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Un d, se non andr sempre fuggendo di gente in gente...

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Academic year: 2021

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(1)

IN MORTE DEL FRATELLO

GIOVANNI

(2)

Introduzione

Composto nel 1803 a Milano, dove il Foscolo si

trovava in esilio

E’ un sonetto

Accentua ulteriormente il senso di sconforto

esistenziale.

Il poeta si avvale dei temi della cultura classica.

Compaiono riferimenti ad alcuni celebri versi

che il poeta Catullo scrisse per commemorare la

morte del proprio fratello, e la composizione

(3)

L'incipit che fu di Catullo («Dopo aver traversato terre e

mari») assume qui l'impeto della poesia foscoliana («Un

dì, s'io non andrò sempre fuggendo»). Il poeta afferma di

sperare un giorno di recarsi sulla tomba del fratello a

piangere la sua giovinezza così bruscamente stroncata. La

madre, rimasta sola e in età avanzata, ormai trascina gli

anni, e il poeta la immagina impegnata in un monologo

delirante, mentre parla, con il fratello morto («cenere

muto») del fratello assente. Preclusa la possibilità di

rientrare a Venezia, ceduta proditoriamente da Napoleone

all'Austria, il poeta tende le mani, in saluto, da lontano, in

(4)

Una sfortuna ostinata ai tavoli da gioco, le angosce serbate nel privato e, forse per vergogna, mai condivise con alcuno, che il poeta riconosce nel tragico, improvviso gesto di

Giovanni, lo inducono a pregare che il fratello possa trovare almeno in morte quella serenità che gli è stata preclusa in vita. Per quanto, di tutte le belle speranze che il poeta riponeva – in se stesso, nel futuro del fratello, nel destino politico di Venezia e nella possibilità dell'esistenza di Dio – «questo» è quanto resta: «vane parole» direbbe Catullo, il cui verso, nella traduzione di Salvatore Quasimodo, recita: «a dire vane parole alle tue ceneri mute». Quando sarà il suo momento, per sé prega il poeta il popolo straniero sul cui suolo si sarà trovato a passare, di voler rendere le

proprie spoglie al cordoglio della madre. Un gesto di grande umanità e, allo stesso tempo, di alta simbolicità:

(5)

Il

sonetto

rima secondo lo schema

ABAB ABAB CDC DCD

(6)

Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo di gente in gente, me vedrai seduto su la tua pietra, o fratel mio, gemendo

il fior de' tuoi gentil anni caduto. La Madre or sol suo dì tardo traendo

parla di me col tuo cenere muto, ma io deluse a voi le palme tendo

e sol da lunge i miei tetti saluto. Sento gli avversi numi, e le secrete cure che al viver tuo furon tempesta, e prego anch'io nel tuo porto quiete. Questo di tanta speme oggi mi resta! Straniere genti, almen le ossa rendete

(7)

Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo di gente in gente, me vedrai seduto su la tua pietra, o fratel mio, gemendo il fior de' tuoi gentil anni caduto.

Un giorno se non andrò

sempre fuggendo in

esilio, tu, o fratello

mio, vedrai me seduto

sulla tua tomba,

piangendo il tua

gioventù perduta

(8)

La Madre or sol suo dì tardo traendo parla di me col tuo cenere muto, ma io deluse a voi le palme tendo e sol da lunge i miei tetti saluto.

La madre trascorrendo

faticosamente gli anni

della sua vecchiaia,

parla di me con te

morto, ma io vi tendo

inutilmente le braccia

e solo da lontano

(9)

Sento gli avversi numi, e le secrete cure che al viver tuo furon tempesta, e prego anch'io nel tuo porto quiete.

Questo di tanta speme oggi mi resta! Straniere genti, almen le ossa rendete allora al petto della madre mesta.

Sento gli dei ostili e i segreti

affanni che sconvolsero la tua vita e prego anch’io di trovare quiete nel tuo porto

Mi resta solo questo di una speranza così grande!

Popoli stranieri rendete almeno le (mie) ossa alla madre infelice

(10)

Dopo aver traversato terre e mari,

eccomi, con queste povere offerte agli dei sotterranei, estremo dono di morte per te, fratello,

a dire vane parole alle tue ceneri mute, perché te, proprio te, la sorte m’ha portato via, infelice fratello, strappato a me così crudelmente.

Ma ora, così come sono, accetta queste offerte bagnate di molto pianto fraterno:

le porto seguendo l’antica usanza degli avi, come dolente dono agli dei sotterranei.

E ti saluto per sempre, fratello, addio! Catullo, traduzione di Salvatore Quasimodo

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