra partecipazione politica, solidità dell'insediamento residenziale e successo economico all'interno della città, tendevano a ridurre i diritti delle madri, delle figlie e delle spose", p. 95.
36Moltissimi atti rogati tra il 1154 e il 1164 attraverso i quali il marito fa alla moglie una donazione "nomine antefacti"
si trovano, in particolare, ne Il cartolare di Giovanni Scriba, Torino 1935, vol. I e vol. II a cura di M. CHIAUDANOe M.
MORESCO. Cfr. ad es. tra gli atti di Giovanni Scriba il doc. 157 (1157), vol. I: "... Ego Wuillelmus filius Anselmi dono
Aimeline mee uxori libras C nomine antefacti in medietate eius quod pater meus habet in Calignano, reliquum in mobilia eiusdem et hoc consensu eius has habeat et teneat pro more et consuetudine huius civitatis". Di rado poi sono indicati solo i beni donati nomine antefactisenza valutarne il corrispettivo in lire genovesi, ad esempio cfr. ibidem doc. 424 (1158) vol. I: "... Ego Ido Contardus dono tibi Ermelline uxori mee nomine antefacti ad habendum et tenendum pro more et consuetudine huius civitatis Ianuae scilicet has que do tibi in hoc quod habeo in Albario et si ibi defuerit in aliis bonis meis tibi suppleatur. Promitto itaque sub pena dupli a me stipulanti promissa quod hanc donacionem defendam et actoriçabo per me et meos heredes tibi et tuis heredibus et propterea bona quae habeo et habiturus sum pignori subicio ut nisi sic observavero in bonis meis quibus volueris pro ipsa pena deinde intrare possis idque tua autoritate et sine decreto tibi estimari facias et nomine vendicionis deinde possideas...".
lui38. Apparirebbe cioè come un diritto il cui esercizio è condizionato dal verificarsi di un evento
futuro e incerto cioè dalla morte del coniuge.
Tuttavia il marito constante matrimonio non poteva nemmeno decidere liberamente sulla sorte dei beni donati alla moglie a titolo di antefatto. Questo assunto sarebbe provato, ad esempio, dal contenuto di un atto notarile rogato nel 1156 attraverso il quale i coniugi diedero facoltà ad un terzo di vendere tutti i diritti spettanti alla moglie pro antefacto su di un immobile39. Il tenore
dell'atto in questione è il seguente:
... Nos Lanfrancus et Marchesia iugales damus tibi Ribaldo de Saraphia facultatem vendendi omnes drictus quos ego Marchesia habeo pro antefacto in domu quae fuit quondam W. Lanfranci Coiosi... et promittimus per nos et nostros heredes quod rata habebimus et omni tempore firmum quicquid inde feceris nec retractabimus eam... Ego Marchesia facio hoc consilio propinquorum meorum abrenuncians iuri hypothecarum, senatus consulto Velleiani et legi Iulie de dotali predio inextimato...40.
Come si può notare la moglie partecipa in prima persona alla conclusione del contratto manifestando direttamente il proprio consenso unito a quello del marito e all'intervento consueto dei "propinqui"41.
L'ipotesi che si trattasse di un diritto di credito e non di un diritto reale troverebbe poi conferma nella circostanza che, all'interno degli atti notarili esaminati, il marito a garanzia dei beni donati a titolo di antefatto costituiva, unitamente alla donatio, un pignusa favore della moglie su tutti i propri beni presenti e futuri; se ci fosse stata una traditioimmediata di beni alla moglie allora tale impegno da parte del marito sarebbe risultato non necessario:
Ego Niger de Placa de Paxano accepi a te Bonfante uxore mea pro tuis dotibus libras quinque Ianue et dono nomine antefacti tantum in bonis meis habitis et habendis quod bene valeat libras quinque quas volo ut habeas meo dono secundum more Ianue et cetera et inde omnia habita et habenda tibi pignori obligo42.
38Alla moglie spettava l'antefatto anche in caso di divorzio, vedi Il cartolare di Giovanni Scriba cit., vol. II, doc. 978
(1162): "Ego Ansaldus Cigala stipulanti tibi Petro Capellano promitto sub pena dupli me facturum quod nurus tua Druda contenta sit de antefacto suo et quod ipsa nec aliquis per eam nec aliqua parte inde ulterius conveniet aut inquietabit aut contigerit quod morte vel alio casu inter eam et vestrum filium divorcium celebretur. Pro ipsa pena bona mea vobis pignori subicio..."; cfr. inoltre doc. 982 (1162).
39Sull'intervento della donna negli atti di alienazione compiuti dai mariti cfr. F. ERCOLE,Vicende storiche della dote
cit., p. 123 e ss. Ercole osserva che dopo la metà del XII la donna non interviene più all'atto per compierlo insieme col marito, ma per dare semplicemente il suo consenso o per rinunciare ai suoi diritti sui beni venduti; questo dato, rilevabile anche nelle carte genovesi, segnerebbe il definitivo passaggio dal sistema germanico al sistema romano.
40 Cfr. Il cartolare di Giovanni Scriba cit., vol. I, doc. 107 (1156).
41La partecipazione dei "propinqui" era considerata obbligatoria, sono numerosi infatti gli atti di vendita in cui la
donna manifesta il proprio consenso con l'intervento di almeno due di loro (cfr.Il cartolare di Giovanni Scriba cit., vol. I, doc. 577 [1159]) oppure, in mancanza di parenti, con il consenso di due amici o vicini (cfr. Il cartolare di Giovanni Scriba cit., vol. I, doc. 584 [1159]).
42Oberto Scriba de Mercato (1190),a cura di M. CHIAUDANOe R. MOROZZODELLAROCCA, Torino 1938, doc. 144. Per
un'ampia gamma di atti notarili in cui si costituisce alla moglie l'antefatto cfr. i docc. 13, 24, 28, 32, 37, 46, 70, 81,92, 113, 227, 233, 276, 315, 372, 396, 429, 450, 467, 478, 498, 555, 563, 566, 567, 573, 580, 590, 597, 620, 674. Cfr. inoltre
Oberto Scriba de Mercato (1186),a cura di M. CHIAUDANO, Torino 1940, docc. 56, 103, 114, 156, 168, 211, 225, 278,
303. Per un esempio di atto con cui alla vedova è restituita la dote con l'antefatto cfr. il doc. 315. Si segnalano poi, ad esempio, in Guglielmo Cassinese (1190-1102),a cura di M. W. HALL, H. C. KRUEGERe R. L. REYNOLDS, Torino 1938,
vol. I, i docc. 5, 35, 56, 73, 115, 129, 222, 253 e 341, e del vol. II, i docc. 1157, 1227, 1247, 1262, 1353, 1448, 1546 e 1550 in Bonvillano (1198), a cura di J. E. EIERMAN, H. G. KRUEGERe R. L. REYNOLDS, Torino 1939, i docc. 14, 22, 36, 37, 50,
99, 106, 134, 142, 145, 160, 168, 181, 196, 199, 203, 206, 207, 220 e in Giovanni di Guiberto(1200-1211), a cura di M. W. HALL COLE, H. G. KRUEGER, R. G. REINERTe R. L. REYNOLDS, Torino 1939, vol. I, docc. 11, 77,133, 154, 248, 273,
404, 462 e del vol. II i docc. 1220, 1280,1430, 1529, 1536, 1537 e 1590. Circa dello stesso periodo sono gli atti rogati da
Lanfranco (1202-1226), a cura di H. C. KRUEGER e R. L. REYNOLDS, Genova 1951, vol. I, si vedano ad esempio i docc.2,
9, 21, 36, 76, 84, 97, e del vol. II i docc. 936, 1008, 1062, 1303, 1452 1582 e 1691, ma ve ne sono moltissimi altri. Lo schema seguito è sempre il solito, cioè il marito rilascia quietanza per la dote ricevuta e costituisce un antefatto in una
A fronte di tale garanzia, il corrispettivo dei beni donati nomine antefactirimane quindi constante matrimonio nella disponibilità del marito; in pratica l'antefatto sembra tradursi in una donazione
inter vivoscon effetti post mortem. Assolvendo la sua funzione soluto matrimoniosi può pertanto sostenere che la donazione genovese assunse fin dal XII secolo i connotati di un mero assegno vedovile.
Gli atti notarili esaminati tacciono, invece, riguardo all'esistenza di un corrispondente diritto del marito sui beni della moglie ovvero non risulta che il marito fosse titolare di un diritto analogo in caso di morte della moglie; visto però il rinvio generico predisposto negli atti alla consuetudine e agli usi di Genova e alla luce di quanto sarà stabilito dai primi statuti genovesi non si può escludere che anche al marito rimasto vedovo spettasse un assegno da prelevarsi sui beni dotali43.
Solo con gli statuti genovesi del XIII-XIV secolo fu imposta legislativamente la reciprocità dei lucri, infatti il soggetto titolare del diritto di lucro è identificato nel coniuge superstite sia esso il marito oppure la moglie44. Le norme statutarie genovesi non precludono alle parti di disporre liberamente
sul quantum dell'antefatto di spettanza della moglie e del lucro maritale, ma predispongono la disciplina da applicarsi in via suppletiva nel caso in cui i coniugi non abbiano provveduto in vita ad accordarsi in maniera differente45.
Tralasciando la questione del lucro maritale, per quanto concerne la vedova e l'assegnazione dell'antefatto si stabilisce che vi debba essere una perfetta corrispondenza tra esso e la dote; si impone cioè che l'antefatto, in assenza di patti contrari, sia costituito de iure di valore uguale a quello della dote, sempre che la dote non superi l'ammontare di cento lire.
Nel cap. 126 del libro III (de solucione docium mulierum) si stabilisce poi che le vedove con figli, entrate in possesso della dote, dell'antefatto e di quant'altro abbia legato loro il marito defunto, possano "de ipsis dotibus, antefacto et legatis... capere et habere proventum et introitum in vita sua non obstante condicione parentum suorum".
Il cap. 128 relativo al lucro maritale (que quantitas dotium remanere debeat viro uxore defonta),
norma a cui tra l'altro viene esplicitamente attribuita efficacia retroattiva, afferma la suddetta condizione di reciprocità; si dispone quindi che al vedovo spetti una parte della dote corrispondente al valore dell'antefatto pattuito46. Sempre all'interno del cap. 128, dopo aver
previsto il principio di reversibilità del lucro ai figli, si sottolinea come la richiesta dell'antefatto da
determinata somma "secundum morem et consuetudinem civitatis Ianuae", garantendo tale donazione con tutti i suoi beni presenti e futuri".
43Cfr. G. FORCHERI, I rapporti patrimoniali tra coniugi a Genova cit., p. 15 e passim. Su questo punto cfr. inoltre F.
ERCOLE, L'istituto dotale cit., pp. 43 e ss. Sul lucro dotale del marito cfr. da ultimo G. P. MASSETTO, Il lucro dotale cit. 44Gli statuti genovesi del XIII-XIV secolo, conosciuti come Statuti di Pera,sono stati pubblicati da V. PROMIS(Statuti
della colonia genovese di Pera , in Miscellanea di storia italiana, XI (1871), pp. 513-580) sulla cui tradizione manoscritta cfr. V. PIERGIOVANNI, Gli statuti civili e criminali di Genova nel Medioevo. La tradizione manoscritta e le
edizioni, Genova 1980, in particolare pp. 27-84 (il manoscritto si trova nella Biblioteca Universitaria di Genova, Ms. B. III. 34 e nella Biblioteca Reale di Torino, Ms. St. Pa. 250).
45Statuti di Pera, cap. III/131 (de antefacto mulierum restituendo): "Si qua mulier dedit vel dederit in dotem aut pro
ea date vel promissae fuerint usque in libris C vel valens, si matrimonium completum fuerit, ego presumam et laudabo,
ubi non fuerit antefactum a marito vel alia persona mulieri factum, quod ipsa habeat antefactum usque in libris C in bonis mariti seu avi, si forte dotes susceperit vel promissae ei vel alicui eorum fuerint. Et si dotes fuerint a libris C infra vel tantundem per omnia simili modo antefactum esse et presumam quantum dotes erunt et constante matrimonio, si inde lamentacio ante me facta fuerit, ego antefactum in bonis viri faciam mulierem (sic) vel laudem equipolentem antefacto et tantundem valentem prout melius potero, sic quod disolucto matrimonio mulieris, mulier ipsam solutionem consequatur ac si instrumentum publicum inde fuisset. Salvo eo quod capitulum istud locum non habeat in eo qui est in captivitate sed semper mulier mortuo marito suo lucretur antefactum sive re vera ipsi mulieri vel alii pro ea seu nomine ipsius factum fuerit sive non, sed sit presumptum secundum formam supradictam, de ipso tamen restituendo in totum vel pro parte teneatur secundum quod iura volunt" (corsivo mio).
46Statuti di Pera, cap. III/128: "Si qua mulier nostre iurisdicionis obierit marito superstite ipse maritus habeat de dote
tantam quantitatem quantam fecerit maritus pro antefacto vel quantum pro capitulo (sic) providetur et presumitur ei in antefacto...".
parte della vedova e del lucro da parte del vedovo sia subordinata alla "trasductio ad domum" della moglie e alla convivenza dei coniugi "in habitu matrimonii"47.
Chiude la norma un inciso, molto importante, mediante il quale si accorda ampia libertà ai coniugi di lasciarsi beni per testamento: "possit tamen tam maritus quam uxor unus alteri legare et in ultima voluntate relinquere non obstante supradictis"48.
Quest'ultima circostanza avvallerebbe la natura di mero lucro vedovile dell'antefatto, essendo esplicitamente equiparato ad altri negozi mortis causa.
Si è notato, quindi, che la prassi per un certo periodo non è univoca nella determinazione del
quantum, nel senso che compaiono sia atti in cui il valore dell'antefatto pattuito è equivalente a quello della dote sia atti in cui il valore è inferiore49.
Il principio di perfetta corrispondenza tra dote e donatio trova applicazione in "instrumenta" di questo tenore:
Ego Olivierus de Galaventa confiteor me accepisse nomine tue dotis a te Castellana sponsa et uxore mea libras quinquaginta Ianuae abrenuncians exceptioni non solutae et non accepte dotis pro quibus facio tibi donacionem nomine tui antefacti de tanto in bonis meis habitis et habendis quod bene sit valens libras quinquaginta Ianuae, ad habendum, tenendum, possidendum tu tuique heredes et cui dederis pro more et consuetudine civitatis Ianuae50.
Contemporaneamente ve ne sono altri in cui il valore fissato dalle parti è inferiore, ma supera comunque la metà del valore della dote:
47Sulla "traductio ad domum" e sulla consumazione del matrimonio come elementi essenziali per la validità stessa del
matrimonio nell'elaborazione dottrinale cfr. da ultimo C. VALSECCHI, "Causa matrimonialis est gravis et ardua".
Consiliatorese matrimonio fino al Concilio di Trento, in Studi di Storia del Diritto,II, Milano 1999, p. 432 e ss. Si segnala quindi un'altra norma degli Statuti di Pera, cap. III/140 De melioramento facto in re antefacti restituendo, con cui si impone alla vedova di accettare il denaro offerto dagli eredi del marito in cambio dei beni trattenuti a titolo di antefatto: "Si filius et heres mariti solvere voluerint antefactum in peccunia numerata, ego compellam dictam mulierem restituere ipsi heredi posessionem illam que pro antefacto sibi data fuisset in solutum, ita tamen quod melioramentum factum per ipsam mulierem in ipsa posessione ei solvere teneatur...".
48 Per quanto riguarda il diritto successorio si ricorda che anche a Genova, come in altre zone, la dote viene a
rappresentare per la donna la quota legittima sul patrimonio familiare in osservanza del principio "dos succedit loco legitimae" (vedi nota 145), cfr. Statuti di Pera,cap. III/136De femina tradita in matrimonium a patre vel a matre:
"Femina tradita in matrimonium sive maritata a patre sive a matre sive ab avo paterno sive ab avia paterna vel voluntate alicuius eorum, et inteligam voluntatem patris vel matris sive avi paterni vel avie paterne in ipsis feminis maritandis semper fuisse et expresse et intervenisse nisi contrarium probetur, non habeat facultatem ipsa vel heres eius requirendi seu petendi quicquam plus in bonis ipsorum, sed sint bona masculinorum heredum". L'esclusione delle figlie dall'eredità naturale avrebbe determinato in sostanza una crescita della dote e, come si è già accennato, il tramonto del tradizionale dono maritale, cfr. D. OWENHUGUES, Struttura familiare e sistemi di successione cit., p. 932
e ss.
49Già a suo tempo Brandileone notò la coesistenza a Genova, per un certo periodo, del vero e proprio antifactum,
corrispondente ad una parte della dote, con la forma integrale della donazione, cfr. F. BRANDILEONE, Studi preliminari
cit., p. 269.
50Liber Magistri Salmonis sacri palatii notarii (1222-1226)a cura di A. FERRETTO, in "Atti della Società Ligure di
Storia Patria", vol. XXXVI (1906), doc. 351, atto del 1222, p. 128. Significativa è la continuazione dello stesso atto in cui il marito si impegna in tal senso: "absque omni mea contradictione meorumque heredum et omnium pro me pro qua dote et antifacto omnia bona mea habita et habenda tibi pignori obligo tali pacto quod si condictio predicte dotis restituende advenerit liceat tibi tua auctoritate sine decreto consolatus vel potestatis intrare in bona mea quibus malueris et facere ibi extimari ipsam dotem et extimatum tenere et possidere nomine proprietatis et dominii" (corsivo mio). Ciò conferma ancora una volta che l'antefatto non comportava in alcun modo un trasferimento immediato di beni dal marito alla moglie di cui quest'ultima potesse essere "domina" a tutti gli effetti constante matrimonio,
iniziando a possedere "nomine proprietatis et dominii" solo in un momento successivo; cfr. inoltre i docc. 870 e 875 rogati nel 1224. Anche tra gli atti rogati da Giovanni di Amandolesio "secundum more et consuetudinem civitatis Ianuae" ve ne sono alcuni in cui l'importo dell'antefatto è equivalente al valore della dote, cfr. L. BALLETTO, Atti rogati
a Ventimiglia da Giovanni di Amandolesio dal 1258 al 1264, Bordighera 1993, doc. 536 (1263), doc. 625 (1264). Si veda inoltre L. BALLETTO, Notai genovesi in Oltremare. Atti rogati a Laiazzo da Federico di Piazzalunga (1274) e
Pietro di Bargone (1277, 1279), Genova 1989, doc. 4 (1274) e in Actes des notaires génois de Péra et de Caffa de la fin du treizième siècle (1281-1290), publiés par G. I. BRATIANU, Bucarest 1927, il doc. 263 (atto rogato a Caffa nel 1289).
Ego Iacobus... confiteor me habuisse et recepisse et in veritate habui et recepi a te Aldina uxore mea et filia... libras centum quinquaginta ianuinorum pro dotibus et nomine dotium tuarum... et facio tibi libras centum ianuinorum nomine antefacti in bonis meis habitis et habendis...51.
Un dato ulteriore che emerge dagli atti notarili è che l'antefatto non supera mai le cento lire; ciò potrebbe indurre a ritenere che venisse generalmente rispettato il provvedimento consolare del 1143 con cui appunto era stato sancito il limite massimo delle 100 lire entro il quale costituire l'assegno52.
Un'indagine sulle carte matrimoniali rogate a Genova nel XIII secolo è stata condotta da Diane Owen Hugues53. Innanzitutto la studiosa ha verificato che il numero di "instrumenta" in cui il
valore dell'antefatto è equivalente a quello della dote risulta statisticamente abbastanza ampio rispetto ai casi in cui il valore dell'antefatto è inferiore. Quindi, sulla base del materiale censito, ha riscontrato una profonda differenza tra i contratti di matrimonio degli aristocratici e quelli degli artigiani: "nel secolo XIII quasi tutti gli accordi aristocratici si adeguarono alla legge, mentre gli artigiani continuavano a concedere alle loro mogli cospicui antefacta".
Per la Owen Hugues questa generosità "scaturiva certamente dalle condizioni del matrimonio artigiano e dalla situazione del mestiere... Spesso i contributi congiunti all'inizio del matrimonio continuavano in una comune iniziativa d'affari: così le intraprese dei tessitori di lana del tredicesimo secolo erano quasi tutte iniziative di marito e moglie e l'attività delle mogli nel mestiere era parimenti importante"54. Il ruolo "imprenditoriale" di cui sarebbe stata investita la
moglie dell'artigiano, esclusa per legge da qualunque pretesa ereditaria sul patrimonio del marito, potrebbe essere pertanto la giustificazione principale della lievitazione dell'importo dell'antefatto che si propone in maniera costante per un certo periodo come emerge appunto dalle carte matrimoniali. Viceversa gli aristocratici per motivi legati alla conservazione del patrimonio familiare, rispettando il favor agnationis, avrebbero avuto interesse a contenere e progressivamente a diminuire l'apporto maritale alle vedove55.
La legislazione statutaria genovese in materia di antefactum subì un cambiamento con gli statuti del 1375 in gran parte coincidenti con gli statuti successivi del 1413, editi nel 1498 da Antonio Maria Visdomini56.
51L. BALLETTO, Atti rogati a Ventimiglia da Giovanni di Amandolesio cit., doc. 256 (1260), si tratta di un atto rogato
"secundum quod edocent capitula civitatis Ianuae", cfr. inoltre doc. 380 (1261).
52Un esempio di atto mediante il quale sono restituiti alla vedova sia la dote che l'antefatto (di 100 lire) si trova in
Notai genovesi in oltremare. Atti rogati a Caffa e a Licostomo (sec. XIV) a cura di G. BALBIe S. RAITERI, Genova 1973,
doc. 28, atto rogato nel 1344. Per quanto riguarda la prassi notarile del XIV secolo in tema di antefatto, cfr. ad esempio
Notai genovesi in Oltremare. Atti rogati a Cipro da Lamberto di Sambuceto (3 luglio 1300-3 agosto 1301), a cura di V. POLONIO, Genova 1982, doc. 390 (1301).
53 D. OWEN HUGUES, Struttura familiare e sistemi di successione cit., p. 950 nt. 44. 54Ibidem, p. 940.
55 Su questo aspetto cfr. da ultimo F. LEVEROTTI, Strutture familiari nel tardo medioevo italiano, in "Revista
d'Història Medieval", 10 (2001), p. 252 e passim.Emblematico dell'atteggiamento assunto dagli aristocratici di fronte all'antefatto è il caso della nobile Marietta vedova di Antonio Maria Serra che nel 1398 con la restituzione della propria dote di lire 1000 conseguì un antefatto di sole 100 lire, E. PODESTA', I Serra di Genova, in I Serraa cura di A. SERRA DI
CASSANO, Torino 1999, pp. 38-39.
56Per un confronto tra le disposizioni relative all'attribuzione dell'antefatto si vedano rispettivamente gli statuti di
Genova del 1375 in ASG, Ms. 123, c. 57r., oppure ASG, Ms. 124, cc. 50v. e 51r.; cfr. inoltre gli statuti del 1413 in ASG, Manoscritti Membranacei 84, cc. 47r. e v. oppure in Archivio di Stato di Torino, Biblioteca T.IV.12, cc. 73 r. e v. oppure, infine, l'edizione curata dal Visdomini, Statuta et decreta communis Genuae, Bononiae Caligula Bazalerio 1498 cap. 4 del libro III. Sugli statuti quattrocenteschi di Genova e per una comparazione con gli statuti precedenti del 1375 si veda V. PIERGIOVANNI, Gli statuti civili e criminali di Genova cit., pp. 58-242; sulle problematiche emergenti dall'edizione
del Visdomini cfr. anche R. SAVELLI, "Capitula", "regulae" e pratiche del diritto a Genova tra XIV e XV secolo, in
Statuti, città, territori in Italia e Germania tra medioevo ed età moderna, a cura di G. CHITTOLINIe D. WILLOWEIT,
La novità più consistente è costituita dall'abbattimento del quantum dell'antefatto che spetta de iure alla vedova. Si stabilisce infatti che l'antefatto debba essere corrisposto in misura equivalente a metà della dote e, in ogni caso, non debba superare le cento lire57. Dimezzato il valore
dell'antefatto legale, restano comunque salvi i diritti acquisiti dalla moglie sulla base di diversi accordi intercorsi tra le parti (antefatto convenzionale).
Attraverso un'unica norma diretta indistintamente ad entrambi i coniugi è disposta non solo la reciprocità dei lucri ma altresì si precisa che i lucri debbano essere uguali. Sono, quindi, previsti due casi: un primo relativo ai matrimoni in cui la dote conferita non superi il valore di 200 lire e un secondo in cui la dote oltrepassi invece tale ammontare. Rispettando il principio di reversibilità del lucro, si impone che l'antefatto, una volta morto il titolare, sia assegnato ai figli maschi nati dallo stesso matrimonio e in loro assenza ai nipoti e che solo mancando questi ultimi possano succedere le figlie. Invece non extantibus filiisil beneficiario potrà godere dei propri beni a pieno titolo e non a titolo di usufrutto, nonostante sia passato a seconde nozze. Si specifica, infine, che il lucro possa essere assegnato solo qualora la moglie sia stata condotta nella casa del marito e con esso abbia vissuto "in habitu matrimonii".
Per completezza si aggiunge che, senza discostarsi dagli statuti più antichi, si condanna, mediante una norma ad hoc, la moglie colpevole di aver abbandonato il tetto coniugale alla perdita dei beni dotali e dell'antefatto58.
Riguardo alla prassi notarile del secolo XV in generale risulta che la corresponsione dell'antefatto viene concordata contestualmente alla dichiarazione del marito di aver ricevuto la dote; negli atti rogati in questo periodo, come del resto in quelli appartenenti ai secoli precedenti, si trova spesso riportato il binomio "antefactum sive donacionem propter nuptias", a differenza degli statuti che utilizzano solo il termine "antefactum"59.
Si colgono alcuni sporadici riferimenti all'antefactumall'interno dei Consilia di Bartolomeo Bosco, noto giurista genovese60. Le questioni giuridiche emergenti, affrontate in due consilia soltanto, 57Statuta et decretacit., cap. III/4 uxore defoncta quantum lucretur maritus ex dotibus vel e contra et de antefacto
presumendo: "Premortua uxore, lucretur maritus ipso facto de dotibus tantum quantum ipse constituisse pro antefacto uxoris, quae pari modo viro premortuo tantum lucretur in bonis mariti; et si antefactum non fuerit constitutum expresse lucretur maritus pro dotibus uxoris premortuae et e contra de bonis mariti premortui tantum quantum pro antefacto constitutum esse presumitur. Quod antefactum, quando non fuerit constitutum expresse, intelligatur et presumatur esse, si dotes fuerint de libris ducentis vel ab inde infra, tantum quantum fuerit medietas dotium; si vero dos fuerit a libris ducentis supra usque in quantitatem quantamlibet sit et intelligatur antefactum esse librae centum Ianuorum et non ultra. Quod lucrum a viro vel uxore perceptum, mortuo lucrante, revertatur ad filios ex eodem matrimonio natos vel si filii non extarent ad filios filiorum et si non extant tunc revertantur ad filias natas ex eodem matrimonio. Quibus defficientibus remaneant eidem marito vel uxori etiam si ad secundas transiret nuptias. Non tamen possit maritus vel uxor quicquam lucrari nisi maritus ipsam uxorem ad nuptias transduxerit vel in habitu matrimonii steterit vel habitaverit cum eadem" (corsivo mio).
58Cfr. Statuta et decretacit., cap. II/3 de muliere fugitiva a domo maritiche corrisponde grosso modo al cap. III/134
de muliere que aufugerit vel receserit de domo mariti presente all'interno degli Statuti di Pera.
59Alcuni di questi atti si trovano in Notai genovesi in Oltremare rogati a Pera e Mitilene, a cura di A. ROCCATAGLIATA,
Genova 1982, t. I (Pera, 1408-1490), doc. 18 (1447), doc. 66 (1466); Notai genovesi in Oltremare. Atti rogati a Chio (1453-1454, 1470-1471), a cura di A. ROCCATAGLIATA, Genova 1982, doc. 36 (1453), doc., 49 (1453), doc. 98(1454) e doc.
101 (1454); di quest'ultimo documento si riporta, a titolo di esempio, la parte in cui il marito costituisce alla moglie l'antefatto: "Dictus Cosmas facit dicte Caterine... donationem propter nuptias seu antefactum... ad habendum, tenendum et possidendum secundum dispositionem iuris et capitulorum communis Ianue; quas dotes et antefactum ipse Cosmas vult salvas et salvum fore dicte Caterine in bonis suis, in quibus illa maluerit. Quos perperos mille dotis et perperos CC antefacti ipse Cosmas promittit et sollemniter convenit dicte Caterine... dare, solvere, restituere dicte Caterine... adveniente die, casu et conditione dictarum dotium restituendarum et antefacti solvendi, sub pena dupli dictarum dotium... et sub ipoteca et obligatione omnium bonorum suorum, mobilium et inmobilium, praesentium et futurorum" (corsivo mio).
60Sulla vita e sulle opere di questo giurista cfr. V. PIERGIOVANNI, Bartolomeo Bosco e il divieto genovese di assicurare
navi straniere, in "Università degli Studi di Genova. Annali della Facoltà di Giurisprudenza", a. XVI (1977), pp. 855-890; ID., Diritto e giustizia mercantile a Genova nel XV secolo: iconsiliadi Bartolomeo Bosco, in Consilia im spaten
Mittelalter. Zum historischen Aussagewert einer Quellengattung a cura di I. BAUMGARTNER, Sigmaringen 1995, pp.