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Guarda Lavoro e Costituzione nel laboratorio Weimar. Il contributo di Hugo Sinzheimer

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Scienza & Politica, 23, 2000

1. La socialdemocrazia weimariana, lo Stato amministrativo e il capitalismo organizzato

Nell’ottobre del 1926, nel pieno di quella breve stagione di sta-bilità che sembrò finalmente offrire alla prima Repubblica tedesca una chance di consolidamento, Richard Seidel pubblicava sulla ri-vista dell’«Allgemeiner Deutscher Gewerkschaftsbund» (ADGB) un articolo che può ben essere considerato paradigmatico dell’at-teggiamento tenuto dai sindacati socialdemocratici nei confronti dello Stato weimariano. Comprensibilmente, l’attenzione di Seidel non si concentrava tanto sul mutamento della forma di Stato e di governo quanto sulla posizione che proprio i sindacati si erano vi-sta riconosciuta dalla Costituzione del ’19 e dalla legislazione degli anni successivi. La garanzia costituzionale della libertà di coalizio-ne e soprattutto il concreto sviluppo della contrattaziocoalizio-ne collettiva avevano in questo senso prodotto una «cesura» con uno dei princi-pî fondamentali su cui poggiava lo «Stato autoritario» prima della guerra – con il principio cioè secondo cui «tutto il diritto procede dallo Stato»: riconoscendo il carattere giuridicamente vincolante delle norme prodotte dalle parti sociali nella contrattazione collet-tiva, l’ordinamento repubblicano si era aperto a quell’«idea dell’au-todeterminazione sociale» in cui il giuslavorista socialdemocratico Hugo Sinzheimer aveva individuato già nel 1916 il principio

car-nel laboratorio Weimar.

Il contributo di Hugo Sinzheimer*

Sandro Mezzadra

* Il saggio qui pubblicato, originariamente concepito come contributo a un vo-lume in memoria di Gaetano Vardaro, riprende parzialmente, con ampie modifi-che e aggiornamenti bibliografici, una precedente pubblicazione: La Costituzione del Lavoro. Hugo Sinzheimer e il progetto weimariano di democrazia economica, «Quaderni di azione sociale», n. 2, 1994 (ottobre 1994), pp. 57-71.

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dinale di un nuovo «diritto costituzionale sociale». D’altro canto, con il decreto del 1923 sul procedimento arbitrale (secondo cui, in caso di mancata stipulazione di un contratto collettivo, le stesse parti sociali erano tenute ad accettare la proposta loro rivolta dal presidente del collegio arbitrale) era stato inferto un colpo ulterio-re alla configurazione individualistica e privatistica del contratto di lavoro: «attraverso l’attività dei collegi arbitrali statali, lo Stato par-tecipa infatti ora assai intensamente e con competenze decisive alla fissazione delle condizioni del contratto di lavoro»1.

A fronte di queste trasformazioni i termini della grande questio-ne lasciata in eredità alla socialdemocrazia dal dibattito di fiquestio-ne se-colo sul revisionismo – se lo Stato dovesse cioè essere rifiutato in toto fino al raggiungimento dello «scopo finale» della conquista del potere o riconosciuto affermativamente come terreno su cui con-solidare le conquiste graduali del «movimento» – apparivano a Sei-del radicalmente dislocati. Ferma restando la volontà di «trasfor-mare l’ordinamento sociale presente» in direzione del socialismo, si trattava piuttosto di riconoscere non soltanto che lo Stato aveva offerto alla classe operaia «singoli mezzi» per condurre la sua lotta, ma che «il potere dello Stato in quanto tale è un mezzo per la tra-sformazione sociale da noi auspicata»: tra ordinamento sociale e potere dello Stato si apriva uno spazio di potenziale contraddizio-ne, cosicché il secondo non poteva più in alcun modo essere con-siderato un mero “riflesso” del primo2. Con le «concessioni» che la

classe operaia era riuscita a strappare dopo la rivoluzione di no-vembre, lo Stato si era già trasformato; e la classe operaia stessa aveva ora da perdere qualcosa di più delle proprie catene: l’insieme dei diritti, cioè, in cui quelle concessioni si erano fissate in figura costituzionale. E per difendersi contro ogni possibile esproprio di tali diritti, gli operai non potevano che «difendere lo Stato». Nega-zione dello Stato? Al contrario, così concludeva Seidel il proprio ragionamento, «mi pare che con il nostro intero atteggiamento circondiamo questo Stato [...] di un amore quale nessun altro stra-to sociale dimostra al presente»3.

1 R. SEIDEL, Staatsverneinung - Staatsbejahung. Ein Beitrag zur Frage der Stellung

der Gewerkschaften zum Staat, in «Die Arbeit», 3, 1926, pp. 630-634.

2 Ibidem, pp. 631 s.

3 Ibidem, p. 633. Sulla cosiddetta fase della «stabilizzazione» della Repubblica e

sulla sua parzialità, cfr. D.J.K. PEUKERT, Die Weimarer Republik. Krisenjahre der klassischen Moderne, Frankfurt a.M. 1993, in specie pp. 213-218. Per una sinteti-ca ricostruzione dello sviluppo del movimento operaio tedesco negli anni di Wei-mar, cfr. K. SCHÖNHOVEN, Reformismus und Radikalismus. Gespaltene

Arbeiterbe-wegung im Weimarer Sozialstaat, München 1989. Ma un riferimento imprescindi-bile è ora rappresentato dai tre volumi di H.A. WINKLER, Von der Revolution zur

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Questa orgogliosa identificazione con il nuovo ordinamento re-pubblicano rimase una caratteristica costante delle posizioni so-cialdemocratiche e sindacali fino al catastrofico epilogo dell’esperi-mento di Weimar, quando finì per costituire un tragico ostacolo alla stessa comprensione di quel che andava maturando in Germa-nia4. C’è un altro punto, tuttavia, che è opportuno sottolineare

nell’analisi di Seidel: all’interno del riformismo socialdemocratico weimariano la presa di congedo dall’immagine dello Stato come mero “riflesso” dei rapporti di forza prevalenti nella società e come garante degli interessi di classe della borghesia corrispondeva certa-mente al tentativo di fare i conti con i caratteri nuovi assunti dallo sviluppo capitalistico negli anni a ridosso della guerra; e tuttavia essa finì per convalidare una concezione altrettanto semplice e li-neare dello Stato stesso, secondo cui quest’ultimo si collocava in una posizione esogena rispetto al processo economico-sociale, re-stando sostanzialmente a disposizione – appunto per via della sua natura neutrale di strumento – di chi avesse saputo manovrarne le leve fondamentali. Il problema diveniva anzi, su queste basi, libe-rare dalle incrostazioni di un’epoca ormai al tramonto il nucleo di superiore razionalità incorporato nelle strutture tecniche dello Sta-to, riscoprendo in esso un’omologia sorprendente con un sociali-smo pensato secondo la formula saint-simoniana (prima che marx-engelsiana) dell’«amministrazione delle cose». L’insistenza sulle trasformazioni che si erano prodotte sul terreno dell’«ordina-mento sociale» (che veniva a porsi come traduzione di quello che Bernstein aveva definito «movimento») finiva così per dimostrarsi pienamente funzionale a percorrere quella via a ritroso da Marx a Lassalle che ad esempio Karl Renner, nel 1925, indicava come im-prescindibile per l’intera socialdemocrazia europea5.

Berlin - Bonn 1985; Der Schein der Normalität: 1924 bis 1930, Berlin – Bonn 19882; Der Weg in die Katastrophe: 1930 bis 1933, Berlin – Bonn 19902. Sui limiti

della visione strategica dei sindacati socialdemocratici, resta molto utile l’analisi di H. ULRICH, Die Einschätzung von kapitalistischer Entwicklung und Rolle des Staates durch den Adgb, in «Prokla», Nr. 6, 1973, pp. 1-70.

4 Si veda ad esempio testo del discorso del vicesegretario dell’ADGB PETER

GRASSMANN, Kampf dem Marxismus?!, Berlin 1933, p. 21 in cui lo sciopero

gene-rale è definito «arma spaventosa non solo per l’avversario», il cui uso potrebbe es-sere giustificato soltanto «se si trattasse di una questione di vita o di morte per la classe operaia». Il discorso fu tenuto in data 13 febbraio 1933 ...

5 Cfr. K. RENNER, Lassalles geschichtliche Stellung, in «Die Gesellschaft.

Interna-tionale Revue für Sozialismus und Politik», 2, 1925, pp. 309-322. Restano fonda-mentali, al riguardo, i numerosi scritti dedicati da Giacomo Marramao a partire dalla metà degli anni ’70 alle problematiche dello Stato e della transizione all’in-terno della socialdemocrazia weimariana e dell’austromarxismo: cfr. ad es. G. MARRAMAO, Austromarxismo e socialismo di sinistra fra le due guerre, Milano 1977; «Tecnica sociale», Stato e transizione tra socialdemocrazia weimariana e

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austromarxi-La convinzione che lo Stato, grazie all’autonomia del proprio apparato amministrativo, potesse rappresentare lo strumento fon-damentale per procedere ulteriormente sul terreno della razionaliz-zazione della società, aveva del resto avuto proprio in Renner uno dei sostenitori più autorevoli, almeno a partire dalla pubblicazio-ne, nel 1917, di Marxismus, Krieg und Internationale. Egli era ve-nuto infatti elaborando una teoria della transizione dal capitalismo al socialismo che non soltanto ne sottolineava i caratteri graduali e progressivi, ma ne ancorava la dinamica al processo di razionaliz-zazione che a suo giudizio aveva completamente ridisegnato la fi-gura dello Stato, coniugandolo tendenzialmente come Stato ammi-nistrativo: e il riferimento di Renner era in questo contesto a quei «compiti di amministrazione sociale» che lo Stato era venuto quasi “naturalmente” assumendo nel corso del suo sviluppo, fino a tro-varsi in aperta contraddizione con gli interessi capitalistici e ogget-tivamente al servizio del proletariato6. La parola d’ordine della

pre-sa del potere politico da parte della classe operaia poteva dunque essere linearmente ritrascritta nei termini della sua «liberazione dal dominio del capitale», senza che dello Stato fosse in alcun modo messo in discussione il carattere di «supremo mezzo sociale»7.

Questa immagine dello Stato – sviluppata organicamente qual-che anno più tardi da Heinrich Cunow all’interno di un’influente rilettura della teoria marxiana dello Stato8– fu poi

sostanzialmen-smo, in L. VILLARI(ed), Weimar. Lotte sociali e sistema democratico nella Germania degli anni ’20, Bologna 1978, pp. 93-135; e G. MARRAMAO, Tra bolscevismo e

so-cialdemocrazia: Otto Bauer e la cultura politica dell’austromarxismo, in Storia del marxismo, vol. III: Il marxismo nell’età della Terza Internazionale, t. 1: Dalla rivolu-zione d’Ottobre alla crisi del ’29, Torino 1980, pp. 239-297.

6 Cfr. K. RENNER, Marxismus, Krieg und Internationale. Kritische Studien über

offene Probleme des wissenschaftlichen und des praktischen Sozialismus in und nach dem Weltkrieg (1917), Stuttgart 19182, in specie p. 27. Sui dibattiti che si svolsero

in Germania negli anni della guerra a proposito del cosiddetto «socialismo di guerra», che costituiscono lo sfondo dell’opera di Renner, rimando a S. MEZZA -DRA, La Costituzione del sociale. Il pensiero giuridico e politico di Hugo Preuss, Bolo-gna 1998, cap. III, par. 1 e all’ampia letteratura ivi citata.

7 K. RENNER, Marxismus, Krieg und Internationale, cit., pp. 29 s.

8 Secondo H. CUNOW, Die Marxsche Geschichts-, Gesellschafts- und Staatstheorie.

Grundzüge der Marxschen Soziologie (1920-1921), 2 Bde., Berlin 19234, vol. I, p.

315, nella misura in cui concreti processi di organizzazione del capitalismo aveva-no mutato radicalmente la natura dell’ecoaveva-nomia facendo sempre più di quest’ulti-ma «una faccenda collettiva», lo Stato stesso era andato cumulando una serie di funzioni che ne esaltavano la dimensione comunitaria a dispetto di quegli elemen-ti di puro dominio su cui Marx aveva concentrato unilateralmente la propria at-tenzione (cfr. pp. 309 s.). Dal seno stesso del vecchio ordine stava sorgendo quello «Stato economico e amministrativo socialista» (p. 319) che per Cunow, analogamen-te a quanto accadeva negli scritti coevi di Renner, rappresentava il vero e proprio soggetto della trasformazione dell’«ordinamento sociale».

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te mutuata da Rudolph Hilferding nella sua teorizzazione del «ca-pitalismo organizzato», sulla cui base la socialdemocrazia weima-riana ricalibrò, dapprima con il Programma di Heidelberg del 1925 e quindi con il Congresso di Kiel del 1927, la propria piat-taforma politico-strategica. Il «capitalismo organizzato» continua-va sì, a giudizio di Hilferding, a poggiare su una «base antagoni-stica», ma era stato in qualche modo costretto a “interiorizzare” i contenuti nuovi che le lotte operaie avevano imposto al suo svi-luppo nella forma di un criterio superiore di razionalità, che po-teva essere piegato dall’intervento consapevole del movimento operaio nelle sue componenti sindacali in direzione della «demo-crazia economica» e nelle sue componenti politiche in direzione del socialismo. Come Hilferding sostenne al Congresso di Kiel, il capitalismo organizzato altro non è se non «la sostituzione del principio capitalistico della libera concorrenza con il principio so-cialista della produzione pianificata»9. Il movimento di

socializza-zione e razionalizzasocializza-zione del capitalismo che aveva avuto un po-tente impulso negli anni della cosiddetta stabilizzazione della Re-pubblica weimariana pareva dunque a Hilferding realizzare alcuni principî socialisti fondamentali. Il che non significava che la transizione fosse “automatica”: significava tuttavia che gli ostacoli che ad essa si frapponevano – il persistente dominio dei monopo-lî, in primo luogo – erano esterni al processo produttivo. Così co-me esterno ad esso era quello Stato che Hilferding poneva con ogni evidenza come il soggetto deputato a “perfezionare” e stabi-lizzare il controllo della «società» sull’economia: «la società infatti non ha altro organo attraverso cui essa possa agire coscientemente se non lo Stato»10.

9 R. HILFERDING, Die Aufgaben der Sozialdemokratie in der Republik (1927), in

R. HILFERDING, Zwischen den Stühlen, oder über Unvereinbarkeit von Theorie und

Praxis. Schriften 1904-1940, Berlin - Bonn 1982, pp. 212-236, p. 218.

10 Ibidem, p. 220. A proposito del dibattito sul concetto «capitalismo

organizza-to» e delle polemiche cui esso diede origine all’interno del movimento operaio or-ganizzato negli anni ’20, cfr. E. ALTVATER, Il capitalismo si organizza: il dibattito

marxista dalla guerra mondiale alla crisi del ’29, in Storia del marxismo, vol. III, Il marxismo nell’età della Terza Internazionale, t. 1, Dalla rivoluzione d’Ottobre alla crisi del ’29, Torino 1980, pp. 819-876. Per una riproposizione in sede storiografi-ca del concetto di «storiografi-capitalismo organizzato», cfr. H.A WINKLER(ed), Organisierter

Kapitalismus. Voraussetzungen und Anfänge, Göttingen 1974. Su Hilferding si veda in generale J. ZONINSEIN, Monopoly Capital Theory. Hilferding and

Twentieth-Cen-tury Capitalism, New York - Westport – London 1990, nonché - per quel che ri-guarda specificamente la sua elaborazione negli anni di Weimar - G.E. RUSCONI,

La crisi di Weimar. Crisi di sistema e sconfitta operaia, Torino 1977, pp. 177-230 e 337-377.

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2. Il progetto giuridico weimariano

Si può avanzare l’ipotesi che una parte consistente dei limiti e delle contraddizioni che gravarono sull’esperienza del movimento operaio socialdemocratico negli anni di Weimar sia derivata dalla sovrapposizione di questa concezione per così dire tecnologica del-l’apparato dello Stato e di quell’idea di un’«autodeterminazione sociale nel diritto» che abbiamo visto richiamata da Seidel e che aveva fortemente influenzato – proprio attraverso la mediazione di Hugo Sinzheimer – lo stesso impianto della Costituzione del ’19. Torniamo per un attimo a quei convulsi mesi tra il novembre 1918 e l’agosto 1919 in cui la Costituzione weimariana vide la lu-ce11. È noto come il dibattito politico tedesco sia stato in

quell’ar-co di tempo polarizzato attorno all’alternativa tra «democrazia rap-presentativa» e «dittatura dei consigli». Non è possibile compren-dere la dinamica politica di quei mesi né la specificità della stessa Costituzione weimariana se non si tiene conto della assoluta cen-tralità di questa alternativa. Nessuna mitologia “consiliarista” die-tro questa affermazione, sia chiaro: appare anzi realistico ritenere che siano del tutto mancate, durante la Rivoluzione, le condizioni oggettive e soggettive perché i «Consigli degli operai e dei soldati» si trasformassero in “cellule” di un nuovo ordinamento politico-sociale. E tuttavia l’alternativa tra democrazia rappresentativa e dittatura dei consigli non si limitava a proiettare sulla scena tede-sca la grande impressione destata nei mesi precedenti dalla rivolu-zione russa. Essa interpretava bensì un dato di fondo, quella coin-cidenza tra protagonismo operaio e crisi di identità sociale e politi-ca della borghesia che, palesatasi proprio nelle confuse giornate di novembre, avrebbe segnato in profondità le vicende tedesche fino ai primi anni ’20: in presenza di un’eccezionale continuità di azio-ne politica della classe operaia, la “borghesia” tedesca (già spiazzata dai processi di concentrazione e razionalizzazione economica inne-scati dalla guerra e dal crollo di quella monarchia all’ombra della

11 Per una ricostruzione storica d’insieme, all’interno di una bibliografia ormai

sterminata, continuano a costituire ottimi punti di riferimento A. ROSENBERG,

Origini della Repubblica di Weimar (1928), trad. it. Firenze 1972 e A. ROSENBERG, Storia della Repubblica di Weimar (1935), trad. it. Firenze 1972. Della letteratura più recente si vedano almeno le sintesi di E. KOLB, Die Weimarer Republik, Mün-chen 19933, H.A. WINKLER, Weimar 1918-1933. Die Geschichte der ersten

deut-schen Demokratie, München 1994, e H. Mommsen, Aufstieg und Untergang der Weimarer Republik, Berlin 1998. Ma per seguire il processo che dalla Rivoluzione di novembre condusse alla promulgazione della Costituzione del ’19, fondamen-tale rimane la lettura di W. JELLINEK, Revolution und Reichsverfassung. Bericht über

die Zeit vom 9. November 1918 bis zum 31. Dezember 1919, in «Jahrbuch des öf-fentlichen Rechts der Gegenwart», 9, 1920, pp. 1-128.

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quale aveva costruito le proprie fortune) avrebbe faticato a imporsi come soggetto unitario, portatore di una precisa progettualità po-litica.

Questa ipoteca posta sul processo costituente da parte di forze sostanzialmente estranee alla “società borghese” ottocentesca fu av-vertita dagli esponenti più lucidi di quella stessa borghesia come una cesura epocale, che delimitava lo spazio in cui la nuova Costi-tuzione doveva essere progettata. Se Max Weber dichiarava a chia-re lettechia-re (alla fine del 1918) che era impensabile attribuichia-re nuova-mente alla «santità della proprietà» quella posizione di centro indi-scusso dei diritti fondamentali che le era spettata nell’«epoca bor-ghese»12, un altro insigne esponente del Partito democratico

tede-sco, Friedrich Naumann, sosteneva vigorosamente, in un celebre discorso pronunciato il 31 marzo 1919 davanti all’Assemblea na-zionale di Weimar, il punto di vista per cui una costituzione «mo-derna» doveva realizzare un compromesso tra «individualismo» e «socialismo», doveva tracciare una via mediana tra Stato di diritto e Stato consiliare13.

È in questo quadro critico (e si ricordi che l’Assemblea costi-tuente tenne le proprie sedute a Weimar non in omaggio alle gran-di tragran-dizioni culturali della città, ma perché a Berlino si temevano nuovi tumulti dopo il massacro degli operai e degli spartachisti consumato all’inizio dell’anno) che furono inseriti nel testo defini-tivo della Costituzione gli articoli relativi al lavoro e all’economia e che si operò il cosiddetto «ancoraggio costituzionale» dei consi-gli. La Costituzione del ’19 stabiliva così il principio secondo cui la proprietà, per quanto «garantita dalla costituzione» stessa, «comporta obblighi» e il suo uso «deve al contempo essere servizio per il bene comune» (art. 153); poneva il lavoro «sotto la speciale protezione del Reich» e impegnava quest’ultimo a «rendere unita-rio il diritto del lavoro» (art. 157); garantiva a ognuno, «qualun-que [fosse] l’attività esercitata», la «libertà di coalizione per la con-servazione e lo sviluppo delle condizioni di lavoro ed economiche» (art. 159); e soprattutto prevedeva, con il famoso articolo 165, un complesso sistema di consigli, a configurare una vera e propria “costituzione economica e sociale”, che avrebbe dovuto integrare quella politica.

Nell’atto di prendere ormai «congedo da Weimar», Ernst Fraen-kel notò nel 1932 come l’ultimo articolo citato della Costituzione,

12 M. WEBER, La futura forma istituzionale della Germania (1918), trad. it. in M.

WEBER, Parlamento e governo e altri scritti politici, Torino 1982, pp. 231-275, p. 268.

13 R. EMERSON, State and Sovereignty in Modern Germany, New Haven 1928, pp.

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affermando che «gli operai e gli impiegati devono collaborare con gli imprenditori per la determinazione delle condizioni di impiego e di lavoro e per lo sviluppo complessivo delle energie produttive», avesse in particolare fissato quel principio della «parità» tra im-prenditori e classe operaia su cui poggiava la costituzione materiale della Repubblica, il «compromesso weimariano»14. Questo

princi-pio della «parità» aveva in realtà trovato espressione già nel cosid-detto accordo Legien-Stinnes stipulato il 15 novembre 1918 tra rappresentanti dei sindacati e delle associazioni datoriali, con cui veniva istituita la Zentralarbeitsgemeinschaft, il «luogo istituzionale dove si concretizza e si sviluppa la “comunità del lavoro”, cioè la collaborazione di classe»15, e assegnava una decisiva rilevanza

“co-stituzionale” al diritto del lavoro: esso sarebbe divenuto «il punto focale dei conflitti politici interni», e dalla sua capacità di registra-re ed “equilibraregistra-re” l’evoluzione dei rapporti tra le forze sociali an-tagonistiche sarebbe in buona misura dipeso l’avvenire stesso della Repubblica. Era questo, in fondo, il “progetto giuridico” della Co-stituzione weimariana, almeno nell’interpretazione che ne diede la dottrina socialdemocratica, secondo cui essa rappresentava «un tentativo diretto a organizzare giuridicamente la lotta di classe e a farne un elemento essenziale dell’evoluzione del diritto positivo»16.

3. Hugo Sinzheimer: l’autodeterminazione sociale nel diritto

Di questo progetto giuridico e della sua declinazione giuslavori-stica Hugo Sinzheimer fu a un tempo ispiratore e insigne interpre-te. Nato a Worms nel 1875 da genitori ebrei e benestanti, dopo aver compiuto gli studi di diritto ed economia presso le Università di Monaco (dove seguì appassionatamente le lezioni del «socialista della cattedra» Lujo Brentano), Berlino, Friburgo, Marburg e Hal-le, Sinzheimer si trasferì nel 1903 a Francoforte, per intraprender-vi la carriera di avvocato17. Ma per quanto egli si fosse

rapidamen-14 E. FRAENKEL, Abschied von Weimar? (1932), in E. FRAENKEL, Zur Soziologie der

Klassenjustiz und Aufsätze zur Verfassungskrise 1931-32, Darmstadt 1968, pp. 57-72, p. 60.

15 G.E. RUSCONI, La crisi di Weimar, cit., p. 24.

16 O. KAHN-FREUND, Il mutamento della funzione del diritto del lavoro (1932),

trad. it. in G. VARDARO(ed) Laboratorio Weimar. Conflitti e diritto del lavoro nella

Germania prenazista, Roma 1982, pp. 221-253, p. 253.

17 Per un efficace profilo della vita e dell’opera di Sinzheimer, si veda E. FRAEN

-KEL, Hugo Sinzheimer, in «Juristenzeitung», XIII, 15, 1958, pp. 457-461. Ma il te-sto fondamentale cui fare riferimento è ora S. KNORRE, Soziale Selbstbestimmung

und individuelle Verantwortung: Hugo Sinzheimer (1875-1945). Eine politische Bio-graphie, Frankfurt a.M. - Bern - New York - Paris 1991, a cui va aggiunto F. ME -STITZ, Hugo Sinzheimer e il diritto del lavoro: ieri e oggi, in «Scienza & Politica», 9, 1993, pp. 57-85. Per un repertorio bibliografico, cfr. H. SINZHEIMER, Arbeitsrecht

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te imposto come brillante difensore penale, il suo interesse priori-tario si rivolse da subito a un ambito giuridico che solo allora an-dava faticosamente affermandosi nella propria autonomia dal di-ritto privato: il didi-ritto del lavoro, appunto18. Fin dalla prima opera

di rilievo pubblicata da Sinzheimer nel 1907-1908, che pur si muoveva ancora su un terreno essenzialmente privatistico, la sua attenzione si concentrò sul progressivo decadere della configura-zione individuale del contratto di lavoro e sul lento imporsi degli accordi collettivi fra sindacati e imprenditori come strumento di normazione complessiva del rapporto lavorativo19.

La prospettiva scientifica di Sinzheimer andò precisandosi negli anni successivi, a ridosso della prima guerra mondiale, trovando un significativo momento di formalizzazione nel 1913, con la fon-dazione, da lui promossa insieme a Heinz Potthoff, della prima ri-vista specialistica tedesca interamente dedicata all’approfondimen-to di questioni giuslavoristiche: «Arbeitsrecht. Zeitschrift für das gesamte Dienstrecht der Arbeiter, Angestellten und Beamten». Nell’editoriale che apriva il primo fascicolo della rivista, Sinzhei-mer formulò i termini generali di quel programma di unificazione del diritto del lavoro che, come si è visto, sarebbe stato successiva-mente recepito dalla Costituzione di Weimar. Dopo aver preso le mosse dalla discussione delle contraddizioni, dell’incompiutezza e dell’«estraneità alla vita» del diritto del lavoro vigente – a comin-ciare dal suo sistema delle fonti20 –, Sinzheimer scriveva che era

necessario individuare un «principio fondamentale» attorno a cui riorganizzarlo unitariamente. Si trattava cioè, a suo giudizio, di prendere sul serio ciò che costituisce il proprium del rapporto di lavoro e lo distingue da tutti gli altri rapporti giuridici codificati

und Rechtssoziologie. Gesammelte Aufsätze und Reden, 2 voll., Frankfurt - Köln 1976, vol. II, pp. 323-341. Sull’influenza delle origini ebraiche sull’opera di Sinz-heimer, si è soffermato G. VARDARO, «Arbeitsverfassung» ovvero la stella dell’assimi-lazione, in G. GOZZI- P. SCHIERA(edd), Crisi istituzionale e teoria dello Stato dopo

la Prima guerra mondiale, Bologna 1987, pp. 325-352.

18 Per un quadro generale del dibattito scientifico sul diritto del lavoro nella

Ger-mania di quegli anni si può ora utilmente vedere J. RÜCKERT, “Libero” e “sociale”: concezioni del contratto di lavoro fra Otto e Novecento in Germania, in R. GHERAR -DI- G. GOZZI(edd), I concetti fondamentali delle scienze sociali e dello Stato in Ita-lia e in Germania tra Otto e Novecento, Bologna 1992, pp. 269-389, che, pur orientato a una rivalutazione della configurazione “privatistica” del contratto di la-voro e conseguentemente a ridimensionare il ruolo di Sinzheimer come «padre del diritto del lavoro tedesco», discute un’ampia mole di materiale.

19 H. SINZHEIMER, Der korporative Arbeitsnormenvertrag. Eine privatrechtliche

Untersuchung (1907-1908), Berlin 19772.

20 H. SINZHEIMER, Über den Grundgedanken und die Möglichkeit eines

einheitli-chen Arbeitsrechts für Deutschland (1914), in H. SINZHEIMER, Arbeitsrecht und Rechtssoziologie, cit., vol. I, pp. 35-61, pp. 35-43.

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dal diritto civile moderno: il fatto che esso, lungi dal poter essere ridotto a rapporto patrimoniale tra soggetti uguali, istituisce una dipendenza personale del lavoratore dal datore di lavoro21. Assunto

questo principio della dipendenza come carattere costitutivo di ogni rapporto di lavoro, il che comportava un «ampliamento del concetto di lavoro industriale (gewerbliche Arbeit)»22 e un

tenden-ziale superamento delle differenze di posizione giuridica tra operai, impiegati e funzionari pubblici, si poteva pensare a un allgemeines Arbeitsrecht come al «luogo in cui [potesse] prodursi una dichiara-zione dei diritti fondamentali del lavoro. Sono riconosciuti soltan-to diritti fondamentali politici, e tuttavia ci sono anche diritti fon-damentali sociali»23.

Troviamo dunque qui anticipati i termini generali della discus-sione sui diritti fondamentali che avrebbe avuto luogo cinque anni più tardi all’interno dell’Assemblea nazionale di Weimar. Ma lo scritto di Sinzheimer del 1914, lungi dall’arrestarsi su questa “peti-zione di principio”, procedeva oltre, proponendo uno schema ge-nerale di riorganizzazione del diritto del lavoro. Alla «centralizza-zione della materia giuridica», implicita nella stessa formula «dirit-to generale del lavoro», si sarebbe dovuta affiancare una «decentra-lizzazione della produzione giuridica». «La mera legge non può più bastare», scriveva Sinzheimer. «Come si può pensare che la legge riesca a dominare questa infinita multiformità, questo mutamento che si compie di giorno in giorno, di ora in ora, senza agire come ostacolo e catena, anziché come tecnica ausiliaria al suo servizio? Se dunque la burocrazia e la casistica non devono annientare l’e-nergia e la policromia della nostra vita dobbiamo chiamare le forze sociali stesse a concorrere alla creazione del diritto e autorizzare il loro oggettivo effetto giuridico»24.

E se, sotto il profilo teorico, quest’opera di «decentramento so-ciale» poteva assumere come proprio paradigma il principio ger-manistico della «consociazione» (Genossenschaft), cui tra Otto e Novecento aveva dedicato una serie di fondamentali studi storico-dogmatici Otto von Gierke25, volgendo lo sguardo all’attualità era

21 Ibidem, p. 47. 22 Ibidem, p. 55. 23 Ibidem, p. 51. 24 Ibidem, p. 56.

25 Ibidem, pp. 56 s. Su Gierke si veda in generale S. MEZZADRA, Il corpo dello

Sta-to. Aspetti giuspubblicistici della “Genossenschaftslehre” di Otto von Gierke, in «Filo-sofia politica», 7, 1993, pp. 445-476. L’influenza di Gierke su Sinzheimer è stata criticamente discussa nell’importante lavoro di H. SPINDLER, Von der Genossen-schaft zur BetriebsgemeinGenossen-schaft. Kritische Darstellung der Sozialrechtslehre Otto von Gierkes, Frankfurt a.M. – Bern 1982, pp. 171 ss. Ma per valutare a pieno tale in-fluenza conviene leggere O. VONGIERKE, Die Zukunft des Tarifvertragsrechts, in

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proprio l’esperienza della contrattazione collettiva quella che, a pa-rere di Sinzheimer, doveva essere recepita e valorizzata26. Il

discor-so in merito si approfondiva in uno scritto del 1916, che insieme a quello appena analizzato fornisce le coordinate generali per com-prendere i presupposti teorici dell’opera sinzheimeriana. La con-trapposizione tra la multifomità della vita sociale e la fissità (la «schematicità») del diritto statuale assumeva qui i tratti di una strutturale contraddizione tra società e diritto27, la consapevolezza

della quale avrebbe da quel momento in avanti orientato l’intera produzione scientifica di Sinzheimer (che ne sarebbe stato spinto verso la sociologia del diritto) nonché la sua attività in senso lato politica. Ma i termini della contraddizione vanno precisati: il fatto è che il diritto è «creato» all’interno della vita sociale ma è posto da un’istanza – lo Stato – separata da essa. La contraddizione di cui si sta parlando può allora essere superata soltanto superando questa «separazione della forza che pone il diritto dalla forza che lo crea» mediante una «produzione giuridica immediata». È in questo senso dunque che il contratto collettivo assume rilevanza generale: «il suo principio fondamentale è infatti che le forze sociali liberamen-te organizzaliberamen-te creano immediatamenliberamen-te e sisliberamen-tematicamenliberamen-te diritto oggettivo e lo amministrano autonomamente»28.

Questo principio dell’«autodeterminazione sociale» non si propo-neva d’altro canto di sostituire integralmente la normazione dello Stato, che conservava anzi nel disegno di Sinzheimer ampie prero-gative e doveva soprattutto tutelare «il bisogno di unità della vita sociale»29. Il principio dell’autonomia doveva piuttosto nutrire un

ambito giuridico, che configurava un vero e proprio «diritto costi-tuzionale sociale», in cui «lo Stato rinuncia a emanare dettagliata-mente norme di decisione, e si accontenta di mettere a disposizio-ne delle forze interessate le forme al cui interno queste stesse forze possono creare e amministrare tali norme»30. E lo scritto

sinzhei-meriano del 1916 conteneva anche un dettagliato disegno di legge conforme a questa impostazione, che non sarebbe rimasto privo di influenza sui successivi sviluppi legislativi31.

«Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik», 42, 1916, pp. 815-842 e H. SINZHEIMER, Otto von Gierkes Bedeutung für das Arbeitsrecht. Ein Nachruf, in «Ar-beitsrecht. Zeitschrift für das gesamte Dienstrecht der Arbeiter, Angestellten und Beamten», 9, 1922, pp. 1-6.

26 H. SINZHEIMER, Über den Grundgedanken, cit., pp. 57 s.

27 H. SINZHEIMER, Ein Arbeitstarifgesetz. Die Idee der sozialen Selbstbestimmung

im Recht (1916), Berlin 19772, p. 181. 28 Ibidem, p. 186.

29 Ibidem, p. 189. 30 Ibidem, p. 193. 31 Ibidem, pp. 213-238.

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Quello proposto da Sinzheimer negli anni a cavallo della guerra era dunque un modello che, forzando la rigida dicotomia di dirit-to privadirit-to e diritdirit-to pubblico attraverso l’introduzione (come ter-mine intermedio) di una sfera di diritto sociale, si proponeva di at-tuare una correzione in senso “pluralistico”32del rapporto tra Stato

e società quale si era andato configurando nell’Impero guglielmi-no. All’interno di questo modello un ruolo di primo piano doveva essere riservato alle organizzazioni datoriali e soprattutto ai sinda-cati, i protagonisti della contrattazione collettiva, che sarebbero di-venuti i soggetti decisivi del «diritto costituzionale sociale». Già durante la guerra, d’altro canto, furono poste le basi perché il ruo-lo dei sindacati fosse espressamente riconosciuto (e non più tolle-rato extra legem, come era avvenuto negli anni precedenti): la «leg-ge sul servizio ausiliario», promulgata nel 1916 al fine di perfezio-nare la mobilitazione di tutte le forze disponibili in funzione dello sforzo bellico, aveva infatti certamente comportato un aumento dei ritmi lavorativi e della mobilità della forza lavoro – e per que-ste ragioni la richiesta della sua revoca sarebbe stata inserita nelle piattaforme rivendicative dei grandi scioperi operai del ’17-’1833;

ma d’altro canto aveva istituito collegi arbitrali di cui erano chia-mate a far parte anche rappresentanze sindacali. A tale legge – non casualmente accolta con grande favore da Sinzheimer34– la

dottri-na giuslavoristica weimariadottri-na si sarebbe quindi riferita negli anni successivi come ad un primo importante punto di svolta35.

Ma torniamo a Sinzheimer: entrato nella Socialdemocrazia poco dopo l’inizio della Guerra, egli contribuì nel 1917 – con un saggio sui rapporti tra pacifismo e diritto – alla pubblicazione del volume collettaneo Nach dem Weltkrieg, destinato a divenire «il manifesto della strategia politico-costituzionale della SPD nel dopoguerra»36.

32 Sull’ispirazione «pluralistica» di Sinzheimer, cfr. E. FRAENKEL, Hugo

Sinzhei-mer, cit., p. 460. Ma sui limiti con cui questa categoria deve essere intesa in riferi-mento a Sinzheimer, cfr. ora opportunamente S. KNORRE, Soziale

Selbstbestim-mung, cit., p. 138

33 Cfr. A. ROSENBERG, Origini della Repubblica di Weimar, cit., pp. 190 s. (sullo

sciopero di Lipsia dell’aprile del 1917) e 193 (sullo sciopero di Berlino del gen-naio 1918).

34 Cfr. H. SINZHEIMER, Das Gesetz über den vaterländischen Hilfsdienst vom 5.

De-zember 1916, in «Arbeitsrecht», 4, 1917, pp. 63-65.

35 Si veda al riguardo F. NEUMANN, Koalitionsfreiheit und Reichsverfassung. Die

Stellung der Gewerkschaften im Verfassungssystem, Berlin 1932, pp. 7 s., dove la leg-ge del 1916 è appunto indicata come momento cruciale nel passaggio dalla fase della «tolleranza» alla fase del «riconoscimento» dei sindacati da parte dello Stato. Ma cfr. anche O. KAHN-FREUND, Il mutamento della funzione del diritto, cit., pp. 226 s.

36 G. VARDARO, Il diritto del lavoro nel «laboratorio Weimar», in G. VARDARO(ed)

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Per quanto fosse stato eletto consigliere comunale a Francoforte in quello stesso 1917, la sua carriera politica vera e propria cominciò con la rivoluzione di novembre: dopo aver prestato la propria ope-ra a Fope-rancoforte come capo provvisorio della polizia su nomina del comitato esecutivo dei consigli locali, Sinzheimer fu infatti eletto nel gennaio 1919 nelle liste della SPD all’Assemblea costituente di Weimar, dove giocò un ruolo di primissimo piano proprio nei di-battiti che condussero a varare la sezione della Costituzione dedi-cata alla «vita economica», influenzando in modo decisivo, in par-ticolare, l’articolo sui consigli. Sinzheimer divenne anzi rapida-mente, nella prima metà del ’19, il più influente teorico della so-cialdemocrazia maggioritaria in materia consiliare37.

Conviene soffermarsi brevemente su questo punto. A parere di Sinzheimer «nel sistema economico esiste un conflitto ed una co-munità. Il conflitto, che esiste nel nostro sistema economico e che non può essere ignorato, è quello tra capitale e lavoro. ... [La co-munità] consiste nell’interesse dei datori di lavoro e dei lavoratori alla produzione»38. L’articolo 165 della Costituzione weimariana

rifletteva questa peculiarità del sistema economico, con l’intenzio-ne di articolare la dialettica di conflitto e comunità che lo costitui-sce39. Se da una parte esso riconosceva agli operai e agli impiegati

una «rappresentanza legale» «per la tutela dei loro interessi sociali ed economici», prevedendo la formazione dei «consigli operai» d’azienda e di distretto, nonché del «consiglio operaio del Reich», dall’altra parte prescriveva una confluenza di questi stessi consigli operai, «insieme ai rappresentanti degli imprenditori e con gli altri ceti interessati», a formare i «consigli economici di distretto» e il «Consiglio economico del Reich». A quest’ultimo, in particolare, spettavano ampi poteri consultivi nonché l’iniziativa di legge «in materia sociale ed economica».

Configurati in base a una duplice opposizione – all’idea della «dittatura proletaria» e a ogni progetto di riorganizzazione delle strutture rappresentative in base a principî «corporativi»40– i

con-sigli sarebbero dovuti divenire, agli occhi di Sinzheimer, «organi»

37 Per una rivalutazione delle sue posizioni al riguardo, nel quadro di una

pole-mica contro l’idea di democrazia diretta diffusa nel movimento studentesco tede-sco, cfr. E. FRAENKEL, Rätemythos und soziale Selbstbestimmung. Ein Beitrag zur

Verfassungsgeschichte der deutschen Revolution, in E. FRAENKEL, Deutschland und die Westeuropäischen Demokratien, Frankfurt a.M. 1991, pp. 95-136.

38 H. SINZHEIMER, Relazione all’Assemblea costituente (1919), trad. it. parz. in G.

VARDARO(ed), Laboratorio Weimar, cit., pp. 45-47, pp. 45 s.

39 H. SINZHEIMER, Das Rätesystem (1919), in H. SINZHEIMER, Arbeitsrecht und

Rechtssoziologie, cit., vol. I, pp. 325-350, pp. 330 s.

40 H. SINZHEIMER, Über die Formen und Bedeutung der Betriebsräte (1919), in H.

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di una vera e propria «costituzione economica»41, o, come anche si

legge nei suoi scritti, di una «democrazia economica» che si propo-nesse di integrare e non di sostituire la democrazia politica42.

Inse-rita nel quadro di quella «comunità del lavoro» che era stata sanci-ta dall’accordo Legien-Stinnes43 e nel contesto di un

approfondi-mento della contrattazione collettiva, che attraverso la promulga-zione di «norme sociali, ... ovvero prodotte dall’autodeterminazio-ne sociale e non dalla legislaziodall’autodeterminazio-ne statuale» avrebbe dovuto deter-minare un «ordinamento di tipo superiore tra imprenditori e lavo-ratori», la costituzione economica doveva corrispondere, nelle in-tenzioni di Sinzheimer, all’esigenza di affiancare all’«organizzazio-ne della società da parte dello Stato» una dinamica di «auto-orga-nizzazione della società»44. Si trattava di un disegno che

complessi-vamente salvaguardava il primato della legge statuale – e quindi del parlamento, cui Sinzheimer attribuiva l’esclusiva competenza anche in materia di «socializzazione» – sulle «autonomie sociali»45,

predisponendo tuttavia canali “secondari” che avrebbero da una parte favorito l’integrazione delle «masse» nello Stato46e dall’altra

approntato forme embrionali di «auto-amministrazione» economi-ca.

«L’epoca della “libera economia” è finita», scriveva Sinzheimer nel 191947, registrando quei processi di concentrazione economica

e razionalizzazione produttiva che avevano conosciuto una potente accelerazione durante la guerra. La forma nuova assunta dallo svi-luppo capitalistico doveva essere democratizzata e trasfigurata in una «economia comune» – concetto esplicitamente recepito

dal-41 H. SINZHEIMER, Relazione all’Assemblea costituente, cit., p. 45. 42 H. SINZHEIMER, Das Rätesystem, cit., p. 327.

43 Sulla connessione strutturale tra il principio della Arbeitsgemeinschaft e

l’«anco-raggio costituzionale dei consigli» nella proposta di Sinzheimer, cfr. E. VERMEIL, La Constitution de Weimar et le principe de la démocratie allemande. Essai d’histoire et de psychologie politiques, Strasbourg – Paris 1923, p. 182. Di qui prese le mosse anche la critica “di sinistra” a Sinzheimer, che trovò un’articolazione paradigmatica in K. KORSCH, Legislazione di lavoro per i consigli di fabbrica (1922), trad. it. in K. KORSCH, Consigli di fabbrica e socializzazione, Bari 1970, pp. 105-257 e K.

KORSCH, Der tote Sinzheimer und der lebende Marx (1922), in K. KORSCH, Rätebe-wegung und Klassenkampf. Schriften zur Praxis der ArbeiterbeRätebe-wegung 1919-1923, Frankfurt a.M. 1980, pp. 537-541. Sull’importanza e sui limiti del contributo cri-tico di Korsch alla giuslavorsitica weimariana, si veda G. MARRAMAO, Democrazia

industriale e «rivoluzionamento del diritto» in Korsch, in «Democrazia e diritto», 17, 1977, pp. 361-372.

44 H. SINZHEIMER, Wesen und Bedeutung des Koalitionsrechts (1919), in H. SINZ

-HEIMER, Arbeitsrecht und Rechtssoziologie, cit., vol. I, pp. 173-175, p. 174.

45 Cfr. in questo senso O. KAHN-FREUND, Hugo Sinzheimer, in H. SINZHEIMER,

Arbeitsrecht und Rechtssoziologie, cit., vol. I, pp. 1-31, p. 13.

46 H. SINZHEIMER, Relazione all’Assemblea costituente, cit., p. 47. 47 H. SINZHEIMER, Das Rätesystem, cit., p. 328.

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l’art. 156, comma 2 della Costituzione di Weimar – che avrebbe dovuto rappresentare la base per un’evoluzione in senso socialista. 4. La fine del compromesso sociale weimariano

I presupposti materiali di questo modello furono in realtà rapi-damente erosi già durante la crisi e la grande inflazione dei primi anni ’20. L’accordo Legien-Stinnes (la «Magna Charta del diritto del lavoro della Repubblica di Weimar»48) fu praticamente

disdet-to alla fine del 1923, quando gli imprendidisdet-tori ottennero dal gover-no un decreto che vanificava la concessione della giornata lavorati-va di otto ore, e fissalavorati-va il nuovo limite delle dieci ore: «la prosecu-zione della “comunità del lavoro” divenne allora priva di senso e i liberi sindacati finirono con l’uscire dall’Arbeitsgemeinschaft, il cui ufficio comune fu sciolto il 31 maggio 1924. La fine del compro-messo sociale che era al fondamento della Costituzione di Weimar influì profondamente anche sul funzionamento del Consiglio eco-nomico del Reich, la cui assemblea plenaria non fu più convocata a partire dal 1923»49. In queste condizioni Ernst Fraenkel poteva

scrivere nel ’29 che «l’edificazione di una costituzione economica non solo non si è compiuta, ma dopo il 1920 non si è mai tentato seriamente di realizzarla nel senso voluto dalla stessa carta costitu-zionale»: l’articolo 165 era rimasto lettera morta50.

Sorgeva qui il problema, su cui richiamò criticamente l’attenzio-ne l’attenzio-nel 1930 Otto Kirchheimer, «se gli ambiti sui quali il legislato-re costituzionale volle adottalegislato-re norme a lunga scadenza fossero ef-fettivamente a sua disposizione così come sarebbe stato necessa-rio»51. Nel dare una risposta negativa a questo quesito,

Kirchhei-mer mostrava poi come proprio nel caso di quegli articoli della Costituzione che contenevano le più esplicite concessioni ai prin-cipî socialisti la «scienza giuridica borghese» si fosse sforzata con successo, lungo tutti gli anni ’20, di neutralizzarne gli effetti prati-ci52.

48 La definizione, che risale a P. UMBREIT, Die Magna Charta der deutschen

Ge-werkschaften, in «Recht und Wirtschaft», 8, 1919, pp. 21-26, è stata poi ripresa e valorizzata – tra gli altri – da T. RAMM, Per una storia della costituzione del lavoro tedesca, Milano, 1989, p. 81.

49 G. GOZZI, Democrazia e pluralismo da Weimar alla Repubblica Federale Tedesca,

in «Scienza & Politica», 6, 1992, pp. 85-106, p. 90.

50 E. FRAENKEL, Democrazia collettiva (1929), tr. it. in G. VARDARO(ed),

Labora-torio Weimar, cit., pp. 89-104, pp. 95 s.

51 O. KIRCHHEIMER, Analisi di una Costituzione. Weimar - E poi (1930)? trad. it.

in O. KIRCHHEIMER, Costituzione senza sovrano. Saggi di teoria politica e

costituzio-nale, Bari 1982, pp. 45-83, p. 64.

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A questo fenomeno facevano riferimento, nello stesso giro di an-ni, i giuslavoristi socialdemocratici che, analizzando il «mutamen-to di funzione del dirit«mutamen-to del lavoro», concentravano la propria at-tenzione sull’accresciuto potere acquisito nel nuovo ordinamento dalla magistratura e dalla giurisprudenza. Se nelle condizioni poli-tiche dell’Impero guglielmino la scuola del «diritto libero» (che ri-vendicava alla magistratura una funzione non meramente esecuti-va della legge, ma in qualche misura “creatrice di diritto”) aveesecuti-va svolto un ruolo progressivo, contribuendo alla critica del dogmati-smo positivistico53, la situazione era profondamente mutata con la

promulgazione della Costituzione di Weimar: la magistratura, ar-rivando a rivendicare l’introduzione del sistema americano del controllo di costituzionalità delle leggi54, si era arrogata il ruolo di

«garantire il mantenimento delle attuali condizioni su cui si regge il nostro sistema politico, sociale, economico e culturale»55,

bloc-cando ogni approfondimento di quella dialettica tra contenuto «individuale» e «sociale» dei diritti fondamentali che era iscritta nel “codice genetico” della Costituzione weimariana.

In particolare, la giurisprudenza della Corte del lavoro del Reich, come constatò in un’accurata indagine Otto Kahn-Freund, aveva assunto a proprio «ideale sociale» un’interpretazione tutt’affatto peculiare del principio della «comunità del lavoro», ridefinendolo alla luce di una concezione istituzionalistica dell’azienda assai prossima a quella in voga nell’Italia fascista e che non a caso sareb-be stata poi ripresa e valorizzata durante il nazismo. La Corte ave-va cioè sempre più marcatamente sottolineato, nella propria giuri-sprudenza, l’idea che l’«azienda» costituisse una sorta di «terzo su-periore» a imprenditore e lavoratori, da difendere anche «a scapito della tutela degli interessi» di questi ultimi56. Aveva così finito per

improntare le proprie sentenze a un’«impostazione

amministrativi-53 Si veda in questo senso H. SINZHEIMER, Ein Arbeitstarifgesetz, cit., pp. 183 s. 54 Cfr. F. NEUMANN, Contro una legge sul controllo di costituzionalità delle leggi del

Reich (1929), trad. it. in Il diritto del lavoro tra democrazia e dittatura, Bologna 1983, pp. 65-86. Ma sul punto è fondamentale l’analisi di F. DESSAUER, Recht, Richtertum und Ministerialbürokratie. Eine Studie über den Einfluß von Machtver-schiebungen auf die Gestaltung des Privatrechts, Mannheim - Berlin - Leipzig 1928, in specie pp. 1-92.

55 F. NEUMANN, Il significato politico e sociale della giurisprudenza dei tribunali del

lavoro (1929), trad. it. in G. VARDARO(ed), Laboratorio Weimar, cit., pp.

133-164. Ma cfr. anche E. FRAENKEL, Zur Soziologie der Klassenjustiz (1927), in E. FRAENKEL, Zur Soziologie der Klassenjustiz und Aufsätze zur Verfassungskrise

1931-32, Darmstadt 1968, pp. 1-41.

56 O. KAHN-FREUND, L’ideale sociale della giurisprudenza della Corte del lavoro del

Reich (1931), trad. it. in G. VARDARO(ed), Laboratorio Weimar, cit., pp. 165-219, pp. 172 e 174.

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stica»57, accentuando «l’esigenza di disciplina aziendale» e

avallan-do nei fatti la tendenza al ripristino della «dittatura unilaterale del titolare d’azienda»58.

In queste condizioni i sindacati – che si erano ormai pienamente sostituiti ai «consigli» come portatori delle istanze di «autodeter-minazione sociale» – puntarono proprio, valorizzando istituti co-me l’arbitrato obbligatorio e la propria posizione di forza nella ge-stione dell’assicurazione contro la disoccupazione nonché nell’or-ganizzazione del mercato del mercato del lavoro, al potenziamento di un rapporto diretto con gli apparati amministrativi dello Stato, di cui continuava evidentemente a essere data per scontata la natu-ra tecnica e neutnatu-rale. Il volume collettaneo sulla «democnatu-razia eco-nomica» curato nel 1928 da Fritz Naphtali, che rappresentò la sin-tesi dell’elaborazione dei sindacati nella fase della «stabilizzazione» weimariana, è in questo senso chiarissimo, e pone del resto le pre-messe per la divergenza delle posizioni sindacali rispetto a quelle del partito nel drammatico biennio 1932-’3359. Ma è assai

signifi-cativo che un giovane (e certo non sprovveduto) giurista vicino ai sindacati come Franz Neumann abbia potuto valutare positiva-mente, nel 1931, il ridimensionamento del ruolo politico e finan-che la paralisi del parlamento – considerato il luogo politico per eccellenza all’interno dell’edificio statuale: in una situazione con-traddistinta da un sostanziale «equilibrio delle forze di classe», un parlamento con maggiori poteri e con una maggiore capacità d’a-zione avrebbe infatti, secondo Neumann, potuto sfruttare un arre-tramento dell’«influenza politica della classe operaia» per «modifi-care in modo decisivo i rapporti di forza facendo leva su questa co-stellazione politica occasionale»60.

5. Hugo Sinzheimer e la crisi di Weimar

Come reagì Sinzheimer alla crisi del “suo” progetto politico? Egli si ritirò dalla politica attiva e dal lavoro parlamentare già nel 1919 per dedicarsi all’attività legale e all’insegnamento, deluso per i duri attacchi personali che aveva dovuto subire in conseguenza della vigorosa opera di denuncia dell’estabilishment politico-milita-re guglielmino da lui svolta all’interno della commissione d’inchie-sta parlamentare sull’iniziativa di pace del presidente americano

57 Ibidem, p. 201.

58 F. NEUMANN, Il significato politico, cit., pp. 157 s. 59 G.E. RUSCONI, La crisi di Weimar, cit., pp. 230-245.

60 F. NEUMANN, Über die Voraussetzungen und den Rechtsbegriff einer

Wirtschaft-sverfassung (1931), in F. NEUMANN, Wirtschaft, Staat, Demokratie. Aufsätze 1930-1954, Frankfurt a.M. 1978, pp. 76-102, p. 85.

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Wilson negli anni 1916-1917 e sulle reazioni ad essa del governo tedesco61: e tuttavia non rinunciò all’impegno civile, svolgendo a

partire dal 1925 un’importante opera di commento dell’evoluzio-ne politica e giuridica tedesca sulle pagidell’evoluzio-ne della rivista «Die Justiz» (di cui fu tra i fondatori)62, e soprattutto approfondendo sotto il

profilo teorico la sua concezione della democrazia economica. Particolarmente importante, in quest’ultimo senso, è l’articolo del 1925 dedicato a L’Europa e l’idea di democrazia economica, che va letto insieme al capitolo sulla «democratizzazione del rapporto di lavoro» scritto da Sinzheimer per il citato volume collettaneo curato da Fritz Naphtali63. Troviamo qui confermati, in un quadro

sostanzialmente omogeneo con la coeva evoluzione delle posizioni sindacali, molti degli elementi analitici che abbiamo già incontra-to: la centralità della condizione di dipendenza determinata dal contratto di lavoro come punto d’avvio di ogni opera di riforma sociale; l’idea di una costituzione dell’economia che doveva affian-carsi alla costituzione politica; la convinzione che l’economia fosse ormai divenuta un affare pubblico. Un segno della consapevolezza delle difficoltà di attuazione incontrate dal progetto contenuto nell’articolo 165 della Costituzione si può forse cogliere dove si legge che non è possibile dar vita alla «comunità dell’economia» «in un colpo solo, per mezzo di un “nuovo ordinamento giuridi-co”»64. Grande è poi l’enfasi del riferimento ai sindacati, chiamati a

farsi «fattori economici» e ormai decisamente subentrati in luogo dei «consigli operai» come «soggetti fondamentali [della] autode-terminazione sociale ... sul lato del lavoro»65.

Ma quel che più in generale colpisce è il pathos “progressista” d’insieme che connota questi scritti di Sinzheimer, profondamente intrisi da quell’«opinione di nuotare con la corrente» di cui critica-mente parlò Walter Benjamin a proposito dell’intera esperienza della socialdemocrazia tedesca. Nell’articolo su L’Europa e l’idea della democrazia economica, in particolare, Sinzheimer postula una sorta di omologia evolutiva tra Stato ed economia nel segno della progressiva democratizzazione dei due ambiti e parli, anticipando quasi lessicalmente il modello interpretativo dello sviluppo della

61 Sull’importanza di questa esperienza, cfr. S. KNORRE, Soziale Selbstbestimmung,

cit., pp. 23-68.

62 Cfr. al riguardo la raccolta degli editoriali da lui scritti per la rivista in H.

SINZHEIMER, Die Justiz in der Weimarer Republik. Eine Chronik, Neuwied und

Berlin 1968.

63 H. SINZHEIMER, La democratizzazione del rapporto di lavoro (1928), trad. it. in

G. VARDARO(ed), Laboratorio Weimar, cit., pp. 53-78.

64 H. SINZHEIMER, L’Europa e l’idea di democrazia economica (1925), trad. it. in

«Quaderni di azione sociale», n. 2, 1994 (ottobre 1994), pp. 71-74, p. 72.

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cittadinanza che sarebbe stato proposto nel 1949 dal sociologo in-glese T.H. Marschall, delle «rivendicazioni di cittadinanza econo-mica dei lavoratori», destinate a imporsi sulle resistenze di un’osti-nata «autocrazia economica»66. E nel saggio del ’28 il processo per

cui «il potere della proprietà retrocede di fronte al lavoro» è pre-sentato come una necessità storica67, mentre nella partecipazione

dei sindacati al collocamento della forza lavoro e all’assicurazione contro la disoccupazione Sinzheimer ravvisa ottimisticamente le forme embrionali di un approfondimento della democrazia econo-mica68.

Se dunque a Sinzheimer può essere imputato un certo qual di-fetto di realismo nell’analizzare le dinamiche sociali e politiche a lui contemporanee, il suo stesso impianto teorico, a ben guardare, esibisce alcuni limiti di fondo, comuni del resto a buona parte del-la socialdemocrazia tedesca degli anni ’20. In sintesi, questi limiti trovano un punto di precipitazione nella cifra organicistica di fon-do dell’opera sinzheimeriana, che segna di sé lo stesso sforzo di or-ganizzazione costituzionale della vita economica69. Il fatto è che,

una volta identificati nel «conflitto» e nella «comunità» i due ele-menti costitutivi del sistema economico, è il secondo a venire esal-tato e, per così dire, “idealizzato”, nel quadro di un orizzonte ideo-logico che fa della pace sociale un valore indiscusso. Già nel 1916 l’«autodeterminazione sociale» era valorizzata come strumento per promuovere una «più profonda compenetrazione tra il diritto e la vita sociale» e con essa la «pace all’interno della società»70. E a

di-stanza di oltre quindici anni Sinzheimer sarebbe giunto ad affer-mare che nella contrattazione collettiva «le parti interessate vengo-no considerate vengo-non più come gruppi isolati ma come membri di un tutto che è loro contrapposto e che li riunisce in un’unica vo-lontà»71.

66 Cfr. H. SINZHEIMER, L’Europa, cit., p. 72. Anche nell’introduzione a F. NAPH

-TALI(ed), Wirtschaftsdemokratie. Ihr Wesen, Weg und Ziel, Berlin 1928, p. 13 si tro-va d’altro canto la tesi che le logiche della cittadinanza siano naturalmente portate a investire la dimensione economica: «per il proletario politicamente liberato, che si sente un libero cittadino, il sentimento della sua dipendenza all’interno dell’a-zienda è divenuto più insopportabile che mai».

67 H. SINZHEIMER, La democratizzazione, p. 64. 68 Ibidem, pp. 71 e 73 ss.

69 I limiti organicistici della «democrazia sociale» prefigurata dalla Costituzione

di Weimar erano stati ben colti già da E. VERMEIL, La Constitution de Weimar, cit., pp. 169-219.

70 H. SINZHEIMER, Ein Arbeitstarifgesetz, cit., p. 194.

71 H. SINZHEIMER, La théorie des sources du droit et le droit ouvrier, in «Annuaire

de l’Institut International de Philosophie et de Sociologie juridique», 1934, pp. 73-79, pp. 73 s.

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Pur a fronte di «uno sviluppo sociale tumultuoso e solcato da scissioni», che aveva posto in crisi la possibilità stessa che «si formi e si affermi silenziosamente e inconsciamente una coscienza giuri-dica comune»72, la convinzione di Sinzheimer era che all’interno

di quello sviluppo vivesse comunque una tensione all’integrazione, una sorta di spontanea “intenzionalità normativa” predisposta a trovare nel diritto le proprie forme di oggettivazione. E la stessa «antropologia giuridica» di Sinzheimer – il suo porre cioè l’uomo e non la «persona giuridica» al centro del diritto – lo portava da una parte a configurare il diritto stesso come sfera autonoma carica di “valori”73, mentre rivestiva dall’altra la sua adesione al socialismo

di quelle tonalità idealistiche ed etiche, che, così diffuse nella SPD degli anni ’20, ne rappresentavano anche il limite fondamentale nel rapportarsi alla nuova dimensione dello sviluppo e alla compo-sizione della forza lavoro che ad essa corrispondeva74.

Nel disegno sinzheimeriano di un’«autonomia sociale» orientata alla produzione di norme capaci di ricalcare la morfologia della società valorizzandone le tendenze all’«integrazione» era dunque originariamente iscritto il pericolo di una giuridicizzazione dei rapporti sociali, di una chiusura «entro scatole concettuali astrat-te» di conflitti che avrebbero potuto produrre innovazioni assai più radicali75. Ma c’è un altro punto che deve essere sottolineato:

i medesimi presupposti organicistici di cui si è discusso in prece-denza condussero Sinzheimer a postulare una sorta di primato “etico” dell’organizzazione sull’individuo, che finiva per esporsi al rischio di un ingessamento del rapporto tra le strutture organizza-te del movimento operaio e i movimenti sociali del lavoro76. Il

si-72 H. SINZHEIMER, Ein Arbeitstarifgesetz, cit., p. 188.

73 Sull’«antropologia giuridica» di Sinzheimer, cfr. O. KAHN-FREUND, Hugo

Sinz-heimer, in H. SINZHEIMER, Arbeitsrecht und Rechtssoziologie, vol. I, cit., pp. 23 e 29 ss. Ma sul punto si veda la critica di W. MÜLLER, Der Pluralismus - Die

Staatstheo-rie des Reformismus, in G. DOECKER- W. STEFFANI(edd), Klassenjustiz und Plura-lismus. Festschrift für Ernst Fraenkel zum 75. Geburtstag, Hamburg 1973, pp. 395-424.

74 Cfr. M. CACCIARI, Sul problema dell’organizzazione. Germania 1917-1921, in

Pensiero negativo e razionalizzazione, Venezia 1977, pp. 85-145. Per un’analisi tesa a dimostrare l’influenza di questa “eticizzazione” del socialismo sulla dottrina ge-nerale dello Stato weimariana di area socialdemocratica, si veda S. MEZZADRA, Crisi dell’eticità e omogeneità sociale: note su Hermann Heller, in «Filosofia politica», 5, 1991, pp. 161-175.

75 Riprendo l’espressione usata da G. VARDARO, Il diritto del lavoro nel

«laborato-rio Weimar», cit., p. 24. Ma si veda anche G. VARDARO, Oltre il diritto del lavoro: un Holzweg nell’opera di Franz Neumann, in F. NEUMANN, Il diritto del lavoro, cit.,

pp. 11-56, dove, a proposito di Sinzheimer, si parla di «una lassalliana fiducia nel-la componibilità giuridica di ogni conflitto sociale aperto».

76 Cfr. a questo proposito le considerazioni di S. KNORRE, Soziale

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stema di contrattazione collettiva teorizzato da Sinzheimer esige-va infatti l’introduzione di una sorta di «obbligo di organizzazio-ne» per operai e impiegati77, senza che a ciò corrispondesse alcuna

riflessione sull’enorme potere che questo obbligo conferiva alle burocrazie sindacali e sui rischi che ne derivavano proprio dal punto di vista della “democrazia sindacale”. E d’altro canto lo stesso decreto sulla contrattazione collettiva del dicembre 1918 (ispirato da Sinzheimer), che prevedeva all’articolo 2 la «dichiara-zione di obbligatorietà generale» dei contratti collettivi, introdu-ceva quel concetto di Tariffähigkeit («capacità di concludere con-tratti collettivi»), che avrebbe consentito alla magistratura le più spregiudicate violazioni della libertà sindacale a favore delle con-federazioni maggioritarie78.

Emergono qui chiaramente le conseguenze del fatto che, fin dal-la sua originaria formudal-lazione, il principio sinzheimeriano dell’au-tonomia contrattuale «non era concepibile senza la mediazione di una legge statuale»79: è lo Stato, infatti, a discriminare – con il

rico-noscimento della Tariffähigkeit – quali siano i soggetti della con-trattazione. Questa situazione si tradusse a Weimar nella progressi-va identificazione di Stato e sindacati maggioritari, che, combi-nandosi con l’incapacità di questi ultimi di corrispondere alle istanze della «grande massa dei lavoratori semi- o non-specializza-ti» collocati in una posizione strategica dalla «razionalizzazione e meccanizzazione delle industrie»80, finì per indebolire gravemente

i sindacati stessi81. Un passaggio fondamentale in questo senso fu

rappresentato dal decreto sul procedimento arbitrale del 1923 (ac-colto favorevolmente da Sinzheimer82) il quale, laddove «i

sindaca-ti non fossero giunsindaca-ti autonomamente alla ssindaca-tipulazione di un

con-77 H. SINZHEIMER, Die Zukunft der Arbeiterräte (1919), in H. SINZHEIMER,

Ar-beitsrecht und Rechtssoziologie, cit., vol. I, pp. 351-355, p. 353.

78 Cfr. su questo punto - pur da diverse prospettive politiche - K. KORSCH, Sulla

capacità dei sindacati rivoluzionari di concludere contratti collettivi (1928), trad. it. in G. VARDARO(ed), Laboratorio Weimar, cit., pp. 267-298 e F. NEUMANN,

Tarif-recht auf der Grundlage der Rechtsprechung des Reichsarbeitsgerichts, Berlin 1931.

79 S. KNORRE, Soziale Selbstbestimmung, cit., p. 155.

80 F. NEUMANN, Mutamenti della funzione della legge nella società borghese (1937),

trad. it. in F. NEUMANN, Lo Stato democratico e lo Stato autoritario, Bologna 1973,

pp. 245-296, p. 276.

81 F. NEUMANN, Sindacalismo, democrazia e dittatura (1934), trad. it. in F. NEU

-MANN, Lo Stato democratico, cit., pp. 287-354, p. 317.

82 Cfr. a questo proposito O. KAHN-FREUND, Hugo Sinzheimer, cit., p. 13. Più in

generale, sull’istituto in questione e sui suoi effetti di esautoramento della contrat-tazione collettiva, cfr. I. VONBRAUCHITSCH, Staatliche Zwangsschlichtung. Die

Aus-höhlung der Tarifautonomie in der Weimarer Republik, Frankfurt a.M. - Bern - New York- Paris 1990.

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tratto collettivo, li vincolava alla proposta di contratto collettivo che il presidente del collegio arbitrale rivolgeva loro»83. L’«idea

del-l’autodeterminazione nel diritto» aveva dunque finito per nutrire un sistema “panstatualistico”, in cui da una parte veniva sottoposta a una progressiva erosione l’autorità del Parlamento (che tendeva a perdere la funzione di centro del sistema politico a tutto vantaggio di una forma «corporatista» di soluzione dei conflitti), mentre dal-l’altra lo Stato, sussumendo “burocraticamente” sotto di sé uno spettro sempre più ampio di relazioni sociali, tendeva a farsi «tota-le»84.

E così Sinzheimer, registrando nel 1933 la «crisi del diritto del lavoro», coglieva lucidamente come la crisi mondiale avesse fatto riemergere l’autonomia delle determinazioni economiche dalla normazione giuridica, portando al collasso il «compromesso wei-mariano»85. Ma non andava oltre la proposta di un superamento

del diritto del lavoro in un più generale (e invero generico) «diritto dell’economia»86, senza domandarsi, soprattutto, quanto il suo

stesso “istituzionalismo”, che tanta parte aveva avuto nel delineare i tratti salienti dell’utopia giuridica weimariana, avesse contribuito a quella crisi87. Soltanto negli anni successivi, nell’esilio olandese,

fu forse sfiorato dal dubbio88. Ma, fatta eccezione per alcuni scritti

in cui ribadì con forza l’assoluta estraneità di «democrazia econo-mica» e «corporativismo fascista»89, Sinzheimer, negli anni

succes-sivi all’avvento di Hitler al potere, si dedicò in misura crescente l’insegnamento (presso le università di Leiden e Amsterdam) e al-l’approfondimento di temi di teoria e sociologia del diritto, aste-nendosi dall’intervenire sull’attualità politica. Lavorò in particola-re a un’opera sulla legislazione, che avparticola-rebbe dovuto rappparticola-resentaparticola-re

83 G. VARDARO, Il diritto del lavoro nel «laboratorio Weimar», cit., p. 21. Si tenga

presente il commento di O. KAHN-FREUND, Il mutamento della funzione, cit., p.

246: «le condizioni di lavoro non sono più ... il risultato di autonomi accordi fra gli interessati, ma il prodotto della politica sociale dello Stato».

84 Cfr. C. SCHMITT, Die Wendung zum totalen Staat (1931), in C. SCHMITT,

Posi-tionen und Begriffe im Kampf mit Weimar Genf Versailles, 1923-1939, Berlin 1988, pp. 146-157 e C. SCHMITT, Weiterentwicklung des totalen Staates in Deutschland (1931), in C. SCHMITT, Verfassungsrechtliche Aufsätze aus den Jahren 1924-1954.

Materialien zu einer Verfassungslehre, Berlin 1958, pp. 359-366.

85 H. SINZHEIMER, La crisi del diritto del lavoro (1933), trad. it. in G. VARDARO

(ed), Laboratorio Weimar, cit., pp. 79-87, pp. 79 s.

86 Ibidem, p. 86.

87 Cfr. in questo senso le ancora attualissime considerazioni di G. VARDARO, Il

diritto del lavoro nel «laboratorio Weimar», cit., p. 26.

88 S. KNORRE, Soziale Selbstbestimmung, cit., p. 244.

89 Cfr. in particolare H. SINZHEIMER, Gewerkschaftsbewegung und korporativer

Gedanke (1936), in H. SINZHEIMER, Arbeitsrecht und Rechtssoziologie, cit., vol. I, pp. pp. 307-319.

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la summa del suo pensiero ma che rimase incompiuta90. Provato

dalla clandestinità a cui fu costretto – ebreo e socialista tedesco – dall’occupazione nazista dell’Olanda, Sinzheimer morì infatti po-chi giorni dopo la fine della seconda guerra mondiale, nel settem-bre del ’45.

90 Cfr. H. SINZHEIMER, Theorie der Gesetzgebung (1948), in H. SINZHEIMER,

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