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Terracrepolo (Reichardia picroides (L.) Roth), da pianta alimurgica a nuovo ortaggio?

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali

Corso di Laurea Magistrale in Produzioni Agroalimentari e

Gestione degli Agroecosistemi

Terracrepolo (Reichardia picroides (L.) Roth),

da pianta alimurgica a nuovo ortaggio?

Candidato:

Federico Leoni

Relatori:

Chiar.mo Prof. Alberto Pardossi

Chiar.mo Dr. Stefano Benvenuti

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Dichiarazione

Con la presente affermo che questa tesi è frutto del mio lavoro e che, per quanto io ne sia a conoscenza, non contiene materiale precedentemente pubblicato o scritto da un'altra persona né materiale utilizzato per l’ottenimento di qualunque altro titolo o diploma dell'università o altro istituto di apprendimento, a eccezione del caso in cui ciò venga riconosciuto nel testo.

Federico Leoni Data: 06/07/2017

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Sommario

Introduzione ... 5

Capitolo I : Classificazione delle piante spontanee eduli ... 8

1.1 Classificazione per gruppi biologici ... 8

1.1.1 Piante terofite (Th) ... 8

1.1.2 Piante emicriptofite (H) ... 10

1.1.3 Piante geofite (g) ... 11

1.2 Classificazione per gruppi ecofisiologici ... 12

1.2.1 Specie indifferenti ... 12 1.2.2 Specie autunnali ... 12 1.2.3 Specie invernali ... 13 1.2.4 Specie primaverili ... 13 1.2.5 Specie estive ... 13 1.3 Classificazione di Grime ... 13

1.3.1 Specie stress tolleranti ... 14

1.3.2 Specie competitrici ... 14

1.3.3 Specie ruderali ... 14

Capitolo II: Etnobotanica e piante alimurgiche ... 15

2.1 Parti utilizzabili delle piante spontanee ... 15

2.2.1 Parte ipogea ... 15

2.1.2 Parte epigea ... 17

2.2 Erbe spontanee eduli e tradizione culinaria in Italia ... 18

2.2.1 Zuppe ... 20 2.2.2 Insalate cotte ... 21 2.2.3 Ripieni ... 21 2.2.4 Risotti ... 22 2.2.5 Frittate ... 22 2.2.6 Insalate ... 23

2.3 Piante spontanee eduli e utilizzi terapeutici ... 23

2.4 Sostanze tossiche e antinutrizionali nelle piante spontanee eduli ... 25

Capitolo III: Composti bioattivi nelle piante spontanee eduli ... 27

3.1.1 Carotenoidi ... 28

3.1.2 Fenoli ... 28

3.1.3 Vitamine e minerali ... 29

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4.1 Stress ossidativo: fattore predisponente per molte malattie ... 33

4.2 Le piante spontanee come fonte di sostanze antiossidanti esogene ... 35

Capitolo V: Coltivazione delle piante spontanee eduli ... 37

5.1 La Rucola, un esempio virtuoso ... 39

5.2 Tentativi di coltivazione delle piante spontanee eduli ... 39

5.3 Piante spontanee come nuovi ortaggi da destinare alla IV gamma ... 40

5.4 Problematiche per la coltivazione delle piante spontanee eduli ... 41

5.5 Coltivazione in idroponica delle piante spontanee: possibili vantaggi e aspetti critici... 43

5.6 Risposte fisiologiche delle piante allo stress salino ... 44

5.6.1 Stress salino ... 44

5.6.2 Risposte fisiologiche allo stress salino ... 45

5.7 Nitrati ... 47

5.7.1 Regolamento nitrati ... 48

5.7.2 I nitrati nelle piante spontanee eduli ... 48

5.7.3 Ambiente e accumulo di nitrati ... 49

5.7.4 Strategie per ridurre i nitrati in pre e post raccolta ... 50

Capitolo VI: Parte sperimentale ... 51

Il terracrepolo ... 51

Scopo della tesi ... 53

Esperimento n. 1 ... 56 Esperimento n. 2 ... 58 Determinazioni ... 61 Analisi statistica ... 63 Risultati e discussione ... 64 Esperimento n. 1 ... 64 Esperimento n. 2 ... 69 Discussione ... 78 Conclusioni ... 79 Bibliografia ... 81

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Introduzione

Le piante spontanee eduli sono state, e lo sono tuttora in alcune realtà del mondo, una risorsa indispensabile per la vita dell’uomo; ricche di sostanze nutritive e bioattive, sono state alla base della dieta dei nostri antenati, rappresentando per più di 190000 anni, la principale fonte di fibre, vitamine e sostanze antiossidanti (Cortes Sánchez-Mata et al., 2016).

Il processo di addomesticazione di alcune piante spontanee eduli, ha avuto inizio relativamente di recente, circa 10000 anni fa e coincide con la nascita dell’agricoltura (Nancy et al., 2011). In ogni parte del mondo, sono state valorizzate le specie più apprezzate e consumate quali ad esempio riso, grano, orzo, fichi e vite in Medio Oriente; mais, fagioli e pomodoro in Messico; arachidi e pomodoro in Sud America; riso e arance dal sud est asiatico e cosi via (Nancy et al., 2011).

Queste specie, nel tempo, hanno subito un processo di selezione genetica da parte dell’uomo, che ha portato ad una loro sostanziale modificazione sia morfologica che nutrizionale, rendendole sostanzialmente irriconoscibili rispetto alle piante spontanee da cui derivano (Nancy et al., 2011). Contemporaneamente, tuttavia, non si è mai abbandonata l’attività di raccolta e consumo delle piante spontanee eduli, che continuavano a rappresentare un’importate risorsa per integrare e diversificare le produzioni agricole, soprattutto, durante annate difficili, dove il raccolto era compromesso (Mattirolo, 1918). Alessandro Manzoni, ne porta testimonianza e scrive nel quarto capitolo de I Promessi Sposi:“…La fanciulla scarna, tenendo per la corda al pascolo la vaccherella magra stecchita, guardava innanzi, e si chinava in fretta, a rubarle, per cibo della famiglia, qualche erba, di cui la fame aveva insegnato che anche gli uomini potevan vivere…”.

Fino al XVII secolo, inoltre, alcune piante spontanee, erano di fondamentale importanza per la medicina popolare: in virtù della loro abbondanza in composti fitochimici (Guarrera, 2006; Guarrera e Savo, 2013), rappresentavano spesso l’unico rimedio per la cura di malattie e infezioni dell’uomo. Il famoso proverbio, riferito a Malva silvestris L. “la malva che da ogni male ti salva” ne è testimonianza (Caneva et al., 1997). A tal proposito, il Bollettino della Società Sarda di Scienze Naturali (1991), che riporta fedelmente tutti gli utilizzi medicinali delle piante spontanee nella cultura popolare, rende l’idea del rigore e della precisione con cui queste piante venivano prescritte per la cura di specifici problemi di salute, per la malva, ad esempio, viene riportato che:

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“1) Emolliente-antiinfiammatorio, stomatico e oftalmico: si utilizza il decotto concentrato

di foglia fresca (facendo bollire per 10 minuti); esso viene usato come collutorio nelle infiammazioni del cavo orale, negli ascessi dentari e nelle gengiviti; mentre se ne fanno impacchi locali nelle congiuntiviti. 2) Antiodontalgico: si applicano ai denti foglie bollite in poco latte, 3) Rinfrescante intestinale: si utilizza l'infuso di fiori, filtrato: se ne beve un bicchiere al mattino a digiuno e uno la sera prima di coricarsi, proseguendo la cura per almeno 20 giorni”.

Oggi, in particolare nelle aree rurali dei paesi mediterranei è ancora praticata (evidentemente più per tradizione che per effettiva necessità), l’attività di raccolta e consumo di erbe spontanee per la preparazione di pietanze tipiche (Caneva et al., 1997). Attualmente in Europa si stima che più di 100 milioni di persone consumino abitualmente piante spontanee eduli, di cui il 14% le raccoglie attivamente, senza acquistarle (Łuczaj et al., 2012; Schulp et al., 2014).

Appare evidente ormai, che dopo il graduale abbandono delle pratiche tradizionali avvenuto alla fine del 900, per via di un profondo cambiamento dei mercati e dello stile di vita delle persone, si assiste ad un ritorno di interesse nei confronti delle piante spontanee eduli, soprattutto in ambito urbano (Tardío, 2010). Sono infatti in sostenuta espansione, in Spagna, Italia, Estonia e Francia, attività commerciali specializzate nella vendita di prodotti alimentari, arricchiti con estratti o parti di piante spontanee, come il caffe con cicoria selvatica, sciroppo al tarassaco, la pasta all’ ortica ecc., non è raro, inoltre, trovare in vendita nei numerosi mercati rionali, mix di varie specie spontanee, per la preparazione di ripieni o insalate della tradizione (Dogan et al., 2012). Complici di una forte riscoperta di queste specie, sono anche gli chef di famosi ristoranti, che soprattutto attraverso i mass media propongono nuove ricette a base di essenze selvatiche, per portate nei propri piatti colori, sapori e consistenze insolite.

La FAO nel 2010 ha affermato che le piante spontanee eduli oggi rappresentano nuovamente una risorsa importante e che la loro valorizzazione gioca un ruolo chiave nella nutrizione dell’umanità, in quanto possono contribuire ad un recupero della biodiversità dei prodotti alimentare e perché rappresentano per l’uomo una fonte importante di sostanze benefiche con proprietà antiossidanti ed immuno-protettive. Oggi, infatti, assistiamo ad una biodiversità dei prodotti alimentari estremamente povera: delle 20000 specie vegetali eduli conosciute vengono utilizzate solo 20 specie per coprire l’85% del fabbisogno di cibo mondiale (Piperno e Pearsall, 1998). Inoltre,

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abbiamo acquisito la consapevolezza di quanto sia importante seguire una dieta varia e ricca di alimenti di origine vegetale, fonte di composti antiossidanti, per la prevenzione di gravi malattie croniche e degenerative (Visioli e Galli, 2001; Visioli et al., 2004). Tutti questi aspetti, mostrano come ci siano i presupposti per una diffusione nell’utilizzo delle piante spontanee eduli su larga scala. Tuttavia, per concretizzare questa opportunità occorre un progetto di valorizzazione multidisciplinare, che preveda uno studio sinergico tra diverse aree scientifiche come l’etnobotanica, l’agronomia e la nutraceutica (Bacchetta et al., 2016). Questa tesi, ad esempio, rientra nel progetto ERBAVOLANT, del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa, per la valorizzazione agronomica e commerciale di alcune specie alimurgiche di consolidata tradizione etnobotanica.

Figura 1 Approccio multidisciplinare per la valorizzazione delle piante spontanee eduli

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Capitolo I : Classificazione delle piante spontanee eduli

Le piante spontanee eduli possono essere classificate per :

 Gruppi biologici: criterio di classificazione che fornisce informazioni sulla specificità delle piante spontanee a diversi ambienti in relazione al loro livello di disturbo.

 Gruppi ecofisiologici: criterio di classificazione che fornisce informazioni riguardo al periodo dell’anno in cui nascono le piante spontanee eduli e quando presentano la fase fenologica ottimale per la loro raccolta e consumo.

 Gruppi ecologici: criterio di classificazione delle specie spontanee eduli in base alla loro capacità di tollerare lo stress e il disturbo.

1.1 Classificazione per gruppi biologici

Si tratta di un criterio di classificazione che si basa sulla modalità con cui le piante superano i momenti sfavorevoli dell’annata, attraverso seme o gemma, ed in questo caso sulla base della posizione delle gemme rispetto alla superficie del terreno (Catizone e Zanin, 2001). Con la classificazione per gruppi biologici possiamo individuare vari gruppi di piante:

• Piante Terofite (Th);

• Le piante Emicriptofite (H);

• Le piante Geofite (g);

1.1.1 Piante terofite (Th)

Le piante terofite (Th), sono specie annuali o biennali a riproduzione sessuata con il seme come unica strategia di sopravvivenza. Questo tipo di piante sono di solito pioniere dei campi coltivati, fungendo da “cicatrizzanti” del terreno con il compito di ricostituire una vegetazione naturale in contesti precedentemente interessati da un’azione di disturbo (Catizone e Zanin, 2001). Queste informazioni per lo studio delle piante spontanee eduli, sono utili per poter associare ogni specie spontanea ad un specifico ecosistema, ad esempio specie come Borago officinalis L. oppure Portulaca oleracea L. si ritrovano soprattutto in ambienti fortemente disturbati, dove piante perennanti non avrebbero il tempo di insediarsi e di andare a fiore, come agro-ecosistemi a gestione convenzionale, spazi urbani (rotonde, aiuole, bordi strada, orti, giardini), ferrovie, ecc.. In relazione all’epoca di emergenza le piante Terofite possono essere suddivise in:

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Specie annuali d’estate (Th1): Specie che germinano a fine inverno, non necessitano di vernalizzazione e per fiorire di solito non passano attraverso lo stadio di rosetta (Catizone e Zanin, 2001). Alcuni esempi di piante spontanee eduli Th1 sono:

Chenopodium album L., Portulaca oleracea L. , Amaranto retroflexus L.. Per questa

tipologia di piante, spesso si consumano le foglie tenere, possibilmente prima della fioritura. La raccolta avviene in tarda primavera, dato che in genere sono specie con elevate esigenze termiche.

Specie annuali d’inverno (Th2): Germinano in autunno o inverno e presentano tipicamente lo stadio di rosetta legato al bisogno di vernalizzazione ed di una elevata esigenza di giorno lungo per l’induzione a fiore (Catizone e Zanin, 2001). Alcuni esempi di piante spontanee eduli Th2 sono: Borago officinalis L., Bunias erucago L., Diplotaxis

erucoides (L.) DC., Helminthotheca echioides (L.) Holub, Papaver rhoeas L., Raphanus raphanistrum L., Urospermum picroides (L.) Scop..

Per queste specie, in genere, si raccoglie e consuma la rosetta basale a fine inverno/inizio primavera, queste piante con l’aumento delle temperature e del fotoperiodo talliscono e i tessuti divengono fibrosi, rendendo le foglie meno appetibili. Fanno parte delle piante Terofite, anche le piante a ciclo biennale (Th-H), caratterizzate anch’esse dall’avere il seme come unica possibilità di sopravvivenza ma compiendo un ciclo ogni due anni. A differenza delle Terofite annuali queste specie crescono in ambienti meno disturbati e spesso presentano organi di riserva come radici fittonanti, in cui stoccano nutrienti per la fioritura del secondo anno. Le piante Th-H si dividono a loro volta in:

Specie Terofite biennali d’estate (Th1-H2): Germinano in primavera, formano una rosetta molto voluminosa e passano tutto il primo anno in questo stadio vegetativo, all’inizio dell’autunno dell’ anno si distinguono dalle specie perennanti (H) proprio sulla base della dimensione della rosetta, che nelle Terofite biennali è più grande (Catizone e Zanin, 2001). Alcuni esempi di piante spontanee eduli Th1-H2 sono: Campanula

rapunculus L. e Picris hieracioides L.. Queste piante è opportuno raccoglierne solo le

foglie più tenere, rispettando il colletto, in modo da permettere il ricaccio e la fioritura l’anno successivo.

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Specie biennali d’inverno (Th2-H2): Germinano in autunno, formano una rosetta basale che necessita di vernalizzazione. L’anno successivo in primavera germogliano dal colletto nuove gemme e vanno a fiore (Catizone e Zanin, 2001). Alcune esempi di piante spontanee eduli Th2-H2 sono: Capsella bursa-pastoris (L.) Medik., Crepis vesicaria L.,

Daucus carota L., Lactuca serriola L., Sonchus arvensis L., Taraxacum officinalis L. Durante

il primo anno si possono raccogliere le foglioline tenere, rispettando il colletto della rosetta.

1.1.2 Piante emicriptofite (H)

Le specie emicriptofite sono pluriennali, cioè che vivono per più di 2 anni ma non indefinitivamente, si propagano oltre che per seme, per mezzo di gemme poste appena sotto la superficie del terreno. Il loro ciclo è annuale e il solo cespo è pluriennale, che con il tempo via via si ingrandisce. Le specie emicriptofite hanno un portamento cespitoso in rosetta e sono tipiche di ecosistemi poco disturbati (Catizone e Zanin, 2001).

Questa informazione, contestualizzata allo studio delle piante spontanee eduli, ci da indicazione di quali siano le zone maggiormente vocate per la loro crescita, possiamo trovarle infatti in prati, tappeti erbosi permanenti, arboreti, bordature di sentieri e strade di campagna, per via appunto dei disturbi meno intensi che interessano questi contesti, dando quindi modo a questa classe di piante di potersi diffondere e accrescere. La presenza di piante emicriptofite è tipica inoltre delle zone limitrofe ai boschi ma mai presenti al loro interno, dove le specie mantello del bosco e alberi attuano una competizione troppo forte nei loro confronti (Catizone e Zanin, 2001).

Alcuni esempi di piante spontanee eduli H sono: Bellis perennis L., Beta vulgaris L.,

Chondrilla juncea L. , Cichorium intybus L., Cynara cardunculus L., Diplotaxis tenuifolia

(L.), Eruca vesicaria (L.), Foeniculum vulgare Mill., Malva sylvestris L., Plantago lanceolata L., Primula vulgaris Huds., Reichardia picroides (L.) Roth, Rumex acetosa L., Rumex crispus L., Sanguisorba minor Scop., Silene vulgaris (Moench) Garcke, Tragopogon pratensis L.,

Urospermum dalechampii (L.) Schmidt.

Di queste piante può essere raccolta la rosetta basale per le piante nate da seme, mentre per le piante con ceppaia di più anni occorre raccogliere solo le tenere foglioline.

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1.1.3 Piante geofite (g)

Le piante geofite, oltre che per seme, si riproducono anche attraverso organi di riproduzione vegetativa, di diversa natura, approfonditi nel terreno e che teoricamente possono vivere indefinitivamente (Catizone e Zanin, 2001).

Queste piante per via del loro sviluppo lento e non strettamente legato all’emissione di semi, posiamo ritrovarle in ambienti esenti da disturbi per molto tempo, ma anche in ambienti altamente disturbati dell’attività umana, infatti, alcune lavorazioni del terreno, sezionano gli organi vegetativi delle piante che rimangono vitali e in questo modo si diffondono.

La diffusione di queste piante di solito è a “macchia di leopardo” in quanto la riproduzione vegetativa non permette una diffusione su lunga distanza. Inoltre, trattandosi di piante con organi di riserva particolarmente specializzati, possiamo trovarli in luoghi inospitali dove sfruttano le condizioni ambientali favorevoli di un breve periodo per germogliare e disperdere i semi o moltiplicare i bulbilli (Catizone e Zanin, 2001).

Le piante geofite sono caratterizzate da differenti organi di propagazione vegetativa come bulbi, tuberi, rizomi, e gemme radicali, oltre che a tutta una serie di situazioni intermedie di piante che hanno più organi per la riproduzione vegetativa.

Alcuni esempi di piante spontanee eduli geofite sono: Centranthus ruber (L.) DC., Ficaria

verna Huds., Urtica dioica L. , Helianthus tuberosus e Muscari comosum (L.) Mill.

Tra le piante spontanee eduli appartenenti a questo gruppo fanno parte molte specie di cui si consuma la parte ipogea (tuberi e radici).

la raccolta di questo tipo di piante, data la lentezza con cui riescono a diffondersi, è particolarmente impattante. Ad esempio, in Puglia, dove viene consumato abbondantemente il bulbo del Lampascione (Muscari comosum), esistono persone specializzate nella raccolta di questa pianta, che avviene tramite una vanghetta stretta simile a quella per la raccolta degli asparagi. Grazie a questo utensile si estraggono dal terreno i prelibati bulbi, che sono in genere abbastanza infossati. Questa pratica talvolta rischia di perturbare interi ecosistemi e per questo sono in atto sperimentazioni per affinare la loro tecnica colturale.

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1.2 Classificazione per gruppi ecofisiologici

Questa classificazione suddivide le piante in indifferenti, primaverili, autunnali e invernali. Queste categorie differiscono per il periodo dell’anno in cui germinano, in funzione di un insieme specifico di esigenze ecofisiologiche.

1.2.1 Specie indifferenti

Si tratta di piante che possono emergere in tutte le stagioni dell’anno, dato che non hanno particolari esigenze germinative. Si tratta spesso di specie che producono semi dormienti e non: i semi non dormienti germinano in autunno o alla prima lievitazione termica primaverile mentre i semi dormienti germinano durante o alla fine dell’inverno superata la dormienza. Questa strategie evolutiva è tipica delle piante spontanee per resistere a periodi di stress acuti e improvvisi che potrebbero portare a morte le plantule appena germinate (Catizone e Zanin, 2001).

1.2.2 Specie autunnali

Si tratta di specie che necessitano di trascorrere l’inverno allo stadio di rosetta per subire gli effetti della vernalizzazione delle basse temperature. Anche in questo caso possiamo suddividerle in quattro sotto categorie: specie autunnali strette; specie a germinazione autunnale preferenziali, specie a germinazione occasionale autunnale e a germinazione preferenzialmente post. Invernale (Catizone e Zanin, 2001).

Le specie autunnali strette germinano all’arrivo delle prime piogge autunnali e di solito sono specie di taglia piccola e di ciclo breve, sono indifferenti al fotoperiodo, con zero di vegetazione basso e fioriscono a fine inverno. In primavera non riescono a germinare in quanto i semi entrano in dormienza secondaria con l’innalzamento termico del terreno. Le specie a germinazione autunnale preferenziale combinano il bisogno di freddo per la vernalizzazione con il bisogno di giorno lungo e la fioritura si verifica a fine primavera. Si tratta di solito di piante appartenenti alla famiglia delle Graminaceae, di cui non fanno parte le piante spontanee eduli più importanti. Le specie a germinazione occasionale autunnale e preferenzialmente post. Invernale sono le specie biennali in senso stretto, di taglia elevata e più frequenti negli ecosistemi poco disturbati (Catizone e Zanin, 2001)

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1.2.3 Specie invernali

Si tratta di specie i cui semi presentano dormienza con elevato fabbisogno in freddo per la germinazione. I processi fisiologici germinativi infatti, necessitano di elevati livelli di O2 nella soluzione circolante del terreno, che vengono raggiunti solo grazie alle basse

temperature, in cui i gas sono maggiormente solubili nella matrice liquida. Queste specie entrano in dormienza secondaria ad inizio primavera a seguito del riscaldamento del terreno e del conseguente stadio di anaerobiosi che si verifica all’interno dei semi imbibitesi in tale epoca.

1.2.4 Specie primaverili

Sono specie a semi dormienti, per le quali il superamento della dormienza richiede la permanenza di questi a temperatura compresa tra i 0 e 5°C per 4-6 settimane. Per la germinazione, queste specie, richiedono una temperatura superiore ai 10°C, tuttavia, dopo la metà di maggio quando, la temperatura sale troppo i semi vanno in dormienza secondaria. Si possono individuare due sottogruppi in base alla capacità di prolungare il periodo di emergenza oltre la primavera: specie primaverili strette e specie primaverili prolungate.

1.2.5 Specie estive

Le specie estive, sulla base delle esigenze termiche, si possono suddividere in sub-termofile e sub-termofile. Dopo il solstizio d’estate il fotoperiodo si accorcia e le piante appartenenti a questo gruppo ne sono molto sensibili in particolare per quanto riguarda l’induzione a fiore. Le specie estive germinano per tutta l’estate ma più la germinazione avviene con il fotoperiodo accorciato e prima avviene il passaggio da fare vegetativa a fase riproduttiva.

1.3 Classificazione di Grime

Questa classificazione è stata proposta da Grime nel 1977 e si basa sulle diverse strategie che le piante utilizzano per assorbire nutrienti e minimizzare il rischio di estinzione. La classificazione si basa sull’assunzione che, in un dato ambiente, vi siano due principali condizioni che limitano la crescita delle piante: lo stress e il disturbo (Catizone e Zanin, 2001).

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Lo stress si verifica quando un fattore vitale quale luce, acqua, nutrienti, temperatura, CO2, è presente in quantità sub-ottimale. Il disturbo si verifica, invece, quando si ha una riduzione della biomassa della pianta dovuta a falciatura, lavorazioni, raccolta, pascolamento, insetti fitofagi, malattie crittogame, incendio ecc..

Le tre categorie di piante suddivise in base alle loro strategie di sopravvivenza sono R, S e C e si riferiscono rispettivamente a Ruderali, Stress tolleranti, Competitrici. La maggior parte delle piante spontanee eduli è classificabile come Ruderali-stress tolleranti.

1.3.1 Specie stress tolleranti

Le specie Stress tolleranti sono idonee a vivere in ambienti dove uno o più fattori sono presenti in quantità limitata. Presentano un insieme di caratteri ben definito: foglie piccole con cuticola ricca di cera, longeve, spesso aghiformi, prolungato stadio di plantula, fioritura più volte nell’arco dell’anno ma senza una stretta relazione con la stagione, sviluppo lento, modesta risposta morfologica agli stress, accumulo di fotosintetati nelle foglie, nei fusti e nelle radici. Adatta ad ambienti poveri con importanti limitazioni ma poco disturbati.

1.3.2 Specie competitrici

Le specie Competitrici sono piante che massimizzano l’acquisizione di risorse in ambienti relativamente fertili e poco disturbati. Le principali caratteristiche sono: apparato fogliare e radicale denso e molto ramificato, foglie poco longeve, accrescimento delle foglie i cui picchi coincidono con i periodi di massima produttività potenziale della ambiente, fioritura successiva al periodo di massima produttività potenziale, semi generalmente dormienti, accrescimento rapido e rapida risposta morfologica allo stress, accumulo di fotosintetati preferibilmente a favore di strutture vegetative. Sono piante adatte a vivere in ambienti fertili senza stress e poco disturbati.

1.3.3 Specie ruderali

Le specie Ruderali, hanno sviluppo contenuto, ramificazione non accentuata, stadio di plantula molto breve, fioritura precoce e abbondante, grande quantità di energia devoluta alla produzione di seme, semi dormienti e numerosi, accrescimento rapido, rispondono allo stress devolvendo più energia alla produzione di seme. Ambienti

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Capitolo II: Etnobotanica e piante alimurgiche

2.1 Parti utilizzabili delle piante spontanee

Ogni organo delle piante è caratterizzato da tessuti specifici, ad esempio, tuberi o

rizomi hanno cellule munite di amiloplasti, adibiti alla messa in riserva del glucosio tramite la sua polimerizzazione, i giovani germogli spesso sono poco lignificati ricchi in sostante antiossidanti, i frutti sono ricchi di monosaccaridi e pigmenti per rendersi maggiormente appetibili gli animali per diffondere i semi.

Questa diversificazione ha permesso ai nostri antenati, nutrendosi di ciò che offriva la natura, di avere una dieta varia e bilanciata. Reperti archeologici hanno dimostrato che durante il Paleolitico e Mesolitico molte popolazioni tramite il consumo di piante con radici fittonanti e tuberizzate (Arnason et al., 1981; Kuhnlein e Turner, 1991), come quelle di Saggittaria spp. e Polygonum spp. (55% della sostanza secca), riuscivano a coprire il fabbisogno giornaliero in carboidrati (Kuhnlein e Turner, 1991; Darby, 1996), mentre attraverso l’utilizzo di piante con foglie, germogli e frutti commestibili, coprivano il fabbisogno in vitamine e sostanze antiossidanti.

Sulla base dell’organo della pianta utilizzato, si possono classificarle le piante spontanee eduli in due macro-categorie, piante di cui si consuma prevalentemente:

• parte ipogea

• parte epigea

Non si tratta di una classificazione assoluta, in quanto ci sono casi in cui, a seconda della stagione di raccolta, di una stessa specie si possono consumare organi diversi, ad esempio, di Rubus ulmifolius in primavera, alla ripresa vegetativa, si possono consumare i giovani germogli, mentre in autunno si consumano le note infruttescenze.

2.2.1 Parte ipogea

Le radici che si prestano maggiormente al consumo, sono principalmente quelle fittonanti, bulbose, rizomatose, napiformi e tuberose in quanto sono strutture radicali carnose e con tessuti poco lignificati.

La stagione più adatta alla raccolta di queste specie è quella invernale, come riportano sapientemente gli erboristi lucchesi, che in un testo del XIV secolo scrivono a riguardo del Raphanus raphanistrum L. “radice lunga, bianca, al gusto acuto che si mangia in inverno perché nella primavera mette il fusto e si smagra”. Difatti, in primavera, alla ripresa vegetativa, l’energia immagazzinata in questi organi durante l’anno precedente,

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principalmente sotto forma di amido, viene dislocata per la formazione di nuova biomassa, rendendole legnose e poco appetibili.

L’utilizzo culinario dei vari tipi di radice, per via della consistenza in genere tenace, prevede la loro sbucciatura e cottura in modo da ammorbidire i tessuti sclerificati (Johns e Kubo, 1988) e da rendere più digeribile l’amido, idrolizzandolo. Fanno eccezione i bulbi, ad esempio della famiglia delle Liliacee, come Muscari comosum (L.) Mill. che essendo in genere teneri e molto acquosi, possono essere consumati anche crudi. Di seguito sono elencati alcuni esempi di piante spontanee eduli di cui si consuma principalmente la parte ipogea

Bulbi:

Allium spp., si consuma il bulbo o i bulbilli sia crudi che cotti, da segnalare Allium ursinum L. molto simile a Convallaria majalis L. che è altamente tossica.

Muscari comosum (L.) Mill., chiamato anche Lampascione, se ne consuma il bulbo

sia cotto che crudo (in questo caso necessita di bagnomaria in acqua calda per ingentilire l’acuto sapore amaro), l’utilizzo è tipico delle regioni del sud Italia ed è molto facile reperirlo in vendita nei mercati rionali.

Sagittaria spp., il tubero rotondo è commestibile, ed è conosciuto in Giappone

come Omodaka, Ha un sapore insipido ed è ricco d'amido, simile ad una patata ma più croccante, anche quando viene cotto.

Fittone

Armoracia rusticana L., meglio noto come rafano, si consuma la radice fittonante

come condimento principe dello 'Ndrupp'c, o "intoppo", il ragù tipico della città di Potenza: viene grattugiato fresco, direttamente sul piatto di ragù appena preparato, in aggiunta al formaggio.

Taraxacum officinale Weber, tra i molti utilizzi con la radice fittonante si prepara

un decotto benefico per reni e fegato. Ricco di inulina.

Cirsium oleraceum L. e Cirsium eriophorum L., si utilizza la radice fittonante senza

endoderma (Pignatti, 1982). Ricco di inulina.

Onopordum acanthium, la radice fittonante ha il sapore del carciofo.

Rizoma

• Helianthus tuberosus L., si utilizza il rizoma ingrossato perennate, si consuma prevalentemente cotto per via della consistenza abbastanza fibrosa. Nella cucina piemontese viene tradizionalmente cucinato con la “bagna càuda” e la fonduta, mentre

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in Sicilia viene utilizzato per la farcitura di focacce (Bown, 1995). I rizomi sono ricchi di inulina rendendolo adatto per la dieta di persone diabetiche.

Bunium bulbocastanum L., possiede il rizoma commestibile ed ha il sapore dolce

simile a castagna e può essere utilizzato sia crudo che cotto.

• Chaerophyllum bulbosum si consuma il rizoma previa cottura (Pignatti, 1982)

Radice napifome

• Campanula rapunculus, nella cucina popolare vengono usate le radici bulbose di

queste piante, crude o cotte (Pignatti, 1982).

2.1.2 Parte epigea

Nella maggior parte dei casi, viene consumata la parte epigea della piante spontanee eduli, la loro commestibilità e appetibilità è strettamente legata allo stadio fenologico e alla stagione in cui vengono raccolte (Nancy et al., 2011).

Le piante spontanee spesso, si possono consumare solo in determinate fasi fenologiche, passate le quali i tessuti lignificano divenendo eccessivamente fibrosi e quindi poco appetibili. Nella maggior parte dei casi le piante si raccolgono dal mese di febbraio al mese di marzo, in quanto in questo periodo grazie alla ripresa vegetativa emettono nuova biomassa con foglie tenere e germogli particolarmente adatti al consumo.

Le foglie delle piante spontanee contengono in genere un’ampia diversità di sostanze fitochimiche molto importanti per la salute umana come vitamine, pigmenti, acido folico, polifenoli e sali minerali come ferro, calcio magnesio (Kuhnlein e Turner, 1991; Sacchetti et al., 2009).

Gli organi epigei maggiormente utilizzati sono: giovane rosetta basale; germogli e turioni; foglie tenere, fiori, frutti e acheni e noci

Giovane rosetta basale: Cichorium intybus L. (Asteraceae), Sonchus arvensis L. (Asteraceae), Valerianella locusta (L.) (Caprifoliaceae), Reichardia picroides (L.) Roth(Asteraceae), Papaver rhoeas L. (Papaveraceae); (Nancy et al., 2011)

Foglie tenere: Rumex acetosa L. (Polygonaceae), Plantago lanceolata L. (Plantaginaceae),

Borrago efficinalis L., Chenopodium bonus-henricus L. (Amaranthaceae), Beta vulgaris L.

(Amaranthaceae); (Nancy et al., 2011)

Germogli: Clematis vitalba L. (Ranunculaceae), Humulus lupulus L. (Cannabaceae), Asparagus officinalis L, Ruscus aculeatus L.; (Nancy et al., 2011)

Fiori: Borago officinalis L. (Boraginaceae), Urospermum dalechampii, Nasturtium

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Frutti: Rubus ulmifolious L., Rubus ideausL., Fragraria vescaL., Vaccinium myrtillusL., (Nancy et al., 2011)

2.2 Erbe spontanee eduli e tradizione culinaria in Italia

In Italia, contiamo moltissime ricette tradizionali, diffuse in modo capillare su tutto il territorio, che hanno come ingrediente principale le piante spontanee eduli (Picchi e Pieroni, 2005). Si tratta principalmente di pietanze stagionali, spesso tipiche del periodo pasquale, in cui le piante, per via della ripresa vegetativa, hanno le foglie tenere e sono più adatte al consumo.

Le prime testimonianze storiche scritte, sull’utilizzo culinario delle piante spontanee in Italia, risalgono all’era della Roma imperiale dove l’agronomo Columella nel libro De re rustica, scrive che, durante l’equinozio di primavera, era usanza raccogliere i teneri germogli e turioni di Asparagus acutifolius L., Ruscus aculeatus L. e Clematis vitalba L., per consumarli cotti assieme ad altre erbe aromatiche. Un’altra testimonianza dell’utilizzo di queste piante viene da Virgilio, che nelle sue opere esalta le virtù del

Moretum, antico ripieno preparato con timo, menta, ruta, santoreggia, sedano, porro,

lattuga e rucola, che i romani erano soliti offrire a Cibele, dea dei luoghi selvaggi, durante il mese di aprile. Oggi, nel paese natio di Virgilio, vi è una pietanza che deriva dal Moretum, chiamato Erbazzone (Guarrera, 2006).

Un altro esempio di ricetta molto antica è il Pistic, una pietanza a base di piante spontanee tipica del Friuli e risalente all’età celtica pre-romana (Paoletti et al.,1995; Picchi e Pieroni,2005), composto da oltre cinquanta specie diverse che, lessate tutte insieme, si passano poi in padella con burro, aglio e pezzetti di lardo (Paoletti et al., 1995). L’acqua di cottura del Pistic era considerata una bevanda salutare, soprattutto per i bambini, intuendone un’efficacia nutrizionale oggi scientificamente dimostrata (Sacchetti et al., 2009).

Le testimonianze che riguardano l’utilizzo di piante spontanee nella nostra cultura culinaria, continuano anche durante il medio evo, in cui nel XVI secolo in Toscana, nella provincia di Lucca venivano molto utilizzati i giovani germogli di Clematis vitalba e la giovane rosetta basale di Valerianella locusta (Tomei et al.,1988), oppure come scrive De Marchi nel XV secolo, riguardo al luppolo, “produce delle cime utili sia per cibo che per medicina”, e difatti vi sono molti documenti risalenti a quel periodo che descrivono l’utilizzo di Humulus lupulus nella preparazione di pietanze tradizionali.

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Il nostro Paese è caratterizzato da una forte tradizione culinaria legata alle piante spontanee eduli, anche grazie alla sua storica centralità in importanti flussi commerciali e migratori, che hanno portato il loro contributo in usanze e tradizioni, fatte nostre nei secoli. Ad esempio Armoracia rusticana conosciuta come Barbaforte, che nasce spontanea nel nostro paese solo nelle aree alpine (Pieroni et al., 2005), fu introdotta in Basilicata nel XIII secolo, grazie a flussi commerciali, dalla popolazione germanica degli Swabians (Caneva et al., 1997), e divenne in poco tempo, una pianta usatissima e apprezzata dalle popolazioni locali. Oggi le tagliatelle con la salsa di barbaforte sono un piatto tipico del periodo di carnevale, soprattutto nel comune di Castelmezzano (PZ). Interessante è anche il caso di Chamaerops humilis (palma nana) cui, in Sicilia, si mangia il tenero germoglio biancastro come insalata (Atzei et al., 2003; Lentini e Venza, 2007). Questa pianta, prima assente in Italia, fu importata durante le invasioni arabe.

Nelle regioni del sud Italia, alcune comunità provenienti dall’Albania e dalla Grecia sono rimaste molto legate alle proprie tradizioni e hanno importato e diffuso l’utilizzo di alcune piante spontanee, non utilizzate prima in Italia, come Reseda alba L. e

Urospermum picroides (L.) Scop. (Guarrera e Savo, 2015).

L’Italia, in virtù della densa tradizione culinaria basata sull’utilizzo di piante spontanee è uno dei paesi più studiati nel settore scientifico dell’etnobotanica in particolare per alcune regioni quali: Piemonte, Liguria, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Lazio, Abruzzo, Basilicata, Puglia, Sicilia e Sardegna (Guarrera e Savo, 2015).

Ci sono delle piante che fanno da denominatore comune a queste regioni come ad esempio Humulus lupulus L., Cycorium inthybus L., Reichardia picroides (L.) Roth, Soncus

oleracea L. e Taraxacum officinalis (L.) Weber, e altre utilizzate solo localmente, rendendole poco interessanti per un progetto di valorizzazione su larga scala (Guarrera e Savo, 2015).

Le piante spontanee si possono consumate sia crude che cotte, a seconda della specie raccolta, della parte di esse commestibile, e del periodo in cui si raccoglie. In generale per le piante spontanee di cui si consuma la parte ipogea cui radice, rizoma o bulbo come H. tuberosus E M. comosum o le foglie raccolte tardivamente, si preferisce consumarle cotte, per ammorbidire le fibre sclerificate che le compongono (Guarrera e Savo, 2013).

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Per alcune specie la cottura è necessaria per inattivare delle sostanze tossiche o anti nutrizionali, che invece avrebbero se mangiate crude. Un esempio è Clematis vitalba L., che non può essere consumata cruda perché contiene delle sostanze con azione caustica. Le piante spontanee una volta cotte possono essere utilizzate per la preparazione di zuppe, insalate lesse, ripieni, condimenti per pasta e riso, e per frittate. Di seguito sono riportate le principali preparazioni per le piante spontanee.

2.2.1 Zuppe

Le zuppe sono in genere preparate con le parti di pianta con consistenza più coriacea rispetto a quelle utilizzate per le insalate crude; la cottura prolungata permette di ammorbidire i tessuti sclerificati, rendendole più appetibili. Alcune esempi di zuppe preparate con piante spontanee eduli sono: la Zuppa Toscana, preparata con più di 20 specie, tra cui le fondamentali sono, Bellis perennis, Cardamine hirsuta, Humulus lupulus,

Plantago lanceolata, Silene vulgaris (Uncini e Manganelli, 2007) ; il Pistic, tradizionale

del Friuli Venezia Giulia preparato con 27 specie (Picchi e Pieroni, 2005); l’Acquacotta Maremmana, preparata anticamente dai pastori raccogliendo le piante spontanee che trovavano nei pascoli (Uncini e Manganelli, 2007); la Zuppa di Vita della Ciociaria; la Minestrella delle 18 erbe, tipica della Sardegna (Atzei, 2003), e la Minestrella di Gallicano, ancora oggi abbondantemente consumata nel piccolo borgo della Grafagnana (Pieroni, 1999). Per quest’ultima pietanza, le piante vengono raccolte in primavera, quando hanno le foglie più tenere e poi cotte (Pieroni, 1999), viene tradizionalmente servita insieme ai Mignecci, che sono delle focaccette di farina di granturco. La leggenda vuole che la Minestrella, nacque per iniziativa di una massaia del paese, nel tentativo di proporre qualcosa di diverso ai suoi familiari rispetto alla classica polenta con salacchini. La composizione degli erbi che danno vita alla minestra può variare fortemente, ma ne comprende sempre un numero elevato, in genere tra i 15 e i 30. Tra questi ci sono ad esempio cicerbite, viole, primule, orecchiette, ortica, bietola selvatica, radicchi di campo, borragine, foglie di papavero, crescione e piscialletto. Nel mese di aprile a Gallicano viene organizzata la sagra della Minestrella, che prevede una passeggiata sul campo, con raccolta degli erbi, quindi un pranzo con degustazione della Minestrella con i Mignecci e altre specialità locali.

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2.2.2 Insalate cotte

Le piante spontanee spesso vengono raccolte in miscugli composti da varie specie, questi vengono lessati e utilizzarli all’occorrenza per la preparazione di ripieni, frittate o semplicemente riscaldati e conditi con olio e sale. Alcuni esempi sono gli Erbucci della tradizione toscana (Picchi e Pieroni, 2005), di cui la ricetta prevede l’utilizzo di 18 specie; la Misticanza, tipica dell’Umbria e costituita da 10 specie (Ranfa et al., 2011), da non confondere con la Misticanza della Puglia, Marche e Lazio che si riferisce a mix di piante crude (Picchi e Pieroni, 2005). Altra ricetta che prevede la lessatura delle giovani foglie è l’Erbette grasse del Piemonte, chiamate “grasse” perché tipicamente accompagnate con la salsiccia (Mattirolo, 1918). Il Prebbogion è forse la pietanza maggiormente studiata in etnobotanica (Nancy et al., 2011), tipica della Liguria è originaria del comune di Genova è oggi diffusa in tutta la regione con nomi differenti (es. Gattafin nel comune di Levanto o Erbette nella zona del levante ligure) (Bisio e Minuto, 1999). Il Prebbogion è composto da un mix di 38 specie di piante spontanee appartenenti a 15 famiglie botaniche e di cui la metà appartengono alle Asteraceae e sono utilizzate principalmente piante terofite annuali o biennali e raramente piante poliennali (Bisio e Minuto, 1997). Le piante vengono lessate e strizzate con le mani imprimendo una forma sferoidale e conservate. Preboggion è un termine della lingua ligure non traducibile letteralmente in italiano: esso deriva probabilmente dal verbo preboggî (in ligure), che significa "pre-bollire", in senso culinario, quindi una sorta di "scottato da bollitura". A Sori il termine Prebuggiun invece significa "mescolanza" e si usa anche per indicare un insieme confuso di tante cose, una mescolanza appunto. Il Prebbogion può essere utilizzato come ripieno di torte salate e ravioli.

2.2.3 Ripieni

Le stesse piante fatte bollire e scolate dall’acqua in eccesso sono utilizzabili per la preparazione di pasta ripiena, come il caso dei “Turtèjd’arbétti” tipica dell’Emilia Romagna (Guarrera, 2008), che per torte salate, come la famosa torta Pascqualina della tradizione Ligure e Piemontese (Gastaldo et al., 1978; Picchi e Pieroni, 2005). Una tra le più note specie di piante utilizzate per la realizzazione di ripieni è la borraggine (Borrago officinalis L.) e per via della sua forte richiesta sul mercato si sta avviando la sua coltivazione in vaso con buoni risultati.

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L’acqua di cottura se possibile è buona norma riutilizzarla per la cottura degli stessi tortelli, perché in essa sono disciolte alcune vitamine e minerali dilavati dalle foglie.

2.2.4 Risotti

Alcune piante spontanee eduli per via del loro sapore piacevolmente acre, come quello del radicchio di Verona, si prestano alla preparazione di eccellenti risotti. Le piante maggiormente utilizzate per la preparazione di risotti sono Carum carvi L, Chenopodium

album L, Humulus lupulus L., Urtica dioica L. e Asparagus acutifolius L..

Un esempio di risotto preparato con le piante spontanee eduli è il Ris e Barland, tipico della Lombardia, la cui ricetta prevede l’utilizzo di, Bunias erucago L., Capsella

bursa-pastoris (L.) Medik., Cardamine amara L. e Cichorium intybus L., con l’aggiunta di ortaggi

come patate, aglio, fagioli, cavolo, lattuga e lardo (Corbetta et al., 1996) .

2.2.5 Frittate

Un consumo moderato di uova può portare degli effetti positivi alla salute umana in quanto contengono, in particolare il tuorlo, quantità elevate di Retinolo ed amminoacidi essenziali (Veronesi e Pappagallo, 2011). Unendo le proprietà benefiche delle uova a quelle delle piante spontanee si può ottenere un alimento interessante da un punto di vista nutrizionale.

Molte piante spontanee si prestano alla realizzazione di frittate, in particolare quelle di cui si consumano i giovani germogli, come Asparagus acutifolius L., Clematis vitalba L.,

Humulus lupulus L. e Rubus ulmifolius L.. Si consumano, inoltre come ingrediente di

frittate le giovani foglie di Chenopodium album L., Lactuca serriola L. e Salvia pratensis L. (Soprattutto in Friuli Venezia Giulia ed in Emilia Romagna), Armoracia rusticana L. che aggiunta al pecorino e salsicce si utilizza per la preparazione della Rafanata, tipica della Basilicata ecc.

In alcuni casi si possono fare delle frittate con mix di piante spontanee come ad esempio la frittata delle Sette Erbe, tipica del Friuli Venezia Giulia, in cui la parola “sette” indica un numero generico di piante, tutte quelle che si trovano e unite a porro, timo, cipolla, aglio, prezzemolo, rosmarino e salvia (Appi et al., 1979).

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2.2.6 Insalate

Le piante spontanee, soprattutto quelle di cui si utilizzano le giovani foglie, spesso di consumano crude per la realizzazione di insalate. Raramente vengono preparate insalate mono-varietali, si preferisce costituire mix di essenze, fino ad arrivare a contarne 30 in alcuni casi, in modo che non prevalga il sapore forte e aggressivo di alcune piante talvolta troppo amare.

Alcuni esempi di insalate preparate con piante spontanee eduli è la Misticanza pugliese

(Accogli et al., 2009), l’insalata del Monte Argentario, l’insalata Carrarese, l’insalata

Lucchese (Picchi e Pieroni, 2005; Uncini et al., 2007), e l’insalata Su Turone tipica della Sardegna (Atzei, 2003).

Alcune specie spontanee sono particolarmente utilizzate per la preparazione delle insalate, ad esempio Campanula rapunculus L., Reichardia picroides (L.) Roth, Sonchus spp.

2.3 Piante spontanee eduli e utilizzi terapeutici

Nella tradizione popolare con l’utilizzo delle piante spontanee si riscontra spesso una duplice valenza, terapeutica e alimentare, contraendo uno stretto legame con la medicina preventiva e la salvaguardia della salute. Quasi tutte le essenze impiegate nelle minestrelle e nelle insalate della tradizione culinaria sono provviste di proprietà rinfrescanti, disintossicanti, e diuretiche. La rucola, il crescione, e il tarassaco ad esempio sono ricche in vitamina C e dunque antiscorbutiche, oppure l’ortica cotta grazie alle sue sostanze proteiche e ai sali minerali, ha proprietà ipoglicemizzanti e depurative. In diversi casi è dunque possibile parlare di una medicina alimentare che ha occupato una posizione centrale nei sistemi medici tradizionali.

Le proprietà terapeutiche delle piante spontanee eduli possono essere più o meno marcate, o addirittura diverse, a seconda della parte di pianta utilizzata, ad esempio, l’inulina, sostanza dietetica utile nell’alimentazione delle persone diabetiche, è presente prevalentemente nelle radici e tuberi mentre altre sostanze, sono proprie delle parti fotosintetizzanti della pianta.

Tra i principi attivi, quelli che maggiormente influiscono sull’attività terapeutica provengono dal metabolismo secondario, che in ambiente naturale è particolarmente stimolato per via dei continui stress cui le piante sono sottoposte. Tali principi attivi sono principalmente:

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Alcaloidi; composti azotati spesso tossici, presenti ad esempio in Papaver rhoeas L.,

Atropa belladonna L., Aconitum napellus L,

Glucosidi: di cui alcuni digitalici presenti in Digitalis spp. L. e Nerium oleander L. e quindi utili per la cura di cardiopatie e altri di tipo andrachinonico con proprietà lassative contenuti ad esempio in Rheum spp. e Sinapis alba L.,

Saponine: tossiche e detersive abbondanti, ad esempio, in Saponaria officinalis L. ed

Hedera helix, L. con proprietà diuretiche, colagoghe, diaforetiche e depurative. Le

saponine possono essere anche sostanze amare spesso digestive e calagoghe come l’amarogentina abbondante in Gentiana spp. L. e nella Compositaee in generale,

Olii essenziali: con proprietà antisettiche e balsamiche come Allium cepa L., Matricaria

chamomilla L. e in generale abbondantemente presenti nella famiglia delle Lamiaceae a

Umbelliferae,

Tannini: con proprietà astringenti, abbondantemente presenti Ulmus spp. L. e in

Sanguisorba minor Scop.,

Mucillagini: con proprietà antinfiammatorie abbondantemente presenti in Malva

sylvestris L. e Althaea officinalis L.,

Cumarine: abbondantemente presenti nelle Umbellifere con proprietà antinfiammatoria, febbrifuga, astringente;

Polifenoli, sostanze antiossidanti di cui le piante spontanee ne sono particolarmente ricche.

Di seguito sono riportati alcuni esempi di utilizzi culinario-terapeutici delle piante spontanee eduli.

In provincia di Cuneo ad esempio, le foglie della bistorta (Persicaria bistorta (L.) Samp) sono utilizzate per la preparazione di minestre assieme a ortiche e acetosa, sfruttando le proprietà depurative e lassative. Della bistorta si utilizzano anche i fiori, il cui infuso possiede proprietà disinfettanti delle vie urinarie. Nel Lazio a Greccio (RI), l’ortica viene consumata lessa in diete ipoglicemiche per diabetici, mentre a Orte (VT) le foglie di prezzemolo venivano consumate moderatamente dalle donne, per far ricomparire il ciclo mestruale dopo il parto.

Per i sintomi del raffreddamento in Ciociaria era usanza consumare alla sera, poco prima di coricarsi, la zuppa di lauro preparata facendo bollire 4-5 foglie di alloro in acqua e aggiungendo uno spicchio di aglio. Nelle regioni del sud Italia, a proposito del largo utilizzo del Lampascione, si consumano i pregiati bulbi per combattere la febbre, a tal

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proposito, recenti studi fitofarmacologici hanno messo in evidenza che i bulbi di Leopodia comosa sono dotati di una spiccata azione antiossidante e antimicrobica, e che effettivamente possono risultare utili per alleviare gli stati febbrili. (Atzei, 2003)

Al Sonchus oleraceus L. in Sardegna sono attribuite proprietà cicatrizzanti e antisettiche e per la cura dei foruncoli, veniva applicata su di essi in cataplasma, la poltiglia ottenuta pestando fra due legni secchi foglie giovani o la parte più tenera della pianta (raccolta in primavera), oppure una garza imbevuta del succo spremuto dalle stesse parti (Atzei, 2003). Daucus carota L. sempre in Sardegna veniva considerata pianta con proprietà vulnerario-cicatrizzanti e analgesiche ed utilizzata per curare le ulcere inguinali applicando direttamene sull'ulcera, con una garza, la poltiglia ottenuta grattugiando la radice tuberizzata, previamente pulita e lavata (Atzei, 2003). Altro classico esempio di pianta spontanea utilizzata a scopo terapeutici è l’ortica a cui venivano attribuite moltissime proprietà, tra queste, quella di limitare la caduta dei capelli frizionando leggermente sul cuoio capelluto il filtrato di decotto di ortica (Atzei, 2003).

2.4 Sostanze tossiche e antinutrizionali nelle piante spontanee eduli

Se da una parte, gli stress di natura biotica e abiotica stimolano il metabolismo secondario delle piante, inducendo la biosintesi di sostanze benefiche per l’uomo, dall’altro, in alcuni casi, vengono prodotte attraverso specifiche vie biosintetiche anche delle sostanze altamente tossiche per l’uomo che appartengono principalmente al gruppo degli alcaloidi.

Ci sono casi in cui piante spontanee, abbondantemente utilizzate nella preparazione di pietanze tradizionali, in realtà contengono sostanze tossiche. Un esempio è Clemantis

vitalba L., che come la maggior parte delle Ranuncolaceae, contiene alte quantità di

saponine ed alcaloidi, di cui anemonina e protoanemonina, caustici ed irritanti. Tuttavia, la sua tossicità è elusa dal consumo dei soli giovani germogli, che ancora non hanno accumulato quantità critiche per queste pericolose sostanze.

Anche alcune tra le più famose piante spontanee utilizzate in cucina, come la borragine, o il ranuncolo (Ranunculus ficaria L.) presentano principi attivi potenzialmente tossici per la salute umana (Camangi et al., 2000), tuttavia, l’utilizzo sporadico di queste piante e le modeste quantità cui di solito vengono ingerite le rendono innocue.

Molte piante spontanee considerate eduli, inoltre, presentano elevate quantità di sostanze antinutrizionali, come la tripsina, l’acido fitico, tannini, e l’acido ossalico che

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riducono la digeribilità delle proteine e diminuiscono l’assorbimento di minerali e vitamine a livello dell’intestino(Bianco et al., 1998). L’acido ossalico, inoltre può reagire con gli ioni calcio, portando alla formazione di cristalli di ossalato a livello renale (Guil-Guerrero et al., 1997).

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Capitolo III: Composti bioattivi nelle piante spontanee eduli

Negli alimenti di origine vegetale sono presenti alcuni composti bioattivi, cioè

composti dotati di elevata attività biologica che si esplica nel ridurre il rischio di sviluppo di numerose malattie croniche. Questi composti non sono dei nutrienti in senso classico, ossia atti a far sviluppare, crescere e mantenere un organismo umano, ma possono essere definiti come sostanze in grado di modulare numerose attività biologiche e importanti funzioni dell’organismo. Le attività da essi esercitate sono molteplici, tra le quali l’attività antiossidante e antinfiammatoria, la modulazione degli enzimi di detossificazione, la stimolazione del sistema immunitario, la modulazione del metabolismo ormonale, l’attività antibatterica e antivirale, l’attività antiproliferativa, ecc., (Fecyt, 2005; Lampe, 1999; Wargovich, 2000).

Particolarmente importanti, sono i composti con proprietà antiossidante, come i fenoli e carotenoidi e alcune vitamine, che grazie alla loro azione scavengers nei confronti delle specie reattive dell’ossigeno (ROS), prevengono gravi malattie strettamente correlate con alti livelli di stress ossidativo, come tumori e malattie cardiovascolari (García-Herrera et al., 2013).

Gli effetti benefici di questi composti sulla salute umana, si manifestano solo con un adeguato consumo giornaliero di alimenti di origine vegetale. Occorre sottolineare che tali effetti, non si possono attribuire ad un singolo composto, ma all’azione sinergica di un pool di composti che esplicano la loro attività antiossidante in vari siti. Numerosi studi hanno mostrato che assumere queste sostanze in modo separato, sotto forma di integratori, ad esempio, non produce gli stessi effetti di quando si assumono con la dieta ricca e varia di frutta e verdura (Cervera Real, 2008).

L’effetto dovuto dalla sinergia tra questi composti è chiamato “cumulative antioxidant index” (CAI), ed è un parametro direttamente correlato con la presenza nel sangue di sostanze antiossidanti come fenoli, vitamina E, vitamina C, β-carotene e alcuni minerali (Cabras e Martelli, 2004). Il consumo di frutta e verdure, incluse le piante spontanee eduli, può aiutare ad accrescere tale indice (Bello, 2006).

Le piante spontanee eduli rappresentano una fonte importante di composti bioattivi, in quanto crescono in ambienti caratterizzati da un elevato livello di stress di natura biotica e abiotica. I composti bioattivi delle piante, chiamati anche phytocamicals, infatti, vengono sintetizzati dal metabolismo secondario, che è notoriamente regolato da fattori ambientali e da condizioni di stress, tipiche dell’ambiente spontaneo.

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3.1.1 Carotenoidi

I carotenoidi sono pigmenti abbondantemente presenti in tutti i tessuti vegetali. Sono coinvolti nei processi fotosintetici, assorbendo lunghezze d’onda complementari a quelle della clorofilla. I carotenoidi hanno una forte capacità antiossidante, che nella pianta è funzionale soprattutto in casi di fotoinibizione in cui è favorita la formazione di ROS. I carotenoidi si possono suddividere in due gruppi di molecole, i caroteni e le xantofille. Tra i caroteni, i composti più importanti sono il β-carotene, α-carotene e il licopene, mentre tra le xantofille le più rappresentative sono la Luteina, zeaxantina, astaxantina, capsantina, betacriptoxantina. Per l'uomo, l’assunzione dei carotenoidi è indispensabile in quanto non può sintetizzarli e sono precursori della vitamina A (Retinolo).

Per molti anni, l'importanza nutrizionale dei carotenoidi è stata quasi esclusivamente correlata alla capacità di fungere da precursori della vitamina A, (Khachik et al., 2002; Van den Berg et al., 2000), anche se in realtà solo alcuni carotenoidi sono precursori del retinolo come il β-carotene (Stahl e Sies, 2003, 2012).

Oltre alla funzione pro-vitaminica, infatti, occorre sottolineare come diversi carotenoidi esercitino effetti protettivi nei confronti di molte patologie, grazie alla loro azione antiossidante (Cantuti et al., 2000; Krinsky e Johnson 2005; Maiani et al., 2009). Data l’importanza dei carotenoidi per la salute umana, la World Health Organization (WHO), raccomanda un’assunzione quotidiana di β-carotene pari a 4–6 mg/day (Williamson, 1996).

Molte piante spontanee possono rappresentare ottime fonti di carotenoidi, Alliaria petiolata, ad esempio, da cui si prepara un ottimo pesto, contiene ha una quantità doppia di carotenoidi rispetto ad alcuni ortaggi ricchi di questi composti come le carote.

3.1.2 Fenoli

I composti fenolici sono metaboliti secondari delle piante e vengono sintetizzati principalmente dalla via biosintetica dello schikimato, che converte precursori carboidrati derivati dalla glicolisi e dalla via ossidativa dei pentosi nei tre amminoacidi aromatici: fenilalanina, tirosina e triptofano (Herrmann e Weaver, 1999). Nei vegetali, la maggior parte dei composti fenolici derivano dalla fenilalanina tramite l’eliminazione della molecola di ammoniaca, per formare l’acido cinammico, questa reazione è catalizzata dall’enzima Fenilalanina Amoniaca Liasi (PAL). L’attività della PAL è aumentata da fattori ambientali, quali bassa concentrazione di nutrienti, stress idrico, stress salino o attacchi parassitari, ed è per questo motivo che spesso le piante

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spontanee, vivendo in ambienti con elevati livelli di stress, sono ricche in composti fenolici.

I fenoli comprendono un ampio spettro di sostanze e possono essere divisi in tre sottogruppi ovvero, tannini, lignina e flavonoidi. I flavonoidi comprendono a loro volta antociani, flavoni, flavonoli e isoflavonoli, accumunati dal fatto di possedere una elevata attività antiossidante nei sistemi biologici (Nile e Park, 2014; Proestos et al., 2006), capaci di inibire le reazione a catena della perossidazione lipidica (Bravo, 1998; Mertz et al., 2007; Scalbert et al., 2002). Tra i flavonoidi, sono molto importanti per la loro proprietà antiossidante, le antocianine, pigmenti contenuti nei vacuoli delle cellule dell’epidermide di fiori e fruiti, che conferiscono in colore rosa, rosso, blu o viola a seconda del pH vacuolare e dei co-pigmenti presenti.

Molte piante spontanee contengono elevate quantità di composti fenolici come ad esempio, Asparagus acutifolius L. (231mg/100g), Diplotaxis erucoides (L.) DC (293 mg/100g), Reichardia picroides (L.) Roth, (389 mg/100g), Sonchus oleraceus L. (316 mg/100g), Foeniculum vulgare L. (303 mg/100g), Silene vulgaris (Moench) Garcke (456 mg/100g) e Sanguisorba minor L. (1671 mg/100g) (Salvatore et al., 2005; Vanzani et al.,

201; Ranfa et al., 2013). Per fornire un metro di confronto con alcuni ortaggi coltivati considerati ricchi di fenoli, il carciofo ne contiene in media 1142 mg/100g e gli spinaci 248mg/100g.

3.1.3 Vitamine e minerali

Anche le vitamine e i minerali sono considerati composti bioattivi (Cabras e Martelli, 2004). Dal punto di vista nutrizionale, sono definiti come micronutrienti in quanto il nostro organismo necessita di questi elementi in piccole quantità, rispetto a carboidrati e proteine, che sono definiti macronutrienti.

Si tratta di principi nutritivi secondari in termini di quantità, ma non certo in termini di importanza, rivestono infatti un ruolo primario e vitale nei principali processi fisiologici. La carenze prolungate di vitamine e minerali, portano all’insorgenza di gravi patologie quali scorbuto e rachitismo. La consapevolezza dell’importanza di queste sostanze è stata maturata nel tempo, grazie ad alcune osservazioni, ad esempio, quando James Lind, sergente della marina britannica, durante il VIII secolo dimostrò che, somministrando limoni e arance (ricchi di vit. C) ai marinai affetti da scorbuto, questi guarivano, si intuì il ruolo chiave di questi alimenti per evitare l’insorgenza di alcune malattie (Hughes, 1975).

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La maggior parte di vitamine e minerali, infatti, non sono sintetizzabili da parte dell’uomo e la loro assunzione passa esclusivamente attraverso la dieta; nasce quindi la necessita di stabilire la quantità ottimale di micronutrienti da assumere quotidianamente in modo da evitare un loro stato di carenza.

Nel 1950 FAO E WHO hanno valutato scientificamente i fabbisogni quotidiani di vitamine e minerali espressi come mg/day (Cuervo et al., 2009). Tali dati sono stati riconosciuti anche dal Parlamento dell’Unione Europea che, con il Reg. UE n° 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, utilizzò i dati relativi ai fabbisogni quotidiani di micronutrienti, per uniformare i così detti “claims” dei paesi UE (che facevano riferimento ad altri dati), ossia indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari, allo scopo di garantire ai consumatori l’accuratezza e la veridicità delle informazioni.

Ai sensi del Reg. UE n° 1169/2011, un prodotto può essere considerato fonte di una determinata vitamina o minerale se 100 g di tale prodotto fresco soddisfano almeno il 15% del fabbisogno giornaliero raccomandato, mentre può essere considerato “ricco di”, se ne soddisfa almeno il 30%. Alcune piante spontanee, come mostrato nella tabella 1, contengono quantità molto elevate di questi composti, riuscendo a coprire in alcuni casi anche il 100% del fabbisogno giornaliero consumandone una porzione da 100g.

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Tabella 1 Contenuto di alcune sostanze bioattive in piante spontanee eduli, confronto

con i valori di riferimento giornalieri e valori di riferimento per definire un alimento “fonte di” oppure “ricco di”. *Indicato nel Reg. UE 1169/2011. ** Dati ottenuti da : Aliotta e Pollio, 1981; Franke e Kensbock, 1981; Guerrero e Torija Isasa, 1997; Guil-Guerrero et al., 1999; Kiliç e Coskun, 2007; Morales, 2011; Sánchez-Mata et al., 2012; Vardavas et al., 2006; Yildrim et al., 2001; Guil-Guerrero et al. 2003; Kudritsata et al., 1987; Salvatore et al., 2005; Barros et al., 2010; Dias et al., 2009; Morales et al., 2012; Zeghichi et al., 2005; Bianco et al. 1998; García-Herrera, 2014; Özcan et al., 2008; Ranfa et al., 2014; Romojaro et al., 2013; Yildirim et al., 2001; Zeghichi et al., 2005; Alfawaz, 2006; Ayan et al., 2006; Barlas et al., 2011.

Composti bioattivi Fabbisogno giornaliero di riferimento* Mg/100g FW

Quantità minima per

definire un alimento*: riferimento per Valori di alcuni ortaggi

coltivati ( mg/100g FW)

Contenuto sostanze bioattive in alcune piante spontanee

eduli** ( mg/100g FW) "Fonte di" mg/100g FW "Ricco di" mg/100g FW

Vitamina E 12 1,8 3.6 Cicoria coltivata (2.2)

Asparagus acutifolius (8,3), Humulus lupulus (5,7), Taraxacum officinalis (3,6), Eruca sativa (3,6) Vitamina C 80 12 24 Agrumi (36-59), Peperone (131), Prezzemolo (100) Urtica dioica (230), Alliaria petiolate (215), Chenopodium album (150), Sisymbrium officinale (230), Eruca sativa (125), Diplotaxis tenuifolia(145), Capsella bursa-pastoris (145) Vitamina B9 (acido folico) 200 μg/day 30 μg/100g FW 60 μg/100g FW Fegato (240 µg/100g), Spinaci (140 µg/100g), Invidia (267 µg/100g), Legumi (fagioli rossi 394 µg/100g) Rumex pulcher( 500μg/100g FW) Beta maritima (300μg/100g FW), Anchusa azurea (275μg/100g FW), Foeniculum vulgare (260 μg/100gFW), Silene vulgaris (255μg/100g FW), Cichorium intybus (250μg/100 gFW), Asparagus acutifolius (230 μg/100gFW) Potassio 2000 300 600 Banane (442), avocado (487), spinaci (558) Chenopodium album (1100), Scolymus hispanicus (1050), Chondrilla juncea (1000), Beta marittima (650), Chichorium intybus (630) Calcio 800 120 240 Latte vaccino intero (120) Parietaria officinalis (930), Urtica dioica (615),

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Borrago officinalis (350), Chenopodium album (300), Eruca versicaria (290) Magnesio 375 56,25 113 Semi di zucca (560)

Chenopodium album (425), Sanguisorba minor (270), Bunias erucago (220), Parietaria judaica (200), Urtica dioica (160) Ferro 14 2,1 4.2 Spinaci coltivati (6)

Beta vulgaris (6.9) Urtica dioica (5.3)

Capsella bursna pastoris (5.1) Picris echioides (4.5) Chondrilla juncea (4.3) Portulacca oleracea (4.3) Rame 1 0,15 0.3 Fegato di vitello (11.86), Frutta secca (1.5) chenopodium spp (0,3), Salicornia europaea (0,3), Portulaca oleracea (0,39), Urtica dioica (0,35), Chondrilla juncea (0,43) Manganese 2 0,3 0.6 Frutta secca (6.5)

Lattuga (18)

Urtica dioica (1,6), Chenopodium spp. (1,4), Chondrilla juncea (1,0), Salicornia europea (1,1)

Zinco 10 1,5 3 Carne (7.5) Chenopodium opulifolium (1,7), Salicornia europaea (1.5), Malva silvestris (1,5)

Fenoli totali Carciofo(1142), Spinaci (248) Asparagus acutifolius (231), Diplotaxis erucoides (293), Reichardia picroides (389), Sonchus oleraceus (316), Foeniculum vulgare (303), Sanguisorba minor (1671), Silene vulgaris (456) Carotenoidi Carote (6.6), Patata dolce (5.9) Alliaria petiolata (13,5), Chenopodium opulifoliu (11) , Chenopodium album (10,5), Chenopodium murale (10,2), Capsella bursa pastoris (7,5)

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