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controllo e trattamento delle emissioni gassose di un impianto di decontaminazione elettrocinetica di sedimenti marini

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Facoltà di Ingegneria

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN INGEGNERIA IDRAULICA, DEI TRASPORTI

E DEL TERRITORIO

TESI DI LAUREA:

Controllo e trattamento delle emissioni gassose di un impianto di

decontaminazione elettrocinetica di sedimenti marini

Relatore: Candidato: Prof. Ing. Renato Iannelli Filippo Gori Correlatori: Prof. Alessio Ceccarini Ing. Matteo Masi Ing. Mariangela Grassi

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Sommario

SOMMARIO 4 1. INTRODUZIONE 6 2. BONIFICA ELETTROCINETICA DI SEDIMENTI DI DRAGAGGIO MARINO 9 2.1 Problematica sedimenti di dragaggio 9 2.2 La bonifica elettrocinetica 10 2.3 Il progetto LIFE + SEKRET 11 3. GENERALITÀ PROCESSO DI ASSORBIMENTO 16 3.1 Dispositivi di Assorbimento 17 3.2 Assorbimento in colonna a riempimento casuale 25 3.2.1 Equazioni di equilibrio 25 3.2.2 Equazioni di bilancio di massa 27 3.2.3 Equazioni di trasferimento di materia (Teoria del doppio film) 29 3.3 Gradi di libertà del sistema 37 3.4 Effetto della temperatura sul processo di assorbimento 40 3.5 Criteri operativi per il progetto della colonna a riempimento 43 3.5.1 Selezione dei materiali e dei corpi di riempimento (Packing) 44 3.5.2 Determinazione della portata minima e di esercizio di liquido 46 3.5.3 Determinazione del diametro della colonna 47 3.5.4 Determinazione altezza e numero delle Unità di Trasferimento 52 3.5.5 Determinazione dell’altezza di riempimento della colonna 55 3.5.6 Determinazione dei dispositivi interni alla colonna 58 3.6 Assorbimento con reazioni chimiche 60 3.6.1 Applicabilità dei metodi di progetto di tipo fisico 60 3.6.2 Metodo di dimensionamento tradizionale 63 3.6.3 Scaling-up dei dati di laboratorio o di un impianto pilota 65 3.6.4 Sviluppo di un metodo rigoroso 67 4. SPECIE CHIMICHE IN SOLUZIONE 71 4.1 Analisi della carbonatazione del solvente liquido 72 4.2 Analisi della clorazione del solvente liquido 79 5. APPLICAZIONE E RISULTATI 86 5.1 Descrizione Caso Studio: impianto pilota decontaminazione elettrocinetica 86 5.2 Progetto della colonna di assorbimento a riempimento casuale 88 5.2.1 Determinazione delle variabili in ingresso e uscita dal sistema 88 5.2.2 Determinazione dei corpi di riempimento della colonna 93 5.2.3 Determinazione della portata liquida minima e di esercizio 93 5.2.4 Determinazione del diametro della colonna 96 5.2.5 Determinazione dell’altezza e del numero della unità di trasferimento 98 5.3 Analisi e gestione della soluzione liquida impiegata in colonna 104 5.3.1 Determinazione numero di moli di cloro dissolvibili in un litro di soluzione 122 5.3.2 Determinazione rapporto moli di cloro dissolvibili e moli di idrossido di sodio 123 5.3.3 Determinazione del volume complessivo di soluzione di idrossido di sodio 126 5.3.4 Determinazione del numero massimo di moli di cloro dissolvibili in soluzione 126 5.3.5 Determinazione della vita utile della soluzione di idrossido di sodio 126 5.4 Riepilogo applicazione e risultati 135 6. CONCLUSIONI 141

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SOMMARIO

Il trattamento di separazione elettrocinetica costituisce una tecnologia di decontaminazione innovativa, la quale offre buone potenzialità di impiego per la rimozione di metalli pesanti da sedimenti di dragaggio caratterizzati da matrici prevalentemente limo-argillose. Tale tecnologia consiste nell’applicazione di un campo elettrico alla matrice da trattare attraverso coppie di elettrodi collocati in pozzetti a pareti porose, all’interno dei quali vengono fatte circolare soluzioni elettrolitiche volte al mantenimento delle condizioni operative ottimali. Dato le limitate applicazioni in piena scala, il progetto LIFE*SEKRET si è proposto di dimostrarne i vantaggi economici ed ambientali attraverso la realizzazione di un impianto dimostrativo sito presso il Porto di Livorno, il quale è attualmente adibito al trattamento di 150m3 di sedimenti. Una problematica associata all’applicazione del trattamento elettrocinetico a sedimenti marini di dragaggio è relativa alla produzione di vapori di cloro (Cl2), la quale è sostanzialmente dovuta all’elevata quantità di cloruri (Cl-) presenti nell’acqua salina contenuta negli interstizi ed alle reazioni di elettrolisi che si verificano in corrispondenza degli elettrodi anodici. Costituendo il cloro un gas molto aggressivo è necessaria l’implementazione di un dispositivo di assorbimento per operarne l’abbattimento della concentrazione al di sotto dei limiti normativi. Il presente lavoro di tesi si è proposto dunque di definire i criteri progettuali utili al dimensionamento di una colonna a riempimento casuale operante in ciclo di trattamento ad umido (con idrossido di sodio) e di identificarne una strategia di gestione ottimale. L’indagine del processo di assorbimento in colonna ha contraddistinto il funzionamento controcorrente (fase gassosa e fase liquida aventi direzioni di circolazione opposte) come preferibile, in quanto garante di elevate efficienze lungo tutta l’altezza della colonna, ed ha consentito di identificare i corpi di riempimento in materiale plastico (Plastic Intalox Saddles) come ottimali per il ciclo di trattamento svolto. Sono stati quindi definiti tre criteri operativi, i quali, nell’ipotesi di diluizione delle fasi coinvolte e di validità della teoria del ‘Doppio Film’, consentono la valutazione successiva dei principali parametri progettuali, ossia la portata di soluzione di idrossido di sodio, il diametro della colonna e l’altezza di riempimento della medesima. La determinazione della portata ottimale di soluzione (2,7 l/s) prevede l’individuazione della portata molare minima, ossia quella per la quale si ha il raggiungimento delle condizioni di equilibrio in corrispondenza del fondo della colonna, e la successiva maggiorazione per garantire un elevato differenziale di concentrazione lungo tutta l’altezza di riempimento. L’interpolazione di diagrammi sperimentali (Lobo e Sherwood) permette poi l’identificazione della superficie delle sezioni in corrispondenza delle quali si verificano o condizioni di lavoro ottimali o fenomeni di allagamento della colonna. Da esse è dunque possibile ricavare un corretto diametro (0,70 m) da assegnare al dispositivo. Infine l’altezza di riempimento (3,70m), definibile come prodotto fra l’Altezza unitaria di trasferimento ed il Numero delle unità di trasferimento, è ottenuta previa opportuna schematizzazione del processo di assorbimento in colonna attraverso equazioni di equilibrio, equazioni di bilancio di massa del cloro ed equazioni di trasferimento di massa. Per quanto riguarda la strategia di gestione ottimale del ciclo di trattamento essa deve garantire principalmente che sia evitato lo strippaggio del cloro e la formazione di precipitati in soluzione, i quali possono causare occlusioni nei corpi di riempimento. La definizione di tale strategia prevede l’individuazione preventiva delle condizioni operative ottimali della soluzione di idrossido di sodio, condotta per mezzo di accurate analisi di clorazione e carbonatazione del solvente e attraverso

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Gli esiti ottenuti hanno permesso di identificare l’intervallo di pH prettamente basico compreso tra i valori 14 e 9 come ottimale per la soluzione, poiché garante di concentrazione di cloro molecolare (Cl2) trascurabili, e l’utilizzo di solo idrossido di sodio come dosaggio preferibile di reagenti da adottare durante il ciclo di trattamento. È stata inoltre condotta una valutazione del tempo utile di impiego in colonna di soluzioni aventi varie concentrazioni di idrossido di sodio (4,12,20%), espresso in particolare come rapporto tra il quantitativo di cloro (espresso in moli) necessario per produrre la precipitazione dei cloruri e la stima della produzione di vapori di cloro nell’impianto di decontaminazione (espressa in moli/ore).

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1. INTRODUZIONE

La necessità di effettuare operazioni di dragaggio nei porti e nei canali navigabili deriva dall’esigenza primaria di salvaguardia delle attività commerciali e turistiche. Le attività di dragaggio dei sedimenti, con scopo sia di mantenimento che di ampliamento, sono state in passato applicate al solo fine di garantire la corretta funzionalità operativa dei porti, tuttavia, esse hanno recentemente assunto, a causa della possibile contaminazione di natura organica ed inorganica dei materiali dragati, la connotazione aggiuntiva di interventi di risanamento ambientale. La destinazione dei sedimenti di dragaggio e i trattamenti a cui possono essere sottoposti sono definiti dalla presenza o meno di contaminanti, dalla quantità e della natura degli stessi, ossia parametri determinabili solo a seguito di un accurato piano di caratterizzazione. Per quanto riguarda le matrici contaminante da metalli pesanti, in particolare quelle aventi struttura limo-argillosa, le quali sono caratterizzate da bassa permeabilità ed elevato potere tampone, le tradizionali tecniche di trattamento risultano genericamente inadeguate ed eccessivamente costose. In tali circostanze la tecnologia innovativa di separazione elettrocinetica presenta le migliori potenzialità di trattamento, sia nelle applicazioni in situ che ex situ. Il trattamento elettrocinetico consiste nell’applicazione di un campo elettrico alla matrice contaminata mediante coppie di elettrodi infissi direttamente nel sedimento e alloggiate in pozzetti a pareti porose, all’interno dei quali vengono fatte circolare opportune soluzioni elettrolitiche. Il campo elettrico provoca l’elettrolisi di tali soluzioni e la conseguente formazione simultanea di un fronte acido ed un fronte basico: • il fronte acido, avanzando dagli anodi verso i catodi, è responsabile del desorbimento dalla matrice solida e della mobilizzazione dei contaminanti, i quali si trasferiscono nei elettroliti contenuti nei pozzetti • il fronte basico, avanzando in senso contrario al fronte acido, ostacola il processo di desorbimento e deve essere quindi contrastato per mezzo del dosaggio di acidi in corrispondenza del catolita Le soluzioni elettrolitiche, le quali si arricchiscono dei contaminanti rimossi, sono oggetto di una accurata gestione, per evitare possibili rischi riconducibili a fenomeni di precipitazione sugli elettrodi o sulle pareti dei pozzetti, di inversione del trasporto per diffusione con conseguente ricontaminazione della matrice trattata ed infine all’eccessivo incremento di conduttività delle soluzioni, che causa una riduzione del rendimento di rimozione. Nonostante i numerosi test di laboratorio tuttavia, le applicazioni in piena scala del trattamento elettrocinetico a sedimenti marini di dragaggio sono ancora molto limitate, essendo infatti ben consolidata la sola applicazione al trattamento dei terreni. Il progetto LIFE+SEKRET (“Sediment ElectroKinetic REmediation Technology for heavy metal pollution removal”) si è dunque proposto di dimostrare i vantaggi economici ed ambientali che tale tecnologia di decontaminazione offre, rispetto a tipologie di gestione alternative, attraverso la realizzazione di un impianto dimostrativo in un’area dedicata nel porto di Livorno, il quale è attualmente adibito al trattamento di 150m3 di sedimenti di dragaggio. L’impianto dimostrativo si costituisce delle seguenti unità:

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• vasca di trattamento smontabile e coperta: opportunamente attrezzata con pozzetti porosi collegati ai circuiti idraulici di ricircolo degli elettroliti ed adibita al contenimento dei sedimenti di dragaggio per tutta la durata del trattamento • sezione di energizzazione elettrica: necessaria per l’applicazione del campo elettrico ai sedimenti e per il funzionamento degli apparati elettromeccanici dell’impianto • sezione di trattamento degli elettroliti: adibita al controllo del pH operativo delle soluzioni elettrolitiche (l’efficienza del trattamento elettrocinetico è strettamente correlata ad una opportuna acidificazione della matrice trattata) • sezione di trattamento delle soluzioni elettrolitiche: volta alla rimozione del materiale particolato e dei metalli pesanti trasferiti dalla matrice ed al controllo dell’incremento di salinità delle soluzioni elettrolitiche • sezione di controllo e trattamento delle emissioni gassose: adibita all’abbattimento delle emissioni inquinanti ed in particolare del cloro gas (Cl2) Una caratteristica che contraddistingue infatti i sedimenti marini rispetto ai generici terreni contaminati è data dall’elevato contenuto salino. Quest’ultimo è principalmente dovuto alla concentrazione di cloruri (Cl-) che caratterizza le acque saline presenti negli interstizi dei sedimenti di dragaggio. L’applicazione del trattamento elettrocinetico alle matrici marini contaminate comporta dunque, a causa delle reazioni di elettrolisi che avvengono in corrispondenza degli elettrodi anodici, la produzione di vapori di cloro a partire dai cloruri presenti negli elettroliti (2Cl- -> Cl2 + 2e-). Il cloro costituisce un gas altamente reattivo e aggressivo, avente un intenso odore soffocante ed un effetto altamente tossico in condizioni di esposizione prolungata o di elevata concentrazione, ed è dunque sottoposto ad una regolazione molto restrittiva attuata dal “Codice dell’Ambiente”, ossia il Decreto Legislativo n.152 del 2006. Per controllare quindi le emissioni di cloro gas presso l’impianto dimostrativo, il quale risulta essere opportunamente coperto, è stato implementato un sistema di aspirazione d’aria dal bacino di trattamento e dai serbatoi elettrolitici, dotato di una torre di abbattimento finale con corpi di riempimento in materiale plastico e ciclo di trattamento ad umido con idrossido di sodio. Nel dimensionamento della sezione di trattamento dell’effluente gassoso è stata condotta l’ipotesi prudenziale che la corrente applicata promuova esclusivamente la reazione di elettrolisi del cloro e dunque la generazione di cloro gas (a tale ipotesi corrisponde una produzione di cloro gas massima di 21 kg/d). In realtà il tasso di produzione di Cl2 non risulta massimo in quanto limitato dalla contemporanea elettrolisi dell’acqua, con la conseguente generazione di ossigeno (O2). Per quanto riguarda la torre di lavaggio, il relativo dimensionamento è stato condotto seguendo il parametro di progetto piuttosto approssimativo costituito dal ‘ tempo di contatto ’ in colonna. Quest’ultimo può esser definito come il tempo di residenza trascorso dall’aria carica di particelle inquinanti all’interno del volume del riempimento, ossia il tempo impiegato per passare dalla sommità al fondo della colonna, o viceversa. La determinazione del volume necessario di riempimento è stata dunque condotta fissando un valore del tempo di contatto pari a 4 secondi, mentre altezza e diametro della torre sono state definite con l’obbiettivo di limitare la velocità della portata gassosa all’interno della colonna, in maniera tale da evitare perdite di carico eccessive. Il risultato ottenuto è stato una torre avente altezza pari a 1,5 metri, diametro di 1,3 metri ed un volume complessivo di riempimento pari a 2,04 metri cubi. Tale dispositivo ha tuttavia dimostrato durante il processo di trattamento elettrocinetico un rendimento alquanto discontinuo, il quale ha fatto dunque nascere l’interesse di ricercare, tramite

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un’analisi più approfondita, una procedura per operarne un dimensionamento ottimale ed una strategia di gestione del relativo ciclo di trattamento ad umido per garantirne invece un rendimento opportuno. Il presente lavoro di tesi si è dunque proposto, in primo luogo, di identificare i criteri progettuali per mezzo dei quali è possibile determinare i principali parametri costruttivi relativi alla torre di lavaggio, ossia tipologia e dimensione dei corpi di riempimento, portata ottimale di soluzione liquida, diametro ed infine altezza di riempimento. Per il raggiungimento di tale obbiettivo sarà dunque condotta un’analisi approfondita circa il processo di trasferimento di massa in colonna a riempimento casuale, in particolare a riguardo dell’assorbimento di un generico soluto gassoso in soluzione liquida, e ne verrà poi definita una opportuna schematizzazione per mezzo di equazioni di equilibrio, di bilancio di massa e di velocità di scambio. L’identificazione di una strategia di gestione ottimale del ciclo di trattamento ad umido prevedrà invece un’indagine circa la variabilità della composizione della soluzione di idrossido di sodio al progredire del processo di assorbimento effettuato in colonna. Saranno innanzitutto svolte delle analisi preliminari in merito alla clorazione ed alla carbonatazione della soluzione (la fase gassosa presenta ovviamente un contenuto naturale di anidride carbonica, la quale, assieme al cloro, è sottoposta al trasferimento in fase liquida), per poter comprendere le specie chimiche effettivamente coinvolte al variare del pH della medesima. Infine verranno condotte una serie di simulazioni del processo di assorbimento del cloro in soluzione di idrossido di sodio attraverso il software PHREEQC, il risultato delle quali consentirà di proporre una strategia di gestione del ciclo di trattamento espressa in termini di intervallo operativo ottimale di pH della soluzione, di dosaggio preferibile di reagenti e di tempo di impiego utile in colonna della soluzione medesima.

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2. BONIFICA ELETTROCINETICA DI SEDIMENTI DI DRAGAGGIO MARINO

2.1 Problematica sedimenti di dragaggio

Garantire una ottimale condizione di accesso e di navigabilità all’interno di un bacino portuale costituisce uno dei servizi principali di competenza dell’Autorità Portuale, sia per garantire la sicurezza delle imbarcazioni sia per agevolare lo sviluppo economico del porto. In quest’ottica il monitoraggio del fondale e gli interventi di dragaggio assumono un’importanza decisiva per la sopravvivenza economica di qualsiasi infrastruttura portuale. La movimentazione dei sedimenti costituisce oggigiorno un intervento specifico, atto non solo al mantenimento di idonee condizioni per la funzionalità del porto, ma anche a garantire il mantenimento di adeguati standard di qualità dell’ambient acquatico, e ciò a causa della progressiva contaminazione dei sedimenti di fondo derivante dalla navigazione a motore, dalle attività portuali ed industriali, dai cantieri navali e dallo scarico in mare di acque reflue. A fronte dunque di una necessità economica e strutturale, l’Autorità Portuale che stia progettando un’attività di dragaggio non potrà ignorare i vincoli derivanti dalla tutela della fascia costiera, dell’ambiente marino e della salute pubblica. A causa degli ingenti volumi di sedimenti dragati, l’elaborazione di soluzioni atte a favorire la sostenibilità economica delle operazioni di dragaggio e una corretta gestione dei sedimenti nei porti, intesa come deposito, trattamento e possibile riuso, costituisce un percorso che, nel rispetto delle normative ambientali, richiede un’attenzione approfondita e un corretto approccio. L’entità ed il grado di contaminazione dei sedimenti prelevati determinano la scelta dei trattamenti di recupero applicabili. Prima di procedere alle operazioni di dragaggio è quindi necessario operare una caratterizzazione chimico-fisica, microbiologica ed ecotossicologica del sedimento, al fine di individuare la possibile destinazione e per prendere misure di contenimento per i possibili impatti che ne possono derivare. È ormai accertato infatti che l’escavazione dei fondali contaminati può essere un’attività ad elevato rischio ambientale a causa della possibile diffusione dei contaminanti nell’ambiente acquatico. I possibili scenari di gestione dei sedimenti dragati, da valutare caso per caso in relazione ad una serie di fattori, tra i quali principalmente la volumetria complessiva e la tipologia e l’entità della contaminazione presente, possono esser ricondotti a: la reimmissione in mare, il trattamento ex-situ per successivo conferimento in vasche di colmata o in strutture di confinamento realizzate in ambiente costiero oppure il conferimento diretto in vasca di colmata qualora il livello di contaminazione lo consenta, il trattamento ex-situ al fine del riutilizzo nel campo delle opere civili nel rispetto della normativa vigente ed infine il conferimento in discarica. Facendo riferimento al Sito di bonifica di Interesse Nazionale (SIN) di Livorno (solo recentemente declassificato a Sito di Interesse Regionale), esso presenta una superfice di estensione complessiva pari a circa 2000 ettari, dei quali 1400 ettari esclusivamente di superficie marina. La fascia di mare, perimetrata con Decreto Ministeriale del 24 Febbraio 2003, comprende sia il Porto di Livorno sia lo specchio acqueo antistante. In quanto SIN il porto è stato sottoposto nel tempo ad una serie approfondita di analisi e caratterizzazioni, l’ultima eseguita da ICRAM (Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica Applicata al Mare) nel 2005, consistenti principalmente in: indagini geofisiche preliminari, per l’individuazione della presenza di substrato roccioso, prelievo di carote e campioni superficiali di sedimento ed infine esecuzione di indagini chimiche, microbiologiche e ecotossicologiche.

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Il risultato della caratterizzazione ha evidenziato un grado di contaminazione maggiore, sia come estensione dell’area interessata sia come livelli di concentrazione riscontrati, negli strati compresi tra 1 e 2 metri di profondità ed una contaminazione principalmente dovuta a metalli pesanti, quali in particolare Cromo (Cr), Cadmio (Cd); Piombo (Pb), Nichel (Ni) e Zinco (Zn), e secondariamente a idrocarburi policiclici aromatici. Presso il Porto di Livorno, per garantire i pescaggi necessari alle imbarcazioni, vengono annualmente dragati circa 100.000 metri cubi di sedimenti, parte dei quali a granulometria prevalentemente fine ed aventi concentrazioni di metalli pesanti poco superiori ai valori di Concentrazione Soglia di Contaminazione (CSC) riportati in colonna B, tabella 1, dell’allegato 5 alla parte 4° del Decreto Legislativo n. 152 del 2006. Tali sedimenti, in quanto aventi bassi valori di permeabilità, si caratterizzano per una elevata area specifica dei grani, alla quale corrisponde una grande quantità di siti di reazione che implicano forti interazioni tra contaminanti e matrice solida del materiale, quest’ultime dipendenti da molteplici fattori oltre il pH e la natura della matrice solida stessa. Questa caratteristica, assieme all’elevato potere tampone tipico dei sedimenti limo-argillosi, ne rende estremamente difficoltosa la bonifica con le usuali tecniche di tipo chimico-fisico, quali ad esempio il lavaggio dei sedimenti e l’estrazione con solventi. In queste condizioni tuttavia, la tecnologia recente di trattamento elettrocinetico mostra ottime potenzialità d’impiego, sia per le applicazioni in situ che per quelle ex situ.

2.2 La bonifica elettrocinetica

La bonifica elettrocinetica è una tecnologia innovativa che ha raggiunto un buon grado di sviluppo in merito alla bonifica dei suoli, dimostrando in particolare una notevole efficacia per il trattamento di matrici aventi bassa permeabilità. Si basa sostanzialmente sull’applicazione di un campo elettrico a bassa intensità per rimuovere contaminanti organici ed inorganici da matrici solide quali terreni e sedimenti. La tecnica d’impiego più comune prevede che il campo elettrico sia applicato mediante una matrice di elettrodi equidistanti collocati all’interno di pozzetti porosi verticali inseriti nella matrice da trattare. Inoltre, all’interno dei pozzetti, sia anodici che catodici, vengono fatte circolare due soluzioni elettrolitiche condizionate chimicamente per ottimizzare i processi e controllare i parametri operativi. L’applicazione del campo elettrico induce una serie di fenomeni di trasporto, trasferimento ed elettrolisi che favoriscono il desorbimento degli inquinanti dalla matrice solida e li mobilitano verso gli elettrodi contenuti nei pozzetti, dai quali poi può dunque avvenire l’estrazione. Le reazioni di elettrolisi che riguardano le molecole d’acqua in corrispondenza degli elettrodi sono responsabili della generazione di un fronte acido e di un fronte basico, infatti, presso gli anodi si producono ioni H+ attraverso reazioni di ossidazione (2H

2O -> O2 + 4H+ + 4e-), mentre ai catodi si

producono ioni OH- tramite reazioni di riduzione (2H 2O + 2e- -> H2 + 2OH-). Il fronte acido, generato dalla produzione di ioni H+ in corrispondenza degli anodi, migra dunque verso i catodi, acidificando così il pH del materiale e favorendo il desorbimento dei metalli e di complessi polari dalla matrice, i quali si portano dunque in soluzione. Il fronte basico, al contrario, migrando dai catodi verso gli anodi, ostacola il processo di desorbimento dei contaminanti. Risulta dunque necessario il dosaggio controllato di acidi nel circuito del catolita per contrastare la produzione di ioni idrossido OH-.

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soluzione per mezzo del potenziale elettrico applicato), l’elettroosmosi (trasporto degli ioni disciolti e dei complessi polari per mezzo del movimento della medesima soluzione interstiziale, dovuto alla presenza del doppio strato elettrico sulle superfici cariche delle matrici solide) e l’elettroforesi (movimento di particelle colloidali dotate di carica superficiale per mezzo del potenziale elettrico applicato). Tra i vantaggi che la tecnologia di decontaminazione elettrocinetica offre, rispetto a convenzionali tecniche di bonifica, troviamo l’applicabilità a materiali a bassa permeabilità ed a suoli e sedimenti completamente saturi o parzialmente saturi (comunque in presenza di un fluido interstiziale), la capacità di rimozione dei metalli pesanti e di inquinanti organici, la flessibilità nell’utilizzo come metodo ex situ o in situ e la possibilità di integrazione con altre tecniche di bonifica. Ovviamente la decontaminazione elettrocinetica presenta anche una serie di limitazioni, fra le quali si hanno la necessità di un fluido di processo, la durata del processo di decontaminazione, molto lunga, ed i relativi costi di esercizio, la necessità della solubilizzazione degli inquinanti, spesso per mezzo di agenti chimici esterni, per consentirne la mobilizzazione, la necessità di un’indagine approfondita del fenomeno per la realizzazione di un modello teorico avente la funzione di predire ed ottimizzare l’intero processo e la notevole influenza sulla fattibilità della decontaminazione di parametri caratteristici della matrice solida come la resistività elettrica e la capacità tampone. L’efficacia del trattamento elettrocinetico è infatti strettamente dipendente dalle proprietà del materiale da bonificare, quali la capacità tampone, la mineralogia, il contenuto di materia organica, l’eterogeneità ed il potere adsorbente. Gli esperimenti in laboratorio sono dunque fondamentali per la caratterizzazione del materiale e per l’analisi del comportamento della matrice a seguito dell’applicazione del campo elettrico.

2.3 Il progetto LIFE + SEKRET

L’applicazione del trattamento di separazione elettrocinetica a sedimenti di dragaggio è stata oggetto di numerose sperimentazioni a scala di laboratorio, tuttavia, solo raramente se ne è considerata l’implementazione a scala reale assieme all’analisi delle problematiche di gestione degli elettroliti. Il progetto LIFE+SEKRET (“Sediment Electrokinetic REmediation Technology for heavy metal pollution removal”) si è posto l’obbiettivo di dimostrare l’efficacia e l’applicabilità della tecnologia elettrocinetica per la bonifica di sedimenti marini di dragaggio, caratterizzati da una contaminazione principalmente dovuta a metalli pesanti, attraverso la realizzazione di un impianto pilota, ubicato in un’area dedicata all’interno del Porto di Livorno. Tale impianto, per un periodo di decontaminazione complessivo di circa 18 mesi, andrà a trattare 150 m3 di sedimenti marini, opportunamente dragati da un’area dei fondali marini del porto nella quale le concentrazioni di metalli pesanti superano il 90% dei limiti riportati in normativa (col. B, tab. 1, allegato 5, parte 4° del D.L 152/2006). Tale progetto si propone dunque di mettere in evidenza i vantaggi ambientali ed economici che tale soluzione di bonifica, congiunta alla collocazione dei sedimenti in vasche di colmata protette, presenta rispetto a soluzioni alternative come la reimmissione in mare o lo smaltimento in discarica. La realizzazione dell’impianto pilota è stata ovviamente preceduta, per poter determinare in maniera ottimale i corretti parametri di progetto, da un’ampia serie di analisi e test elettrochimici di laboratorio su un campione di sedimento prelevato opportunamente dai fondali selezionati.

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Il trattamento elettrocinetico consiste nell’applicazione di un campo elettrico alla matrice contaminata per mezzo di una serie di elettrodi infissi direttamente nel sedimento e alloggiati, in particolare, in pozzetti di drenaggio, i quali consentono l’immissione, la circolazione e l’estrazione di soluzioni elettrolitiche, impiegate per il controllo delle condizioni operative del sistema. Il progetto SEKRET prevede, per l’impianto pilota sito nel porto di Livorno, le seguenti sezioni costituenti: 1. vasca di trattamento in prefabbricati di calcestruzzo, smontabile e coperta 2. sezione di energizzazione elettrica del catodo e dell’anodo 3. sezione di condizionamento del catolita e dell’anolita 4. sezione di trattamento degli elettroliti 5. sezione di controllo e trattamento delle emissioni gassose La vasca di trattamento è stata realizzata in elevazione con pannelli prefabbricati in cemento armato auto-stabili e portanti, aventi classe di resistenza C45 (>45 MPa) e altezza pari a 1,70 m. L’impronta in pianta totale esterna, misurata al piede d’appoggio della vasca, è di 15,18 x 7,13 x 1,70 m; lo spessore del sedimento all’interno della vasca è di circa 1,25 m. La vasca di trattamento è impermeabilizzata con un rivestimento interno con membrana in tessuto Panama gommato, protetta da geotessuto. La vasca è dotata di 42 elettrodi anodici e di 42 elettrodi catodici, tutti inseriti in altrettanti tubi microforati disposti verticalmente nel sedimento ed allineati su 14 linee costituite da 6 elettrodi ciascuna a distanza di circa 1 m l’uno dall’altro. Nei tubi microforati vengono fatti circolare il catolita e l’anolita mediante due circuiti indipendenti di condizionamento del pH. Le armature degli elementi prefabbricati sono inoltre collegate elettricamente al catodo per garantirne così la protezione catodica. La sezione di energizzazione elettrica è realizzata mediante allacciamento alla rete elettrica trifase (380 V) con potenza massima pari a 50 kW. Il controllo di tensione e corrente è effettuato su ogni singola coppia di elettrodi mediante regolatori di potenza a stato solido che consentono di variare la tensione applicata per mantenere costante la corrente al variare del carico resistivo (i sedimenti presentano inizialmente una resistività pari a 0,5 Ωm, la quale va tuttavia crescendo nel corso del processo di decontaminazione elettrocinetica). I dispositivi sono gestiti tramite un PC; il software installato su quest’ultimo comunica con i dispositivi regolatori di potenza ed imposta la tensione in uscita in modo da mantenere il valore di densità di corrente a 5 A/m2, col limite massimo di 30 V imposto per ragioni di sicurezza. Il dimensionamento della sezione di energizzazione è stato infatti effettuato tenendo conto dell’eventuale surriscaldamento dell’elettrolita (tramite il calore sviluppato per effetto Joule). È stato in particolare stimato che densità di corrente dell’ordine di 4-5 A/m2 siano le massime ammissibili per garantire che l’elettrolita non si surriscaldi. Per quanto riguarda i materiali utilizzati per gli elettrodi, gli anodi sono stati realizzati con una lastra rettangolare in rete di titanio nobilitato di dimensione 1200 x 60 mm, mentre i catodi, non presentandosi per essi il problema della corrosione dovuta la campo elettrico, sono costituiti da

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La distanza tra anodo e catodo costituisce un parametro fondamentale in termini di rendimento di rimozione del trattamento elettrocinetico e, attraverso opportuni test di laboratorio, è stata impostato il valore di 1 m come ottimale per l’esperimento dimostrativo. La sezione di condizionamento degli elettroliti è costituita di due circuiti di ricircolo indipendenti, connessi rispettivamente ai pozzetti anodici e catodici, ciascuno dei quali è dotato di un serbatoio a pelo libero di disconnessione e di una coppia di pompe di ricircolo. Ogni circuito è inoltre dotato di due gruppi di sonde di misura continua del pH, potenziale redox, temperatura e conducibilità poste in ingresso ed uscita dalla vasca. Il dimensionamento di tale sezione è stato effettuato tenendo conto che il sistema di estrazione elettrocinetica è efficiente quando il pH del sedimento è inferiore a 4 in quanto, per pH > 4 la mobilità dei metalli è estremamente bassa e la decontaminazione risulta essere poco efficiente. Il pH al catodo è automaticamente mantenuto in condizioni acide mediante il dosaggio di acido nitrico (HNO3) nel circuito del catolita, in maniera tale da neutralizzare gli ioni idrossido (OH-) prodotti. All’anodo invece la generazione di ioni H+ causa una diminuzione del pH a valori estremamente bassi (pH < 1) e l’eccesso di ioni H+ può comportare problemi di durabilità dei materiali nel circuito dell’anolita. È dunque previsto il dosaggio di idrossido di sodio (NaOH) per neutralizzare gli ioni H+. Come strategia alternativa il pH dell’anolita può esser controllato scambiando un’aliquota regolabile degli elettroliti fra i due circuiti previa rimozione del contenuto salino. Tale soluzione consente in particolare una riduzione significativa del consumo di reagenti. È infatti previsto il consumo giornaliero di 31 litri di acido nitrico al 68% e di 36 litri circa di idrossido di sodio al 37%. Per quanto riguarda la portata complessiva richiesta per la circolazione degli elettroliti, essa è stata determinata in maniera tale da rispondere ai due seguenti criteri: • il pH in uscita di ogni singola linea non deve essere superiore a 3, in modo da consentire l’acidificazione dei sedimenti • la differenza di pH nei pozzetti deve essere minimizzata Il secondo criterio è dovuto al funzionamento in serie dei 6 pozzetti presenti in ciascuna delle 14 linee, al fluire infatti da un pozzetto all’altro gli elettrodi si arricchiscono progressivamente di ioni H+ nell’anolita e OH- nel catolita, generando cosi un gradiente di pH significativo nel circuito. Mentre al catodo la portata non costituisce tuttavia un parametro particolarmente critico, dal calcolo del pH in ingresso alla linea in funzione della portata di ricircolo è stato osservato che all’anodo esiste una zona di transizione tra pH acido e pH basico. In questo modo è stata valutata la portata minima richiesta per garantire un pH acido (pari a 4) in ingresso alla linea del circuito dell’anolita ed è stata infine dimensionata la massima portata delle pompe di ricircolo in 10 l/s. La sezione di trattamento degli elettroliti si costituisce di un serbatoio di processo fuori linea, nel quale vengono periodicamente trasferiti gli elettroliti, di un impianto di osmosi inversa e di un sistema di vaschette di evaporazione solare. Tale sezione è volta a garantire i seguenti obbiettivi: • rimozione di eventuale materiale particolato che potrebbe causare ostruzioni al circuito • rimozione dei metalli pesanti trasferiti dalla matrice • controllo dell’incremento di salinità dovuto al trasferimento di macroelementi dalla matrice trattata ed al dosaggio di agenti di condizionamento del pH

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L’incremento di salinità degli elettroliti è responsabile della diminuzione dell’efficacia del processo in quanto riduce, a parità di corrente alimentata, il gradiente di potenziale elettrico applicabile alla matrice. Gli elettroliti molto conduttivi sono infatti ricchi portatori di carica antagonisti degli ioni H+ che acidificano la matrice e del trasporto di ioni metallici per elettromigrazione, ostacolando dunque la bonifica. La salinità è fortemente influenzata dal tipo di reagente utilizzato per il condizionamento del pH degli elettroliti: l’acido nitrico genera infatti nitrati molto solubili che incrementano progressivamente la salinità fino a valori molto elevati. Nei test di laboratorio è stato preso in considerazione anche l’impiego di acido solforico ed acido cloridrico. Il primo, tuttavia, è responsabile della produzione di ioni solfato, i quali, in ambiente acido, precipitano nella matrice, sul catodo e sulle pareti porose dei pozzetti catodici creando dunque rischi di ostruzione nel circuito. L’acido cloridrico è stato invece scartato in quanto aggrava la problematica della generazione di cloro gassoso. Il trattamento fuori linea degli elettroliti consiste dunque nel trasferimento periodico dei medesimi in un serbatoio di processo, sostituendoli con un analogo volume di liquido già trattato allo scopo di non interrompere il processo elettrocinetico. All’interno del serbatoio di processo viene effettuato il dosaggio di idrossido di sodio per correggere il pH fino a valori pari a 4-5, in maniera tale da favorire la precipitazione di particelle colloidali ricche di ferro, le quali vengono poi rimosse sia per sedimentazione, spurgando il fondo del serbatoio di trattamento, sia per filtrazione tramite un filtro a sabbia. All’interno del serbatoio viene inoltre effettuato il dosaggio di metabisolfito di sodio per eliminare ogni presenza di cloro attivo libero residuo, il quale è dannoso per la membrana di osmosi inversa, la quale, dopo la rimozione del precipitato, consente di rigenerare l’elettrolita abbattendone la conducibilità. Per lo smaltimento del concentrato, il quale si costituisce di un liquido ad elevata concentrazione salina, è stato implementato un sistema evaporativo costituito da vassoi di plastica neri che consentono la rapida evaporazione del liquido. Al termine dell’evaporazione l’unico rifiuto è costituito dunque dai sali solidi. A fianco del trattamento di osmosi inversa, il cui obbiettivo è principalmente quello di abbattere la salinità, è stata presa inoltre in considerazione l’implementazione di un trattamento con resine a scambio ionico per la rimozione dei metalli pesanti trasferitisi negli elettroliti dai sedimenti. I test di laboratorio ne hanno dimostrato la fattibilità d’applicazione e la relativa efficacia, tuttavia tale trattamento non è stato implementato nell’impianto pilota date le concentrazioni estremamente basse dei metalli negli elettroliti, a causa della bassa contaminazione del sedimento. La sezione di controllo e trattamento delle emissioni gassose ed in particolare del cloro gas (Cl2) è costituita da un sistema di aspirazione d’aria dai serbatoi elettrolitici e da una torre di abbattimento finale con corpi di riempimento in materiale plastico e ciclo di trattamento ad umido con idrossido di sodio. Per evitare il rischio di rilasci accidentali di cloro dai pozzetti elettrodici, l’intera vasca di trattamento è stata dotata di copertura a tenuta, collegata al sistema di aspirazione dimensionato per garantire 10 ricambi/ora. È stato infatti possibile verificare durante il trattamento di elettrocinesi che la produzione di vapori di cloro nel serbatoio dell’anolita piuttosto che nei pozzetti elettrodici è correlata al livello dell’elettrolita all’interno del serbatoio anolitico stesso: qualora infatti il livello dell’anolita sia inferiore alla quota del collettore di ritorno del circuito di ricircolo, l’intumescenza che si genera allo scarico della soluzione elettrolitica garantisce lo strippaggio del cloro all’interno del serbatoio. Quando invece il livello nel serbatoio è tale da immergere il collettore di ritorno allora la produzione di cloro gas avviene prevalentemente in corrispondenza dei pozzetti elettrodici. La produzione di vapori di cloro è dovuta alla elevata concentrazione di cloruri negli elettroliti, la

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2𝐻#𝑂 → 𝑂#+ 4𝐻(+ 4𝑒* E0 = 1,23 V 2𝐶𝑙* → 𝐶𝑙 #+ 2𝑒* E0 = 1,36 V Dove E0 (V) costituisce il potenziale standard di riduzione. Nonostante il potenziale di riduzione della reazione relativa alla produzione di cloro gas sia maggiore rispetto alla reazione di elettrolisi dell’acqua, la generazione di gas cloro può avvenire in condizioni di pH acido e di elevata concentrazione di cloruri. In tali condizioni le due reazioni divengono competitive e si ha la produzione contemporanea di ossigeno e cloro. Nel dimensionamento della sezione di trattamento è stato comunque tenuto conto dell’ipotesi prudenziale per la quale la corrente applicata promuove esclusivamente la reazioni di elettrolisi del cloro, cui corrisponde dunque una produzione stimata di circa 21 kg/d di Cl2.

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3. GENERALITÀ PROCESSO DI ASSORBIMENTO

Il processo unitario di assorbimento consiste nel trasferimento di uno o più componenti da una fase gassosa ad una fase liquida. Il liquido utilizzato viene chiamato liquido assorbente. Tale operazione ha la finalità di purificare una generica portata gassosa da componenti indesiderati o che non possono essere espulsi nell’atmosfera come, ad esempio, il cloro contenuto nella fase gassosa proveniente da un bacino per la decontaminazione elettrocinetica di sedimenti marini di dragaggio. Una volta effettuato il passaggio dei componenti desiderati dal gas al liquido, segue, in alcuni casi, un processo di separazione che coinvolge il solvente e i componenti trasferiti stessi. Risulta infatti necessario recuperare i componenti assorbiti, qualora debbano essere trattati e smaltiti, ed anche il solvente, il quale viene riutilizzato all’interno di un ciclo chiuso. Tali condizioni suggeriscono i criteri di scelta del solvente assorbente, il quale infatti deve essere (Strigle,1994; Chattopadhyay,2007; Perry et al.,2007): • solubile rispetto al gas considerato • selettivo, deve assorbire solo i componenti voluti e non altri • economico • non tossico • facilmente separabile dai componenti assorbiti Si possono distinguere 2 tipologie di assorbimento (Strigle,1994; Chattopadhyay,2007; Perry et al.,2007; McCabe et al.,1993): • assorbimento fisico (trasferimento di massa per semplice diffusione) • assorbimento chimico (formazione di legami forti di natura ionica e/o covalente) L’assorbimento fisico è un fenomeno di superficie, che comporta un legame relativamente debole tra il soluto della fase gassosa ed il solvente utilizzato. L’assorbimento chimico, invece, indica una più forte interazione, che implica legami chimici di natura ionica e/o covalente. Le principali caratteristiche dei solventi fisici e chimici possono esser riassunte come di seguito (Perry et al.,2007):

Caratteristiche Solventi fisici Solventi chimici

Variazioni di solubilità con la

pressione Relativamente lineare Decisamente non lineare Solubilità per bassi valori di

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Calore di soluzione costante al variare del carico Relativamente basso, e circa di soluto Relativamente elevato, decresce con l’incremento del carico di soluto I solventi chimici sono dunque preferibili qualora il soluto debba esser ridotto a livelli molto ridotti, quando è necessaria una elevata selettività e quando la pressione parziale del soluto è bassa. Il calore di soluzione elevato e la necessità di identificare dati accurati di assorbimento per il processo di interesse, a causa della forte non linearità della relazione solubilità-pressione, costituiscono invece i principali svantaggi dell’impiego di tale tipo di solventi.

3.1 Dispositivi di Assorbimento

Dal momento in cui siamo in presenza di una fase gassosa e di una fase liquida, è possibile realizzare l'assorbimento operando in continuo ed in controcorrente. L’obbiettivo è ovviamente quello di garantire un’ampia area interfacciale tra le due fasi, cosi da poter massimizzare il coefficiente di scambio di materia e quindi la velocità di trasferimento. A tale scopo sono stati messi a punto vari dispositivi che si differenziano per forma, costruzione e principi operativi (Strigle,1994; Chattopadhyay,2007; Perry et al.,2007; Billet,1994; McCabe et al.,1993): • colonna a piatti Si tratta di una serie di piatti incolonnati, in ciascuno dei quali si realizza un equilibrio intermedio. Tali piatti fisici consentono dunque di ottenere il contatto tra la fase liquida, che scende dalla testa, e i vapori in risalita. Sono costituiti da una superficie forata, da una zona chiamata discendente, dove appunto scende la corrente liquida dal piatto superiore e da una zona detta stramazzo, dove il liquido passa al piatto inferiore. Figura 1 - Colonna a piatti

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I dispositivi di contatto tra le due correnti sono in genere di tre tipi: piatti a campanelle, piatti a valvole e piatti forati. I piatti a campanelle sono ampiamente utilizzati. La campanella è costituita da un tubo sopra al quale vi è una coppa forata. Il liquido scende dallo stramazzo del piatto superiore e forma un battente che corrisponde all'altezza del tubo della campanella. I vapori in risalita attraversano i fori della "coppa" e sono costretti a gorgogliare nel liquido, condensando in parte, a seconda della temperatura a cui si trova il piatto. I piatti a campanelle presentano una grande flessibilità operativa, tuttavia non presentano elevate efficienze, specie se la volatilità relativa tra i componenti della miscela non è molto diversa. Di seguito sono riportati alcuni particolari costruttivi dei piatti a campanelle. I piatti a valvole invece presentano alloggiata una valvola in ogni foro, la quale si apre solo tramite la pressione del vapore in risalita. Rispetto ai piatti a campanella sono costruttivamente più semplici e meno costosi, tuttavia presentano una maggior difficoltà del dimensionamento tra l’area attiva e la zona del discendente. Presentano la problematica del bypass del vapore in condizioni di bassa pressione, a causa della non risalita della valvola nel caso di battenti di liquido importanti. Figura 2 - Piatti a campanelle Figura 3 - Particolari campanelle

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I piatti forati si costituiscono semplicemente di piastre forate. Possono non essere dotati di discendente e stramazzo e la discesa del liquido può esser realizzata in controcorrente al vapore attraverso i fori. Anche tali piatti possono presentare il problema del bypass. • colonna a spruzzo Si realizza la dispersione di una corrente liquida (fase discontinua) sotto forma di piccoli getti in una fase gassosa continua, la quale attraversa la colonna dal basso verso l'alto. Figura 4 - Piatto a valvole e dettagli costruttivi Figura 5 - Piatti forati

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• colonna a bolle La corrente liquida rappresenta la fase continua e percorre sempre la colonna dall'alto verso il basso mentre, alla base, viene dispersa la fase gassosa discontinua, mediante gorgogliamento, attraverso il liquido (si formano in pratica delle bollicine che attraversano il liquido dal basso verso l'alto). Entrambe le colonne a spruzzo e a bolle, sovente, non soddisfano le esigenze di produzione industriale, le quali richiedono apparecchiature compatte in cui il rapporto liquido-gas sia piccolo ed inoltre che si operi con un'alta velocità di massa del gas (conviene operare con alte velocità del gas in modo da ottenere valori accettabili per la sezione della colonna). Le due apparecchiature considerate, inoltre, non possono lavorare con le portate generalmente impiegate nelle operazioni di assorbimento. Si noti, infatti, che nella colonna a spruzzo il liquido deve essere disperso sotto forma di minutissime goccioline per cui, onde evitare il trascinamento delle stesse, è necessario contenere la velocità di passaggio del gas con conseguente aumento della sezione della colonna. Nella colonna a bolle, invece, il gas deve essere disperso sotto forma di piccolissime bollicine proprio per aumentare la superficie di scambio: ciò determina una portata dispersa per unità di sezione di colonna estremamente bassa e, dovendo trattare una grande portata gassosa, dovremmo realizzare anche in questo caso una colonna di sezione estremamente elevata. • colonna a riempimento Trattasi del dispositivo probabilmente più utilizzato a scala industriale per l'operazione di assorbimento. In una colonna a riempimento sia la fase liquida, introdotta dall'alto, sia la fase gassosa, introdotta dal basso, vengono utilizzate in modo continuo. Tale colonna è caricata con i cosiddetti “corpi di riempimento”, volti ad incrementare la superficie di contatto tra i due fluidi e costituiti da materiale solido inerte in pezzi, aventi le seguenti caratteristiche: 1. diversa forma (sfere, cubetti, cilindretti oppure sagome particolari) 2. diverso materiale (ghiaia, plastica, metallo e ceramiche) 3. dimensioni opportune (dell'ordine di qualche centimetro) 4. Elevata superficie bagnabile per unità di volume di riempimento (in questo modo si ottiene un'elevata superficie specifica di contatto tra le due fasi per accelerare il processo di trasferimento) 5. Elevato valore del volume dei vuoti (in modo da consentire notevoli portate dei fluidi senza eccessive perdite di carico) 6. Resistenza alla corrosione 7. Basso peso specifico (per utilizzare una grande quantità di riempimento senza

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La forma e le modalità con cui viene caricato il riempimento in colonna sono di estrema importanza in quanto risulta essere fondamentale sviluppare la maggior superficie di contatto per unità di volume della colonna. Nella colonna a riempimento il liquido viene distribuito dall'alto, in modo uniforme su tutta la sezione e quindi su tutti i pezzi del riempimento; scendendo dall'alto verso il basso viene bagnato tutto il riempimento e si forma un velo liquido aderente alla superficie dei vari pezzi che lo costituiscono: se la portata del liquido è tale da non affogare completamente la colonna, vi saranno dei percorsi (costituiti dalle intercapedini tra un pezzo e l'altro e dai vuoti presenti sui pezzi stessi) attraverso cui può passare la corrente gassosa. In definitiva il liquido, cadendo dall'alto, si distribuisce e scorre su tutti i pezzi del riempimento, senza occupare tutta la colonna, ma lasciando degli interstizi vuoti attraverso cui passa il gas. Il riempimento funge dunque da supporto per il film liquido e, contemporaneamente, realizza un'elevata superficie specifica di scambio. Esso non viene poggiato direttamente sul fondo della colonna, bensì su un sostegno meccanico, costituito da una griglia di supporto con aperture di dimensioni inferiori a quelle dei corpi di riempimento. Sopra la sezione di riempimento e al di sotto del distributore di liquido è collocata una ulteriore griglia metallica, la quale ha lo scopo di trattenere i corpi di riempimento che altrimenti potrebbero subire degli spostamenti per effetto della corrente in risalita. All’interno della sezione di riempimento possono inoltre essere disposti dei “redistributori” ad intervalli regolari, i quali hanno il compito di rendere più uniforme la distribuzione delle fasi: il liquido tende infatti ad aderire alla parete del recipiente, mentre il gas tende ad occupare la zona centrale, diminuendo così l’area interfacciale gas-liquido e di conseguenza l’efficienza del riempimento. Di seguito è riportato una schematizzazione della colonna, assieme ad alcune tipologie di corpi di riempimento. Le colonne a riempimento offrono distinti vantaggi rispetto agli altri dispositivi, i principali sono i seguenti (Chattopadhyay,2007; Perry et al.,2007; McCabe et al.,1993): Figura 5 - Colonna a riempimento e corpi di riempimento

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• Garantiscono un adeguato contatto gas-liquido, riducendo tuttavia notevolmente le perdite di carico in colonna. • Consentono una migliore gestione di soluzioni che danno origine a schiuma • Presentano un minore hold-up liquido • Sono più semplici ed economiche da realizzare, specie in caso di sistemi corrosivi e per piccole colonne (avente diametro inferiore ad un metro) Per hold-up liquido si intende la somma di due termini, uno statico ed uno dinamico: 1. Hold-up statico: rappresenta il volume di liquido per volume di riempimento che rimane in colonna dopo che i flussi di gas e liquido sono stati arrestati ed è avvenuto il drenaggio del riempimento 2. Hold-up dinamico: rappresenta il volume di liquido per volume di riempimento che drena al di fuori del riempimento quando i flussi di gas e liquido vengono arrestati Il riempimento della colonna può esser eseguito in due modi: si ha il riempimento casuale (random packing) e il riempimento strutturato (structured packing). Il riempimento casuale o random packing consiste nel disporre in colonna, progressivamente e senza un criterio prestabilito, elementi di piccole dimensioni fino al completamento dell’altezza di riempimento definita dal progettista. La principale limitazione di tale tipologia di riempimento è determinata dalla possibilità che si formino dei cammini preferenziali, ovvero zone in cui il riempimento è meno compatto. In tal caso i fluidi tenderebbero a percorrere la colonna senza distribuirsi uniformemente sul riempimento, con conseguenti perdite di efficienza. Altre problematiche sono relative alle possibilità di avere perdite di carico elevate e di occlusione della colonna in caso di impiego di liquidi ad alta viscosità. Il riempimento strutturato o structured packing permette di ovviare ai problemi dovuti alla disposizione casuale degli elementi. Si costituisce di una serie di piastre metalliche, ondulate e sottili, applicate a griglie di sostegno e disposte in maniera tale da forzare il fluido a intraprendere complicati percorsi attraverso la colonna, creando cosi una grande superficie di contatto tra le diverse fasi. L’imballaggio strutturato si presenta infine come una struttura a nido d’ape molto aperta, le piastre o lamelle sono infatti forate, avente canali di flusso inclinati e garante di un’elevata superficie specifica di contatto e di ridotte resistenze al transito della corrente gassosa. I principali vantaggi di tale tipologia di riempimento sono i seguenti (Strigle,1994; Chattopadhyay,2007; Perry et al.,2007; Billet,1994; McCabe et al.,1993): • Ridotte perdite di carico: ciò implica una riduzione dei costi operativi (in termini di elettricità e di sistemi di raffreddamento qualora necessari).

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• Ridotte portate liquide: grazie alla notevole bagnabilità della superficie del riempimento sono richieste basse portate liquide per garantire un adeguato contatto tra le due fasi, ciò consente dunque di ridurre i costi di processo per il trattamento del liquido esausto. • Colonne compatte: l’elevata efficienza e le notevoli capacità di separazione di tale riempimento consentono di effettuare il processo di assorbimento in colonne di piccolo diametro e altezza ridotta. • Peso ridotto: i riempimenti strutturati sono genericamente più leggeri di comparabili colonne a piatti. • Flessibilità: l’efficienza del processo è poco sensibile alle fluttuazioni dei parametri in ingresso. • Insensibilità a problemi di fouling o di particelle in sospensione: a differenza dei riempimenti casuali o delle colonne a piatti, i riempimenti strutturati possono essere utilizzati in applicazioni che coinvolgano particelle in sospensione. • Up-grade di colonne esistenti: i riempimenti strutturati consentono di migliorare considerevolmente la capacità di separazione del sistema e di ridurre le perdite di carico in colonne esistenti, quindi l’inserimento di tale riempimento risulta preferibile in termini di costo ed efficacia rispetto all’installazione di una seconda colonna. • Scale up: i risultati ottenuti in esperienze pilota su riempimenti strutturati possono essere scalati su impianti in vera grandezza in maniera affidabile e senza difficoltà. Escludendo a priori le colonne a bolle e le colonne a spruzzo, le quali come abbiamo visto spesso non rispondono alle esigenze di produzione industriale, nella scelta della tipologia di colonna da adottare si tiene conto, genericamente, delle seguenti considerazioni (Strigle,1994; Chattopadhyay,2007; Perry et al.,2007; McCabe et al.,1993): 1. Sistemi con tendenza alla formazione di schiuma Sia le colonne a piatti, indipendentemente dalla tipologia di piatto, sia le colonne a riempimento strutturato non risultano indicate per tale applicazione. Si adoperano quindi le colonne a riempimento casuale, le quali, diversamente dalle altre, riescono a rompere la schiuma.

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2. Sistemi in presenza di liquidi con fanghi e/o precipitati In questo caso, per quanto riguarda le colonne a piatti, è preferibile l’impiego dei piatti forati, in quanto i piatti a campanella e i piatti a valvola risultano sottoposti a possibili ristagni e ostruzioni. Per le colonne a riempimento invece, è assolutamente sconsigliato l’impiego di riempimenti di tipo casuale. 3. Sistemi altamente corrosivi Sia le colonne a piatti sia le colonne a riempimento sono impiegabili in tale situazione, importante è l’utilizzo di piatti o riempimenti non in materiale metallico (esclusa l’applicazione di elementi in titanio). 4. Sistemi ad elevato sviluppo di calore Le colonne a riempimento non sono impiegate in tali condizioni, mentre, tra le colonne a piatti, risulta preferibile l’impiego dei piatti forati, i quali consentono di sistemare su di essi dei serpentini di raffreddamento all’interno della fase liquida. 5. Sistemi che richiedono un elevato numero di stadi teorici In tale caso risulta necessario condurre una analisi dettagliata ed operare un confronto costo-efficacia con una colonna equivalente a riempimento strutturato. 6. Rapporto tra portata liquida e portata gassosa Le colonne a piatti sono preferibili qualora si abbiano basse portate di liquido ed elevate portate di gas, mentre, per la situazione opposta, risultano più indicate le colonne a riempimento. 7. Disponibilità e costi Le colonne a riempimento, in particolare quelle a riempimento casuale, sono preferibili qualora sia necessario ridurre al minimo i tempi esistenti tra la progettazione e l’avviamento della colonna poiché i riempimenti sono sempre disponibili sul mercato, mentre i piatti devono essere realizzati di volta in volta. Le colonne a piatti risultano più economiche solo qualora si abbiano diametri superiori al metro, mentre qualora si impieghino materiali pregiati è consigliato tenere di conto delle colonne a riempimento anche per grandi diametri. 8. Prelievi laterali ed introduzioni intermedia Le colonne a riempimento sono ovviamente svantaggiate, mentre le colonne a piatti sono più indicate in quanto è più economico realizzare prelievi e introduzioni di liquido e vapore tra un piatto e l’altro.

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3.2 Assorbimento in colonna a riempimento casuale

Il processo di assorbimento di un soluto gassoso in soluzione viene analizzato analiticamente per mezzo di (Chattopadhyay,2007; Perry et al.,2007; McCabe et al.,1993): • equazioni di bilancio di massa • equazioni di equilibrio • equazioni di trasporto o trasferimento di massa Tali relazioni verranno descritte nelle seguenti pagine. 3.2.1 Equazioni di equilibrio Ponendo a contatto due fasi, una liquida ed una gassosa, si viene a determinare un equilibrio che consente il passaggio di un componente dalla fase gas alla fase liquida (assorbimento) o viceversa (strippaggio). Tali condizioni sono in genere rappresentate nei diagrammi di solubilità (in ascissa troviamo la frazione molare x del componente trasferito in fase liquida, mentre in ordinata abbiamo la frazione molare y del componente in fase gassosa da trasferire), ed hanno l'andamento di una retta, per soluzioni estremamente diluite (legge di Henry), oppure l'andamento di una curva, per soluzioni non diluite o coinvolgenti reazioni di tipo chimico. Volendo quindi realizzare uno scambio di materia tra la fase gassosa e la fase liquida, è necessario tener conto delle condizioni di lavoro, le quali devono essere sufficientemente distanti dalle condizioni di equilibrio, cosi da ottenere una forza spingente sufficiente a promuovere lo scambio nella direzione desiderata. In particolare, è possibile realizzare l’assorbimento se le condizioni di lavoro sono rappresentate da un punto al di sopra della curva di equilibrio. Infatti, come è possibile vedere nella figura che segue (fig.6), se il componente desiderato ha concentrazione x in fase liquida e y in fase gas, dove y è maggiore del valore y* di equilibrio per la concentrazione attuale x, si viene a determinare una forza spingente esprimibile come y-y* che promuoverà lo scambio voluto. Figura 6 - Condizioni di Assorbimento e Strippaggio

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Operando, invece, con una concentrazione y in fase gas minore del valore y* di equilibrio si viene a determinare una forza spingente y*-y che promuoverà lo strippaggio del componente desiderato dal liquido verso il gas. Naturalmente, se il punto rappresentativo delle condizioni di lavoro si trova sulla curva di equilibrio ci troviamo nella situazione per la quale lo scambio di materia non può proprio avvenire. Supponiamo ora di porre a contatto un gas ed un liquido nei quali y e x* costituiscono le frazioni molari del componente da trasferire da una fase all'altra. Indichiamo poi con y* la concentrazione di equilibrio lato gas alla attuale concentrazione x* lato liquido e visualizziamo tale condizione sul diagramma di solubilità (fig.6). La condizione per la quale si ha assorbimento (trasferimento del componente dal gas al liquido) è data dalla relazione y > y*. In altri termini, il componente da trasferire ha una concentrazione in fase gas maggiore di quella di equilibrio relativa alla concentrazione attuale x* presente nel liquido: in queste condizioni il punto A (x*, y) si trova al di sopra della curva di equilibrio. Viceversa, la condizione per la quale si ha strippaggio (trasferimento del componente dal liquido al gas) è data dalla relazione y < y*. Il componente da trasferire ha, quindi, una concentrazione in fase gas minore di quella di equilibrio relativa alla concentrazione attuale x* presente nel liquido: in queste condizioni il punto S (x*, y) si trova al di sotto della curva di equilibrio. Ovviamente, se il componente da trasferire presenta concentrazioni nel liquido e nel gas (x*, y*) tali da individuare un punto appartenente alla curva di equilibrio, non vi è alcun trasferimento di fase del componente stesso. La determinazione, oppure la ricerca di dati affidabili ed accurati circa le condizioni di equilibrio gas-liquido, costituisce spesso il compito più importante e dispendioso per la progettazione dei dispostivi di assorbimento. Per definire correttamente la solubilità di un gas in un solvente è genericamente necessario determinare la temperatura, la pressione parziale di equilibrio del soluto nella fase gassosa e la concentrazione del soluto gas nella fase liquida. Per molti solventi fisici, la relazione di equilibrio tra la pressione parziale del soluto e la concentrazione in fase liquida del medesimo soluto è esprimibile mediante la Legge di Henry (Strigle,1994; Chattopadhyay,2007; Perry et al.,2007; McCabe et al.,1993): 𝑝. = 𝐻𝑥. H è il coefficiente di Henry espresso come rapporto tra KPa e la frazione molare del soluto nel liquido 𝑝. = 𝐻′𝑐. H’ è il coefficiente di Henry espresso espresso in kPa m3/ kmol Qualora si abbiano a disposizione, per un sistema in condizioni di temperatura, pressione e composizione simili a quelle in oggetto, i coefficienti di distribuzione all’equilibrio K (=y/x), questi costituiscono genericamente lo strumento più affidabile per determinare la natura dell’equilibrio gas-liquido.

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3.2.2 Equazioni di bilancio di massa Consideriamo una colonna di assorbimento (fig.7) in cui si abbiano in ingresso una corrente gassosa, costituita dal componente da trasferire e componenti inerti, ed una corrente liquida contenente tracce del componente da assorbire e inerti (nell’ipotesi che il liquido provenga da un ricircolo). Il bilancio di materia globale sul componente da trasferire è espresso dalla relazione (Chattopadhyay,2007; Perry et al.,2007; Billet,1994; McCabe et al.,1993): 𝐿4𝑥4+ 𝐺6𝑦6 = 𝐿6𝑥6+ 𝐺4𝑦4 La, Lb portata molare di solvente xa,xb frazione molare di soluto in fase liquida Ga, Gb portata molare di gas ya,yb frazione molare di soluto in fase gassosa Le condizioni di lavoro si possono ottenere scrivendo il bilancio tra la testa ed una generica sezione della colonna oppure tra la coda e la generica sezione: 𝐿4𝑥4+ 𝐺𝑦 = 𝐿𝑥 + 𝐺4𝑦4 bilancio tra la sezione generica e la testa della colonna 𝐿𝑥 + 𝐺6𝑦6 = 𝐿6𝑥6+ 𝐺𝑦 bilancio tra la sezione generica e la base della colonna Figura 7 - Bilancio di materia

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Ricavando, ad esempio, y dalla prima equazione si ha: 𝑦 = 𝐿 𝐺𝑥 + 𝐺4 𝐺 𝑦4− 𝐿4 𝐺 𝑥4 Le equazioni di lavoro sopra presentate costituiscono genericamente delle curve nel diagramma di solubilità e non delle rette: ciò è dovuto al fatto che le portate molari di liquido L e di gas G non sono costanti, ma variano sezione per sezione. Per comprendere meglio tale condizione si può far notare che una corrente generica può essere espressa come somma di due termini: uno rappresenta l’inerte (G’) e l’altro il componente da trasferire (Gb yb). Si può dunque scrivere (Chattopadhyay,2007; Perry et al.,2007): 𝐺6 = 𝐺9+ 𝐺 6𝑦6 quindi 𝐺6 = 𝐺′ (1 − 𝑦6) Esprimendo in questi termini le variabili delle equazioni di lavoro otteniamo: 𝐿4𝑥4+ 𝐺𝑦 = 𝐿𝑥 + 𝐺4𝑦4 à 𝐿9 1 − 𝑥𝑥4 4− 𝑥 1 − 𝑥 = 𝐺9 𝑦4 1 − 𝑦4− 𝑦 1 − 𝑦 𝐿𝑥 + 𝐺6𝑦6 = 𝐿6𝑥6+ 𝐺𝑦 à 𝐿9 1 − 𝑥𝑥 −1 − 𝑥𝑥6 6 = 𝐺 9 𝑦 1 − 𝑦− 𝑦6 1 − 𝑦6 Tale modo di esprimere le equazioni di lavoro, dove L’ e G’ sono rispettivamente le portate, costanti lungo tutta la colonna, di inerte in fase liquida e in fase gassosa, rende ancora più evidente il fatto che la relazione che intercorre tra le frazioni molari x e y non è di tipo lineare. Per tracciare la curva di lavoro si può dunque, o procedere al tracciamento per punti sul diagramma di solubilità, oppure semplificare il problema facendo riferimento al diagramma dei rapporti molari X,Y. I rapporti molari sono cosi definiti (Chattopadhyay,2007; Perry et al.,2007): 𝑋 = 𝑥 1 − 𝑥 𝑌 = 𝑦 1 − 𝑦 Essi rappresentano il rapporto tra il numero di moli del componente da trasferire e il numero di moli di inerte nelle rispettive correnti. Se esprimiamo le equazioni di lavoro in termini di rapporti molari otteniamo: 𝐿9 𝑋 4− 𝑋 = 𝐺′ 𝑌4− 𝑌 𝐿9 𝑋 − 𝑋6 = 𝐺′ 𝑌 − 𝑌6 Risulta evidente che tali equazioni di lavoro, espresse in un diagramma avente in ascissa e ordinata

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facilmente la retta nel piano X,Y, esprimendo ovviamente anche la curva di equilibrio in tali coordinate. Se le correnti considerate sono diluite, le composizioni x e y possono essere trascurate rispetto all’unità e con tale approssimazione le condizioni di lavoro sono dunque esprimibili attraverso l’equazione di una retta (Chattopadhyay,2007; Perry et al.,2007): 𝐿9 𝑥 4− 𝑥 = 𝐺′ 𝑦4− 𝑦 𝐿9 𝑥 − 𝑥6 = 𝐺′ 𝑦 − 𝑦6 Tale approssimazione equivale a considerare le portate in gioco costanti e coincidenti con le portate dei rispettivi inerti. Le condizioni di lavoro possono dunque essere espresse tramite una retta quando: • Le correnti sono diluite • Le correnti non sono diluite ma utilizziamo al posto delle frazioni molari i rapporti molari 3.2.3 Equazioni di trasferimento di materia (Teoria del doppio film) Il problema principale per una qualsiasi forma di trasferimento di materia è sempre quello di conoscere la velocità con cui avviene lo scambio, in quanto esso non dipende solo dalla forza spingente ma anche dalle resistenze che si oppongono al trasferimento stesso. Si ricorre dunque ad un modello interpretativo che ci consente di utilizzare una relazione di scambio. In questo modo è possibile pervenire all’espressione della velocità con cui avviene il trasporto. Si ipotizza (Strigle,1994; Chattopadhyay,2007; Perry et al.,2007; McCabe et al.,1993), nel caso di un processo di assorbimento, che la resistenza sia concentrata in due film di spessore infinitesimo, presenti all’interfaccia liquido-gas: ciò equivale ad affermare che in tutta la massa gassosa la concentrazione del componente da trasferire è uniforme e pari a y mentre in tutta la massa liquida la concentrazione è uniforme e pari a x. I gradienti di concentrazione sono dunque presenti solo nei film (fig.8). Figura 8 - Teoria del doppio film

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Questa schematizzazione, tuttavia, non corrisponde a ciò che si verifica realmente all’interno di una colonna di riempimento. Si può infatti notare che il liquido, percolando verso il fondo di un comune dispositivo di assorbimento, forma un velo sui corpi di riempimento, mentre il gas, risalendo verso l’alto, passa attraverso gli interstizi presenti: risulta evidente, quindi, che lungo lo spessore del velo liquido presente sul riempimento si vengono a determinare dei gradienti di concentrazione. Del resto, il liquido a contatto con il gas tende a saturarsi del componente di cui si sta realizzando il trasferimento, il quale deve poi diffondere verso l’interno della massa liquida; se è presente un moto laminare o turbolento non pienamente sviluppato, si mantengono tali gradienti di concentrazione all’interno della massa liquida. Nel modello si ipotizza dunque che le concentrazioni siano uniformi all’interno della massa liquida e della massa gassosa; tuttavia, almeno per quanto riguarda il liquido, sono in realtà presenti dei gradienti di concentrazione. Nonostante queste differenze, il modello proposto riesce ad interpretare globalmente il fenomeno di trasporto. Esso presuppone l’esistenza di un moto turbolento sia all’interno della massa liquida sia della massa gassosa, in questo modo le concentrazioni nelle due fasi in una certa sezione dell’apparecchiatura sono uniformi: la resistenza è concentrata nel film liquido e nel film gassoso. Risulta dunque comprensibile che quando il liquido fluisce sul riempimento è effettivamente presente, all’interno del liquido, un gradiente di concentrazione. Si noti però che, una volta giunto alla fine di un pezzo del riempimento, il liquido cade su di un altro pezzo miscelandosi con del liquido che ha seguito altri percorsi (fig.9): tale miscelazione rende uniforme la concentrazione. Non appena si è verificata la suddetta miscelazione, il liquido comincia a spostarsi verso il basso, scorrendo su differenti pezzi di riempimento e quindi differenziando nuovamente il percorso, ma alla fine di un piccolo tratto si verifica un’ulteriore miscelazione. A questo punto, tenendo presente che la colonna raggiunge altezze dell’ordine dei metri e che i pezzi del riempimento sono dell’ordine dei centimetri, è pur vero che localmente (nella singola sezione) la concentrazione del liquido non è uniforme ma, lungo tutta la colonna, si verificano Figura 9 - Flussi tra corpi di riempimento

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