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Validazione di una nuova applicazione per iPad (“Index test”) volta a valutare l’abilità di finger pointing in soggetti sani compresi nella fascia d’età 20-59 anni

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Corso di laurea in Fisioterapia

Lavoro di Tesi (Bachelor Thesis) Erica Renzoni

Validazione di una nuova applicazione per iPad

(“Index test”) volta a valutare l’abilità di

finger pointing in soggetti sani compresi nella fascia

d’età 20-59 anni

Direttore di tesi: Luca Cesana

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I

L’autrice è l’unica responsabile dei contenuti di questo lavoro Erica Renzoni

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III

ABSTRACT

BACKGROUND: la coordinazione motoria dell’arto superiore è analizzata di routine in

ambito neurologico. Per il fisioterapista la misurazione degli outcome attraverso strumenti scientificamente validati rappresenta un mezzo indispensabile per superare una modalità di valutazione clinica puramente soggettiva e dirigersi piuttosto verso procedure oggettivabili. La scelta di utilizzare strumenti specifici ed efficaci deve basarsi però non al caso ma su un’attenta analisi delle loro caratteristiche.

OBIETTIVI: l’intento di questo studio è valutare l’applicabilità in ambito clinico di un nuovo

test in formato digitale (“Index Test”) volto a misurare le abilità coordinative dell’arto superiore in attività di finger pointing.

METODOLOGIA: il design è un progetto di ricerca cui hanno partecipato 160 soggetti

sani di nazionalità Svizzera suddivisi secondo i due sessi in 4 fasce d’età (20 – 29, 30 – 39, 40 – 49, 50 – 59). I partecipanti, durante una sessione di raccolta dati della durata di circa 15 minuti, sono stati sottoposti all’Index Test oltre che ad altri tre test (Nine-Hole Pegboard Test, Composite Cerebellar Functional Severity Score, Finger Tapping Test) già indicati dalla letteratura scientifica come validi ed affidabili nel valutare la coordinazione e la destrezza dell’arto superiore. A 31 soggetti è stato inoltre chiesto di eseguire una seconda prova dell’Index Test a distanza di una settimana, non eseguendo in questo periodo di tempo attività per migliorare la coordinazione. I risultati ottenuti sono stati registrati in una matrice Excel e comparati tra loro al fine di ricavare sia i dati normativi nella popolazione target che valutare le proprietà psicometriche del test.

RISULTATI: nell’analisi delle variabili il valore del p-value associato al Test t di Student

mostra in generale un’associazione non definita fra genere e risultato, ad eccezione della precisione ottenuta con l’arto non dominante (p < 0.05), nel quale le donne mostrano risultati generalmente migliori. Le variabili età ed istruzione invece non sembrerebbero avere influenza sulla velocità e precisione (r < 0.7) nei risultati dell’Index Test. I risultati del test eseguito con l’arto dominante mostrano una velocità comparabile a quelli ottenuti con l’arto non dominante (p > 0.05) ma una precisione generalmente migliore (p < 0.001). Le differenze intermanuali sembrerebbero inoltre essere maggiori nei destrimani rispetto ai mancini. Per quanto riguarda i requisiti psicometrici, i risultati della correlazione fra test e test-retest mostrano una stabilità nel tempo dei risultati medio-alta ma non sempre superiore alla soglia di significatività posta a r = 0.7. Il valore del p-value ottenuto dall’analisi del Test t di Student suggerisce però che le differenze osservate fra le medie del test e del test-retest siano dovute probabilmente al caso (p > 0.05). L’Index Test mostra infine una correlazione fra bassa e molto bassa con i risultati dei test scelti per valutare la validità concorrente (Composite Cerebellar Functional Severity Score, Nine-Hole Pegboard Test, Finger Tapping Test).

CONCLUSIONI: questo progetto ha fornito delle basi da cui partire per sviluppare ulteriori

ricerche riguardo la possibilità d’inserire l’Index Test nel contesto clinico come test atto a valutare la coordinazione motoria dell’arto superiore in attività di finger pointing.

I risultati dello studio purtroppo, a causa dei diversi limiti descritti nel testo, non permettono di esprimersi con certezza rispetto alla possibilità di inserire questo test nel contesto clinico riabilitativo. Emergono però alcune caratteristiche interessanti e statisticamente significative che giustificano lo svolgersi di altri studi che permettano di analizzarne i requisiti in maniera più accurata, risolvendo i bias presenti nella mia ricerca.

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V

Ringrazio in primo luogo le persone che hanno deciso di dedicarmi il loro tempo partecipando alla ricerca poiché senza di loro nulla di questo progetto sarebbe esistito. Un grazie va a tutti i docenti che mi hanno accompagnato in questo percorso, in particolar modo al mio relatore Luca Cesana. Un ulteriore ringraziamento va a Sara Della Bella,

per avermi guidato nell’analisi dei dati.

Dedico questo lavoro alle persone che amo, Al mio fidanzato, per avermi supportato (e soprattutto sopportato)

durante i momenti di difficoltà, perché in lui trovo sempre un rifugio sicuro. A Veronica, che da sempre conosce il Trucco per farmi sorridere. Alla mia famiglia perché, nonostante sia lontana, a lei devo ciò che sono a coloro che mi osservano e proteggono dall’alto, alla forza di mia nonna, alla grinta di mia sorella e alla testardaggine di mio fratello alla determinazione della mia mamma e alla pazienza del mio papà,

A tutti loro, per aver sempre creduto in me ed avermi insegnato a non arrendermi mai.

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VII

Sommario

Capitolo 1: Introduzione ... 1

1.1 Motivazione personale nella scelta del tema ... 1

1.2 Obiettivi del lavoro di Bachelor ... 1

Capitolo 2: Metodologia di ricerca ... 2

2.1 Modalità di ricerca del contesto teorico ... 3

2.1.2 Banche dati ... 3

2.1.2 Keywords ... 3

Capitolo 3: Quadro teorico e contesto di ricerca ... 4

3.1 Vicino e lontano: in che modo il cervello codifica lo spazio ... 4

3.2 La coordinazione ed il movimento diretto verso l’obiettivo ... 5

3.1.1 Finger pointing ... 6

3.2.1 Coordinazione motoria e atassia ... 7

3.3 Test di valutazione ... 7

3.3.1 Nine Hole Pegboard Test ... 8

3.3.2 Finger Tapping test ... 9

3.3.3 Composite Cerebellar Functional Severity Score (CCFS) ... 9

3.4 EBP e requisiti psicometrici ... 9

3.4.1 Responsività ... 11

3.4.2 Affidabilità ... 11

3.4.3 Validità ... 12

Capitolo 4: Materiali e metodi ... 13

4.1 Popolazione e campionamento ... 13

4.2 Analisi dei bias e modalità di randomizzazione... 13

4.3 Descrizione del test ... 14

4.3.1 Strumenti e supporti utilizzati... 15

4.3.2 Item, procedura ed istruzione ... 17

4.4 Analisi statistica ... 21

4.4.1 Statistica descrittiva e dati normativi... 21

4.1.1 Analisi dei requisiti psicometrici ... 23

4.6 Principi etici e consenso informato ... 23

Capitolo 5: Risultati ... 24

5.1 Dati normativi ... 24

5.1 Analisi della distribuzione dei valori ... 30

5.1.6 Confronto tra test ... 31

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VIII

5.1.3 Analisi delle variabili ... 33

5.2 Requisiti psicometrici ... 38

5.2.2 Stabilità nel tempo... 38

5.2.3 Validità concorrente ... 39

Capitolo 6: Discussione ... 41

6.1 Interpretazione dei risultati ottenuti ... 41

6.1.1 Analisi della distribuzione dei valori ... 41

6.1.2 Confronto tra variabili: genere e risultati del test ... 43

6.1.3 Confronto tra variabili: età e risultati del test ... 44

6.1.3 Confronto tra variabili: istruzione e risultati del test ... 44

6.1.3 Confronto tra variabili: dominanza manuale e risultati del test ... 45

6.1.4 Analisi dei requisiti psicometrici: riproducibilità ... 45

6.1.5 Analisi dei requisiti psicometrici: validità concorrente ... 46

6.2 Limiti della ricerca e rilevanza clinica ... 47

Capitolo 7: Conclusioni ... 48

7.1 Possibili sviluppi futuri ... 48

7.2 Valutazione del percorso personale di ricerca ... 50

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IX INDICE DELLE TABELLE DEI RISULTATI

Tabella 1 (A-B-C): risultati Index Test popolazione maschile, mano dominante………25

Tabella 2 (A-B-C): risultati Index Test popolazione maschile, mano non dominante………26

Tabella 3 (A-B-C): risultati Index Test popolazione femminile, mano dominante………..27

Tabella 4 (A-B-C): risultati Index Test popolazione femminile, mano non dominante………..28

Tabella 5 (A-B-C): risultati totali dei test eseguiti 10 e 25 volte dell’Index Test……….29

Tabella 6 (A-B): valori di “curtosi” e “asimmetria”………...30

Tabella 7 (A-B-C-D): relazione fra i risultati ottenuti eseguendo lo stesso item 10 o 25 volte………31

Tabella 8 (A-B-C-D): differenze di risultato eseguendo gli item 10 e 25 volte………...32

Tabella 9 (A-B): relazione fra la velocità di esecuzione del singolo tocco e la precisione………...32

Tabella 10 (A-B-C-D): differenza di risultato fra uomini e donne del campione………33 - 34 Tabella 11 (A-B-C-D): relazione fra l’età e i risultati ottenuti nell'Index Test………..35

Tabella 12 (A-B-C-D): relazione fra l’istruzione e i risultati ottenuti nell'Index Test………..35 - 36 Tabella 13 (A-B): differenze di risultato per dominanza manuale………36

Tabella 14 (A-B-C-D): differenze intermanuali fra destrimani e mancini………37

Tabella 15 (A-B-C-D): correlazione fra i risultati di test e test-retest………..38

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X

ALLEGATI ... 57

Allegato 1: autorizzazione al trattamento dei dati personali ... 57

Allegato 2: consenso informato alla ricerca ... 59

Allegato 3: randomizzazione nella proposta dei Test e degli Item ... 62

Randomizzazione dell’ordina di proposta dei test ... 62

Randomizzazione degli item dell’Index Test (arto superiore destro) ... 63

Randomizzazione degli item dell’Index Test (arto superiore sinistro) ... 67

Allegato 4: abbreviazioni utilizzate nelle tabelle e nei grafici ... 71

Allegato 5: sintesi dei risultati ottenuti dal campione negli item dell’Index Test ... 72

medie di tempo per singolo tocco ottenute nell’Index Test dal campione maschile, arto dominante ... 72

medie di tempo per singolo tocco ottenute nell’Index Test dal campione femminile, arto dominante ... 74

medie di tempo per singolo tocco ottenute nell’Index Test dal campione maschile, arto non dominante ... 76

medie di tempo per singolo tocco ottenute nell’Index Test dal campione femminile, arto non dominante ... 78

medie di tempo totale ottenute nell’Index Test dal campione maschile, arto dominante ... 80

medie di tempo totale ottenute nell’Index Test dal campione femminile, arto dominante ... 82

medie di tempo totale ottenute nell’Index Test dal campione maschile, arto non dominante ... 84

medie di tempo totale ottenute nell’Index Test dal campione femminile, arto non dominante... 86

Allegato 6: analisi della normalità di distribuzione dei valori (Index Test) ... 96

Allegato 7: analisi della correlazione fra gli item 10 e 25 dell’Index Test ... 104

Allegato 8: relazione fra velocità e precisione nell’Index Test ... 106

Allegato 9: analisi dei requisiti psicometrici ... 110

Stabilità nel tempo: risultati del test-retest, tempo per singolo tocco con arto dominante ... 110

Stabilità nel tempo: risultati del test-retest, tempo per singolo tocco con arto non dominante ... 111

Stabilità nel tempo: risultati del test-retest, tempo totale con arto dominante ... 112

Stabilità nel tempo: risultati del test-retest, tempo totale con arto non dominante... 113

Stabilità nel tempo: risultati del test-retest, precisione con arto dominante ... 114

Stabilità nel tempo: risultati del test-retest, precisione con arto non dominante ... 115

Validità concorrente: risultati ottenuti negli ulteriori test somministrati (NHPT, NHPTm, CT, CCFS, FTT)... 116

Validità concorrente: analisi della normalità di distribuzione ... 117

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XI

GLOSSARIO

» NHPT: Nine-Hole Pegboard Test

» NHPTm: Nine-Hole Pegboard Test modificato » FTT: Finger Tapping Test

» CCFS : Composite Cerebellar Functional Severity score » CT: Click Test

» ND: Non Dominante » D: Dominante

» cm: centimetri » s: secondi

» SARA: Scale for the Assessment and Rating of Ataxia » PPS: Spazio Peri Personale

» PICO: P = popolazione; I = intervento; C = confronto; O = outcome

» All’interno dell’Index Test: o 1 = One Click 10 volte o 2 = Orario 10 volte o 3 = Antiorario 10 volte o 4 = Random 10 volte o 5 = One Click 25 volte o 6 = Orario 25 volte o 7 = Antiorario 25 volte o 8 = Random 25 volte

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Capitolo 1: Introduzione

1.1 Motivazione personale nella scelta del tema

Uno degli aspetti che da sempre mi affascina della professione fisioterapica è la possibilità di spaziare tra esperienze ed ambiti estremamente diversificati, mantenendo allo stesso tempo un’unica identità professionale. Agli inizi del percorso il mio interesse principale era orientato verso il campo della ricerca, cui mi sento tutt’oggi profondamente legata. Nel corso della formazione ho poi avuto modo, attraverso le lezioni teoriche e gli stage pratici, di osservare, conoscere e approfondire numerosi altri contesti in cui il fisioterapista è chiamato ad agire. Fra gli altri, quello che mi ha colpito maggiormente è stato l’ambito neurologico: comprendere come i meccanismi del sistema nervoso centrale, per loro natura nascosti allo sguardo esterno, possano declinarsi in qualcosa di così fenomenologico come la percezione, l’azione ed il comportamento e le modalità con cui il terapista può, agendo indirettamente, influenzare i processi centrali mi ha da subito conquistata.

Attraverso la partecipazione a questo progetto di ricerca sono riuscita a coniugare entrambe le mie passioni, avendo inoltre la possibilità di essere coinvolta in prima persona in uno progetto pilota che, mediante la raccolta dati, ha lo scopo di valutare l’applicabilità clinica di un nuovo strumento di valutazione. Poter disporre di misure valide di analisi clinica è un requisito indispensabile per la figura del fisioterapista, non solo nel trattare pazienti con deficit neurologici ma in rapporto a qualsiasi tipo di patologia. Attraverso test clinici affidabili infatti è possibile da un lato determinare il grado di deficit specifico del paziente e dall’altro documentarne il decorso, in modo da valutare se gli interventi messi in atto siano davvero efficaci nel ridurre il sintomo o se, invece, sia opportuno modificare il proprio approccio. Senza questo aspetto l’analisi fisioterapica non potrebbe basarsi su fondamenti oggettivi ma sarebbe riferita solamente alla valutazione soggettiva del singolo operatore. Gli strumenti di misura però, prima di poter essere applicati sul paziente, devono seguire un preciso iter volto a valutarne le caratteristiche, per fare in modo che possano essere utilizzati in maniera rigorosa e garantire quindi che i risultati analizzino realmente ciò per cui sono stati ideati. In caso contrario, un loro uso non avrebbe alcun significato in termini clinici.

Trovo dunque sia estremamente arricchente portare a compimento un progetto simile poiché il mio lavoro produrrà un risultato concreto, utile non solo a me ma anche ad altri professionisti del settore, aprendo la strada a ricerche future.

1.2 Obiettivi del lavoro di Bachelor

Gli obiettivi del lavoro di Tesi sono nati dalla formulazione del quesito di ricerca, ossia: “l’Index Test può essere utilizzato come test clinico per valutare le abilità coordinative in

attività di finger pointing in un gruppo di Svizzeri sani aventi tra i 20 e 59 anni?”. P Uomini e donne sani di nazionalità Svizzera con età compresa fra i 20 ed i 59 anni

I Applicazione per dispositivi Apple “Index Test” C - Nine-Hole Pegboard Test - Composite Cerebellar Functional Severity Score

- Finger Tapping Test

O

Stabilire una procedura standardizzata circa la somministrazione dell’Index Test, determinarne i valori normativi nella popolazione d’interesse e valutare i requisiti psicometrici che permetterebbero al test di essere applicato nella clinica per valutare le capacità coordinative in attività di finger pointing.

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2

Analizzando questo tema vengono alla luce differenti obiettivi, appartenenti ad ambiti diversi, che spero di raggiungere attraverso questo lavoro di Bachelor.

In primo luogo, si possono identificare quali obiettivi a carattere puramente scientifico: • Analizzare la letteratura inerente alle abilità coordinative volte al puntamento e

raggiungimento di oggetti nello spazio, in modo da comprendere gli elementi costitutivi di tale azione motoria;

• Ricercare ed esaminare alcuni tra i più importanti test considerati dalla letteratura attuale come clinicamente utili nel valutare quantitativamente le abilità coordinative dell’arto superiore;

• Comprendere l’importanza in ambito terapeutico di disporre di strumenti di misura clinicamente validi;

• Ricercare le proprietà di cui un test deve essere dotato perché possa considerarsi uno strumento di misura clinicamente significativo.

Oltre agli obiettivi a carattere scientifico sono identificabili diversi obiettivi di natura metodologica, ovvero inerenti ai metodi utilizzati per l’evoluzione del lavoro di ricerca: • Selezionare e raccogliere un campione della popolazione cui somministrare il test; • Determinare i valori normativi dell’Index Test nella popolazione d’interesse;

• Valutare l’applicabilità in ambito clinico dell’Index Test attraverso l’analisi dei suoi requisiti psicometrici.

In ultimo, il principale obiettivo a carattere personale è quello di riuscire a vestire i panni del ricercatore e confrontarmi nella pratica con l’EBP in ambito fisioterapico.

Capitolo 2: Metodologia di ricerca

Al fine di raggiungere gli obiettivi individuati, ho deciso di perseguire il progetto mediante un approccio metodologico deduttivo-induttivo, ossia partendo dall’analisi della letteratura scientifica inerente al tema e, in seguito, attuando un’indagine empirica sul territorio. I risultati sono stati poi studiati mediante un metodo quantitativo, ossia basandosi sulla raccolta e l’analisi dei dati statistici col fine di trarne valori oggettivi che si riflettano nella popolazione d’interesse.

Per raggiungere tale proposito il lavoro si è articolato in due momenti distinti: • In prima istanza, ho dedicato del tempo

all’analisi della letteratura scientifica allo scopo di esaminare da un lato cosa fosse riportato riguardo la validazione dei test clinici e la determinazione di valori normativi e, dall’altro, per ricercare nozioni rispetto la coordinazione dell’arto superiore e la sua attuale valutazione nella pratica professionale. Tutto ciò aveva come obiettivo ultimo guidare e tracciare il percorso successivo sulla base di studi clinici precedentemente condotti inerenti alla tematica in questione; • Una volta analizzata la letteratura

scientifica ho iniziato la ricerca sul

campo vera e propria, attraverso la selezione e l’analisi di un campione target della popolazione.

Figura 1: rappresentazione grafica delle fasi messe in atto per

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3

2.1 Modalità di ricerca del contesto teorico

Per prima cosa è stato necessario suddividere il quesito di ricerca in diversi sotto-obiettivi, in modo da muovere e orientare la ricerca nel corretto quadro teorico. Ho deciso dunque quali argomenti fosse effettivamente necessario approfondire al fine di giungere all’obiettivo ultimo, ossia l’analisi quantitativa dei dati, definendo 3 sezioni:

1) Ricercare brevemente cosa s’intenda col termine “coordinazione” e “attività di finger

pointing”, quali elementi sottendano queste abilità e in che modo l’individuo riesca a

metterli in pratica nel quotidiano;

2) Visto che, come sottolineato in diversi punti, lo scopo ultimo della Tesi è quello di valutare l’applicazione dell’Index Test nella clinica, è di mio interesse comprendere cosa sia indicato in letteratura come indispensabile nel processo di validazione di uno strumento di misura, ossia ricercare i principali requisiti psicometrici e apprendere come questi possano essere valutati;

3) Ricercare quali principali test diagnostici già esistano in letteratura per valutare la coordinazione dell’arto superiore e come questi siano stati effettivamente validati. Data la vastità di questo argomento, con la supervisione del mio relatore ho deciso di concentrarmi principalmente su 3 test: Nine-Hole Pegboard Test, Composite Cerebellar Functional Severity score e Finger Tapping Test. Gli articoli scientifici trovati riguardo il loro iter di validazione, inoltre, sono stati utili anche per comprendere come organizzare nella maniera più funzionale possibile il progetto teorico-pratico.

2.1.2 Banche dati

La ricerca degli articoli utilizzati per la redazione dell’elaborato è stata eseguita affidandosi principalmente alle seguenti banche dati:

• PubMed

• Google Scholar • Up to Date

• The Oxford Dictionary of Sports Science and Medicine

Sono inoltre stati consultati diversi libri specialistici sul tema citati in bibliografia.

2.1.2 Keywords

Le parole chiave utilizzate per la ricerca bibliografica nelle Banche Dati degli articoli inerenti alla domanda di Tesi sono le seguenti:

OBIETTIVO 1 OBIETTIVO 2 OBIETTIVO 3

- Peripersonal space - Finger pointing coordination - Motor coordination - Upper limb coordination - Psychometric properties - Validity test - Reliability test - Clinical Utility

- Normative Data Analysis

- Finger Tapping Test (AND normative data) - Finger to Nose Test - Nine-Hole Pegboard Test

(AND normative data) - Composite Cerebellar

Functional Severity Score (AND normative data) - Upper limb coordination

Test

Principali criteri di esclusione: ricerche condotte su bambini o anziani, ricerche non messe

in atto su umani, articoli anteriori al 2000, scarso numero di citazioni (inferiori alle 20), articoli pubblicati su giornali non-peer review.

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4

Capitolo 3: Quadro teorico e contesto di ricerca

L’Index Test si svolge all’interno di quello che viene classicamente definito come “spazio

peripersonale” o PPS, ossia quella regione di spazio all’interno del range di prensione del

braccio in cui risulti possibile raggiungere e manipolare gli oggetti (Rizzolatti, Scandolara, Matelli, & Gentilucci, 1981). Questa definizione, pur non essendo concettualmente del tutto scorretta, è funzionalmente semplicistica: le ricerche attuali infatti hanno ampliato il concetto di PPS, inserendo al suo interno numerose variabili che vanno oltre la sola vicinanza/lontananza dagli oggetti. Nella prima parte del capitolo dunque mi occuperò di spiegare in che modo il cervello rappresenti lo spazio circostante al corpo, riportando brevemente le attuali evidenze a riguardo. Questo incipit credo sia importante anche per definire la modalità con cui il gesto motorio risulti coordinato al fine di raggiungere un determinato punto nello spazio. Nel quotidiano infatti siamo costantemente immersi in un contesto dinamico e la relazione con gli oggetti e l’ambiente circostante dipendono anche dalle modalità con cui lo spazio viene percepito e rappresentato.

Definire cosa s’intenda precisamente con “coordinazione” e “attività di finger pointing”, inoltre, è interessante in quanto il fine ultimo dell’Index Test è, per l’appunto, capire se possa o meno essere considerato un test atto a valutare la coordinazione motoria dell’arto superiore. In quest’ottica è chiara l’importanza di comprendere quali siano le caratteristiche e gli aspetti costitutivi che compongono tali abilità.

Legato a questo aspetto, mi occuperò quindi di analizzare i test clinici che la letteratura identifica come validi nel valutare gli aspetti coordinativi dell’arto superiore e le loro modalità di esecuzione.

In ultima analisi, la parte conclusiva del capitolo sarà dedicata alla spiegazione di cosa sia l’EBP in fisioterapia, la sua importanza nella clinica e le modalità con cui si può determinare la qualità degli strumenti di misura.

3.1 Vicino e lontano: in che modo il cervello codifica lo spazio

Per riuscire ad afferrare un oggetto nello spazio dobbiamo prima di tutto raggiungerlo e, per fare ciò, abbiamo bisogno di localizzarlo (Rizzolatti & Sinigaglia, 2006). Nel dirigere il braccio verso l’obiettivo il cervello compie una serie di processi che vanno dalla codifica delle relazioni spaziali tra l’arto e l’oggetto alla trasformazione di tali informazioni in precisi comandi motori. Ciò è possibile grazie a circuiti neurali tra il lobo parietale posteriore e la corteccia frontale: in particolare, connessioni tra l’area intra parietale ventrale VIP e l’area premotoria F4 svolgono un ruolo cruciale nelle trasformazioni visuomotorie per movimenti di raggiungimento (di Pellegrino & Làdavas, 2015; Rizzolatti & Sinigaglia, 2006). I neuroni bimodali localizzati in F4 (in grado cioè di produrre una scarica sia con informazioni visive che somatosensoriali) codificano la posizione di uno stimolo in termini di “possibilità d’azione”, ossia rispetto a potenziali atti motori (Rizzolatti & Sinigaglia, 2006).

Diverse informazioni dunque devono essere integrate e processate per consentirci il movimento finalizzato ma, allo stesso tempo, sembrerebbe che questi meccanismi ci permettano la descrizione stessa di “spazio”. In altre parole, lo spazio sembrerebbe non essere rappresentato in sé in una qualche area cerebrale ma dipenderebbe dall’organizzazione dei movimenti volti ad agire sull’ambiente circostante, in relazione alle possibilità ed alle finalità motorie (Rizzolatti & Sinigaglia, 2006).

Lo spazio dunque non sarebbe concettualizzato dal cervello come unitario ma ne esisterebbero varie rappresentazioni funzionali rapidamente modificabili, basate su segnali afferenti multimodali e centrate su differenti parti del corpo, in relazione allo scopo dell’azione motoria (di Pellegrino & Làdavas, 2015; Ferri et al., 2015).

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5

Una sintetica e approssimativa suddivisione è quella attuata tra spazio vicino (peripersonale) e lontano (extrapersonale).

Il termine peripersonale (PPS) fu introdotto per la prima volta da Rizzolatti per descrivere la rappresentazione dello spazio immediatamente intorno al corpo nel quale gli oggetti possano essere afferrati e manipolati, ossia entro lo spazio di raggiungimento del braccio (di Pellegrino & Làdavas, 2015; Rizzolatti et al., 1981).

Siccome molte risposte neuropsicologiche e comportamentali dipendono dalla prossimità degli stimoli al corpo, inizialmente il PPS è stato erroneamente descritto come una singola entità, avente confini nitidi e dipendente principalmente dalla prossimità dello stimolo (Bufacchi & Iannetti, 2018). Il fattore prossimità è stato rivestito di grande importanza perché si è assunto che la sua misura fosse in grado di descrivere al meglio la nozione di “spazio” ma in realtà, da una prospettiva funzionale, la vicinanza dello stimolo non è più importante rispetto altri fattori cui il PPS è sensibile, quali la dimensione degli oggetti, il movimento (in termini di velocità e direzione) e la loro valutazione semantica (Bufacchi & Iannetti, 2018). Tutto ciò suggerisce che, nonostante una caratteristica peculiare del PPS sia la sua variabilità inter e intra-individuale (Ferri et al., 2015), la sola prossimità dello stimolo non possa adeguatamente spiegarne i cambiamenti di dimensione (Bufacchi & Iannetti, 2018).

Lo schema corporeo (ossia una rappresentazione coerente e costantemente aggiornata delle proprietà spaziali del corpo (Hunley & Lourenco, 2018)) è sicuramente parte integrante del PPS, ne costruisce lo “scheletro” e permette di effettuare movimenti coordinati (Hunley & Lourenco, 2018). Anche se le dimensioni del corpo sembrerebbero avere un’influenza sulle dimensioni del PPS (arti superiori più lunghi corrisponderebbero ad una sua estensione) la piena rappresentazione del PPS non può essere definita solo mediante le dimensioni e la posizione delle braccia (Hunley & Lourenco, 2018).

Inoltre la transizione tra PPS e spazio extrapersonale non si verifica improvvisamente alla fine della portata del braccio ma in maniera graduale, andando anche oltre la distanza di raggiungimento (Bufacchi & Iannetti, 2018). Ciò porta a considerare il PPS non come una singola regione di spazio ma piuttosto come una serie di continui campi, i quali suggeriscono diverse azioni e risposte comportamentali allo scopo di creare/evitare il contatto tra gli oggetti e il corpo (Bufacchi & Iannetti, 2018). Ciò ovviamente non significa che il sistema nervoso non faccia differenze tra ciò che è vicino e ciò che è lontano ma implica che non esista un confine singolo e preciso tra la rappresentazione di eventi nelle regioni vicine e lontane (Bufacchi & Iannetti, 2018).

In conclusione, potremmo dire dunque che è la possibilità di agire sul mondo (e non tanto la distanza fisica con gli oggetti) a determinare la modalità con cui codifichiamo lo spazio e l’ambiente che ci circonda, al fine di raggiungere i nostri obiettivi.

3.2 La coordinazione ed il movimento diretto verso l’obiettivo

ll controllo motorio volontario implica generalmente sia la decisione dell’obiettivo dell’azione (“dove”) sia la selezione dei movimenti più adatti da mettere in atto per raggiungerlo (“come”); capire come questi due aspetti riescano a coordinarsi rappresenta una questione importante nelle neuroscienze (Berret, Bisio, Jacono, & Pozzo, 2014). La corretta funzione dell’arto superiore è indispensabile nella vita quotidiana, sia nelle attività che richiedono un controllo motorio fine sia in quelle che richiedono un controllo motorio grossolano (Shumway-Cook & Woollacott, 2011). Diversi fattori contribuiscono al controllo motorio del braccio: caratteristiche proprie dell’individuo come età, esperienza col compito o presenza/assenza di patologie, tipo di richiesta, ambiente in cui avviene l’azione motoria, incluse le proprietà degli oggetti con cui ci si relaziona (Shumway-Cook & Woollacott, 2011).

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Alla base agiscono inoltre specifici subsistemi neurali (coordinazione

occhio-testa-tronco-braccio, coordinazione dei processi sensoriali, visivi, vestibolari e somatosensoriali, rappresentazione interna, aspetti anticipatori, programma motorio) e muscolo scheletrici

(Shumway-Cook & Woollacott, 2011). Elementi chiave per riuscire a raggiungere e manipolare gli oggetti sono (Shumway-Cook & Woollacott, 2011):

• localizzare: coordinazione del movimento occhio-mano;

• raggiungere: trasportare il braccio e la mano nello spazio, mantenendo allo stesso tempo il controllo posturale;

• afferrare l'oggetto e saperlo rilasciare; • manipolare l’oggetto in mano.

Per il mio progetto assumono particolare rilievo i primi due aspetti, dato che l’azione motoria richiesta dall’Index Test prevede di raggiungere un punto nello spazio ma ciò non si traduce poi nell’afferrare o manipolare qualcosa.

3.1.1 Finger pointing

Negli esseri umani ad assumere particolare rilievo comunicativo non è solamente il linguaggio verbale ma anche l’espressione del linguaggio non verbale (Tomasello, Carpenter, & Liszkowski, 2007). Molti gesti utilizzati nel quotidiano vengono appresi socialmente, condivisi intersoggettivamente e possiedono convenzioni simboliche variabili a seconda della cultura, similmente al simbolismo linguistico. Tra gli altri, un gesto di particolare rilievo è il pointing il quale ha come funzione di base quella di “dirigere

l’attenzione di qualcuno su qualcosa per un determinato motivo” (Tomasello et al., 2007).

La dinamica del movimento del braccio varia molto a seconda dell'obiettivo dell’azione motoria (Shumway-Cook & Woollacott, 2011). Quando l’arto è usato per puntare un oggetto tutti i segmenti sono controllati come un’unica unità mentre, quando viene utilizzato per afferrare qualcosa, la mano sembra venir controllata indipendentemente dagli altri segmenti (Shumway-Cook & Woollacott, 2011). Ciò fa pensare che le due azioni sembrino simili ma che, in realtà, siano controllate da due aree separate del cervello (Shumway-Cook & Woollacott, 2011). Anche il profilo di velocità e durata del movimento di raggiungimento varia a seconda che al soggetto venga richiesto di afferrare un oggetto rispetto al toccare un punto con l’indice

(Shumway-Cook & Woollacott, 2011). Quando il raggiungimento rappresenta la fase preparatoria della prensione, l’accelerazione è più corta rispetto alla decelerazione; nel secondo caso invece la fase di accelerazione risulta più lunga rispetto a quella di decelerazione, ossia il soggetto colpisce il punto ad una velocità relativamente alta (Shumway-Cook & Woollacott, 2011). Comprendere questa differenza è importante sia per scegliere i test di valutazione più adatti (valutare l’abilità di pointing attraverso un

gesto che implichi la prensione non sarebbe adeguato poiché sono gesti aventi aspetti costitutivi differenti) sia per impostare, di conseguenza, il trattamento più adeguato.

I movimenti del braccio diretti ad un obiettivo inoltre sono tipicamente accompagnati da movimenti delle saccadi oculari, a rappresentare un’unione funzionale fra il sistema motorio e quello visivo (Gribble, Everling, Ford, & Mattar, 2002). Secondo numerose evidenze un’interazione coordinata della mano e dell’occhio si tradurrebbe in un miglior controllo coordinativo dell’estremità superiore (Shumway-Cook & Woollacott, 2011).

Figura 2: rappresentazione grafica del confronto tra

il profilo di velocità e durata del movimento di Grasping e Pointing. Ripresa da: “Motor Control,

Translating Research into Clinical Practice; Shumway-Cook & Woollacott, 2011”

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3.2.1 Coordinazione motoria e atassia

La coordinazione è definita come la capacità di integrare le azioni di diverse parti del corpo per produrre movimenti complessi in modo armonico, attivando nella corretta sequenza i gruppi muscolari interessati affinché raggiungano lo scopo prefissato in maniera precisa e tempestiva (Cambier, Masson, Dehen, & Masson, 2009; Kent, 2007a). È specifica per distretto corporeo (ad esempio coordinazione occhio-mano), non esiste cioè una coordinazione a tutto tondo (Kent, 2007a).

Il principale organo a permettere tale abilità è il cervelletto, il quale è in grado di esercitare un controllo estremamente preciso sull’attività motoria confrontando fra loro le informazioni in uscita dalla corteccia con le informazioni sensoriali, visive, propriocettive e vestibolari in entrata, che comunicano circa le effettive possibilità di movimento (Cambier et al., 2009). Per questo motivo i test che valutano la coordinazione vengono spesso definiti “test del cervelletto”, ma si tratta di un termine improprio (Gelb, 2012). Sebbene il cervelletto sia essenziale nella produzione di movimenti coordinati e numerosi risultati anormali nei test di coordinazione possano suggerire una malattia cerebellare, in questo processo sono coinvolti anche altri sistemi (Gelb, 2012). Le caratteristiche dell’atassia cerebellare possono infatti essere simulate da debolezza o deficit sensoriali (tattili, visivi, vestibolari) e la presenza di deficit propriocettivi può causare un peggioramento di un quadro atassico altrimenti subclinico (Todd & Shakkottai, 2018). Il cervelletto può essere suddiviso in 3 strutture differenti: la midline cerebellare (che include verme, nuclei del fastigio e interpositi, vestibolo cerebello e zona paravermiana) e i due emisferi cerebrali (inclusi i nuclei dentati) (Todd & Shakkottai, 2018).

Una disfunzione del cervelletto determina una disregolazione del movimento, definita col termine “atassia”, avente manifestazioni differenti a seconda delle aree colpite (Cambier et al., 2009). Le sindromi cerebellari possono essere suddivise in sindromi da lesione emisferica (atassia degli arti, evidente in maniera marcata nell’esecuzione di movimenti precisi e finalizzati) e sindromi da lesione mediana (atassia del tronco, alterazioni del tono muscolare e dei movimenti oculari) (Cambier et al., 2009). In clinica assistiamo spesso ad una loro sovrapposizione (Todd & Shakkottai, 2018).

Sintomi clinici osservabili in caso di disfunzione cerebellare possono essere:

• Dismetria: compromissione della capacità di eseguire movimenti accurati durante compiti diretti all'obiettivo a causa di una stima errata della distanza (Manto, 2009), i pazienti superano (ipermetria) o sottostimano (ipometria) l'obiettivo (Todd & Shakkottai, 2018). Può essere visto sia con lesioni mediali che con lesioni emisferiche (Todd & Shakkottai, 2018); in caso di lesioni della linea mediana colpisce prevalentemente gli arti inferiori (Todd & Shakkottai, 2018).

• Adiadococinesia: incoordinazione nell’eseguire rapidi movimenti alternati;

• Tremore intenzionale: compare solo durante il movimento volontario (Cambier et al., 2009), aumenta tipicamente quando la mano si avvicina al bersaglio e di solito si presenta con ampie oscillazioni (Todd & Shakkottai, 2018).

3.3 Test di valutazione

Nell’esame neurologico la coordinazione motoria dell’arto superiore è analizzata di routine (Gagnon, Mathieu, & Desrosiers, 2004). Considerando che il tempo disponibile per la valutazione nel setting clinico è spesso limitato, diventa indispensabile che gli strumenti e le misure di outcome siano scelti con cura, in modo da fornire un’immagine chiara del paziente (Gagnon et al., 2004; Souza et al., 2017).

Per “misura di outcome” s’intende uno strumento utilizzato nella pratica clinica per valutare lo stato di salute del paziente (Fetters & Tilson, 2018). È in grado di analizzare i cambiamenti nel tempo di una variabile latente, ossia un’abilità che non può essere

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misurata direttamente ma che si manifesta attraverso una serie di comportamenti, studiati indirettamente attraverso un insieme di osservazioni (Franchignoni, Ferriero & Ottonello, 2016). Prima di mettere in atto qualsiasi tipo di trattamento è indispensabile ottenere dei valori che indichino il livello di impairment di partenza; in questo modo il terapista potrà disporre di dati di riferimento oggettivi sulla condizione iniziale del paziente, che permettano di comprendere se l’intervento porti o meno a miglioramenti.

Per i professionisti del settore sanitario è quindi indispensabile acquisire competenze specifiche che permettano di selezionare strumenti di valutazione appropriati, somministrarli in maniera ponderata e interpretarne correttamente i risultati (Franchignoni, Ferriero, & Ottonello, 2016), poiché ciò si riflette in maniera diretta sulla possibilità di mettere in atto un trattamento efficace.

Nella medicina riabilitativa la richiesta di accurati valori di outcome è in costante aumento e lo sviluppo di misure adeguate, che siano effettivamente utili clinicamente, è diventato un serio problema (Gagnon et al., 2004). Gli strumenti infatti possono avere punti di forza o debolezza diversi a seconda della popolazione presa in analisi e del motivo della loro applicazione, dunque la decisione finale dell’operatore deve sempre tener conto del contesto (F. Franchignoni & Michail, 2003).

Esistono molti test volti a valutare le abilità coordinative; tra questi il Finger-Nose Test (con il quale l’Index Test condivide diversi aspetti costitutivi) ricopre un ruolo essenziale (Gagnon et al., 2004). Si tratta di un test non standardizzato che trova applicazione sia nel contesto clinico che in quello di ricerca mediante diversi metodi (ad esempio toccare alternativamente con l’indice il proprio naso e il dito del valutatore in diverse posizioni dello spazio o toccare il proprio naso ed estendere completamente il braccio di fronte a sé) (Gagnon et al., 2004). La prova indice naso viene fatta eseguire prima ad occhi aperti e poi ad occhi chiusi (per discriminare un’atassia sensitiva); si valuta che il movimento sia fluido e che il dito arrivi precisamente sul naso senza incertezze, rallentamenti o tremori nella fase finale (Cambier et al., 2009). Seppur molto rapido e semplice da applicare, genera osservazioni qualitative grossolane, non adatte alle osservazioni longitudinali necessarie per misurare la progressione o la regressione dei sintomi clinici (Gagnon et al., 2004). Sono state sviluppate molte altre misure strumentali volte a valutare la coordinazione ma diverse di queste si ritrovano raramente nella pratica clinica poiché richiedono tempi lunghi di somministrazione (Gagnon et al., 2004).

Per il mio progetto di ricerca ho deciso di concentrarmi su 3 test, indicati dalla letteratura come validi nel valutare la coordinazione motoria dell’arto superiore in compiti differenti.

3.3.1 Nine Hole Pegboard Test

Rappresenta il test di screening per antonomasia nella valutazione della coordinazione motoria delle dita (Oxford Grice et al., 2003). Durante l’esecuzione il paziente viene fatto accomodare su una sedia e di fronte a lui, sopra un tavolo, viene posizionato il kit del test che comprende: una tavola in plastica dotata di 9 fori disposti a formare un quadrato ed una parte concava, contenente 9 pioli (5 mm di diametro e 38 mm di lunghezza) (Oxford Grice et al., 2003). Al soggetto viene chiesto di disporre uno ad uno i pioli nei rispettivi fori in maniera casuale, iniziando con la mano dominante, finché tutti e 9 i pezzi non risultino posizionati; a quel punto l’esaminato dovrà rimuoverli uno a uno e riposizionarli nell’apposito contenitore (Oxford Grice et al., 2003). L’indicazione al test deve essere quella di eseguire le operazioni alla massima velocità che si ritenga possibile; il conteggio del tempo ha inizio quando il primo elemento viene afferrato e termina quando l’ultimo pezzo è stato riposto (Oxford Grice et al., 2003). Se durante l’esecuzione alla persona dovesse sfuggire un tassello di mano il test è da considerarsi nullo e necessita di essere ripetuto d’accapo (Oxford Grice et al., 2003).

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3.3.2 Finger Tapping test

Il finger-tapping test analizza il controllo muscolare e l'abilità motoria delle estremità superiori; è frequentemente utilizzato per valutare pazienti con Parkinson ed atassia, nonché individui post-Ictus. Il finger-tapping test viene inoltre ampiamente utilizzato anche per valutare la funzione motoria degli arti superiori e la coordinazione della mano in soggetti sani. Ha il vantaggio di essere un compito motorio neurologicamente guidato relativamente puro poiché le interazioni intersegmentali sono talmente piccole che le influenze biomeccaniche sul movimento risultano ridotte (Collyer, Broadbent, & Church, 1994). Studi riportano che il numero medio di colpetti per un intervallo di 10 secondi può essere utilizzato per eseguire una distinzione fra pazienti con lesione cerebrale traumatica lieve e controlli sani (Prigatano & Borgaro, 2003); la velocità del battito delle dita è inoltre correlata alla gravità d’una lesione cerebrale e può essere utilizzata per valutarne il recupero (Prigatano & Borgaro, 2003).

3.3.3 Composite Cerebellar Functional Severity Score (CCFS)

Si tratta di una batteria di test nata per quantificare il livello funzionale nelle disfunzioni cerebellari. Originariamente composto da 4 test (Nine-Hole Pegboard Test modificato, Click Test, Tapping Test e Writing Test) attualmente conta di soli due item, ossia il Nine-Hole Pegboard Test modificato ed il Click Test, entrambi dal lato dominante, i quali si sono dimostrati efficaci nel rappresentare la gravità della sindrome cerebellare come riflesso dai punteggi SARA (Tezenas du Montcel et al., 2008).

▪ Nine-Hole Pegboard Test modificato: l’esecuzione è simile a quella vista in precedenza, con la differenza che al soggetto non viene chiesto di rimuovere i tasselli una volta inseriti ma il cronometro viene fermato dall’operatore quando l’ultimo tassello risulta posizionato (Tezenas du Montcel et al., 2008).

▪ Click Test: il suo scopo è quello di misurare specificatamente il finger-pointing

coordination. Il test necessita di due cronometri fissati su di una tavola di legno e

distanti complessivamente 39 cm; tale distanza infatti, successivamente a studi di cinetica e cinematica, si è dimostrata ottimale per valutare la metrica del movimento diretto ad un obiettivo con movimenti multiarticolari visivamente guidati negli arti superiori (Tezenas du Montcel et al., 2008). La tavola viene dunque posizionata su di un tavolo e l’operatore si pone davanti al soggetto, in modo da avere i contatori ruotati verso di sé. La persona che esegue il test utilizza il proprio dito indice per premere i pulsanti alternativamente 10 volte; il conteggio del tempo inizia quando viene premuto il primo pulsante e si arresta quando il secondo contatore raggiunge il 10. Il processo viene eseguito una volta con ogni mano (Tezenas du Montcel et al., 2008)

3.4 EBP e requisiti psicometrici

Non tutti i test sono creati in maniera uguale ma variano in termini qualitativi, ciò in relazione al fatto che posseggono proprietà psicometriche differenti (Souza et al., 2017; Strauss, Sherman, & Spreen, 2006). Tranne in poche eccezioni, quando i test provengono da contesti di ricerca clinica sono disponibili dati relativi alla validità ma poco altro, il che rende la stima della precisione e della stabilità dei punteggi un’incognita (Strauss et al., 2006). Per garantire che le misure di outcome vengano utilizzate in maniera ottimale è invece indispensabile analizzarne in maniera puntuale le proprietà pratiche e psicometriche; solo in questo modo infatti è possibile determinare se e quanto lo strumento rispecchi i requisiti e gli obiettivi specifici che richiede l’analisi in questione, in questo caso la valutazione della coordinazione (F. Franchignoni & Michail, 2003).

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Uno degli elementi che ha caratterizzato il mio intero percorso di studi è stata proprio la consapevolezza dell’importanza, in ambito fisioterapico, di disporre di strumenti d’analisi validi che permettano al terapista di quantificare le variabili osservate. La misurazione infatti rappresenta un mezzo indispensabile per superare una modalità di valutazione prettamente soggettiva per dirigersi piuttosto verso l’oggettivazione dei risultati.

I fisioterapisti possono considerarsi una categoria di professionisti e, come sostiene Koehn, una caratteristica peculiare attribuibile allo status di professionista è quella di meritare la fiducia degli interlocutori, ossia ci si aspetta che “s’impegni a fare bene, abbia

a cuore l’interesse del paziente e osservi alti principi etici” (Koehn, 1994). La

dimostrazione tangibile della misura in cui una categoria professionale ha a cuore il benessere dei pazienti è la sua predisposizione ad agire sulla base di evidenze oggettive relative alla buona pratica clinica, ricorrendo a strumenti validati e condivisi dalla comunità professionale (Herbert, Jamtvedt, Birger Hagen, & Mead, 2012; Santullo, 2009).

A questo scopo nacque, nel 1992, il termine “medicina basata sulle evidenze”, un concetto in costante evoluzione che, declinato alla professione fisioterapica, trova attualmente definizione in “un’accurata conoscenza della ricerca clinica rilevante e di alta

qualità” (Herbert et al., 2012). Questa svolta, sia concettuale che soprattutto pratica, è

indispensabile per documentare e monitorare l’efficacia degli interventi riabilitativi, impostare protocolli di ricerca e identificare indici prognostici.

La professione del fisioterapista è cambiata enormemente negli ultimi 60 anni: si è passati da essere esecutori delle richieste mediche all’agire spesso come professionisti autonomi o semi autonomi (Herbert et al., 2012). Con l’autonomia arriva però la responsabilità di assicurare che i pazienti ricevano diagnosi e prognosi accurate e che siano ben informati riguardo benefici ed eventuali rischi del trattamento (Herbert et al., 2012).

Uno dei compiti demandati al terapista è quello decidere se il risultato ottenuto da un soggetto in un determinato test sia normale o meno (Vallar & Papagno, 2011), ma cosa s’intende di preciso con il termine “normale”? È necessario innanzitutto differenziare la normalità statistica (normality) dalla sufficienza rispetto al criterio di superamento di un compito (mastery): mentre la normalità è relativa alla popolazione di soggetti di un certo tipo, la sufficienza è indipendente dal fatto che altri sappiano o meno eseguire quella data prova (Vallar & Papagno, 2011). Per decidere dunque se il risultato ottenuto possa essere considerato normale, dobbiamo necessariamente conoscere come si comportano al test i soggetti appartenenti alla stessa popolazione della persona presa in esame e che abbiano in comune con essa date variabili anagrafiche e demografiche (età, sesso, scolarità) (Vallar & Papagno, 2011). Per valutare ciò possiamo servirci della statistica inferenziale, i cui obiettivi sono (Vallar & Papagno, 2011):

• Determinare i metodi utilizzati per pianificare come raccogliere i dati;

• Studiare un campione per stimare le caratteristiche di una popolazione: per consentire ciò, i partecipanti devono essere scelti in modo che rappresentino il più fedelmente possibile le caratteristiche generali della popolazione da cui provengono (campione probabilistico);

• Sintetizzare i dati raccolti;

• Controllare il rischio d’errore connesso al processo di stima

Grazie dunque al campionamento e all’analisi statistica si è in grado di determinare la soglia di normalità in una data popolazione con note caratteristiche (ossia i cosiddetti “valori normativi”); tutto ciò però, seppur indispensabile, non dice nulla rispetto alla capacità di un test di rilevare in maniera puntuale ciò che esso si pone intrinsecamente come obiettivo. Nel caso specifico, i dati ricavati non riuscirebbero a determinare quanto il test riesca effettivamente a valutare la coordinazione manuale ma informerebbero

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solamente rispetto ai risultati ottenuti in media dai soggetti campionati di una data popolazione. Per rispondere alla necessità di comprendere quanto un test sia effettivamente utile occorre tenere in considerazione e valutare altre variabili, quali sono per l’appunto i cosiddetti “requisiti psicometrici”.

Rothstein sosteneva che “soltanto quando dimostrano di essere affidabili e valide le

misurazioni contengono informazioni; differentemente sono destinate a fornire solo numeri o categorie che inducono a falsa impressione di credibilità” (Rothstein, 1985).

I requisiti principali di una scala di misura sono: responsività, affidabilità, validità e utilità clinica, a cui possono aggiungersi attributi tecnici e pratici quali appropriatezza, precisione, interpretabilità, accettabilità e fattibilità (Franchignoni & Michail, 2003; Strauss, Sherman & Spreen, 2006). Solitamente i valori di affidabilità e validità sono considerati le due proprietà principali da osservare in uno strumento di misura (Souza et al., 2017). La presenza di adeguati livelli di affidabilità e validità però è sufficiente per scopi discriminativi (differenze tra soggetti o gruppi) e predittivi (classificazione dei soggetti in gruppi predefiniti a fini prognostici), mentre per scopi valutativi (rilevare cambiamenti nel tempo, come nel caso di analisi di efficacia di interventi terapeutici) è necessario anche un buon livello di responsività (F. Franchignoni & Ring, 2006).

3.4.1 Responsività

Rappresenta la capacità di uno strumento d’identificare i cambiamenti significativi, dal punto di vista clinico, della variabile misurata; essa può variare in funzione di diversi fattori (ad esempio tipo, gravità o durata della patologia) e non rappresenta quindi un valore assoluto (F. Franchignoni & Ring, 2006; Souza et al., 2017). Il concetto differisce da quello di sensibilità al cambiamento, il quale rappresenta invece l’abilità di uno strumento di misurare cambiamenti, indipendentemente dal fatto che essi siano o meno clinicamente significativi (F. Franchignoni & Ring, 2006). Le metodologie utilizzate per definire la responsività mancano ancora di consenso univoco (F. Franchignoni & Ring, 2006).

3.4.2 Affidabilità

L’affidabilità, nota anche come attendibilità, può essere definita come la capacità del sistema di misura di fornire risultati costanti, anche se effettuato in tempi, luoghi e da operatori diversi (Santullo, 2009; Souza et al., 2017). Come per la responsività, non si tratta di una proprietà fissa dello strumento ma, al contrario, è influenzata dalla scelta di uno specifico campione piuttosto che un altro, di un particolare valutatore e di un particolare contesto (Santullo, 2009; Souza et al., 2017). Lo stesso strumento quindi può essere o meno considerato affidabile al mutare delle condizioni con cui viene utilizzato (Souza et al., 2017). La sua valutazione comprende:

• Consistenza interna (omogeneità): permette di verificare se esistano elementi della scala di valutazione non coerenti con gli altri, ossia il grado con cui gli item di un test misurano una stessa caratteristica (Santullo, 2009). Il metodo più utilizzato per misurarla è il coefficiente alpha di Cronbach.

• Riproducibilità (stabilità): grado con cui uno strumento fornisce risultati molto simili in somministrazioni ripetute in due tempi diversi (Santullo, 2009); si possono distinguere:

o test-retest: valuta la correlazione fra le distribuzioni di misure ottenute somministrando due volte lo stesso test allo stesso gruppo di soggetti dopo un certo intervallo di tempo; esprime il grado di stabilità nel tempo e generalizzabilità dei risultati (Santullo, 2009; Souza et al., 2017). Richiede che i fattori misurati rimangano gli stessi in entrambe le prove, ogni cambiamento nel punteggio può essere causato da errori casuali (Souza et al., 2017). La stabilità nel test-retest tende a diminuire quando la seconda applicazione

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avviene molto tempo dopo la prima (Souza et al., 2017); di solito si considera adeguato un lasso di tempo di circa 10/14 giorni (Keszei, Novak, & Streiner, 2010). A seconda della grandezza del campione scelto per l’analisi, un numero di circa 50 soggetti e un valore di correlazione di almeno 0,70 viene considerato soddisfacente (Souza et al., 2017).

o intra-operatore e inter-operatori: analizzano la stabilità dei dati registrati rispettivamente da un solo osservatore in tempi diversi o da due o più osservatori che valutino separatamente la stessa variabile (Souza et al., 2017).

3.4.3 Validità

Non è una caratteristica intrinseca dello strumento ma può essere identificata solo in riferimento ad una specifica popolazione (Souza et al., 2017). Si riferisce alla capacità di un test di misurare in maniera accurata le caratteristiche generali e specifiche per cui è stato progettato (F. Franchignoni & Ring, 2006).

Possono essere verificati diversi tipi di validità:

• di contenuto: indica quanto il contenuto degli items copra tutti i domini e gli aspetti effettivamente significativi dell’ambito che lo strumento intende misurare; non esistono test statistici capaci di quantificarla ma spesso i ricercatori utilizzano un approccio qualitativo, ricorrendo all’opinione di una commissione di esperti (Souza et al., 2017); • di costrutto: valuta quanto uno strumento di misura s’inquadri in un costrutto teorico precedentemente definito e non direttamente osservabile (ad esempio forza, indipendenza funzionale, dolore, qualità di vita) ossia fino a che punto i risultati dell’esperimento supportino la teoria che si è inteso verificare (F. Franchignoni & Ring, 2006). Il processo di validazione non è mai propriamente concluso, in quanto è possibile ricercare fenomeni di convergenza o divergenza dello strumento in esame con altre variabili ritenute rappresentative di costrutti simili o differenti;

• di criterio o concorrente: capacità con cui uno strumento predice i risultati ottenuti da un altro che misuri lo stesso concetto (Souza et al., 2017), somministrato contemporaneamente (concurrent validity) o in un periodo successivo (predictive validity). È desiderabile una correlazione superiore allo 0,70 (Souza et al., 2017). Oltre a ciò, un ulteriore elemento da tenere in considerazione è l’utilità. È stato descritto infatti che, per essere correttamente applicabile, un test dovrebbe richiedere poco tempo di somministrazione, essere di semplicità valutazione ed i risultati dovrebbero essere facilmente interpretabili.

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Capitolo 4: Materiali e metodi

Questo elaborato deriva da un’attività pratico-teorica condotta in maniera autonoma tra Gennaio 2018 e Giugno 2019 sul territorio del Canton Ticino, in Svizzera.

4.1 Popolazione e campionamento

Per portare a termine lo studio ho deciso di selezionare come campione 160 soggetti sani, scelti mediante un campionamento per convenienza (convenience sampling) sul territorio del Canton Ticino, suddivisi in 4 macrocategorie a seconda della fascia d’età (20 – 29 anni, 30 – 39 anni, 40 – 49 anni, 50 – 59 anni). Oltre che per età, i partecipanti sono stati suddivisi anche rispetto alle variabili:

• genere (maschi, femmine)

• istruzione (elementare, media-superiore, universitaria) • dominanza manuale (destra, sinistra)

al fine di studiare se e come queste influiscano sugli aspetti coordinativi in termini di velocità e precisione.

Per poter essere inclusi nello studio i soggetti dovevano rispettare i seguenti criteri:

CRITERI DI INCLUSIONE CRITERI D’ESCLUSIONE

- Età compresa tra 20 e 59 anni

- Nazionalità svizzera e/o residenti nel territorio del Canton Ticino

- Età inferiore a 20 anni o superiore a 59 anni - Diagnosi di patologie ortopediche o

neurologiche riferite dal soggetto che potessero invalidare i risultati del test (pregressi ictus, esiti

di trauma cranico, Parkinson, diabete, artrite

reumatoide, demenza, depressione,

problematiche ortopediche all’arto superiore che impediscano la corretta esecuzione degli item richiesti dai test, sindrome del tunnel carpale, cervicobrachialgia invalidante).

4.2 Analisi dei bias e modalità di randomizzazione

Al fine di lasciare quanto meno spazio possibile all’interpretazione soggettiva, è necessario che la modalità di raccolta delle informazioni sia il più possibile omogenea e standardizzata, in modo da rendere le misurazioni dei diversi item confrontabili tra loro (Santullo, 2009). Una raccolta dati, in generale, dovrebbe possedere almeno le seguenti caratteristiche (Santullo, 2009):

• costrutto da misurare definito da comportamenti o caratteristiche osservabili; • regole che determino per ogni soggetto una relativa prova;

• modalità di raccolta informazioni omogenea e costante; • misurazione rapida e semplice;

• unità di misura ben definite;

• indicazioni sul periodo specifico al quale si riferisce la misurazione.

Quando queste caratteristiche costitutive non vengono rispettate, nella ricerca compaiono degli errori che possono compromettere in maniera più o meno importante la validità dei risultati dello studio. È definito come bias o errore sistematico qualsiasi deviazione dalla realtà, intenzionale o meno, imputabile alla raccolta, all’analisi o all’interpretazione dei dati che possa condurre a conclusioni errate rispetto al fenomeno in esame (Simundic, 2013).

Ogni ricercatore deve prestare attenzione a qualsiasi possibile fonte d’errore e mettere in atto tutte le azioni possibili per ridurli o minimizzarli, con la consapevolezza però che questi non possono essere eliminati completamente (Simundic, 2013).

Fra i numerosi bias indicati dalla Chocrane (Higgins, 2011) nella mia ricerca ho preso in considerazione i seguenti, cercando delle strategie per fare in modo di ridurli:

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BIAS DESCRIZIONE STRATEGIE MESSE IN ATTO

Selection bias

Systematic differences between baseline characteristics of the groups

that are compared

Randomizzazione dei partecipanti nei gruppi di

appartenenza Performance

bias

Systematic differences between groups in the care that is provided, or in exposure to factors other than the

interventions of interest

Determinare una procedura standardizzata di applicazione

dei test

Reporting bias Systematic differences between

reported and unreported findings

Riportare in maniera puntuale tutte le scoperte

Un possibile errore sistematico che poteva incorrere imputabile alla modalità di somministrazione del test era l’eventualità che una determinata sequenza standard imposta indistintamente ad ogni soggetto in analisi andasse ad influenzare i risultati ottenuti. Ad esempio, c’era il rischio che il soggetto prendesse dimestichezza nell’esecuzione dei vari item e dunque la prima prova risultasse globalmente più lenta e/o imprecisa rispetto all’ultima. All’opposto, vi era anche la possibilità che le ultime prove risultassero generalmente falsate a causa dell’introduzione della stanchezza come ulteriore variabile.

Per cercare di minimizzare queste possibilità ho deciso di randomizzare all’interno del campione sia la sequenza di esecuzione dei test (NHPT/NHPTm, CT, FTT, Index Test) sia la sequenza specifica degli item dell’Index Test (One click 10, Orario 10, Antiorario 10, Random 10, One click 25, Orario 25, Antiorario 25, Random 25).

La randomizzazione può essere definita come l’allocazione rigorosamente casuale di unità sperimentali a gruppi distinti (Ballatori, 2011); l’assegnazione deve essere eseguita in base ad un metodo preciso e non “senza un criterio”, significato che l’aggettivo “casuale” assume spesso nel linguaggio comune (Ballatori, 2011). La modalità di casualizzazione deve infatti rispondere ai seguenti criteri (Ballatori, 2011):

▪ Essere riproducibile: una volta descritto il procedimento chiunque lo applichi deve poter ottenere sempre lo stesso risultato;

▪ Essere imprevedibile: non deve essere possibile prevedere quale soggetto verrà assegnato ad un determinato gruppo;

Per rispettare le indicazioni che soggiacciono ad una corretta modalità di randomizzazione, nella ricerca è stato utilizzato il programma online “Research

Randomizer” (Urbaniak & Plous, 2013), utilizzando i seguenti criteri:

CRITERI RESEARCH RANDOMIZER TEST ITEM INDEX TEST

Sets of number 160 160

Number per set 4 8

Number range 1 - 4 1 - 8

Each number in a set is unique ? YES YES

To sort the numers that are generated? NO NO

In questo modo ad ogni soggetto è stata assegnata una propria serie, scelta secondo le regole del caso e diversa dal resto del campione in analisi, riportata negli allegati.

4.3 Descrizione del test

L’Index test, effettuato mediante un’applicazione per dispositivi Apple, nasce allo scopo di valutare le capacità coordinative degli arti superiori in attività di puntamento ad un bersaglio fisso (ossia un pallino nero) al limite dello spazio di prensione dell’arto superiore. Trattandosi di un test sperimentale per valutare se possa o meno essere introdotto nella clinica è necessario analizzarne le proprietà e determinare se ed in che misura possa essere utilizzato.

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4.3.1 Strumenti e supporti utilizzati

Per eseguire la raccolta dei dati normativi mi sono servita di un iPad Air, messo a disposizione dalla SUPSI-DEASS, utilizzando un apposito supporto per consentire al dispositivo di trovarsi in una posizione fissa verticale, leggermente inclinata.

Ho utilizzato inoltre due morsetti per fissare il supporto alla superficie d’appoggio ed impedire che si muovesse durante l’esecuzione del test ed un tappetino antiscivolo per fare in modo che il tablet non si muovesse all’interno del supporto.

Specifiche del supporto utilizzato (GRIMAR IKEA)

Larghezza Altezza Lunghezza Inclinazione

21 cm 3 cm 27 cm 60°

Specifiche tecniche del dispositivo utilizzato (IPad Air)

Altezza Lunghezza Profondità Display Risoluzioni video

240 mm 169,5 mm 7,5 mm LED 9,7” IPS multi-touch con tecnologia retina

2048 x 1536 px 264 ppi

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Per raccogliere i dati inerenti ai test atti a valutare la validità concorrente invece mi sono servita dei seguenti supporti, come indicato dalla letteratura:

TEST SUPPORTO FOTO

Finger Tapping

Test

i dati sono stati ottenuti mediante l’applicazione per telefono cellulare “CNS Tap Test”. Questa

App è in grado di avviare automaticamente un timer di 10

secondi non appena viene eseguito il primo tocco. Eventuali

tocchi effettuati dopo questo periodo di tempo non vengono

registrati dal contatore

Nine Hole Pegboard

Test

è stata utilizzata la tavoletta standard in plastica con 9 pioli

Click Test

lo strumento è stato creato attraverso l’applicazione di due contatori ad una tavola in legno, alla distanza di 39 cm. Al di sotto della tavola è stato applicato uno strato di materiale antiscivolo, in

modo da evitare che lo strumento si spostasse durante

l’esecuzione del test

Per misurare il tempo necessario ai soggetti per portare a termine i vari test mi sono servita del cronometro presente sul dispositivo mobile Huawei p20 lite.

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