Il paesaggio
al centro
integrazione tra discipline
Il paesaggio
al centro
integrazione tra disciplineIsotta Cortesi
Vito Cappiello
Isotta Cortesi Vito Cappiello
Una risposta corale di
elaborazioni sullo stato
dell’arte degli studi di
paesaggio, per scavare, nel
presente, il nuovo inizio di
un cammino condiviso che,
pur nelle singole specificità,
ha posto il progetto
al centro del dialogo, delle
relazioni e dei saperi.
Questa pubblicazione si propone come
risposta corale di elaborazioni sullo stato
dell’arte degli studi di paesaggio, per
scavare, nel presente, il nuovo inizio di
un cammino condiviso che, pur nelle
singole specificità, ha posto il progetto
al centro del dialogo, delle relazioni
e dei saperi.
Il paesaggio al centro delle discussioni
sul nostro futuro permea il presente e
con la presa d’atto di una discontinuità
città-natura, assistiamo ad un processo
dove la città, con i propri nuclei storici,
con le trasformazioni del dopoguerra,
con gli innesti contemporanei, con
gli spazi aperti, rurali anche residuali,
riconosce proprio nei frammenti
di natura il principio fondante per
ricercare una nuova struttura che,
dalla presenza dei sistemi idrografici,
orografici, dalla vegetazione spontanea
e coltivata trae le ragioni per ripensare
e rifondare lo spazio della città abitata
dall’uomo.
La ricerca propone la condizione
paesaggistica dei luoghi come il
fattore chiave dal quale partire per
innescare processi di trasformazione
e riconnettere il sistema diffuso degli
spazi aperti verso la comprensione della
città-paesaggio determinando processi
virtuosi di socialità e di cura degli spazi
che abitiamo.
Isotta Cortesi, architetto e paesaggista, insegna
Architettura del Paesaggio all’Università Federico II di Napoli. È stata ricercatrice di Composizione Architettonica e Urbana presso l‘Ateneo di Catania e, in precedenza, ha insegnato presso la Facoltà di Architettura di Genova, Firenze, Torino, Politecnico di Milano nonché all’University of Virginia negli Stati Uniti. Ha studiato presso la Facoltà di Architettura di Firenze dove ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Progettazione Architettonica e Urbana, XI ciclo e successivamente ha conseguito il Master in Architettura alla University of Virginia. Fellow del American Academy in Rome dove è stata borsista Fulbright. Il progetto dello spazio pubblico è il principale tema della sua ricerca applicata anche alla didattica. È autrice di testi monografici inerenti lo spazio pubblico contemporaneo nella città europea, Il Parco pubblico / Paesaggi 1995-2000 e il Progetto del vuoto / Public Space in Motion 2000-2004. Con LetteraVentidue Edizioni ha pubblicato nel 2012 Itinerari di progettazione / Un percorso didattico tra Italia e Stati Uniti; nel 2015 Progettare lo spazio pubblico / Cinque tesi per la città e per il paesaggio; nel 2016 Conversazione in Sicilia con Antonio Monestiroli.
Vito Cappiello è nato a Napoli nel 1947. Ha insegnato
Progettazione Architettonica e poi Architettura del Paesaggio presso il DiARC di Napoli. Docente del Lab. Internazionale di Progettazione di Tagliacozzo; fondatore e condirettore con P. Scaglione della rivista di Architettura d’A (1988 -1997), dove ha pubblicato numerosi articoli. Si è occupato di tematiche paesaggistiche ed ambientali; di riqualificazione di aree vaste e paesaggistiche; di riqualificazione di Centri Minori. Promotore e coordinatore di Master sul Recupero di Paesaggio e Periferia. Ha realizzato spazi pubblici in centri minori (Vietri di Potenza, Lioni, Eboli, Caggiano) ricevendo premi e riconoscimenti.
Premio InArch Campania (riqualificazione centro storico di Eboli - 2010). Tra le pubblicazioni: Vito Cappiello (scritti e progetti), in Napoli - Cinque Architetti, Clean,1996; Il progetto moderno del giardino e Atlante del progetto moderno del giardino, in G. Cerami Il Giardino e la Città, Laterza,1996; Rivista di Architettura d’A (1988 - 1997), con n.13/1995 Architettura Moderna a Napoli; Napoli Guida - Itinerari di Architettura Moderna, a cura di S. Stenti e V. Cappiello, Clean, 2010; Dai piani di area vasta al progetto di paesaggio in Alt(r)i paesaggi a cura di P. Scaglione, Kappa, 2005; Il progetto moderno del giardino tra decostruttivismo e minimalismo, in Giardini impossibili, a cura di S. Cozzolino, Aracne, 2004; Nuovi sguardi dal paesaggio, in Alla ricerca dell’Urbano, a cura di V. Cappiello, Graffiti, 2005; Dalle aree dismesse verso nuovi paesaggi, Aracne, 2005; Un nuovo paesaggio agrario? In AA.VV. Emilio Sereni – ritrovare la memoria, ed. Università di Napoli, 2010; Per una “carta del progetto” per le emergenze da disastri naturali, in QCR n°1-2 / 2011; Paesaggi rifiutati: il litorale Domizio, in Il paesaggio tra rischio e riqualificazione, Liguori, 2013; Città antica, masserie, paesaggio, in Il mosaico di San Severo, Centro Grafico, 2017; Da discariche a luoghi d’arte, in PRIN RECYCLE- Drosscity, a cura di C. Gasparrini e A. Terracciano, List lab 2017).
€ 49
In copertina:
Jérémie Dru, Le voyageur incertain, 2013. Per motivi di impaginazione la foto è stata specchiata (NdE).
ISBN 978-88-6242-261-1
Prima edizione italiana Dicembre 2017 © LetteraVentidue Edizioni
È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura.
Progetto grafico: Martina Distefano Impaginazione: Selene Vacchelli
Le immagini di separazione tra i capitoli sono di Orazio Saluci:
Labirinto della Masone, Fontanellato, 2017 (pp. 8-9) Saline di Marsala, 2016 (pp. 18-19)
Mantova dal Lago di Mezzo, 2017 (pp. 54-55) Venezia, 2012 (pp. 132-133)
Anneau de la Mémoire, Ablain-Saint-Nazaire, Francia, 2016 (pp. 444-445) Cave di Colonnata, 2017 (pp. 510-511)
Le immagini di apertura nel capitolo “Apparato documentale tavoli di lavoro” sono di Franco Zagari e illustrano i tavoli “Le Passioni di Orlando, sei giardini di Franco Zagari per Roberto Domiziani, 2016”:
Eros (p. 536) Estasi (p. 552) Gelosia (p. 572) Incanto (p. 586) Inquietudine (p. 604)
Finito di stampare nel mese di Dicembre 2017 LetteraVentidue Edizioni S.r.l.
Corso Umberto I, 106 96100 Siracusa, Italia
Collana Alleli / Events Comitato scientifico
Edoardo Dotto (ICAR 17, Siracusa) Nicola Flora (ICAR 16, Napoli) Antonella Greco (ICAR 18, Roma) Bruno Messina (ICAR 14, Siracusa) Stefano Munarin (ICAR 21, Venezia) Giorgio Peghin (ICAR 14, Cagliari)
04
Mario Rosario Losasso Saverio Mecca
Carmine Piscopo Giuseppe Zampino
Tomaso Montanari
Una Repubblica fondata sul paesaggio
Henri Bava
Un paesaggio rivelatore
João Ferreira Nunes
Topografia
Juan Manuel Palerm Salazar
Restaurazione paesaggistica di Punta de Abona
Pelin Tan
Geontologies of Landscape and Threshold Infrastructure
Giorgio Tartaro, Franco Zagari
Conversazione
Franco Zagari
Il giardino risorsa strategica nell’evoluzione della città del Terzo Millennio
Il caso del Parco della Pace a Vicenza
11 135 141 147 157 167 173 181 191 197 203 211 221 227 12 13 15 57 67 81 99 105 115 125 PRESENTAZIONI
INDICE
21 31 Vito CappielloVerso nuovi temi per il Paesaggio che verrà
Isotta Cortesi
Il paesaggio al centro. Integrazione tra discipline
SAGGI
LECTIO
CONTRIBUTI
Laura Andreini
Sostenibilità è armonia tra le parti. Armonia tra le parti è bellezza
Marcella Aprile
Il paesaggio al centro?
Filippo Arfini, Marianna Guareschi
Paesaggio, agricoltura e cibo
Guya Grazia Maria Bertelli
Istantanee sul paesaggio
Rita Biasi
Agricoltura, paesaggio e benessere nell’habitat contemporaneo
Alessandra Capuano
La città come cura e la cura della città.
Nuove configurazioni dello Streetscape
Lucina Caravaggi
Agricolture riflessive: cibo, socialità, biodiversità
Patrizia Caraveo
Illuminare meno per illuminare meglio
Alessandro Castagnaro
Il paesaggio e la pluridisciplinarietà
Umberto Caturano
Tecnologia, Paesaggio, Architettura
Nuovi paradigmi
Gianni Celestini
Strategia paesaggio
Biagio Cillo
Paesaggio, guerre, migrazioni, catastrofi
Dario Costi
Progetto per la città 4.0
Valeria D’Ambrosio
Progetto, ambiente, paesaggio
Fabio Di Carlo
Paesaggi. Tornare al progetto
Vincenzo Dina
Custodire la terra
Antonio di Gennaro
Il territorio rurale in contesto metropolitano: il caso dell’area napoletana
Giovanni Dispoto
Il paesaggio della costiera d’Amalfi nell’immaginario dei viaggiatori stranieri, dal Grand Tour ai giorni nostri
Adriana Ghersi
Paesaggi di qualità, tra vigneti urbani e etichette “parlanti”
Paolo Giardiello
Riconoscere e fare luoghi
Gioia Gibelli
Paesaggi, natura, ecologia
Vincenzo Gioffrè
Il progetto di paesaggio come cura dei luoghi
Biagio Guccione
Paesaggio, natura ed ecologia
Achille Maria Ippolito
Nature urbane
Francesca Mazzino
Architettura del paesaggio e ecologia
Annalisa Metta
I fiumi non esistono
Pasquale Miano
Paesaggi archeologici di guerra: prima, durante e dopo
Mariavaleria Mininni
Città, territorio e giardino
Saperi e sensibilità del progetto di paesaggio
Francesco Domenico Moccia
Ricucire i legami biotici
Cibo ed agricoltura urbana impiegati per superare la frammentazione degli habitat e la separazione dell’uomo dalla natura
Giulia Annalinda Neglia
Ricostruire i paesaggi culturali
Siria, Medioriente e Mediterraneo tra identità, migrazioni e ricostruzioni
Luigi Picone
Paesaggio agricolo e agricoltura paesaggistica tra passato e futuro
Sara Protasoni
Il progetto di paesaggio nei luoghi abbandonati della città
Michelangelo Pugliese
Clavel Del Aire. Il viaggio non finisce mai
Mosè Ricci
Il paesaggio è rotondo
Marina Rigillo
Paesaggio, Natura, Ecologia nella ritrovata attualità del “progetto di suolo”
Michelangelo Russo
Progetto urbanistico tra resilienza e sostenibilità
Marella Santangelo
Monterrey, scoprire una città lontana
G. Pino Scaglione
Cibo Natura Abitare
Andrea Sciascia
Architettura e paesaggio tra forma e tempo
237 353 361 367 377 383 395 405 409 417 425 431 437 243 251 255 259 265 275 285 299 307 313 323 333 343
Adriana Ghersi, G. Pino Scaglione
Documento di sintesi del tavolo: paesaggio, agricoltura e cibo
Maria Gabriella Errico
Agricoltura sostenibile vs prodotti di qualità
Vincenzo Gioffrè, Mariella Zoppi
Documento di sintesi del tavolo: paesaggio, catastrofi e cambiamenti climatici
Mattia Leone
Paesaggi, catastrofi e cambiamenti climatici: il progetto multiscalare della resilienza
Luigi Latini, Paolo Giardiello
Documento di sintesi del tavolo: paesaggio, guerre e migrazioni
Cristina Mattiucci
Sulla soglia. Paesaggi di ordinaria eccezione
Sara Protasoni, Michelangelo Russo
Documento di sintesi del tavolo: paesaggio, natura e ecologia
Federica Dell’Acqua
Il paesaggio tra flussi di risorse e responsabilità progettuali
Marella Santangelo, Guya Grazia Maria Bertelli
Documento di sintesi del tavolo: paesaggio, città e nuove identità
Viviana Saitto
Poeticamente [ancora] abita l’uomo
Francesca Fasanino
Paesaggio al centro di/in trasformazione
Marco Di Perna
Il paesaggio per ri-cucire la città
ESITI TAVOLI DI LAVORO Marta Crosato
Natura e cultura: gli strumenti digitali come medium interpretativo unitario
Stefano Cusatelli
Nella città di Lombardia: il paesaggio del progetto
503
507
Marcella Aprile
Perché parlare del paesaggio
Carmine Piscopo Paesaggio e Governance Francesco Rispoli Parole nuove Andrea Sciascia Il progetto al centro Vito Cappiello
Il progetto di paesaggio come scoperta e governo delle nuove emergenze
CONCLUSIONI 513 517 521 527 531
Paesaggio, agricoltura e cibo Paesaggio, catastrofi e cambiamenti climatici
Paesaggio, guerre e migrazioni Paesaggio, natura e ecologia Paesaggio, città e nuove identità
APPARATO DOCUMENTALE TAVOLI DI LAVORO 537 553 573 587 605 447 451 455 461 465 471 475 481 485 491 495 499
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Documento di sintesi del tavolo:
paesaggio, città e nuove identità
Università di Napoli Federico II, Politecnico di MilanoMarella Santangelo, Guya Grazia Maria Bertelli
Marella Santangelo: Vi racconterò il nostro confronto in ordine sparso, perché alla fine è un
po’ l’ordine seguito nelle due ore di discussione. Certamente il tema del tavolo paesaggio, città e nuove identità è un po’ un universo mondo, è un po’ tutto, inoltre il nostro tavolo a differenza degli altri è poco eterogeneo nella composizione dei partecipanti.
Abbiamo cominciato a ragionare sul significato delle parole e su come le parole abbiano dei si-gnificati che in qualche modo nel tempo si sono trasformati, tentando sempre di tenere il paesaggio al centro. Ma è venuto fuori che il paesaggio è ancora un po’ troppo sullo sfondo; abbiamo quindi preso le mosse dalla città come l’elemento artificiale o, comunque, l’elemento che riunisce in sé, o che in qualche modo invece divide o anche fatto da tanti elementi.
Il nostro tavolo ha avuto due ospiti e la prima sollecitazione è venuta da Juan Manuel Palerm Salazar che ha subito aperto la discussione, lamentando come oggi la città non sia più considerata un artefatto, un documento fisico che in qualche modo serve, ma sia sempre più considerata come un organismo che però risponde ad altre regole, quasi etereo, rispetto al quale tutto dipende dalla gente. Anche le relazioni non sono più relazioni tra le cose della città ma sono relazioni tra le persone.
Questa riflessione ci ha portato a ragionare su quelli che sono oggi i termini con i quali solitamen-te si indicano questioni e cose, da questi è emersa una distanza, nel senso che tutti in qualche modo volevamo prendere un po’ le distanze o comunque sottolineare che c’è la necessità di rivedere alcuni di questi termini, i fondamentali sono smart city, resilienza e vulnerabilità. Queste sono le tre parole un po’ di moda, anzi molto di moda, sono delle parole che in qualche modo sono difficili da coniugare e da declinare rispetto alla città. Anche se in modi diversi, tutti abbiamo sottolineato questa difficoltà.
A partire da questo proverò a spiegare come la discussione si sia sviluppata. Abbiamo stigmatizzato come spesso si abusi nell’utilizzo di queste parole, anche proprio dal punto di vista ideologico, così l’ar-chitettura subisce un po’ il carico di questa mancanza di chiarezza e questo accade anche al progetto, l’altro elemento che ha animato la discussione. Pur se sono emersi punti di vista molto lontani fra loro, in conclusione ci siamo ri-trovati, attraverso alcune parole e alcune questioni che abbiamo fatte nostre.
Quello che appare importante è che il progetto deve essere al centro di tutto, parliamo di ar-chitettura, di paesaggio ma il nostro strumento è il progetto; quindi il progetto deve essere molto chiaro, interscalare e deve essere in qualche modo la nostra risposta, la risposta prima, a mio parere, dell’architetto rispetto tutte le questioni che stiamo trattando.
In particolare ci siamo soffermati sulla questione delle smart city anche perché c’erano tra noi soggetti con diverse esperienze, che hanno ricoperto ruoli diversi, alcuni si sono trovati a lavorare su queste cose e a doversi porre molte domande. È emerso che si creano spesso molti conflitti di competenze, anche di tipo istituzionale, laddove ci sono ruoli che vengono ricoperti dagli architetti. Questo è un tema che riguarda molto la questione dell’identità. Noi abbiamo degli strumenti e dob-biamo usare i nostri strumenti e avere la forza di adattarli a tutta una serie di questioni.
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L’altra parola fondamentale che è venuta fuori è relazioni, che sono di varia natura, oggi in par-ticolare le relazioni sono sempre più virtuali, meno fisiche, e si allontanano sempre di più dalla concretezza della città; quindi città e paesaggio cominciano a perdere forza in qualche modo perché queste relazioni sono delle relazioni di natura molto varia e diversa. Bisogna lavorare sui sistemi di queste relazioni e ritrovare forme di connessione tra le parti che in qualche modo si adeguino alla contemporaneità e che ci aiutino a capire anche le nuove identità della città. Noi riteniamo, e penso di poterlo dire, che in fondo non c’è più una città, non c’è un paesaggio, questo rispetto ad una serie di questioni e di azioni che andiamo a fare.
Un altro tema importante è la misura, questa città che non ha più misura è questione fondamenta-le, non nella ricerca della misura stessa ma nella capacità di riconoscere nuove parti, nuovi materiali e, quindi, anche nuove misure, ritornando così ancora la questione delle relazioni.
In realtà emerge che abbiamo provato appunto a delineare che è possibile dare diverse letture e visioni della città e del paesaggio e, cosa importante, che noi riconosciamo anche guardando più dalla parte dell’artefatto della città, che il paesaggio è un luogo cui è attribuito un valore e quindi come tale noi lo riconosciamo.
Quindi la città, da un lato è tutt’uno con il paesaggio, ne è parte o meglio la città contemporanea è un insieme di paesaggi. Questo è molto importante, perché noi dobbiamo riconoscere che queste parti che sono poi la città contemporanea e quindi anche il paesaggio, sono luoghi di abbandono, luoghi di soglia. Abbiamo riguardato tutta una serie di parole che io trovo abbastanza brutte tipo luoghi lacerti, brandelli, parole che però si usano o perlomeno che si sono usate.
La verità è che, come abbiamo sottolineato, la città di per sé stessa non è più un’unità e quindi è un sistema e in questo sistema di relazioni c’è anche un sistema a una scala più ampia, un “sistema città” o, in alternativa, il caso di realtà territoriali in cui ci sono tante città che finiscono per fare si-stema tra loro, ridisegnando decisamente un paesaggio che a quel punto è un paesaggio di città fatto da città. Tutto questo è ricomparso nel nostro ragionamento, la questione dell’identità, che è la cosa più impressionante, perché è difficile, in questo scenario ancora confuso, riuscire a immaginare, a definire le nuove identità. È emersa con una certa forza la necessità di riuscire a capire se è possibile attribuire dei nuovi significati al paesaggio e, quindi, anche attraverso nuove configurazioni, riuscire a ritrovare e a ridisegnare anche delle nuove identità.
Un altro elemento trasversale a tutti nostri ragionamenti è stato quello del tempo, il tempo accele-rato, velocissimo della nostra contemporaneità che non è cosa da poco rispetto al cambio continuo della realtà e a come in qualche modo la modernità invece non è cambiata; in fondo lo spazio fisico, lo spazio che viviamo, quindi lo spazio urbano o lo spazio anche esterno alla città, è un po’ in fondo immobile, si determina così una lacerazione, che ha a che vedere con il nostro mondo di progettisti, che deve capire questo tempo, a questo punto chiaramente sfalsato, un tempo con tempi diversi. Noi abbiamo bisogno di trovare degli strumenti diversi, probabilmente anche delle narrazioni diverse, come anche delle descrizioni nuove. Anche il termine descrizione necessita di modificazioni e que-sta cosa ci porta a narrare, in maniera diversa, quello che è città, quello che è paesaggio, cioè questo grande “uno” che in qualche modo caratterizza il nostro oggi.
Abbiamo anche detto che questa velocità, che spesso ci mette in difficoltà con il nostro lavoro, ci fa rivedere la possibilità di ritornare ad una forma di cura della città. Tra noi ci sono studiosi che stanno lavorando proprio su questi temi, su questa idea della cura della città ma anche del ritorno alla bellezza che porta con sé la parte più bella del paesaggio italiano. La capacità di curare la città permette di ritrovare un buon vivere perché poi, diciamo la verità, queste città che noi andiamo descrivendo con tanta durezza sono anche tanto difficili da vivere. Su questo ci sono posizioni diver-sissime ma non credo che sia interessante. Quello che è interessante è cercare di capire e raccontare quello su cui abbiamo ragionato, restituendo delle riflessioni comuni.
Abbiamo ragionato poi su quali sono le parti e gli spazi dai quali ripartire e quello che è venuto fuori, anche rispetto quello che dicevo prima sui sistemi delle relazioni, è proprio un sistema di nodi e di reti che oggi raccontano di queste strutture fisiche in una maniera diversa. Ritornando in con-clusione al concetto di trasversalità.
Ciò che appare certo è che il paesaggio, inteso come parte di questa realtà ma diversa, può Marella Santangelo, Guya Grazia Maria Bertelli
487 Documento di sintesi del tavolo: paesaggio, città e nuove identità
attivare un punto di vista nuovo, anche rispetto all’artefatto città con cui abbiamo aperto il nostro ragionamento. Del resto, come ha detto il nostro secondo ospite Henri Bava, noi ora non possiamo più parlare di territorio, dobbiamo parlare della terra, dal momento in cui abbiamo potuto vederla attraverso il satellite. Abbiamo uno zoccolo fisico sul quale ragionare nella sua interezza, e questa è una cosa interessante perché così anche la questione della misura ha un altro valore ed anche gli strumenti della tecnologia che ci consentono di guardare le cose in un altro modo.
Un’ultima notazione: questa necessità di rivedere le parole, di rivedere i limiti di un’azione di tra-sformazione ci portano probabilmente, anche nei nostri campi disciplinari, alla necessità di rivedere molte cose. Nella nostra discussione è emersa con forza la necessità di eliminare ICAR 14, 15 e 16 e di ritornare ad una un’unica disciplina.
Guya Grazia Maria Bertelli: Ricondurre il discorso sino ad ora elaborato a schematiche
sin-tesi risolutive appare assai arduo, data la complessità e difficoltà dei temi emersi. Mi avvarrò dun-que di alcune asserzioni che verranno riprese nella relazione di domani, ma che tuttavia ritengo essenziali per la chiarezza della discussione. Una questione infatti si è rivelata in modo chiaro sin dall’inizio: sia il paesaggio che la città sono nozioni che devono essere ridefinite dal punto di vista concettuale. Le gabbie terminologiche che ci hanno incatenato in questi ultimi trent’anni sono state pericolose, non solo perché non hanno portato a nessun risultato strutturante, ma anche per-ché hanno indebolito ulteriormente le nostre certezze. Se il paesaggio e la città infatti non sono più entità autonome e identificabili, la difficoltà oggi risiede innanzitutto nel saperli ri-nominare. Ri-nominare da un lato il paesaggio nella sua differenza con l’ambiente e il territorio, argomento già affrontato in modo significativo dalla Convenzione Europea del Paesaggio del 2000, che risarcisce il paesaggio stesso in quanto ente privilegiato in grado di assorbire nella sua essenza gli altri due elementi; e ri-battezzare ancora una volta la città dall’altro, in quanto non più riferimento assoluto né soggetto riconoscibile, data la presenza di conflitti insanabili al suo interno. Questione che sem-brerebbe indurci a sostituire il concetto di città con quello di “condizione urbana”, nel momento in cui siamo consapevoli che l’eredità di questi ultimi cinquant’anni di pianificazione è un lascito che ci ha posto di fronte ad enormi cambiamenti, identificabili nei punti di flesso di una evoluzione non sempre continua; linee di destrutturazione, sgretolamento, progressiva corrosione sembrano prevalere infatti sulla continuità degli abitati, con effetti evidenti soprattutto in quei fenomeni di abbandono, di decomposizione, di decrescita che appaiono sempre più spesso nella trasformazione dei luoghi. Sono effetti che si riflettono in tutti quei paesaggi della contemporaneità che, di volta in volta, ci rendono conto di spazialità nuove che non ci permettono più di affermare se siamo “dentro o fuori dalla città”, “dentro o fuori dalla natura”, ma che restituiscono un enorme valore proprio allo spazio “tra” natura e città, tra natura e altra artificialità.
Un nuovo “intervallo” dunque, una sospensione della materia che dichiara una sorta di rivincita dello spazio intermedio, dello spazio neutro, imparziale, indistinto; quello spazio-soglia che sembra comprendere al suo interno tutte quelle fessurazioni, distanze, debolezze, fragilità che solo così ricol-locate possono acquistare nuovo senso e significato. Proprio questo spazio “tra” infatti accetta l’idea di una natura “altra”, che si rinnova ogni volta sulle macerie, sugli scarti e sui frammenti dell’artifi-cio precedente e che sembra rivendicare, in questo ritrovato disegno d’incontro, un inedito ritorno all’urbano, un ritrovato diritto alla città che rimanda ad una altrettanto possibile progettualità.
Nell’interferenza tra elementi naturali ed elementi artificiali, il nuovo spazio di contaminazione ed ibridazione dei diversi componenti insediativi sembra riuscire a racchiudere ancora una volta il senso delle due entità nominate, la città e il paesaggio, che solo in questo spazio intermedio riescono a riacquisire nuovo valore.
A fronte di questo osservatorio, sorge allora un’importante domanda: quale progetto possibile in questa epoca della contemporaneità? Quale il lascito che tutte queste riflessioni possono dare anco-ra al progetto stesso come giudizio sull’esistente, nel momento in cui si incrinano i ganco-randi anco-racconti non solo della città, ma anche della campagna, del territorio agricolo, degli ambiti fluviali, delle periferie urbane, di tutti quei paesaggi che oggi stanno mostrando la loro fragilità?
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cinque importanti concetti che sono emersi dalla discussione comune; cinque nozioni che denun-ciano la necessità di costruzione di quei nuovi paradigmi che proprio il progetto oggi richiede, per poter dare una nuova espressione alla costruzione degli abitati.
Il primo concetto esplorato è quello di “fragilità”, in quanto i paesaggi fragili della contempora-neità sembrano definiti dalla coesistenza di elementi diversi che si contaminano tra loro, più che dalla coerenza di parti compiute e definite nella loro essenza; il nuovo paesaggio dell’abitare con-temporaneo non accetta universali, non richiede soluzioni definitive, ma sembra guardare verso la contaminazione tra i frammenti, tra gli scarti, tra i lacerti degli strati profondi della sua evoluzione. Ma il tema della “fragilità” rimanda chiaramente al secondo concetto, quello di “discontinuità”, nel momento in cui la città stessa non appare più come elemento continuo e riconoscibile (così come af-fermava più di venti anni fa Bernardo Secchi) ma solo come “relazione estesa” tra parti discontinue, come sequenza di fatti saltuari, come successione interattiva di esperienze intermittenti, incoerenti, a volte interrotte. In questo senso non si può più parlare di città estesa o di città compatta, ma solo di città in estensione o di città in contrazione, di città in continuo movimento dunque, che proprio nei punti di discontinuità rileva quelle deformazioni e instabilità che possono diventare una vera e propria risorsa per il progetto. In questi punti infatti, crinali che denunciano la dinamicità della forma, si innesta il tema della modificazione.
Di qui la terza nozione, quella di “relazione”, che in realtà torna ad essere molto importante proprio perché oggi, a fronte del declino delle grandi certezze, non si può più parlare di spazio univoco o univocamente definito, ma solo di spazio come luogo del rapporto, delle relazioni tra le parti, dei nessi intercorrenti non solo tra componenti fisiche ma anche tra elementi sociali, temporali, tra passato e futuro, tra continuità e discontinuità, tra stabilità e instabilità delle forme. Lo spazio delle relazioni è lo spazio del progetto; e solo attraverso uno sguardo sulle relazioni si può ri-attribuire valore al paesaggio.
Proprio quest’ultima affermazione sembra condurci alla quarta parola su cui dobbiamo soffer-marci, ovvero la nozione di “identità”, unica in grado di restituire senso e significato a quello spazio delle relazioni di cui si è parlato poc’anzi. Identità sia come spazio di riconoscimento delle diffe-renze, sia come luogo della condivisione dei valori sociali, culturali, collettivi. In effetti negli ultimi tempi si è parlato molto di identità e questo denota un indizio ed un pericolo allo stesso tempo: un indizio perché significa che il dispiegarsi dei processi trasformativi in corso hanno indebolito l’identità degli individui e questo emerge attraverso molteplici fattori non solo di ordine fisico, ma anche culturale e sociale; un pericolo perché tale indebolimento segnala che i problemi delle iden-tità spesso si evidenziano quando le ideniden-tità ormai non esistono più. Tale pericolo è ancora più evidente in quanto il problema dell’identità molto spesso viene posto in termini di modellizzazione, di prescrizione, di norma e questo si rivela oggi attraverso una ulteriore contraddizione: da un lato assistiamo all’indebolimento dell’individuo che non si riconosce più nelle spazialità che la tradizione gli ha tramandato, dall’altro ci troviamo di fronte all’emergere di identità nuove, più deboli forse, più irrisolte, ma sempre più presenti nella eterogeneità degli abitati. Si tratta di identità composte per lo più da piccoli gruppi, microcosmi urbani in grado di permettere un nuovo rispecchiamento sociale, un diverso modo di rapportarsi alla collettività e ai fenomeni che la abitano. Non più ma-crocosmi assoluti dunque, ma piccole comunità locali simili a nuove “tribù” che si spostano discon-tinuamente tra gli spazi interstiziali della città, tra i luoghi più deboli, le parti più nascoste, i “luoghi che contano”, direbbe Cristina Bianchetti, cogliendo lo spunto dal suo ultimo libro. Forse proprio queste sono le nuove identità che vanno oggi a confrontarsi con le identità forti del passato, quelle identità non così lontane che hanno segnato le “fictions” degli anni ‘80 e ’90, la “Milano da bere” ma anche la Barcellona delle Olimpiadi, o la Berlino del “dopo muro”. All’interno di queste nuove identità il termine “condivisione” diventa importantissimo perché proprio attraverso la condivisione sembrano sorgere i nuovi “piccoli universi” della contemporaneità, ridisegnando ancora una volta le frontiere tra aperto e chiuso, tra partecipazione e assenza di comunicazione.
Quest’ultima asserzione denota infine un cambiamento di rotta, che tende a sostituire i vecchi paradigmi della pubblicità intesa come “apertura al pubblico”, luogo della rappresentazione civile e della collettività urbana, con nuove forme di socialità, forse più deboli, meno intense e più timide delle precedenti.
489 Di qui l’ultima parola sulla quale ci dobbiamo soffermare: il concetto sempre più presente di “narrazione”. Sembrerebbe infatti che oggi il tema della “descrizione” del progetto non si possa dare se non in forma di narrazione, un termine complesso che vorrebbe ridare un senso a tutte le altre ar-gomentazioni che sono state messe in discussione sino ad ora, proprio perché la narrazione rimanda non ad un modello ma ad un processo, ad una processualità, ad un camminamento, ad un viaggio.
Il progetto ritorna ad essere, in quanto “narrazione”, una forma di itinerario processuale nel quale le tracce, gli strati dei suoli e le soglie multiple degli attraversamenti divengono importanti riferimenti per il viandante che le attraversa. Nel territorio intermedio in cui si sta giocando la con-temporaneità e dove natura e artificio si confrontano ibridandosi, forse l’unico modo per progettare è infatti quello di attraversare i luoghi modificandoli, in sezione, scavando e incidendo ancora una volta gli strati della storia, fino all’ultima superficie della contemporaneità, estrema sintesi delle precedenti. La sezione e lo scavo diventano due strumenti fondamentali nella progettazione urbana, proprio perché riescono ad intercettare i nuovi territori re-identificati della fragilità, della disconti-nuità, della correlazione, della identità e della narrazione, sia in orizzontale che in verticale, secondo molteplici e sempre diverse direzioni. In questa prospettiva il tema del progetto in quanto processo di conoscenza, in quanto cammino a volte anche emozionale, ci apre ad un futuro più positivo sul quale possiamo ancora sperare di dare un contributo forte.