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LA RIABILITAZIONE NUTRIZIONALE NEI DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE: IL TFC

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DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in

Scienze della Nutrizione Umana

TESI DI LAUREA

LA RIABILITAZIONE NUTRIZIONALE NEI DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE:

IL TFC

Relatore:

Chiar.mo Prof. Tiziano Tuccinardi

Candidata: Dott.ssa Carlotta Sbietti

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Ai miei nonni, che continuano a tenermi la mano in ogni traguardo della mia vita.

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INDICE

I DISTURBI ALIMENTARI 4 1. Inquadramento nosografico 4 2. Epidemiologia 9 3. Eziologia 12

4. Lo studio del digiuno 19

5. Assessment 23

VALUTAZIONE E MONITORAGGIO DELLO STATO NUTRIZIONALE 26

1. Valutazione degli introiti alimentari 27

2. Indici antropometrici e spesa energetica 29

3. Studio della composizione corporea 31

RELAZIONE TERAPEUTICA CON IL PAZIENTE AFFETTO DA DISTURBO DEL

COMPORTAMENTO ALIMENTARE 34

1. Dall’ambivalenza alla decisione. Il processo motivazionale 34 2. Il processo della riabilitazione nutrizionale nei disturbi del comportamento

alimentare 36

EVIDENZE IN NUTRIZIONE CLINICA APPLICATA AI DISTURBI ALIMENTARI 42

1. La prevenzione 42

2. Trattamenti in uso 44

3. La riabilitazione nutrizionale: alimentazione meccanica vs approccio

psicobiologico 47

TRAINING DI FAMILIARIZZAZIONE CON IL CIBO 54

BIBLIOGRAFIA 66

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4 I DISTURBI ALIMENTARI

1.Inquadramento nosografico

Il momento dell’alimentazione ha assunto per l’uomo significati che sono andati ben oltre la sola funzione nutritiva. Il rito del pasto nelle varie culture ha infatti assunto funzioni diverse, tra cui quella di socializzare, di rinforzare l’appartenenza ad un gruppo, di rispettare le gerarchie sociali.

Fin dai tempi degli antichi romani la dieta era una pratica adottata sia per ragioni estetiche che salutari, serviva per purificare il corpo dalla tossicità di certi alimenti e per portarlo ad una restituito ad integrum.

Durante il Medioevo i tentativi di conquista di un ruolo sociale attivo e decisionale da parte delle donne al di là delle mura domestiche, potevano condurle ad adottare comportamenti patologici. Ad esempio, la scelta della vita religiosa, insieme al rifiuto del cibo divenne per alcune donne una via per guadagnarsi un ruolo attivo nel mondo esterno che era prerogativa maschile. Sante come Caterina da Siena o Veronica Giuliani si privarono del cibo fino a morire.

Nonostante alcune caratteristiche dei Disturbi dell’Alimentazione vengano già descritti nell’Ottocento, soltanto a partire dal Novecento, di pari passo al cambiamento dei ruoli sociali delle donne e dei modelli di bellezza femminile che esaltavano un corpo più magro rispetto al passato, ne sono stati definiti i criteri di classificazione.

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Dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, Va ed. (DSM-V, 2013), dell’Associazione Psichiatrica Americana, e dalla Classificazione Internazionale dei Disturbi, 10a revisione (ICD-10, 1992), dell’Organizzazione Mondiale della Salute, secondo una serie di criteri diagnostici specifici che permettono la diagnosi esclusiva, il campo nosografico della psicopatologia dell’alimentazione è attualmente diviso in:

- Pica;

- Disturbo di ruminazione;

- Disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo; - Anoressia Nervosa, AN;

- Bulimia Nervosa, BN;

- Disturbo da Binge-Eating, BED;

- Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione con altra specificazione; - Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione senza altra specificazione.

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6 Anoressia Nervosa: Criteri diagnostici

ICD-10 1993 DSM-V 2103

Perdita di peso o, nei bambini, mancato aumento che conduce a un peso corporeo inferiore di almeno il 15% rispetto a quello normale o atteso per l’età e la statura.

Restrizione dell’assunzione di calorie in relazione alle necessità, che porta a un peso corporeo significativamente basso nel contesto di età, sesso, traiettoria di sviluppo e salute fisica. Il peso corporeo significativamente basso è definito come un peso inferiore al minimo normale oppure, per bambini e adolescenti, meno di quello minimo atteso.

La perdita di peso è autoindotta evitando cibi che fanno ingrassare

Intensa paura di aumentare di peso o di diventare grassi, oppure un comportamento persistente che interferisce con l’aumento di peso, anche se significativamente basso.

Percezione di sé come troppo grassa/grasso con una paura intrusiva di ingrassare che induce ad autoimporsi una soglia di peso molto bassa

Alterazione del modo in cui viene vissuto dall’individuo il peso o la forma del proprio corpo, eccessiva influenza del peso o della forma del corpo sui livelli di autostima, oppure persistente mancanza di riconoscimento della gravità dell’attuale condizione di sottopeso.

Esteso disturbo endocrino che coinvolge l’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi e si manifesta nelle donne con amenorrea e negli uomini con perdita di libido e di potenza sessuale.

Il DSM-V, inoltre, individua due tipi di Anoressia Nervosa:

- Tipo con restrizioni: Durante gli ultimi 3 mesi, l’individuo non ha presentato ricorrenti episodi di abbuffate o condotte di eliminazione (per es. vomito autoindotto o uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi). In questo sottotipo la perdita di peso è ottenuta principalmente attraverso la dieta, il digiuno e/o l’attività fisica eccessiva.

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7 - Tipo con abbuffate/condotte di eliminazione: durante gli ultimi tre mesi, l’individuo ha presentato ricorrenti episodi di abbuffata o condotte di eliminazione (cioè, vomito autoindotto o uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi).

Bulimia Nervosa: criteri diagnostici

ICD-10 1993 DSM-V 2013

Episodi ricorrenti di abbuffate (almeno due a settimana per almeno tre mesi) in cui grandi quantità di cibo sono consumate in brevi periodi di tempo.

Ricorrenti episodi di abbuffata. Un episodio di abbuffata è caratterizzato da entrambi i seguenti aspetti :

1. Mangiare, in un determinato periodo di tempo (per es., un periodo di due ore), una quantità di cibo significativamente

maggiore di quella che la maggior parte degli individui mangerebbe nello stesso tempo e in circostanze simili.

2. Sensazione di perdere il controllo durante l’episodio (per es., sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o a controllare cosa o quanto si sta

mangiando). Preoccupazioni persistenti intorno al

mangiare e forte desiderio di mangiare o senso di coazione a farlo (ricerca bramosa).

Ricorrenti ed inappropriate condotte compensatorie per prevenire l’aumento di peso, come vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici o altri farmaci, digiuno o attività fisica eccessiva.

Il soggetto tenta di contrastare gli effetti ingrassanti del cibo con uno o più dei metodi seguenti: vomito autoindotto; abuso-uso improprio di lassativi, diuretici, farmaci anti-fame, preparati di tiroide; periodi di digiuno. In soggetti diabetici, le abbuffate possono essere contrastate riducendo il trattamento insulinico.

Le abbuffate e le condotte compensatorie inappropriate si verificano entrambe in media almeno una volta alla settimana per 3 mesi.

Percezione di sé come troppo grassa/grasso con una paura intrusiva di ingrassare che induce, di solito, ad essere sottopeso.

I livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla forma e dal peso del corpo.

L’alterazione non si manifesta esclusivamente nel corso di episodi di anoressia nervosa.

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I livelli di gravità per la Bulimia Nervosa stabiliti dal DSM-V sono:

 Lieve: Una media di 1-3 episodi di condotte compensatorie inappropriate per settimana;

 Moderato: Una media di 4-7 episodi di condotte compensatorie inappropriate per settimana;

 Grave: Una media di 8-13 episodi di condotte compensatorie inappropriate per settimana;

 Estremo: Una media di 14 o più episodi di condotte compensatorie inappropriate per settimana.

Disturbo da Binge-eating (BED) – Disturbo da alimentazione incontrollata DAI: criteri diagnostici

DSM-V 2013

Ricorrenti episodi di abbuffate. Un episodio di abbuffata è caratterizzato da entrambi gli aspetti seguenti:

1. Mangiare, in un periodo definito di tempo (per es., un periodo di due ore) una quantità di cibo significativamente maggiore di quella che la maggior parte degli individui mangerebbe nello stesso tempo ed in circostanze simili.

2. Sensazione di perdere il controllo durante l’episodio (per es., sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o a controllare cosa o quanto si sta mangiando). Gli episodi di abbuffata sono associati a tre (o più) dei seguenti aspetti:

1. Mangiare molto più rapidamente del normale. 2. Mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni.

3. Mangiare grandi quantità di cibo anche se non ci si sente fisicamente affamati. 4. Mangiare da soli perché a causa dell’imbarazzo per quanto si sta mangiando. 5. Sentirsi disgustati verso se stessi, depressi o assai in colpa dopo l’episodio È presente un marcato disagio riguardo alle abbuffate.

L’abbuffata si verifica, in media, almeno una volta alla settimana per 3 mesi.

L’abbuffata non è associata alla messa in atto sistematica di condotte compensatorie inappropriate come nella bulimia nervosa, e non si verifica esclusivamente in corso di bulimia nervosa o anoressia nervosa.

Nel DSM-V il Disturbo da Binge-Eating ha mantenuto i criteri diagnostici simili a quelli del DSM-IV con l’eccezione del criterio sulla frequenza e sulla durata delle abbuffate. Nel DSM-V, infatti, le abbuffate si devono verificare, in media, almeno una volta alla settimana per 3 mesi, mentre nel DSM-IV si dovevano verificare almeno due giorni alla settimana per 6 mesi. Inoltre, come per l’Anoressia Nervosa

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e la Bulimia Nervosa sono stati introdotti dei criteri per valutare il livello di gravità attuale sulla base del numero di episodi di abbuffate per settimana:

 Lieve: Da 1 a 3 episodi di abbuffata a settimana;

 Moderato: Da 4 a 7 episodi di abbuffata a settimana;

 Grave: Da 8 a 13 episodi di abbuffata a settimana;

 Estremo: 14 o più episodi di abbuffata a settimana.

2.Epidemiologia

I casi clinici noti di Disturbi Alimentari sono solo una piccola rappresentanza dell’intero spettro. Infatti per molto tempo la malattia può restare nascosta a causa di comportamenti “segreti” caratteristici di questi soggetti. Tali condizioni sono più predominanti nei paesi occidentali industrializzati, anche se si sta assistendo ad una diffusione mondiale con casi anche nei paesi più poveri: è un fenomeno con le connotazioni di un disturbo epidemico [1].

I Disturbi Alimentari se non trattati in tempi e con metodi adeguati, possono diventare una condizione permanente e compromettere seriamente la salute di tutti gli organi e apparati del corpo (cardiovascolare, gastrointestinale, endocrino, ematologico, scheletrico, sistema nervoso centrale, dermatologico ecc.) e, nei casi più gravi, portare alla morte.

Ciò che è certo è che tutt’ora solo una minoranza delle persone affette da tali disturbi riceve una diagnosi e un trattamento adeguati.

Secondo le stime ufficiali, il 95,9% delle persone colpite da Disturbi Alimentari sono donne. Si stima che il rapporto maschi:femmine sia pari a 1:9; la prevalenza maschile, quindi, dei Disturbi Alimentari non è rara, sebbene le informazioni in merito continuino a essere scarse. Negli studi condotti su popolazioni cliniche, gli uomini presentano il 5-10% di tutti i casi di Anoressia Nervosa, il 10-15% dei casi di

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Bulimia Nervosa e il 30-40% dei casi di BED [2]. La media europea sembra attestarsi allo 0,9% e in Italia si stima sia 0,3-0,4% circa [3].

È difficile stabilire quale sia la reale prevalenza e incidenza di Anoressia Nervosa nei maschi, in quanto i metodi di studio sulla popolazione generale sono molto diversi e scarsamente confrontabili. Infatti uno studio inglese sottolinea come vi sia un’incongruenza tra i dati su popolazione clinica (5-10%) e i dati su popolazione generale in cui i maschi risultano essere circa il 25% [4].

Negli uomini è più frequente la presenza di obesità e sovrappeso rispetto alle donne e le preoccupazioni per il peso e la forma del corpo sono spesso influenzate dall’impegno in attività atletiche. In alcuni pazienti si osserva una focalizzazione estrema sulla forma e sulle dimensioni della muscolatura con conseguente uso improprio di anabolizzanti. Questa ossessione per l’esercizio fisico e le dimensioni della muscolatura è stato indicato con il termine di “vigoressia” [5].

Si è inoltre notato un rischio potenziale più alto di sviluppare un Disturbo Alimentare negli uomini omosessuali piuttosto che eterosessuali [6], ed è maggiore negli atleti, la cui incidenza è stimata tra il 10% e il 20% [7].

Sia nell’Anoressia Nervosa che nella Bulimia Nervosa la fascia di età in cui l’esordio si manifesta più spesso è quella tra i 15 e i 19 anni, anche se alcune osservazioni cliniche recenti hanno segnalato un aumento dei casi ad esordio precoce [8]. Questo aumento è in parte spiegato dall’abbassamento dell’età del menarca ma potrebbe anche essere collegato ad un’anticipazione dell’età in cui gli adolescenti sono esposti alle pressioni socioculturali della magrezza attraverso i mezzi di comunicazione. Questi casi hanno conseguenze molto più gravi sul corpo e sulla mente. Un esordio precoce può, infatti, comportare un rischio maggiore di danni permanenti secondari alla malnutrizione, soprattutto a carico dei tessuti che non hanno ancora raggiunto una piena maturazione, come le ossa e il sistema nervoso centrale.

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L’età di esordio del BED si differenzia da quella di Anoressia Nervosa e Bulimia Nervosa essendo distribuita in un ampio intervallo, con un picco nella prima età adulta.

Tabella 1. Prevalenza e incidenza mondiale dei casi di disturbi alimentari [9,10].

Prevalenza Incidenza N°casi/100.000 abitanti Età alto rischio AN 0,2-0,9% femmine - 8 femmine 0,02-1,4 maschi 15-19 anni BN 1,0-4,2% femmine 0,1% maschi

12 femmine 0,8 maschi 14-25 anni

DAI 3,5% 2% - - 20-30 anni

Gli studi sembrano rilevare una tendenza alla diminuzione di Bulimia Nervosa, mentre invece i casi di Anoressia Nervosa sembrano essere stabili. Anche se il numero di persone che ricevono il trattamento è aumentato, solamente circa un terzo è rilevato dall’assistenza sanitaria. Più del 70% degli individui con Disturbi Alimentari riferisce delle comorbidità, come ad esempio i disturbi d'ansia (> 50%), i disturbi dell'umore (> 40%), l’auto-lesionismo (> 20%) e l’uso di sostanze (> 10%) sembrano essere i più comuni [11].

In Italia le ricerche confermano l’andamento epidemiologico internazionale.

Tabella 2. Prevalenza e incidenza in Italia dei casi di disturbi alimentari nella popolazione

femminile in aree urbane e rurali di età tra i 18 e i 25 anni [12].

Prevalenza Incidenza AN 0,5-2,9% 8 casi/ 100.000 (0,02-1,4 casi/ 100.000 per i maschi) BN 1,8% 9-12 casi/100.000 DAI 0,1% -

All’Anoressia Nervosa è collegata una mortalità 12 volte maggiore di quella di persone sane della stessa età e sesso. Gli studi con follow up a lungo termine

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indicano un alto tasso di mortalità per Anoressia Nervosa (3,1%) che aumenta ulteriormente se associata a comorbidità psichiatriche (18,1%) [13].

La mortalità associata a Bulimia Nervosa è considerevolmente minore rispetto a quella associata ad Anoressia Nervosa con un tasso di circa 1,6% [14].

3.Eziologia

Le prime spiegazioni che attribuivano ad alcune influenze sociali la causa scatenante di un Disturbo Alimentare risalgono a Fenwick (1880) che collegava l’Anoressia Nervosa all’appartenenza alla upper class inglese [15].

Negli anni ’60 Bliss e Branch [16] sottolineavano come il fattore scatenante di questa patologia fosse da ricercare in una eccessiva preoccupazione per il peso. Anche Hilde Bruch [17] evidenziava come anche l’enfasi sulla magrezza, posta dalla moda e dai media, fosse un modo per diffondere ideali sociali che fanno da esca all’insorgere di Disturbi Alimentari.

Inizialmente ci si limitava a identificare nella crescente pressione della società a essere magri, l’aspetto socioculturale principale come fattore scatenante l’Anoressia Nervosa e la Bulimia Nervosa. Furono così rilevate delle categorie a rischio come le modelle, gli atleti e le ballerine, queste ultime con una prevalenza di Disturbi Alimentari pari al 32%.

Dato che la causa dei Disturbi Alimentari veniva attribuita all’eccessivo desiderio di essere magri, il comportamento più studiato divenne la tendenza a mettersi a dieta.

Polivy & Herman [18] sono stati tra i primi ha collegare la restrizione dietetica con la comparsa delle abbuffate alimentari. Patton et al. [19] hanno riportato un rischio otto volte maggiore di sviluppare un Disturbo Alimentare in adolescenti in seguito a una dieta.

Non è chiaro quali siano i fattori che fanno evolvere una dieta in un Disturbo Alimentare, ma esistono molti aspetti in comune tra persone a dieta e persone con

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Disturbi Alimentari. Entrambi, infatti, tendono ad abbuffarsi dopo un periodo di restrizione, mangiano in risposta alle emozioni o in seguito all’idea di aver trasgredito le loro regole dietetiche. Anche psicologicamente presentano gli stessi tratti di personalità come la bassa autostima, l’insoddisfazione per il proprio corpo, la mancanza di riconoscimento dei segnali interni ed elevata emotività.

Va però anche sottolineato che non tutte le persone che si sottopongono a una dieta sviluppano un Disturbo Alimentare.

Negli ultimi vent’anni le diete hanno avuto un’enorme diffusione. Vengono prescritte con estrema facilità da soggetti non abilitati e senza le competenze adeguate, sfuggendo da ogni revisione critica. Parlare di diete tra le persone ha sostituito i più classici temi di discussione e il “fare una dieta” è diventato un rituale sociale segno di distinzione, autocontrollo e forza di carattere, ma l’idealizzazione di tale pratica da parte della popolazione del mondo medico è stata tale da non permettere a nessuno di parlare del rischio a lungo termine di tale moda.

Un altro aspetto problematico della nostra attuale società è rappresentato dal ruolo che giocano l’industria alimentare e la ristorazione collettiva.

Aumentando l’impegno lavorativo della donna è conseguentemente aumentato l’uso di prodotti alimentari di produzione industriale e il consumo di pasti sul posto di lavoro.

Per riuscire a compiacere il palato del consumatore l’industria ha imparato ad addizionare ai cibi una quota di grassi, i quali rendono l’alimento più palatabile. Le industrie studiano quindi con particolare cura il modo di produrre quel mix perfetto di carboidrati e grassi irresistibile per il palato. Ciò è dimostrato dall’aumento sul mercato di dolci e biscotti farciti, di torte con all’interno creme o cioccolato, quando fino a pochi anni fa la maggior parte di questi alimenti era prevalentemente secca.

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Anche nella ristorazione prevalgono i cibi ad elevato contenuto di grassi. Nei fast-food dominano gli hamburger e le patatine fritte. Tutto studiato per indurci a continuare a consumare cibo anche se ormai siamo completamente sazi.

Può essere molto influente il rinforzo dei familiari attraverso espliciti incoraggiamenti alla perdita di peso o attraverso comportamenti modellanti come il seguire delle diete. La pressione familiare favorisce l’insoddisfazione corporea più della pressione dei media o dei pari.

Date le fasce di età di insorgenza nel sesso femminile in adolescenza o giovane adulta sembrano che indichi che questi disturbi sono associati a difficoltà nelle fasi di passaggio dall’infanzia alla vita adulta, scatenata da cambiamenti fisici e ormonali caratteristici della pubertà.

Nell’eziopatogenesi dei Disturbi Alimentari influiscono, inoltre, anche fattori ambientali: precoci, che interferiscono con le prime fasi del neurosviluppo e con la maturazione e la programmazione dei sistemi di risposta allo stress, come le condizioni di vita intrauterina, le complicanze perinatali e le separazioni precoci dalle figure di accudimento; tardivi, come gli abusi nell’infanzia, l’abuso di sostanze psicoattive, i rapporti conflittuali con i genitori o tra i genitori o le pressioni verso la magrezza da parte di familiari [20].

Anche alcune caratteristiche di personalità possono associarsi ad un aumento della vulnerabilità ai Disturbi Alimentari, come il perfezionismo, l’impulsività, la tendenza all’ansia e all’evitamento, l’ossessività.

Il nucleo patogenetico che caratterizza i Disturbi Alimentari, bassa autostima, depressione, sofferenza causata dalla mancata corrispondenza tra peso reale e peso ideale, è determinato da un complesso insieme di fattori individuali, familiari, socioculturali (vedi Tabella 3) che costituiscono:

- fattori predisponenti o di rischio che inducono la vulnerabilità biologica e/o psicologica causa dello sviluppo del Disturbo Alimentare:

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 Genere femminile, età, etnia e classe sociale;  Obesità infantile;

 Familiarità per sovrappeso e obesità (in particolare per soggetti che sviluppano BN);

 Storie di ripetute diete ed oscillazioni ponderali;  Gravidanza;

 Patologie croniche, come Diabete Mellito di tipo 1;

 Tratti di personalità e problemi psicologici (autosvalutazione, perfezionismo, disturbi d’ansia e d’umore);

 Caratteristiche familiari (scarsa definizione dei ruoli, mancata separazione, etc..);

 Fattori socioculturali, come il mito della magrezza e del fitness, richiesta di prestazioni straordinarie, competizione, palatabilità e manipolazione industriale degli alimenti.

- fattori precipitanti, cioè eventi di natura diversa in grado di far comparire un disturbo in una persona predisposta:

 Separazioni, perdite e cambiamenti;  Malattie;

 Alterata omeostasi familiare;  Menarca traumatico;

 Esperienze e/o abusi sessuali;  Stress;

 Commenti critici per alimentazione, peso o forme corporee;

 Attività sportive particolari come la danza, la ginnastica artistica, in cui la prestazione è correlata al basso peso corporeo;

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- fattori di mantenimento, determinati da situazioni conseguenti all’insorgere della patologia stessa, in grado di creare circoli viziosi, che ostacolano la risoluzione del problema:

 Posizione di potere in famiglia;  Evitamento di situazioni ansiogene;

 Effetti del digiuno e della perdita di peso [22];

 “Guadagni” secondari legati alla patologia: rinforzi positivi interni legati al senso di autocontrollo e superiorità, e rinforzi positivi esterni legati ai commenti favorevoli ricevuti dagli altri riguardo il peso e le forme corporee; rinforzi negativi legati all’evitamento della maturità e di situazioni impegnative e/o avverse;

 Fattori iatrogeni, come prescrizioni dietetiche, cure ormonali per correggere un’eventuale amenorrea secondaria, gravidanze consentite in soggetti sottopeso in seguito a trattamenti per l’infertilità, rialimentazioni forzate o ricoveri ospedalieri non concordati con il paziente e trattamenti isolati mal gestiti;

 Comportamenti di controllo dell’alimentazione (food checking), del corpo (body checking) e meccanismi di compenso (dall’esercizio fisico intenso al vomito autoindotto e l’uso-abuso di lassativi, diuretici o altri farmaci..).

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Tabella 3. Fattori che influenzano la comparsa di un Disturbo Alimentare

Fattori individuali Fattori familiari Fattori socioculturali Demografici

Sesso femminile Donne bianche

Classe sociale medio-alta Età

Psicologici/psichiatrici Disturbi dell’umore e/o d’ansia

Tratti di personalità Bassa valutazione di sé Perfezionismo

Estrema ricerca del controllo

Intolleranza alle emozioni

Fisici Obesità

Difficoltà alimentari precoci

Diabete Mellito di tipo 1 Menarca precoce

Anomale attività dei neurotrasmettitori

Comportamentali

Diete restrittive frequenti

Eventi avversi Abuso sessuale

Lutti, perdite,

cambiamenti

Critiche su peso, forme corporee,

comportamento alimentare

Familiarità per Disturbi Alimentari

Familiarità per disturbi psichiatrici (disturbi dell’umore, disturbo ossessivo compulsivo)

Familiarità per obesità

Familiari a dieta per

qualsiasi motivo (“estetico” o patologico) Critiche di familiari su alimentazione, peso e forme corporee Idealizzazione della magrezza Denigrazione sociale dell’obesità

Influenze dei mass media

Influenza della famiglia

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19 4. Lo studio del digiuno

Keys e i suoi collaboratori all’Università del Minnesota nel loro classico libro “The Biology of Human Starvation” (Keys et al. 1950), noto come “studio del semidigiuno” [22], hanno valutato gli effetti della dieta ferrea e dal calo ponderale sull’uomo ed hanno fornito una descrizione dettagliata dei sintomi del sottopeso e della restrizione dietetica calorica riportati da giovani adulti maschi volontari. L’osservazione di David Garner (1997) che molti sintomi, chiamati da Keys “sintomi da digiuno”, sono simili a quelli osservati in persone affette da Anoressia Nervosa, ha contribuito a migliorare la comprensione e il trattamento dei Disturbi dell’Alimentazione. Oggi è ampiamente accettato che molti sintomi, in passato attribuiti alla psicopatologia dell’Anoressia Nervosa, sono la mera conseguenza del sottopeso e della restrizione dietetica calorica.

Lo studio fu ideato per valutare gli effetti fisiologici e psicologici di una severa e prolungata restrizione dietetica calorica e l’efficacia della riabilitazione nutrizionale. Lo scopo principale dello studio fu capire come assistere nel modo migliore le vittime della carestia in Europa e in Asia durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale. Più di 100 uomini si proposero come partecipanti volontari allo studio come alternativa al servizio militare. Di questo campione iniziale, furono selezionati i 36 uomini che avevano il migliore stato di salute fisico e psicologico. Lo studio fu diviso in tre fasi: un periodo di controllo di 12 settimane, 24 settimane di semidigiuno e 12 settimane di riabilitazione nutrizionale. Nella prima fase, i volontari mangiarono normalmente mentre furono studiati dettagliatamente il loro comportamento e la loro personalità. Durante questo periodo i partecipanti assunsero in media 3.492 kcal. Nella seconda fase i partecipanti furono sottoposti a una restrizione che corrispondeva circa alla metà del loro introito calorico iniziale (in media 1.570 kcal). Questo regime determinò nei partecipanti una perdita di circa il 25% del peso iniziale. Infine, nell’ultima fase, i partecipanti furono gradualmente nutriti in maniera normale.

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La maggior parte dei risultati fu riportata solo per 32 uomini, dato che quattro dei partecipanti all’esperimento si ritirarono nella fase di restrizione calorica. Nonostante le risposte individuali, rispetto alla perdita di peso, variassero notevolmente, tutti gli uomini sperimentarono drammatici cambiamenti fisici, psicologici e sociali riassunti nella Tabella 4.

Tabella 4: Effetti della restrizione calorica e della perdita di peso nei partecipanti del Minnesota

Study [22].

Effetti Comportamentali Effetti psicologici Modificazioni fisiche -Rituali alimentari

(mangiare molto lentamente, tagliare il cibo in piccoli pezzi, mescolare il cibo in modo bizzarro, ingerire cibo bollente); -Lettura di libri di cucina e collezione di ricette;

-Incremento del consumo di ca è, tè, spezie, gomme da masticare e acqua; -Onicofagia;

-Incremento del fumo di sigarette;

-Episodi bulimici;

-Incremento dell’esercizio fisico per evitare la riduzione del contenuto calorico della dieta;

-Autolesionismo

-Scarsa capacità di concentrazione;

-Scarso capacità di giudizio critico;

-Preoccupazione per il cibo e l’alimentazione;

-Depressione;

-Sbalzi del tono dell’umore; -Irritabilità;

-Rabbia; -Ansia; -Apatia;

-Episodi psicotici

-Disturbi del sonno; -Vertigini; -Debolezza; -Dolori addominale; -Disturbi gastrointestinali; -Cefalea; -Ipersensibilità al rumore e alla luce; -Edema; -Ipotermia;

-Riduzione della frequenza cardiaca e respiratoria; -Parestesie;

-Diminuzione del metabolismo basale;

-Aumento della fame; -Precoce senso di pienezza

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Effetti comportamentali: Alla fine del periodo di restrizione calorica i volontari impiegavano due ore a mangiare un pasto che in precedenza richiedeva loro pochi minuti. Dedicavano ore a programmare come suddividere la quantità di cibo nella giornata. Diciannove di loro cominciarono a leggere libri di cucina e a collezionare ricette. Vi fu un aumento del consumo di caffè e tè: molti bevevano più di 15 caffè al giorno. I partecipanti cercavano di tenere lo stomaco pieno bevendo grandi quantità di liquidi (acqua e zuppe); mischiavano gli alimenti in modo strano e vi fu un incremento notevole dell’uso di sale e spezie. Il consumo di gomme da masticare (fino a 40 pacchetti al giorno), il fumo e l’onicofagia aumentarono marcatamente. Numerosi di questi cambiamenti persistettero anche durante le 12 settimane di recupero del peso.

Durante la fase di restrizione calorica tutti i partecipanti riferivano un aumento della fame; mentre alcuni riuscivano a tollerarla, per altri fu un’intensa preoccupazione, fino a diventare insopportabile. Molti non riuscirono ad aderire alla dieta e manifestarono episodi bulimici, ed anche dopo 12 settimane di riabilitazione veniva segnalato un aumento della fame subito dopo un pasto abbondante. La normalizzazione delle abitudini alimentari avvenne nella maggior parte dei casi solo dopo circa cinque mesi di riabilitazione, ma un sottogruppo continuò ad assumere cibo in eccesso.

Come risposta alla restrizione calorica, si verificò inoltre una riduzione dell’attività fisica. Gli uomini diventarono stanchi, deboli, disattenti e apatici e si lamentarono di mancanza di energia. Qualcuno tentò di perdere più peso cercando di consumare più energie in modo tale da poter ottenere una razione di pane più abbondante.

Effetti psicologici: Molti partecipanti mostrarono importanti modificazioni emotive e cognitive. I cambiamenti cognitivi più rilevanti furono la riduzione della capacità

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di concentrazione, della vigilanza, della comprensione e del giudizio critico, mentre le abilità intellettive rimasero inalterate.

Alcuni attraversarono periodi di depressione. Sebbene prima dello studio in tutti i volontari fosse stata riscontrata un’elevata tolleranza allo stress, molti di essi esibirono frequenti segni di irritabilità ed esplosioni di rabbia. L’ansia era molto evidente, l’apatia divenne comune; in alcuni, inoltre, i disturbi emozionali divennero così gravi da poter parlare di “nevrosi da semidigiuno”. Durante la restrizione calorica, inoltre, due volontari svilupparono disturbi di proporzioni psicotiche, e uno dei due si tagliò tre dita delle mani in risposta alla sua angoscia.

Effetti sociali: La restrizione calorica determinò nei volontari cambiamenti nelle relazioni sociali, quali una minore capacità di socializzazione e un maggiore isolamento. L’umore generale subì un peggioramento e crebbe il senso di inadeguatezza sociale. Inoltre, i partecipanti all’esperimento riferirono una marcata diminuzione dell’interesse sessuale.

Effetti fisici: Dopo sei mesi di restrizione alimentare calorica, i partecipanti presentarono varie modificazioni fisiche tra cui: dolori addominali, digestione lenta e difficile, disturbi del sonno, vertigini, mal di testa, ipersensibilità alla luce e al rumore, riduzione della forza, edema, perdita di capelli, diminuita tolleranza al freddo, mani e piedi freddi, disturbi della visione, disturbi dell’udito (ronzii) e parestesie. Si verificò una riduzione della temperatura corporea e del metabolismo basale, oltre che della frequenza cardiaca e respiratoria. Durante la riabilitazione il metabolismo basale aumentò in maniera proporzionale all’aumento delle calorie ingerite.

Dopo la fase di perdita di peso di almeno il 25% del peso corporeo iniziale, i partecipanti furono sottoposti a molti mesi di rialimentazione che li fece tornare mediamente al loro peso originale, accresciuto del 10%, ma poi gradualmente

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ritornarono ai livelli di peso che avevano prima dell’esperimento. Tale risultato dimostra che il corpo non è semplicemente “riprogrammabile” a un peso più basso dopo un periodo di dimagramento e che la restrizione alimentare sperimentale dei volontari non riuscì a vincere la forte propensione dei loro corpi a ritornare al loro livello di peso di partenza.

Quindi, i sintomi immaginati come specifici di Anoressia Nervosa e Bulimia Nervosa, sono in realtà la conseguenza della malnutrizione e non si limitano al cibo ed al peso, ma si estendono a tutte le aree di funzionamento psicologico e sociale.

5. Assessment

Data la complessità dei Disturbi Alimentari, l’intervento precoce riveste un’importanza particolare; è essenziale una grande collaborazione tra figure professionali con differenti specializzazioni come psichiatri, pediatri, psicologi, dietisti, specialisti in medicina interna, ai fini di una diagnosi precoce, di una tempestiva presa in carico all’interno di un percorso multidisciplinare e di un miglioramento dell’evoluzione a lungo termine.

L’assessment ha la funzione di favorire la presa di coscienza nel paziente del proprio stato di sofferenza e della complessità del proprio disturbo, e della necessità, conseguentemente, di progettare una valutazione e un trattamento dove sia gli aspetti organici che quelli psicologico - psichiatrici siano presi in considerazione.

Per poter effettuare una diagnosi di Disturbo Alimentare è indicato un attento assessment della storia del paziente, dei suoi sintomi, comportamenti e stato mentale. Viene realizzata una ricostruzione dell’andamento del peso e dell’altezza nella storia del paziente, i suoi comportamenti nelle restrizioni alimentari, nelle abbuffate e nell’esercizio fisico ed il loro andamento nel tempo, i comportamenti

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di eliminazione e/o compensazione, gli atteggiamenti verso il cibo, peso e forme corporee ed eventuali condizioni psichiatriche associate, eventualmente anche con il coinvolgimento della famiglia o del coniuge/partner.

Nella fase di assessment al paziente può essere chiesto un resoconto dettagliato dell’introito alimentare di un singolo giorno o utilizzare un diario come promemoria che consente di ottenere informazioni specifiche sulle condotte alimentari, specialmente sulle sensazioni circa l’introito percepito.

Tali informazioni potrebbero essere ottenute anche mangiando una volta con il paziente od osservandolo mentre mangia: in questo modo potrebbero essere rilevate dall’occhio clinico e specializzato tutte le difficoltà che il paziente incontra nel mangiare particolari cibi, le ansie emergenti durante i pasti ed i rituali legati al cibo (Tabella 5).

Inizialmente, pazienti e familiari possono non rivelare informazioni circa problematiche importanti e delicate che sono confidate invece solamente dopo l’instaurarsi di una relazione di fiducia.

Sono disponibili delle “misure” formali per l’assessment dei Disturbi Alimentari, sottoforma di questionari autosomministrati o interviste semistrutturate.

La determinazione clinica della diagnosi però non può essere fatta unicamente sulla base di test di screening autosomministrati: i potenziali pazienti affetti da Disturbo Alimentare secondo un primo screening devono essere sottoposti comunque ad una seconda fase di definizione diagnostica tramite specifici colloqui con professionisti esperti. La fase diagnostica è cruciale in quanto facilita la scelta e la programmazione del trattamento più idoneo.

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Tabella 5. Comportamento alimentare

Patologia AN BN

Schema alimentare rigido Costante Tra le abbuffate

Restrizione calorica Marcata Tra le abbuffate

Vegetarianismo (o mode alimentari tipo macrobiotico..)

50% dei casi Poco frequente

Abuso di spezie Molto frequente Meno frequente

Alimenti “speciali”

(light, integrali, biologici)

Frequente Molto frequente

Cibi fobici Costante

Rituali:

mangiare di nascosto, fare piccoli bocconi, sminuzzare e spezzettare il cibo, pulirlo dal grasso visibile, asciugare dal condimento, fare scarti elevati, nascondere il cibo e/o lasciarlo nel piatto, mischiare alimenti in modo anomalo, usare piatti e/o posate in modo inusuale, conteggiare ogni apporto calorico, monotonia alimentare, controllo del cibo altrui

Frequente Raro

Mangiare lentamente Frequente Assente

Ridotto numero dei pasti Costante

Abbuffata 50% dei casi,

soggettiva, raramente programmata Costante, oggettiva, frequentemente programmata

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26 VALUTAZIONE E MONITORAGGIO DELLO STATO NUTRIZIONALE

Lo stato nutrizionale è la conseguenza di un equilibrio tra l’apporto e il fabbisogno dei nutrienti. Per malnutrizione si intende uno stato di nutrizione per difetto o per eccesso derivante dalla discrepanza tra i fabbisogni e gli apporti. In alcune forme di Disturbi dell’Alimentazione le fluttuazioni di peso possono esporre i pazienti alternativamente a entrambe le forme di squilibrio energetico. Carenze alimentari si possono sviluppare per ogni nutriente, ma è soprattutto la deplezione delle riserve proteiche ed energetiche (malnutrizione proteico-energetica) che caratterizza i Disturbi dell’Alimentazione. L’inquadramento nutrizionale del paziente non può fondarsi su un singolo indice nutrizionale, ma deve impiegare una serie di misurazioni antropometriche, determinazioni chimico-cliniche o altre prove più complesse che vanno interpretate alla luce del contesto clinico specifico del singolo paziente.

I test per identificare la malnutrizione proteico-energetica dovrebbero essere influenzabili dai trattamenti e quindi riportati alla normalità tramite la terapia nutrizionale.

Gli scopi della valutazione dello stato nutrizionale sono quelli di identificare il paziente malnutrito o a rischio di divenire malnutrito, di identificare il paziente a rischio di complicanze secondarie a carenze nutrizionali e che possono trarre beneficio da un intervento nutrizionale, decidere il tipo di intervento nutrizionale e valutare l’efficacia della terapia nutrizionale.

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27 1.Valutazione degli introiti alimentari

La valutazione degli introiti alimentari è fondamentale nell’iter diagnostico e nel follow-up di soggetti con Disturbi dell’Alimentazione.

Le modalità di alimentazione rilevate comprendono tre principali quadri: restrizione dietetica, abbuffata e comportamenti di compenso.

La restrizione dietetica è definita dalla limitazione volontaria dell’apporto di cibo con lo scopo di ridurre l’apporto energetico e ottenere così un calo ponderale o un controllo del peso. Nell’Anoressia Nervosa o nella Bulimia Nervosa negli intervalli tra le abbuffate la restrizione dietetica può essere inizialmente moderata, fino a diventare estrema e rigida e, nelle forme avanzate, l’introito calorico quotidiano può limitarsi anche a sole 300-600 kcal. Le modalità di restrizione dietetica sono molteplici ed includono l’esclusione di uno o più pasti della giornata fino a periodi di digiuno totale, la selezione di alimenti a bassa densità energetica con l’esclusione dei cibi più ricchi di calorie e di grassi, tra cui soprattutto i condimenti, l’adesione a una dieta vegetariana o vegana, ricca di fibre e a più basso contenuto energetico. L’accettazione di consumare cibi ad alta densità energetica sembra essere un fattore prognostico più positivo dello stesso aumento dell’introito calorico totale raggiunto tramite cibi a minore densità energetica. Un altro elemento di rilievo, nell’Anoressia Nervosa, è la ridotta varietà di scelte alimentari, con consumo di diete monotone contenenti gli stessi pochi cibi ad ogni pasto. La ridotta varietà alimentare tende a persistere anche in fase di recupero del peso e sembra associarsi a una prognosi peggiore [23]. Alla restrizione dietetica sono spesso associati comportamenti che hanno lo scopo di ridurre e tollerare meglio le sensazioni di fame e di disagio associate alla limitazione dell’introito calorico o di aumentare le possibilità di successo. La restrizione dietetica si associa a carenze non solo di energia ma anche di nutrienti essenziali quali aminoacidi, acidi grassi essenziali, vitamine e minerali.

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Un’abbuffata si distingue in “oggettiva” quando la quantità di cibo consumata durante l’episodio è oggettivamente elevata e “soggettiva” in cui la sensazione di perdita di controllo non è associata all’assunzione di una quantità di cibo oggettivamente elevata. I cibi ingeriti durante l’abbuffata sono, in genere, quelli evitati nelle fasi di restrizione dietetica, vale a dire cibi ad alta densità energetica, ricchi di zuccheri e grassi.

L’abbuffata, sia oggettiva che soggettiva, può essere seguita da comportamenti di compenso per eliminare le calorie assunte in eccesso. Questi si possono dividere in eliminativi come il vomito autoindotto, l’uso improprio di lassativi o diuretici, enteroclismi e non eliminativi come la restrizione dietetica o l’esercizio fisico. La valutazione degli introiti alimentari ha come obiettivi la valutazione dell’adeguatezza nutrizionale, della ritmicità dei pasti e della necessità o meno di correggere carenze o eccessi e può essere effettuata attraverso l’uso del 24-hour recall che prevede il richiamo per ricordo dei cibi consumati nelle 24 ore precedenti. Si ha una prima definizione dei cibi ingeriti nei diversi pasti della giornata lasciando pieno spazio di espressione al paziente. L’operatore, poi, attraverso una serie di domande puntualizza gli aspetti quali/quantitativi, non chiaramente definiti, come l’uso di condimenti, di zucchero, formaggio ed indaga le omissioni, per esempio le bevande e i fuori pasto. La valutazione viene ripetuta più volte per una maggiore accuratezza.

Altro strumento è il diario alimentare che invece prevede la registrazione in tempo reale, cioè nel preciso momento in cui si assumono gli alimenti, scritta e compilata dal paziente di tutti i cibi consumati durante la giornata, specificando gli orari dei pasti e le componenti qualitativa e/o quantitativa degli alimenti. La registrazione in tempo reale ha l’obiettivo di limitare eventuali dimenticanze, aumentando l’affidabilità. Evidenzia, inoltre, le informazioni nutrizionali, i pregiudizi e le fobie dei pazienti. Attraverso il contenuto del diario si rilevano eventuali carenze o eccessi nell’introito di energia, macro e micronutrienti. Nei casi di scarsa ritmicità

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negli orari dei pasti che possono favorire variazioni nei meccanismi di fame e sazietà portando ad alterazione dell’equilibrio quantitativo dei pasti o nei casi di pasti troppo abbondanti o troppo scarsi, anche in assenza di variazioni di ritmicità, può essere richiesta la compilazione di un altro diario alimentare in cui si richiede di specificare su una scala di tipo Likert i livelli di fame, prima dei pasti, e quelli di sazietà, dopo aver mangiato.

La scheda di monitoraggio, invece, è un adattamento del diario alimentare usata nel trattamento dei Disturbi Alimentari. Va compilato in tempo reale e a differenza del diario alimentare, nella scheda di monitoraggio, si registra in apposite colonne ogni alimento considerato eccessivo, i comportamenti di compenso, gli eventi, i pensieri e le emozioni che influenzano l’alimentazione. La scheda di monitoraggio fornisce un quadro dettagliato del comportamento alimentare, portando di conseguenza all’attenzione del terapeuta e del paziente la natura del Disturbo dell’Alimentazione e dei meccanismi che lo mantengono. Inoltre, rende più consapevole il paziente di quello che sta facendo nel preciso momento in cui lo fa, facilitando il cambiamento di comportamenti che sembrano automatici e fuori dal controllo.

2. Indici antropometrici e spesa energetica

Per gli adulti il peso minimo normale può essere considerato un BMI di 18,5 kg/m2, mentre per i bambini e gli adolescenti, il 10° percentile del BMI per l’età è la soglia sensibile. Il livello di gravità stabilito dal DSM-V per l’Anoressia Nervosa è:

 Lieve: Indice di massa corporea ≥ 17 kg/m2;

 Moderato: Indice di massa corporea 16-16,99 kg/m2;

 Grave: Indice di massa corporea 15-15,99 kg/m2;

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Nei bambini e negli adolescenti la gravità della perdita di peso e, quindi, il grado di malnutrizione (lieve, moderato, grave, estremo) corrisponde invece al 10°, 3°, 1° e < 1° percentile. Le Linee Guida del NICE affermano che nell’Anoressia Nervosa, sebbene il peso e il BMI siano importanti indicatori, essi non dovrebbero essere considerati i soli indicatori di rischio fisico; è da tenere in considerazione anche l’entità della perdita di peso. Il BMI, inoltre, si correla con la ricomparsa del ciclo mestruale in adolescenti con Anoressia Nervosa e, quindi, potrebbero essere utilizzati per fissare un obiettivo di peso. L’86% delle pazienti, che raggiunge un peso pari al 90% della media del peso per altezza ed età [24], recupera le mestruazioni in sei mesi e nelle adolescenti queste ricompaiono nel 50% dei casi quando il BMI si aggira intorno al 14° percentile.

Per quanto concerne la determinazione del consumo energetico, è noto che la spesa energetica totale nell’uomo (TEE) è determinata dal metabolismo basale (MB), dalla termogenesi indotta dagli alimenti e dal costo energetico dell’attività fisica. Il MB è la maggior componente del TEE in individui sedentari, raggiungendo circa il 70% del TEE. Numerosi studi hanno evidenziato che il MB è basso nei pazienti sottopeso con Anoressia Nervosa rispetto a soggetti di controllo. Il basso livello di MB sembra dovuto alla perdita di massa magra, che è il maggior responsabile dei valori di MB, e alle modificazioni neuroendocrine a carico di leptina, ormoni tiroidei, ormoni surrenalici indotte dalla malnutrizione per difetto. Nei pazienti con Anoressia Nervosa il MB può scendere addirittura al di sotto delle 600 kcal/die, ma in altre situazioni, in cui sia presente intensa attività fisica, il dispendio energetico totale può arrivare a superare le 2000 kcal/die. L’accurata misurazione del MB in pazienti con Anoressia Nervosa può essere utile per predire il livello energetico necessario a promuovere il recupero ponderale e ottimizzare la riabilitazione nutrizionale. La calorimetria indiretta è il metodo più valido per misurare il MB, ma non è facilmente a disposizione nelle strutture sanitarie. In alternativa, possono essere utilizzate formule predittive del MB: la più nota è

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l’equazione di Harris-Benedict [25], ma tale formula, nei pazienti con Anoressia Nervosa, sovrastima il MB e quindi non è applicabile, perché induce ad introdurre un’eccessiva quota calorica con il rischio di conseguenze pericolose come la sindrome da rialimentazione.

3. Studio della composizione corporea

La composizione corporea, intesa come valutazione e monitoraggio delle percentuali di massa grassa (FM) e di massa magra (FFM), è di grande aiuto in tutte le forme di Disturbi dell’Alimentazione, sia quelle caratterizzate da malnutrizione per difetto, sia quelle con malnutrizione per eccesso. Il mantenimento o il recupero della FFM è particolarmente auspicabile sia per il ruolo della massa muscolare nella conservazione di buoni livelli di spesa energetica di base, sia per la sua caratteristica di indicatore di benessere nutrizionale e di buono stato di salute generale. Dal punto di vista nutrizionale, la prevalenza della malnutrizione nei Disturbi dell’Alimentazione è variabile e più evidente nell’Anoressia Nervosa, dove i pazienti possono presentare gradi di emaciazione molto marcati fino a livelli di composizione corporea caratterizzata da riduzione sia della massa adiposa sia della massa magra. La massa grassa è stata quella più studiata, perché si tratta del compartimento corporeo più interessato dalla malnutrizione e le metodiche più utilizzate a tale scopo sono state oltre la plicometria, la bioimpedenziometria (BIA) e la densitometria a doppio raggio (DXA).

La BIA è un esame che misura specificamente l’acqua corporea totale intracellulare ed extracellulare. Quest’ultima è maggiormente rappresentata in condizioni di malnutrizione, di catabolismo o di insufficienza d’organo. Tramite corrente elettrica a basso voltaggio, per mezzo di due coppie di elettrodi posizionati a livello cutaneo, si riescono a definire due parametri elettrici (resistenza e reattanza) utilizzabili o all’interno di formule matematiche, da cui si ricavano percentuali di

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FM, FFM e distribuzione dell’acqua corporea, o per la costruzione di un’immagine in cui i due dati, vengono a costituire ascisse e ordinate dei due assi. Il quadrante in cui cade la misurazione ci aiuta a definire il livello di alterazione della composizione corporea in termini di idratazione e di massa magra. L’Anoressia Nervosa è associata a bassi valori di angolo di fase, in particolar modo nella variante bulimica [26]. Di notevole aiuto è la ripetizione nel tempo dell’esame per valutare l’evoluzione dinamica dello stato impedenziometrico del paziente [27]. Può essere utilizzata per aumentare nelle pazienti la consapevolezza dei cambiamenti legati al trattamento nutrizionale, distogliendo così l’ideazione dalla sola considerazione del peso corporeo. Va tenuto comunque, sempre in considerazione che la BIA sottostima la massa magra nei soggetti con Anoressia Nervosa rispetto alla DXA e che l’esame è fortemente influenzato dallo stato di idratazione del paziente. Il basso costo dello strumento e la non invasività della metodica permettono un utilizzo frequente della BIA, sia nel percorso diagnostico sia per il follow-up in corso di riabilitazione nutrizionale.

La DXA, è metodica di riferimento per la valutazione della densità minerale ossea e può essere utilizzata anche per la valutazione della composizione corporea, soprattutto nell’ambito della ricerca. Il principio su cui si basa la DXA è la misurazione della trasmissione attraverso i tessuti di un doppio fascio di raggi X. Osso e tessuti molli vengono distinti per la diversa attenuazione dei raggi, inferiore per i tessuti molli. La componente adiposa dei tessuti molli è derivata dal rapporto tra l’attenuazione dei due tipi di energia. La DXA consente, quindi, una stima di tre compartimenti corporei: osso, massa grassa e massa magra. La DXA ha un alto livello di precisione negli adulti e negli adolescenti affetti da Anoressia Nervosa, specialmente nella misurazione del grasso corporeo. In particolare, la valutazione della densità minerale ossea è sempre indicata in tutti i soggetti con amenorrea di durata superiore a 6 mesi o che hanno un BMI < 15 kg/m2. Il monitoraggio della massa ossea è importante nell’Anoressia Nervosa in quanto l’età di insorgenza più

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frequente dell’Anoressia Nervosa coincide con il periodo di massima formazione di matrice ossea, tra i 16 e i 22 anni, e un apporto inadeguato di substrati necessari a questa funzione fisiologica compromette pesantemente la salute dell’osso negli anni successivi. Inoltre, le alterazioni ossee insorgono precocemente rispetto al marcato dimagramento [28].

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34 RELAZIONE TERAPEUTICA CON IL PAZIENTE AFFETTO DA DISTURBO DEL

COMPORTAMENTO ALIMENTARE

1. Dall’ambivalenza alla decisione. Il processo motivazionale

Il paziente che chiede aiuto si trova, in genere, in uno stato di ambivalenza, ed è la gestione di quest’ambivalenza da parte dell’operatore sanitario che inciderà sul grado di resistenza o di disponibilità al cambiamento del paziente. Se il paziente non riceve un aiuto specifico per risolvere il conflitto “vorrei.. e non vorrei”, difficilmente aderirà ad un trattamento o il processo sarà lento ed i risultati di breve durata.

Prochaska e DiClemente [29] hanno cercato di comprendere come e perché le persone cambiano ed hanno individuato una serie di fasi attraverso le quali l’individuo passa nel tentativo di risolvere i suoi problemi. Il cambiamento viene descritto come una ruota “dinamica” di cinque stadi (Figura 2): Precontemplazione, Contemplazione, Determinazione, Azione, Mantenimento.

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La rappresentazione del cambiamento attraverso una ruota indica che è possibile ripercorrere la ruota più volte prima di uscirne definitivamente. La ricaduta è così vista come un fatto normale, uno stadio del cambiamento. Questa prospettiva aiuta a non scoraggiarsi, a non vivere la ricaduta come un fallimento e ad andare avanti nel processo di cambiamento.

Fase 1. Precontemplazione

Questa fase è caratterizzata dall’assenza totale di consapevolezza dell’esistenza di un problema e quindi i pazienti non pensano di dover cambiare il loro comportamento ed è difficile che chiedano aiuto. Al colloquio con i terapeuti arrivano perché portati da altri e risultano riluttanti ed ostili.

Fase 2. Contemplazione

La persona inizia ad avere una parziale consapevolezza del problema ed il suo atteggiamento è caratterizzato dall’ambivalenza: da una parte prende in considerazione la possibilità del cambiamento, dall’altra lo rifiuta, ne è spaventata. Oscilla tra le ragioni per cambiare e quelle per mantenere la situazione stabile. Il ruolo dell’operatore è quello di lavorare sull’ambivalenza per far si che l’ago della bilancia si inclini a favore del cambiamento. Mettere il paziente davanti a vantaggi e svantaggi, sia del comportamento problematico che quelli relativi ad un cambiamento, potrebbe aiutare a metterlo di fronte ad una nuova realtà. La motivazione al cambiamento si verifica quando si inizia a percepire che i costi sono più alti dei benefici.

Fase 3. Determinazione

Il riconoscimento dell’ambivalenza, della discrepanza esistente fra quello che si è dentro e quello che si vorrebbe essere, sposta l’attenzione alla determinazione. Il

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paziente ha bisogno di essere aiutato a confermare e giustificare la scelta fatta in quanto ancora ambivalente ed insicuro.

Fase 4. Azione

Durante la fase di azione si mette concretamente in pratica i vari passi del programma concordato per modificare il suo comportamento, le esperienze, l’ambiente e supera così il problema. L’operatore aiuta l’altro a mettere in atto le strategie individuate come le più favorevoli al conseguimento dell’obiettivo. Per il paziente è utile ricevere feedback rispetto alle azioni che mette in atto.

Fase 5. Mantenimento

Iniziare un cambiamento non garantisce che verrà mantenuto. La possibilità di una ricaduta è sempre presente sia nella fase di azione che in quella di mantenimento. Una ricaduta si può verificare per un impulso o una tentazione particolarmente forte, per un volersi mettere alla prova o per un impegno vissuto come troppo pesante. Quando questo accade la persona vive questo come un fallimento, come conseguenza della sua incapacità e si scoraggia. L’operatore deve evitare lo scoraggiamento ed aiutare l’altro a continuare a muoversi verso la stabilizzazione del cambiamento.

2.Il processo della riabilitazione nutrizionale nei disturbi del comportamento alimentare

Tutte le volte in cui l’operatore lavora sul cibo con il paziente, scatena un’ondata di pensieri disfunzionali, paure irrazionali, pregiudizi o superstizioni che rischiano di paralizzare ogni possibilità d’intervento.

Il modello di Fairburn [30] con la terapia cognitivo comportamentale (CBT) nel trattamento della Bulimia Nervosa è applicabile a livello ambulatoriale o in regime

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di Day Hospital, oppure può essere usato in gruppi di Supporto Reciproco Guidato o in gruppi psicoeducazionali organizzati in ambiente ospedaliero [31,32] discusso dal dietista con il paziente nel periodo successivo all’assistenza ai pasti. In questo modello il paziente deve concordare con questa modalità di intervento in cui svolge un ruolo attivo e deve esserci una buona relazione terapeutica tra operatore e utente. La terapia cognitivo comportamentale si è rivelata la più adatta anche per la cura dell’Anoressia Nervosa, poiché affronta i principali comportamenti (come il sottopeso, la restrizione alimentare, gli episodi bulimici, l’eccessivo esercizio fisico) e processi cognitivi (come un’eccessiva valutazione del peso e della forma del corpo) che caratterizzano i Disturbi dell’Alimentazione. La terapia cognitivo comportamentale, inoltre, può essere utilizzata per la prevenzione delle ricadute e per trattare eventuali sintomi ansiosi e depressivi. La prima fase del trattamento consiste di otto incontri a cadenza settimanale, i cui obiettivi sono quelli di stabilire una buona relazione terapeutica, educare il paziente agli aspetti che contribuiscono al mantenimento della Bulimia Nervosa e sulle modificazioni cognitivo comportamentali che è necessario mettere in atto per interrompere il disturbo, informare il paziente sulla regolazione del peso corporeo, i danni della dieta e le conseguenze fisiche delle abbuffate, del vomito autoindotto e dell’abuso di lassativi e infine ridurre il numero delle abbuffate.

In questa fase è estremamente importante l’introduzione dell’automonitoraggio del comportamento alimentare tramite il Diario Alimentare (Figura 3) in cui il paziente trascrive giornalmente alcuni parametri come gli orari dei pasti e la loro composizione, pensieri, emozioni, livello dell’ansia che suscita il pasto. In seguito, durante l’incontro ambulatoriale il paziente osserva, legge e fornisce interpretazioni in merito a quanto ha annotato. Al termine dell’incontro il paziente dovrà definire una proposta di cambiamento. L’attenzione del paziente non è rivolta al colloquio con l’operatore come punto centrale della terapia, ma la sua

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attenzione è spostata verso la sperimentazione, il cambiamento e l’incontro con l’operatore è un momento di verifica dei risultati [33].

Figura 3. Le diverse fasi del Diario Alimentare

Nella seconda fase vengono consolidate tutte le acquisizioni della fase precedente ed utilizzate tecniche per la riduzione della restrizione dietetica.

Nella terza fase l’attenzione è rivolta alla prevenzione delle ricadute allo scopo di mantenere nel tempo i cambiamenti posti in atto durante il trattamento.

L’approccio psicobiologico di John Blundell valuta contemporaneamente l’insieme di fattori che influenzano l’espressione dell’appetito ed il controllo del peso corporeo.

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I nostri processi biologici esercitano una forte difesa nei confronti della sottoalimentazione allo scopo di proteggere l’organismo da deficit nutrizionali, per questo è più facile aumentare che perdere peso. Le difese biologiche nei confronti del consumo alimentare in eccesso, risultano deboli ed inadeguate.

Tra le risposte biologiche generate dall’ingestione di cibo troviamo: la stimolazione afferente orale, la distensione dello stomaco, lo svuotamento gastrico, la liberazione di ormoni come la colecistochinina e l’insulina, lo stimolo alla produzione di enzimi digestivi ed il profilo plasmatico del glucosio, degli aminoacidi e degli altri metaboliti. Distinguiamo, inoltre, il fenomeno di saziamento con quello di sazietà. Il primo è un insieme di processi che portano a termine un episodio alimentare e definisce la dimensione dei pasti; la sazietà rappresenta la conseguenza dell’ingestione di cibo e si riferisce all’inibizione della fame e del pasto successivo.

Un aspetto fondamentale per determinare il ruolo della composizione nutrizionale degli alimenti sull’appetito è il bilancio relativo tra i segnali della sazietà pre-assorbitivi e post-pre-assorbitivi. Il potere saziante degli alimenti [34] indica come il cibo si differenzi in base alla sua capacità di inibire il consumo alimentare e sopprimere la fame; possiamo infatti considerare il cibo come l’agente anoressizzante per eccellenza [35]. L’azione maggiore è esercitata dalle proteine [36,37], seguono i carboidrati e infine i grassi [38].

I carboidrati generano dei segnali post-assorbitivi forti ma di breve durata che possono essere riflessi dai profili glicemici plasmatici. La rapida digestione dei carboidrati indica che la fase post-assorbitiva della sazietà avviene in tempi brevi dopo l’ingestione. A causa della ridotta densità energetica di numerosi alimenti contenenti carboidrati, è probabile che una dieta ad elevato contenuto di carboidrati generi un elevato saziamento ed una sazietà relativamente elevata. Quando le proteine vengono consumate sotto forma di alimenti a composizione

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mista, quelli a più elevato contenuto proteico esercitano una maggiore sazietà [39].

Per quanto riguarda i grassi, invece, l’infusione intestinale di determinati oli inibisce la fame e l’introduzione di cibo e ciò dipende dal rilascio della colecistochinina. Le infusioni di olio rallentano inoltre lo svuotamento dello stomaco e tale effetto può prolungare o intensificare la sazietà. Questi effetti fisiologici possono essere alla base della sensazione di pienezza.

Questi eventi determinano il fenomeno noto come “paradosso dei grassi”: da una parte abbiamo l’elevata sazietà pre-assorbitiva ed il senso di pienezza, dall’altra il rilievo di un consumo in eccesso, a breve e medio termine, di alimenti ad elevato contenuto di lipidi [40] che hanno un’estrema palatabilità e densità calorica.

L’approccio psicobiologico nel processo della riabilitazione nutrizionale trova la tua espressione nel modello Didasco in cui si offre al paziente una concettualizzazione del controllo dell’appetito di tipo psicobiologico che permette l’applicazione degli orientamenti cognitivo comportamentali nell’ambito della psicoterapia e nell’ambito della riabilitazione nutrizionale. Il controllo dell’introito alimentare e il peso corporeo sono il prodotto finale di una complessa sequenza di eventi. Le restrizioni alimentari, le abbuffate, il vomito autoindotto e le altre misure adottate per il contenimento del peso, portano ad un’introduzione caotica di nutrienti che determina l’innescarsi anomalo di risposte fisiologiche. Si ha quindi una grave disorganizzazione dei processi che mediano la cascata della sazietà, con desincronizzazione tra comportamento e fisiologia, e processi fisiologici ed attività neurotrasmettitoriale.

L’obiettivo di questo modello è quello di affrontare nell’ambito di un processo educazionale cognitivo comportamentale, il comportamento alimentare del paziente attraverso la riorganizzazione di questo sistema, desincronizzato dalla restrizione e disinibizione alimentare. La comprensione delle complesse interazioni

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tra i diversi livelli di organizzazione consente una reale comprensione degli incrementi ponderali, delle oscillazioni di peso e delle abbuffate alimentari.

I dati relativi all’impiego dell’approccio psicobiologico nella riabilitazione nutrizionale di soggetti affetti da Anoressia Nervosa con abbuffate/condotte di eliminazione, ha permesso di verificare come rispetto ad un gruppo di controllo trattato con riabilitazione nutrizionale tradizionale, esse riducessero sensibilmente le abbuffate alimentari ed i comportamenti associati di contenimento del peso. L’introito di carboidrati e lipidi risultava, inoltre, significativamente maggiore rispetto a quello dell’altro gruppo [41].

La prima ipotesi formulata da Blundell fu che accanto ad un modello alimentare prevalentemente determinato dalla regolazione biologica, compare l’adattamento ambientale come aspetto d’interazione. Modificando questo schema poi, però, Blundell afferma che l’adattamento ambientale riveste un ruolo molto più centrale. Nel determinare il nostro modello alimentare, quindi, l’impatto della regolazione biologica e della regolazione ambientale rivestono un ruolo prioritario. Con il modello di Blundell il paziente comprende rapidamente come il riappropriarsi del contatto con i propri segnali biologici, rappresenti un punto centrale per l’uscita dal caos o dalla restrizione alimentare. Il cibo diventa il mezzo per realizzare i propri obiettivi in condizioni di benessere psicofisico.

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42 EVIDENZE IN NUTRIZIONE CLINICA APPLICATA AI DISTURBI ALIMENTARI

1. La prevenzione

Secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità “la prevenzione delle malattie comprende le misure per prevenire l'insorgenza della malattia come, ad esempio, la riduzione del fattore di rischio e i metodi per fermarne l'evoluzione riducendo le conseguenze una volta insorta la malattia”.

Le prevenzione si distingue in: prevenzione primaria, che consiste nell'evitare l'insorgenza di una malattia e se ne misura l’efficacia tramite la riduzione dell’insorgenza di malattie. La prevenzione secondaria e quella terziaria sono volte ad arrestare o ritardare una patologia in atto e i suoi effetti attraverso la diagnosi precoce e una terapia adeguata, oppure a ridurre le recidive e rallentare l'evoluzione verso la cronicità, grazie a una riabilitazione efficace.

Le popolazioni bersaglio della prevenzione primaria possono essere distinti in base al tipo d’intervento:

- Universali: rivolti a vaste popolazioni esenti da sintomi;

- Selettivi: diretti ai gruppi particolari che si ritiene presentino un rischio superiore rispetto alla media della popolazione;

- Mirati/target: indirizzati a singoli individui con sintomi premonitori.

In numerosi paesi occidentali hanno avuto ampia diffusione programmi di prevenzione scolastica dei Disturbi Alimentari ed è quindi oggi disponibile un ampio bagaglio sui loro limiti e la loro efficacia.

I programmi di prima generazione hanno agito con un approccio didattico, fornendo informazioni sulla nutrizione, sull’immagine corporea, sul Disturbo dell’Alimentazione e sui loro effetti dannosi. In questo modo si è verificato un aumento delle conoscenze ma non una modificazione degli atteggiamenti disfunzionali e dei comportamenti non salutari.

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