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Una costruzione documentaria: G.B. Adriani e "Degli antichi signori di Sarmatorio, Manzano e Monfalcone, indi degli Operti fossanesi"

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Paola Guglielmotti

Una costruzione documentaria: G. B. Adriani e Degli antichi signori di Sarmatorio, Manzano e Monfalcone, indi degli Operti fossanesi

[A stampa in L’opera di Giovan Battista Adriani fra erudizione e storia, a cura di D. Lanzardo - F. Panero, Cuneo 1996 (Società per gli studi storici, archeologici ed artistici della provincia di Cuneo, Storia e storiografia, 10), pp. 71-80

© dell’autrice – Distribuito in formato digitale da “Reti Medievali”]

Il cheraschese Giovan Battista Adriani ha appena ventiquattro anni quando nel 1847 pubblica il suo contributo Degli antichi signori di Sarmatorio, Manzano e Monfalcone, indi degli Operti

fossanesi. Memorie storico-genealogiche corredate di documenti inediti, in una sede prestigiosa,

le Narrazioni sulle Famiglie Nobili della Monarchia di Savoia curate da Vittorio Angius1. Ha compiuto nella sua città natale i primi studi presso i padri della congregazione di Somasca, di cui entra a far parte in giovane età. La sua esperienza professionale è per ora limitata a un anno di insegnamento di storia e geografia presso il Regio Collegio Militare di Racconigi. Proprio il suo precoce lavoro di genealogista facilita la sua nomina a socio della Regia Deputazione di Storia Patria nel 18512 e poi l’incarico onorifico, affidatogli nel 1852 dal governo sardo, di reperire in archivi e biblioteche della Francia meridionale documenti relativi alla storia subalpina3. Tuttavia, già nel periodo della raccolta del materiale per il suo primo contributo, Adriani appare inserito, anche grazie al suo committente, nel gruppo degli eruditi piemontesi che stanno attendendo alla raccolta di fonti e all’elaborazione di ricerche attinenti la regione subalpina e soprattutto il suo passato medievale.

Vediamo a quale criterio è ispirata la densa ricostruzione (che si dipana per più di 550 pagine) delle vicende di uno dei più cospicui gruppi signorili subalpini dell’età medievale – tra i non titolari di uffici pubblici in età carolingia e postcarolingia – e delle sue prosecuzioni familiari fino agli anni più vicini all’autore. La prima sede in cui la ricerca di Adriani appare – è infatti ristampata nel 1853 come volume autonomo4 – ne condiziona inevitabilmente l’impostazione: si vuole individuare un progenitore molto antico e fornire poi, si direbbe a tutti i costi, linee di

1 Nel vol. IV/2, presso la Tipografia Fontana e Isnardi, Torino 1847, pp. 973-1524.

2 Sui primi anni di vita di questa istituzione si veda G. SERGI, Dimensione nazionale e compiti locali della

Deputazione Subalpina di Storia Patria e della Storiografia Piemontese, in Storia locale e storia nazionale, Atti del

Convegno di L’Aquila, 2-5 dicembre 1987, a cura della Deputazione di Storia Patria negli Abruzzi), L’Aquila 1992, pp. 97-101.

3 Per queste e altre informazioni bio-bibliografiche su Adriani, oltre ai contributi presentati in questo volume, rinvio a

A. MANNO, L’opera cinquantenaria della R. Deputazione di Storia Patria di Torino. Notizie di fatto storiche,

biografiche e bibliografiche sulla R. Deputazione e sui deputati nel primo mezzo secolo dalla fondazione, Torino

1884, pp. 128-130; E. DERVIEUX, L’opera cinquantenaria della R. Deputazione di Storia Patria di Torino. Notizie di

fatto storiche, biografiche e bibliografiche sulla R. Deputazione e sui deputati nel secondo mezzo secolo dalla fondazione, Torino 1935, p. 93; L. TETTONI, Il professore Commendatore Giovanni Battista Adriani. Cenni biobibliografici estratti dalla vita letteraria del Conte Cibrario, Torino 1872; A. PETITTI DI RORETO, Vercelli nel Museo civico G. B. Adriani di Cherasco, in «Bollettino storico-bibliografico subalpino», (1925), 27, pp. 157-159; F.

BONIFACIO GIANZANA, Vita e opere di Giovan Battista Adriani, in «Bollettino della Società per gli studi storici, archeologici ed artistici della Provincia di Cuneo, (1981), 84, pp. 37-45, che ha tra l’altro potuto utilizzare A. M. STOPPIGLIA, P. Adriani D. Giovanni Battista - storico insigne (1823-1905), Genova, Sc. Tip. Derelitti, 1933 (ringrazio Francesco Bonifacio Gianzana che mi ha chiarito – avvalendosi delle sue ricerche sulla documentazione di quest’ordine religioso – due informazioni apparentemente contrastanti: Adriani prende i voti semplici il 3 agosto 1841 – cioè a 18 anni – e nel 1848, come è tuttora prassi presso quest’ordine religioso, li ripete in maniera solenne e definitiva); I. M. ADORNO, Un «giallo storico». L’edizione ottocentesca degli “statuti antichi” del Comune di Vercelli, in «Rivista di Storia del diritto Italiano», 66 (1993), pp. 491-511. Relativamente all’incarico di reperimento di documenti si può leggere la relazione Sopra alcuni documenti e codici manoscritti di cose subalpine od italiane

conservati negli archivi e nelle pubbliche biblioteche della Francia meridionale, con un cenno delle principali antichità di quella contrada, Unione tipografico-editrice, Torino 1855.

4 Variando solo la paginazione, ora autonoma, presso la Tipografia di Giuseppe Cassone, con l’aggiunta di un “Indice

delle cose più notabili”: nelle note successive la semplice indicazione di pagina rinvierà a questa edizione. Un caso analogo è quello di E. MOROZZO DELLA ROCCA, Degli antichi signori di Morozzo e dei conti di esso luogo, di

Magliano, e San Michele, marchesi di Roccadebaldi e Bianzè ecc. ecc. Memorie storico genealogiche corredati di documenti inediti, in origine nel vol. IV dell’Angius, pp. 329-536, e poi ristampato dalla medesima tipografia nel 1858.

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discendenza complete e ordinate, scartando consapevolmente altri modi di ricercare e organizzare le fonti. Soffermiamoci allora, in primo luogo, sulla documentazione usata, e constatiamo positivamente lo sforzo di raccogliere proprio tutte le fonti scritte disponibili: non solo perché utili a ripercorrere ciascuna linea di discendenza, ma anche per una nozione di completezza – non sappiamo quanto consapevole da parte dell’autore – che sola consentirebbe, a un’indagine condotta con ambizioni differenti da quelle meramente genealogiche, l’individuazione dei problemi che condizionano i diversi sviluppi familiari5. Adriani può con agio accedere a tutti documenti medievali di storia subalpina già editi o in corso di pubblicazione, soprattutto negli

Historiae Patriae Monumenta, e fruire di molti inediti grazie al prestigio del compito affidatogli. E

soprattutto ha anche modo di consultare proprio l’archivio della famiglia Operti di Guarene e il dossier documentario presentato per le procedure di nobilitazione condotte nel 17926. Sottolineiamo però un’esclusione, in un certo senso anch’essa inevitabile, attuata nella raccolta del materiale: è minimo l’interesse per eventuali reperti archeologici e per i resti materiali di antichi edifici, nonostante l’indubbia conoscenza della zona. Ma su una lapide del 1064 concernente i signori di Sarmatorio e i loro epigoni, già perduta al tempo di Adriani che pure ce ne fornisce il testo, grava il solido sospetto che sia parto di un informatore del nostro autore o del nostro autore medesimo, dal momento che è indispensabile a saldare una generazione all’altra7.

Veniamo alle «autorità», agli storici e agli eruditi precedenti e coevi, cui Adriani si richiama, ciò che può tra l’altro farci comprendere forse su quali testi egli aveva compiuto la sua preparazione di studioso, ma sicuramente quali erano le ricerche di storia subalpina che avevano maggiore circolazione e di cui comunque chi partecipava all’impresa dell’Angius doveva necessariamente tener conto. Questi studiosi attivi tra Sei e Settecento, i cui nomi poi ricorrono nelle parti medievali del contributo, sono citati in gran parte in una sorta di premessa8: si tratta in primo luogo di Gian Tommaso Terraneo, qualificato come «padre... della storia subalpina», e poi di Gioffredo e Francesco Agostino Della Chiesa (autore Delle dodici famiglie nobili di Fossano - Degli

Operti, rimasto manoscritto e a cui Adriani largamente attinge)9, di Delfino Muletti per l’ambito saluzzese, di Francesco Voersio, autore della secentesca Historia compendiosa di Cherasco, degli storici fossanesi Giovanni Antonio Negri (Dell’origine, fondatione, qualità e stato di Fossano

ecc.)10, e Giuseppe Muratori (autore di Veteris nobilique famigliae de Opertis historiae

genealogicae probationes, rimasto manoscritto e consultato da Adriani)11. Sono poi ricordati con una certa frequenza Pingone, Guichenon, Moriondo, Novellis, Grassi di Santa Cristina, Casalis, e

5 È tra l’altro tale la suggestione di questa completezza da condizionare - senza che si concepisca di ricercare nuove

fonti e nuovi approcci - anche chi da genealogista si porrà criticamente verso il genealogismo degli storici delle generazioni precedenti: sull’opera citata alla nota successiva si veda G. SERGI, I confini del potere. Marche e signorie

fra due regni medievali, Torino 1995, p. 142n, che la giudica «quasi anacronistica per impostazione e strettamente

legata alle conclusioni dei genealogisti dell’inizio del secolo».

6 Desumo quest’informazione da P. BRAYDA DI SOLETO, Corsa genealogica fra le grandi famiglie dell’alto

medioevo italiano. Robaldini ed Ansarici, Bene Vagienna, Tipografia Francesco Visso, 1938, pp. 17-18, che cita le Prove di nobiltà della famiglia Operti di Guarena patrizia di Fossano fatte avanti l’eccellent. R. Camera de’ Conti,

Torino, Giuseppe Ghiringhello.

7 Citata a p. 271: sarebbe stata posta sul sepolcro di Robaldo, figlio di Alineo e il cui testo sarebbe stato trasmesso ad

Adriani – stando a quanto l’A. ci dice – dal cavalier Melchiorre Rangone Malherba di Montelupo, presidente negli ultimi anni del Settecento «nel consiglio di Stato e de’ memoriali» (p. 42) di solito connesso alle falsificazioni operate da Adriani; cfr. BRAYDA DI SOLETO, Corsa genealogica cit., p. 16, 52. A pp. 41-42, citando una ipotetica donazione al monastero di Pedona, Adriani chiarisce quasi esplicitamente come le «informazioni» fornite dal cavalier Rangone siano da equiparare, per attendibilità, a quelle date dal preposito Meyranesio, su cui oltre, nota 14 e testo corrispondente.

8 Pp. 5 sgg.

9 Sul primo di questi autori (p. 6) si veda A. BARBERO, Corti e storiografia di corte nel Piemonte tardomedievale, in

Piemonte medievale. Forme del potere e della società. Studi per Giovanni Tabacco, Torino 1985, p. 253-255 e

274-276 e L. PROVERO, Dai marchesi del Vasto ai primi marchesi di Saluzzo. Sviluppi signorili entro quadri pubblici

(secoli XI-XII), Torino 1992 (Biblioteca storica subalpina, 209), passim, e sul secondo (cfr. pp. 398 e 406) le brevi

osservazioni in op. cit., p. 14.

10 Torino 1650.

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altri ancora (come osserviamo da note molto diligenti12), tra cui anche noti falsari, quali l’Ughelli13 e soprattutto il canonico Meyranesio14. Ma non manca rinvio anche ai rinnovatori degli studi storici nel secolo precedente, Ludovico Antonio Muratori15 e Jean Mabillon16. Adriani si innesta comunque senza problemi in quel filone storiografico che opta per una ricostruzione delle vicende patrie in chiave prevalentemente dinastico-genealogica. Questa tendenza storiografica si è andata più nettamente affermando da metà Settecento, con accentuazioni diverse a seconda degli autori, e con speciale e comune attenzione per la vicenda della famosa contessa arduinica: fino a sconfinare nell’ossessione storico-antiquaria, come nell’Adelaide illustrata del Terraneo (1759)17. Torneremo su questo punto.

Tra gli autori che Adriani cita troviamo anche Jacopo Durandi, ma limitatamente all’uso che questi fa di taluni documenti18. Adriani non tiene infatti conto della proposta avanzata già settant’anni prima dall’autore del Piemonte cispadano antico19: della generazione di Ludovico Antonio Muratori, questi si era mosso in un fertile filone di descrizione del territorio che coniugava morfologia e storia, osservando proprio l’ininterrotta trasformazione di un’area ben definita, con consapevolezza delle specificità di ciascun periodo20. La prima sede editoriale del lavoro sui Sarmatorio probabilmente non pare opportuna all’autore per ripercorrere la storia di un territorio sotto la specie della narrazione di un’articolata vicenda familiare, ma non è del resto difficile rilevare lo scarso interesse di Adriani stesso per l’evoluzione complessiva di un territorio.

Ciò premesso, si tratta di un’opera scritta di getto. Ce ne avvertono in primo luogo la giovane età di Adriani al momento della redazione, le molte ripetizioni e almeno una rapida notazione, nel testo stampato nel 1853, in cui l’autore corregge «qualche congettura» precedentemente avanzata21: e ciò ci suggerisce come parti del testo fossero andate in stampa subito dopo la loro prima stesura. L’ampio corredo documentario, strumento utile per i contemporanei che non disponevano ancora, ad esempio, delle edizioni dei libri verdi della chiesa di Asti e del comune di Fossano, rende adesso faticosa la lettura, specie laddove del medesimo documento siano dati tanto il testo latino quanto la traduzione italiana22. Al di là delle forzature interpretative in senso genealogico, questi documenti sembrano poi proposti per quanto «naturalmente» ci raccontano: il commento che non sempre li correda si colora soprattutto di moralismo, con inevitabili ricadute retoriche a livello della narrazione23, cosa peraltro comune alla storiografia del periodo. Inoltre è difficile muoversi attraverso questo mezzo migliaio di pagine se non facciamo ricorso agli indici e alle tavole genealogiche che ci fanno districare tra una matassa di fili familiari ora lasciati, ora ripresi, e di

12 Ad es. p. 161.

13 Ad es. p. 35 e p. 293, relativamente ad atti del 969 e del 1028 che però non destano sospetti.

14 Ad es. a p. 23, quando di quest’ultimo cita addirittura «un ragionamento inedito» sui due franchi venuti in Italia al

seguito di Alineo, cfr. oltre, nota 27 e testo corrispondente; p. 28.

15 Ad es. a pp. 42-43, 107, 113, 246, 255, 279, 284, 304, 350, 374, 380, citando tanto le Antichità estensi, quanto le

Antiquitates Italiae.

16 Ad es. pp. 272, 276.

17 Su questo secondo filone si veda esaurientemente op. cit.

18 Ad es. a p. 36, di cui però riprende la citazione di un atto del 956 (dal testo citato alla nota successiva) palesemente

falso; o p. 141, relativamente alla fondazione di S. Pietro di Savigliano nel 1028 ad opera di Abellono figlio di Alineo, ma non l’Alineo, corregge Adriani, capostipite dei Sarmatorio.

19 Torino 1774: su questo e altri lavori dello studioso si veda D. GRIBAUDI, Jacopo Durandi ed il suo contributo alla

corografia storica del Piemonte, in «Bollettino storico-bibliografico subalpino», 36 (1934), pp. 353-378.

20 R. BORDONE, Spunti archeologici nelle descrizioni erudite fra Sette e Ottocento, in Medioevo rurale. Sulle tracce

della civiltà contadina, a cura di V. FUMAGALLI e G. ROSSETTI, Bologna 1980, pp. 139-154 e per la specifica

situazione piemontese R. COMBA, Spunti per una storia del territorio e dell’economia piemontese nell’opera di

Angelo Paolo Carena (1740-1769), in «Studi piemontesi», 9 (1980), pp. 95-100; cfr. anche E. ARTIFONI, La contessa Adelaide nella storia della medievistica, in La contessa Adelaide e la società del secolo XI, numero speciale di

«Segusium», 29 (1992), 32 (Atti del convegno di Susa, 14-16 novembre 1991), pp. 14-15.

21 P. 298.

22 Come ad esempio per l’atto del cittadinatico astigiano, giurato dai signori di Manzano, Sarmatorio e Monfalcone nel

1198, riportato prima in italiano e poi in latino, pp. 363-370.

23 Cito per tutti il commento alla condotta di Giovanna, regina di Napoli: «Intanto dopo la morte dell’infelice re

Andrea, ebbe Giovanna successivamente tre altri mariti, a’ quali faceva copia del suo talamo sanguinoso, ma non del trono» (p. 258).

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vicende familiari ben di rado trattate sincronicamente, anche dopo il trasferimento a metà Duecento nelle villenuove di Fossano e Cherasco. E non è nemmeno agevole comprendere, ad esempio, quali effetti abbia avuto nel concreto agire politico l’affermata ascendenza comune dei signori che si denominano da Sarmatorio, da Manzano e da Monfalcone24.

Porto un esempio fra i molti possibili che illustri come la scelta di aprire queste «finestre», che poi abbagliano più che illuminare gran parte del nostro campo visivo, spezzi l’andamento della narrazione. Si deve al Robaldo ascritto al ceppo dei Sarmatorio la fondazione nel 1018 del monastero di S. Teofredo di Cervere: oltre al documento di dotazione sono poi riportati, senza che ciò abbia sempre rilevanza ai fini della ricostruzione genealogica, decine di atti a esso relativi fino al tutto il secolo XV25. Sia detto per inciso che essi sono desunti dagli Archivi di Corte, come dichiara l’autore, che però ammette di averne potuto dare il testo grazie alla trascrizione di un Indice compilato da Padre Isidoro da Parma attuata da Carlo Novellis e poi non utilizzata per la sua storia saviglianese26. Ma a parte il fatto che il lavoro di Adriani è inevitabilmente datato, quale credito dare a queste ricostruzioni, considerato che non si avvertono tensioni interpretative di altro genere, e quale uso possiamo ancora fare del cumulo di informazioni che ci sono fornite?

Circoscriviamo la nostra attenzione al periodo medievale e diciamo onestamente – senza che ciò sembri troppo ovvio – che il lavoro di Adriani è a sua volta da considerare come un documento, testimonianza di un metodo di lavoro tipico del suo tempo, che ha prodotto risultati che non reggono il vaglio della critica attuale. L’autore monta una costruzione documentaria che adesso appare ingenua: il progenitore di coloro che fino a metà Duecento si dicono signori di Sarmatorio è individuato in un Alineo, cliente di due franchi che «de sterilibus montibus» sarebbero arrivati in Italia tra IX e X secolo, come ci racconta il cronista della Novalesa27. Questo Alineo è poi congiunto, in modo congetturale e sulla base di atti di dubbia autenticità, all’omonimo che la più prudente storiografia attuale considera il primo personaggio collegabile a Sarmatorio e di cui abbiamo relativa certezza nelle prosecuzioni familiari, attestato come già defunto nel 101828. Per il primo secolo e mezzo Adriani si fonda infatti sui documenti presentati alla Regia Camera de’ Conti per ottenere la declaratoria di nobiltà dal fossanese Giovanni Antonio Operti: ma mentre questi, a fine Settecento, aveva definito congetture i nessi tra l’uno e l’altro personaggio (e il causidico aveva giudicato le prove «non troppo stringenti»)29, Adriani avalla come certezza la ricostruzione proposta da Operti. Non è questa la sede per entrare in dettagli, ma basti ricordare come già Lorenzo Bertano alla fine del secolo scorso nella sua Storia di Cuneo abbia sollevato seri dubbi su molti di questi documenti30 e come poi, alla fine degli anni Trenta, una simile costruzione sia stata smantellata da Pietro Brayda di Soleto che, in un intervento che ha sì molti limiti di impostazione, ha però dichiarato sospetti o contraffatti molti documenti: sono quelli del 904, 927, 944, 984 (che è uno «sdoppiamento» di quella del 904), 1078, 1095 e 112831. Adriani stesso, del resto, evita di inserire le gran parte di questi atti nell’Indice analitico e cronologico di alcuni documenti per

24 Pp. 51 sgg.

25 Pp. 197-244.

26 P. 244, C. NOVELLIS, Storia di Savigliano, Savigliano 1879, 4 voll. Il materiale non trova posto nel. vol. II, Parte

prima, dedicato a “Religione”. Per quanto dichiarata, questa appropriazione del lavoro altrui costituisce un significativo precedente a un’operazione analoga, condotta a spese di Vittorio Mandelli, che aveva trascritto gli antichi statuti vercellesi. In questo caso però Adriani omette di dichiarare la vera paternità del lavoro, pubblicato nel 1876 negli Historiae Patriae Monumenta, sezione Leges Municipales, tomo secondo. Il fatto è stato segnalato più o meno esplicitamente in numerose occasioni, e ricordo ad esempio PETITTI DI RORETO, Vercelli nel Museo civico G. B.

Adriani di Cherasco cit.; di recente si veda ADORNO, Un «giallo storico» cit., pp. 491-511, e anche PETRA KOCH, che

pure ha trattato il problema di sfuggita: Die Statutengesetzgebung der Kommune Vercelli im 13. und 14. Jahrhundert, Frankfurt am Mein 1995 (Gesellschaft, Kultur und Schrift, Mediävistische Beiträge, 1), pp. 31-32.

27 Nella più recente edizione Einaudi, curata da G. C. ALESSIO, Torino 1982, alle pp. 260-261.

28 Utili spunti sulla tendenza a ricercare progenitori illustri si leggono in R. BIZZOCCHI, Genealogie incredibili. Scritti

di storia nell’Europa moderna, Bologna 1994; cfr. anche oltre, nota 35.

29 BRAYDA DI SOLETO, Corsa genealogica cit., pp. 11-49 (la citazione è a p. 29). 30 L. BERTANO, Storia di Cuneo. Medio evo (1198-1382), Cuneo 1898, 2 voll. 31 BRAYDA DI SOLETO, Corsa genealogica cit., pp. 11-49.

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servire alla storia della città di Cherasco dal sec. X al XVIII, compilato una decina di anni dopo il

lavoro sui Sarmatorio e i loro discendenti32.

L’ardita teoria genealogica accreditata da Adriani non solo «regala» qualche generazione a ritroso in più ai signori di Sarmatorio, secondo lo schema «tanto più antico quanto più prestigioso», ma collega costoro, ancor più saldamente di quanto non sia constatabile per il secolo XI, alla dinastia arduinica, dal momento che uno dei due franchi sopra citati è un progenitore della comitissa Adelaide. Con operazione forse consapevole, le vicende dei Sarmatorio sono così immesse a pieno titolo nella storia subalpina «maggiore» e inserite nel percorso di una stirpe da cui deriverà la dinastia sabauda. Aderendo al sostrato ideologico dell’opera del Terraneo, Adriani sostanzia vieppiù il «complesso mitico più robusto» della storiografia piemontese dell’Ottocento: «l’orgoglio di una terra che si voleva stabile e unita sotto una medesima dinastia fin dai secoli centrali del medioevo»33. Del resto questo è, non solo per Adriani, procedimento abituale, soprattutto quando la documentazione medievale accessibile appare lacunosa, e si giudica tanto più necessario appoggiare vicende che possono apparire di non molto conto alla storia politica generale e alle azioni dei principali personaggi attivi sullo scenario politico subalpino34. Non mancano però, da parte di Adriani, scelte di onestà nel presentare quel che effettivamente trasmettono gli atti a noi pervenuti, nonostante il tono apologetico di tutta la narrazione: e così prospetta la nascita non legittima di Corrado, citato nel 1277 e appartenente al ramo di coloro che da qualche decennio vivono a Fossano e si cognominano Operti35.

In conclusione, dal lavoro di Giovan Battista Adriani occorre accogliere soprattutto la provocazione a studiare su basi diverse questo potente gruppo signorile, senza scartare, ad esempio, l’ipotesi che qualcuno dei documenti più palesemente falsificati sia costruito sulla base di atti autentici36. Occorre superare il disagio avvertito da tutti coloro che si sono recentemente occupati dei Sarmatorio37: consapevoli che risultati incerti e insicurezze prosopografiche sono, per lo storico dei giorni nostri, comunque risultati positivi38.

32 Raccolti e ordinati a cura di GIOVAMBATTISTA ADRIANI, Torino, Unione Tipografica Editrice, 1857. Ricavo

questa informazione da BRAYDA DI SOLETO, Corsa genealogica cit., passim. Adriani palesa comunque la propria capacità di critica, e perciò di consapevolezza dell’operazione che sta compiendo, già nel lavoro sui Sarmatorio, dove ad esempio a p. 272 confuta le proposte relative alla data di fondazione del monastero di S. Pietro di Savigliano avanzate da padre Isidoro da Parma e da Peronino Sereno.

33 ARTIFONI, La contessa Adelaide cit., p. 11; M. FUBINI LEUZZI, Gli studi storici in Piemonte dal 1766 al 1846:

politica culturale e coscienza nazionale, in «Bollettino storico-bibliografico subalpino», 81 (1983), p. 130 sg.

34 Si noti tra l’altro come Adriani reputi necessario fornire delucidazioni (spesso ricorrendo a Ludovico Antonio

Muratori, sopra, nota 15) su molti aspetti della vita sociale, politica ed economica dell’età medievale e non dia spiegazioni analoghe per i secoli a lui più vicini.

35 Pp. 422-423 e 404 sgg.

36 Questa strada è già stata indicata da F. Gabotto, relativamente all’atto del 984 (pp. 51-52), in Introduzione

all’Appendice documentaria al Rigestum Comunis Albe, Pinerolo 1912 (Biblioteca della Società Storica Subalpina 22),

p. XVII n., su cui si veda BRAYDA DI SOLETO, Corsa genealogica cit., p. 45. Una recente e buona esemplificazione delle procedure di verifica che occorrerebbe seguire è in L. PROVERO, Revello 1075: il diploma adelaidino per la

canonica di S. Maria e la sua interpolazione, in «Bollettino storico-bibliografico subalpino», 93 (1995), pp. 265-93.

37 R. BORDONE, Città e territorio nell’alto medioevo. La società astigiana dal dominio dei franchi all’affermazione

comunale, Torino 1980 (Biblioteca storica subalpina, 200), pp. 304-305, 322-323, 342 e n, 350n, 351n, 357; P.

GUGLIELMOTTI, Potenzialità e impulsi del Piemonte sud-occidentale fra il sec. X e il sec. XIII: protagonisti politici

e nuclei sociali, in Dai feudi monferrini e dal Piemonte ai nuovi mondi oltre gli Oceani, Alessandria 1993 (Biblioteca

della Società di storia, arte e archeologia per le province di Alessandria e Asti, 27), Atti del Congresso internazionale, 2-6 aprile 1990, pp. 68-72, 75; F. PANERO, Insediamenti e signorie rurali alla confluenza di Tanaro e Stura (sec.

X-XIII), in Cherasco, Origine e sviluppo di una villanuova, a cura di ID., Cuneo 1994 (Da Cuneo all’Europa, 3), pp.

16-21, 23-29; L. PROVERO, Aristocrazia d’ufficio e sviluppo di poteri signorili nel Piemonte sud-occidentale (secoli

XI-XII), in «Studi medievali», serie terza, 25 (1994), pp. 600-605, 622, 623. Tutti questi autori considerano la famiglia

che va denominandosi «de Sarmatorio» solo a partire dal terzo decennio del secolo XI.

38 A fini comparativi con Adriani è utile la presentazione di uno storico ed erudito di Carmagnola, ben più rigoroso,

preposta da G. BANCHIO e G. SERGI (Il contradditorio medioevo di uno storico locale) alla riedizione di R. MENOCHIO, Memorie storiche della città di Carmagnola, Carmagnola 1993 (ed. or. 1890), pp. XXIII-XXXVII.

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