UNIVERSITÀ DI PISA
FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA
Tesi di Laurea
CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN MEDICINA E CHIRURGIA
“Ruolo della Radioterapia a fasci esterni nel
trattamento della esoftalmopatia basedowiana”
Relatore:
Chiar.mo Prof. Carlo Greco Candidato
Gabriele Coraggio
RIASSUNTO
L’oftalmopatia basedowiana (OB) colpisce il 50% circa dei pazienti affetti dal morbo di Graves-Basedow, ed il suo trattamento si avvale di un’opportuna combinazione di terapia medica, radioterapia e terapia chirurgica.
Scopo: valutare gli effetti del trattamento radioterapico a fasci
esterni, rilevare la tossicità acuta e tardiva e ricercare criteri prognostici.
Materiali e Metodi: 267 pazienti affetti da OB (con un follow-up
minimo di 12 mesi), sono stati sottoposti a radioterapia tra il 1/8/2003 ed il 31/12/2009. La dose somministrata è stata di 20 Gy in 10 FF associata a 12 cicli settimanali di glucocorticoidi in bolo. La compliance del trattamento è stata del 100%. Ai fini della valutazione della risposta sono stati valutati i seguenti parametri: proptosi, lagoftalmo, diplopia, Clincal Activity Score e motilità oculare. La risposta al trattamento è stata valutata inoltre in funzione dell’abitudine al fumo, dell’età e dell’intervallo di tempo tra esordio dell’OB e la radioterapia.
Risultati: la risposta globale al trattamento è stata osservata, in
funzione del parametro analizzato, tra il 50% ed il 70% dei pazienti. Il Maggior numero di risposte si osserva nel Clinical Activuty Score (CAS). Non si evidenziano differenze significative tra fumatori e non fumatori nella risposta al trattamento. I pazienti con età >52 anni hanno una migliore risposta in termini di riduzione della proptosi e scomparsa del lagoftalmo, mentre minori risultati si osservano sulla diplopia e sul deficit motorio. Nei pazienti trattati entro 18 mesi dall’esordio della malattia si osserva una regressione dei sintomi in percentuale superiore rispetto a quelli trattati tardivamente.
Conclusioni: la radioterapia retro-orbitaria a fasci esterni eseguita
con le moderne tecniche ed associata alla terapia con glucocorticoidi, risulta efficace nel trattamento dell’esoftalmopatia basedowiana consentendo una qualità di vita accettabile ed è priva di significativa tossicità acuta e tardiva.
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INDICE
INTRODUZIONE ……… pg.2
CAPITOLO 1: ESOFTALMOPATIA BASEDOWIANA
1.1 Patogenesi dell’Esoftalmopatia Basedowiana ……… pg.5 1.2 Anatomia Patologica ………. pg.8 1.3 Presentazione Clinica ……… pg.10 1.4 Fattori di Rischio ……….. pg.12 1.5 Diagnosi ………. pg.14 1.6 Trattamento ……… pg.19
CAPITOLO 2: RADIOTERAPIA NELL’ESOFTALMOPATIA BASEDOWIANA
2.1 Breve storia della Radioterapia nel trattamento dell’OB ……… pg.25 2.2 Effetti delle Radiazioni sui Tessuti ……… pg.34 2.3 Razionale ed Attuale Impiego delle Radiazioni Ionizzanti ……… pg.38 2.4 Effetti Collaterali e Complicanze della Radioterapia ……….. pg.40
CAPITOLO 3: MATERIALI E METODI ……… pg.43 3.1 Terapia Cortisonica ……….……… pg.45 3.2 Radioterapia ………. pg.46 CAPITOLO 4: RISULTATI ……….. pg.49 DISCUSSIONE ………. pg.62 CONCLUSIONI ……… pg.66 BIBLIOGRAFIA ……… pg.67
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INTRODUZIONE
L'oftalmopatia di Basedow (OB) è una manifestazione clinica tipica della malattia di Graves-Basedow anche se può riscontrarsi occasionalmente in pazienti con Tiroidite di Hashimoto (tiroidite cronica autoimmune) o raramente in pazienti eutiroidei (OB isolata o Euthyroid Graves’ Disease).
La malattia di Graves deve il nome al dottore irlandese Robert James Graves, che ha descritto le prime diagnosi nel 1835. Anche il dottore tedesco Karl Adolph von Basedow, indipendentemente dal collega, riporta la stessa constatazione dei sintomi nel 1840. Come risultato, in Europa, questa patologia è più conosciuta con il termine di malattia di Basedow rispetto all'originale malattia di Graves.
La malattia di Graves-Basedow, disordine multisistemico associato ad iperfunzione tiroidea, oftalmopatia e dermopatia, rappresenta una affezione ad eziologia multifattoriale, con una importante predisposizione genetica, verosimilmente legata al concorso di diversi geni ed influenzata da fattori ambientali.
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Il Morbo di Basedow è relativamente frequente e può manifestarsi a qualunque età, con un picco di incidenza nella 3.a e 4.a decade ed una netta prevalenza nel sesso femminile con un rapporto 5:1 (1). Una delle cause di tale malattia è da ricercarsi nel sistema immunitario, forse geneticamente influenzato. Esistono infatti numerosi riscontri relativi ad una trasmissione in via ereditaria familiare, capaci di scatenare una reazione anticorpale contro i propri tessuti tiroidei, con stimolazione incontrollata delle cellule follicolari a produrre ormoni tiroidei (T3 e T4) ed assenza del feedback di autoregolazione ipotalamico-ipofisario. Nel siero dei pazienti con malattia di Graves-Basedow possono essere reperiti tre autoanticorpi: 1.anti tireoperossidasi (Ab TPO), 2.anti tireoglobulina (Ab TG) e 3.anti recettore del TSH (TRAb), questi ultimi svolgono un ruolo patogenetico predominante (52).
I TRAb hanno una eterogeneità limitata, ovvero la loro sintesi avviene ad opera di pochi cloni linfocitari o, al limite, di un solo clone. Sono IgG organo-specifiche il cui antigene è rappresentato dal recettore per il TSH o da una regione di membrana della cellula tiroidea in stretta contiguità con esso, la cui attivazione è comunque in grado di
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avviare la stessa sequenza di fenomeni attraverso la produzione di cAMP. Gli effetti biologici sono sovrapponibili a quelli conseguenti alla stimolazione fisiologica del recettore da parte del TSH. Mentre è chiaramente accertato che l’ipertiroidismo dipende dalla presenza in circolo di TRAb, rimane aperto il problema circa le cause che portano alla produzione di tali autoanticorpi. Un’ ipotesi prevede che, in presenza di un difetto genetico di base dell’immunosorveglianza con deficit dei linfociti T suppressor specifici per l’antigene tiroideo, una popolazione di B-linfociti, normalmente soppressa, venga attivata (per mutazione casuale o altri fattori intercorrenti: virus, stress, ecc.) a produrre un clone di linfociti T helper antigene-tiroideo-specifici (TRAb) responsabili della comparsa della malattia.
Una aberrante espressione di antigeni di istocompatibilità di classe II, HLA-DR, da parte delle cellule tiroidee sembrerebbe essere un prerequisito per l’iniziazione della patologia autoimmune e può essere indotta da diversi fattori tra cui gli immunomediatori (Gamma-Interferon) o processi infettivi (53).
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CAPITOLO 1
ESOFTALMOPATIA BASEDOWIANA
1.1 Patogenesi dell’esoftalmopatia basedowiana
Gli stessi fattori genetici predisponenti alla malattia di Graves, possono contribuire allo sviluppo dell’ OB (chiamata anche TAO: Thyroid-associated orbitopathy), ma non è ancora chiaro se esistano fattori genetici indipendenti. Diversi dati suggeriscono che alcuni aplotipi del sistema MHC potrebbero avere un certo ruolo protettivo nello sviluppo dell’ OB, mentre altri fattori potrebbero essere predisponenti (7). Inoltre, lo sviluppo dell’ OB può essere anche influenzato da fattori ambientali come il fumo di sigaretta, lo stress e alcuni farmaci in grado di modulare la risposta immunitaria (8). Tra questi, senza dubbio, il fattore di rischio principale è il fumo di sigaretta (3, 4, 9).
La patogenesi dell’ OB è caratterizzata da una serie di eventi che hanno luogo all'interno dell'orbita e che culminano in un aumento del volume dei tessuti intra-orbitari (2). Nella fase iniziale della malattia, i muscoli extra-oculari presentano edema ed aumento dello
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spessore. Microscopicamente, le due più importanti osservazioni sono caratterizzate da un abnorme accumulo di glicosamminoglicani (GAGs), principalmente acido ialuronico e condroitinsolfato, e da un'accentuata infiltrazione tissutale da parte di macrofagi, mast-cellule, linfociti T attivati ed in minor misura linfociti B (9, 10). Il processo infiammatorio a carico dell'orbita è iniziato dai linfociti T, i quali infiltrano lo spazio retrobulbare in risposta alla presenza di un antigene, probabilmente rappresentato dal recettore del TSH. Dopo l'iniziale reclutamento, i linfociti T rilasciano citochine in grado di stimolare la proliferazione cellulare (fibroblasti e, probabilmente, pre-adipociti) e la differenziazione di cellule progenitrici in cellule capaci di rispondere allo stimolo adipogenico, con un aumento dell'espressione del recettore del TSH (10). L'accumulo e la produzione di GAGs, molecole altamente idrofile, rappresenta uno stimolo osmotico che determina passaggio di liquidi, edema interstiziale e conseguente aumento dello spessore dei muscoli extra-oculari (11). Variazioni della anatomia orbitaria o della risposta alla flogosi nei tessuti intra-orbitari nel singolo paziente, potrebbero
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essere importanti nello sviluppo delle differenti manifestazioni dell’ OB.
Lo stimolo iniziale, in grado di produrre la serie di processi sopra descritti, non è stato ancora ben identificato. Un’ ipotesi si basa sul recettore del TSH espresso dai fibroblasti intra-orbitari. È noto, infatti, che la presenza di anticorpi anti recettore del TSH circolanti è una tipica manifestazione della malattia di Graves. È molto probabile che il legame di questi anticorpi con il loro antigene (espresso nell'orbita) possa indurre l'espressione di molecole chemiotattiche e di adesione in grado di attrarre i linfociti T e le mast-cellule all'interno dell'orbita. La risposta iniziale è dominata dai linfociti Th 2 che producono citochine in grado di indurre una espressione di molecole del sistema MHC II, le quali determinano la trasformazione dei fibroblasti presenti nell'orbita in adipociti. Queste cellule esprimono il recettore del TSH in misura maggiore dei fibroblasti e sono in grado di produrre GAGs, così da amplificare la risposta immune. Studi su animali, immunizzati contro il recettore del TSH, hanno dimostrato che geni non associati al sistema MHC potrebbero essere importanti nel determinare la comparsa di anticorpi anti-recettore del TSH. È
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perciò possibile ipotizzare che la predisposizione all’ OB sia determinata da una "trans" attivazione tra geni legati al sistema MHC, in grado di predisporre alla malattia di Graves, ed altri geni localizzati su altri cromosomi (1).
Possibili candidati a svolgere tale ruolo di "modificare/interagire" con i geni del sistema MHC sono:
1. Il gene che codifica per il recettore del TSH, antigene coinvolto nella patogenesi della risposta immune all'interno dell'orbita
2. Il gene che codifica per le Heat shock protein che sono coinvolte nello stress e nella risposta infiammatoria e che rappresentano anche potenziali antigeni correlati alla patogenesi.
1.2 Anatomia Patologica
Tutte le strutture orbitarie sono coinvolte nell’ OB: la muscolatura estrinseca orbitaria risulta marcatamente ingrossata, ed il tessuto adiposo retro orbitario è ipertrofico; nelle fasi avanzate di malattia si riscontra fibrosi dei muscoli orbitari (9). Lo spessore normale dei muscoli estrinseci dell’occhio è riportato in tabella 1 (12).
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Tab.1 Diametro normale dei muscoli oculari estrinseci
Muscolo Diametro normale (mm)
Retto superiore / complesso degli elevatori 3.9-6.8
Retto laterale 2.2-3.8
Retto inferiore 1.6-3.6
Retto mediale 2.3-4.7
Somma di tutti i muscoli 11.9-16.9
(Byrne et Al. Diameter of normal extraocular recti muscles with echography)
In corso di OB, questi valori possono aumentare in modo più o meno omogeneo, in particolare può aumentare la differenza tra lo spessore di un muscolo di un occhio e lo spessore del medesimo muscolo nell’occhio controlaterale, determinando l’asimmetria tipica della malattia, oppure può aumentare la somma totale dello spessore di tutti i muscoli di ciascun occhio (6).
L’esame istologico rivela un accumulo di acido ialuronico ed altri mucopolisaccaridi acidi (10, 11). Inoltre linfociti T CD4+ e CD8+ infiltrano il tessuto connettivale retro orbitario ed i muscoli oculari, dove ritroviamo anche macrofagi ed una piccola quantità di linfociti
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B. Seppure infiltrati, i muscoli oculari conservano la struttura delle singole fibre muscolari.
L’immunoistochimica conferma quanto detto fin ora e convalida lo schema patogenetico illustrato, mostrando una notevole varietà di citochine, come Interferone γ, TNF α, IL1 (9)
1.3 Presentazione Clinica
Le manifestazioni cliniche dall’ OB sono dovute principalmente all'aumento volumetrico del tessuto connettivo/adiposo intra-orbitario e dei muscoli orbitari, con conseguente squilibrio tra il volume dei tessuti contenuti nella cavità orbitaria e la cavità stessa. Il 50% circa dei pazienti affetti dalla malattia di Graves-Basedow sviluppa oftalmopatia che può manifestarsi prima, contemporaneamente o dopo l’ipertiroidismo; nell’85% dei casi tra l’esordio della malattia di Graves e la comparsa dell’ OB trascorrono meno di 18 mesi (1).
Le manifestazioni cliniche dell’OB possono variare in relazione alla gravità della malattia. Tipicamente questi pazienti lamentano rossore e bruciore oculare al risveglio a causa del lagoftalmo che impedisce la
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chiusura delle palpebre durante le ore notturne. Ne consegue la secchezza del bulbo oculare, dovuta anche alle alterazioni lacrimali che possono manifestarsi sia come ipo- che iper-produzione del film lacrimale. L’epitelio corneale può andare incontro a disepitelizzazione, fino alla formazione di ulcere nei casi più gravi. La sensazione di corpo estraneo nell’occhio è anch’essa comune e spesso viene riferita come la presenza di un granello di sabbia. Il dolore, che può essere spontaneo o provocato dal movimento degli occhi, è accompagnato dalla sensazione di qualcosa che spinge o tira l’occhio posteriormente. Il sintomo più invalidante è spesso rappresentato dalla diplopia (verticale od orizzontale) dovuta alle alterazioni a carico dei muscoli oculari estrinseci. Questa può essere intermittente (presente solo occasionalmente, spesso per lassi di tempo molto brevi nell’arco della giornata), incostante (sempre presente ma associata a determinate posizioni del bulbo oculare diverse dalla posizione primaria, come quando il paziente guarda in alto o in alto/lateralmente) oppure costante (sempre presente in qualsiasi posizione: la diplopia in posizione primaria è senza dubbio la condizione più invalidante). Questo sintomo è legato al deficit
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motorio dei muscoli che, quando è completo, determina la diplopia in posizione primaria (costante). La riduzione del visus od un annebbiamento della vista è attribuibile all’eccesso di lacrimazione, oppure ad una neuropatia ottica compressiva (NOC) che si riscontra nel 3-5% dei pazienti. In assenza di perdita visiva, altri segni vengono indicati come in grado di rilevare lo sviluppo della NOC, come il cambiamento nella visione dei colori e alterazioni della papilla ottica o una alterazione del campo visivo. La NOC può presentarsi in modo subclinico, come suggerito dall'osservazione di una prolungata latenza dei potenziali evocati visivi in pazienti con OB senza soggettive alterazioni visive e in assenza di compressione del nervo ottico (1, 2, 7).
1.4 Fattori di Rischio
Nella patogenesi e nella progressione del danno nell’OB sono coinvolti numerosi fattori sia endogeni (sesso, età e predisposizione genetica) che esogeni ambientali (importanti ai fini della prevenzione) tra cui il fumo di sigaretta, la disfunzione tiroidea e la terapia dell’ipertiroidismo con radioiodio (13).
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Il ruolo del fumo è tale da rendere buona norma l’invitare tutti i pazienti oftalmopatici ad astenersi da tale abitudine. La sua azione può infatti aggravare l’ipossia tissutale ed avere importanti effetti di immunomodulazione, contribuendo ad aumentare il danno legato all’attivazione dei linfociti (9).
La disfunzione tiroidea (sia iper- che ipo-tiroidismo) è associata ad un aumentato rischio di sviluppare OB ed ad una maggiore gravità della malattia (1). Il meccanismo è verosimilmente legato all’ attivazione del TSHr che si ha in queste situazioni con conseguente esacerbazione delle reazioni autoimmuni responsabili dell’interessamento oculare. Pertanto lo screening periodico dell’assetto ormonale tiroideo e la prevenzione pronta ed efficace di sbalzi ormonali con antitiroidei di sintesi (nel caso dell’ipertiroidismo) o con L-tiroxina (in caso di ipotiroidismo) risulta essenziale in questi pazienti: infatti sebbene questi provvedimenti non alterino la storia naturale della malattia (come non la altera la tiroidectomia) possono limitare gli aggravamenti dovuti a situazioni di distiroidismo (14). La terapia con radioiodio può accelerare la progressione della malattia (ma raramente determinarne la comparsa) nel 15% dei casi
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(14). Il rischio che ciò avvenga è ulteriormente aumentato dalla concomitanza di altri fattori che agiscono in sinergia, come il fumo, od un’intempestiva o incompleta correzione dell’ipotiroidismo successivo alla terapia con radioiodio, ma anche un precedente coinvolgimento oculare o la presenza di elevati titoli di anticorpi anti-TSHr (1). Ciò nonostante la terapia con radioiodio non è controindicata come terapia definitiva per l’ipertiroidismo, in quanto la contemporanea somministrazione di glucocorticoidi per os previene l’eventualità che si sviluppi o aggravi l’OB a seguito del trattamento (15).
1.5 Diagnosi
La maggior parte dei pazienti con morbo di Graves-Basedow ha un modesto interessamento oculare che non richiede alcun trattamento specifico, anche perché le forme clinicamente non severe dell’ OB hanno generalmente un andamento indolente.
La storia naturale della malattia riconosce 2 distinte fasi: una iniziale, "attiva" (caratterizzata da una notevole infiltrazione di cellule linfocitarie, cellule mononucleate e da una proliferazione dei
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fibroblasti) ed una fase tardiva “inattiva” (silente e caratterizzata dalla fibrosi). Distinguere le due fasi è essenziale per decidere se sottoporre il paziente al trattamento e scegliere quello più appropriato.
La fase attiva può durare da 8 mesi a 3 anni dopo la prima osservazione della malattia, può trarre beneficio da lubrificanti oculari ed è più responsiva al trattamento radioterapico ed immunosoppressivo. Nella fase cronica, inattiva, i segni dell'infiammazione non sono più presenti, mentre persistono la proptosi, la diplopia, le alterazioni della motilità oculare ed alterazioni palpebrali. Tutte queste manifestazioni richiedono in genere un trattamento chirurgico di decompressione dell'orbita, di correzione dello strabismo e/o di correzione estetica palpebrale (1, 16).
L'identificazione della fase di attività della malattia è quindi un punto critico e la sua definizione è basata esclusivamente sulla determinazione del Clinical Activity Score (CAS).
Il CAS è definito su una scala da 0 a 7 attribuendo alla presenza di ciascuna delle seguenti manifestazioni cliniche un punto:
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dolore anterobulbare spontaneo
dolore retrobulbare durante i movimenti di cicloversione iperemia palpebrale
edema della palpebra superiore iperemia congiuntivale
chemosi congiuntivale edema della caruncola
La somma dei punti darà il valore del CAS. Quando questo valore è maggiore o uguale a 3 il paziente si trova nella fase attiva della malattia, mentre se il CAS è minore di 3, la malattia è in fase inattiva (16, 17).
Un altro passo fondamentale prima di iniziare il trattamento è l’identificazione della gravità della malattia. Infatti la maggior parte dei disturbi legati all’ OB insorgono con una certa latenza rispetto alla fase attiva della malattia, ma mentre l’attività si riduce spontaneamente negli anni, le alterazioni a carico della cavità orbitaria permangono nel tempo (pur diminuendo lievemente di intensità).
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Fig. 1 Storia naturale dell’oftalmopatia basedowiana. In questo grafico vediamo come due pazienti affetti da OB (A e B) possano avere la stessa gravità di malattia, ma con una attività completamente diversa: mentre la malattia del paziente A è in fase florida, quella del paziente B è ormai inattiva. (Bartalena et Al.)
Per stabilire la gravità dell’OB si fa riferimento a 5 parametri che risultano più indicativi di altri: retrazione palpebrale, la proptosi, il coinvolgimento dei tessuti molli, la diplopia ed il coinvolgimento corneale. In tabella 2 sono riportati i valori utilizzati per attribuire un grado alla malattia: è sufficiente che uno di questi abbia le caratteristiche riportate nella colonna di destra per definire un’ oftalmopatia “grave” (1).
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Tab. 2 Gravità dell’Oftalmopatia Basedowiana
Manifestazione Oftalmopatia Lieve Oftalmopatia Grave
Retrazione palpebrale (mm) <2 ≥2
Proptosi (mm) <3 ≥3
Coinvolgimento tessuti molli Lieve Moderato - grave
Diplopia Assente o intermittente Incostante o costante
Coinvolgimento corneale Assente o lieve Moderato
(Bartalena et Al. Graves’ Ophthalmopathy, 2009)
Un'altra tecnica per la valutazione della gravità dell’ OB è costituito da una metodica alquanto arbitraria e comunemente effettuata secondo la classificazione stabilita dall'acronimo NOSPECS, che considera come NO l'assenza di segni di interessamento dell'orbita, S coinvolgimento dei tessuti molli, P proptosi, E coinvolgimento dei muscoli extra-oculari, C interessamento della cornea ed S perdita visiva (sight loss).
Segni di interessamento oculare possono essere dimostrati con metodiche strumentali quali la TC, la risonanza magnetica (RM) o l'ecografia oculare. L’esame TC e l’esame ecografico delle orbite rivelano un ingrossamento dei ventri muscolari (più spesso retto
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inferiore e retto mediale) con aumento del tessuto fibro-adiposo orbitario, mentre le strutture tendinee non risultano alterate (6, 27, 43). E’ stato dimostrato che i pazienti con OB, hanno una bassa reflettività rispetto ai controlli dei muscoli extra-oculari all'ecografia in A-mode. Altri studi hanno riportato un aumento della concentrazione plasmatica ed dell'escrezione urinaria di GAGs in pazienti con OB in fase attiva. Inoltre, un prolungato tempo di rilassamento T2 alla RM è stato osservato nella fase attiva ed una buona risposta al trattamento immunosoppressivo è stato associata ad una diminuzione di tale parametro.
1.6 Trattamento
Nelle forme di OB lievi (tab. 3 ) sono sufficienti dei trattamenti sintomatici relativi alla situazione specifica del paziente. Per fenomeni irritativi si possono usare lacrime artificiali, mentre gel oftalmici alla sera sono indicati nel lagoftalmo per ridurre l’evaporazione del film lacrimale durante la notte. L’utilizzo di occhiali da sole risulta utile per la fotofobia e contro vento e polvere. Per l’aumento del tono oculare si utilizzano colliri beta-bloccanti, che
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possono anche migliorare la retrazione palpebrale mentre i diuretici non risultano utili (18).
Tab. 3 Trattamento forme lievi di OB
Segno/Sintomo Trattamento
Fotofobia Lenti scure
Sensazione di corpo estraneo Lacrime artificiali, gel oftalmici Aumento tono oculare Colliri beta-bloccanti
Retrazione palpebrale Colliri beta-bloccanti
Lagoftalmo Bendaggio notturno
Diplopia lieve Lenti prismatiche
Iper/ipotiroidismo Correzione disfunzione tiroidea
(Bartalena et Al. Treating severe Graves’ ophthalmopathy)
Per le forme gravi il trattamento dell’OB deve essere preceduto dalla correzione dell’ipertiroidismo. Solo nei casi molto gravi si può ricorrere all’intervento chirurgico prima di aver raggiunto lo stato eutiroideo, cioè quando vi siano segni di neurite ottica rapidamente progressiva o in presenza di grave proptosi con sublussazione del bulbo oculare (23). In tutti gli altri casi il trattamento prevede l’utilizzo di glucocorticoidi ad alte dosi e la radioterapia orbitaria.
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Questi trattamenti hanno azione anti-infiammatoria e modulano le risposte autoimmuni alla base della patogenesi della malattia; inibiscono la produzione di GAGs da parte dei fibroblasti orbitari ed agiscono sui linfociti che infiltrano i tessuti orbitari. Questi due trattamenti sono molto meno efficaci quando la malattia è “inattiva”, pertanto la determinazione della fase di malattia è fondamentale ai fini prognostici. L’impiego combinato di radioterapia e glucocorticoidi risulta più efficace rispetto al singolo trattamento con risultati favorevoli in più dell’ 80% dei casi (anche se una regressione completa dei sintomi è rara).
Le alterazioni legate alla flogosi dei tessuti molli, la diplopia e la neuropatia sono le manifestazioni oculari che rispondono meglio al trattamento, mentre la diplopia di lunga durata e la proptosi (dovute alla degenerazione fibrotica dei muscoli) sono scarsamente responsive (19).
I glucocorticoidi, per una maggiore efficacia, devono essere somministrati ad alte dosi in genere in boli settimanali o bisettimanali (20). Esiste una certa variabilità nelle dosi cumulative dei
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glucocorticoidi legata alla scuola di pensiero, ma generalmente non viene superata la dose totale di 6 – 8 grammi. In alcuni casi sono stati riportati segni di epatotossicità, pertanto alla fine del trattamento per endovena è opportuno continuare per alcune settimane la terapia steroidea a basse dosi per via orale (21).
La terapia chirurgica consiste nell’orbitotomia decompressiva in cui si rimuove una parete (o più pareti) dell’orbita per dare al contenuto orbitario aumentato di volume più spazio. Questa è indicata soprattutto nelle forme gravi e inattive ed in particolare quelle con marcata proptosi. Tuttavia può essere utilizzata anche in casi di urgenza con neuropatia ottica compressiva che non rispondano rapidamente agli steroidi. Spesso sono necessari ulteriori interventi per correggere la compromissione dei muscoli oculari estrinseci (chirurgia muscolare) oppure può rendersi necessaria una chirurgia palpebrale inferiore o superiore per la retrazione. Queste ultimi due tipi di interventi devono necessariamente essere effettuati quando la malattia è rimasta inattiva per un periodo di almeno sei mesi.
Boboridis et all (48), nel marzo 2010 hanno pubblicato un importante articolo analizzando lo stato dell’arte sugli interventi chirurgici nell’
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OB. Gli autori spiegano come dai primi interventi che consistevano nella sola rimozione del tessuto adiposo retrobulbare, si sia passati ad un approccio combinato in cui alla rimozione del tessuto adiposo è associato l’intervento demolitivo su una o più pareti ossee, con risultati nettamente migliori.
Sempre nel 2010 Rosen e Simon (49) confermano ulteriormente l’efficacia di questo intervento, puntualizzando come esso dia buoni risultati nell’attenuare i sintomi, nello scongiurare il rischio di neuropatia ottica ed esposizione corneale, nonché nell’offrire a questi pazienti un non trascurabile vantaggio estetico.
Gli interventi sulla muscolatura oculare estrinseca risultano importanti ausili nella correzione della diplopia. Come evidenziato da Newmann nel 2009 (50) questo tipo di chirurgia risulta più efficace quando si interviene sul muscolo obliquo inferiore in associazione al superiore ipsilaterale oppure all’inferiore controlaterale. L’accurata pianificazione con lo schermo di Hess ed i campi di visione singoli binoculari sono raccomandabili.
Peleg nel 2010 ha riassunto le più importanti tecniche chirurgiche per ridurre la ptosi palpebrale (51), puntualizzando come la correzione
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della retrazione palpebrale possa ridurre notevolmente la disepitelizzazione corneale legata al lagoftalmo.
Sono stati proposti anche altri tipi di terapia per l’ OB, ma nessuno di questi è finora entrato nell’uso clinico. Gli analoghi della somatostatina potrebbero teoricamente essere utili, ma quelli disponibili risultano poco efficaci. Anche gli antiossidanti hanno un evidenza clinica limitata, forse maggiore nell’ OB di lieve entità. Le anticitochine potrebbero in futuro avere un ruolo importante, ma attualmente la loro efficacia è speculativa.
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CAPITOLO 2
RADIOTERAPIA NELL’ESOFTALMOPATIA BASEDOWIANA
2.1 Breve Storia della Radioterapia nel Trattamento dell’ Esoftalmopatia Basedowiana
La radioterapia nell’OB venne utilizzata per la prima volta negli anni ’30 da Merril e Stevens con risultati non soddisfacenti. Utilizzarono un apparecchio a raggi X di bassa energia (scarsamente collimato) e gli Autori riportarono effetti collaterali significativi nei pazienti trattati: cefalea transitoria, eritema cutaneo, alopecia localizzata, otiti sierose, congiuntiviti, alterazioni della sensibilità cutanea ed incremento dell’edema periorbitario (26). Negli anni ’50-60 con l’introduzione di nuove tecnologie si ottennero risultati incoraggianti seppur su piccole casistiche. Ma fu con l’avvento degli acceleratori lineari, negli anni ’70, in grado di generare fasci di fotoni ad alta energia ben collimati che si assistette ad un deciso miglioramento dei risultati. Donaldson e Kriss nel 1973 trattarono 23 pazienti con 20 Gy in 10 frazioni ed ottennero un miglioramento dell’oftalmopatia in 15 pazienti (cioè nel 65%). Evidenziarono anche che l’efficacia era
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maggiore nei pazienti in cui la malattia era insorta recentemente (26, 27).
Dagli anni ’80 sino ad oggi si sono susseguiti vari studi con lo scopo di valutare l’efficacia della radioterapia nella OB pur con il limite della mancanza di parametri condivisi per la verifica dei risultati terapeutici come mostrato nella tabella 4.
Tab.4 Casistiche sul trattamento dell’OB con acceleratore lineare
Pazienti migliorati
AUTORE N° Pazienti Numero Percentuale Anno
Donaldson 23 15 65% 1973 Covington 7 5 71% 1977 Trobe 6 3 50% 1976 Teng 20 7 35% 1980 Grauthoff 10 8 80% 1980 Fritsch 15 3 20% 1981 Yamamoto 9 4 45% 1982 Brennan 14 10 71% 1983 Hurbli 63 35 56% 1985 van Ouwerkerk 24 14 60% 1985 Olivotto 28 19 68% 1985 Pigeon 21 12 51% 1987
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Pazienti migliorati
AUTORE N° Pazienti Numero Percentuale Anno
Palmer 29 14 48% 1987 Wiersinga 39 25 64% 1988 Sandler 35 25 71% 1989 Appelquist 18 4 25% 1990 Marcocci 13 5 38% 1991 Lloyd 36 33 92% 1992 Prummel 28 13 46% 1993 Nakahara 31 13 42% 1995 Seegenschmiedt 60 49 82% 1997 Totali 529 326 62%
Nel 1985 Olivotto e Ludgate (47) valutarono 28 pazienti sottoposti a radioterapia con acceleratore lineare nel periodo 1980-1983, con una dose totale di 20Gy in 10 frazioni per 12 giorni, rilevando che 26 pazienti mostravano segni di miglioramento dopo la terapia, e 19 di essi avevano risposte buone o eccellenti. Non rilevarono effetti collaterali significativi.
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Palmer (38) pubblicò un importante studio nel 1987 in cui 29 pazienti affetti da OB erano stati trattati dal 1973 al 1986; nella maggior parte di questi (21/29 pazienti) la radioterapia era l’unico trattamento possibile (per fallimento degli steroidi ed alti rischi chirurgici). L’autore riporta un miglioramento in 14 pazienti (52%) rilevando che il periodo oltre il quale si osservavano i risultati migliori era dai 4 mesi dopo la terapia in poi. I parametri che risultarono migliorati erano sia la proptosi che i sintomi infiammatori. Sette pazienti riportarono effetti collaterali transitori, durante il trattamento (visone ofuscata, secchezza oculare).
Nel 1990 Petersen e Donaldson (29) valutarono 311 pazienti sottoposti a radioterapia per OB, introducendo come metodo di valutazione la scala “SPECS” che fa riferimento a 5 parametri principali: stato dei tessuti molli, proptosi, ridotta mobilità dei muscoli oculari estrinseci, coinvolgimento corneale e perdita del visus. Divisero i pazienti in tre gruppi in base alla dose erogata (Gruppo I =20Gy in 2 settimane e Gruppo II = 30Gy in 3 settimane) ed all’epoca del trattamento (Gruppo III = stesso trattamento del primo gruppo ma in epoca successiva). Tutti i pazienti mostrarono segni di
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miglioramento o di arresto della progressione dell’ OB (tranne che nell’ 1-6% dei casi) e tutti i parametri considerati risultarono migliorati in un numero significativo di pazienti. In particolare i vantaggi maggiori si ebbero sul coinvolgimento dei tessuti molli, quello corneale e sul visus (seppur con ampie variazioni individuali). Risultarono come fattori prognostici negativi il sesso maschile, l’età avanzata, l’ipertiroidismo non compensato e l’assenza di una storia di ipertiroidismo. Donaldson e Petersen non riscontrarono effetti collaterali significativi, né differenze nei pazienti cui erano state somministrate dosi differenti di radiazioni.
Erickson e Harris nel 1995 (6) hanno sperimentato l’ecografia come metodo di valutazione dell’efficacia della radioterapia nell’OB al fine di individuare dei criteri che fossero il più oggettivi possibile per confermare i dati su questo trattamento. Hanno studiato 55 pazienti nell’arco di tempo compreso tra il 1983 ed il 1993 trattati con dose totale di 20Gy/10 frazioni. Hanno effettuato ecografie a campione su 37 di essi prima della terapia, e su tutti (con tempi di follow up differenti) dopo la terapia. Hanno così dimostrato l’effettiva riduzione dello spessore dei muscoli oculari estrinseci dopo il trattamento nella
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maggior parte dei pazienti con un ritorno completo o parziale alla simmetria di queste strutture, proponendo l’ecografia come metodo di valutazione oggettivo.
Nel 1997 Beckendorf et coll (39) analizzarono una coorte di 195 pazienti trattati consecutivamente tra il 1977 ed il 1996, tutti sottoposti a 20Gy in 10 frazioni per 2 settimane. I pazienti furono valutati con la classificazione “NO SPECS”, una versione aggiornata e rivista della classificazione proposta da Donaldson (40). Risultò che 50 pazienti (26%) avevano avuto una risposta al trattamento buona/eccellente, 98 (50%) erano leggermente migliorati, 37 (19%) erano rimasti stabili e 10 (5%) erano andati incontro ad una progressione della malattia. Tra i vari parametri dei pazienti andati in contro a miglioramento, la proptosi fu il quello con i risultati più modesti, mentre l’interessamento dei tessuti molli e la motilità oculare mostravano i progressi migliori. Il risultato finale di questo studio fu di dimostrare un arresto della progressione della malattia nel 95% dei casi ed un miglioramento nel 76% dei pazienti.
Tsujino et coll (41) pubblicarono nel 1999 uno studio retrospettivo condotto su 121 pazienti trattati tra il 1987 ed il 1997 per valutare
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l’efficacia della radioterapia nell’ OB associate o meno ad alte dosi di corticosteroidi. I pazienti erano stati irradiati con una dose totale di 20Gy in 10 frazioni per 2 settimane. Di questi, 15 pazienti non assunsero corticosteroidi, ad 85 vennero somministrate alte dosi di corticosteroidi ev, e 21 assunsero basse dosi di corticosteroidi per via orale. I pazienti furono valutati secondo la classificazione “NO SPECS”, della quale fu scelto di non utilizzare alcuni parametri, perché non ritenuti sufficientemente oggettivi. Il risultato fu che i pazienti trattati con alte dosi di corticosteroidi mostrarono risultati significativamente migliori di quello sottoposti a basse dosi, ed ancor di più rispetto ai pazienti che avevano effettuato solo il trattamento radioterapico.
Quasi contemporaneamente, sempre nel 1999, Nihei (42) confermò ulteriormente questo dato, studiando 72 pazienti affetti da OB trattati con radioterapia (col medesimo schema di trattamento). A 41 pazienti furono somministrati corticosteroidi ad alte dosi, a 18 steroidi orali a basse dosi e 13 non assunsero alcuno steroide. Il risultato fu che ad un follow up di tre anni i pazienti trattati con corticosteroidi ad alte dosi avevano ottenuto migliori risultati, sia in
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termini di maggior numero di remissioni (parziali e complete), sia in termini di minori ricadute.
Rush (45) nel 2000 ha studiato i benefici della radioterapia nell’ OB per quanto riguarda la neuropatia ottica. Tra il 1991 ed il 1995 ha seguito 10 pazienti affetti da OB con neuropatia ottica dimostrando come in 8 di essi la radioterapia abbia indotto un miglioramento nella funzione del nervo ottico, senza riscontrare effetti collaterali significativi.
Nel 2001 Marquetz e Lum (44) hanno valutato 197 pazienti sottoposti a radioterapia per OB, con uno studio retrospettivo ed un follow up ≥1 anno. Hanno utilizzato la classificazione “SPECS” per studiare i pazienti ed hanno riscontrato il 96% di risposte totali (remissioni complete e parziali) e nessun segno di sequele per un periodo di almeno 29 anni, slavo pochi casi di cataratta risoltisi con intervento per i pazienti in età avanzata. Suggeriscono inoltre che l’intervento chirurgico, in base ai loro risultati, debba essere posticipato al momento in cui il paziente mostri un palteau nella risposta alla radioterapia.
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Schaefer et coll (37) nel 2002 hanno condotto un analisi retrospettiva su 250 pazienti che avevano effettuato la radioterapia retro orbitaria per OB tra il 1968 ed 1978, con un’età media di 49 anni, alla ricerca di eventuali danni radio indotti, valutando la sopravvivenza dei pazienti e confrontando le cause di morte dei deceduti con tabelle standardizzate per genere, età, ed altri fattori. Tutti i pazienti di questo studio sono stati sottoposti al trattamento con le stesse modalità, una dose totale compresa tra 16.8Gy e 24Gy, un campo di irradiazione di circa 4x5cm, ed irradiati con unità di Cobalto60. Dopo un follow up medio di 31 anni il campione analizzato era sovrapponibile alla popolazione generale, senza segni significativi di un aumentato rischio per la sopravvivenza dei pazienti sottoposti al trattamento (e.g.:cancerogenesi).
Nel 2006 Andrews et all hanno pubblicato un interessante studio (43) sull’utilizzo di scansioni TC per individuare nello spessore del grasso retrobulbare e dei muscoli oculari estrinseci un fattore predittivo della radioterapia in pazienti affetti da OB. Sebbene il campione statistico da loro usato richieda molta prudenza nella valutazione essendo costituito da soli 42 pazienti (come gli autori stessi non
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mancano di puntualizzare), essi hanno individuato un gruppo di pazienti il cui rapporto tra tessuto muscolare e grasso retrobulbare è compreso tra 0.31 e 0.49 ed in cui i fallimenti della terapia risultano significativamente minori.
Gerling et all (46) pubblicarono nel 2006 uno studio in cui si confrontavano dosaggi di 2,4Gy e 16Gy per il trattamento dell’OB con radiazioni ionizzanti. Degli 86 pazienti valutati, la metà fu sottoposta ad una dose totale di 2,4Gy mentre gli altri a 16Gy. Il metodo di valutazione dei pazienti si basava su vari fattori tra cui l’aspetto della regione oculare (documentato con foto), l’esoftalmometria, la clinica, etc. I risultati furono valutati a 3 ed a 6 mesi, mostrando lievi miglioramenti in ambedue i gruppi, ma maggiori (specialmente a 6 mesi) nel gruppo trattato con 16Gy.
2.2 Effetti delle Radiazioni Ionizzanti sui Tessuti
I fattori che influenzano la risposta di un tessuto alle radiazioni ionizzanti sono di tre tipi: fisici (tipo di radiazione, dose totale, frazionamento, intensità), chimici (relativi all’ambiente tissutale) e
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biologici (caratteristici del tessuto irradiato) (24). Un tessuto irradiato va incontro a due fasi ben distinte, la fase chimica e quella biologica. La fase chimica si instaura nelle prime frazioni di secondo dopo l’irradiazione ed è legata all’effetto diretto delle radiazioni ed alla produzione di radicali liberi. Questi fenomeni portano a delle modificazioni molecolari che si traducono in rotture della molecola di DNA, sia singole (Single Strand Break) che doppie (Duble Strand Break). La cellula può reagire in vari modi a questo danno: può riparare il danno con ripresa della sua normale attività, può riparare il danno inserendo degli errori nel DNA con conseguente alterazione delle sue funzioni o morte cellulare (apoptosi o morte mitotica ritardata) oppure non riesce a riparare il danno e va incontro ad una rapida morte in interfase (morte mitotica) (24).
La fase biologica consiste nella manifestazione clinica dell’effetto delle radiazioni ionizzanti e si verifica sempre dopo un certo tempo dall’esposizione. Comprende effetti acuti (dopo giorni) ed effetti tardivi (dopo mesi od anni). I tessuti che hanno maggiori capacità di riparare il danno radio indotto sono definiti “late responders” (a
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risposta lenta), mentre quelli con scarsa capacità di riparare il danno sono “acute responders” (a risposta rapida) (24).
Il principale effetto delle radiazioni ionizzanti è quello di inattivare la capacità riproduttiva della cellula secondo due modalità. Nella prima si assiste ad un singolo evento in un singolo target cellulare ed in questo caso la curva di sopravvivenza è lineare rispetto all’ incremento della dose e corrisponde al danno direttamente letale non riparabile (che è prevalente nelle linee cellulari con scarse capacità riparative) ed è definito componente α. Nella seconda modalità invece sono più eventi ad agire su uno stesso target e la curva ha un andamento di tipo quadratico (componente β) legata alla probabilità che eventi sub-letali si combinino per dare un danno letale. Quest’ultimo corrisponde al danno riparabile ed è caratteristico nei tessuti con alta capacità di riparazione (24).
A seconda di quale delle due modalità sia prevalente cambia la forma della curva di sopravvivenza che è appunto caratterizzata dal rapporto α/β, cioè dalla dose alla quale il danno della componente α è uguale al danno della componente β. I tessuti sani con un ritmo proliferativo alto e quelli tumorali hanno un valore α/β alto (7-20Gy),
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sono quindi radiosensibili e la loro curva di sopravvivenza tende ad essere rettilinea all’origine. Tessuti che invece hanno un lento ritmo proliferativo hanno un α/β basso (0,5-6Gy) e la loro curva avrà una “spalla” più evidente. I tessuti con alto α/β non risentiranno molto del frazionamento e dell’incremento di dose per frazione (non essendo comunque in grado di riparare il danno), mentre i tessuti con basso α/β saranno in grado di riparare i danni radio indotti e saranno sensibili agli effetti del frazionamento e dell’utilizzo di basse dosi per frazione (24).
Fig. 2 Curva di sopravvivenza delle cellule sottoposte a radiazioni ionizzanti. La curva α rappresenta una popolazione cellulare in cui la morte cellulare è dovuta ad un singolo evento per cellula. La curva β indica una popolazione in cui la morte
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cellulare è dovuta alla sommatoria di eventi sub-letali. I tessuti si trovano in una situazione intermedia con un rapporto α/β caratteristico per ogni popolazione cellulare, e la loro curva di sopravvivenza sarà più simile alla curva α o alla curva β a seconda della modalità di morte delle cellule prevalente (e quindi al rapporto α/β)
2.3 Razionale ed Attuale Impiego delle Radiazioni Ionizzanti
I linfociti (cellule T helper attivate) implicati nella patogenesi dell’OB sono radiosensibili. Anche i fibroblasti orbitari subiscono gli effetti delle radiazioni ionizzanti che ne riducono la proliferazione, con conseguente riduzione dei GAGs e dell’edema.
In realtà il preciso meccanismo con cui si verificano questi effetti immunosoppressivi e antinfiammatori non è ancora chiaro: potrebbe trattarsi di un’azione soppressiva diretta verso una specifica reazione, oppure un effetto antinfiammatorio aspecifico (1, 23, 25).
Lo schema di trattamento attuale prevede la somministrazione di 20 Gy (con fotoni di energia 4 o 6 MV) suddivisi in 10 frazioni. Il frazionamento è fondamentale per ridurre il rischio di comparsa di cataratta precoce e per la prevenzione di effetti collaterali legati
39
all’esposizione dei tessuti late-responders. Negli studi che hanno previsto la somministrazione di dosi diverse è risultato che dosi minori (10Gy) sono meno efficaci, mentre dosi superiori (30Gy) non hanno fornito alcun vantaggio (28). Uno schema che prevede un frazionamento di 1 Gy per settimana in un periodo di 20 settimane si è rivelato ugualmente efficace e forse anche meglio tollerato rispetto allo schema classico (28). L’efficacia della radioterapia è minore nell’OB di remota insorgenza, dove i fenomeni fibrotici prevalgono rispetto a quelli infiammatori. I migliori risultati sono stati osservati nei pazienti con malattia attiva (caratterizzati da un alto CAS), di recente insorgenza e l’efficacia della terapia è migliore nei confronti della neuropatia ottica, e dei tessuti molli orbitari, minore su proptosi ed edema palpebrale (1, 23, 28). Tra i fattori prognostici negativi sono da annoverare il sesso maschile, l’età avanzata e l’assenza di una storia di ipertiroidismo (1).
La radioterapia retro orbitaria è ben tollerata dai pazienti, salvo alcuni casi in cui si assiste ad una esacerbazione transitoria dei sintomi infiammatori nelle prime fasi di trattamento (1, 28).
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Numerosi studi dimostrano che la radioterapia è più efficace se somministrata in associazione con glucocorticoidi per via sistemica. Questa sinergia è dovuta sia al potenziamento dell’effetto immunosoppressivo delle radiazioni ionizzanti, sia ad una cooperazione di tipo temporale: i glucocorticoidi hanno un’azione più rapida che si manifesta sin dalle prime fasi del trattamento, quando cioè la radioterapia non ha ancora raggiunto una dose efficace (1, 28).
2.5 Effetti Collaterali e Complicanze della Radioterapia
Le possibili complicanze di questo trattamento sono: cataratta precoce, retinopatia da raggi e tumori radio indotti.
La cataratta radio indotta si caratterizza per opacità puntiformi situate, inizialmente, al polo posteriore del cristallino. Successivamente si formano granuli e vacuoli nella zona centrale. L’opacità può rimanere circoscritta oppure progredire verso la capsula, eventualità quest’ultima più frequente. Una volta progredita essa diventa aspecifica, perdendo le caratteristiche che la distinguono dalle forme non attiniche. Nella recente letteratura non
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esistono dati che consentano una sicura attribuzione di cataratta alla radioterapia per OB. Questo dato concorda con la buona protezione fornita alla camera anteriore dell’occhio che si ottiene utilizzando le attuali tecniche di irradiazione, le basse dosi ed il frazionamento (29, 30).
La retina è un tessuto che (quando maturo) presenta una certa radio resistenza. Molto raramente le radiazioni ionizzanti possono causare danno retinico permanente, con una latenza variabile tra 6 mesi e 3 anni. Il danno è legato all’azione diretta dei raggi sulle pareti dei vasi. Questo si verifica frequentemente quando siano utilizzate dosi superiori a 3000 – 3500 Gy e le alterazioni a carico dei vasi comprendono: microaneurismi dei capillari, emorragie, lesioni vascolari tipo fiocchi cotonosi, essudati duri, teleangectasie e perivasculiti. Si può inoltre avere edema retinico, degenerazione maculare ed atrofia ottica, sebbene questi eventi siano occasionali. Molti autori hanno dimostrato che i danni retinici dipendono fortemente dal frazionamento della dose, e dalla durata totale del trattamento, e si ritiene che gli attuali schemi terapeutici abbiano un rischio di danno retinico bassissimo. Alla luce dei meccanismi del
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danno retinico, questo trattamento non viene consigliato per pazienti che hanno malattie sistemiche del microcircolo come diabete mellito, ipertensione con lesioni del microcircolo secondarie o pazienti sottoposti a trattamenti chemioterapici. Nella fase di valutazione del paziente è pertanto opportuno valutare la situazione retinica con precisione, prima di effettuare un eventuale trattamento radioterapico (31, 32, 33).
Il rischio di carcinogenesi è un aspetto importante da valutare, in quanto l’OB è una delle poche applicazioni del trattamento radioterapico nel contesto di malattie benigne. Non esistono in letteratura casi di tumori secondari a radioterapia per OB condotta a dosi di 20 Gy, salvo alcuni occasionali riscontri di craniofaringioma dal significato incerto (35, 36, 37). In uno studio su 311 pazienti trattati tra il 1968 ed il 1988, con un follow up tra 1 e 12 anni, Petersen e collaboratori non hanno evidenziato alcuna lesione neoplastica (29).
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CAPITOLO 3 MATERIALI E METODI
Dal 1/8/2003 al 31/12/2009, sono stati trattati 507 pazienti affetti da OB; 129 pazienti sono stati persi precocemente al follow-up o hanno proseguito il follow-up in un altro centro. La valutazione dei risultati sarà effettuata solo sui 267 pazienti con un follow-up minimo di 12 mesi.
Le caratteristiche dei pazienti sono riportate in tabella 6. 190 pazienti (71,2%) sono di sesso femminile, 77 (28,8%) di sesso maschile. L’età media è di 53 anni (range 27-79) (DS 0,76) senza differenze significative tra i due sessi. L’abitudine al fumo è stata considerata indipendentemente dalla quantità di sigarette fumate al giorno (parametro spesso incerto da determinare). I fumatori sono 123 (rispettivamente 25% maschi e 75% femmine ). Solo per 220 pazienti è stato possibile stabilire la data di esordio dell’ OB calcolando così il tempo medio tra esordio della malattia e trattamento stimata in 30 mesi (range 3 mesi – 8 anni) (DS 41,55). In 117 pazienti la terapia è
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stata effettuata entro 18 mesi dall’inizio della sintomatologia, 103 sono stati trattati dopo 18 mesi dall’esordio.
Tab.6 Caratteristiche dei 267 pazienti valutati Valore o numero pazienti (Percentuale o deviazione standard)
Femmine 190(71,2%)
Maschi 77 (28,8%)
Età media in anni 53 (10,76)
Femmine 53,03 (11,11) Maschi 52.90 (9,92) Abitudine al fumo Fumatori Maschi Femmine 123 (46,1%) 31 (11,6%) 92 (34,5%) Non fumatori Maschi Femmine 144 (53,9%) 46 (17,2%) 98 (36,7%) Media dei mesi trascorsi tra esordio dell’OB e terapia
<18 mesi 117 (43,8%)
≥ 18 103(38,6%)
Non valutabile 47(17,6%)
Periodo medio 30 mesi
La valutazione pre-tarttamento prevedeva oltre alla visita oculistica: ecografia addominale, emocromo e formula leucocitaria, esami della
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funzionalità epatica, mosaico virus epatite completo, esame delle urine, urino cultura con eventuale antibiogramma, ricerca del sangue occulto nelle feci, ricerca di anticorpi non organo specifici (anticorpi anti-nucleo - ANA, anticorpi anti-antigeni nucleari estraibili - ENA, Anticorpi anti-mitocondriali – AMA) e valutazione della pressione arteriosa. Durante il trattamento e per i tre mesi successivi i pazienti hanno effettuato esami di controllo con valutazione di: emocromo, formula leucocitaria, esami della funzionalità epatica, ricerca di virus epatici, esame delle urine con urino cultura ed eventuale antibiogramma, ricerca del sangue occulto nelle feci e valutazione della pressione arteriosa.
3.1 Terapia cortisonica
Il trattamento prevede la somministrazione di Metilprednisolone succinato somministrato per via e.v. lenta in 250 cc. di soluzione fisiologica, una volta a settimana per 12 settimane.
La posologia variava in funzione del peso corporeo; oltre i 65kg di peso corporeo veniva somministrata una dose di 1000mg per i primi 4 cicli e di 500 mg per i successivi 8 cicli per un totale di 8 gr in 12
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somministrazioni (dose massima totale). Nei pazienti con peso corporeo ≤ 65kg sono stati somministrati 15mg/kg per le prime 4 settimane, seguiti da 7,5mg/kg per i restanti 8 cicli.
In associazione è stata somministrata terapia con antiH2 o inibitori di pompa protonica (1cp alla sera per tutto il trattamento) e antiacidi al bisogno.
3.2 Radioterapia
Prima di iniziare le procedure radioterapiche, il medico radioterapista valuta il paziente ai fini di evidenziare la presenza di patologie che possano controindicare il trattamento (diabete grave, degenerazioni retiniche) ed allo scopo di informare il paziente sul tipo di trattamento e sugli eventuali effetti collaterali.
Per tutti i pazienti è stato utilizzato un sistema di immobilizzazione personalizzato con maschera termoplastica, modellata sul volto del paziente, che garantisce la riproducibilità del set-up (definita alla TC-Simulatore) per ogni seduta.
La TC di centraggio viene eseguita con il paziente in posizione supina, senza mezzo di contrasto, con distanza tra le slices di 5 mm o 2,5 mm.
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Vengono quindi contornati il CTV, PTV e gli Organi a Rischio (OAR) ed inviati al planning per il calcolo della distribuzione di dose.
Il clinical target volume (CTV) comprende gli spazi retrobulbari bilateralmente, considerando il canto laterale dell’occhio come limite anteriore (comunque oltrepassandolo in caso di grave proptosi in modo da includere tutto il ventre muscolare interessato dalla malattia), il pavimento ed il tetto dell’orbita come limiti rispettivamente craniale e caudale, e come limite posteriore il forame di uscita del nervo ottico dalla cavità orbitaria.
Il planning target volume (PTV), definito come il CTV più un margine che garantisca contro possibili errori legati ai movimenti del paziente o del set-up, prevede un allargamento asimmetrico del margine tra 3 mm e 5 mm (zero mm anteriormente).
La dose somministrata al PTV è di 2000 cGy suddivisa in 10 frazioni giornaliere di 200 cGy ciascuna, per una durata complessiva del trattamento di circa 2 settimane. Il calcolo di distribuzione di dose viene effettuato con elaboratore elettronico sullo studio TC (metodica 3D-CRT); il PTV deve essere compreso nella isodose del 95% con una variazione all’interno del volume di trattamento < 10%.
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Tecnicamente vengono utilizzati 2 campi laterali, con una angolazione del gantry tale da sfruttare la divergenza del fascio limitando l’irradiazione del cristallino controlaterale.
Ogni campo è conformato grazie all’utilizzo di schermature di piombo e, recentemente, impiegando un microcollimatore terziario con lamelle all’isocentro di 5 mm.
Per il trattamento viene utilizzato un Acceleratore Lineare ad alto voltaggio con fotoni ad energia 6 MV.
La valutazione del piano di trattamento prevede l’esecuzione dell’istogramma dose/volume che specifichi, oltre alla distribuzione di dose al PTV, anche la dose ai cristallini (max 2 Gy).
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CAPITOLO 4 RISULTATI
Tutti i pazienti hanno completato il trattamento di radioterapia a fasci esterni ed i 12 cicli di metilprednisolone alle dosi programmate. I due trattamenti sono stati somministrati in tutti i pazienti nei tempi previsti senza interruzioni.
Ai fini della valutazione dei risultati, in accordo con lo specialista endocrinologo ed oculista, abbiamo preso in considerazione i seguenti parametri: lagoftalmo, proposi, diplopia, CAS e motilità oculare.
Il lagoftalmo è stato valutato come presente o assente. Sebbene siano molti i fattori che possono determinarne l’insorgenza (come l’ampiezza della rima palpebrale), la sua presenza è sicuramente indicativa di malattia grave ed invalidante.
La proptosi è stata misurata, per ciascun occhio, con l’esoftalmometro di Hertel, ed è stato utilizzato il valore maggiore tra i due. Determinare il range di normalità della proptosi è molto difficoltoso in quanto il valore è variabile da un individuo all’altro ed
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è molto influenzato da eventuali difetti refrattivi (miopia e ipermetropia). Pochi sono i dati della letteratura in merito, solo nella razza caucasica è stato identificato un valore di riferimento “normale” che è indicato in 20 mm; pertanto la valutazione della risposta si è basata sulla variazione della misura tra la prima visita oculistica e quella in corso di follow-up: una riduzione della proptosi > 2 mm è stata considerata “risposta” al trattamento; se la variazione è compresa nel range +/- 2mm è stata considerata come “malattia stabile”, infine se è stata misurato un aumento di oltre 2 mm lo abbiamo definito come “progressione”.
La diplopia è stata distinta in:
intermittente = presente solo occasionalmente, spesso per lassi di tempo molto brevi nell’arco della giornata;
incostante = sempre presente ma associata a determinate posizioni del bulbo oculare diverse dalla posizione primaria, come quando il paziente guarda in alto o in alto/lateralmente; costante = sempre presente in qualsiasi posizione, compresa la
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Per la valutazione della motilità è stato utilizzato il valore maggiore tra quelli dei diversi assi dei due occhi. Lo schema usato è quello di riferimento del centro endocrinologico di Pisa, ovvero una gradazione da 0 a 3 in cui ciascun numero corrisponde a quanto riportato di seguito:
0 = Motilità normale, con angolo di cicloversione massimo di circa 40° 1 = Motilità lievemente ridotta, con angolo di cicloversione massimo
di circa 35°
2 = Motilità gravemente ridotta, con angolo di cicloversione massimo di circa 25°
3 = Motilità assente.
Il Clinical Activity Score (CAS) è stato valutato sia complessivamente, distinguendo i pazienti con malattia attiva (CAS ≥ 3) da quelli con malattia inattiva (CAS < 3), sia separatamente per i singoli parametri. Dopo un follow up medio di 34 mesi (range 12– 72) abbiamo ottenuto i seguenti risultati.
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Proptosi (Tab. 7): nel complesso una risposta al trattamento è stata osservata in 124/267 pazienti (46.4%); malattia stabile in 119 pazienti (44.6%) e progressione di malattia in 24 pazienti (9%).
Tab. 7 Valutazione della risposta della Proptosi
Pazienti Progressione Stabili (Nessuna risposta) Risposta
267 24 (9%) 119 (44.6%) 124 (46.4%)
Il lagoftalmo (Tab.8) era presente inizialmente in 114/267 pazienti, al followup, 60/114 pazienti (52.6%) non presentavano più tale sintomatologia. In 7 pazienti (4.5%) il lagoftalmo, inizialmente assente si è invece presentato successivamente al trattamento.
Tab. 8 Valutazione della risposta del lagoftalmo al trattamento
Numero iniziale Stabili (Nessuna risposta) Risposta
114 24* (47,4%) 60* (52,6%)
* 11 pazienti sono stati sottoposti a intervento decompressivo successivamente alla radioterapia
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La diplopia (Tab.9), era presente in 193 pazienti (72,3%): 17 pazienti con diplopia intermittente, 95 incostante e 81 costante. Abbiamo valutato le modificazioni in termini di progressione, stabilità, risposta parziale e risposta completa (tab.10).
9/17 pazienti (52.9%) inizialmente con diplopia intermittente sono progrediti verso una forma di diplopia incostante (5 paz) o costante (4 paz). 16/74 pazienti (21.6%) inizialmente asintomatici hanno successivamente sviluppato diplopia intermittente (6 paz), incostante (5 paz) o costante (5 paz). In questo gruppo di 16 pazienti, 7 sono stati sottoposti ad intervento chirurgico di decompressione dopo la radioterapia ed 1 era affetto da pseudotumor. Nei restanti 8 (nessuno dei quali ha sviluppato diplopia in posizione primaria o costante) abbiamo comunque osservato una efficacia del trattamento rappresentata dalla riduzione del CAS, dal miglioramento della motilità oculare, e della proptosi .
In totale la risposta della diplopia (RP + RC) è stata osservata in 99/193 (51.3%) pazienti.
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Tab. 9 Valutazione della risposta della diplopia al trattamento
DIPLOPIA N°iniziale Progressione Stabili (No
risposta) R. Completa R. Parziale RC+RP Intermittente 17 9 (52,9%) 2 (11,8%) 6 (35,3%) --- 6 (35,3%) Incostante 95 8 (8,4%) 39 (41,0%) 35 (36,8%) 13 (13,7%) 48 (50,5%) Costante 81 --- 36 (44,4%) 13 (16,0%) 32 (39,5%) 45 (55,5%) Totale Diplopia 193 15 (7,8%) 77 (39,9%) 54 (28,0%) 45 (23,3%) 99 (51,3%)
Il Clinical Activity Score è passato da valori indicativi di attività a valori inferiori a 3 in 128/181 pazienti (70,7%).
7/86 pazienti (8%) sono invece passati alla fase di malattia attiva dopo il trattamento.
Tab.10 Risposta del CAS al trattamento
CAS Iniziale Risposta in
≥3 (Malattia attiva) 181pz 128pz (70.7%)
Abbiamo poi considerato la variazione di ogni singolo parametro del CAS (Tab. 11). Ciascun parametro risponde al trattamento in percentuale diversa (dal 33.6% al 71.8%), quelli che maggiormente traggono beneficio dal trattamento sono i sintomi legati alla flogosi
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dei tessuti molli (iperemia palpebrale, chemosi ed edema della caruncola).
Tab. 11 Valutazione di alcuni parametri del CAS al trattamento
Iniziali Follow up Risposta
Dolore orbitario spontaneo 64 30 53.1%
Dolore nei movimenti oculari 58 22 62.1%
Iperemia palpebrale 88 36 59.1%
Edema palpebrale 229 152 33.6%
Irritazione congiuntivale 205 146 28.8%
Chemosi 176 50 71.6%
Edema della caruncola 85 24 71.8%
I deficit della motilità oculare (Tab.12) sono stati riscontrati inizialmente in 225 pazienti; il 19.6% dei pazienti ha recuperato completamente la funzionalità dei muscoli extra oculari, mentre il 34.2% ha avuto un miglioramento della motilità in termini di angolo massimo di cicloversione. Nel complesso 121/225 pazienti (53,8%) hanno avuto una risposta alla terapia.
Il gruppo di pazienti con motilità iniziale 1, ha avuto una risposta nel 31,9% dei casi, mentre quelli con motilità iniziale 2 o 3 hanno risposto rispettivamente nel 67,1% e nel 60,0% dei casi. Anche le percentuali
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di progressione di malattia sono più elevate nel primo gruppo (motilità 1) 8/69 pazienti (11.6%).
Un deficit motorio di grado 1-2, si è sviluppato in 11/42 pazienti inizialmente senza deficit della motilità.
Tab. 12 Valutazione della risposta della motilità al trattamento
Motilità Numero iniziale Progressione Stabili (No risposta) Risposta Completa Risposta Parziale RC+RP 1 69 8 (11,6%) 39 (56,5%) 22 (31,9%) --- 22 (31,9%) 2 76 2 (2,6%) 2 (30,3%) 17 (22,4%) 34 (44,7%) 51 (67,1%) 3 80 --- 32 (40,0%) 5 (6,3%) 43 (53,7%) 48 (60,0%)
Tot. Pazienti con Deficit Motorio
225 10 (4,4%) 94 (41,7%) 44 (19,6%) 77 (34,2%) 121 (53,8%)
Le risposte complessive, in funzione del parametro analizzato, sono riassunte in tabella 13. Tutti i parametri hanno una risposta alla terapia di oltre il 50% (la proposi migliora nel 46,4% dei casi). Il valore del CAS risulta essere il parametro che risponde maggiormente al trattamento (70,7% dei casi), mentre lagoftalmo, diplopia e motilità oculare rispondono complessivamente nel 52.6%, 51.3% e 53.8%.
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Tab. 13 Valutazione della risposta globale al trattamento
Parametro Numero iniziale Progressione Stabili (Nessuna risposta) Risposta Parziale Risposta Completa RC + RP Proptosi 267 24 (9%) 119 (44.6%) --- --- 124 (46.4%) Lagoftalmo 114 --- 54 (47,4%) --- --- 60 (52,6%) Diplopia 193 15 (7,8%) 77 (39,9%) 45 (23,3%) 54 (28,0%) 99 (51,3%) CAS≥3 181 --- 53 (29,3%) --- --- 128 (70,7%) Deficit Motilità 225 10 (4,4%) 94 (41,7%) 77 (34,2%) 44 (19,6%) 121 (53,8%)
I risultati sono stati analizzati in funzione dell’ abitudine al fumo, dell’età dei pazienti e del tempo intercorso tra esordio della malattia e inizio della terapia.
Il gruppo dei pazienti fumatori, non mostra sostanziali differenze nelle risposte al trattamento rispetto al gruppo dei non fumatori (Tab. 14).
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Tab. 14 Valutazione della risposta globale al trattamento: Fumatori vs Non Fumatori
Numero iniziale Progressione Stabili (Nessuna risposta) Risposta Parziale Risposta Completa RC + RP Proptosi Fumatori 123 11 (8,9%) 50 (40,6%) --- --- 62 (50,4%) Non Fumatori 144 13 (9,0%) 69 (47,9%) --- --- 62 (43,0%) Lagoftalmo Fumatori 59 --- 30 (50,9%) --- --- 29 (49,1%) Non Fumatori 55 --- 24 (43,6%) --- --- 31 (53,4%) Diplopia Fumatori 95 4 (4,2%) 38 (40,0%) 24 (25,3%) 29 (30,5%) 53 (55,8%) Non Fumatori 98 11 (11,2%) 39 (39,8%) 21 (21,4%) 25 (25,5%) 46 (46,9%) CAS≥3 Fumatori 89 --- 25 (28,1%) --- --- 64 (71,9%) Non Fumatori 92 --- 28 (30,4%) --- --- 64 (69,6%) Deficit Motilità Fumatori 102 7 (6,9%) 40 (39,2%) 38 (37,2%) 17 (16,7%) 55 (53,9%) Non Fumatori 123 3 (2,4%) 54 (43,9%) 39 (31,7%) 27 (22,0%) 66 (53,7%)
I Pazienti sono stati divisi in due gruppi in base alla loro età al momento dell’inizio della radioterapia; in quelli con età > 52 anni la risposta alla terapia risulta migliore per la proptosi ed il lagoftalmo rispettivamente 51.5% e 64.0% rispetto ai pazienti con età ≤ 52 anni nei quali la risposta è del 41.6% e 43.8%.
Nel gruppo più giovane (età ≤52 anni) la risposta della diplopia e della motilità è rispettivamente del 56.1% e del 61.8% vs il gruppo di età maggiore che presenta valori del 47.1% e 47.0% (Tab. 15)