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Le professioni dell'Eda

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I 2010, VOL 6, N. 16 ISSN 2279-9001

EDITORIALE

Le professioni dell'Eda

Marco De Vela

A dieci anni dal 2 marzo 2000…

Il Documento della conferenza unificata Stato Regioni del 2 marzo 2000 ha rappresentato, nel no-stro paese, un vero e proprio salto di qualità nella concezione dell’EdA. Tre i punti cardine di questo accordo: far uscire l’educazione degli adulti dalla marginalità di iniziative più o meno spo-radiche, ma comunque sparse territorialmente e non raccordate in alcun modo tra di loro , in mo-do da dare a tutti i cittadini la possibilità di accedere a percorsi formativi lungo tutto l’arco della loro vita, superare un concezione dell’EdA come pura e semplice seconda chance per conseguire un titolo di studio, valorizzare un concetto di formazione integrale ed integrata in cui tutti gli ap-prendimenti, in qualsiasi contesto conseguiti (formale, non formale, informale) potessero porsi su un piano di pari dignità, essere riconosciuto, valorizzati, documentati per consentire a ciascun cittadino di assemblare, governandolo personalmente il proprio percorso ed il proprio ruolo nella società della conoscenza.

Pochi mesi dopo, condividendo pienamente questa impostazione ed allo scopo di facilitarne la realizzazione nasceva a Firenze l’associazione EdaForum, Forum permanente per l’educazione degli adulti.

Non è questo il luogo per un bilancio della vita,dell’azione, dei risultati conseguiti, degli insucces-si,delle prospettive dell’associazione: a questo dedicheremo uno dei prossimi numeri della rivista. Ma ripensare, oggi, al fervore di quel periodo in cui, anche grazie alla possibilità di sperimenta-zione offerta dal Fondo Sociale Europeo, si svilupparono numerose iniziative tese all’individua-zione di metodologie innovative e trasferibili ed alla creaall’individua-zione di reti tra i diversi sottosistemi del lifelong learning può essere una chiave di lettura da tenere sullo sfondo per questo numero della rivista .

Per questo voglio qui svolgere alcune brevi (e volutamente provocatorie) considerazioni.

La (breve) stagione di fioritura dell'EdA si è di fatto conclusa con il 2003, quando ci si è resi con-to, che affidare questo settore esclusivamente al meccanismo dei bandi FSE lo rendeva debole ed effimero. Il ricorso al FSE, in altre parole diveniva una sorta di alibi per rimandare, da parte dei decisori politici, il problema vero. Quello cioè di mettere a punto meccanismi e procedure di fi-nanziamento certe per le attività di educazione degli adulti, di definire compiti ed attori, di indi-viduare figure professionali e percorsi, di porsi seriamente il problema di politiche della doman-da.

Certamente gli anni e le esperienze trascorsi fanno sì che non siamo all’anno zero.

Va notato tuttavia che la sempre più grave carenza di risorse a livello nazionale e la stessa dimi-nuzione dei flussi dalla Comunità Europea ha portato a difficoltà notevoli.

Paradigmatici, da questo punto di vista, il progressivo disimpegno da parte degli enti locali e la tendenza ad orientare le poche risorse disponibili esclusivamente sul campo formale, del conse-guimento di titoli di studio e della formazione professionale.

Questo orientamento sembra mettere sempre più in parentesi uno dei compiti specifici dell'EdA, vale a dire tutto ciò che l’ambito non formale riusciva meglio a veicolare verso il “non pubblico”: competenze trasversali, empowerment, auto progettazione dei propri itinerari formativi, valoriz-zazione della domanda.

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I I 2010, VOL 6, N. 16 ISSN 2279-9001

Con una semplificazione estrema potremmo dire che mettendo in secondo piano il valore di que-sto tipo di competenze, il discrimine tra formazione professionale ed addestramento diviene mol-to labile, così come il conseguimenmol-to di un timol-tolo di studio in età adulta rimanda ad un modello di scuola serale che risponde solo in parte ai bisogni veri che inducono studenti adulti al ritorno a scuola.

Mi sembra di notare che la risposta a queste difficoltà non sia, al momento, quella rilanciare la battaglia culturale sui valori “politici” dell’EdA: la stessa campagna per la raccolta di firme sulla legge di iniziativa popolare per regolamentare la materia è stata da questo punto di vista un’occa-sione perduta, in quanto, al di là del risultato positivo del raggiungimento del numero di firme necessario, non è stata sfruttata adeguatamente per rendere evidenti queste tematiche presso l’o-pinione pubblica.

Al contrario assistiamo, ad una tendenza (che investe trasversalmente tutti gli attori dell’EdA, dalla scuola, alle agenzie, dall’università agli enti locali) ad arroccarsi in logiche localistiche e tal-volta corporative in cui le diverse alleanze appaiono più cordate tese ad accaparrarsi risorse e (piccolo) potere, che non nodi della rete da costruire.

In questo quadro credo che EdaForum, proprio attraverso questa rivista, attraverso le sue inizia-tive pubbliche, insomma attraverso il suo lavoro sia ancora più importante al fine di costruire una risposta culturale e politica a queste difficoltà ed ai rischi di involuzione che queste ci pongono, come da dieci anni ad ora facciamo, con “il pessimismo dell’intelligenza e l’ottimismo della vo-lontà” .

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