• Non ci sono risultati.

Identificazione molecolare di specie in sushi a base di prodotti ittici acquistati presso la ristorazione etnica

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Identificazione molecolare di specie in sushi a base di prodotti ittici acquistati presso la ristorazione etnica"

Copied!
160
0
0

Testo completo

(1)

Università degli Studi di Pisa

Dipartimento di Scienze Veterinarie

Corso di Laurea specialistica in Medicina Veterinaria

Tesi di Laurea

“Identificazione molecolare di specie in sushi a

base di prodotti ittici acquistati presso la

ristorazione etnica”

Candidato:

Relatore:

Alessio Benvenuti

Prof.ssa Alessandra Guidi

Correlatore:

Dott.ssa Lara Tinacci

Anno Accademico 2017-2018

(2)

RIASSUNTO

Le nuove abitudini alimentari hanno favorito l’interesse e la crescente popolarità di piatti della tradizione culinaria asiatica ed in particolare del sushi, una specialità a base di pesce crudo, riso cotto aromatizzato con aceto di riso, alghe e prodotti vegetali. In Italia, gli operatori della ristorazione etnica e in particolar modo cinese, che detengono la quasi totalità dei ristoranti e sushi bar, sono spesso oggetto di segnalazioni da parte dell’autorità competente a causa di numerose lacune nel sistema di tracciabilità interna ed identificazione delle materie prime utilizzate. Tali carenze comportano una maggior esposizione del consumatore a fenomeni di frode per sostituzione delle diverse specie ittiche utilizzate nelle preparazioni. Pertanto, data l’assenza di un’indagine di settore su questa tipologia di prodotti a livello italiano, il presente studio ha avuto lo scopo di identificare le specie ittiche utilizzate nelle preparazioni di sushi attraverso l’utilizzo di una tecnica di DNA barcoding e FINS (Forensically Informative Nucleotide Sequencing) per la verifica delle informazioni fornite dai ristoratori alla somministrazione del prodotto. Nel biennio 2014-2015, presso esercizi commerciali distribuiti in quattro province della Regione Toscana (Lucca, Pisa, Firenze, Livorno), sono stati raccolti 185 campioni di sushi contenenti diverse categorie di matrici ittiche (pesci, molluschi e crostacei). Tutti i campioni sono stati sottoposti ad analisi di DNA barcoding sul gene COI e due geni alternativi (16S rRNA e PEPCK) seguita da analisi delle distanze con metodo Neighbor Joining e modello p-distance. L’analisi molecolare è stata condotta con primer universali per l’amplificazione di frammenti target di lunghezza maggiore di 500 pb (Full DNA barcode-FDB) e frammenti corti di circa 150pb (Mini DNA Barcode-MDB) e ha permesso il raggiungimento dell’identificazione molecolare a livello di specie per il 55,6% dei campioni analizzati. Il mancato raggiungimento dell’identificazione specie-specifica è stato determinato dalla ridotta variabilità intragenere del target COI messa in evidenza per specifiche

categorie di pesce (Thunnus sp.) e dalla diminuzione dell’efficienza discriminatoria dell’analisi sui frammenti corti a causa della riduzione del numero di siti polimorfici analizzabili. Per i crostacei il limite al raggiungimento dell’identificazione di specie è stato dato dall’ assenza di sequenze di riferimento del gene PEPCK per 3 di 5 specie appartenenti al genere d’interesse (Litopenaeus sp.) per l’analisi dei campioni in studio e il mancato raggiungimento di una clusterizzazione specie specifica all’analisi filogenetica. I risultati sono stati comunque ritenuti sufficientemente informativi per la verifica delle denominazioni dei prodotti dal quale è emersa un’errata attribuzione della denominazione di vendita (misdescription) solo nel 3,4% (6/185) dei prodotti. Il rilevamento solo occasionale di non conformità è stato ricondotto all’utilizzo di un ridotto numero di specie e all’elevato livello di standardizzazione per la preparazione delle specialità. PAROLE CHIAVE: Prodotti sushi; DNA barcoding; FINS; COI gene; 16S rRNA gene; PEPCK gene; non conformità ABSTRACT New dietary habits have favoured a rising popularity of Eastern countries cooking style and in particular of sushi, a specialty based on raw seafood, rice seasoned with rice vinegar, seaweeds and different vegetables. In Italy, ethnic food retailers and particularly Chinese caterers, who hold most of sushi restaurants and sushi bars, have been referred to the competent authorities due to major deficiencies in the internal traceability of the commodities and ingredients used in the different preparations. Shortcomings in the traceability system entail a greater exposure of consumers to frauds caused by the voluntary or involuntary fish species substitution in the different recipes. Therefore, given the absence of a survey on these types of products in Italy, the present study was aimed at identifying the seafood species used in sushi preparations sampled at retail level by DNA Barcoding and FINS (Forensically Informative Nucleotide Sequencing) techniques, in order to verify the compliance of the information provided by the caterers. A total of 185 samples consisting of fish, molluscs and crustacean based products were collected in a two-year period (2014-2015) from sushi venues distributed in four Tuscan provinces (Lucca, Pisa, Firenze, Livorno). All the samples were submitted to DNA barcoding analysis on COI and two alternatives genes (16s r-RNA and PEPCK) followed by a pairwise divergence and clustering analysis using Neighbor Joining and p-distance method. The analysis, performed by the use of universal primers for the amplification of targets fragments longer than 500 bp (Full DNA barcode-FDB) and short length fragments of ~150bp (Mini DNA Barcode-MDB), allowed the species identification in 55,6% of the analysed samples. The lack of species identification was due to a low intra-genus variability of the COI target, highlighted in specific fish categories (Thunnus sp.), and to a lower discriminatory efficiency of the MDB. Moreover, as regards crustacean samples, the species identification was prevented by the absence of PEPCK reference sequences for 3 out of 5 species belonging to the genus of interest (Litopenaeus sp.) for the sampled products and by the non-significant species clusterization at the phylogenetic analysis. However, the results were informative enough to verify the product information. A non-matching molecular identity to the sale’s denomination (misdescription) was highlighted only in 3,4% (6/185) of the samples. The low number of non-conformities has been attributed to the use of a small number of species currently selected and to the high level of standardization of the recipes used. KEY WORDS: Sushi products; DNA barcoding; FINS; COI gene; 16S rRNA gene; PEPCK gene; Misdescription

(3)

INDICE

CAPITOLO 1 – EVOLUZIONE DEGLI STILI ALIMENTARI: TREND E RISCHI

ASSOCIATI AL CONSUMO DEI PRODOTTI ITTICI CRUDI

5

1.1 Il Crudismo e la “moda sushi” 5 1.2 Consumo di prodotti ittici: aspetti nutrizionali e deperibilità 6 1.3 Problematiche e rischi associati al consumo di pesce 8 1.4 Rischi specifici associati al consumo di sushi: caratterizzazione e gestione dei rischi 10

CAPITOLO 2 – IL SUSHI: ORIGINI, DIFFUSIONE E CONSUMO

13 2.1 Storia ed evoluzione del sushi 13 2.1.1 La diffusione del sushi in USA 14 2.1.2 La diffusione del sushi in Europa 15 2.1.3 La diffusione del sushi in Italia 16 2.2 Il prodotto sushi 16 2.2.1 Ingredienti principali 18 2.3 Specie ittiche utilizzate nelle varie preparazioni 19 2.4 Presentazione e vendita del prodotto 23

CAPITOLO 3 – NORMATIVA DI RIFERIMENTO

24

3.1 L’etichettatura dei prodotti alimentari: Il Regolamento UE 1169/2011 25 3.2 Excursus normativo sull’ etichettatura dei prodotti della pesca fino al Regolamento UE 1379/2013 31

CAPITOLO 4 – LE FRODI NEL COMPARTO ITTICO

36 4.1 Concetto di frode 36 4.1.1 Frodi sanitarie 37 4.1.2 Frodi commerciali 38 4.2 Le frodi nei prodotti della pesca 39

CAPITOLO 5 – TECNICHE DI LABORATORIO PER L’IDENTIFICAZIONE DI

SPECIE NEL COMPARTO ITTICO

42

5.1 Elementi essenziali della tecnica di Polymerase Chain Reaction (PCR) 45 5.2 Utilizzo della reazione di PCR per l’identificazione di specie 47 5.3 Target genici utilizzati per l’identificazione di specie 48 5.3.1 Tecnica FINS (Forensically Informative Nucleotide Sequencing) 50 5.3.2 DNA Barcoding 51

CAPITOLO 6 – SCOPO DEL LAVORO

55

CAPITOLO 7 – MATERIALI E METODI

56

(4)

7.1 Raccolta dei campioni e stoccaggio 56 7.2 Analisi molecolare 57 7.2.1 Estrazione del DNA totale 57 7.2.2 Valutazione quali-quantitativa e del grado di frammentazione del DNA estratto 58 7.2.3 Selezione dei primer, amplificazione del DNA e sequenziamento 59 7.2.4 Analisi della sequenza, confronto con la banca dati e analisi filogenetica 61 7.3 Confronto dei risultati molecolari con le informazioni di partenza 62

CAPITOLO 8 – RISULTATI E DISCUSSIONI

63

8.1 Raccolta dei campioni 63 8.2 Analisi molecolare 65 8.2.1 Qualità e frammentazione del DNA 65 8.2.2 Amplificazione del DNA e sequenziamento 66 8.2.3 Analisi delle sequenze e identificazione molecolare: confronto con i database 69 8.2.4 Analisi di clusterizzazione con metodo p-distance, modello Neighbour Joining e valutazione della significatività con metodo di Bootstrap 70 8.3 Misdescription dei prodotti 86

CAPITOLO 9 – CONCLUSIONI

88

APPENDICE

89 TABELLA 1: Informazioni relative ai prodotti commerciali inclusi nello studio acquistati al dettaglio nei diversi esercizi commerciali delle province di Pisa, Firenze, Lucca, Livorno

89 TABELLA 2: Informazioni tecniche e Programmi di amplificazione di ciascuna coppia di primers utilizzata nello studio

95 TABELLA 3: Risultati elettroforesi DNA totale per la stima del livello di frammentazione di tutti i campioni oggetto d’analisi

96 TABELLA 4: Dati bibliografici relativi alle sequenze di riferimento utilizzate per l’allestimento dei dataset utilizzati per l’allestimento dell’analisi delle distanze 105 TABELLA 5: Risultati analisi molecolare 113 ABSTRACT PUBBLICAZIONE SU RIVISTA INTERNAZIONALE 127

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

128

RIFERIMENTI NORMATIVI

153

RINGRAZIAMENTI

158

(5)

5

CAPITOLO 1 – EVOLUZIONE DEI TREND ALIMENTARI E RISCHI ASSOCIATI AL

CONSUMO DI PRODOTTI ITTICI CRUDI

1.1 Il Crudismo e la “moda sushi” Il crudismo indica un insieme di pratiche dietetiche che consiste nel cibarsi solo, o perlopiù, di alimenti non cotti o cotti ad una temperatura che non superi i 40-45°C, e comunque non soggetti a trasformazioni che alterino le loro proprietà nutrizionali naturali o di origine. La dieta crudista può comprendere una varietà di alimenti come frutti, vegetali, uova, pesce, carne e derivati del latte. A sostegno della tendenza alla riduzione dei tempi di cottura o al consumo di cibi crudi, al di là della preservazione di principi nutritivi alterati dall’aumento della temperatura (vitamine, minerali, polipeptidi), sono riportati studi relativi al miglioramento dell’attività digestiva ed alla regolazione della flora microbica intestinale ed alcuni effetti protettivi contro l’insorgenza di forme tumorali dell’apparato gastroenterico (Bitomsky, 1999; Steinmetz & Potter, 1996; Bidoli et al., 1992). Tra gli effetti negativi correlati a cotture prolungate e all’utilizzo di additivi sono stati posti in evidenza la comparsa di: - leucocitosi digestiva, ovvero un aumento fisiologico dei globuli bianchi nel sangue con lo scopo di favorire la digestione stessa a discapito della funzione immunitaria (Mihalik, 2012);

- fenomeni eccitotossicità, ovvero un fenomeno di tossicità neuronale conseguente all’esposizione a concentrazioni elevate di glutammato (Olney JW, 1994);

- produzione di sostanze tossiche come nitrosammine, idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e composti fenolici, prodotti derivanti dalla polimerizzazione e ossidazione dei lipidi ecc. (Gray & Morton, 1981).

Alla base del crudismo, oltre agli aspetti salutistici, medici e nutraceutici soprariportati è possibile mettere in evidenza anche aspetti di tipo storico e di tipo religioso-filosofico.

Dal punto di vista storico, i primi fondamenti della dieta crudista si possono ritrovare nel “Vangelo della Pace”, testo sacro appartenente al ceppo ebraico degli Esseni (Russo, 2008). Un aspetto di tipo filosofico riguardo questa dieta lo possiamo trovare in una citazione di Gandhi nel suo ultimo libro del 1949 “Regime e riforma alimentare”: “Per liberarsi da una malattia, occorre sopprimere l’uso del fuoco nella preparazione del pranzo”, concetto che

(6)

6 rimarca l’aspetto salutista di un’alimentazione sana a base di cibi crudi o poco cotti che mantenga gli elementi nutrizionali come proteine, carboidrati, vitamine ecc. che potrebbero essere alterati dal processo di cottura. Il sushi come alimento sposa almeno in parte la filosofia crudista, in quanto la componente pesce è somministrata in forma cruda, esaltando proprio il mantenimento delle caratteristiche nutrizionali del prodotto. Studi hanno infatti dimostrato che le proteine del pesce vengono denaturate in un range di temperatura di 35-75°C (Skipnes et al., 2008; Gao et al., 2009). 1.2 Consumo di prodotti ittici: aspetti nutrizionali e deperibilità Il consumo apparente procapite di pesce a livello mondiale è raddoppiato da una media di 9,9 kg negli anni Sessanta a 20,1 kg nel 2015, di cui 10,6 kg prodotti dall'acquacoltura e 9,5 kg dalla pesca di cattura. L’Unione Europea (considerando l’insieme dei suoi Stati Membri) è il principale paese importatore, seguita dagli USA, mentre la Cina è di gran lunga il principale paese esportatore, seguita da Norvegia, Thailandia e Vietnam. In particolare, negli ultimi decenni, sono costantemente cresciute le esportazioni di prodotti della pesca dai paesi in via di sviluppo, superando anche le esportazioni di altri prodotti agricoli tipicamente esportati da questi paesi, come riso, caffè e tè (FAO 2016). In generale, i prodotti della pesca sono particolarmente apprezzati e promossi per numerose proprietà nutrizionali tra cui: - Elevato contenuto di proteine di elevato valore biologico; - Elevata digeribilità garantita da un ridotto contenuto di tessuto connettivo; - Sali minerali come calcio, fosforo e iodio, ferro, magnesio e zinco; - Contenuto vitaminico (vitamina A abbondante nel fegato e nei derivati, vitamina B, D ed E); - Quantità, qualità e composizione degli acidi grassi. (http://www.fao.org/fileadmin/user_upload/newsroom/docs/BlueGrowthNutritionR ev2.pdf; http://pubs.iclarm.net/resource_centre/WF_2751.pdf)

Il contenuto lipidico e la composizione chimica degli acidi grassi costituiscono uno degli elementi essenziali per la scelta da parte del consumatore e presentano notevoli variazioni

(7)

7 (0.5-27/30% su 100g di polpa) interspecifiche ma anche intraspecifiche di natura ambientale e fisiologica (ciclo biologico e alimentazione).

In funzione del contenuto lipidico, i prodotti ittici sono generalmente suddivisi in 3 macrocategorie commerciali (Ackman, 1990):

Ø Grassi (>8%) come anguille, aringhe, sgombri, salmoni, tonni.

Ø Semimagri (3-8%) come triglie, sardine, coregoni, cefali, carpe, storioni, pesce spada, orate.

Ø Magri (<3%) come acciughe, aragoste, calamari, cozze, gamberi, merluzzi, naselli, polpi, seppie, sogliole, spigole, vongole.

Da un punto di vista qualitativo la componente lipidica è costituita da fosfolipidi e grassi polinsaturi a catena lunga, ad alta concentrazione di omega3, in particolare l’acido docosaesaenoico (DHA) e l’acido eicosapentaenoico (EPA) (Capatti et al., 2003).

L’Acido docosaesanoico (DHA), costituisce il 25-33% degli acidi grassi dei fosfolipidi cerebrali e il 40-50% nella retina e la sua assunzione è quindi essenziale per il corretto sviluppo nervoso cerebrale e della funzione visiva ma anche per la prevenzione di patologie degenerative a decorso cronico (Alzheimer, demenza senile, degenerazione maculare senile) (Cole et al. 2005; Ma et al. 2007; Johnson & Schaefer 2006; Lim et al. 2006). A tal proposito, inoltre, sono riportati studi correlativi tra gli omega 3 e fosforo assunti con diete a base di pesce e l’aumento delle prestazioni cognitive in soggetti di diverse età (Muldoon et al., 2014).

Un apporto adeguato di DHA nel periodo di gravidanza risulta, infine, determinante al fine di garantire il corretto sviluppo del sistema nervoso fetale (Coletta et al., 2010)

L’acido eicosapentaenoico è il precursore di numerosi acidi ciclopentanoici (prostaglandine, trombossani) e leucotrieni, composti chimici bioattivi determinanti per la modulazione e progressione delle reazioni infiammatorie, per il mantenimento della pressione cardiocircolatoria e la fluidità del sangue (Orban et al., 2003).

Infine, studi recenti sugli effetti del consumo regolare di pesce in fasce selezionate di popolazione hanno messo in evidenza una riduzione del rischio di sviluppo di artrite reumatoide e malattie autoimmuni croniche in soggetti predisposti (Di Giuseppe et al., 2013; Rosell et al. 2009; Shapiro et al. 1996).

Nonostante i numerosi aspetti positivi correlabili alla composizione del tessuto, da un punto di vista tecnologico l’elevato tenore in acqua (80-85% del prodotto), il ridotto contenuto in

(8)

8 glicogeno e l’alto contenuto in proteine ed acidi grassi insaturi, condizionano fortemente la durabilità dei prodotti ittici (Poli, 2005; Anacleto et al., 2014).

Infatti, elevati valori di acqua libera (Water activity-aw), associati allo scarso contenuto in glicogeno muscolare che determina un minor abbassamento del pH in post mortem (pH 6,6-6,8), offrono un ottimo substrato di crescita per microrganismi alteranti. La componente proteica e i residui azotati sono decomposti ad aminoacidi e, successivamente, a composti volatili come la trimetilammina che, a seguito dell’ossidazione, avendo un punto di ebollizione di 3,5°C, determina un odore sgradevole (Colonna et al. 2012).

Inoltre, la prevalenza di acidi grassi insaturi espone i tessuti a fenomeni di irrancidimento chimico ed enzimatico che persistono anche a temperature di congelamento (-18°C) determinando un decadimento precoce della qualità del prodotto (Poli, 2005).

Ciò ha portato allo sviluppo di tecnologie efficaci finalizzate a prolungare la shelf-life del prodotto. 1.3 Problematiche e rischi associati al consumo di pesce Tutti i prodotti ittici possono essere esposti a diverse forme di contaminazione di origine fisica, chimica (agenti abiotici) e microbiologica (agenti biotici). Tra i rischi abiotici assumono particolare importanza quelli associati alla presenza di metalli pesanti, come il mercurio, il piombo e il cromo, diffusi accidentalmente o intenzionalmente nell’ambiente acquatico (Oken & Bellinger, 2008), pesticidi e policlorobifenili (PCB) di cui organismi acquatici e pesci (come il pesce spada) costituiscono ottimi bioaccumulatori e biomagnificatori attraverso la catena trofica (Van Der Oost et al., 2003).

I rischi biotici associati al consumo di prodotti ittici sono molteplici e dovuti alla contaminazione esterna o interna da parte di patogeni di natura batterica, virale, parassitaria e microalghe responsabili di malattie, intossicazioni e tossinfezioni alimentari (Feldhusen 2000; Croci & Suffredini 2003).

I principali momenti critici per la contaminazione e la proliferazione dei diversi agenti patogeni sono rappresentati dalle operazioni di lavaggio, dissanguamento ed eviscerazione del pesce e dalle successive operazioni di stoccaggio. Alcuni enzimi cellulari (catepsine e peptidasi) possono concorrere alla contaminazione della carcassa in post mortem attraverso la catalisi di reazioni autolitiche e favorendo l’invasione del muscolo ad opera della flora intestinale

(9)

9 naturalmente presente o di altri microrganismi esogeni (Croci & Suffredini, 2003). Oltre all’azione diretta degli agenti patogeni, fattori di rischio associati alla contaminazione possono essere rappresentati dai prodotti di degradazione del metabolismo e catabolismo dei microrganismi con produzione di sostanze tossiche in grado di determinare reazioni di ipersensibilità o sindromi a decorso più o meno grave quali:

- prodotti di degradazione batterica di alcuni amminoacidi muscolari (conversione di istidina in istamina e comparsa di reazione orticarioide o anafilattica);

- biotossine marine derivanti dal metabolismo di microalghe responsabili di sindromi ad andamento acuto e iperacuto (PSP-Paralitic Shellfish Poisoning, DSP-Diarrhetic

Shellfish Poisoning, NSP-Neurotoxic Shellfish Poisoning, ASP-Amnesic Shellfish poisoning).

Dobbiamo anche considerare che alcune specie ittiche tossiche appartenenti alle famiglie

Tetraodonthidae, Molidae, Diodonthidae e Canthigasteridae possono essere immesse

accidentalmente sul mercato. Il Pesce Palla (famiglia Tetraodonthidae), in particolare, è molto pericoloso in quanto contiene la tetradotossina, una neurotossina prodotta da batteri saprofiti presenti nel pesce e accumulata in organi interni come le ovaie e il fegato. La tetrodotossina è altamente stabile al calore e non attraversa la barriera ematoencefalica, per cui la vittima rimane cosciente durante l’insorgenza della paralisi (Bane et al., 2014; https://toxnet.nlm.nih.gov/cgi-bin/sis/search2/r?dbs+hsdb:@term+@DOCNO+3543;

Klaassen et al., 1996).

Tali specie, che sono sottoposte a divieto di commercializzazione all’interno della UE, in Giappone invece costituiscono una specialità gastronomica (Fugu) che richiede una formazione adeguata degli chef ed il conseguimento obbligatorio di un’apposita licenza (Hosking, 2014; Davidson, 2014).

Da un punto di vista sanitario, oltre alle problematiche microbiologiche sopracitate, uno dei principali rischi associati al consumo di pesce (soprattutto crudo) è la presenza di parassiti nematodi, appartenenti al genere Anisakis spp., responsabili, nell’uomo, sia di forme patologiche gastroenteriche, acute e croniche, sia di forme allergiche anche gravi (Pozio E., 2004; Audicana, 2002; Bouree et al., 1995; Shimamura et al., 2016).

Il trattamento con il calore, ma anche gli altri processi conservativi (freddo, salagione, affumicatura e marinatura), determinano in tempi diversi, la devitalizzazione della larva con conseguente perdita della sua capacità infestante (Pozio E., 2004; Armani, 2012).

(10)

10 La normativa vigente prevede, infatti, specifici trattamenti (come l’abbattimento della temperatura fino a -20°C per almeno 24 ore o fino a -35°C per 15 ore) per quei prodotti destinati ad un consumo previa cottura o a trattamenti che prevedono temperature inferiori a 60°C. (Reg. UE 1276/2011).

Una seconda parassitosi è data dall’ingestione di larve plerocercoidi di cestodi appartenenti al genere Diphyllobothrium spp. a seguito del consumo di pesce crudo di acqua dolce e salata (trote, salmoni, lucci e orate) (Nawa 2005). Le larve ingerite si localizzano a livello della mucosa del piccolo intestino e, in 2-3 settimane, raggiungono lo stadio adulto determinando una sintomatologia gastroenterica come dolore addominale e diarrea. In genere, la patologia è paucisintomatica ed è rilevabile solo dai ridotti livelli di vitamina B12 nel siero e dalla conseguente anemia nei pazienti (Nawa, 2005, Craig, 2012).

Un ultimo aspetto da considerare è relativo all’insorgenza di fenomeni di ipersensibilità per la presenza di alcune proteine (tropomiosine) ad azione antigenica ed in grado di innescare reazioni allergiche in soggetti sensibili (La Grutta et al., 2011). 1.4 Rischi specifici associati al consumo di sushi: caratterizzazione e gestione dei rischi Per quanto riguarda il consumo di sushi devono essere presi in considerazione rischi associati sia alla qualità iniziale delle materie prime che alle contaminazioni secondarie, conseguenti ad un’errata gestione delle pratiche di lavorazione e di conservazione dei prodotti. In particolare, dal momento che l’assemblaggio del piatto presso gli esercizi di ristorazione avviene per lo più direttamente al momento dell’ordinazione da parte del cliente, le condizioni di conservazione e refrigerazione delle materie prime e l’igiene delle manipolazioni rappresentano i due fattori maggiormente condizionanti la qualità microbiologica del prodotto finito (Cantoni, 2004).

Potenziali rischi derivanti da fenomeni di contaminazione secondaria e cattiva gestione dell’igiene delle lavorazioni possono essere associati alla presenza di Bacillus cereus,

Staphilococcus aureus, Escherichia coli, Salmonella spp., Listeria spp., Shigella e Yersinia enterocolitica (Labbe & Garcia, 2001; Lee & Heacock 2014; Hastein et al., 2006; Hielm et al.,

2000; Hwang et al, 2004; Greenlees et al., 1998; Huss et al. 2000; Atanassova et al. 2008). Il riso, nonostante il processo di cottura garantisca l’uccisione di eventuali microrganismi contaminanti presenti sul prodotto crudo, rappresenta un ottimo pabulum per la

(11)

11 proliferazione microbica in relazione all’elevato contenuto di amido e l’elevata aw. I principali patogeni associati al riso cotto sono il Bacillus cereus e lo Staphilococcus aureus. (Lee & Heacock, 2014). I requisiti di crescita di B. cereus sono i seguenti (Forsythe, 2010): - Acqua libera minima (Aw) di 0.930; - Range di temperatura fra i 4 e i 52°C; - Range di pH di 4.3-9.3. È importante sottolineare che Il pH del riso post acidificazione (4.3-4.6) non costituisce un fattore protettivo alla crescita del batterio (Lee & Heacock, 2014). Le malattie alimentari sostenute dai ceppi patogeni di B. cereus sono causate dalla produzione di due tipologie di tossina, ad azione emetica (tossina ceraulide) e diarrogena (complesso enterotossigeno) (De Viries & Coll.2004). I sintomi provocati da entrambi i tipi di tossine si risolvono generalmente in 24-48 h ad eccezione dei soggetti fortemente immunocompromessi in cui il decorso può risultare più prolungato e con esito talvolta infausto (Forsythe, 2010). I requisiti di crescita di S. aureus sono dati da (Forsythe, 2010): - Acqua libera minima di 0.83; - Range di pH di 4.0-10; - Range di temperatura tra 7 e 48°C. Anche nel caso di S. aureus la tecnica di acidificazione del riso non rappresenta una misura preventiva alla colonizzazione del batterio, pertanto, una conservazione del riso a temperatura non di refrigerazione per tempi prolungati può favorire sia lo sviluppo della forma vegetativa che la produzione di tossine in presenza di ceppi coagulasi positivi (Lee & Heacock, 2014).

Un rischio specifico associato al consumo di prodotti a base di sushi può essere rappresentato, inoltre, dagli effetti degradativi di alcune specie batteriche e dalla comparsa di cataboliti tossici alla base dell’instaurazione di fenomeni allergici. Un esempio è dato dall’accumulo di istamina, formata nelle carni del pesce per decarbossilazione dell’aminoacido istidina mediante una reazione catalizzata dall’enzima istidindecarbossilasi che si trova in alcune specie batteriche tra cui, ad esempio, Enterobatteriacee, Morganella morganii e Klebsiella. Questo avviene nelle prime fasi del deterioramento del pesce, se mantenuto in condizioni di temperatura non idonee (temperature superiori ai 4°C), ancora in assenza di segni tipici che

(12)

12 indicherebbero la non commestibilità del prodotto. L’istamina determina nel consumatore la cosiddetta “sindrome sgombroide”, nome che deriva dalla frequenza dell’intossicazione da consumo di specie ittiche a carne rossa con alto contenuto di istidina, appartenenti alla famiglia Scombridae (ad esempio tonni e sgombri). La presenza di istamina in concentrazione pari o superiore 200ppm induce la comparsa di una sintomatologia allergica di intensità variabile in relazione alla sensibilità del consumatore stesso (Cattaneo, 2012).

Oltre ai problemi di natura batterica, data la modalità di presentazione e consumo del prodotto finale, si citano anche le infestazioni parassitarie da Anisakis spp. e Diphyllobothrium

spp., isolati entrambi da numerose specie ittiche frequentemente utilizzate per la

preparazione del sushi, e da alcuni parassiti (Clonorchis sinensis, Echinostoma sp., Metorchis

conjunctus, Heterophyes spp., Metagonimus spp., Nanophyetus salmincola (Craig, 2012), Opistorchis spp., Capillaria philippinensis e Paragonimus spp.) talvolta presenti in specie

ittiche d’acqua dolce occasionalmente inserite per la preparazione di sushi (Nawa, 2005; Craig, 2012).

(13)

13

CAPITOLO 2 – IL SUSHI: ORIGINI, DIFFUSIONE E CONSUMO

2.1 Storia ed evoluzione del sushi

Seppure rappresenti un trend alimentare del momento, il sushi ha in realtà origini molto antiche. Questa parola, composta dalla parola “su” che significa “acido” e “shi” che significa invece “delizioso”, è stata menzionata per la prima volta in un dizionario cinese alla fine del 2° secolo d.C., dove veniva descritto come un filetto di pesce salato nel riso e successivamente fermentato (Sushiman.net, 2005; Sushi-master 2005; De Silva & Yamao, 2006; Ishige 2001). Tuttavia, alcuni autori sostengono che il sushi risalga addirittura al 4° secolo a.C., periodo in cui è stato introdotto in Giappone da parte dei monaci buddisti di ritorno dalla Cina, i quali avevano appunto scoperto ed apprezzato questo antico metodo di conservazione del pesce sfruttando le proprietà del riso, particolarmente abbondante in quelle aree dal clima umido (Horibe, 2003; De Silva & Yamao, 2006, Mouritsen, 2009). La fermentazione era utilizzata come metodo elettivo per conservare il pesce in quell’epoca per la preparazione in particolare di una specialità chiamata “nare-zushi”. La tecnica prevedeva un tempo di preparazione di circa sei mesi, al termine dei quali il riso veniva scartato per mangiare solamente il pesce (Yang, 2013; Hibino, 2001; Mo, 2005; Dietz, 2005). Nella prima fase di preparazione il pesce crudo veniva lavato, sfilettato e, successivamente, pressato fra strati di sale per mezzo di una pietra pesante per alcune settimane; la pietra veniva quindi rimossa e sostituita con una copertura più leggera, generalmente in legno per la prosecuzione del processo di fermentazione e maturazione del prodotto (Dietz, 2005; Hsin-I Feng, 2011). la prosecuzione del processo di fermentazione e maturazione del prodotto (Dietz, 2005; Hsin-I liquidi rilasciati durante il processo di maturazione per effetto della fermentazione degli zuccheri presenti nel riso e la produzione di acido lattico erano periodicamente allontanati in modo da prevenire il deterioramento del pesce.

A differenza del nare-zushi, il sushi attuale non è fermentato, ma fresco. Ponendo un pezzo di pesce crudo su una base di riso bollito con aceto ne rafforza, infatti, l’umami del pesce crudo, un gusto sapido, riferibile al sapore del glutammato, tra i cinque gusti fondamentali in Giappone (Li et al. 2002).

(14)

14 Nei secoli il sushi ha subìto una continua evoluzione, intesa sia come riduzione dei tempi di fermentazione (per permetterne una consumazione veloce) sia delle dimensioni per una maggiore trasportabilità (Ishige, 2001; Mouritsen, 2009; Bargen, 2011; Geri, 2013).

La diffusione in Giappone di quello che è il sushi moderno ha avuto inizio dopo il Grande Terremoto di Kanto, nel 1923, con l’arrivo a Tokyo di numerose popolazioni provenienti dalle province che contribuirono a loro volta a diffonderne la ricetta al ritorno nelle proprie città (Yang, 2013; Geri, 2013). Al termine della Seconda Guerra Mondiale, quindi, per effetto di fenomeni migratori delle popolazioni giapponesi ed a seguito della rapida diffusione dei sistemi di refrigerazione in grado di garantire una maggiore conservazione delle materie prime, il sushi ha varcato i confini del Paese raccogliendo il favore prima dei consumatori statunitensi e successivamente europei (Geri, 2013).

Pur essendo considerato uno dei simboli rappresentativi degli effetti della globalizzazione sulle tendenze alimentari, il prodotto sushi ha subito notevoli trasformazioni nel passaggio dalla tradizione giapponese a quella statunitense ed europea (Yang, 2013). Le modalità di preparazione e gli ingredienti sono stati modificati per avvicinare il prodotto ai gusti dei consumatori d’importazione e per questo (Yang, 2013) plasmando sapore ed ingredienti a seconda delle zone (De Silva & Yamao, 2006).

Negli anni, i negozi di sushi hanno cominciato a diversificarsi sulla base del target dei consumatori. In particolare: - I ristoranti di sushi migliori per le classi sociali più agiate; - I sushi bar rotanti per i giovani orientati verso prodotti dai prezzi più accessibili; - I negozi di sushi da asporto a buon mercato per i lavoratori occupati (Yang, 2013). 2.1.1 La diffusione del sushi in USA Con la fine della Seconda Guerra Mondiale, i Giapponesi iniziarono a stipulare accordi con gli Americani ed a spostarsi negli USA per lavorare. I primi ristoranti giapponesi erano orientati esclusivamente alla comunità giapponese immigrata; successivamente, però, grazie al movimento ecologista degli hippies americani che contrapponeva la dieta americana estremamente ricca ed incentrata sull’utilizzo di carni rosse ad una dieta più salutare e meno elaborata, l’attenzione del consumatore americano ha iniziato a rivolgersi anche a cucine

(15)

15 alternative (Cwiertka, 2000). Quest’ultimo aspetto ha rappresentato una forte spinta alla diffusione della cucina giapponese in America, favorita soprattutto dai numerosi studi pubblicati già a partire dagli anni ‘60 sugli effetti negativi di una dieta a base di alti quantitativi di carne e dalla forte promozione di un regime alimentare povero di grassi saturi (Corson, 2009).

Già a partire dagli anni ’70, quindi, grazie alle nuove tendenze alimentari, i ristoranti giapponesi e il sushi, inizialmente definiti “esotici” e “sgradevoli” sono stati rivalutati dai consumatori statunitensi prima a livello delle città più grandi della costa ovest e, successivamente, al resto degli USA (Bestor, 2000, Ikezawa, 2005, Sakamoto & Allen, 2011). I motivi della sua diffusione vanno ricercati, altresì, nell’adattamento del piatto secondo i gusti locali e in quei movimenti culturali, come quello dello “Slow Food” che promuovevano un’alimentazione sana fatta di prodotti freschi e privilegiando ingredienti locali, anche nell’ottica di limitare i costi (Cwiertka, 2000; De Silva & Yamao, 2006). 2.1.2 La diffusione del sushi in Europa La diffusione della cucina giapponese in Europa, a differenza degli Stati Uniti, è avvenuta più tardivamente, intorno agli anni ’90. A differenza delle altre cucine etniche (cinese, indiana, vietnamita, nord-africana) le cui presenze sul territorio sono direttamente ricollegabili a fenomeni di immigrazione, la cucina giapponese è stata introdotta in Europa come trend alimentare americano (Cwiertka 2000). In particolare, i consumatori europei di quegli anni, più che dal prodotto sushi, sono stati inizialmente attratti dal nuovo concept americano del sushi-bar (Kaiten-zushi), visto come nuovo tipo di fast-food tecnologico dove i piatti venivano trasportati dalla cucina al cliente mediante nastri trasportatori (Geri, 2013). Sushi-bar e ristoranti hanno, quindi, trovato una loro prima collocazione vicino alle stazioni principali o nei luoghi maggiormente frequentati da uomini d’affari o turisti delle grandi città europee, favorendo così la diffusione della conoscenza e dell’apprezzamento del prodotto sushi come piatto alternativo nelle diverse fasce d’età (Cwiertka 2000). Grazie al notevole apprezzamento, negli ultimi anni il sushi ha trovato una nuova collocazione di mercato ed è frequentemente proposto anche a livello della grande distribuzione soprattutto nei supermercati all’interno della gamma dei prodotti ready to eat (Tamamura, 2004).

(16)

16

2.1.3 La diffusione del sushi in Italia

Sul modello europeo, i primi ristoranti giapponesi in Italia furono aperti in grandi città come Roma e Milano, inizialmente riservati a consumatori selezionati alla ricerca di una cucina d’élite. La vera e propria espansione del sushi ha preso piede a partire dagli anni 2000, grazie all’avvento su tutto il territorio italiano di catene “fast-food” etniche, come nel caso del Wok-sushi, nelle quali vengono spesso proposte formule “all you can eat” con prezzi fissi per abbattere i costi ed attirare maggiormente gli interessi dei consumatori (Geri, 2013).

Negli ultimi anni, i ristoranti giapponesi hanno raggiunto il secondo posto dopo quelli cinesi che, a fronte di una flessione dell’interesse nei loro confronti, hanno intrapreso una conversione in giapponesi o sino-giapponesi. Allo stesso tempo, è oggi possibile trovare sushi nella maggior parte delle catene di grande distribuzione organizzata (GDO) in cofanetti preconfezionati, contenenti pezzi di diverso tipo, proprio con lo scopo di adeguarsi alle nuove esigenze dei clienti (Armani, 2012). 2.2 Il prodotto sushi Attualmente a livello commerciale, sotto il nome “sushi” troviamo il sushi propriamente detto, in cui la matrice ittica è accompagnata da uno o più ingredienti tra cui il riso (Bargen, 2011) e il sashimi che è sostanzialmente costituito dal pesce crudo o molluschi tagliati a fettine in assenza di riso (Mouritsen, 2009).

Il sushi propriamente detto è presentato in 6 varianti principali, ciascuna delle quali contraddistinta da un nome specifico che rimanda alla composizione e alla tipologia di ingredienti utilizzati (Tabella 1).

(17)

17

NOME DEL PRODOTTO DESCRIZIONE FOTO

Nigiri Semplice palla di riso con il filetto di pesce crudo sopra.

Uramaki Rotolo di riso in cui l’alga è posta all’interno di esso ad avvolgere il tutto. Hosomaki / Futomaki Rotolo di riso di piccole (hosomaki)/grandi (Futomaki) dimensioni in cui l’alga è posta all’esterno a diretto contatto con gli ingredienti di riempimento. Gunkan Tipo di sushi che viene spesso realizzato con riempimenti che sono difficili da usare nei nigiri o nei maki perché troppo morbidi o non abbastanza leganti come ad esempio le uova di pesce. Si tratta di una composizione a barca “battleship” fissando una striscia di alga attorno ad una palla di riso e riempiendola con la matrice ittica, dandogli un aspetto esotico, attraente e costoso. (Mouritsen, 2009). Temaki Tipologia di sushi in cui un foglio grande di alga viene arrotolato in forma cilindrica o conica e viene riempito con gli ingredienti. Tabella 2.1: Descrizione fotografica delle principali tipologie di sushi

(18)

18

2.2.1 Ingredienti principali

I principali ingredienti del sushi sono prodotti di origine sia vegetale che animale, soprattutto crudi, che vengono lavorati il più velocemente possibile dopo la raccolta in modo da non alterarne le proprietà nutrizionali e preservarne il sapore.

Riso: è l’ingrediente principale di questo piatto. Viene solamente utilizzato quello a grani

piccoli della sottospecie japonica. L’endosperma del grano di riso è composto da granuli contenenti amido che sono grandi pochi millesimi di millimetro. L’amido comprende due tipi di polisaccaridi: l’amilosio e l’amilopectina. In questo caso, il riso a grani piccoli contiene più amilosio rispetto al riso a grani lunghi che caratterizza la sottospecie indica, ricco in amilopectina (Nakamura et al., 2005; Mouritsen, 2009).

In un grano asciutto di riso, le molecole di amido nei granuli sono strettamente impacchettati, come in un cristallo e ognuno di questi granuli di amido è circondato da un involucro di proteine. Per questo motivo, il segreto della cottura del riso, per esempio per fare il sushi, sta proprio nello sfruttare le proprietà di questi granuli di amido in relazione all’acqua (Mouritsen, 2009). I granuli di amido del riso contengono poca acqua, che viene assorbita con temperature superiori a 60-70°C grazie alla fusione dell’amido cristallino. Il rivestimento proteico, che gelifica ad alte temperature, garantisce il mantenimento della forma del grano di riso e la proprietà legante dell’insieme dei chicchi, incollandoli fra loro (Mouritsen, 2009). Nella preparazione del sushi, il riso viene cotto con aceto di riso e successivamente raffreddato con una miscela di acqua, aceto di riso, zucchero e sale al fine di acidificare il prodotto a scopo batteriostatico. A tal proposito, il raggiungimento di un pH di almeno 4.6 è determinante per il controllo e l’inibizione della maggior parte dei microrganismi alteranti, patogeni e produttori di tossine (Hocking, 2003). Alga: Nella cucina giapponese esistono varie alghe ad uso alimentare, tra cui le varietà nori, wakame, kombu e hijiki, ma quella che viene utilizzata nella preparazione del sushi è la varietà nori, o lattuga di mare. Questo prodotto viene ricavato a partire dalle alghe rosse (Porphyra yezoensis), raccolte, lavorate/schiacciate fino a diventare dei fogli sottili e, successivamente,

essiccate in modo da modificarne il colore dal rosso al verde o al nero. I fogli risultanti, chiamati hoshi-nori, vengono arrostiti, essiccati e tagliati a dimensione standard, 17,5 cm × 22,5 cm e poi confezionati in fasci, di solito di cinque o dieci fogli. Prima dell’arrostitura

(19)

19 possono essere aggiunti sale e aromi come salsa di soia o olio di sesamo (Mouritsen, 2009; University of Florida, 2004).

Pesce: è l’ingrediente che determina la variabilità del piatto e la cui selezione è principalmente

legata alle tradizioni e ai gusti locali (De Silva & Yamao, 2006). Questo aspetto verrà approfondito nel paragrafo successivo.

Matrice vegetale: è rappresentata da ingredienti presenti insieme al pesce, come ad esempio

il cetriolo o l’avocado, o in sostituzione completa di questo per alimenti vegetariani o come ingrediente di accompagnamento (es. zenzero, radici che vengono lavorate per fare salse come ad esempio il wasabi). Le matrici vegetali possono essere utilizzate anche a scopo decorativo come, ad esempio, i semi di papavero, di lino, ecc. (Mouritsen, 2009; De Silva & Yamaho, 2004). 2.3 Specie ittiche utilizzate nelle varie preparazioni Tra i prodotti ittici utilizzati per la preparazione del sushi troviamo sia specie di pesce che di crostacei, cefalopodi e molluschi bivalvi. In particolare, quelle maggiormente utilizzate sono: tonno, salmone, spigola, orata, sgombro, anguilla, aringa, gamberi (Masotti et al. 2010). La scelta della specie utilizzate nelle varie preparazioni è generalmente legata ai gusti dei consumatori e risente più o meno significativamente delle tradizioni culinarie locali.

In Tabella 2.2 sono riportate le specie maggiormente consumate in Giappone, Stati Uniti ed Europa. In Giappone, un’indagine di mercato ha rivelato che le specie della famiglia Scombridae sono tra quelle più popolari (76% degli intervistati) nel sushi e nel sashimi. Il tonno rosso (Bluefin tuna, Thunnus thynnus, maguro in giapponese) in particolare è la specie più ricercata in virtù della sapidità delle carni ed i tagli provenienti dal ventre (“toro” in giapponese) sono quelli più pregiati. Seguono poi il salmone e alcune specie di gambero e calamaro. Altre specie utilizzate appartengono alle categorie degli sgombri, delle sardine, delle ricciole, dei pesci piatti e dei molluschi bivalvi (De Silva & Yamao, 2006).

Una peculiarità del sushi giapponese, per l’elaborazione di piatti a base di sashimi, è rappresentata dall’utilizzo di alcune specie tossiche appartenenti alla famiglia Tetraodontidae riportate nella lista ufficiale appositamente redatta dal Ministry of Health, Labour and Welfare of Japan in cui sono indicate le parti del corpo possono essere consumate

(20)

20 (http://www.mhlw.go.jp/topics/syokuchu/poison/animal_01.html). La lavorazione di queste carni è permessa solo tramite il conseguimento di un’apposita licenza (Hosking, 1997; Davidson, 2006).

Negli Stati Uniti, il numero di specie utilizzate per le diverse preparazioni è generalmente inferiore rispetto a quello proposto nella cucina tradizionale (Tabella 2.2) e le ricette tradizionali sono spesso modificate in accordo con i gusti dei consumatori americani. Nelle diverse preparazioni possono essere utilizzati alternativamente prodotti ittici crudi, affumicati e cotti talvolta accompagnati da altri ingredienti di origine animale (formaggio cheddar) ed arricchiti con salse e condimenti diversi dalla salsa di soia o wasabi (Geri, 2013). Esempi tipici di preparazioni sushi in stile americano sono rappresentati dal California-maki o California roll, in cui vengono utilizzati granchio, avocado, maionese e riso (Sakamoto & Allen 2011), Seattle-maki con salmone affumicato, Alaska-maki con salmone crudo all’interno o all’esterno del rotolo di riso oppure immesso a strati e il Michigan-maki, costituito da uova, tonno piccante e avocado (Geri, 2013). Anche in Europa, sotto la diretta influenza dello stile americano, le diverse preparazioni sono ottenute con prodotti ittici crudi, affumicati, cotti e trasformati come nel caso delle anguille cotte al vapore o affumicate e del tonno in scatola. Le tipologie di prodotto maggiormente utilizzate e rappresentate nelle diverse preparazioni sono tonno, salmone, gambero (Tabella 2.2). In Italia, in particolare, si aggiungono specie non convenzionali come le uova di pesce volante, pervenute nel nostro Paese tramite supermercati etnici gestiti da immigrati asiatici (Armani et al., 2015a). Altre specie utilizzate in misura minore, soprattutto in Italia, sono: pesce spada, spigola, sgombro, aringa e molti altri; crostacei come gamberi e gamberetti; molluschi come il polpo e il totano (in genere cotti), vongole, cozze e cappesante (De Silva & Yamao, 2006; Shaw H., 2017).

(21)

21

CATEGORIA FAMIGLIA SPECIE

GIAPPONE USA EUROPA

Pesce Scombridae T. thynnus T. albacares T. orientalis T. maccoyii T. obesus T. alalunga Katsuwonus pelamis Scomber japonicus T. thynnus T. albacares T. orientalis T. obesus T. maccoyii Scomber scombrus T. thynnus T. albacares T. alalunga T. obesus T. orientalis Katsuwonus pelamis S. scombrus Salmonidae O. tshawytscha Onchorynchus mykiss Oncorhynchus nerka O. tshawytscha Oncorhynchus keta Oncorhynchus mykiss Salmo salar O. mykiss Salmo salar Gadidae - Gadus ogac Gadus morhua Theragra chalcogramma Gadus morhua G. macrocephalus T. chalcogramma P. pollachius P. virens M. aeglefinus Carangidae Trachurus japonicus Seriola quinqueradiata Seriola dumerili Seriola lalandi Trachurus japonicus Seriola quinqueradiata S. quinqueradiata Seriola lalandi Plecoglossidae Plecoglossus altivelis - - Sparidae Pagrus major Acanthopagrus schlegeli Pagrus major Pagrus auratus Sparus aurata Trichiuridae Trichurius japonicus Trichurius lepturus - - Pleuronectidae Pseudopleuronectes yokohamae Microstomus pacificus Eopsetta jordani Hippoglossus hippoglossus Hippoglossus stenolepis - Engraulidae Anchovia sp. - - Lateolabracidae Lateolabrax japonicus - - Congridae Conger myriaster - - Clupeidae Clupea pallasii - - Anguillidae Anguilla japonica

Anguilla anguilla Anguilla anguilla Anguilla rostrata Anguilla japonica

Paralichthyidae

Paralichthys olivaceus Paralichtys olivaceus Paralichtys dentatus -

Oplegnathidae Oplegnathus fasciatus - - Clupeidae Konosirus punctatus Sardinops melanostictus - - Berycidae Centroberyx affinis - - Exocoetidae Cypselurus agoo agoo - - Nototheniidae - D. eleginoides - Moronidae

- Morone chrysops Morone saxatilis Dicentrarchus labrax

(22)

22

Cichlidae - Oreochromis niloticus

O. mossambicus -

Pangasiidae

- Pangasianodon hyphophtalmus Pangasius hypophthalamus

Xiphiidae - - Xiphias gladus Istiophoriidae - - Makaira nigricans Soleidae - - Solea solea Tetraodontiformes* Takifugu chrysops Takifugu chinensis Takifugu niphobles Takifugu stictonotus Takifugu poecilonotus Takifugu flavidus Takifugu xanthopterum Takifugu snyderi Takifugu rubripes Takifugu pardalis Takifugu porphyreus Takifugu obscurus S. pachygaster Lagocephalus wheeleri Lagocephalus gloveri Lagocephalus inermis - -

Crostacei Penaeidae Penaeus monodoon Penaeus japonicus Penaeus chinensis Penaeus semisulcatus Litopenaeus vannamei L. vannamei Pandalidae Pandalus eous makarov Pandalus nipponensis Pandalus platyceros - Squillidae Oratosquilla oratoria - - Portunidae Portulus trituberculatus Charybdis japonica - - Oregoniidae - Chionoecetes bairdii Chionoecetes opilio Chionoecetes tanneri C. angulatus - Molluschi

Bivalvi Haliotidae Nordotis discus discus Nordotis discus hannai Nordotis madaka - - Cardiidae Fulvia mutica - - Arcidae Scapharca broughtonii - - Hiatellidae Panopea generosa - - Pectinidae Patinopecten yessoensis Pecten albicans - Pecten jacobaeus Mactridae Pseudocardium sachalinense - - Mytilidae - Mytilus trossulus Mytilus edulis Mytilus galloprovincialis Veneridae - Mercenaria mercenaria - Ostreidae - - Crassostrea gigas Molluschi cefalopodi

Octopodidae Octopus vulgaris Octopus vulgaris Octopus vulgaris

Ommastrephidae Todarodes pacificus - -

Loliginidae Sepioteuthis lessoniana

(23)

23 Heterololigo bleekeri

Enoploteuthidae Watasenia scintillans - -

Sepiidae Sepiella japonica - Sepia officinalis

Uova Strongylocentroidae Hemicentrotus

pulcherrimus - -

Osmeridae - Mallotus villosus -

Clupeidae - - Clupea harengus

Cyclopteridae - - Cyclopterus

lumpus

Salmonidae Oncorhynchus sp. - Oncorhynchus sp.

Tabella 2.2: Specie più frequentemente utilizzate per la preparazione di prodotti sushi/sashimi. I dati sono stati

tratti da: Ono, 2013; Sushi Encyclopedia “Sushi Menu” 2007; Fraioli & Sato, 2008; Khaksar et al, 2015; Wong & Hanner, 2008; Warner et al., 2013; Vandamme et al., 2016; Bérnard-Capelle et al., 2015; Oceana, 2015; Kindersley, 2010; Yamashita et al. 2013; Lowenstein, 2009; *le specie indicate della famiglia Tetraodontidae sono quelle riportate dal sito del Ministry of Health, Labour and Welfare of Japan.

2.4 Presentazione e vendita del prodotto

Nei menu cartacei e online dei ristoranti che preparano piatti a base di sushi e sashimi è presente una denominazione riferibile alla traslitterazione dal kanji, o carattere di scrittura giapponese, in alfabeto latino, associata a quella della specie ittica utilizzata. Le denominazioni di vendita e la descrizione di prodotti maggiormente riscontrabili nei menu sono riportati nella Tabella 2.3. DENOMINAZIONE DI VENDITA DESCRIZIONE Sake Salmone Tekka Tonno Maguro* Tonno rosso Saba Sgombro Tai Orata Unagi Anguilla Suzuki Branzino Hamachi Ricciola Kajiki Pesce Spada Tobiko Uova di Pesce Volante Ikura Uova di Salmone Ebi Gambero Amaebi Gambero rosso Tenaga Ebi Scampo Hotategai Cappasanta Tako Polpo Ika Calamaro/Seppia Uni Uova di riccio di mare Tabella 2.3: Denominazioni tratte dai menu cartacei e disponibili online di alcuni ristoranti per la scelta delle diverse tipologie di piatto a base di sushi e sashimi. *Maguro è il Tonno rosso che si presenta con diverse

denominazioni commerciali in ordine crescente di grassi: “Akami”, ovvero la parte più esterna e più magra del pesce; “Chutoro”, la parte esterna e grassa del ventre del pesce; “Otoro”, la parte più grassa e interna del ventre

(24)

24

CAPITOLO 3 – NORMATIVA DI RIFERIMENTO

Lo scopo primario della legislazione alimentare è quello di garantire il massimo livello di tutela del consumatore, con particolare riguardo alla sicurezza e alla salubrità dei prodotti. Il Regolamento CE 178/2002 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002 stabilisce i principi ed i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare. I presupposti fondamentali per l’armonizzazione della legislazione europea in materia alimentare sono chiaramente enunciati nei consideranda del regolamento stesso in cui si pone l’accento sulla necessità di promuovere la libera circolazione di alimenti sicuri e sani, contribuendo in modo significativo alla salute e al benessere dei cittadini, nonché alla realizzazione dei loro interessi sociali ed economici (Regolamento CE 178/2002).

Il suddetto Regolamento assegna all’Operatore del Settore Alimentare (OSA) la responsabilità della gestione della salubrità e sicurezza degli alimenti in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione. Fissa, inoltre, gli obblighi in caso di non conformità dell’alimento ai requisiti di sicurezza stabiliti e definisce altresì le procedure di ritiro e di richiamo del prodotto non conforme.

Il Regolamento CE 178/2002 stabilisce la “procedura di rintracciabilità” (Tracing), uno strumento che consente ai consumatori di effettuare scelte consapevoli, definendola infatti come “la possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un alimento, di un mangime, di un animale destinato alla produzione alimentare o di una sostanza destinata o atta ad entrare a far parte di un alimento o di un mangime attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione” (Art.18). La rintracciabilità così intesa è rivolta a consentire agli operatori e agli organismi di controllo, l’attivazione e la gestione di sistemi di allarme qualora sorgano eventuali problemi di sicurezza alimentare.

Per quanto riguarda i sistemi e le procedure messe in atto dalle aziende ai fini della rintracciabilità, il Regolamento CE 178/2002 specifica, inoltre, che gli organismi di controllo dovranno verificare che siano soddisfatti gli obiettivi posti dalle norme vigenti, senza entrare nello specifico di tali sistemi e procedure, in quanto la responsabilità primaria spetta all’operatore del settore alimentare (OSA).

Gli operatori del settore alimentare e dei mangimi devono essere in grado di individuare chi abbia fornito loro un alimento, un mangime, un animale destinato alla produzione alimentare

(25)

25 o qualsiasi sostanza che entra a far parte dell’alimento finale. A tal fine, detti operatori devono disporre di sistemi e di procedure che consentano di mettere a disposizione delle autorità competenti, che le richiedano, le informazioni al riguardo. Ne consegue che gli alimenti o i mangimi che sono immessi sul mercato della Comunità devono essere adeguatamente etichettati o identificati per agevolarne la rintracciabilità, mediante documentazione o informazioni pertinenti secondo i requisiti previsti in materia da disposizioni più specifiche. Da ciò si evince l’importanza dell’etichettatura come strumento di informazione sulle caratteristiche dei prodotti alimentari e come strumento di rintracciabilità in caso di emergenze conseguenti a crisi alimentari che comportino il ritiro mirato dal mercato degli alimenti rischiosi o potenzialmente tali. Quindi gli scopi della rintracciabilità sono principalmente tre: 1) La sicurezza, ovvero la possibilità di individuare tutti gli elementi della filiera coinvolti da un prodotto pericoloso per la salute costituendo, così, un’importante sistema di garanzia; 2) L’informazione al consumatore, argomento che va a toccare il tema della fiducia, al quale il Regolamento CE 178/2002 dedica molta attenzione;

3) L’integrazione dei sistemi come possibilità di collegare tutto il sistema delle documentazioni e dei controlli che l’OSA ha attivato in funzione delle normative cogenti e volontarie.

3.1 L’etichettatura dei prodotti alimentari: Il Regolamento UE 1169/2011

L’etichettatura costituisce uno degli strumenti chiave per la rintracciabilità, per la verifica dell’identità di un prodotto alimentare e un mezzo informativo per il consumatore.

La Legislazione europea in materia di etichettatura vede l’inizio con la Direttiva 79/112/CEE, modificata negli anni successivi dalle Direttive 89/395/CEE e 89/396/CEE e a loro volta recepite a livello nazionale con il Decreto Legislativo 109/1992. In tale decreto viene definito per la prima volta il concetto di “etichettatura”, inteso come “insieme delle menzioni, delle indicazioni, dei marchi di fabbrica o di commercio, delle immagini o dei simboli che si riferiscono al prodotto alimentare e che figurano direttamente sull’imballaggio o su un’etichetta appostavi o sul dispositivo di chiusura o su carrelli, anelli o fascette legati al

(26)

26 prodotto medesimo o, in mancanza, in conformità a quanto stabilito negli articoli 14, 16 e 17, sui documenti di accompagnamento del prodotto alimentare”.

La Direttiva 79/112 CEE è stata abrogata dalla Direttiva 2000/13 CE, che ha rappresentato la normativa comunitaria di riferimento fino all’entrata in vigore del Regolamento UE 1169/2011. Quest’ultimo è un regolamento a carattere orizzontale che stabilisce nuove regole per l’etichettatura degli alimenti ed armonizza i principi sull’informazione al consumatore. Si applica agli operatori del settore alimentare in tutte le fasi della catena alimentare quando le loro attività riguardano la fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori. Si applica, inoltre, a tutti gli alimenti destinati al consumatore finale, compresi quelli forniti dalle collettività e a quelli destinati alla fornitura delle collettività (Art.1). Il Regolamento UE 1169/2011, quindi, estende l’obbligo di etichettatura a tutti i prodotti destinati al consumo finale (sono compresi anche i prodotti preparati da ristoranti, mense, catering o venduti a distanza).

Ai sensi dell’articolo 7, le informazioni sugli alimenti devono essere precise, chiare e facilmente comprensibili e non devono indurre in errore il consumatore: a) Per quanto riguarda le caratteristiche dell’alimento (la natura, l’identità, le proprietà, la composizione, la quantità, la durata di conservazione, il Paese d’origine o il luogo di provenienza, il metodo di fabbricazione o di produzione); b) Attribuendo al prodotto alimentare effetti o proprietà che non possiede; c) Suggerendo che l’alimento possieda caratteristiche particolari, quando in realtà tutti gli alimenti analoghi possiedono le stesse caratteristiche (per esempio evidenziano in modo esplicito la presenza o l’assenza di determinati ingredienti e/o sostanze nutritive naturalmente presenti nell’alimento).

Tali disposizioni si applicano non solo all’etichettatura ma anche alla sua pubblicità, presentazione, disposizione o nel contesto dove sono esposti.

L’Articolo 8 attribuisce la responsabilità all’operatore del settore alimentare riguardo le informazioni sugli alimenti e viene identificato nell’operatore con il cui nome o con la cui ragione sociale è commercializzato il prodotto o, se tale operatore non è stabilito nell’Unione Europea, l’importatore nel mercato dell’UE. Gli operatori del settore alimentare, nell’ambito delle imprese che controllano, assicurano e verificano la conformità ai requisiti previsti dalla normativa in materia di informazioni sugli alimenti e dalle pertinenti disposizioni nazionali attinenti alle loro attività.

(27)

27 Il numero delle informazioni specifiche obbligatorie varia in relazione alla tipologia di confezionamento del prodotto e alla vendita quindi di prodotti preimballati (imballati direttamente dal produttore) o non preimballati (imballati sul luogo di vendita/banco). Gli alimenti preimballati, per definizione, sono unità di vendita destinate ad essere presentate come tali al consumatore finale o alle collettività, costituite da un alimento e dall’imballaggio in cui è stato confezionato prima di essere messo in vendita, avvolti interamente o in parte da tale imballaggio, ma comunque in modo tale che il contenuto non possa essere alterato senza aprire o cambiare l’imballaggio. Secondo l’Articolo 9, l’etichetta dell’alimento preimballato deve avere le seguenti indicazioni obbligatorie: a) la denominazione dell’alimento; b) l’elenco degli ingredienti; c) qualsiasi ingrediente o coadiuvante tecnologico (elencato nell’allegato II o derivato da una sostanza o un prodotto elencato in detto allegato) che provochi allergie o intolleranze usato nella fabbricazione o nella preparazione di un alimento e ancora presente nel prodotto finito; d) la quantità di taluni ingredienti o categorie di ingredienti; e) la quantità netta dell’alimento; f) il termine minimo di conservazione o la data di scadenza; g) le condizioni particolari di conservazione e/o le condizioni d’impiego;

h) il nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare responsabile dell’etichettatura;

i) il paese d’origine o il luogo di provenienza ove previsto (Art.26 – Paese d’origine o luogo di Provenienza);

j) le istruzioni per l’uso, per i casi in cui la loro omissione renderebbe difficile un uso adeguato dell’alimento;

k) per le bevande che contengono più di 1,2 % di alcol in volume, il titolo alcolometrico volumico effettivo;

l) una dichiarazione nutrizionale.

Gli alimenti non preimballati devono riportare obbligatoriamente in etichetta qualsiasi ingrediente o coadiuvante tecnologico (elencato nell’allegato II o derivato da una sostanza o un prodotto elencato in detto allegato) che provochi allergie o intolleranze usato nella

(28)

28 fabbricazione o nella preparazione di un alimento e ancora presente nel prodotto finito (Art.44).

Per tutte le altre indicazioni, spetta agli Stati Membri definire quali informazioni debbano essere menzionate obbligatoriamente. Le informazioni obbligatorie sugli alimenti sono apposte in un punto evidente in modo da essere facilmente visibili, chiaramente leggibili ed eventualmente indelebili. Nello stesso campo visivo devono apparire la denominazione dell’alimento, la quantità netta e il titolo alcolometrico volumico effettivo (Art.14). Le informazioni obbligatorie sugli alimenti appaiono in una lingua facilmente comprensibile da parte dei consumatori degli Stati membri nei quali l’alimento è commercializzato. Sul loro territorio, gli Stati Membri nei quali è commercializzato un alimento possono imporre che tali indicazioni siano fornite in una o più lingue ufficiali dell’Unione (etichette multi-lingua) (Art.15).

La denominazione dell’alimento comprende o è accompagnata da un’indicazione dello stato fisico nel quale si trova il prodotto o dello specifico trattamento che esso ha subito (ad esempio “in polvere”, “liofilizzato”, “surgelato”, “concentrato”, “affumicato”), nel caso in cui l’omissione di tale informazione potrebbe indurre in errore l’acquirente.

Nel caso di alimenti che sono stati congelati prima della vendita e sono venduti decongelati, la denominazione dell’alimento è accompagnata dalla designazione “decongelato”.

L’etichetta, inoltre, deve comprendere anche l’elenco degli ingredienti compresi nell’alimento.

Per “ingrediente” si intende qualunque sostanza o prodotto, compresi gli aromi, gli additivi e gli enzimi alimentari, e qualunque costituente di un ingrediente composto utilizzato nella fabbricazione o nella preparazione di un alimento e ancora presente nel prodotto finito, anche se sotto forma modificata. L’elenco degli ingredienti reca un’intestazione o è preceduto da un’adeguata indicazione che consiste nella parola «ingredienti» o la comprende. L’elenco comprende tutti gli ingredienti dell’alimento, in ordine decrescente di peso, così come sono registrati al momento del loro uso nella fabbricazione dell’alimento. Gli ingredienti possono essere designati con la loro denominazione specifica oppure con la denominazione di categoria.

Sempre per non indurre in errore il consumatore finale, sull’etichetta devono essere trascritte sostanze o prodotti che provocano allergie o intolleranze, evidenziate attraverso un tipo di

(29)

29 carattere chiaramente distinto dagli altri ingredienti elencati, per esempio per dimensioni, stile o colore di sfondo. Il Termine Minimo di Conservazione è la data fino alla quale il prodotto alimentare conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione. Secondo l’allegato X, il Termine Minimo di Conservazione (TMC) è indicato come segue: a) la data è preceduta dalle espressioni: — «da consumarsi preferibilmente entro il …» quando la data comporta l’indicazione del giorno, — «da consumarsi preferibilmente entro fine …» negli altri casi; b) le espressioni di cui alla lettera a) sono accompagnate: — dalla data stessa; — dall’indicazione del punto in cui essa è indicata sull’etichetta.

In presenza di prodotti deperibili dal punto di vista microbiologico il termine minimo di conservazione è sostituito dalla data di scadenza oltre la quale l’alimento è considerato a rischio a norma del Regolamento CE 178/2002.

La data di scadenza è indicata nel modo seguente:

a) è preceduta dai termini «da consumare entro …»;

b) l’espressione di cui alla lettera a) è seguita: — dalla data stessa, oppure — dall’indicazione del punto in cui essa è indicata sull’etichetta.

c) la data comprende, nell’ordine e in forma chiara, il giorno, il mese ed eventualmente l’anno; d) la data di scadenza è indicata su ogni singola porzione preconfezionata. La data di congelamento o la data di primo congelamento è indicata nel modo seguente: a) è preceduta dall’espressione «Congelato il …»; b) le espressioni di cui alla lettera a) sono accompagnate: — dalla data stessa, oppure — dall’indicazione del punto in cui essa è indicata sull’etichetta; c) la data comprende, nell’ordine e in forma chiara, il giorno, il mese e l’anno.

d) devono essere iscritte, inoltre, le condizioni particolari di conservazione e/o le condizioni d’impiego.

Riferimenti

Documenti correlati

Keywords: Garfagnina goat breed; Small Ruminant Lentiviruses; GoatSNP60 BeadChip; GWAS3. 27

[r]

Il settore dei prodotti ittici rappresenta un contesto critico per la tutela delle garanzie di sicurezza alimentare, tanto per le modalità produttive, che sono spesso svol- te

Sfrutta la funzione preprocessCore::quantileNormalize() di R ed elimina quelle features (masse) che sono allo stesso rank in tutti i campioni (e quindi le loro intensit` a

- Alice o acciuga: (pesce povero molto economico contiene molto fosforo, potassio e calcio, si riconosce per il corpo affusolato, il dorso azzurro/ grigio scuro e la carne

nostro gruppo di ricerca ha sviluppato un sem- plice sistema nel quale un macrociclo transita unidirezionalmente lungo un asse molecolare in modo ripetitivo usando la luce come unica

L’analisi BLAST ha conferamato quanto visto nell’analisi Identifire™ poichè le specie analizzate, eccetto quelle appartenenti al subordine Pleuronectoidei, hanno