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Sintesi di azazuccheri e loro coniugati come potenziali inibitori di metalloproteinasi (MMPs)

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Farmacia

Corso di Laurea Magistrale in

Chimica e Tecnologia Farmaceutiche

Tesi sperimentale:

Sintesi di azazuccheri e loro coniugati come potenziali

inibitori di metalloproteinasi (MMPs)

Relatori:

Dott.sa Felicia D’Andrea

Dott.sa Nuti Elisa

Candidata:

Laura Rosi

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Indice

1. -Introduzione………1

1.1. - Ruolo biologico dei carboidrati……….……….……..1

1.2. - Gli azazuccheri: mimetici saccaridici………..6

1.2.1. - Gli azazuccheri: inibitori specifici di glicosidasi………..8

1.2.2. - Approcci sintetici agli azapiranosi………..12

1.3. - Le Metalloproteinasi della matrice (MMPs)………..17

1.3.1 - Struttura molecolare delle MMPs………...19

1.3.2. - Catalisi enzimatica delle MMPs: meccanismo d’azione……….22

1.3.3. - Inibitori sintetici delle MMPs: breve storia………24

1.3.4. - Utilità della MMP-8 come target terapeutico……….26

1.4. - Gli azazuccheri come inibitori di MMPs………30

1.5. - Scopo della Tesi………...34

2. - Risultati e Discussione……….36

2.1. - Preparazione del derivato 1,5-dicarbonilico a configurazione L-arabino (49)……….37

2.2. - Preparazione dei derivati 1,5-dicarbonilici a configurazione D-xilo (54 e 57)………...43

2.3. - Amminociclizzazione dei derivati 1,5-dicarbonilici 32, 49 e 54…………50

2.4.- Valutazioni preliminari sull’attività inibitoria degli azazuccheri deprotetti 9, 11, 14 e 30………..58

2.5. - Preparazione dei prodotti di coupling (eterodimeri) 35 e 37………...59

3. – Parte Sperimentale………63

3.1. - Metodiche generali: reattivi, solventi e strumentazione……...63

3.2. - Preparazione dei derivati 1,5-dicarbonilici 32, 49, 54……...65

3.2.1 - Preparazione del 4-O-[3',4'-O-isopropilidene-β-D -galattopiranosil]-2,3,5,6-di-O-isopropilidene-aldeido-D-glucosio dimetilacetale (46b)……....…....…....…....…....…....…....…....…....… …....…...65

3.2.2 - Preparazione del 4-O-(6'-O-p-toluensolfonile-3',4'-O-isopropilidene- β-D-galattopiranosil)-2,3:5,6-di-O-isopropilidene-aldeido-D-glucosio dimetile acetale (47) …....…....…....…....…....…....…....…....…...66

3.2.3. - Preparazione del 4-O-(2'-O-benzil-6'-desossi-3',4'-O-isopropilidene-α-L -arabino-es-5'-enopiranosil)-2,3:5,6-di-O-isopropilidene-aldeido-D-glucosio dimetilacetale (48)…....…....…....…....…...67

3.2.4. - Preparazione del 6-desossi-2-O-benzil-L-arabino-esos-5-ulosio (49)………..68

3.2.5. - Preparazione del 3-O-benzil-1,2:5,6-di-O-isopropilidene-α-D -glucofuranosio (16a)……….………..69

(3)

3.2.6. - Preparazione del 3-O-benzil-1,2-O-isopropilidene-α-D

-gluco-furanosio(52)………...69

3.2.7. - Preparazione del 3-O-benzil-1,2-O-isopropilidene-α-D-xilo-esos- 5-ulofuranosio (53)……….70

3.2.8. - Preparazione del 3-O-benzil-α-D-xilo-esos-5-ulofuranosio (54)……71

3.2.9. - Preparazione del 3,6-di-O-benzil-1,2-O-isopropilidene-α-D -glucofuranosio (55)……….71

3.2.10. - Preparazione del 3,6-di-O-benzil-1,2-O-isopropilidene-α-D -xilo-esos-5-ulofuranosio (56) ………....72

3.2.11. - Preparazione del 3,6-di-O-benzil-α-D-xilo-esos-5-ulofuranosio (32)... ………..73

3.3. - Amminociclizzazione dei derivati 1,5-dicarbonilici 32, 49, 54………….73

3.3.1. - Procedure generali………..73

3.3.2 - Preparazione del 2-O-benzil-N-benzil-1,5,6-tridesossi-1,5- immino-D-galattitolo (65) e 2-O-benzil-N-benzil-1,5,6- tridesossi-1,5-immino-L-altritolo (66)……….74

3.3.3 - Preparazione del 2-O-benzil-N-[(2'R)-1'-carbometossi- 2'-benziletil]-1,5,6-tridesossi-1,5-immino-D-galattitolo (67) e 2-O-benzil-N-[(2'R)-1'-carbometossi-2'-benziletil]-1,5,6-tridesossi-1,5-immino-L-altritolo (68)……….75

3.3.4 - Preparazione del N-benzil-3-O-benzil-1,5-di-desossi-1,5- immino-D-glucitolo (69)………..76

3.3.5. - Tentativi di preparazione del 3-O-benzil-N-[(2'R)-1'-carbometossi- 2'-benziletil]-1,5-didesossi-1,5-immino-D-glucitolo (70a)………….77

3.3.6. - Preparazione del N-[(2-N-t-butossicarbonil)-aminoetil]- 3,6-di-O-benzil-1,5-di-desossi-1,5-immino-D-glucitolo (33) ………77

3.4. - Preparazione dei target azapiranosici 9, 14, 30………..78

3.4.1. -Preparazione del 1,5,6-tridesossi-1,5-immino-D-galattitolo idrocloruro (14) ………78

3.4.2. - Preparazione del 2-O-benzil-N-[(2'R)-1'-carbossi-2'- benziletil]-1,5,6-tridesossi-1,5-immino-D-galattitolo (71)………...79

3.4.3. - Preparazione dell’1,5-di-desossi-1,5-immino-D-glucitolo (DNJ, 9) ………...79

3.5. - Preparazione degli eterodimeri 35 e 37……….80

3.5.1. - Preparazione del N-(2-isotiocianatoetil)-3,6-di-O-benzil- 1,5-di-deossi-1,5-immino-D-glucitolo (34) ………..80

3.5.2. - Preparazione dell’eterodimero 35 ………...81

3.5.3. - Preparazione dell’eterodimero 37………....82

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1. Introduzione

1.1. - Ruolo biologico dei carboidrati

I carboidrati, insieme a proteine e acidi nucleici, costituiscono un’importante classe di composti organici naturali maggiormente diffusa in natura presenti in tutti i tessuti degli organismi viventi. Fino a 30 anni fa erano considerati molecole aventi solo funzione di tipo strutturale e di riserva energetica per la cellula (cellulosa, chitina, glicogeno etc.) e, non essendo stati evidenziati coinvolgimenti nei processi biologici, veniva loro attribuito uno scarso rilievo all’interno della complessa architettura fisiologica umana. Già da tempo erano comunque note complesse strutture molecolari polimeriche (glicoconiugati) di rilevante attività biologica presenti negli organismi viventi dove i carboidrati sono legati a proteine (glicoproteine) o lipidi (glicolipidi). Si riteneva, tuttavia, che l'espletamento dell’attività biologica di queste complesse strutture fosse esercitata dal frammento non glicidico (proteico o lipidico) e che la presenza di differenti catene oligosaccaridiche fosse accessoria e casuale. Successivamente con l’avvento della glicobiologia si è assistito ad un notevole sforzo scientifico volto alla comprensione dell’attività biologica espletata da questi polimeri naturali ed è stato dimostrato che, molto spesso, la loro specificità è ascrivibile principalmente ai residui saccaridici.1 Le glicoproteine sono classificate in due gruppi principali, le

N-glicoproteine e le O-N-glicoproteine a seconda se la catena oligosaccaridica è legata alla proteina rispettivamente attraverso l’amminoacido asparagina o gli amminoacidi treonina o serina. In particolare è stato evidenziato che la porzione glicidica di una glicoproteina modifica le proprietà della proteina stessa, alterandone la stabilità, la resistenza alle proteasi, la struttura quaternaria e partecipa direttamente al fenomeno di riconoscimento molecolare esercitato dai glicoconiugati presenti sulle pareti cellulari.

Le ricerche volte alla comprensione dell’attività biologica di glicoproteine e glicolipidi, hanno evidenziato un ruolo fondamentale dei residui glicidici in numerosi processi biologici,1c tanto che oggi a essi sono attribuite caratteristiche bio-informative

come quelle conferite agli acidi nucleici e alle proteine. Anche se esistono numerosi studi volti alla comprensione della relazione struttura-attività dei carboidrati, i risultati sono ancora lontani rispetto a quelli raggiunti con le proteine e gli acidi nucleici e ciò spinge i ricercatori a investigare sulla glicomica nella stessa sistematica maniera utilizzata per il DNA (genomica) e per le proteine (proteomica) con lo scopo di creare

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un catalogo, cellula per cellula, di strutture glicidiche, glicosidasi e glicosiltransferasi coinvolte nella loro biosintesi.

Una complicazione dello sviluppo della glicomica risiede nel fatto che mentre il DNA e le proteine hanno essenzialmente sequenze lineari di venti possibili building blocks, gli zuccheri esibiscono spesso sequenze ramificate di 30 possibili building blocks tant’è che, ad esempio, il numero di isomeri lineari e ramificati di un esasaccaride è di 1012. I carboidrati, avendo a disposizione un ampio ventaglio di

combinazioni possibili e diversi punti di ramificazione generano strutture complesse in grado di fornire una quantità estremamente elevata d’informazioni e l’innumerevole varietà delle unità monosaccaridiche costituenti le macromolecole, permette loro di espletare un linguaggio (glicocodice) estremamente eloquente. I decifratori di questo linguaggio generalmente sono proteine leganti gli zuccheri chiamate lectine, caratterizzate da un’elevata specificità quali, ad esempio, le galectine in grado di riconoscere in modo specifico unità β-D-galattosidiche. E’ noto, infatti, che numerose

interazioni cellula-cellula, vari meccanismi immunologici e molte condizioni patologiche sono da imputare a interazioni specifiche lectine-carboidrati. Ad esempio l’adesione batterica ai tessuti dei mammiferi è spiegata in termini di specifiche lectine che, interagendo con specifiche glicoproteine, agiscono come recettori di carboidrati.

I carboidrati sono quindi coinvolti in numerosi fenomeni di riconoscimento e adesione tra cellule, tra cellule e virus, batteri, tossine e per questa ragione sono coinvolti in processi biologicamente importanti,2 come la difesa immunitaria, la

replicazione virale e la crescita cellulare. Inoltre sono farmacologicamente rilevanti in processi infiammatori (osteoartrite e artrite reumatoide), infezioni virali e batteriche, disordini metabolici e patologie tumorali visto il loro ruolo nella trasmissione dei segnali responsabili della crescita cellulare incontrollata.

Lo studio delle funzioni biologiche delle strutture saccaridiche necessita la disponibilità di abbondanti quantità di derivati glicidici chimicamente puri, strutturalmente e stereochimicamente definiti e l’accesso a tali strutture da fonti naturali è limitato dal fatto che essi sono presenti in natura in basse concentrazioni, spesso legati ad altre strutture complesse (proteine e lipidi), e in forma micro-eterogenica, tant’è che il loro isolamento, quando possibile, è molto difficile e costoso. L’accesso a tali composti dipende quindi essenzialmente dalla sintesi chimica che deve garantire un’elevata stereoselettività.

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Con l’avvento della glicobiologia, la scienza che collega i differenti interessi dei chimici organici e dei biologi per i carboidrati, si è assistito in questi ultimi anni a un grandissimo sforzo scientifico volto alla comprensione di ogni singola attività biologica espletata dai residui glicidici delle strutture macromolecolari umane, messo in luce dall’elevato numero di pubblicazioni relative ai carboidrati che appaiono in numero sempre crescente e nelle più svariate riviste. Ciò ha incentivato la progettazione e la sintesi di molecole a struttura saccaridica da utilizzare come sostanze terapeutiche ottimali per realizzare formulazioni mono-, poli- o oligosaccaridiche come ad esempio vaccini antibatterici, antivirali, anti-tumorali o immunostimolanti e per lo sviluppo di farmaci a base di carboidrati.2 I carboidrati più raffigurati nelle strutture saccaridiche

biologicamente attive sono gli amminozuccheri rappresentati da aldosi e chetosi nei quali un gruppo ossidrilico è sostituito da un gruppo amminico (ad esempio le esosammine come il 2-desossi-2-ammino-D-glucosio, Figura 1). La sostituzione può

avvenire in qualsiasi posizione della molecola eccetto quella anomerica (C-1), in quest’ultimo caso infatti si parla di glicosilammine, che rappresentano una diversa classe di composti, anch’essi presenti anche in Natura sia come costituenti di importanti biomolecole che come metaboliti secondari di specie vegetali e batteriche.

Figura 1 OH O NH 2 O H O H OH OH O NH2 O H OH OH NH 2 O OH O H O H OH

2-desossi-2 ammino-D-glucosio 2-desosssi-2-ammino-D-galattosio D-glicosilammina

Le più comuni esosammine sono rappresentate dal 2-desossi-2-ammino-D

-glucosio (o D-glucosammina) e dal 2-desossi-2-ammino-D-galattosio (o D

-galattosammina) che, nella loro forma N-acetilata, sono i principali costituenti di importanti polisaccaridi naturali, come la chitina, gli amminoglicani presenti nei tessuti e nelle cartilagini dei mammiferi, la condroitina solfato, il dermatan solfato, nonché il cheratan solfato, l’eparina e l’acido ialuronico. I 2-desossi-2-acetammido aldoesosi si ritrovano, inoltre, tra i componenti monosaccaridici dei polisaccaridi capsulari di batteri, delle glicoproteine e dei glicolipidi delle membrane cellulari.

Gli alcaloidi poliossidrilati (alcali vegetali) possono essere considerati come analoghi degli zuccheri nei quali l’atomo di azoto sostituisce l’ossigeno endociclico e per questa loro caratteristica sono chiamati imminozuccheri o azazuccheri.3 Tali

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composti in realtà altro non sono che una particolare tipologia di esosammine, in cui il gruppo amminico si trova in posizione 5 anzichè 2, come nella quasi totalità delle esosammine naturali. Gli imminozuccheri presentano un’attività inibitoria degli enzimi glicosidasi e il numero, la posizione e la configurazione dei gruppi ossidrilici di ogni imminozucchero determinano il tipo di glicosidasi che inibirà, mentre la sistemazione spaziale dei gruppi ossidrilici determina il riconoscimento di una specifica glicosidasi. Essi sono classificati in base alla loro struttura chimica (Figura 2) e tra la grande varietà di composti isolati da fonti naturali e sintetizzati, quelli che rivestono un importante ruolo nella ricerca farmaceutica sono le pirrolizidine (a), le piperidine (b), le indolizidine (c) e le pirrolidine (d) poliossidrilate.

Numerosi alcaloidi con scheletro indolizidinico, come la castanospermina (1), o pirrolizidinico, come la casuarina (2), o piperidinico, come l’1-desoossi-d-nojirimicina (3), o pirrolidinico come il 2,5-didesossi-2,5-immino-D-galattitolo (4) che possiedono,

tra le altre attività biologiche, la capacità di bloccare la replicazione del virus dell’HIV.4

Figura 2

In generale gli azazuccheri rappresentano una delle classi più interessanti di carboidrati mimetici e la loro somiglianza strutturale con gli zuccheri, unita alla basicità dell’azoto, gli conferiscono importanti proprietà biologiche e terapeutiche nell’ambito dei processi metabolici coinvolgenti i glicidi come ad esempio la loro attività inibitoria nei confronti degli enzimi preposti alla degradazione dei carboidrati. L’atomo di azoto endociclico, infatti, è il responsabile delle proprietà elettrostatiche e conformazionali che permetteranno alla molecola di avere una specifica funzione inibitoria. In particolare, come sarà ampiamente discusso nel paragrafo successivo, questa classe di composti, è nota a causa della loro azione inibitoria di glicosidasi e glicosiltransferasi. Questi enzimi sono coinvolti in diversi importanti processi biologici come la digestione, la biosintesi delle glicoproteine e il catabolismo lisosomiale di glicoconiugati, pertanto,

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gli inibitori di glicosidasi e glicosiltransferasi possono avere molteplici applicazioni terapeutiche come ad esempio nella cura del diabete mellito di tipo 2, nel cancro, nelle infezioni virali e nelle malattie neurodegenerative come quelle da accumulo lisosomiale (LSD).3 Quest’ultime patologie, classificate tra le cosidette “malattie metaboliche ereditarie rare”, necessitano di un notevole sforzo della ricerca farmacologica che si

deve indirizzare verso lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche capaci di modificare sia la storia naturale delle malattie che il miglioramento della qualità della vita dei pazienti. In questa ottica lo sviluppo di nuovi farmaci devono tener conto che l’efficacia di una nuova terapia dipende sia dalla via di somministrazione della stessa che dalla sua capacità ad accedere a organi e tessuti in quantità e tempi adeguati. Quest’ultimo fattore rappresenta un’importante sfida per quei settori terapeutici, come le malattie lisosomiali, che prevedono un’azione del principio attivo a livello di particolari distretti dell’organismo come il Sistema Nervoso Centrale (SNC) dove la presenza della Barriera Emato-Encefalica (BEE) costituisce un grosso ostacolo che impedisce alle terapie neuroriparatrici e neuroprotettive, oggi disponibili, di arrivare a svolgere la loro azione farmacologica direttamente in loco. Per questo motivo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel suo rapporto Neurological disorders: Public health

challenges, raccomanda un maggiore impegno politico, professionale e sociale per lo

sviluppo di strategie idonee a gestire un problema che ha dimensioni vastissime. Secondo gli ultimi dati disponibili è stimato che il 10% della popolazione mondiale sarà colpita da disturbi neurologici, senza distinzioni geografiche, anagrafiche e socioeconomiche.5 E’ stato stimato che circa il 95% dei farmaci oggi disponibili per la

cura di malattie neurologiche, incluse le proteine ricombinanti, gli anticorpi monoclonali e la terapia genica, non riesce a superare efficacemente la BEE per l’incapacità di sfruttare specifici meccanismi di passaggio, per l’elevato peso molecolare o per la loro polarità. Da qui la necessita di orientare gli sforzi della ricerca scientifica verso lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche capaci di direzionare efficacemente il farmaco al comparto cerebrale.

In questo contesto gli azazuccheri o imminozuccheri possono rappresentare strutture di riferimento dalle quali partire per la ricerca di nuovi inibitori più efficienti e selettivi degli enzimi responsabili delle malattie lisosomiali come le glicosidasi e le glicosiltransferasi. In particolare la modulazione della struttura molecolare dell’imminozucchero in termini di dimensione e lipofilia può rendere queste molecole permeabili alla barriera ematoncefalica in quantitativi terapeutici idonei per ottenere

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buoni benefici terapeutici. Attualmente due farmaci a struttura azapiranosica (Figura 3) sono usati in terapia come inibitori delle glicosidasi: N-idrossietil-1-desossi-D

-nojiimicina o Miglitol (5, Glyset®) e N-butil-1-desossi-D-nojirimicina (6, Zavesca®). Il

primo è usato nel trattamento del diabete non insulino-dipendente di tipo II, mentre il secondo è usato nel trattamento della malattia di Gaucher I e della malattia di Niemann -Pick di tipo C. Figura 3 N OH O H O H OH OH N OH O H O H OH CH3 5 MIGLITOL o GLYSET 6 ZAVESCA o MIGLUSTAT

In considerazione di queste importanti proprietà biologiche e farmacologiche, negli ultimi anni si è assistito a un crescente interesse verso gli azazuccheri e, in particolar modo verso gli azapiranosi e azafuranosi che oltre ad essere isolati da fonti naturali sono stati ottenuti attraverso strategie sintetiche altamente stereoselettive, come sarà discusso nel paragrafo successivo.

1.2. – Gli azazuccheri: mimetici saccaridici

Gli alcaloidi poliidrossilati di tipo piperidinico (b) e pirrolidinico (d) (Figura 2) rappresentano una particolare tipologia di amminozuccheri in cui il gruppo amminico presente in posizione 5 (5-ammino-5-desossi-aldosi) o in posizione 4 (4-ammino-4-desossi-aldosi) di un aldoesoso interagisce intramolecolarmente con il gruppo aldeidico formando strutture cicliche (Figura 4) di tipo piranosiche (azapiranosi) o furanosiche (azafuranosi), a indicare la loro natura di aza-mimici di monosaccaridi, dai quali differiscono per la formale sostituzione dell’ossigeno endociclico da parte di un atomo di azoto. Figura 4 N OH OH O H O H OH H NH2 OH O H O H OH CHO N OH OH O H O H O H H NH2 OH O H O H O H CHO 5-ammino-5-desossi-aldoso AZAPIRANOSI (piperidine polidrossilate) 4-ammino-4-desossi-aldoso AZAFURANOSI (pirrolidine polidrossilate) 1 1 2 3 2 3 4 4 5

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Il primo azazucchero isolato e caratterizzato3 da un filtrato di Streptomyces è

rappresento dalla D-nojirimicina (NJ, 6, Figura 5) che è stato considerato il primo

“mimico” naturale del D-glucosio avente proprietà antibiotiche e di inibizione di alfa e

beta-glucosidasi. Altre importanti piperidine poliossidrilate sono rappresentate dalla D

-mannonojirimicina 7 (epimero al C-2 di 6) e dalla D-galattostatina o D

-galattonojirimicina 8 (epimero al C-4 di 6). Questi tre composti, pur presenti in Natura, presentano un gruppo ossidrilico sul carbonio anomerico (C-1) e, data l’instabilità del gruppo emiamminale, sono intrinsecamente instabili e piuttosto difficili da isolare e maneggiare in quanto, ad esempio, in ambiente acido disidratano velocemente a dare eterocicli aromatici. Figura 5 OH NH OH O H O H OH OH NH OH O H O H OH OH NH OH O H OH OH NH OH O H O H OH NH OH O H O H OH NH OH O H OH OH N H OH OH OH OH N H OH OH O H O H 6 (NJ) D-Nojirimicina 7 (MJ) D-Mannonojirimcina 8 (GJ) D-Galattonojirimicina 9 (DNJ) 1-Desossi-Nojirimicina 10 (DMJ) 1-Desossi-Mannonojirimicina 11 1-Desossi-Galattonojirimicina 12 13

Più stabili, ma con simili proprietà biologiche, risultano gli analoghi 1-desossi-azapiranosi (9, 10 e 11, Figura 4) e gli 1-desossi-azafuranosi come ad esempio l’1,4-didesossi-1,4-immino-D-galattitolo (12) e il 1,4-didesossi-1,4-immino-D-glucitolo (13),

anch’essi estremamente diffusi in Natura e, negli ultimi anni, intensamente studiati a scopo terapeutico. In letteratura sono riportati, tra azapiranosi e azafuranosi, oltre quaranta differenti composti isolati nelle ultime due decadi da fonti prevalentemente batteriche e vegetali e anche in specie marine ma, se si considera la loro presenza negli alcaloidi biciclici polidrossilati a struttura pirrolizidinica e indolizidinica (Figura 2), essi risultano ancora più diffusi.3

Da secoli tali sostanze vengono inconsapevolmente utilizzate dalla medicina tradizionale cinese che sfrutta piante ricche di questi imminozuccheri, come ad esempio il gelso bianco (Morus Alba, L.), per le loro proprietà antiossidanti, dimagranti e ipoglicemizzanti.6 Il gelso bianco per esempio contiene la 1-Deossinojirimicina (9,

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Figura 5) una delle sostanze a struttura imminozuccherina in assoluto più studiate e riprodotte per le sue numerose e notevoli caratteristiche farmacologiche.

1.2.1. – Gli azazuccheri: inibitori specifici di glicosidasi

Circa il 2% dei geni dell’intero patrimonio genetico umano sono coinvolti nei meccanismi di glicosilazione delle glicoproteine e non sorprende quindi il fatto che i difetti della loro biosintesi e del loro funzionamento causino importanti patologie e disagi per la salute umana e che per questo siano oggetto di approfonditi studi. Gli enzimi preposti alla sintesi e degradazione delle unità glicosidiche sono le glicosiltransferasi e le glicosidasi, che mediano sia il trasferimento di unità mono- o oligosaccaridiche da un glicosil-donatore ad un glicosil-accettore che la scissione (Figura 6) di legami glicosidici di carboidrati complessi e glicoconiugati.7

Figura 6

A titolo di esempio possiamo citare le galattosidasi che idrolizzano i residui β-galattosidici dal ganglioside GM1, da glicoproteine, glicosamminoglicani e gangliosidi; un deficit di questo enzima è responsabile di una patologia detta Gangliosidosi GM1 caratterizzata da un accumulo di ganglioside GM2. Un deficit dell’enzima esosaminidasi, che rimuove i residui di N-acetil-D-glucosamminici dall’estremità non

riducente del ganglioside GM2, è responsabile della Gangliosidosi GM2 (o Malattia di Sandhoff), una patologia ereditaria grave con esito letale entro i primi 3 anni di vita. Un deficit dell’enzima α-galattosidasi A, che idrolizza i residui α-galattosidici provoca, invece, un accumulo di globotrialosilceramide e galattosil ceramide in diversi organi (SNC, cuore e reni) ed è responsabile della Malattia di Anderson-Fabry. Un altro enzima importante è la β-glucosidasi (o glucocerebrosidasi), un enzima lisosomiale dei macrofagi che scinde il glucocerebroside in glucosio e ceramide. Una carenza di questo enzima provoca un accumulo di glucocerebroside ed è responsabile della malattia di

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Gaucher che presenta manifestazioni sintomatiche a carico della milza, del midollo osseo e del fegato.

Poiché le glicosidasi e le glicosiltransferasi partecipano a processi biologici essenziali quali, ad esempio, il metabolismo degli zuccheri e la biosintesi delle porzioni oligosaccaridiche di glicolipidi e glicoproteine di membrana, i corrispondenti inibitori, oltre a costituire importanti strumenti per comprendere l’azione catalitica del sito attivo, presentano notevoli potenzialità terapeutiche. Gli azazuccheri, in quanto mimici di monosaccaridi in forma furanosica o piranosica, rappresentano la principale classe di inibitori delle glicosidasi e le loro proprietà sono state descritte in numerose pubblicazioni scientifiche.3

Il potere inibitorio di questi composti è attribuito alla capacità di legarsi saldamente al sito attivo dell’enzima, mimando lo stato di transizione o l’intermedio transiente ad alta energia che si forma durante l’idrolisi enzimatica del legame glicosidico (Figura 7). Si ipotizza che questo intermedio sia, nella regione anomerica, notevolmente appiattito per l’elevato carattere sp2 e che sia dotato di una parziale carica

positiva, come si può osservare dalla Figura 6 in cui si evidenzia lo stato di transizione proposto per la reazione di una glicosidasi ed un inibitore azapiranosico in grado di mimare il catione, ad esempio quello glucosidico.

Figura 7

L’importanza relativa dell’aspetto conformazionale ed elettrostatico nel determinare l’inibizione enzimatica è un problema completamente aperto, dal momento che anche piccole variazioni strutturali influenzano notevolmente il potere inibitorio. In generale, mentre gli azapiranosi, caratterizzati da una relativa rigidità della conformazione a sedia, tendono a manifestare una forte specificità per l’enzima che controlla l’idrolisi dei glicosidi ai quali sono formalmente correlati, cosicché, ad esempio, la 1-desossi-D-nojirimicina (9, Figura 4) inibisce glucosidasi ma non

l’α-galattosidasi, gli azafuranosi, grazie alla maggiore flessibilità dell’anello a cinque termini, possono mostrare un elevato grado di inibizione nei confronti di più glicosidasi.

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Negli ultimi anni l’interesse verso gli azazuccheri naturali o sintetici è andato via via aumentando, in quanto si ritiene che possano essere dei potenziali agenti terapeutici per il trattamento del cancro, infezioni batteriche e virali e alcune malattie neurologiche.3,6

La DNJ (9) è uno degli azazuccheri più diffusi in natura e nel 1966 Paulsen ne pubblicò la prima sintesi8 e anni dopo ne è stata scoperta la sua importantissima attività

inibitoria nei confronti delle α-glucosidasi. Dalla letteratura degli ultimi venti anni si evidenzia che la DNJ (9) rappresenta l’imminozucchero più studiato e numerosissimi studi sono volti a valutarne le sue attività e le sue possibili applicazioni terapeutiche, di seguito elencate.

1. Attività antidiabetica. Le oligosaccaridasi e le disaccaridasi intestinali, sono enzimi presenti sulla parete del piccolo intestino, a livello dell’orletto a spazzola. Queste proteine, come sucrasi, maltasi, isomaltasi, lattasi, trealasi e etero-glucosidasi, scindono i carboidrati introdotti con la dieta in monosaccaridi consentendone l’assorbimento intestinale. L’attività di questi enzimi influenza la glicemia,9 e, nel trattamento del diabete mellito non-insulino-dipendente possono

essere utilizzati inibitori specifici di questi enzimi, come ad esempio gli azazuccheri, in quanto era nota l’inibizione dell’α-glucosidasi da parte della DNJ (9). Considerando che l’inibizione dell’alfa-glucosidasi da parte della DNJ è molto elevata in vitro, ma modesta in vivo e la ricerca si è orientata verso la sintesi di N-alchil derivati della DNJ nella speranza di aumentarne l’attività in vivo. Nel 1999 è stata commercializzata la specialità medicinale Glyset® (5, Figura 3) per il

trattamento del diabete mellito di tipo II, in cui il principio attivo è l’N-idrossietil-1-desossinojiimicina capace di inibire l’attività delle α-glucosidasi intestinali, quindi l’assorbimento degli zuccheri.

2. Attività anti-tumorale. Le cellule tumorali presentano delle alterazioni sensibili rispetto alle cellule sane e queste differenze si ritrovano anche a livello del glicocalice esposto sulla loro superficie esterna. E’ stato visto infatti che questa anomalia che si riflette in un’abnorme glicosilazione delle proteine di superficie, oltre ad influenzare la comunicazione tra le cellule e l’ambiente esterno, gioca un ruolo chiave nel favorire l’insorgenza di metastasi, in quanto altera i meccanismi di adesione cellulare.10 Esperimenti eseguiti su DNJ e derivati hanno mostrato una

(14)

meccanismo alla base di tale risultato non è del tutto chiarito. Sono stati eseguiti molti studi biologici su varie linee cellulari tumorali, i quali dimostrano che l’attività e l’espressione di alcune metalloproteinasi e glicosidasi viene notevolmente inibita dalla DNJ (9)10 o da derivati della 1-deossifuconojirimicina 14

(DFJ, o 1,6-di-desossi-D-galattostatina)11 (Figura 8).

Figura 8 OH NH O H OH 14 1-desossifuconojirimicina (DFJ)

3. Attività anti-virale: Alcuni virus possiedono come rivestimento esterno al capside proteico (pericapside) un doppio strato fosfolipidico, a livello del quale sono presenti numerose glicoproteine, indispensabili al virus per poter esplicare tutta una serie di funzioni (l’assemblaggio del virione ad esempio). Il pericapside deriva dalla cellula ospite infettata dal virus che generalmente l’acquisisce tramite gemmazione. Un ottimo bersaglio dal punto di vista terapeutico per avere un’azione antivirale, sarebbe l’inibizione della glicosilazione, ovvero inibire le glicosidasi responsabili della formazione delle glicoproteine virali. Ad esempio il virus dell’epatite B (HBV) presenta un pericapside sul quale ci sono due siti di glicosilazione,12 evento necessario per la fuoriuscita del virus dalla cellula ospite. Il

gruppo di ricerca di Block evidenzia che l’N-nonil-DNJ riduce la viremia in marmotte infette cronicamente da HBV, restano però alcuni dubbi riguardo all’utilizzo di inibitori di α-glucosidasi come agenti antivirali, infatti devono ancora essere determinati gli effetti potenzialmente tossici dovuti ad esempio ad un’alterazione della glicosilazione anche a livello delle cellule ospiti.

4. Malattia di Gaucher. La malattia di Gaucher è un disordine ereditario grave e generalmente mortale, dovuto ad un difetto nell’attività catalitica delle β-glucocerebrosidasi, coinvolte nel catabolismo dei glicosfingolipidi nei lisosomi.13

Questa alterazione causa un accumulo di glucosilceramide (GlcCer) nei neuroni con gravi complicazioni neurologiche. Gli azazuccheri, in particolare i derivati N-alchilati della DNJ possono essere utilizzati come una valida terapia per il trattamento di questo disturbo. Un farmaco ad oggi utilizzato per la malattia di Gaucher è lo Zavesca®, il cui principio attivo è rappresentato dalla

(15)

l’N-butil-1-desossinojiimicina (6) (Figura 3), un azazucchero che presentando una catena alchilica a livello dell’azoto mima la struttura della ceramide. In questo modo, il principio attivo si lega all’enzima N-acilsfingosina-D-glucotransferasi, responsabile

della catalisi del primo step nella biosintesi dei glucosfingolipidi, che prevede il trasferimento di una molecola di glucosio alla ceramide.

5. Accumulo lisosomiale. Le malattie da accumulo lisosomiale (LSD, Lysosomal

Storage Disease) sono un gruppo clinicamente eterogenee di patologie neurodegenerative, ciascuna attribuibile ad un deficit di uno o più enzimi lisosomiali, con conseguente accumulo di specifiche macromolecole parzialmente degradate, provenienti dalle diverse vie metaboliche, a livello lisosomiale.14 In

particolare le LSD sono malattie metaboliche ereditarie rare conseguenti a mutazioni a carico di geni codificanti per le idrolasi (enzimi necessari per il metabolismo delle sostanze endogene lisosomiali), per le traslocasi di membrana (enzimi coinvolti nel trasporto attraverso la membrana lisosomiale) o delle proteine accessorie che regolano le trasformazioni post-traduzionali degli enzimi e il loro traffico all’interno e all’esterno del lisosoma. A seguito di queste alterazioni i lisosomi perdono la normale funzionalità con conseguente accumulo cellulare dei prodotti destinati alla demolizione enzimatica. Attualmente le proprietà terapeutiche dell’N-butil-1-desossinojiimicina (6) (Figura 3), sono studiate in molte patologie dove sono implicati enzimi glicosidici come la Fibrosi cistica e altre malattie rare con accumulo lisosomiale (LSD) come ad esempio la malattia di Gaucher di tipo 2 e 3, la malattia di Anderson-Fabry e la Glicogenosi di tipo 2 o malattia di Pompe. In tutti i casi di malattie da accumulo lisosomiale gli studi sono orientatati verso la ricerca della combinazione ottimale tra terapia enzimatica e “aiutanti farmacologici” (chaperones) in grado di migliorare la stabilità dell’enzima difettoso o ripristinare, almeno in parte, la sua funzione.15

1.2.2. – Approcci sintetici agli azapiranosi

L’enorme potenziale terapeutico di questi azamimici di glicidi ha determinato lo sviluppo di una intensa ricerca volta alla definizione di metodiche sintetiche sempre più efficienti per l’ottenimento degli azazuccheri naturali e di loro analoghi strutturali3,16

(16)

struttura-attività (SAR). Tra le principali strategie sintetiche utilizzate per l’ottenimento di imminozuccheri ci limiteremo a descrivere brevemente quelle più significative che riguardano la preparazione degli 1-desossi-azapiranosi, la classe di composti più rappresentativa dal punto di vista biologico. Gran parte delle sintesi riportate in letteratura, per quanto numerose e diversificate nella scelta dei precursori, generalmente appartenenti al chiral-pool, fanno capo principalmente a due possibili approcci alla formazione dell’anello piperidinico: a) amminazione riducente intramolecolare di derivati carbonilici portanti un gruppo amminico in posizione opportuna; b) doppia amminazione riducente (amminociclizzazione) di monosi dicarbonilici con ammoniaca o ammine primarie, una strategia ampiamente applicata dal gruppo di Ricerca dove è stata svolta questa Tesi.

a) Amminazione riducente intramolecolare di derivati 5-ammino-carbonilici

Questo approccio sintetico agli 1-desossi-azapiranosi usa come reazione chiave l’amminazione riducente di gruppi carbonilici e rappresenta una delle scelte d’elezione quando si usano carboidrati come materiali di partenza, data l’intrinseca presenza di un gruppo carbonilico in queste strutture. Tale approccio riproduce la strada bio-sintetica della 1-desossi-D-nojirimicina nelle piante (Schema 1) che avviene attraverso una

transamminazione di chetosi seguita da ossidazione di un gruppo alcolico primario e formazione di una base di Schiff (immina) ciclica che è successivamente ridotta per addizione di idrogeno o ad opera di idruri.

Schema 1

Formalmente, quindi la trasformazione di un D-aldoesoso come ad esempio il D

-glucosio nella 1-desossi-D-nojirimicina 9 (schema 1) prevede la sostituzione del gruppo

ossidrilico in posizione 5 (o in 4 se il substrato è precursore azafuranosico) con un gruppo amminico seguita da ciclizzazione sul gruppo aldeidico in posizione 1 a dare

(17)

un’immina ciclica che successivamente subisce una reazione di riduzione stereoselettiva.

E’ ovvio che la realizzazione di un approccio sintetico efficace agli azazuccheri è legata alla scelta di metodi capaci di selezionare e differenziare i gruppi su cui operare le manipolazioni. In generale l’introduzione di un gruppo amminico si realizza usando uno zucchero opportunamente protetto avente una specifica stereochimica mediante sostituzione dell’ossidrile in posizione 5 o 4 con un gruppo amminico attraverso reazioni di sostituzione nucleofile tipo SN2 con un gruppo azidico (N3) o mediante

sequenze sintetiche di ossidazione-ossimazione-riduzione. Ad esempio nello Schema 2 è riportata una sintesi3 della D-galattostatina 11 a partire dal derivato a struttura D

-altrofuranosico 15a (epimero al C-5 del D-galattosio).

Schema 2 O OPiv OPiv OPiv O H OPiv O OPiv OPiv OPiv OPiv N3 O OPiv OPiv OPiv OPiv TsO O OH OH OH OH N3 NH OH O H OH OH OH O H OH OH N3 O H OH O H OH OH NH2 O H 15a TsCl, Py NaN3, DMF 15b 15c Piv= COCMe3 Pd/C 11 15d Pd/C deprotezione SN2 15e

Il gruppo azido, precursore di quello amminico, è introdotto in posizione C-5 attraverso una sequenza che prevede una prima trasformazione del gruppo ossidrilico in 5 di 15a in un buon gruppo uscente come ad esempio un estere solfonico (p-toluensolfonato, trifluorometilsolfonato ecc..) seguita da sostituzione SN2 con NaN3 che

inverte la configurazione della posizione 5 ottenendo il composto 15c, a configurazione

D-galatto. Successivamente si procede alla rimozione dei gruppi esterei presenti in 15c

con conseguente esposizione del gruppo aldeidico e formazione del derivato 15d; la successiva idrogenazione catalitica permette di ottenere il target 11 in maniera altamente stereoselettiva, attraverso un processo one-pot di riduzione del gruppo azido e amminazione riducente intramolecolare.

Nello Schema 3 è rappresentata la sintesi della DNJ (9) a partire dal 3-O-benzil derivato 16a,3 ottenuto per semplice benzilazione dell’1,2:5,6-di-O-isopropilidene-D

(18)

protettivi, seguita da una sequenza ossidazione-ossimazione-riduzione al C-5 si ottiene selettivamente l’ammina protetta 16d (Schema 3).

Schema 3 O O O O O OBn N H OH O H OH O H O O H O O OBn TrO O O O OBn TrO HON O N H2 O O OBn TrO O O O O O OH 1) H+ 1) DMSO, Ac 2O 2) NH2OH 16a LiAlH4 1) Li, NH3 2) resina H+ 3) H -9 16b 2) TrCl 16c 16d 16 benzilazione

La rimozione dei gruppi protettivi di 16d, con conseguente esposizione della funzione aldeidica, porta alla formazione dell’azapiranosio 9 a configurazione D-gluco,

con resa complessiva del 22%.

b) Doppia amminazione riducente intramolecolare di monosi dicarbonilici

Nel 1990 Baxter e Reitz17 hanno riportato un nuovo approccio alla sintesi di

derivati di 1-desossi-azapiranosi e 1-desossi-azafuranosi nel quale, a differenza del precedente, la formazione dei due legami carbonio-azoto avviene in un unico passaggio. Questa strategia sintetica prevede l’utilizzo di zuccheri 1,4- e 1,5-dicarbonilici (4-cheto-aldoesoso o 5-cheto-(4-cheto-aldoesoso) a cui viene applicata per la prima volta una reazione di doppia amminazione riducente intramolecolare (amminociclizzazione) per ottenere azazuccheri rispettivamente di tipo poliidrossipirrolidinico e poliidrossipiperidinico.

Ad esempio nello Schema 4 è riportata la sintesi3 della 1-desossi-D-nojirimicina

(9) attraverso un semplice schema sintetico che ha previsto la preliminare ossidazione selettiva dell’ossidrile in posizione C-5 del D-glucosio a partire dal composto 16, seguita

da rimozione dei gruppi protettivi a dare il di carbonilico 17b.

Uno studio sistematico sull’uso di diversi agenti riducenti capaci di realizzare la reazione di doppia amminazione riducente sia per via catalitica che per via chimica, ha evidenziato che il sodio cianoboroidruro (NaBH3CN), utilizzato con ammine primarie in

metanolo, porta ai migliori risultati in termini di stereoselettività e resa chimica. In particolare la reazione del 5-cheto-D-glucosio 17b con sali di benzilammina e

(19)

stereoselettività, alla formazione dell’azapiranoso 17c che, dopo idrogenazione catalitica, fornisce quantitativamente la 1-desossi-D-nojirimicina 9.

Schema 4 O O O CMe2 OH O O Me2C O O O CMe2 O O H OH N OH O H O H OH Ph NH OH O H O H OH O O H CHO O H OH OH deprotezione PhCH2NH2 NaBH3CN MeOH 16 17a 17b ox selettiva al C-5 17c 9 H2, Pd/C

Anche il gruppo di ricerca dove è stata svolta questa Tesi, ha applicato la reazione di doppia amminazione riducente intramolecolare alla sintesi stereoselettiva di altri 1-desossi-azapiranosi sia mono- che disaccaridici e 1-desossi-azafuranosi dimostrando la validità generale del metodo sintetico.18 In particolare è stata studiata la reazione di

amminociclizzazione del 5-cheto-D-galattosio 18 (Schema 5) e del 4-cheto-D-glucosio

19 con differenti ammine primarie e amminoacidi (ad esempio il metilestere della D- e L-fenilalanina), ottenendo l’1-desossi-azapiranosio a configurazione D-galatto (18a) e L -altro (18b) e gli azafuranosi 19a e 19b.

Schema 5 N OP PO OP R R' N OH PO OP OP R' O PO CHO OP R OP N OP OP PO PO R' N OP OP OP OP R' PO CHO OP PO PO O O O O H OH O H O O H R OBn CHO OR O N O H OH O H O O H R OBn R' OR 18: R = OBn R'NH2 NaBH3CN MeOH +

18a: R = OBn 18b: R = OBn

19a

19b 19

P=gruppo protettore (Bn, Ac, Me) R'NH2 NaBH3CN MeOH + R'NH2 NaBH3CN MeOH 20 21 R= OBn o NHAc

L’andamento stereochimico di questa tipologia di reazione mostra una certa dipendenza dal pattern dei sostituenti e dal tipo di ammina, tuttavia si osserva una

(20)

generale prevalenza, nel caso di 18 per la formazione degli azapiranosi a stereochimica

D-galatto (18a) che, in alcuni casi è il prodotto esclusivo della reazione

ammininociclizzazione. Ricerche successive19 hanno riguardato l’impiego di derivati

disaccaridici contenenti unità di 5-cheto-D-glucosio tipo 20 la cui amminociclizzazione

con ammoniaca o benzilammina fornisce, con completa diastereoselettività, i corrispondenti azadisaccaridi tipo 21 contenenti un’unità di 1-desossi-D-nojirimicina

selettivamente glicosidata in posizione 4.

Con questo metodo sono stati ottenuti azadisaccaridi aventi l’unità non riducente sia ossigenata (D-galatto) che amminata al C-2 a differente stereochimica (D-galatto, D

-manno, D-gluco e D-talo) importanti per ottenere utili informazioni sull’attività

inibitoria di glicosidasi in un eventuale studio di rapporto struttura attività.

1.3. – Le Metalloproteinasi della matrice (MMPs)

Le MetalloProteinasi di matrice (Matrix Metalloproteinases, MMPs) sono una famiglia di enzimi proteolitici la cui attività catalitica di tipo endopeptidasico, come indicato dallo stesso nome, è dipendente dalla presenza di specifici ioni metallici.

Le MMP hanno una potente azione degradativa nei confronti di componenti proteici della matrice extracellulare (ExtraCellular Matrix, ECM) e possiedono, inoltre, attività di cleavage verso molecole presenti sulla membrana cellulare e verso altre molecole proteiche pericellulari.20 L’attività di questi enzimi è fondamentale per lo

svolgimento di numerosi processi concernenti matrice extracellulare sia fisiologici come corretto sviluppo embrionale, rimodellamento/turn-over tissutale e riparazione di ferite nella vita adulta e sia patologici di tipo infiammatorio e degenerativo (ad es. artrite, artrosi) e nella crescita e nell’invasività delle neoplasie.

Le metalloproteinasi della matrice extracellulare sono una famiglia di enzimi zinco-dipendenti prodotte principalmente dalle cellule del tessuto connettivo. Le MMPs insieme ad altre proteasi determinano il rimodellamento ed il turnover del tessuto connettivo, costituito da cellule, fibrille e matrice extracellulare (ECM). Ad oggi, nell’uomo ne sono state identificate almeno 24 codificate da 23 geni che presentano omologie strutturali come un peptide segnale, un dominio pro-peptidico, un dominio catalitico (contenente l’atomo di Zn++ catalitico coordinato a tre Istidine) ed un dominio

emopexino-simile (collegato al dominio catalitico da una regione a cerniera). Le MMPs sono state suddivise in 6 classi sulla base della loro sequenza aminoacidica e dei

(21)

substrati con cui interagiscono ma, in generale, 17 MMPs vengono secrete nella matrice extracellulare e le restanti 7, chiamate Membrane-Type Metallo Proteinases (MT-MMPs), rimangono ancorate alla membrana plasmatica grazie alla presenza di un dominio trans-membrana e ad un dominio citoplasmatico all’estremità C-terminale. Si possono distinguere quindi: Collagenasi, Gelatinasi, Stromelisine, Matrilisine, Membrane-Type MMPs.21

1. Le collagenasi: appartengono a questo gruppo 1, 8, 13 e MMP-18), delle quali solo le prime tre sono presenti nell’uomo. Il loro substrato chiave è il collagene, ma ognuna di esse idrolizza preferibilmente un tipo di collagene. La Collagenasi-1 (MMP-1) idrolizza maggiormente il collagene di tipo III, la Collagenasi-2 (MMP-8) ha come substrato preferenziale il collagene di tipo I ed infine la Collagenasi-3 (MMP-13) ha un’elevata affinità per il collagene di tipo II. 2. Le gelatinasi: appartengono a questo gruppo la Gelatinasi A (MMP-2) e la

Gelatinasi B (MMP-9). Entrambe idrolizzano substrati come il collagene di tipo IV, V, VII, e X più altre proteine della matrice extracellulare (ECM) come la gelatina, la fibronectina, ed elastina.

3. Le stromelisine: Le tre MMPs di questo gruppo, chiamate anche proteogliganasi sono Stromelisina-1 3), Stromelisina-2 10) e Stromelisina-3 (MMP-11). Mentre la MMP-3 e la MMP-10 hanno una specificità simile e sono responsabili della degradazione dei componenti della matrice extracellulare come proteoglicani e proteine quali la laminina e la fibronectina, il ruolo ed il substrato specifico di MMP-11 non è ancora stato del tutto chiarito. La MMP-11 che presenta un sequenza aminoacidica differente rispetto alle MMP di questo gruppo risulta molto interessante perchè è espressa nel tumore al seno.

4. Le matrilisine come Matrilisina-1 (MMP-7) e Matrilisina-2 (MMP-26) sono caratterizzate dall’assenza del dominio emopexinico nella loro sequenza aminoacidica e presentano un’ampia specificità di substrato andando a degradare fibronectina, laminina, proteoglicani e le regioni non-elicoidali del collagene IV. In particolare la MMP-7 è responsabile della processazione di diverse molecole di superficie come, ad esempio la pro-α-defensina e il pro-tumor necrosis factor α (pro-TNFα). La MMP-26, chiamata anche Endometasi (in quanto espressa nelle cellule dell’endometrio) agisce su substrati come elastina, fibrina e fibrinogeno. 5. Le Membran-Type MMPs (MT-MMPs): sono rappresentate da 6 metalloproteasi

(22)

MMP-15, MMP-16 e MMP-24) e due (MMP-17 e MMP-25) sono proteine ancorate a residui glicosil-fosfatidil-inositolo (GPI). Esse oltre a digerire proteine della matrice extracellulare (ECM) come proteoglicani, gelatina e fibronectina, sono coinvolte nell’attivazione di pro-MMPs. Ad esempio la MMP-14 mostra un’attività collagenolitica sul collagene di tipo I, II e III ma è anche responsabile dell’attivazione della MMP-2 per idrolisi del pro-peptide.22 Alcuni studi

inseriscono in questo gruppo anche la MMP-23 o CA-MMP (Cysteine Array MMP) che è stata definita anche type II membrane protein, in quanto ospita il dominio transmembrana nella parte N-terminale del propeptide. Quest’ultima si differenzia dalle altre perché presenta una cisteina libera nel sito catalitico e manca del dominio emopexinico.

6. Altre MMPs: sono inserite in questo gruppo tutte le MMPs che non vengono classificate nelle precedenti categorie: sono, ad esempio, la metalloelastasi (MMP-12), la MMP-19, la enamelisina (MMP-20), la MMP-21, la MMP-27 e la epilisina (MMP-28).

1.3.1 – Struttura molecolare delle MMPs

Le MMPs, come molte altre proteasi, vengono secrete come zimogeni inattivi; inizialmente sono accumulate nell’apparato di Golgi e successivamente secrete nella matrice extracellulare (ECM). I membri di questa famiglia condividono numerose analogie riguardo alla loro struttura primaria, e sono costituiti da più domini (Figura 9)21

che, partendo dall’estremità N-amino terminale, sono: Peptide Segnale, Pro-Peptide, Sito Catalitico e Dominio emopexinico.

Il pro-peptide che si trova all’estremità N-terminale è il responsabile della forma inattiva dell’enzima. E’ costituito da 80 residui aminoacidici, di cui una cisteina che attraverso un gruppo tiolico coordina lo Zn2+ impedendo qualunque accesso di substrati

al sito catalitico. L’attivazione dell’enzima avviene in seguito all’idrolisi del pro-peptide e tale meccanismo prende il nome di “switch cisteinico”. L’attivazione del proenzima può essere mediata anche da altre proteasi o può avvenire sulla superficie plasmatica ad opera delle Membran Types. Il propeptide, indispensabile per un giusto svolgimento del processo di attivazione, è un dominio altamente conservato in tutte le metalloproteinasi. Quando il propeptide viene rimosso, il gruppo tiolico della cisteina è rimpiazzato da una molecola d’acqua.

(23)

Figura 9

Il sito catalitico delle MMPs è posizionato dopo il pro-peptide e si incontra procedendo verso l’estremità C-terminale dell’enzima. La struttura terziaria di questo dominio presenta una forma sferica costituita da 5 foglietti β (I, II, III, IV, V), curvi composti da 4 strand paralleli ed 1 antiparallelo, 3 α-eliche (A, B, C) e anse di connessione. E’ costituito da 170 residui aminoacidici organizzati in una sequenza altamente conservata23 (Figura 10).

Figura 10

Il sito attivo dell’enzima presenta una sequenza “HEXGHXXGXXH” altamente conservata che si trova su di un lato dell’α-elica. Nel dominio è presente uno ione Zn2+

(zinco catalitico) coordinato da 3 istidine (due localizzate nell’α-elica e la terza si trova in un’ansa vicina) e da una molecola di acqua. In conseguenza della rimozione del

(24)

pro-peptide il residuo di acido glutammico (Glu202), che risiede vicino alla prima istidina, è fondamentale per la catalisi ovvero per esplicare l’attività proteasica24 (Figura 10). La

dicitura “Zinco catalitico” è necessaria per distinguerlo da un altro ione Zn2+ (Zinco

strutturale) presente in questo dominio, anch’esso coordinato a tre residui di istidina e 2 o 3 ioni Ca2+. Ciò che determina la specificità nei confronti del substrato è la presenza

di alcuni sottositi dove il peptide da idrolizzare si inserisce in base a caratteristiche chimico-fisiche specifiche. Questi sottositi sono indicati come S1, S2, S3, Sn, S1', S2',

S3', Sn', mentre le porzioni di substrato (peptide) che interagiscono con i sottodomini

sono denominati P1, P2, P3, Pn, P1', P2', P3'e Pn'25 (Figura 11). Dalla figura si evince

che il sito catalitico appare costituito da una serie di cavità poco profonde, tranne il sottosito S1', localizzato tra la cavità S3' e la cavità S1, in grado di accettare sei residui

aminoacidici.

La tasca S1' costituisce un elemento fortemente discriminante tra le MMPs

perché il legame che si instaura con P1' è fortemente selettivo. S1' si definisce quindi

“specificity pocket” perché vi si legano solo peptidi o inibitori che ne rispettano le caratteristiche chimiche.

Figura 11

In particolare nelle proteasi MMP-2, MMP-9, MMP-8 e MMP-13 il sottodominio S1' costituisce una tasca molto profonda, una sorta di tunnel che attraversa la proteina mentre nelle proteasi MMP-1, MMP-7 e MMP-11 tale tasca è praticamente occlusa rispettivamente da un’arginina, tirosina e glutamina. La regione S2' invece lega

preferibilmente porzioni P2' idrofobiche e la regione S3' è ancora poco nota nelle

MMPs. Infine le tasche S2 e S3 presentano un alto grado di analogia tra le varie MMPs. Ad eccezione delle matrilisine, il sito catalitico è collegato ad un dominio che, data l’elevata omologia con l’emopexina viene definito Dominio Emopexinico21 (Figura

12). Questo dominio è importante perchè determina la specificità di diversi substrati ed è richiesto per l’attivazione della proMMP-2.

(25)

Figura 12

Tra il sito catalitico ed il dominio emopexinico è presente un peptide linker chiamato “peptide hinge”, assente in MMP-23, MMP-7 e MMP-26. La prima e l’ultima cisteina nel dominio emopexinico tra le varie MMPs sono altamente conservate e formano un legame disolfuro tra il modulo I e IV che stabilizza l’intero sito. Il ponte S-S è assente nelle Gelatinasi nelle quali invece tre moduli di fibronectina formano tra loro sei ponti di solfuro.

Questo dominio costituito da 174 residui aminoacidici è presente nei pressi di S3',

lega la gelatina e prende il nome di “Collagen Binding Domain (CBD)”. Le MT-MMPs infine sono dotate di un segmento STALK che le ancora ad un’α-elica transmembrana e ad un dominio citoplasmatico. In Figura 12 sono illustrate anche le disposizione dei domini nelle MMPs.

1.3.2. - Catalisi enzimatica delle MMPs: meccanismo d’azione

Come altri enzimi proteolitici, le MMPs, in una sorta di meccanismo autodifensivo, sono sintetizzate primariamente come zimogeni, cioè proenzimi inattivi (definite perciò come proMMP). La latenza è garantita dal gruppo tiolico di una cisteina a livello dell’estremità C-terminale del pro-peptide che rappresenta il quarto sito di legame per lo zinco presente nel sito attivo del dominio catalitico. Quando il legame tra il gruppo tiolico e lo ione zinco è rimosso viene rimpiazzato con una molecola di acqua con conseguente attivazione degli enzimi verso i legami peptidici di proteine target delle MMPs.

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Un ruolo fondamentale nell’idrolisi dei legami peptidici da parte delle MMPs viene svolto dalla molecola d’acqua coordinata all’atomo di Zn2+ nel sito catalitico

(Figura 10). Questa molecola è estremamente polarizzata in quanto si trova compresa tra il glutammato che si comporta da base e lo zinco che si comporta da acido di Lewis formando il complesso Glu-H2O-Zn, illustrato in Figura 13,24 che rappresenta

l’intermedio fondamentale nell’idrolisi di un legame peptidico all’interno del sito catalitico.

Figura 13

Il processo idrolitico avviene secondo un meccanismo d’azione concertato, che porta alla formazione di un intermedio tetraedrico gem-diolato coordinato al metallo tipo la struttura 3 riportata in Figura 14 dove è illustrato il meccanismo proteolitico della stromelisina-1.

Figura 14

La formazione di tale intermedio è data da una serie di reazioni concertate che prevedono un primo attacco nucleofilo da parte dell’ossigeno della molecola d’acqua

(27)

sul carbonio del legame peptidico, seguito da estrazione di un protone da parte del glutammato che lo veicola verso l’atomo di azoto del legame ammidico. La rottura finale del legame C-N avviene solo dopo trasferimento di un secondo protone dell’acqua all’azoto ammidico, mediato ancora una volta dal residuo di glutammato, promuovendo un riarrangiamento di elettroni in cui il carbonio della catena peptidica passa da uno stato di transizione sp3 a sp2 nuovamente (Figura 14).

Le diverse funzionalità delle MMPs sono ascrivibili alle loro differenze strutturali e il dominio emopexinico determina la specificità di substrato.

1.3.3. – Inibitori sintetici delle MMPs: breve storia

Le informazioni strutturali ricavate dall’analisi strutturale dei complessi cristallini enzima-inibitore attraverso cristallografia a raggi X e tecniche di NMR multidimensionale associate alla conoscenza delle strutture 3D e delle interazioni enzima-inibitore ha reso possibile un design di inibitori structure-based e ligand-based assistito dal computer. Attualmente la ricerca si sviluppa verso la progettazione e la sintesi di composti selettivi e specifici verso le varie MMPs. Il metodo structure-based prevede un’attenta analisi della struttura delle varie MMPs e si avvale di tecniche computazionali e combinatoriali, mentre l’approccio ligand-based ambisce ad aumentare la selettività degli inibitori usando come target la regione altamente variabile S1' del sito catalitico.26 Secondo i dati raccolti, sono state identificate delle porzioni

fondamentali all’interno dello scaffold che devono essere mantenute affinchè una molecola si possa definire un inibitore efficace e selettivo. I requisiti necessari affinchè un composto possa essere un inibitore efficace delle MMPs sono:

a. La presenza di uno Zinc-Binding-Group o ZBG: è rappresentato da gruppo funzionale avente almeno un doppietto elettronico in grado di coordinare lo ione Zn2+ catalitico presente nel sito attivo dell’enzima.

b. La presenza di almeno un gruppo funzionale in grado di formare legami a idrogeno con vari residui aminoacidici dell’enzima.

c. La presenza di una o più catene laterali in grado di stabilire interazioni di Van der Waals con i sottositi dell’enzima vicini al sito attivo.

Negli anni sono stati sintetizzati numerosi inibitori che, in base alla loro struttura chimica possono essere suddivisi in tre classi:27

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1. Inibitori chelanti lo zinco catalitico. Il gruppo ZBG va a rimpiazzare la molecola d’acqua chelante lo Zn2+ catalitico. Nel processo di chelazione dello

zinco l’inibitore rimane ancorato al sito attivo impedendo l’accesso al substrato endogeno dell’enzima. Gruppi come acido idrossammico, idrazide, idrossiurea o acido carbossilico sono solo alcuni esempi di ottimali ZBG (Figura 15).

Figura 15

Paragonando inibitori che si differenziano solo per il gruppo ZBG emerge che l’attività inibitoria diminuisce nell’ordine idrossammato > fosfinato > amminocarbossilato > carbossilato. Il gruppo idrossammato agisce come un chelante bidentato, con ciascun atomo di ossigeno ad una distanza ottimale (1.9-2.3 A) dallo zinco catalitico; la posizione dell’azoto suggerisce che sia protonato e che formi un legame a idrogeno con un ossigeno carbonilico dello scheletro dell’enzima. I composti contenenti un gruppo idrossammato sono quindi gli inibitori più potenti ma la rapida escrezione per via biliare e la suscettibilità all’idrolisi al corrispondente acido carbossilico in vivo possono limitarne la loro utilità come agenti terapeutici.

2. Inibitori che non interagiscono con lo zinco catalitico. Si tratta di molecole che non legano lo Zn2+ catalitico a causa dell’assenza nella struttura del gruppo

ZBG. In generale minimizzando l’interazione con lo zinco catalitico si aumenta la selettività degli inibitori verso le varie MMPs, in quanto il sito catalitico è una regione altamente conservata. In generale sono molecole abbastanza lunghe con la presenza di anelli aromatici o comunque planari (Figura 16) disposti lungo la loro struttura che presentano gruppi funzionali in grado di interagire con vari residui aminoacidici dell’enzima tramite formazione di legami a idrogeno.27

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Figura 16 O N O N S O O

3. Inibitori Mechanism-based. Sono rappresentati da strutture che si legano covalentemente all’enzima con un meccanismo d’azione particolare in cui la molecola si comporta da substrato suicida. L’inibizione è irreversibile in conseguenza di una modificazione covalente della struttura dell’enzima. Un gruppo funzionale presente nella struttura, che può essere un gruppo tiranico ad esempio, interagisce, tramite lo zolfo, con lo Zn2+ catalitico consentendo la

formazione di un legame covalente con un residuo aminoacidico dell’enzima. Ne è un esempio il meccanismo d’inibizione proposto per il composto SB-3CT27 (Figura 17).

Figura 17

1.3.4. – Utilità della MMP-8 come target terapeutico

Le metalloproteasi sono le principali responsabili dell’attività collagenolitica a carico della matrice extracellulare (EMC) che rappresenta la porzione acellulare dei tessuti connettivi costituita da una componente fibrillare (collagene, fibronectina,

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elastina, laminina) e una amorfa costituita da una fase acquosa e da una miscela di enzimi, glicoproteine e proteoglicani.

In generale in un tessuto normale, degradazione e sintesi dei componenti della ECM devono necessariamente essere in un mutuo equilibrio e la EMC è sottoposta ad un continuo turnover finemente regolato dai fibroblasti interstiziali che producono, oltre alla matrice stessa, enzimi responsabili di un suo riassorbimento e molti fattori implicati nel mantenimento dell’equilibrio. Un moderato livello di espressione di alcune MMPs con attività enzimatica strettamente controllata è un processo necessario per il mantenimento di questa condizione fisiologica. Citochine infiammatorie, ormoni, fattori di crescita e interazioni cellula-cellula e cellula-matrice modulano l’espressione di queste molecole attraverso cambiamenti nei livelli di trascrizione. Inoltre l’attività delle MMPs è regolata da attivatori locali (regolatori endogeni), come la plasmina, e da specifici inibitori tessutali, i cosiddetti inibitori tessutali delle MMPs (TIMPs, Tissue Inhibitors MetalloProteinase).

Oltre ad una funzione strutturale le MMPs sono coinvolte nella regolazione della proliferazione cellulare che è regolata dall’azione di fattori di crescita, i quali interagiscono con recettori della superficie cellulare e le MMPs possono intervenire favorendo la liberazione o l’attivazione di questi fattori.

L’azione delle MMPs si esplica anche a carico di substrati che non fanno parte della matrice come le proteine che legano gli Insuline-like Growth Factor (IGF) che sono lisate dalle MMPs con conseguente attivazione degli stessi.

La membrana basale svolge un ruolo fondamentale per la sopravvivenza delle cellule in quanto presenta diversi fattori che, se persi, portano le cellule all’apoptosi. In questo contesto l’azione delle MMPs può coinvolgere questi fattori che, una volta modificati dall’azione enzimatica, diverrebbero promotori del processo apoptotico.

È stato evidenziato inoltre che le MMPs sono coinvolte nella comunicazione intercellulare, in quanto necessarie per l’azione di molecole ad azione chemiotattica o per stimolare le cellule a produrre l’uno o l’altro fattore.

Le MMPs hanno anche un ruolo nell’ambito delle patologie tumorali in quanto degradando la matrice e le membrane basali, porterebbero una maggiore invasività della neoplasia e faciliterebbero lo sviluppo di metastasi.

Un ruolo indiretto attribuito alle MMPs è quello di promuovere la migrazione cellulare attivando diversi fattori ad azione chemiotattica: ad esempio il vascular endothelial growth factor (VEGF), coinvolto nello sviluppo delle ossa lunghe, il cui

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rilascio è permesso dall’azione dell’enzima MMPs. La motilità e la migrazione cellulare sono meccanismi complessi che coinvolgono sia interazioni cellula e sia cellula-matrice. Sicuramente le MMPs, portando alla degradazione della EMC, favoriscono il movimento delle cellule rompendo i legami che ancorano le cellule alla matrice o alla membrana basale o ancora, alterando le membrane giunzionali.

La collagenasi-2 (MMP-8) è un metalloproteasi che appartiene alla classe delle collagenasi sintetizzata specificatamente dai leucociti e presente, in maniera costitutiva, nei granuli dei neutrofili.28 Essa è responsabile della degradazione dei collageni

monomeri di tipo I e II e si ritrova, oltre che nei neutrofili, nei condrociti in presenza di IL-1β, nelle cellule endoteliali e nei fibroblasti sinoviali.

L’idrolisi del legame peptidico del collagene avviene a livello del sito catalitico e necessita della cooperazione del dominio emopexinico. L’enzima MMP-8, chiamato anche “neutrophil collagenase”, è immagazzinato come pro-enzima inattivo all’interno dei granuli intracellulari dei neutrofili (cellule appartenenti al sistema immunitario) e ciò garantisce una rapida disponibilità dell’enzima nei siti dell’infiammazione. Anche il bilancio tra sintesi e degradazione del collagene è importante per il mantenimento dell’integrità tissutale e dipende sia dall’equilibrio tra attività delle metalloproteasi tissutali (MMP) e dei loro inbitori e sia dall’effetto di regolazione che queste esercitano sul rilascio, sequestro o attivazione di fattori di crescita, di proteine leganti i fattori di crescita, di recettori di membrana e di molecole di adesione e comunicazione intercellulare.

Circa il 15-20% del contenuto cellulare di MMP-8 è rilasciato liberamente dalle cellule polimorfonucleate (PMN), mentre la maggior parte di questo enzima rimane legato alla superficie di queste cellule. Il legame dell’enzima MMP-8 alla membrana plasmatica delle PMN giustifica l’elevato processazione del collagene di tipo I, oltre che la resistenza all’inattivazione da parte dell’inibitore tissutale TIMPs. Si ritiene che la MMP-8 partecipi attivamente in processi infiammatori dei tessuti dove il collagene di tipo I è il componente principale della matrice extracellulare. Ne consegue che essa è coinvolta in varie patologie infiammatorie nelle quali esercita un duplice ruolo, dannoso o benefico a seconda della patologia considerata.28

• Patologie polmonari. Il collagene di tipo I è l’elemento maggiormente presente nei tessuti polmonari e rappresenta il substrato degradato dalla collagenasi-2 (MMP-8). Un’alterazione della sua espressione influenza pesantemente il rimodellamento dei tessuti polmonari causando l’insorgenza di disturbi di varia

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