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Studia urbium/urbes studiorum. Università e trasformazioni urbane nell'economia della conoscenza : il caso di Roma

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Academic year: 2021

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SCUOLA DOTTORALE IN CULTURE E TRASFORMAZIONI

DELLA CITTÀ E DEL TERRITORIO

DOTTORATO DI RICERCA IN POLITICHE TERRITORIALI E

PROGETTO LOCALE

CICLO XXIII

STUDIA URBIUM / URBES STUDIORUM

Università e trasformazioni urbane nell'economia della conoscenza:

il caso di Roma

Viola Mordenti

A.A. 2010/2011

Docente Guida/Tutor: Prof. Paolo Avarello

Coordinatore: Prof. Paolo Avarello

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Indice

INTRODUZIONE...5

1. LA RICERCA...8

1.1. Obiettivi e metodi...8

1.2. Il caso studio: note di metodo...11

1.3. Architettura della tesi ...15

2. STATO DELL'ARTE (RASSEGNA DEGLI STUDI ESISTENTI)...18

2.1. Università città e territorio ...19

2.2. Tra le valutazioni e i desideri: Università nel presente e nel futuro...23

2.3. Economia della conoscenza: Università come istituzione nella crisi...25

3. IL CONTESTO ECONOMICO E PRODUTTIVO...28

3.1. Politica economica post-industriale: innovazione, ricerca e servizi avanzati...29

Figura 1: Finanziamenti per l’Istruzione dei Paesi OCSE...33

Figura 2: Percentuale del PIL investito negli Atenei dei Paesi OCSE ...38

3.2. Letture critiche: indicazioni e direttive europee tra retoriche e prospettive ...39

Figura 3: Lisbon target 2006...41

Figura 4: Lisbon performance 2005...43

Figura 5: Gross domestic expenditure on R&D – valori percentuali – target 2020...50

Figura 6: Tertiary educational attainment, age group 30-34 – target 2020...53

4. LA TRASFORMAZIONE DELL'UNIVERSITÀ IN ITALIA...55

Figura 7: L'Italia come non l'avete mai vista – QUARS istruzione e cultura...56

4.1. Mobilità sociale e mobilità spaziale...61

Tabella 8: Votazione ricevuta e tipo di scuola secondaria, per titolo studio padre...62

Figura 9: La distribuzione territoriale delle sedi universitarie, A.A. 2009/10...65

Figura 10: Numero di corsi di studio, per regione - A.A. 2007/2008...67

Figura 11: Dalle aree storiche alla mobilità attuale: analisi conclusiva...68

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4.2. Le riforme: aziendalizzazione e proliferazione dei nuovi Atenei...71

Tabella 13: Entrate delle Università non statali, valori percentuali (A.A. 2004) ...74

Figura 14: Gli Atenei oltre gli steccati amministrativi...77

4.3. La scomparsa dell'Università dai territori: le Università telematiche...79

5. OLTRE E DENTRO I CONFINI NAZIONALI: IL RUOLO DELLE UNIVERSITÀ NELLE DINAMICHE DI TRASFORMAZIONE METROPOLITANA...82

5.1. Le trasformazioni: strumenti dell'immaginario e attori...83

5.2. Impatto territoriale delle Università...86

5.2.1. Università e valorizzazione immobiliare: il caso PRES, Francia...87

Figura 15: Les pôles de recherche et d’enseignement supérieur. Les membres fondateurs...89

Figura 16: PRES Université Paris Cité. Principales implantations et projets immobiliers...105

Figura 17: Projet de schéma d'urbanisme universitaire de l'agglomération lyonnaise...108

5.2.2. Università e pianificazione strategica del territorio: Torino e Barcellona...110

Figura 18: Foto del Politecnico di Torino: «gli scavalchi e la manica di approdo»...113

Figura 19: le istituzioni della conoscenza colonizzano Barcellona...115

5.2.3. Università e internazionalizzazione della città: NYU sbarca a Abu Dhabi...122

6. IL POTENZIALE TRASFORMATIVO DEI TRE ATENEI DI ROMA...128

Figura 20: Inquadramento territoriale. Le Università di Roma...131

6.1. Dal Castrum al Cluster: una premessa...134

6.2. Sapienza Università di Roma...143

Figura 21: “Piano di Assetto Generale la Sapienza” - PAG...150

Figura 22: mappa delle unità organizzative della Ripartizione I - Affari generali...152

Figura 23: Esempio di tracciatura relazioni tra attività e unità organizzative dell'Ateneo...152

Figura 24: Il PAG de “La Sapienza”- area di influenza e direttrici strategiche al 2007...154

Figura 25: Campus Pietralata – viste del progetto a cura del Dipartimento di Ar_Cos ...159

6.3. Università degli Studi di Roma Tor Vergata...160

Figura 26: Zoning del Piano Particolareggiato – variante 2005...169

6.4. Università degli Studi di Roma Tre...173

Figura 27: Localizzazione dell'Università di “Roma Tre” nel sistema di trasporto romano ...178

Figura 28: Piano di Assetto per l'attuazione del Progetto Urbano Ostiense-Marconi ...182

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8. ALLEGATI ...192

8.1. Allegato 1: Le aree di gravitazione delle principali università italiane (1969)...192

8.2. Allegato 2: Le aree di influenza delle università italiane (2007) ...193

8.3. Allegato 3: intervista a Silvano Stucchi...195

8.4. Allegato 4: intervista a Biancamaria Bosco Tedeschini Lalli...200

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Introduzione

Perché una ricerca sulle Università e i territori in trasformazione? Più che fornire una risposta, la ricerca tenta di rendere lecita la stessa domanda e si confronta con l'interesse da parte delle istituzioni politiche più importanti a livello europeo per renderla significativa e strumentale rispetto ai temi urbani attuali. Sembra infatti che in Italia, nonostante l’ampio dibattito politico a cui si assiste a proposito dell’Università, della riforma didattica e degli impietosi tagli ai fondi per la ricerca, si stia perdendo l'opportunità di acquisire la consapevolezza del ruolo che l’istituzione universitaria può svolgere in riferimento alle potenzialità trasformative sociali e urbane.

Le Università sono state chiamate a gran voce e da più parti a rivestire questo ruolo soprattutto in merito alla loro capacità, si direbbe unica, di sapersi costituire centro di accumulazione che lega insieme da una parte i territori, nelle loro più diversificate sfaccettature, anche locali, e dall'altra gli scenari futuri descritti e delineati su un piano politico di levatura globale. Ricadono, insomma, su questo tipo di istituzioni aspettative e pressioni che stressano enormemente le aule e gli spazi di cui si compongono per proiettarle immediatamente in ambiti che fino ad un certo punto della loro storia evolutiva non sarebbero stati di loro competenza. Il richiamo, almeno a livello europeo, è quello di contribuire all'innovazione, all'avanzamento economico, alle sfide della competizione internazionale a partire, fondamentalmente, dal proprio radicamento territoriale e potenziale trasformativo.

Sembra dunque disvelarsi un panorama di Università messe al lavoro non solo per gli interessi di cui sono state tradizionalmente portatrici, ma perché agiscano sui territori per trasformarli, arricchendoli e rendendoli più attrattivi. Il tutto senza che si sia pensato anticipatamente a quali strumenti fossero necessari a tali istituzioni per assolvere questo compito e potersi riconoscere in questo nuovo ruolo. Le politiche per lo sviluppo europeo, ad esempio, contengono indicazioni e prospettive per le Università soprattutto, come vedremo, per la necessaria omogeneizzazione delle strutture didattiche e della formazione, ma non indicano le modalità, le pratiche e le politiche urbane specifiche da seguire, abbandonando le Università a coprire da sole una mancanza davvero importante. Nonostante ciò, alcuni Atenei possono già dirsi all'interno di tale scenario futuro essendo riusciti a mobilitare, in autonomia e/o nella coerenza di un riferimento nazionale, energie sufficienti per determinare impatti notevoli sui territori di riferimento, delle più varie scale.

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Il potenziale trasformativo delle Università nelle metropoli contemporanee si è dunque espletato in forme sempre diverse, legate alla singolarità dei diversi casi presi in considerazione e all'autonomia intrinseca alla natura accademica dell'istituzione stessa. Così, ciò che interessa non è il tentativo di rendere omogeneo alla lettura un quadro dalla composizione frammentata e sempre differente; al contrario, si tenta di valorizzare tali caratteristiche diversificate per poter individuare i fattori più utili per una democrazia avanzata, come la costruzione di uno spazio pubblico attrezzato, la disponibilità di giovani generazioni all'incontro e alla socializzazione, l'accessibilità al sapere e alle strutture che lo contengono, la possibilità di innovare e favorire la mobilità necessaria a un mondo finalmente globalizzato.

Il tentativo è dunque quello di restituire alle Università e alle istituzioni della conoscenza in generale uno spazio di dignità come attori di trasformazione urbana, pari a quello che nel periodo industriale andava assegnato alla fabbrica. Affinché sia possibile riconoscere nell'Università una istituzione strategica, necessaria alla società, indispensabile alla crescita economica nell'era dell'economia della conoscenza, utile alla città per la sua capacità attrattiva di addetti altamente qualificati, capace di costituirsi come nodo di reti di peso internazionale. Un riconoscimento che dovrà accompagnarsi al chiarimento dei nodi critici e delle problematiche a livello attuativo in campo urbanistico, altrimenti il rischio sembra essere l'immediata traduzione delle indicazioni e direttive europee e internazionali in un pacchetto di mera retorica.

Lungi dal voler ideologicamente e presuntuosamente assegnare tali compiti alla tesi, mi limiterò ad inquadrare la complessa questione da più punti di vista, sperando che la ricerca qui intrapresa possa essere parte utile di un ulteriore e auspicabile sviluppo delle conoscenze sul tema.

Lo “spirito guida”

Lo spirito con cui mi sono avvicinata disciplinarmente a questo tema mi sembra ben rappresentato da un testo incontrato durante lo studio e che affronta, da un punto di vista diverso ma con precisione e rigore, la condizione dell'Università italiana e del suo futuro.

Riporto integralmente il passo:

È opinione sempre più largamente diffusa che la conoscenza rappresenti, oggi in misura maggiore che in ogni altra fase della storia dell'umanità, non solo una straordinaria forza propulsiva, ma anche un fondamentale diritto delle persone, un fattore di libertà; che le categorie con le quali eravamo soliti definire il mondo e noi stessi nel mondo, nell'ambito di cerchie di identificazione date, in una fase che Lévy e Authier hanno definito come il quarto e ultimo spazio antropologico dell'evoluzione umana, appaiono del tutto inadeguati a definire il

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tempo attuale; che nessuna società che abbia davvero a cuore il suo futuro, nessuna élite, gruppo dirigente, singola persona, che ritenga di non dover venire meno alle proprie responsabilità verso le generazioni che seguono, possa fare a meno di prendere sul serio la questione educazione, il diritto di ciascuno di imparare a stabilire relazioni in ogni contesto e per tutto l'arco della propria vita; che nella società della conoscenza il sapere non sia soltanto un fattore fondamentale di ricchezza ma anche uno dei luoghi della solidarietà tra gli uomini; che i saperi siano degli arnesi a partire dai quali ciascuno può ri-costruire, in maniera autonoma, un proprio percorso, un proprio schema di relazioni, un proprio punto di vista pubblico; che offrire alle persone l'opportunità di scegliere percorsi per l'acquisizione di nuove competenze e conoscenze, e per la valorizzazione di quelle possedute, voglia dire perciò incrementare il loro capitale di abilità e competenze, ammortizzare gli effetti di possibili mobilità, favorire più ampie opportunità di scelta anche nell'ambito del tempo libero, ricreativo, socialmente impegnato; che sapere chi siamo, avere chiara la nostra identità, sia il primo decisivo passo per definire i caratteri di una più valida solidarietà tra le persone; che sia la ricerca di questa identità che ci spinge a costruire legami sociali fondati sugli scambi di conoscenza, sull'ascolto e la valorizzazione dei singoli, sulla democrazia aperta, diretta, partecipativa; che sia la possibilità di apprendere per tutto l'arco della vita la sola garanzia, il vero antidoto, contro il rischio di una società organizzata come una sorta di struttura neocastale nella quale coloro che hanno accesso convivono con una insopportabilmente grande massa di esclusi; che per questo sia importante conoscere; conoscere più linguaggi, perché è attraverso di essi che possiamo accedere e condividere il mondo che che ci circonda, con le tante cose che lo popolano; conoscere per essere protagonisti nel processo di costruzione di cerchie alternative di discorso pubblico, per fare le domande giuste alla politica, per partecipare in maniera attiva e consapevole. (Moretti, in: Casillo, Aliberti, Moretti, 2007: 386).

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1. La ricerca

In questo primo capitolo il percorso di ricerca verrà descritto in tre parti principali: attraverso la ricognizione degli obiettivi e della metodologia seguita utile a motivare le scelte compiute; attraverso la breve descrizione del caso studio; infine, attraverso una riassunto dei contenuti che informano la struttura generale della tesi.

1.1. Obiettivi e metodi

La questione che è alla base della ricerca consiste nel capire se sia possibile l’apertura di un nuovo campo di lavoro e di analisi per la pianificazione territoriale e la progettazione urbana, che faccia centro sulle Università e le istituzioni della conoscenza, attraverso il loro riconoscimento come parte attiva, sempre più importante, all'interno dei complessi processi trasformativi delle città e dello sviluppo territoriale contemporaneo.

L'obiettivo è fornire un supporto alla conoscenza del potenziale trasformativo delle Università attraverso una ricognizione necessaria sul contesto economico e produttivo di scala nazionale (ed europea) e indagando i cambiamenti di assetto istituzionale che negli ultimi anni hanno investito l'istituzione universitaria in Italia.

L'intenzione della ricerca è dunque di indagare la natura del ritardo nella connessione tra le Università e il territorio in cui si insediano. Sebbene le istituzioni della conoscenza siano infatti annoverate a livello internazionale tra quei dispositivi territoriali su cui investire, perché capaci di innovazione e promozione sociale, raramente si assiste ad una convergenza di interessi in grado di promuovere tale legame attraverso politiche territoriali specifiche. Tuttavia si distinguono alcuni singoli esempi di Atenei italiani che hanno trovato, a volte fortunosamente, una fertile interlocuzione con le Amministrazioni locali e che hanno creato le condizioni per il rafforzamento reciproco. Di certo non è indifferente alla nostra trattazione il contesto nazionale che vede nello Stato la principale fonte di finanziamento e a cui sono affidati, in mancanza di altro, il destino e le sorti del sistema universitario italiano, il suo successo o la sua decadenza. A questo proposito, in particolare da un punto di vista economico, Grazzini esplicita quanta importanza strategica possa assumere in questo ambito il supporto statale alle istituzioni della conoscenza:

L'economia della conoscenza è caratterizzata da alcuni elementi distintivi. (…) Scienza e tecnica sono immediatamente sottomesse all'industria, diventandone in un certo senso i nuovi

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'operai'. In questo contesto le politiche statali di promozione acquistano un'importanza strategica. I finanziamenti statali e le strutture pubbliche, come le università e le scuole, le agenzie e gli enti di ricerca, diventano elementi indispensabili per la competizione a livello scientifico, tecnologico e di mercato. (Grazzini, 2008: 5)

Proprio per questo motivo si ritiene importante ragionare sul ruolo delle istituzioni della conoscenza e delle Università nello sviluppo urbano. L’investimento pubblico sulle istituzioni della conoscenza e sulle Università diviene strategico e paragonabile a quello rivestito in altri tempi dal settore industriale o infrastrutturale. I nuovi insediamenti, o la ridefinizione di quelli già esistenti, rispondono dunque a un'esigenza economica produttiva di scala transnazionale, nonostante determinino trasformazioni di scala locale.

Evidentemente qui non si tratta di attribuire alle Università un ruolo diverso da quello per cui sono state pensate. Legare profeticamente la riuscita economica e sociale di un paese allo sviluppo e alla promozione delle accademie sembrerebbe quantomeno insensato. Far coincidere il ruolo delle Università, e più in generale dello studio, con quello di un mero ascensore sociale sarebbe invece riduttivo, nel rispetto di una complessità di livelli che si sovrappongono e\o si incontrano all'interno delle aule e dei laboratori delle Università. Il riferimento è al protagonismo assoluto delle soggettività che animano tale istituzione: nella qualità dell'insegnamento, nella passione per la ricerca, nella fame di sapere, nel desiderio che anima la costruzione della conoscenza. La questione piuttosto è quella di individuare nel precipitato fisico di tale istituzione il luogo dove produrre quella fantastica alchimia che vede insieme la prossimità delle relazioni locali con l'internità alle reti estese del mondo globalizzato nell'economia della conoscenza. Altrimenti, il rischio sembra quello di sprecare un'occasione:

Le città possono giocare un ruolo significativo sia direttamente sia indirettamente nel preservare le risorse della conoscenza. (…); le città che non sono consapevoli delle potenzialità di sviluppo delle loro risorse di conoscenza e che non sviluppano politiche per rafforzarle corrono il rischio di una “fuga di cervelli”, o di essere incapaci di trattenere e attirare i talenti, e rischiano di vedersi sgretolate le loro risorse di conoscenza. (...) (Richard Knight, 1996: 10 in Amin e Thrift, 2005: 96)

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Uno sguardo fuori

Gli esempi di modelli di comportamento delle Università estere e italiane, più precisamente di singole esperienze di insediamento urbano, di programmazione strategica e di impatto territoriale che verranno presentati nella ricerca, verranno utilizzati per mostrare le modalità con cui si esplicita il potenziale ruolo delle Università e delle istituzioni della conoscenza in relazione ai contesti in cui si insediano. Sono infatti esperienze in cui si rende evidente, anche nella documentazione e nella letteratura, un ben determinato ruolo dell'istituzione all'interno della programmazione urbana.

Il riferimento è alla condizione delle Università anche straniere, la cui vitalità dipende evidentemente da altri fattori contestuali. Ad alcune di queste Università, per esempio Parigi e Barcellona, si farà ricorso per dimostrare la possibilità di un rapporto diverso, perlomeno proficuo dal punto di vista delle aspettative interne ai soggetti coinvolti, con le Amministrazioni locali, con lo Stato e con gli attori privati della trasformazione urbana. Tali esperienze, positive o meno, non potranno certo costituire uno sfondo di riferimento, né di esemplificazione o di buone pratiche, proprio per la differenza dei contesti sottesi, ma saranno utilizzate per fornire una misura di quello che sarebbe possibile attivare – in maniera ovviamente diversa – anche in Italia.

Entrando più nello specifico, la ricerca affronta la comparazione con la casistica selezionata attraverso la tematizzazione di alcune caratteristiche che si ritengono predominanti nel comportamento delle Università in relazione con il territorio. In particolare, si individuano tre principali indicatori della trasformazione urbana che possono essere condizionati, se non determinati, dalla presenza universitaria. Il primo è la valorizzazione immobiliare dei brani urbani in cui si insedia; il secondo è la pianificazione strategica di nuove parti di città, o di parti recuperate alla città, a partire dalla presenza universitaria; il terzo è l'internazionalizzazione della città, per la capacità di costituirsi veicolo o destinazione puntuale di quei flussi di mobilità studentesca e, più in generale, accademica che attraversano i territori su scala transnazionale.

Il racconto di altre esperienze oltre i confini nazionali è sembrato utile per proporre una comparazione capace non solo di portare all'attenzione alcune delle virtuose relazioni, materiali e immateriali, che le Università sono state in grado di stabilire con i territori, ma anche di suggerire nuove prospettive di indirizzo disciplinare.

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Una misura interna

La presentazione del caso studio, scelto tra molti, come esemplificazione della complessità che caratterizza la specificità nel contesto nazionale italiano, verrà invece utilizzata per restituire un sufficiente supporto conoscitivo, quantitativo e qualitativo, del contesto universitario romano. In maniera differente dai casi scelti sul piano nazionale o internazionale, dove è esplicito l'interesse per un certo tipo di comportamento delle Università in relazione ai contesti, il caso studio funziona come un esercizio ricognitivo necessario per capire i punti forti e le debolezze, come premessa per un intervento che sappia valorizzarne il potenziale trasformativo.

L'intento è dunque fornire uno sfondo conoscitivo, una prima misura, del potenziale trasformativo delle Università a partire da ciò che già è in campo, passando per i cambiamenti in atto a livello normativo e sociale, per avanzare – in conclusione – alcune proposte di politiche attivabili e operabili nel territorio. Per assolvere a questo scopo, più propositivo, si è scelto di individuare un caso studio che potesse essere, se non rappresentativo di tutto il diversificatissimo panorama nazionale, almeno significativo dal punto di vista dell'ingerenza territoriale percepita da un unico territorio amministrativo. Il caso studio dunque viene mutuato dalla necessità di fornire un supporto conoscitivo di un attore della trasformazione urbana che ad oggi sembra essersi sviluppato, nel bene e nel male, in completa solitudine.

Da una parte dunque la comparazione per conoscere, soprattutto attraverso le esperienze estere, ciò che è stato e ciò che continua ad essere; dall'altra il caso studio romano per conoscere ciò che è stato ma che in potenza potrebbe essere ancora compiuto.

La comparazione con i diversi contesti presi in considerazione, oltre e dentro i confini nazionali, costituiscono lo stimolo per impostare un successivo discorso di proposta e progetto sul piano delle politiche in Italia. Sebbene infatti i contesti di riferimento siano assai diversi, l'oggetto delle politiche messe in campo resta lo stesso: la coerenza tra gli interessi delle Amministrazioni, locali e nazionali, con quelli dell'istituzione universitaria per la promozione, lo sviluppo e il coinvolgimento dei territori e delle comunità coinvolte.

1.2. Il caso studio: note di metodo

Roma, con i suoi tre grandi Atenei statali, rappresenta un caso esemplificativo, se non paradigmatico per gli obiettivi che la ricerca si è prefissata. Entrando nel merito, si tratta di analizzare più nello specifico le esperienze dei tre Atenei romani attraverso una ricognizione quantitativa e qualitativa del loro impatto a livello territoriale e rintracciando, a ritroso nel tempo,

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quei percorsi che hanno caratterizzato la loro evoluzione. Il quadro conoscitivo che ne deriverà, in assenza di politiche coerenti da valutare, costituirà un valido supporto per una possibile futura programmazione. Non esiste infatti ad oggi uno studio che sappia relazionare in merito alla specificità dei tre Atenei - che da soli attraggono una percentuale superiore al 10% sul dato nazionale degli studenti universitari iscritti1- né dal punto di vista delle politiche in atto, né dal punto di vista delle relazioni con il territorio. In sintesi, seguiranno alcuni riferimenti per contestualizzare le Università sotto osservazione.

La prima Università di Roma “La Sapienza”, fondata da Bonifacio VIII nel 1303 con il nome “Studium Urbis”, troverà la sua collocazione nella città moderna con la realizzazione della Città Universitaria di San Lorenzo, realizzata tra il 1932 e il 1935.

Nel 1979 si approva la Legge2 costitutiva della seconda Università di Roma, l' “Università degli Studi di Roma Tor Vergata” sorta nella periferia sud-orientale, da cui prenderà il nome, e collocata in un'area vastissima (circa settecento ettari di proprietà pubblica) delimitata dal GRA, dall’autostrada Roma-Napoli e dalla Via Casilina. Il modello insediativo si volle distinguere immediatamente dalla prima esperienza caratterizzandosi, a lungo solo sulla carta, come campus universitario di tipo anglosassone e aprendo nuove questioni sulla mobilità e la coerenza di una Università isolata e autosufficiente.

Infine, nel 1992 prende il via la realizzazione della giovane “Università degli Studi Roma Tre”, che si insedia linearmente lungo la Via Ostiense, per poi concentrarsi in alcuni poli più significativi come il Mattatoio, San Paolo, San Martino della Battaglia, Marconi, che si aggiungevano alla storica sede, già della Facoltà di Magistero, di Piazza della Repubblica. Priva di un preciso disegno complessivo, la frammentarietà di Roma Tre si è tradotta in un importante esempio di recupero delle aree e degli edifici ex-industriali di Roma Sud.

Al di là delle tre Università statali appena nominate, che saranno oggetto di analisi, è utile segnalare comunque a Roma la presenza dello IUSM (Istituto Universitario di Scienze Motorie) e le numerosissime Università private, alcune molto prestigiose e antiche, altre decisamente meno. Vale la pena ricordarne alcune: l'Università Gregoriana, Lateranense e dell'Angelicum, l'Università Cattolica del Sacro Cuore, con la prevalente funzione sanitaria legata all'Ospedale Gemelli, la

1 Fonte: Anagrafe MIUR. Dati aggiornati al febbraio 2011. Nello specifico la percentuale sul dato nazionale degli iscritti è per La Sapienza del 6,74%; per Tor Vergata del 1,87%; per Roma Tre del 2%.

2 Già il governo Andreotti ne aveva disciplinato la costituzione nella L. 771 del 22/11/1972; ma è solo nel 1979 con la L. 122 del 05/04/1979 che si approva la legge costitutiva della Seconda Università di Roma con la quale si definiscono gli ordinamenti e i primi finanziamenti per la realizzazione.

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LUISS-Guido Carli, la LUMSA (Libera Università Maria S. Assunta), l’Università San Pio V e il più recente Campus Biomedico3.

La capitale dunque è un grande polo di formazione superiore (Berdini, 2008), cui vanno aggiunte le risorse intellettuali più legate alla ricerca, che vanno dal Consiglio nazionale delle Ricerche a enti di ricerca come l'Enea o l'Istat, insieme ad altre numerose strutture minori, senza tralasciare la fondamentale e prestigiosa presenza delle sedi internazionali dell'Onu, quali la Fao, l'Ifad e la Wfp.

La ricerca si concentrerà sul caso romano per tentare di fornire un quadro conoscitivo più approfondito di quello attuale, che permetta di mettere a sistema:

− la tipologia dell'insediamento a livello territoriale e il fattore della mobilità a scala metropolitana;

− la consistenza numerica degli addetti, tra studenti, docenti e personale amministrativo;

− lo studio delle premesse alla compilazione dei differenti patti territoriali, laddove esistano, messi in campo insieme all'Amministrazione comunale;

− le strategie di insediamento future, in base alle documentazioni presenti e alle prospettive politiche e di ragionamento dei singoli soggetti protagonisti delle trasformazioni urbane (delegati dai Rettori per lo sviluppo insediativo, progettisti della pianificazione urbana per i diversi Dipartimenti competenti, etc.).

Note metodologiche e limiti

È difficile, proprio per l'assenza di analisi approfondite e di studi di pianificazione preventivi, rintracciare la reale portata dell'impatto delle Università sulle economie territoriali in cui si sono insediate. Anzi, per dirla con le parole di Amin e Thrift, anche se questi studi preliminari ci fossero stati, al di là della loro natura, sarebbe stato

(…) praticamente impossibile formulare anticipatamente una teoria su come la conoscenza generata in ciascuno di questi ambienti si trasformi in un beneficio economico a livello locale” (Amin e Thrift, 2005: 110).

Infatti le Università appartengono a quella base istituzionale delle città, per lo più informale, che sfugge ad una categorizzazione tradizionale, poiché produce effetti spesso imprevedibili sia per 3 Sembrano invece di trascurabile significato, e non solo dal punto di vista dell’impatto insediativo, le numerose

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quanto riguarda il luogo in cui tali effetti si manifestano, sia per quanto riguarda la qualità dello spazio che li determina (Amin e Thrift, 2005).

A partire da questa condizione si tenterà tuttavia di restituire un quadro il più possibile attualizzato della condizione presente delle Università romane nei loro rapporti con il territorio. Di seguito si argomenteranno i motivi di questa difficoltà analitica applicata al caso studio specifico. Si possono distinguere tre questioni principali:

1. il tipo di insediamento prescelto dai tre Atenei statali, che verranno presi in considerazione per il caso studio, varia al variare della temporalità e delle condizioni storiche. Il modello storico della grande Università compatta (La Sapienza), il campus universitario (Tor Vergata) e infine l'Università diffusa nel tessuto urbano della città (Roma Tre), rappresentano tre diversi modelli insediativi che tuttavia, nel tempo, sembrano intrecciarsi fino ad omologarsi in alcuni casi. Si può affermare che si è preferito, per l'incremento dell'offerta formativa e della pressione studentesca, orientarsi verso il recupero di aree per la nuova costruzione o di edifici disponibili all'affitto anche molto distanti dall'insediamento universitario principale, in deroga dunque all'impostazione classica e tradizionale della cittadella o del campus universitari. Tutto questo spesso è avvenuto seguendo logiche ben distanti dalla programmazione condivisa, pianificata e integrata con il territorio.

2. L'impatto economico che andrebbe valutato per poter sostenere l'importanza dell'attore strategico in questione è di complessa determinazione. Troppi fattori, in un vuoto di programmazione e di studio preliminare di analisi delle condizioni di partenza, determinano la riuscita o meno di alcune operazioni di “riqualificazione” (che viene infatti spesso chiamata in causa a posteriori, con uno sguardo sugli effetti di tali operazioni). Soprattutto per quanto riguarda le attività commerciali è possibile, di certo, riconoscere un cambiamento delle attività legate alla nuova presenza universitaria. Spesso però, banalmente, tale trasformazione si riduce all'incremento delle attività legate alla ristorazione e ai servizi per gli addetti delle Università4.

3. La mancanza strutturale di servizi per lo studente (mense, case per lo studente, spazi per lo sport e il tempo libero, ecc.) condizionano enormemente gli effetti dell'impatto insediativo 4 Inoltre, se si volesse affrontare tale questione da un punto di vista più ampio, si dovrebbe entrare nel merito dello spinoso, nonché stimolante, tema della gentrification. Di altra natura è però l'interesse di questa ricerca, concentrata sulla possibilità di individuare un condizionamento qualitativo delle attività produttive nel territorio in termini di avanzamento tecnologico, di innovazione e di proposta di particolari servizi di terziario avanzato.

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delle Università, in particolare per quanto riguarda il mercato degli affitti e la valorizzazione immobiliare delle aree coinvolte. Anche in questo caso è difficile riuscire a valutarne l'entità. Per problemi indipendenti da questo specifico contesto, ma strutturali dell'intero Paese, non esiste infatti la possibilità di accedere a dati statistici che valutino l'incremento “reale” dell'offerta abitativa. Di fatto però è semplice dedurre che, mancando un'offerta tipologicamente adeguata a questa fascia di popolazione metropolitana, gli studenti soprattutto fuori sede sono costretti a rivolgersi al mercato alloggiativo privato, contribuendo, loro malgrado, all'innalzamento dei valori immobiliari. Pochissimi sono infatti i contratti registrati, e gli studenti appartengono a una specifica categoria sociale che più, tra le altre, patisce le speculazioni del mercato nero nell'affitto.

1.3. Architettura della tesi

In questo paragrafo la ricerca verrà presentata rispetto alla successione logica seguita per la trattazione della tesi. Si presenteranno sinteticamente i contenuti dei capitoli che verranno argomentati successivamente, per fornire un quadro di riferimento il più possibile chiaro.

Si è già percorso il tratto che riguarda l'introduzione, gli obiettivi e le ipotesi della ricerca, che riconoscono alle Università un potenziale trasformativo non sufficientemente sfruttato, e si sono inoltre delineati i limiti legati alle problematiche metodologiche inerenti al caso studio prescelto, per esaurire con questo paragrafo il primo capitolo.

Il secondo capitolo riguarda la rassegna degli studi esistenti rispetto al tema in questione. La letteratura di riferimento è vasta e di largo spettro. Per questo motivo è stato necessario organizzare i testi secondo alcune tematiche macroscopiche, al fine di comporre un supporto teorico utile alla trattazione. In particolare, vi è un primo gruppo di testi che riguarda la relazione disciplinare tra l'Università, le città e i territori di scala più ampia. È un'analisi che seleziona tra gli studi urbani, e quelli di settore prossimi alla pianificazione, le ricerche che hanno come oggetto le Università coinvolte in processi di trasformazione territoriale. Il secondo tema riguarda invece i testi che affrontano l'Università come un'istituzione non solo urbana, ma soprattutto sociale e politica, rispetto agli orientamenti e le indicazioni sulle future prospettive. Infine il terzo tema considera i testi che guardano alle Università come istituzioni della conoscenza, come attrici protagoniste tra le altre dei complessi meccanismi di riproduzione dell'economia della conoscenza, anche e soprattutto in tempi di crisi economica.

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Il terzo capitolo è dedicato al cambio di paradigma che sul piano economico e produttivo riconosce nella “conoscenza” il nuovo orizzonte strategico. In particolare, si considererà in quale misura l'innovazione, la ricerca e i servizi avanzati pesino all'interno del nuovo contesto economico, e si argomenteranno gli eventuali legami tra tali nuove forze produttive e il territorio. Inoltre, si prenderanno in considerazione quei documenti prodotti dalle istituzioni competenti in Europa che, politicamente, indicano le prospettive su cui dovranno convergere in un futuro molto prossimo (in qualche caso si tratta però di un futuro già passato!) tutti gli Stati membri.

Fu proprio a partire da questa convergenza europea, fortemente voluta dagli organi politici centrali, che l'Italia cominciò la sperimentazione della riforma didattica, distinguendosi per solerzia (ma forse non per intelligenza) dagli altri Stati firmatari. La prontezza con cui si è deciso, in Italia, di adeguarsi alle direttive europee sull'omogenizzazione dei percorsi formativi non ha caratterizzato nessun altro governo europeo. Il motivo di tale generalizzata prudenza europea, che sicuramente non significa sottovalutare dell'importanza del tema, è da ricercare probabilmente in un più accorto e cauto avvicinamento alle riforme didattiche da parte di sistemi universitari storicamente differenti rispetto a quello anglosassone5, che l'Europa decise di promuovere come unico modello tra tutti gli altri.

Il capitolo 4 tratterà più nello specifico il tema della trasformazione dell'Università italiana a partire dal rinnovamento didattico di un impianto tradizionalmente “italiano”, descrivendo la proliferazione qualitativa e quantitativa di nuovi Atenei, problematizzando gli effetti dell'aziendalizzazione dell'istituzione, per tentare una prima valutazione a distanza di più di dieci anni dall’inizio della sperimentazione, basata sul contributo degli organi italiani ed europei addetti allo scopo.

Il successivo capitolo 5 avrà il compito di individuare, laddove possibile, il ruolo delle Università in rapporto a diversi indicatori di trasformazione urbana. Si prenderanno in considerazione quei casi, anche internazionali, in cui la presenza universitaria non viene subita casualmente dal territorio ma, al contrario, diviene occasione di programmazione e pianificazione di concerto con differenti attori della trasformazione urbana. Sono esempi di buone pratiche in cui l'interesse di un certo settore sociale converge con la riuscita e la promozione dell'istituzione universitaria.

5 Ma non per questo meno prestigiosi: si pensi ad esempio al celebre sistema universitario tedesco, detto “humboldtiano”.

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Nel capitolo 6 verrà analizzato e descritto “il caso romano” per quanto riguarda l'evoluzione dei tre Atenei statali della capitale, rispetto all'inquadramento territoriale e alla storia dell'insediamento. Oltre ad una mappatura del loro peso insediativo sulla città, si tenterà, attraverso lo studio degli strumenti urbanistici di volta in volta utilizzati e di interviste ai diretti protagonisti delle trasformazioni, di restituire un quadro il più possibile fedele alle strategie di orientamento presenti, passate e future. Tale scenario potrebbe costituire un utile punto di partenza per la costruzione di politiche adeguate all'ottimizzazione della presenza universitaria nella città di Roma.

Nelle considerazioni finali si evidenzieranno le potenzialità materiali e immateriali dell'istituzione universitaria in relazione al contesto nazionale descritto. Attraverso la narrazione delle esperienze contenute nel caso studio e la comparazione con gli esempi internazionali e non, si definiranno in maniera più esaustiva le premesse per un intervento che sappia ridurre la perversa ambiguità del panorama italiano. Se da una parte infatti si assiste ad una complessità di casi che si differenziano per contesti e condizioni al contorno in un campanilismo sfrenato di specificità territoriali, sociali e politiche, spesso mascherato dalla chimera dell'“autonomia”, dall'altra si evidenzia come il rubinetto del finanziamento statale sia per lo più l'unico erogatore di finanziamenti per la gestione, la programmazione, lo sviluppo e il funzionamento dei singoli Atenei. Inoltre, sebbene la consistenza del condizionamento statale sia così determinante, manca un'intenzione politica centrale capace di stimolare tale varietà di differenze. La rete istituzionale costituita dagli insediamenti universitari già presenti dotata di aree, di spazi collettivi e di servizi, costituisce di per sé una base di partenza per attivare operativamente politiche urbane ad hoc. La consistenza quantitativa e la specificità qualitativa, come si vedrà meglio nel caso romano, non sono affatto banali. Si tenterà dunque di delineare il potenziale di tale risorsa territoriale, nella prospettiva della messa a sistema con quello delle altre reti istituzionali, economiche e sociali. In tal modo la ricerca propone di individuare, nelle Università, quel supporto istituzionale di risorse comuni per il territorio su cui poter finalmente operare politiche di interesse collettivo e di livello strategico.

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2. Stato dell'arte (rassegna degli studi esistenti)

A proposito dell’Università si è scritto e si scrive molto ancora oggi. Difficile orientarsi nel panorama del campo disciplinare in questione, perché inevitabilmente si scivola verso l'analisi specifica di casi singoli, o al contrario, in valutazioni di scala troppo ampia che esondano nelle scienze politiche e nella sociologia. Come se questo tema, a differenza di altri, testimoniasse anche nella produzione scientifica e a livello bibliografico la difficoltà registrata al livello dello strumento urbanistico o della sua mancata integrazione nel pianificare la città.

Differente è il caso di molta della letteratura internazionale che sembra invece saper integrare gli aspetti più interessanti al fine di riconoscere e promuovere l'Università come motore di trasformazione urbana. In particolare la letteratura anglosassone e americana sembra aver assunto, nel campo degli studi urbani, un semplice dato di legittimità dell'Università come attore di trasformazione territoriale tra gli altri, riconoscendo all'autonomia decisionale e strategica degli Atenei una importanza notevole. Esistono studi in merito alla definizione di reti territoriali dovute ad un singolo istituto o studi di pianificazione che inseriscono le Università come soggetti portatori di interessi anche di tipo economico, spesso immobiliare. Inoltre, a differenza che in Italia, il contributo e l'ingerenza statale nella fortuna delle Università in campo internazionale assume pesi e caratteristiche molto differenti. Ciò comporta la difficoltà di un'indagine comparativa (che comunque non verrà portata avanti in questo contributo) e implica ancora oggi uno sguardo attento all'omogenizzazione del percorso formativo europeo.

La letteratura presa in considerazione dunque si confronta direttamente con il problema aperto della ricerca: più che la rassegna delle buone pratiche di integrazione dei processi, tra Università come attore della trasformazione e istituzioni pubbliche (di cui comunque si riporteranno alcuni casi notevoli) si prenderanno in esame i testi che individuano le risorse intrinseche delle istituzioni della conoscenza e delle Università nelle trasformazioni urbane dei contesti contemporanei. Per lo più si considereranno inoltre i testi che, a proposito del contesto italiano, si confrontano con la costruzione dello scenario economico-culturale che stiamo attraversando e la definizione del quadro accademico riformato negli ultimi dieci anni. Sono testi di riflessione e ripensamento, infine di valutazione.

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2.1. Università città e territorio

Per quanto riguarda gli studi urbani o quelli di settore più prossimi per interessi e strumenti, la ricerca si affida allo studio di una selezione di analisi e di strategie territoriali che sono funzionali all'integrazione delle Università nelle politiche urbane. In questo senso in Italia si distingue positivamente il lavoro condotto da numerosi gruppi di ricerca nel contesto meridionale.

Il lavoro accurato e interessante di ricognizione sulle esperienze di pianificazione integrata tra Università e città nel Mezzogiorno, promossa dalla SIU (Società Italiana Urbanisti) e a cura di Martinelli e Rovigatti (2005), tenta di promuovere una strada di potenziamento delle Università come risorse urbane di interesse nazionale. L'indagine, che ha coinvolto sei gruppi di ricerca di altrettanti Atenei meridionali (Bari, Cosenza, Chieti e Pescara, Palermo, Potenza e Matera, Salerno), ha riguardato da un lato i rapporti di interdipendenza tra processi di sviluppo dei contesti locali e istituzioni universitarie consolidate e in corso di riorganizzazione nel Mezzogiorno, dall'altro gli effetti delle strategie di sviluppo dei poli universitari meridionali sui processi di riqualificazione urbana e territoriale. Il quadro che ne emerge è assai eterogeneo e individua sia alcuni casi eccellenti che altri profondamente irrisolti, ma in sintesi lascia filtrare l'importanza dell'opportunità di sistematizzare le diverse Università nei contesti di riferimento secondo logiche di rete e criteri di coesione, per rilanciare a livello strategico il ruolo delle Università nella valorizzazione e nella internazionalizzazione dei contesti locali e dei sistemi urbani meridionali.

La stessa ricerca fu anticipata circa un decennio prima da un'altra, a cura di Ricci e Rovigatti (1996), per il riconoscimento delle Università in Abruzzo come motore economico oltre che culturale della Regione. La ricerca, svolta all'interno dall'attività per il “Progetto Mezzogiorno” del Consiglio Nazionale delle Ricerche, parte dal considerare l'Università come un sistema non separato e autonomo ma, al contrario, integrato allo specifico tessuto economico e sociale, per poter costituire un fattore importante di sviluppo per il Mezzogiorno. Le relazioni che possono intrecciarsi tra sviluppo economico locale e l'istituzione universitaria, le modalità e le esperienze messe in campo, lo sforzo per il riconoscimento di una portata economica oltre che formativa, costituiscono il contributo di questa ricerca al dibattito in campo.

Fondamentale anche il contributo di una ricerca (Lemmi e De Leo, 2007) pubblicata dalla Società Geografica Italiana che indaga, a livello nazionale, la mobilità studentesca e il nuovo equilibrio su cui si sta attestando la geografia territoriale delle Università italiane. Oltre a fornire un

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quadro estremamente preciso delle aree di influenza attuali rispetto alla domanda studentesca, la ricerca ricostruisce l'andamento storico delle Università italiane rispetto ad aree di influenza che nel tempo si sono ridotte, modificate o moltiplicate nel territorio nazionale. Le premesse allo studio partono dal nuovo ordinamento didattico a cui la ricerca attribuisce la responsabilità di un mutato assetto di organizzazione territoriale delle Università, tutto da indagare. Un rapporto con il territorio che si nutre di relazioni e funzioni di rango elevato e che genera spazi organizzati da trame ibride, sostanziati da robuste radici e ispessiti da funzioni ordinarie su cui si concentra una domanda, a volte fortissima, di istruzione superiore. Tale rapporto si connota, inoltre, come un rapporto prevalentemente urbano. Infatti, nello studio delle gerarchie e delle trame relazionali emerge la caratterizzazione urbana dell'università italiana nella sua proiezione territoriale.

Lo studio si propone infine di costituire un valido supporto per la ridefinizione e qualificazione del sistema universitario italiano a partire dall'intersezione, precipitata sulle aree di influenza urbana, tra domanda studentesca e offerta formativa. Il lavoro di analisi e la documentazione grafica allegata rappresentano un utile parametro di confronto per capire le aree di influenza e gravitazione dei principali Atenei italiani. A partire da uno studio del 1969 condotto da Alberto Mori e Berardo Cori (in cui si proponeva la carta delle aree di gravitazione urbana dovuta alla polarità esercitata da parte dei principali Atenei italiani, con iscritti superiori alle diecimila unità) lo studio di Lemmi e De Leo (2007) si pone come obiettivo quello di aggiornare le carta stessa in considerazione però del mutato assetto odierno, caratterizzato da un forte decentramento e da un'estrema frammentazione delle strutture universitarie (cfr. Allegato 1 e 2).

Queste considerazioni sono importanti non solo per la metodologia differente utilizzata, ma perché costituiscono dei condizionamenti per la disciplina di riferimento, costretta finalmente a fare i conti con un dato fluido e cangiante, i flussi della mobilità studentesca e il pendolarismo, che sostituisce il dato più stabile rappresentato dalle strutture universitarie presenti per Provincia. In tal modo si evidenzia un nuovo peso contrattuale della mobilità studentesca, che sceglie e si muove nel territorio nazionale e internazionale, assicurando il successo, o il fallimento, della offerta formativa proposta. Nello studio in questione si suppone infatti che gli Atenei che nel 1969 erano in grado di generare un'area di influenza maggiore siano gli stessi che, nel corso degli anni, hanno avuto più capacità di ampliare l'offerta, partendo da una posizione avvantaggiata. Paragonando in un'ottica diacronica le aree “storiche” con le attuali aree di influenza, si dimostra in sostanza che, laddove le

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politiche di decentramento non sono state precedute da valutazioni preliminari sull'offerta formativa richiesta dalla domanda studentesca, le stesse politiche non hanno prodotto apprezzabili ricadute territoriali. Tale esito diviene dunque uno strumento fondamentale nell'ipotesi di riarticolazione generale dell'offerta formativa, di valutazione delle politiche accademiche di decentramento innescate dalla riforma didattica e dei possibili correttivi necessari ad un riequilibrio generale del sistema universitario su scala nazionale che evitino un inutile spreco di risorse pubbliche.

Di altra impronta lo studio milanese diretto da Camagni (per conto di “MeglioMilano”: Camagni, 2005) sull'impatto economico delle Università nel sistema metropolitano del capoluogo lombardo. La ricerca, puramente di economia urbana, ha il pregio di esplorare, attraverso analisi approfondite e aggiornate al 2005, i molteplici rapporti tra città e Università al fine di elevare il livello di attenzione dei policy maker e di evidenziare possibili aree di intervento sia urbanistico-amministrativo che economico-immobiliare. L'ambito di approfondimento proposto da questa ricerca verrà da noi considerato anche nel caso studio romano, con le dovute distanze imposte dalle differenti competenze, per affrontare e provare a valutare il peso degli indicatori statistici riguardanti il numero degli studenti e degli addetti. Ciò che infatti emerge dalla ricerca milanese è un dato puramente funzionale alle logiche economiche: sottovalutare tali fattori di trasformazione urbana produce, semplicemente, la mancata realizzazione di un profitto.

Per quanto riguarda i progetti e i piani che nello specifico del caso studio romano testimoniano la volontà di coerenza tra gli accordi e la realizzazione del costruito dei tre Atenei romani, si farà riferimento ai lavori prodotti dai Dipartimenti di pianificazione e progettazione architettonica relativi, oltre ai documenti di accordo programmatico. In particolare, per la Sapienza la ricerca di Palumbo (2007); per Tor Vergata, il recentissimo studio di De Laurentiis, Geremia e Stucchi (2010); per Roma Tre, il lavoro curato da Canciani (2004).

La piramide rovesciata6

Vale la pena rammentare che nel campo degli studi urbani il dibattito in Italia sulle Università proviene da una lunga tradizione architettonica e urbanistica.

I testi presi in considerazione in questo contesto sono però quelli che riguardano il passaggio epocale alla “Università di massa”. A questo proposito gli studi di Giancarlo De Carlo degli anni 6 “La piramide rovesciata” è un testo di De Carlo pubblicato nel 1968 nato dalle conversazioni con gli studenti di Torino durante le mobilitazioni. Si tratta di una riflessione sullo stato dell'università che è diventato un testo di riferimento per la rivolta studentesca e le sue ragioni.

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'60-'70 sono esemplari, come del resto le diverse esperienze di grande valore culturale messe in campo dagli studiosi, architetti e urbanisti che in quegli anni si sono dedicati alla progettazione integrata tra servizi pubblici e territorio. Il momento storico attraversato condizionò l'operato teorico di queste generazioni, per le quali lo spazio pubblico e le sue funzioni, tra cui l'Università, erano occasioni irripetibili per il progetto e la pianificazione di una società più equa. I diversi lavori sulle nuove funzioni educative nel territorio servivano innanzitutto alla ridistribuzione di spazi collettivi per la ricerca di un equilibrio inedito tra comunità insediate e privatezza, tra pubblico e individuo. A proposito dell'idea di Università e del patto sociale con il territorio, De Carlo risponde a partire dalla sua esperienza di studio e insegnamento statunitense:

Forse, prima di tutto di non considerare l'università come un corpo separato e autonomo. (...) Il farne esperienza diretta mi ha persuaso che l'università deve essere parte attiva della società, della città, verso le quali ha diritti e doveri. I diritti generalmente se li prende, ma il bilancio deve essere in pari: deve anche dare, alla società, alla città e al territorio in termini concreti. Deve, per esempio, offrire spazio. Non ha senso che l'università possieda grandi anfiteatri e che siano chiusi la sera, il sabato e la domenica, oppure utilizzati tre volte l'anno (come capita con le aule magne) quando la città ha bisogno di spazi per ospitare riunioni, convegni o spettacoli. Lo stesso si può dire per le biblioteche e per tutte le altre attrezzature e servizi che, se fossero aperti a tutti, potrebbero essere usati continuamente dalla città. Così come l'università usa la città e il territorio, altrettanto l'università dovrebbe essere adoperata dalla città e dal territorio. Ci sono alcune sue parti che dovrebbero restare private (sono meno di quanto sembri a prima vista), le altre possono essere pubbliche o semipubbliche. Si formerebbero sinergie enormemente utili; e l'insegnamento e la ricerca sarebbero più protetti dai condizionamenti del potere. (Bunčuga, 2000: 159)

De Carlo è impegnato durante l'intero corso della sua carriera in progetti che hanno a che fare con le Università e con il loro inserimento nei contesti urbani come motore di sviluppo urbano e sociale. I progetti per le Università di Dublino, Pavia, Urbino e altri ancora, riflettono uno sforzo notevole di soluzione del rapporto con il territorio in chiave produttiva in senso lato.

L'intuizione di considerare l'Università come elemento enzimatico delle energie dei differenti contesti e di considerarla come elemento fondativo della nuova società contemporanea e parte delle sue più complesse articolazioni, come componente strutturale del modo con cui le città si organizzano, rende assolutamente attuali i suoi ragionamenti sui modelli insediativi. L'Università non più come corpo separato, né indifferente ai tessuti urbani:

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Si proponeva invece una struttura multipolare articolata, capace di proiettarsi nella totalità dello spazio fisico aggregandosi ad altre attività significative, per potenziare loro e se stessa e per colmare le lacune culturali e organizzative degli strati sociali più emarginati e periferici.

Questo obiettivo è stato perseguito, messo a punto e adattato con molte varianti nelle diverse situazioni dove mi è capitato di progettare Università: per esempio a Siena, a Urbino, a Catania, dove la progettazione universitaria ha assunto anche obiettivi di recupero del patrimonio storico, di riabilitazione dei tessuti urbani obsoleti, di sperimentazione costante sulla possibile coesistenza del linguaggio del presente con linguaggi fortemente caratterizzati del passato. (Bunčuga, 2000: 152)

Si farà riferimento e cenno, dunque, anche alle previsioni di progetto e alle architetture che connotano gli insediamenti universitari, in riguardo al caso romano e all'evoluzione storica dei tre modelli insediativi.

Il testo di De Carlo Pianificazione e disegno delle università (De Carlo, 1968), costituisce il primo esempio di testo dedicato al tema di matrice urbanistico-architettonica e ha il pregio di tenere insieme una visione generale delle Università su scala nazionale. La chiave di lettura è anche innovativa e, fino ad oggi, ancora valida: non si tratta infatti di progetti e piani indifferenti ai contesti ma, al contrario, di occasioni progettuali complesse, ricche di implicazioni politiche e sociali. Tali stimoli di De Carlo saranno dunque largamente utilizzati in questa trattazione, sia per stabilirne la distanza storica che ce ne separa sia, soprattutto, per recuperare dalla memoria disciplinare gli obiettivi e le finalità sociali nell'approccio a tale tipo di istituzioni.

2.2. Tra le valutazioni e i desideri: Università nel presente e nel futuro

Per quanto riguarda il campo delle previsioni, delle anticipazioni e delle indicazioni sull'orientamento futuro delle Università, si farà riferimento a due campi distinti della saggistica prodotta in merito: il primo, che costituisce lo sfondo di molta letteratura, è di tipo valutativo e statistico e si offre a ragionamenti e riflessioni di stampo analitico; il secondo campo di studi è di tipo più sociologico, e si apre anche al dibattito di proposte e/o critiche nel merito di alcune questioni socio-politiche (mi riferisco, ad esempio, alle condizioni lavorative del precariato cognitivo o alle ragioni delle lotte studentesche e dei conflitti sociali). Si tratta in entrambi i casi di ricerche che riescono a testare il polso delle Università e dei loro rapporti con il territorio partendo di volta in volta da punti di vista differenti e offrendo la possibilità di un quadro dalla lettura complessa, sempre sfaccettata.

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Al primo campo di studi appartengono certamente i rapporti valutativi a partire dai dati statistici ministeriali promossi dal MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca), per lo più prodotto del lavoro del CNVSU (Comitato Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario) e anche del CIVR (Comitato di Indirizzo per la Valutazione della Ricerca). Inoltre di grande interesse è il rapporto per l'anno 2010 della Corte dei Conti sull'andamento della riforma universitaria, recentemente pubblicato dalla magistratura contabile come “Referto sul sistema universitario”. Se infatti i primi tre appartengono ancora ad un sistema valutativo non perfezionato, quindi condizionato fin troppo dalle nomine ministeriali, il quarto mantiene un distacco utile, di libertà, per proporre un discorso quantomeno critico sul tema delle riforme didattiche universitarie subite dal sistema accademico italiano in questi ultimi anni.

Di altro stampo e con intento comparativo è il lavoro di ricerca promosso dal progetto “Unimon” che è stato coordinato dall’Università di Milano-Bicocca con lo scopo di verificare la realizzazione della riforma degli ordinamenti didattici in sei atenei (Pavia, Genova, Urbino, Sassari,Venezia “Ca’ Foscari” e la stessa Milano-Bicocca) che hanno co-finanziato, insieme al MIUR, la ricerca stessa.

Il raffronto con lo spazio europeo e transnazionale tra sistemi formativi e Stati è affidato alla documentazione e all'elaborazione statistica prodotta dall'ERA (European Research Area) e dalle sottocommissioni di studio più specifiche sullo sviluppo economico, l'innovazione e la ricerca. Molto materiale, come le produzioni grafiche e numeriche, elaborato dall'OECD (Organisation for Economic Co-Operation and Development) è utile soprattutto alla valutazione dei ritardi o dei successi degli Stati Membri rispetto ai target di Lisbona e del Processo di Bologna.

Al secondo campo di studi invece appartengono i testi che ragionano sulle conseguenze della riforma didattica universitaria in Italia e in Europa. Sono contributi di stampo politico-sociale (Bernardi e Do 2010; Roggero, 2009; AA.VV., 2008) che, a partire dallo stravolgimento del ruolo dell'istituzione universitaria di stampo moderno, approfondiscono i temi dell'aziendalizzazione delle Università e le caratteristiche sociali del precariato cognitivo, sempre più sfruttato e ricattabile, nonostante il ruolo strategico che esso stesso ricopre nel sostegno alla didattica. Sempre sullo stesso tema, ma da un punto di vista differente, il testo di Casillo, Aliberti e Moretti (2007) che riguarda la crisi che il sistema formativo italiano sta attraversando, privo dell'energia necessaria a correggere le storture e gli errori di inefficacia e irrazionalità che hanno puntellato il sistema nazionale in questi ultimi dieci anni. In sostanza il libro denuncia che la riforma, nata per migliorare la condizione generale per la trasmissione del sapere e per l'insegnamento, in realtà non lo abbia fatto e anzi abbia per molti versi aggravato gli squilibri esistenti. Alcune particolarità, tutte italiane, come le

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Università telematiche di recente istituzione (spesso dequalificate e speculative), non fanno altro che incrementare la distanza tra le condizioni reali da migliorare e gli obiettivi di miglioramento.

2.3. Economia della conoscenza: Università come istituzione nella crisi

Sul rapporto tra sistema produttivo capitalistico ed economia della conoscenza si confrontano importanti testi teorici Sassen (2003; 2008; 2008a), Harvey (1997), Castells, (2008) all'interno di una letteratura che dagli anni Novanta lavora sulla possibilità di localizzare la produttività dei sistemi sociali contemporanei in uno spazio metropolitano, organizzato in rete e di scala transnazionale. Inoltre, si indaga sulla mutazione dell'esperienza dello spazio e del tempo (Castells, 2008), sulla trasformazione dei sistemi produttivi, sull'alleanza governativa internazionale delle attività finanziarie (Sassen, 2008a), sulla nuova stratificazione sociale alla base delle economie contemporanee capitaliste postmoderne (Harvey, 1997), infine sulla nuova natura cognitiva del capitale (Vercellone, 2006).

Questa impronta caratterizza fortemente anche i testi che interrogano le trasformazioni a livello urbano della città post-industriale (Bagnasco, 1990; Amendola, 1997; Landry, 2000) in cui si rintracciano quegli elementi che, come la competitività dei distretti culturali (Santagata, 2003) e la messa in produzione dei brani urbani attraverso i meccanismi diretti della rendita immobiliare, saranno i punti di aggancio per le sfide disciplinari sulle nuove e più funzionali politiche urbane adottabili (Kantor e Savitch, 2002). Sui legami tra produzione e conoscenza e sui distretti culturali, si considerano anche i testi di Perulli (2002) e di Rullani (2004).

Inoltre le città si trasformano anche nella percezione e nell'immaginario, non più ancorate al riconoscimento spaziale che le identificava in opposizione ad altre categorie, come la campagna, ma immediatamente proiettate in una immaterialità di attraversamenti, di flussi e di continui stravolgimenti (Sassen, 2003; Amin e Trifth, 2005). Pratiche informali (de Certeau, 1990), reti associative non più solo locali, ma capaci di relazionarsi a contesti più ampi sulla base di un interesse comune, conflitti e tensioni sociali definiscono nuovi paesaggi contemporanei e contestualmente animano le trasformazioni dei territori a cui sono necessari nuovi strumenti esplorativi e conoscitivi (Balducci e Fedeli, 2007) .

Il territorio stesso diviene dunque parte del sistema produttivo e le trasformazioni ad esso connesse appartengono non più solo alla sfera dell'economia urbana, ma anche a quella della produttività economica e finanziaria. Il soggetto di queste ricerche si sposta allora dal sistema produttivo al sistema produttore: il territorio acquisisce un'importanza inedita, come supporto delle

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distretti culturali nell'economia della conoscenza e come origine dei processi di sviluppo economico (Berni, 2006).

La crisi

Proprio lo sviluppo economico del sistema capitalista come l'abbiamo conosciuto fino ad oggi, nel progresso e nella crescita, nelle diseguaglianze e nelle contraddizioni, nella mobilità sociale e nella polarizzazione della ricchezza e della povertà, conosce attualmente una crisi, che sembra strutturale. La previsione retorica di uno spazio dell'economia dominato dalla conoscenza (quindi da un aspetto nobile delle possibilità umane) e dall'immaterialità degli scambi finanziari, nell'epoca del liberismo ha svelato un dato crudamente materiale: la crisi sull'economia cosiddetta reale. Crisi dell'economia globale, delle alleanze internazionali sul piano finanziario, dei consumi, dei redditi (Fumagalli e Mezzadra, 2009) in un contesto lavorativo dominato dal precariato, dalla flessibilità, dall'incertezza per le giovani generazioni. Crisi inattesa per il ceto medio, eppure foriera di prospettive nuove, di “rivoluzioni lunghe” (Grazzini, 2008), proprio perché la conoscenza e i sistemi economici basati su di essa lavorano su meccanismi di cooperazione, di messa in rete, di costruzione di beni comuni già a partire dalla condivisione delle pratiche sociali interattive e di comunicazione e dall'innovazione tecnologica.

L'Italia in questo contesto subisce una sofferenza non indifferente. La direzione e l'orizzonte per un cambio di rotta pare essere indicata da tempo da diversi economisti e sociologi. Il salto di qualità è necessario, l'Italia deve attestarsi ai livelli internazionali per investimenti su ricerca e attività formative, per non rimanere schiacciata dalle economie emergenti assai più competitive e stabilire un nuovo patto sociale tra le parti ( Toniolo e Visco, 2004). L'investimento dunque e non il taglio della spesa su istruzione e ricerca, il ripensamento e non la razionalizzazione, la cooperazione e l'integrazione non la competitività e l'isolamento.

Istituzioni come strumento

Del resto, come si ricorda nel testo di Donolo (2007), l'Unione Europea ha posto in agenda questioni che non si riducono alla crescita, ma che riguardano la capacitazione degli individui, la qualità sociale e ambientale, la sostenibilità dei processi, infine l'investimento sulla formazione, per raggiungere come obiettivo il costituirsi dell’Europa come spazio economico e sociale omogeneo si scala transnazionale. Il rischio di sottoporre alcune funzioni pubbliche di interesse comune ai processi di mercificazione e alle logiche di mercato è stato corso e gli esiti non sono stati affatto

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positivi (Donolo 2007). È ora, insomma, che il liberismo faccia un bilancio del suo corso, non più breve, e che le politiche pubbliche trovino nuova ispirazione.

Il testo di Lascoumes e Le Galès (2009) si interroga a proposito su un tipo di sviluppo economico che sia legato alla qualità delle istituzioni ad esso connesse. Istituzioni come veicoli della trasformazione, portatrici di valori, abitudini e aspettative future. In esse l'Europa riconosce una sponda importante, un riferimento strategico, per poter analizzare l'efficacia delle politiche attivate a partire dalla valutazione dell'efficacia dello strumento stesso. Si tratterebbe semplicemente di una convergenza di interessi, tra Stato centrale e istituzione locale.

Sulla problematizzazione della sfera pubblica e delle sue derivazioni, sull'efficacia del progetto delle politiche pubbliche in campo urbano, laddove rimbomba l'afasia di urbanisti e architetti a proposito delle condizioni attuali e delle trasformazioni epocali in atto, e sull'esigenza di ripensare la progettazione territoriale avvalendosi delle buone pratiche, la ricerca si nutrirà soprattutto delle considerazioni e dei ragionamenti offerti da Bianchetti (2008).

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3. Il contesto economico e produttivo

Imprescindibile da un qualsiasi discorso nel merito delle istituzioni della conoscenza all'interno dei processi di trasformazione urbana è l'individuazione del contesto economico e produttivo in cui si inseriscono attualmente. In particolare le città e le metropoli, al cui interno si collocano gli insediamenti universitari, si sono costituite nella contemporaneità come soggetto economico e produttivo dal protagonismo inedito. Nell'era dell'economia della conoscenza molta importanza è stata affidata alla capacità urbana di mobilitare risorse economiche al di fuori dei tradizionali assetti produttivi industriali. Città come nodi di interscambio in un mondo di flussi e assemblaggi di relazioni economiche (Amin, Thrift, 2005), città globali (Sassen, 2003), città creative (Landry, 2000). All'interno delle città alcuni specifici luoghi in particolare sembravano costituire il nuovo volano economico al tempo della crisi post-industriale degli anni Settanta: distretti culturali e produttivi (Perulli, 2002; Santagata, 2003; Rullani, 2004) e spazi rigenerati, dopo la dismissione industriale, attraverso la collocazione di poli della formazione superiore e di svariate funzioni culturali ancorate ad un territorio reinventato (Amendola 1997; Berni, 2006).

Oggetto del capitolo sarà capire come le istituzioni della conoscenza e le Università siano entrate in questo paradigma economico e quali nuove sfide saranno coinvolte a sostenere sul piano produttivo. Lo sfondo di riferimento è – almeno – europeo. Tale contesto geografico e amministrativo nelle sue direttive politiche e di indirizzo considera la conoscenza, dunque l'innovazione tecnologica, logistica e amministrativa, la ricerca e i servizi avanzati come il nuovo orizzonte strategico per lo sviluppo e la solidità economica di tutti gli Stati.

Furono tali considerazioni all'origine del processo di omogenizzazione didattica e programmatica chiamato Bologna Process il cui primo obiettivo sarebbe dovuto essere la costituzione di un'area europea dell'alta formazione (EHEA - European Higher Education Area).

Nel 2010, allo scadere dei dieci anni dalla data di inizio del processo, tale obiettivo non è stato ancora raggiunto. Lo scorso inverno a Vienna si è prorogato il termine di altri due anni nella convinzione di poter accelerare “l'attuazione delle riforme laddove queste ancora stentano ad essere applicate” (Bernardi e Do, 2010). Nonostante il ritardo a livello europeo, tale invito fu colto per prima dall'Italia costituendosi come “un vero e proprio laboratorio di applicazione del Bologna

Process attraverso il continuo susseguirsi di riforme negli ultimi dieci anni” (Bernardi e Do, 2010).

Come vedremo però nello sviluppo del capitolo, alla rapidità e allo sforzo di adattamento del sistema didattico italiano, tanto con la modularizzazione dei corsi che con la formalizzazione del

Figura

Figura 1: Finanziamenti per l’Istruzione dei Paesi OCSE
Figura 2: Percentuale del PIL investito negli Atenei dei Paesi OCSE
Figura 3: Lisbon target 2006
Figura 6: Tertiary educational attainment, age group 30-34 – target 2020
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