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RUOLO DELLA RADIOTERAPIA STEREOTASSICA GUIDATA DALLA PET/CT CON COLINA NEI PAZIENTI CON RECIDIVA DI CARCINOMA PROSTATICO

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UNIVERSITÀ DI PISA

CORSO DI LAUREA IN MEDICINA E CHIRURGIA

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

RUOLO DELLA RADIOTERAPIA STEREOTASSICA GUIDATA

DALLA PET/CT CON COLINA NEI PAZIENTI CON RECIDIVA

DI CARCINOMA PROSTATICO

ANNO ACCADEMICO 2016/2017

RELATORE

Chiar.ma Prof.ssa Fabiola Paiar

CANDIDATO Elisa Notini

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INDICE

RIASSUNTO……….pag 4

INTRODUZIONE

CAPITOLO 1: IL CARCINOMA PROSTATICO………...pag 5

1.1 Epidemiologia

1.2 Eziologia e fattori di rischio

1.3 Ruolo del PSA nel management del carcinoma prostatico

CAPITOLO 2: INQUADRAMENTO GENERALE DEL TRATTAMENTO

DEL CARCINOMA PROSTATICO……….pag 9

2.1 Terapia nella malattia organo-confinata 2.1.1 La chirurgia

2.1.2 Il ruolo della radioterapia e tecniche radioterapiche 2.2 Terapia della malattia extraprostatica loco-regionale

CAPITOLO 3:

RUOLO DELLA RADIOTERAPIA STEREOTASSICA

NELLA MALATTIA OLIGOMETASTATICA

………

pag 12

3.1 Il paziente oligometastatico

3.2 La PET/CT con colina nel tumore della prostata 3.3 Trattamento sistemico della malattia metastatica 3.4 La radioterapia stereotassica

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CAPITOLO 4: ANALISI DI UNA COORTE DI 45 PAZIENTI AFFETTI DA

CARCINOMA PROSTATICO OLIGOMETASTATICO TRATTATI CON

SBRT GUIDATA DALLA [18F] FLUORO METHYL CHOLINE PET/CT

NELLA FINESTRA TEMPORALE DA DICEMBRE 2010 A GENNAIO 2017.

………...pag 21

4.1 Introduzione e razionale 4.2 Materiali e metodologia 4.3 Tecnica della SBRT 4.4 Analisi Statistica 4.5 Risultati 4.6 Discussione 4.7 Conclusioni

BIBLIOGRAFIA………....pag 33

RINGRAZIAMENTI……….pag 43

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RIASSUNTO

Il trattamento di riferimento dei pazienti con carcinoma prostatico metastatico è rappresentato dalla terapia sistemica, castrazione farmacologica (ormonoterapia) o chemioterapia. Con le innovazioni registrate nel campo dell’imaging funzionale, e su tutte l’introduzione nella pratica clinica della PET/CT con colina, è sempre più frequente il riscontro di pazienti con un ridotto numero di lesioni metastatiche, pazienti definiti col termine “oligometastatici” e con una prognosi migliore rispetto ai pazienti con malattia diffusa. In questi pazienti, in considerazione del ridotto numero di lesioni attive, negli ultimi anni sono stati valutati diversi approcci locali che consentissero di ottenere un controllo di tutte le metastasi e quindi anche un controllo del valore del PSA. In assenza di un rialzo del valore del PSA è stato possibile evitare o posticipare l’inizio di una terapia sistemica e di conseguenza l’insorgenza degli effetti collaterali più comunemente ad essa associati (stanchezza, disfunzione sessuale, osteoporosi e sindrome metabolica). Utilizzando la PET/CT con colina per individuare le lesioni potenzialmente candidabili a un trattamento locale, negli ultimi anni ha trovato uno spazio crescente la radioterapia stereotassica (SBRT), tecnica non invasiva che consente di erogare elevate dosi di radiazioni con estrema accuratezza e precisione in una singola seduta o in un numero ridotto di sedute.

Attualmente vi sono ancora pochi studi e con un disegno retrospettivo che affrontano l’argomento della radioterapia stereotassica guidata dalla PET/CT con colina nei pazienti “oligometastatici”.

In questo elaborato è presente una revisione della letteratura sull’ argomento e vengono illustrati i risultati ottenuti dalla valutazione prospettica di 45 pazienti affetti da carcinoma prostatico oligometastatico e trattati presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana con SBRT guidata dalla PET/CT con colina nella finestra temporale da Dicembre 2010 a Gennaio 2017.

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INTRODUZIONE

1.0 IL CARCINOMA PROSTATICO

1.1 Epidemiologia

Nei Paesi della Comunità Europea il carcinoma prostatico rappresenta il tumore con maggiore incidenza nel sesso maschile dopo i 50 anni di età, con picco di incidenza tra i 70 e gli 80 anni, e il terzo posto per mortalità (1% all’anno)1. I tassi di incidenza e di mortalità,

standardizzati per età, sono rispettivamente di 86.7 e 22.2 casi annui/100.000 abitanti2.

L’incidenza di questa neoplasia varia ampiamente in base all’area geografica, più elevata nel

Nord Europa (>200 casi per 100.000 abitanti), e in aumento nell’Europa del Sud e dell’Est3.

In Italia il carcinoma della prostata rappresenta il 20% di tutti i tumori diagnosticati negli uomini dopo i 50 anni di età e l’incidenza stimata è di circa 43.000 casi nel 2020 e,

considerando l’aumento dell’aspettativa di vita atteso nei prossimi decenni, 50.000 nel 20301.

Il progressivo aumento dei nuovi casi/anno verificatosi a partire dagli anni 2000 è sicuramente imputabile all’introduzione nei primi anni 90 del dosaggio sierico del PSA (Prostatic Specific Antigen), che ha permesso la diagnosi di molti casi di malattia asintomatici e in fase preclinica. L’attuazione di questo test ha evidenziato una variabilità tra le diverse regioni italiane, da 109.5 casi annui/ 100.000 tra i residenti nel Nord Italia a 85.3 casi annui/100.000 nel Centro (–22%) e 61.4 casi annui/100.000 (–44%) nel Sud. Per quanto riguarda invece la mortalità non si sono osservate differenze interregionali con livelli che si assestano sui 17-18 casi annui/ 100.000 abitanti1. Durante l’ultimo decennio la sopravvivenza a 5 anni dopo la diagnosi di questa neoplasia è aumentata dal 73.4% nel biennio 1999- 2001 all’83.4% nel

biennio 2005-20074.

1.2 Eziologia e fattori di rischio

L’eziologia del carcinoma prostatico è verosimilmente multifattoriale, risultato di complesse interazioni tra fattori genetici e ambientali. I più importanti fattori di rischio conosciuti per il carcinoma della prostata sono: età5, storia familiare6,7 e razza5-7.

Per quanto riguarda la predisposizione genetica sono stati identificati 100 loci di suscettibilità ed è stato calcolato che il rischio di sviluppare questo tumore raddoppia o aumenta fino a 5-11 volte in chi rispettivamente abbia un solo parente o due o più parenti di primo grado affetti

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ereditaria7, contraddistinti da pazienti con tre o più familiari affetti o almeno due familiari che

hanno sviluppato la malattia precocemente, prima dei 55 anni di età7. Inoltre si è osservato come in tali casi la diagnosi si presenta con sei, sette anni di anticipo rispetto ai casi sporadici. La razza nera sembrerebbe avere un maggiore rischio per i più elevati livelli circolanti di androgeni, di DHT e di 5-alfa reduttasi 5,7.

Fattori esogeni come alimentazione ricca di calorie e di grassi, abitudini sessuali, consumo di alcol, esposizione a raggi UV, infiammazione cronica, sembrerebbero avere un ruolo

nell’eziopatogenesi e nella progressione da malattia latente a clinicamente manifesta 9-12. Ciò

è stato dimostrato dal fatto che l’incidenza del carcinoma prostatico riscontrato in referti autoptici è la stessa in tutte le parti del mondo13 mentre l’incidenza di malattia clinica riscontrata è variabile con la zona geografica: elevata negli USA e nel Nord Europa bassa nel Sud Est Asiatico. Da ciò si intuisce come ci debbano essere dei fattori ambientali che si sovrappongano ai fattori genetici. Purtroppo, anche se conosciamo alcuni fattori potenzialmente correlati con l’insorgenza di questo tumore, non vi sono evidenze che ci consentano di ritenere che intervenendo sullo stile di vita e sulla dieta (riducendo il consumo di grassi animali e aumentando quello di vegetali, frutta o cereali) si possa ridurre il rischio di insorgenza14; così come non sono state sviluppate terapie farmacologiche per questo scopo. Sulla base delle attuali conoscenze sembrerebbe che anche lo screening di massa con PSA

non abbia ridotto in maniera apprezzabile la mortalità legata al carcinoma prostatico.15-20

1.3 Ruolo del PSA nel management del carcinoma prostatico

L’Antigene Prostatico Specifico (PSA) è una proteasi callicreino simile sintetizzata quasi esclusivamente dalle cellule prostatiche con la finalità di colliquare il coagulo che si forma nel liquido seminale dopo l'eiaculazione. Una piccola quota di tale antigene libero o complessato a proteine la ritroviamo nel siero, dove può essere dosato e utilizzato come biomarcatore organo specifico. Il PSA è un marcatore organo specifico e non cancro-specifico, infatti i livelli sierici possono aumentare anche in presenza di malattia prostatica non maligna come ipertrofia prostatica benigna (IPB), prostatite acuta e cronica ed anche a seguito di esplorazione rettale, agobiopsia, cistoscopia, ritenzione urinaria acuta, cateterismo, eiaculazione recente e esercizio fisico intenso. Alcuni autori sottolineano come i valori di PSA possano aumentare anche con l’avanzare dell’età, anche se un aggiustamento dei valori

di PSA sulla base dell’età è ancora molto controverso21.

Diverse evidenze hanno dimostrato che un incremento di questo marcatore può essere associato a un aumento di rischio di viluppo di carcinoma prostatico22, per questo motivo il

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riscontro di valori oltre i limiti fisiologici deve sempre spingere ad un ulteriore approfondimento. L’utilizzo del PSA come screening di massa, cioè come test imposto dalle autorità sanitarie a tutti gli uomini asintomatici (a rischio), è stato per lungo tempo dibattuto. Ad oggi la maggior parte delle Società Scientifiche ritengono che non vi siano ancora livelli di evidenza abbastanza forti da suggerire che tale screening riduca significativamente la mortalità globale associata alla neoplasia15-20 e ritengono che tale pratica implicherebbe il rischio di sovradiagnosi e dunque di overtreatment.

Per migliorare l’accuratezza diagnostica del PSA sono disponibili diversi approcci che hanno studiato la velocità di accrescimento correlata con caratteristiche volumetriche della prostata:

• PSA density (PSAD): si basa sul rapporto esistente tra volume prostatico valutato mediante ecografia transrettale e quantità di antigene sierico, più è elevato e maggiore è il rischio di tumore clinicamente evidente.

• PSA velocity (PSAD): l’incremento annuo del PSA sierico (ng/mL/anno)23.

• Doubling Time (PSA-DT): misura incremento esponenziale del PSA nel tempo24.

• PSA totale/PSA libero: viene utilizzato per differenziare l’ipertrofia prostatica benigna dal carcinoma prostatico. Tale rapporto serve a quantificare il rischio di tumore in caso di DRE (esplorazione rettale digitale) negativa all’interno di un range di PSA compreso tra 4 e 10 ng/mL (zona grigia). Se <10, la probabilità di rilevare un carcinoma prostatico alla biopsia è del 56%, mentre scende all’8% se il rapporto è maggiore di 2525. Questo parametro è soggetto a variazioni di fattori sia analitici che clinici (instabilità del PSA libero <4, grossolana BPH) quindi va interpretato sempre in associazione ad altri dati clinici e di laboratorio26.

• PHI (Prostate Health Index): combina il PSA totale e libero con le isoforme pro- (p2PSA) con lo scopo di ridurre il numero di biopsie non necessarie in uomini sottoposti al dosaggio del PSA. Il ruolo di questo parametro resta ancora da determinare27.

• PCA3: È un marcatore specifico, mRNA non codificante del gene PCA3 risulta iperespresso nel 95% dei carcinomi prostatici, è dosabile nel sedimento urinario ottenuto in seguito a massaggio prostatico tramite DRE. Viene effettuato prima di decidere se ripetere una biopsia che ha avuto esito negativo. Tale marcatore aumenta con il volume prostatico, ma vi sono ancora dubbi sia riguardo al fatto che possa essere considerato un fattore predittivo indipendente dal GS (Gleason Score), sia riguardo il suo uso nei pazienti sottoposti a sorveglianza attiva 28.

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Sebbene il dosaggio del PSA non sia sufficientemente affidabile per predire l’estensione di malattia, il valore di questo marcatore svolge anche un ruolo stadiativo. Infatti, esiste una correlazione tra il livello di PSA sierico e lo stadio del tumore (estensione extracapsulare, invasione delle vescichette seminali, presenza di malattia metastatica linfonodale o a distanza)29-31. Sono stati inoltre definiti diversi algoritimi che lo associano ad altri fattori di rischio (Gleason score, stadio clinico) e che ci permettono di stratificare i pazienti in diverse classi di rischio32.

Nella pratica clinica l’utilizzo principale del PSA risiede nella sua sensibilità e specificità durante il follow-up, questo marcatore è infatti in grado di rilevare in una fase precoce una recidiva di malattia e di monitorarne la risposta dei trattamenti di salvataggio. Nei pazienti trattati con terapia locale (prostatectomia o radioterapia), un rialzo è patognomico di recidiva

biochimica e quindi indica la necessità di ulteriori approfondimenti diagnostici.Considerando

l’emivita di questo marcatore, dopo un intervento di prostatectomia radicale è atteso un

azzeramento del PSA entro 6 settimane dall’intervento chirurgico33. Nei pazienti che hanno

effettuato il trattamento radioterapico esclusivo, il PSA dovrà ridursi nella finestra temporale dei 6-12 mesi dalla fine della radioterapia34 senza azzerarsi in quanto il tessuto prostatico rimane in sede sia durante che dopo il trattamento. Il PSA viene prodotto anche in quota minima dalle ghiandole periuretrali e da residui di cellule prostatiche non neoplastiche a livello dei margini di resezione chirurgica, quindi un mancato azzeramento dopo una chirurgia

potrebbe anche essere associato a cause non legate al tumore 35.

Dopo una prostatectomia radicale, si definisce “recidiva biochimica” il riscontro di valori di

PSA ≥0,2 ng/ml con almeno due misurazioni successive in aumento36. Si definisce “recidiva

biochimica” dopo radioterapia un incremento del PSA di 2 ng/ml al di sopra del valore di nadir 37.

Nei pazienti metastatici il valore del PSA può essere correlato col numero delle metastasi e l’aggressività della malattia. Un controllo di questo marcatore dopo una terapia sistemica è spesso correlato con una risposta, viceversa, una ripresa è spesso patognomonica di resistenza alla terapia in corso.

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2.0 INQUADRAMENTO GENERALE DEL TRATTAMENTO DEL

CARCINOMA PROSTATICO

Ad oggi sia per la malattia localizzata che per la malattia sistemica esistono numerose opzioni di trattamento per il carcinoma prostatico: le politiche di “sorveglianza attiva” e “vigile attesa”, la chirurgia, la radioterapia e l’ormonoterapia, le quali possono anche combinarsi secondo vari schemi. La scelta del trattamento deve essere ponderata su diversi fattori, alcuni legati alla biologia del tumore altri legati alle caratteristiche cliniche del paziente; la stadiazione clinica e patologica del tumore, l’aggressività biologica del tumore, l’aspettativa di vita del paziente e la presenza di comorbilità non oncologiche.

2.1 Terapia nella malattia organo-confinata

Esistono tre tipi di trattamenti locali con finalità curativa (che quindi hanno come obiettivo quello di eradicare completamente la malattia): la chirurgia, la radioterapia a fasci esterni e la brachiterapia. Allo stato dell’arte non esistono studi randomizzati che dimostrino differenze sul controllo locale di malattia di uno di questi trattamenti. L’identificazione del trattamento più appropriato per ciascun paziente andrebbe quindi discusso e valutato sulle esigenze del singolo caso. Dunque parte della scelta spetta al paziente che deve essere adeguatamente informato sugli svantaggi e vantaggi inerenti a ciascun trattamento e in ogni caso il trattamento deve essere discusso da un gruppo multidisciplinare di esperti.

2.1.1 La chirurgia

La prostatectomia radicale rappresenta una delle scelte terapeutiche con finalità curative proponibili nei pazienti con malattia organo-confinata, che non abbiano controindicazioni all’intervento chirurgico o gravi comorbilità e che abbiano un’aspettativa di vita superiore o uguale a 10 anni38-40. L’intervento chirurgico consiste nell’asportazione della prostata, delle vescichette seminali e del tessuto circostante così da ottenere margini chirurgici negativi indenni dall’interessamento neoplastico. Vi è indicazione ad eseguire anche una lifoadenectomia pelvica bilaterale, che ha finalità di controllo di malattia e di stadiazione, se la percentuale di rischio di metastasi linfonodali calcolata mediante appositi nomogrammi è

superiore al 5% (nomogramma di Briganti)41,42. Le tecniche chirurgiche utilizzate possono

essere diverse: la prostatectomia radicale retropubica (chirurgia “open”) e due approcci mini-invasivi, la prostatectomia radicale laparoscopica e la prostatectomia laparoscopica

robot-assistita43-45, tecnica che sta rapidamente divenendo la più utilizzata per il più basso rischio di

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alla chirurgia sono l’incontinenza urinaria, la disfunzione erettile (l’incidenza aumenta con l’età) e il linfocele, strettamente legato all’esecuzione della linfoadenectomia estesa. In pazienti selezionati, la disfunzione erettile può essere maggiormente preservata mediante la tecnica “nerve-sparing”.

2.1.2 Il ruolo della radioterapia e tecniche radioterapiche

Alcune caratteristiche del tumore prostatico quali la tendenza alla progressione locale, l’evoluzione metastatica tardiva e la vicinanza di organi con elevato rischio di tossicità rendono questa neoplasia ideale per trattamenti loco-regionali quali quello radioterapico. La radioterapia riveste un ruolo fondamentale nel trattamento curativo del carcinoma prostatico localizzato e trova indicazione sia come trattamento esclusivo che associato alla chirurgia (con intento adiuvante o di salvataggio). Le tecniche a disposizione con cui vengono impiegate le radiazioni ionizzanti sono la radioterapia a fasci esterni (EBRT) e la brachiterapia (BRT).

La radioterapia a fasci esterni (EBRT)

Il trattamento è erogato attraverso un acceleratore lineare (LINAC) fornito di collimatori multilamellari. Ad oggi sono disponibili le tecniche 3D e IMRT (Intensity-Modulated

Radiation Therapy) che permettono di ottenere un ottimo indice terapeutico e di conformare

elevate dosi (≥74 Gy) al volume bersaglio con estrema precisione, riducendo significativamente l’irradiazione dei tessuti sani circostanti e quindi riducendo la tossicità del trattamento. I vantaggi della radioterapia consistono nell’evitare le tipiche complicazioni legate all’intervento (sia chirurgiche sia anestesiologiche) e dunque può essere offerta a quei pazienti che hanno controindicazioni all’intervento chirurgico. I possibili svantaggi della radioterapia sono la lunga durata del trattamento, spesso superiore alle sette settimane, e il rischio di incorrere in effetti collaterali acuti (nel corso del trattamento o immediatamente a termine) o tardivi (dopo mesi o anni) a carico dell’apparato genito-urinario e gastro-intestinale. In circa il 50% dei pazienti si manifestano tossicità acute vescicali quali pollachiuria, disuria, stranguria, urgenza minzionale causate da cistiti o uretriti. Come già accennato, l’incontinenza urinaria, la stenosi uretrale e l’impotenza sono effetti collaterali tardivi presenti in percentuale nettamente inferiore rispetto alla chirurgia46,47. Per quanto riguarda l’apparato gastro-intestinale l’effetto collaterale maggiormente riscontrato è il sanguinamento rettale spia di una proctite acuta o cronica. Con l’introduzione delle nuove tecniche di radioterapia fistole, stenosi e perforazioni sono evenienze molto rare. Rispetto alla

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chirurgia, la radioterapia, presenta più bassi rischi di incontinenza e stenosi uretrale, con preservazione della funzione erettile nel breve periodo. La tossicità legata alla funzione sessuale purtroppo è più frequente sul lungo periodo, dopo un periodo di alcuni anni, a causa della tossicità tardiva del trattamento.

La Brachiterapia (BRT)

I pazienti con malattia a basso rischio possono essere candidati a Brachiterapia, trattamento che consiste nell’impianto temporaneo (High Dose Rate-HDR) o permanente (Low Dose Rate-LDR) di sorgenti radioattive nel parenchima prostatico48. Gli isotopi radioattivi inseriti sono lo Iodio125 o il Palladio103, sigillati in capsule di titanio. L’intervento d’impianto avviene per via perineale in anestesia generale o spinale sotto guida ecografica trans-rettale e si avvale di specifici software per la pianificazione del trattamento. I pazienti a rischio intermedio e alto possono trovare indicazione all’associazione tra radioterapia a fasci esterni e LDR, altresì in pazienti selezionati la HDR può essere utilizzata come sovradosaggio dopo radioterapia a fasci esterni49.

Gli effetti collaterali più importanti sono la ritenzione urinaria (1,5-22%), l’incontinenza (8,7)

e la disfunzione rettile che può emergere tardivamente a distanza di 3-5 anni (40%)50.

2.2 Terapia della malattia extraprostatica loco-regionale

Una volta disponibile l’esame istologico di una prostatectomia, i pazienti che presentano malattia localmente avanzata (“extra prostatica”, pT 3-T4 e/o N1), e quindi con un alto rischio di ricaduta locale, possono ancora avere come obiettivo quello di un controllo locale attraverso diversi percorsi terapeutici postoperatori, nei quali la radioterapia svolge un ruolo di primo piano.

La radioterapia postoperatoria (adiuvante)

I pazienti sottoposti a prostatectomia radicale che presentano caratteristiche istopatologiche sfavorevoli (margini di resezione chirurgica positivi, invasione neoplastica delle vescichette seminali, estensione extracapsulare della malattia) hanno un maggior rischio di recidiva

biochimica calcolato tra il 45% e il 65% a 5 anni51. Tre studi clinici prospettici randomizzati

(SWOG 879452, EORTC 2291153 e ARO 96-0254) hanno confrontato la radioterapia

post-operatoria con la sola osservazione in pazienti con caratteristiche istopatologiche ad alto rischio ed hanno mostrato come la radioterapia post-operatoria (adiuvante) riduca l’incidenza di recidiva biochimica, di recidiva locale e di progressione clinica a 10 anni51. Dunque

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l’irradiazione della loggia prostatica entro 4-6 mesi dall’intervento chirurgico di prostatectomia è raccomandata in questa categoria di pazienti. In casi selezionati in cui è stata riscontrata positività linfonodale a livello pelvico dopo prostatectomia (p N1) può essere

proposta una RT post-operatoria pelvica immediata associata a ormonoterapia adiuvante55,56.

La radioterapia di salvataggio (SRT)

Nei pazienti che dopo prostatectomia sviluppano una recidiva biochimica (PSA >0,2 ng/ml riscontrato in due misurazioni successive) è raccomandato il trattamento radiante sul letto

prostatico, che può avere ancora un intento curativo57,58. In molti studi retrospettivi

osservazionali e da una Sub Group analysis dello studio randomizzato SWOG 8794 è emerso che i pazienti che iniziano SRT con valori di PSA ≤ 1ng/ml hanno una sopravvivenza libera da recidiva biochimica più lunga rispetto a quelli con PSA >1 ng/ml51 e un trattamento eseguito con valori di PSA compresi tra 0,2 e 0,5 ng/ml consente di ottenere un outcome ancora migliore.

3.0 RUOLO DELLA RADIOTERAPIA STEREOTASSICA NELLA

MALATTIA OLIGOMETSTATICA

3.1 Il paziente oligometastatico

Nel 1995 Hellman e Weichselbaum proposero per primi il concetto di malattia oligometastatica, uno stadio della malattia metastatica con un ridotto numero di lesioni e una

prognosi più favorevole59. Dopo più di 20 anni, grazie agli strumenti diagnostici sempre più

evoluti e disponibili per la pratica clinica, il numero dei pazienti riscontrabili nella pratica clinica con un ridotto numero di lesioni attive rappresenta una percentuale sempre maggiore e diversi lavori retrospettivi hanno valutato l’impatto di una terapia locale sulle lesioni metastatiche. Attualmente, i pazienti con recidiva biochimica con un PSA tot >1,4 ng/dl vengono stadiati con una PET/CT con colina e valutati per una terapia locale se hanno un numero ridotto di lesioni attive.

Quando Hellmannel 1995 ha pubblicato l’editoriale59 che ha assegnato il nome ai pazienti con

una malattia metastatica limitata a poche lesioni non ha indicato alcuna terapia locale come possibile strumento alternativo alla terapia sistemica. Ad oggi, infatti, mancano ancora i risultati di studi prospettici che forniscano delle indicazioni sui possibili benefici nel trattare con tecniche ablative le lesioni presenti e che forniscano delle indicazioni sul numero

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massimo di lesioni candidabili a un approccio locale come la chirurgia o la SBRT. Sebbene siano in corso diversi studi prospettici (con diversi criteri di definizione del concetto di oligometastatico e nell’approccio radioterapico) al momento non è ancora disponibile un endpoint legato alla sopravvivenza di questi pazienti. Negli studi disponibili, quasi tutti con un disegno retrospettivo, inoltre è posta maggiore attenzione all’aspetto radioterapico che alla definizione del termine oligometastatico e non sono riportati dettagli sull’imaging funzionale utilizzato per definire i pazienti oligometastatici. I risultati preliminari dello studio riportato in questa tesi, pubblicati alla fine del 2015, rappresentano a oggi l’unico dato derivato da uno studio prospettico. In questa esperienza abbiamo infatti deciso di concentrarci sulla definizione del paziente oligometastatico (termine legato all’imaging che si utilizza nello stadiare i pazienti) e sulle implicazioni cliniche dei trattamenti stereotassici delle lesioni metastatiche evidenziate alla PET/CT con colina.

Anche in assenza di evidenze cliniche, la radioterapia stereotassica trova una sua giustificazione in diversi modelli biologici di pazienti oligometastatici, sia nel modello lineare di sviluppo della malattia metastatica che nel modello parallelo. Grazie alle nuove tecnologie di sequenziamento genomico che consentono l’analisi filogenetica dei tumori primitivi e delle loro metastasi è stato possibile formulare dei modelli empirici riguardanti lo sviluppo delle metastasi60. Nel modello di progressione lineare (Fig. 1A) le cellule del tumore primitivo subiscono diversi cicli di alterazioni genetiche e di selezione competitiva fino a divenire in grado di disseminarsi a distanza in altri organi. Di fatto numerose analisi condotte sul genoma dimostrerebbero un elevato grado di somiglianza genetica tra i tumori primitivi e le loro metastasi61-67.

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Figure 1. Potential therapeutic window for oligometastasis ablation in the linear progression model. A, A hypothetical phylogenetic analysis in a patient with metastatic CRC demonstrates the linear progression model and metastatic cascades. B. if detected early, ablation of progenitor metastases could preempt the triggring of metastatic progression. P indicates the primary tumor;M, metastases. Rohann J.M Correa et al. The Cancer Journal 2016.

Secondo il modello di progressione parallela, invece, la disseminazione delle cellule tumorali metastatiche si verificherebbe precocemente e indipendentemente rispetto allo sviluppo del tumore primitivo60 e questo implicherebbe la presenza di alcune differenze genetiche tra i cloni metastatici e le cellule del tumore primitivo68-70 (Fig. 2A). Si ritiene che molto probabilmente la progressione parallela sia su base multifattoriale, l‘acquisizione indipendente di mutazioni di uno stesso gene in diverse popolazioni cellulari sub-clonali condurrebbe allo sviluppo parallelo delle due popolazioni. Questo spiegherebbe l’eterogeneità genetica esistente tra le lesioni metastatiche e il tumore primitivo riscontrata in numerose neoplasie maligne.

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Figure 2. Potential therapeutic window for oligometastasis ablation in the parallel progression model. A, A hypothetical phylogenetic analysis in a patient with metastatic RCC demonstrates the parallel progression model and metastatic cascades. B. if detected early, ablation of progenitor metastases could preempt thr triggring of metastatic progression. P indicates the primary tumor; M, metastases.

Rohann J.M Correa et al. The Cancer Journal 2016.

Nel 2009, per la prima volta, dopo essere stata comprovata in diversi modelli sperimentali, è stata pubblicata una nuova teoria riguardante lo sviluppo delle metastasi, definita

“self-seeding” 71,72. Tramite questa teoria è stato messo in discussione il principio secondo il quale le cellule che per prime lasciano il tumore primitivo per immettersi nel circolo sanguigno, dette cellule tumorali circolanti (CTC), sono responsabili in maniera unidirezionale della formazione di metastasi linfonodali e/o a distanza. Da numerosi studi sono emerse evidenze per le quali le cellule tumorali circolanti possono muoversi in maniera multi-direzionale e quindi sono in grado di “ricolonizzare” anche il tumore di origine73. Ciò potrebbe aprire la strada a nuovi progressi in ambito diagnostico e terapeutico.

Altro aspetto molto interessante e comune a entrambi i modelli di progressione lineare e parallela, è il concetto di cascata metastatica, ossia la capacità di una metastasi di generare, di solito in un ristretto arco temporale, altre cellule metastatiche geneticamente simili al clone

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cellulare da cui derivano60. Tale capacità può variare in base al paziente, al tipo istologico di

neoplasia e alla biologia del tumore stesso74. Sembrerebbe che durante lo stadio

oligometastatico i cloni cellulari non abbiano ancora acquisito le capacità necessarie a dare il via a una cascata metastatica che renderebbe la neoplasia molto diffusa e quindi anche più difficilmente trattabile con terapie sistemiche ad ogni modo palliative (classico della malattia

multimetastatica)75,76. Con ciò nasce il razionale biologico per cui intervenendo in questa fase

di malattia tramite una terapia ablativa sulle lesioni attive, quale la radioterapia stereotassica, si potrebbero controllare le sedi dove avvengono i riarrangiamenti genetici che portano alla comparsa di cloni cellulari responsabili della progressione metastatica e così ritardare

l’insorgenza di una malattia disseminata con maggiore aggressività (Fig. 1B, 2B)77.

L’obiettivo attuale degli studi traslazionali in corso su questo argomento è quello di avvicinarsi alla comprensione dei meccanismi biologici alla base del processo di metastatizzazione che ci permetta di individuare biomarker predittivi di evoluzione della malattia oligometastatica nella forma più aggressiva multimetastatica e quindi utili nell’ottenere una selezione più accurata dei pazienti candidabili a terapia ablativa.

3.2 La PET/CT con colina nel tumore della prostata

L’avanzamento tecnologico degli ultimi anni in campo diagnostico ci ha permesso di ottenere la fusione d’immagini funzionali a contenuto metabolico (PET) con immagini anatomiche (TC) così da consentire di ottenere informazioni sempre più dettagliate sulla localizzazione e sull’estensione tumorale. La PET/CT rappresenta la metodica di imaging funzionale più utilizzata nella stadiazione dei pazienti con recidiva di adenocarcinoma prostatico e basa la sua sensibilità sull’utilizzo di un radionuclide in grado di accumularsi nelle membrane delle cellule prostatiche sia normali che patologiche. La sensibilità e specificità della PET/CT nelle recidive di adenocarcinoma prostatico è stata valutata fin ora con studi retrospettivi e rappresenta a oggi la metodica più sensibile nella pratica clinica per l’individuazione di lesioni scheletriche e linfonodali, anche in presenza di bassi livelli di PSA (PSA >1.4 ng/ml). Nel corso degli ultimi anni sono stati utilizzati numerosi traccianti capaci di accumularsi nel tessuto prostatico, la PET/CT con Colina ha dimostrato avere rendimenti superiori con maggiore sensibilità e specificità rispetto alla PET/CT con 18F-FDG (Fluorodeossiglucosio) e il radionuclide Colina marcato con carbonio 11 è risultato essere migliore del 18-FDG (fluoro-desossi-glucosio) specie per la più breve emivita di circa 20 minuti rispetto ai 110

minuti della 18F-Colina78,79. Ad oggi la PET/CT con [11C] Choline o [18F] Fluoro-Methyl

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17

caratterizzazione dei pazienti oligometastatici. Nei pazienti con recidiva biochimica dopo chirurgia la sensibilità della PET/CT con colina è del 5-24% se il PSA è <1 ng/ml. Raggiunge una sensibilità del 67-100% per valori intorno a 5 ng/ml o PSA velocity > 2ng/ml/anno o PSA dt < 3 mesi80-82.

3.3 Trattamento sistemico della malattia metastatica

Nel tumore della prostata le localizzazioni metastatiche più comuni sono quelle dei linfonodi regionali contenuti nella piccola pelvi (N1), e quelle localizzate a distanza (M) nei linfonodi extraregionali situati oltre la piccola pelvi e nelle sedi ossee

.

I pazienti metastatici possono essere suddivisi in due gruppi sulla base dei trattamenti già effettuati: pazienti con malattia ormonosensibile e quelli con malattia resistente alla castrazione. La prima categoria di pazienti ad oggi è trattata con l’ormonoterapia ed è ancora dibattuto quale sia il miglior timing per iniziare questa terapia, al momento della recidiva di malattia o in una fase più avanzata. Lo studio osservazionale CaPSURE83 che ha valutato 2096 pazienti trattati con terapia di deprivazione androgenica (ADT) immediata vs differita, ha mostrato che il rischio di mortalità è sovrapponibile e la sopravvivenza a 5 e 10 anni è identica. Al momento della comparsa di metastasi a distanza o nei pazienti metastatici alla diagnosi, il gold standard della terapia è rappresentato dalla deprivazione androgenica farmacologica o chirurgica (non più adottata nei paesi sviluppati). I farmaci utilizzati sono gli analoghi agonisti del LH-RH ( buserelin, goserelin, leuprolide e triptorelina ) e gli antagonisti

del LH-RH ( cetrorelix, ganirelix, abarelix, degarelix ) che hanno dimostrato uguale

efficacia84-91. L’obiettivo dell’ormonoterapia è di ridurre i livelli di testosterone circolante sotto i 50 ng/ml92, anche se secondo alcuni autori il livello ottimale che garantirebbe un miglio impatto sulla sopravvivenza sarebbe sotto i 20 ng/ml. Tale terapia oltre a richiedere un lungo tempo di trattamento non è tuttavia priva effetti collaterali che possono ripercuotersi sullo stato di salute generale e sulla qualità di vita del paziente, vengono riportati vampate di calore, anemia, perdita della potenza e della libido, osteoporosi, stanchezza cronica, sindrome metabolica e riduzione della massa muscolare93-95. Particolare attenzione va riservata allo sviluppo della sindrome metabolica (aumento dei livelli ematici di colesterolo, LDL e trigliceridi, bassi livelli di HDL, sviluppo di obesità di tipo centrale, ipertensione arteriosa e ridotta tolleranza glucidica con possibile evoluzione verso un diabete mellito di tipo II) perché correlata con elevato rischio cardiovascolare per il paziente. Anche se con diversi gradi di complessità, sembra essere riscontrata in più del 50% dei pazienti con carcinoma della prostata già dopo un anno di trattamento96-100. Il rischio di tossicità cardiovascolare legato

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18

all’ADT sembra avere maggiore incidenza nei primi sei mesi di trattamento nei pazienti con

preesistenti comorbidità cardiovascolari101. Inoltre bisogna ricordare come l’impiego di

agonisti LH-RH nelle fasi iniziali del trattamento possa indurre un peggioramento dei sintomi

legati alla neoplasia (es dolore, sintomi ostruttivi o compressivi ecc..)102 perché produrrebbe

un transitorio aumento del testosterone che alimenterebbe la crescita tumorale (fenomeno del flare-up). Si può ovviare a tale effetto paradosso somministrando antiandrogeni per almeno 4 settimane103. Nella figura 3 viene riportata la ideale sequenza delle terapie sistemiche e del valore del PSA in un paziente con carcinoma prostatico metastatico.

Figura 3. Decorso clinico del carcinoma prostatico e relative terapie applicabili.

3.4 La Radioterapia Stereotassica

La Radioterapia Stereotassica (SBRT, Stereotactic Body Radiation Therapy) è una tecnica utilizzata per il trattamento di lesioni con piccoli volumi che consente di erogare con estrema accuratezza e precisione una dose elevata di radiazioni, tale da provocare la necrosi del tessuto irradiato e avere un effetto ablativo104-106. Grazie all’estrema conformazione della dose, la radioterapia stereotassica è caratterizzata da un ottimo indice terapeutico ed è gravata da basse tossicità. La radioterapia stereotassica è stata introdotta dal medico svedese Lars Leksel nel 1953 per il trattamento delle lesioni metastatiche a localizzazione intracranica. La fissazione chirurgica della scatola cranica o l’utilizzo di maschere termoplastiche garantivano una corretta immobilizzazione del paziente così da poter essere estremamente precisi durante l’irradiazione. Il successo ottenuto in questa sede anatomica ha spinto diversi ricercatori a

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19

valutare il possibile utilizzo della radioterapia stereotassica anche in sede extracranica come lesioni polmonari, epatiche, ossee, colon-rettali e infine anche sulla prostata. La problematica maggiore inerente al trattamento extracranico era quella di assicurare una irradiazione mirata nonostante il fisiologico movimento di alcuni organi come ad esempio polmone e fegato durante la respirazione. Grazie alle innovazioni tecnologiche registrate negli ultimi anni, oggi la SBRT rappresenta un’opzione terapeutica per tutti quei pazienti metastatici garantendo un controllo della lesione trattata in assenza di tossicità importanti. In funzione del diverso frazionamento utilizzato si distingue la Radiochirurgia che prevede un’unica frazione, dalla Radioterapia stereotassica, in cui la dose totale è frazionata in un massimo di 5 sedute.

Numerosi studi hanno dimostrato che utilizzando la SBRT per il trattamento delle metastasi epatiche, polmonari, colon-rettali, linfonodali e ossee nei pazienti oligometastatici si ottiene un elevato controllo locale di malattia107. Greco et al. hanno riportano i risultati ottenuti da una analisi condotta tra il 2004 e il 2007 su 103 pazienti trattati al Memorial Sloan Kettering Cancer Center per un totale di 124 lesioni metastatiche (ossee, linfonodali, epatiche, polmonari e in altri tessuti molli) trattate con una singola dose di SBRT compresa tra 18 Gy e

24 Gy108. La maggior parte delle metastasi originava da prostata (n₌42), rene (n₌35) e

colon-retto (n₌15). A 8 settimane dal trattamento, per valutare il controllo locale di malattia ottenuto, i pazienti sono stati sottoposti a CT, RMN e PET/CT ripetute con intervalli di 3-4 mesi per i primi due anni. È stata considerata una progressione locale, in accordo con i Criteri di Valutazione di Risposta nei Tumori Solidi (Response Evaluation Criteria in Solid

Tumors-RECIST), un aumento ≥ 20% della somma di tutti i diametri più piccoli misurabili. Dopo un

follow-up mediano di 18 mesi, (range 2-45 mesi) è stato registrato un tasso di controllo locale di malattia per tutte le lesioni trattate del 64% a due anni e un tempo medio di progressione di malattia di 9,6 mesi (range 1-23 mesi). Il 22% delle lesioni ha ottenuto una riposta completa al trattamento per dosi elevate (23-24 Gy), mentre risposte parziali sono state osservate per le lesioni trattate con più bassi livelli di dose (18-21 Gy), il tasso di sopravvivenza libero da progressione locale di malattia si è dimostrato dunque essere strettamente legato al livello di dose erogata (bassa, intermedia o elevata) dimostrato anche da una rapida curva dose-risposta (Fig. 4). All’analisi multivariata l’istotipo della lesione trattata, le dimensioni della lesione e l’organo trattato non sono stati identificati come fattori predittivi statisticamente significativi del tasso di sopravvivenza libera da progressione locale di malattia; è stato osservato un controllo locale rispettivamente dell’85%, 80%,75% e 72% per prostata, cellule renali, colon-retto e altri tipi istologici (Fig. 5). Il trattamento è stato generalmente ben tollerato, l’incidenza complessiva di tossicità tardive di grado 3 è stato inferiore al 4%. In conclusione questo

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20

studio retrospettivo conferma che la SBRT è una procedura non invasiva con la quale si può ottenere un buon controllo locale di malattia metastatica indipendentemente dall’organo target e dal tipo istologico di tumore, erogando dosi di radiazioni sufficientemente elevate(>22Gy).

Figure 4. Actuarial local control (Kaplan-Meir method) by dose level. Y axis represents local relapse-free survival (). Greco et al. Int.J Radiation Oncology Biol. Phys.2009.

Figure 5. Actuarial local control (Kaplan-Meir method) at the high dose level for all histologies. Y axis represents local relapse-free survival (%; p = 0.90). Greco et al. Int.J Radiation Oncology Biol. Phys.2009.

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21

Anche una recente revisione sistematica della letteratura condotta da Tree et al. nel 2013 riguardante l’uso della radioterapia stereotassica nei pazienti oligometstatici affetti da diversi tumori primitivi conclude che il tasso di controllo locale delle lesioni trattate è molto alto (80%) e a distanza di 2-3 anni dal trattamento circa il 20% dei pazienti sono liberi da

progressione di malattia109. A questo risultato clinico si aggiunge che he il trattamento è stato

ben tollerato, le tossicità riscontrate infatti sono state di basso grado.

4.0: ANALISI DI UNA COORTE DI 45 PAZIENTI AFFETTI DA

CARCINOMA PROSTATICO OLIGOMETASTATICO TRATTATI

CON SBRT GUIDATA DALLA [18F] FLUORO METHYL

CHOLINE PET/CT NELLA FINESTRA TEMPORALE DA

DICEMBRE 2010 A GENNAIO 2017.

4.1 Introduzione e razionale

Attualmente, di fronte a pazienti con carcinoma prostatico asintomatici che hanno presentano un rialzo del valore di PSA a seguito del fallimento della strategia curativa, ci si interroga su quale sia il timing ottimale per iniziare una terapia sistemica (chemioterapia o terapia ormonale): precocemente, subito dopo la diagnosi di recidiva biochimica, o più tardivamente, quando il paziente sviluppa la sintomatologia associata al tumore. Recentemente la sempre maggiore disponibilità e il miglioramento delle tecniche di imaging funzionale (PET/CT con [18F] FMCH) hanno aumentato la possibilità di riconoscere le lesioni attive metastatiche, permettendo ai medici di identificare pazienti con uno stato di malattia ancora limitato e con prognosi migliore definiti “oligometastatici”. In questa categoria di pazienti vi sono evidenze crescenti riguardo al fatto che l’utilizzo di una terapia locale (SBRT o chirurgia) contro tutte le sedi di malattia attive può portare al controllo del PSA e quindi alla possibilità di poter posticipare una terapia sistemica, con un notevole vantaggio per i pazienti in termini di miglioramento della qualità di vita, considerando che l’inizio dell’ormonoterapia e della chemioterapia possono associarsi a numerosi effetti collaterali110. Nonostante negli ultimi anni si è assistito alla nascita di una cospicua letteratura sull’argomento, al momento quasi tutti gli studi hanno un disegno retrospettivo e pongono maggiore attenzione all’aspetto radioterapico piuttosto che alla definizione del termine oligometastatico.

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22

Considerando l’assenza di solide evidenze scientifiche che dimostrino benefici di un

trattamento ormonoterapico immediato rispetto a un trattamento differito83 al momento della

comparsa di metastasi a distanza, dei sintomi o all’insorgere di un rapido raddoppiamento del PSA, di recente è stata posta l’attenzione su un nuovo tipo endpoint considerato surrogato della sopravvivenza: la sopravvivenza libera da terapia sistemica (systemic therapy free

survival), il tempo medio che intercorre tra il primo giorno di trattamento stereotassico e

l’inizio della ormonoterapia.

Lo studio che per primo si è posto l’obiettivo di determinare in maniera retrospettiva la sopravvivenza libera da ormonoterapia (ADT-FS) è stato condotto da Berkovic et al. nel 2012, prendendo in esame, tra Maggio 2005 e Agosto 2011, 24 pazienti che avevano sviluppato una recidiva biochimica da carcinoma prostatico dopo terapia con intento curativo (prostatectomia

radicale, radioterapia esclusiva o una combinazione di entrambe)111. Al momento della

recidiva biochimica, i pazienti sono stati stadiati con scintigrafia ossea e con PET/CT con colina (n₌4) o con 18FDG (n₌20) che hanno individuato un numero limitato di metastasi (<3) ossee e/o linfonodali, successivamente trattate con SBRT (dose media di 50 Gy distribuita in 10 frazioni). La terapia di deprivazione androgenica è stata iniziata solo se durante il follow-up venivano individuate più di tre lesioni metastatiche sincrone, anche nei pazienti asintomatici o in caso di crescita del PSA oltre i 50 ng/ml in assenza di metastasi. Il follow-up mediano è stato di 24 mesi. Le conclusioni riportano che trattamenti ripetuti con radioterapia stereotassica sono applicabili, ben tollerati e posticipano il trattamento palliativo ormonoterapico con una media di 38 mesi nei pazienti con metastasi ossee e linfonodali limitate (ADT-FS dell’82% ad un anno e del 54% a due anni) (Fig. 6).

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Figure 6. Kaplan-Meier Curve Representing Androgen Deprivation Therapy-Free Survival. Berkovic et al. Clinical Genitourinary Cancer.2013.

Uno studio analogo è stato condotto da Decaestecker et al. nel 2014, che nella finestra temporale Maggio 2005 - Ottobre 2013 ha valutato in maniera retrospettiva i dati riguardanti 50 pazienti asintomatici con <3 metastasi ossee e/o linfonodali da carcinoma prostatico diagnosticate con PET/CT (18F-FDG o 18F-Colina) e trattate con SBRT (totale 70 lesioni trattate)112. Sono state applicate due diverse schedule di radioterapia: per i pazienti trattati tra il 2005 e maggio 2012 è stata utilizzata una dose di 50 Gy in 10 frazioni da 5 Gy combinata con una singola iniezione di analogo LHRH, mentre per i pazienti successivi è stata erogata una dose di 30Gy in tre frazioni da 10 Gy senza concomitante analogo LHRH. Il follow-up mediano è stato di 24 mesi. I risultati ottenuti hanno permesso di arrivare alla conclusione che la SBRT ripetuta nei pazienti oligometastatici è in grado di posticipare l’ormonoterapia palliativa di 2 anni (ADT-FS medio di 25 mesi) senza determinare tossicità di grado tre. In entrambi gli studi riportati si evidenziano delle limitazioni rappresentate dal numero ridotto di pazienti, dalla mancanza di un gruppo di controllo sottoposto a sorveglianza attiva e dal fatto che i pazienti (tutti e 24 nello studio Berkovic e solo i pazienti fino a maggio 2012 nello studio Decaestecker) sono stati sottoposti un mese prima della SBRT a un’iniezione di un analogo LHRH con funzione radiosensibilizzante. Questo avrebbe influenzato la valutazione del PSA nei 2-4 mesi successivi (tempo di durata dell’azione del farmaco sulla soppressione

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del testosterone) rendendo più difficoltosa l’individuazione di recidive biochimiche precoci. Inoltre l’assenza di un protocollo standard per l’uso dell’imaging nella ristadiazione ha fatto sì che alcuni pazienti sono stati ristadiati con PET/CT FDG e altri con PET/CT Colina, con il rischio per i primi di una sottostadiazione e conseguente sottostima dei benefici del trattamento con SBRT.

L’obiettivo che ci siamo posti in questo studio prospettico è stato quello di valutare la sopravvivenza libera dalla terapia sistemica in un gruppo di pazienti con recidiva di carcinoma prostatico oligometastatico, ossia il tempo intercorso tra la PET/CT con [18F] FMCH utilizzata per definire la malattia oligometastatica e l’inizio dell’ormonoterapia o della chemioterapia.

4.2 Materiali e metodi

Il presente studio è stato approvato dal Comitato Etico area Vasta Nord Ovest della Toscana. Presso l’Unità Operativa di Radioterapia e Medicina Nucleare dell’Università degli Studi di Pisa è stata condotta una valutazione prospettica in un gruppo di pazienti con carcinoma prostatico oligometastatico trattati con SBRT guidata dalla PET/CT con [18F] FMCH. Nel gruppo sono stati inclusi sia pazienti naïve agli ormoni che pazienti con carcinoma prostatico resistenti alla castrazione. I criteri d’inclusione erano rappresentati dalla diagnosi di carcinoma prostatico documentata istologicamente, la presenza di recidiva biochimica a seguito di un trattamento radicale e l’assenza di recidiva locale. La recidiva biochimica era definita da valori PSA >0,2 ng/ml riscontrati in due misurazioni successive nei pazienti sottoposti a prostatectomia radicale, da tre incrementi consecutivi di PSA oltre il valore di nadir dopo radioterapia a fasci esterni (EBRT) o da valori di PSA rilevabili in tre dosaggi successivi che indicavano fallimento della terapia nei pazienti con carcinoma prostatico resistente alla castrazione. Una volta accertata la recidiva biochimica tutti i pazienti sono stati stadiati con PET/CT con [18F] FMCH iniettata per via endovenosa in dosi di circa 4 MBq/Kg per peso corporeo e per ottenere le scansioni TC è stato usato il GE Discovery ST (GE Healthcare). Sono stati ritenuti valutabili per questa analisi i pazienti che presentavano un numero di lesioni attive minore o uguale a 3, tutti i casi sono stati discussi e approvati da un team multidisciplinare. Le scansioni PET/CT sono state interpretate dai radiologi e dai medici di medicina nucleare in cieco con le conoscenze riguardanti la storia clinica dei pazienti e con i valori di PSA. Le immagini sono state lette in sequenza grazie ad un software per PET/CT avanzato (Advantage for Windows, versions 4.2 to7; GE Medical Systems) che permette uno scorrimento simultaneo attraverso le corrispondenti immagini PET, CT e la fusione delle

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25

immagini sul piano trasversale, coronale e sagittale. Ogni accumulo focale di tracciante al di fuori della sua fisiologica distribuzione è stato considerato suggestivo di malattia e l ’analisi semi-quantitativa delle anomale captazioni è stata eseguita usando il valore standardizzato di captazione massimo (SUV max). Non è stata eseguita alcuna biopsia delle lesioni sospette, in caso di risultati equivocabili alla PET/CT è stata eseguita a completamento del quadro clinico una risonanza magnetica. Le possibili recidive locali sono state escluse con l’esplorazione rettale digitale e con la risonanza magnetica multiparametrica (MRI). In presenza di recidiva biochimica dopo SBRT (2 consecutivi rialzi del valore di PSA oltre le sei settimane) i pazienti sono stati sottoposti ad una nuova [18F] FMCH PET/CT, al persistere di uno stato di malattia oligometastatica è stato pianificato un ulteriore trattamento con SBRT, al contrario in presenza di un numero di lesioni attive sincrone superiore a tre (malattia multimetastatica) i pazienti sono stati trattati con terapia sistemica (ormonoterapia o chemioterapia) in accordo con le linee guida dell’Associazione Europea di Urologia (EAU) anche se asintomatici. La storia clinica del paziente è stata raccolta sia al momento dell’arruolamento che a ogni rivalutazione clinica in modo da poter valutare le comorbidità e la loro gravità mediante la Cumulative Illness Rating Scale (CIRS). Durante il trattamento i pazienti sono stati valutati prima di ogni seduta e successivamente a 1 e a 3 mesi. Inoltre sono state programmate visite di follow-up con dosaggio del PSA a 6 settimane dal trattamento, ogni 3 mesi durante i primi due anni e ogni 6 mesi a seguire.

4.3 Tecnica della SBRT

La tecnica radioterapica impiegata è stata la SBRT guidata dalla PET/CT con [18F] FMCH, il trattamento è stato eseguito usando la piattaforma Varian True Beam® e impiegando fotoni ad energia di 6MV flattening filter-free. Per la pianificazione del trattamento è stato usato RapidArc®system e le immagini assiali CT sono state ottenute utilizzando Light Speed RT 16-slice simulator (GE HealthCare). Le scansioni sono state acquisite con uno spessore e un intervallo medio di 1.25 mm con paziente in posizione supina con ginocchia e anche

immobilizzate. Il volume d’interesse clinico (CTV),ossia il volume che racchiude la lesione e

l’estensione microscopica di malattia, è stato pianificato utilizzando le informazioni

metaboliche ottenute dalla PET/CT con [18F] FMCH. Il volume effettivo di trattamento

(PTV) è stato ricavato aggiungendo al contorno del CTV un margine isotropico di 3 mm (2 mm per le metastasi ossee e 3 mm per i linfonodi). Sono state utilizzate due differenti schedule di trattamento: 24 Gy erogati in una singola seduta o una dose media di 27 Gy erogata in tre frazioni da 9 Gy ciascuna, 2-3 volte a settimana. La dose erogata è stata

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prescritta alla periferia del target. Prima di ogni frazionamento è stata eseguita una CT cone-beam per valutare il corretto posizionamento del paziente e nei soggetti trattati con una dose di 24Gy in singola frazione è stato somministrato Desametasone (4mg) un’ora prima della SBRT. Per evitare la tossicità del trattamento sugli organi a rischio sono stati utilizzati i vincoli stabiliti dal gruppo di lavoro 101 della American Association of Physicists in Medicine e lo sviluppo di tossicità è stato valutato e graduato utilizzando la scala CTCAE (Common Terminology Criteria for Adversevents) versione 4.0.

4.4 Analisi Statistica

È stata effettuata un’analisi di sopravvivenza utilizzando come end-point la Sopravvivenza Libera da Terapia Sistemica (SLTS). Il tempo di SLTS è stato definito come la differenza temporale, in mesi, tra la data della PET/CT eseguita dopo la diagnosi di recidiva e la data d’inizio della terapia sistemica o dell’ultimo follow-up. Le curve di sopravvivenza sono state calcolate con il metodo di Kaplan-Meier e per valutare le differenze tra le curve associate a categorie della stessa variabile, è stato usato il log-rank test (Fig. 7). Sono stati analizzati sei variabili di SLTS (GS, presenza di malattia resistente alla castrazione, numero e sede delle lesioni, delta PSA, PSA doubling time) impiegando il modello di Cox univariato (Tabella 1). Le variabili risultate significative all’analisi univariata sono state analizzate insieme in un modello di Cox multivariato, al fine di comprendere l’impatto di ogni singolo fattore sulla sopravvivenza. I risultati della regressione di Cox sono stati espressi in termini di hazard ratio (HR; con il relativo 95% CI) e di p-value (utilizzando il Wald test). Sono inoltre stati indicati anche i coefficienti di regressione per costruire il modello di Cox multivariato. La proporzionalità dell’hazard è stata anche verificata per mezzo delle curve log(-log). La significatività è stata fissata a 0,05. Tutte le analisi, descrittive e inferenziali, sono state condotte impiegando la tecnologia SPSS v.24.

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Figura 7. Curva di sopravvivenza libera da terapia sistemica costruita con il metodo di Kaplan-Meier.

Tabella 1. Analisi univariata e multivariata dei fattori prognostici di SLTS. CR: coefficiente di regressione.

Analisi uni variata Analisi multivariata (modello di Cox)

Fattori prognostici CR p-value HR 95% CI CR p-value HR 95% CI

GS -1,25 0,03 0,29 0,09 0,88 -0,83 0,18 0,43 0,13 1,47 (0) 6; (1) 7-8-9 Castration resistence 0,13 0,79 1,14 0,44 2,93 (0) no; (1) sì Rec LNF bone -0,38 0,33 0,68 0,32 1,47 (0) Lfn; (1) bone; (2) both Numero lesioni 0,47 0,40 1,60 0,53 4,81 (0) 1; (1) >1 Delta PSA 3,36 <0,001 28,66 6,63 123,8 3,25 <0,001 25,82 5,72 116,45 (0) D; (1) U PSA DT -0,01 0,84 0,99 0,87 1,12

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4.5 Risultati

In questo studio prospettico abbiamo riportato i risultati ottenuti dal trattamento con SBRT di 45 pazienti con carcinoma prostatico oligometastatico nel periodo compreso tra Dicembre 2010 e Gennaio 2017. Nella tabella 2 sono riportate le caratteristiche dei pazienti al momento dell’arruolamento. L’età media dei pazienti all’ingresso nello studio è stata 70,13 anni (range 50-81) e il tempo medio intercorso dalla diagnosi di carcinoma prostatico al momento

dell’arruolamento è stato 69,84 mesi (range 2-180 mesi). Tutti i pazienti sono stati sottoposti

a un’iniziale terapia locale per il tumore prostatico (16 prostatectomia radicale, 27 prostatectomia radicale seguita da radioterapia adiuvante o di salvataggio, 2 radioterapia esclusiva). All’ingresso nello studio il valore medio di PSA è stato di 2,69 ng/ml (range 0,8-27,40) e il valore medio di PSA DT di 12 mesi (range 1,6-17,4).

La maggior parte dei pazienti ha eseguito un solo ciclo di SBRT (n=38), per gli altri si è reso necessario, avendo sviluppato una o più recidive di malattia oligometastatica, ripetere il trattamento stereotassico: due cicli (n=3), tre cicli (n=1), quattro cicli (n=1), cinque cicli (n=1). In totale sono state trattate con radioterapie stereotassica 66 lesioni, di cui 22 ossee e 44 linfonodali. Il valore medio di PSA post-stereotassi è stato di 4.73 (range 0-57).

Durante lo studio 24 pazienti hanno iniziato la terapia sistemica (2 per scelta personale) e la decisione sul tipo di ADT o di chemioterapia è stata lasciata alla discrezione del medico. Undici pazienti soffrivano di una malattia resistente alla castrazione prima di aderire allo studio e dopo il riscontro di una malattia multi metastatica sono stati candidati a chemioterapia con docetaxel o abiraterone acetato. Dopo un follow-up mediano di 22,3 mesi (range 4,3-88,4) abbiamo valutato che la terapia sistemica è stata posticipata di 39,1 mesi (95%Cl :6,5-68,6). Per quanto riguarda le tossicità, il trattamento con radioterapia stereotassica (SBRT) è stato ben tollerato da tutti i pazienti e non si sono manifestate tossicità di grado tre.

(29)

29 Table 2. Characteristics all patients. Value

Number of patients 45

At Primary Diagnosis Age at diagnosis (yrs)

Median 70,13

Range 50-81

Gleason score

Median 7,29

Range 5-9

Follow-up from PCa diagnosis (yrs)

Median 22,3

Range 4,3-88,4

PSA at initial diagnosis (ng/ml)

Median 2,69 Range 0,8-27,40 PSA DT (mo) Median 12 Range 1,6-17,4 Treatments at diagnosis

Radical prostatectomy alone 16 (35,5%) Radical prostatectomy with postoperative RT 27 (60%)

Radiotherapy alone 2 (4,4%)

At SBRT

Site of lesions, n(%)

Bones 22 (33,3)

Lymph nodes 44 (66,6)

Number of lesions treated (for the first SBRT course) 53

1 lesion 38(84,4%) 2 lesions 6 (13,3%) 3 lesions 1 (2,2%) PSA post SBRT(ng/ml) Median 4.73 Range 0-57 Systemic Therapy No 21 (46,6%) Yes 24 (53,3%) Abbreviations:

PSA=specific antigen; PSA DT = prostatic-specific antigen doubling time; SBRT=stereotactic body radiation therapy.

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4.6 Discussione

Il trattamento dei pazienti con adenocarcinoma prostatico metastatico vede nella terapia sistemica, quindi nella terapia ormonale e nella chemioterapia, l’approccio principale. Negli ultimi anni, tuttavia, grazie allo sviluppo dell’imaging funzionale, è stato possibile identificare un sottogruppo di pazienti metastatici con un ridotto numero di lesioni attive, pazienti che per questo sono stati identificati col termine di pazienti oligometastatici.

In questa analisi abbiamo valutato 45 pazienti con carcinoma prostatico oligometastatico trattati con una radioterapia stereotassica guidata dalla PET/CT con [18F] FMCH su tutte le sedi attive. A oggi i dati disponibili riguardanti il ruolo svolto dalla SBRT in questi pazienti, e in particolare nella possibilità di vicariare una terapia sistemica o di posticiparla, sono numerosi. Gli studi di Decaestecker et al. e di Berkovic et al. riportano, dopo un follow-up mediano di 24 mesi, un tempo medio di sopravvivenza libero da ormonoterapia rispettivamente di 2 anni (ADT-FS medio di 25 mesi) e di 38 mesi112,111. In un’analisi retrospettiva multicentrica di Ost et al. condotta nel 2015, sono stati raccolti i dati inerenti 119 pazienti con carcinoma prostatico oligometastatico con un totale di 163 lesioni (linfonodali, ossee e viscerali) trattate con SBRT113. Il follow-up mediano è stato di 3 anni e il tempo mediano calcolato dalla prima SBRT all’inizio della terapia di deprivazione androgenica è stato di 28 mesi. In un’altra analisi multicentrica condotta come le precedenti con un disegno retrospettivo da Treggiani et al, sono stati raccolti i dati riguardanti 141 pazienti con carcinoma prostatico oligoricorrente e un totale di 209 lesioni (linfonodali e ossee) trattate con SBRT in 9 centri differenti. Al momento dell’analisi il follow-up mediano è stato di 23,4 (range 3-72 mesi) ed è stato riportato un ritardo della somministrazione di ADT di quasi 2

anni (20,9 mesi)114. Jereczek-Fossa et al. nel loro studio retrospettivo condotto su 94 pazienti

oligometastatici con un totale 125 lesioni linfonodali da carcinoma prostatico trattate con SBRT, sottolineano come dopo un follow-up mediano di 18,5 mesi (range 3-42 mesi), la sopravvivenza media libera da ormonoterapia è stata di 7,2 mesi (range 2,4-32,1)115. In un recente studio retrospettivo condotto da Habl et al. sono stati valutati 15 pazienti con carcinoma della prostata oligometastatico con un totale di 20 lesioni ossee trattate con SBRT

tra Marzo 2012 e Aprile 2016116. Dopo un follow-up mediano di 22,5 mesi (range 7-53,7), nei

pazienti che non hanno mai eseguito ormonoterapia il tempo d’inizio della ADT è stato di 9,3 mesi (range 2,6-36,1). I numerosi studi condotti sull’argomento hanno portato alla conclusione che la SBRT è un trattamento che permette di ottenere un buon controllo di malattia se sono trattate tutte le lesioni attive evidenziate dall’imaging funzionale, è ben

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tollerato dai pazienti (nessuna tossicità di grado tre è stata mai registrata) e può concretamente permetterci di differire nel tempo la terapia sistemica.

Nel nostro studio, in linea con i precedenti, si è ottenuto dopo un follow-up mediano 22,3 mesi (range 4,3-88,4) una sopravvivenza libera da terapia sistemica di 39,1 mesi. Il beneficio ottenuto da questi pazienti è stato quello di riuscire, grazie ad un trattamento rapido della durata di alcuni minuti e privo di complicanze, nel posticipare l’inizio della terapia sistemica e della chemioterapia. Le terapie sistemiche possono infatti associarsi a effetti collaterali estremamente invalidati per il paziente, riducendone in molti casi la qualità della vita. Inoltre, è ormai riconosciuto come il beneficio clinico ottenuto dalla terapia di deprivazione androgenica sia limitato a un arco temporale di 2-3 anni dall’iniziale somministrazione, quindi un suo utilizzo quando la malattia diviene mutlimetastatica potrebbe essere una scelta del timing migliore.

Uno dei punti di forza di questo studio è rappresentato dalla stadiazione dei pazienti al momento della recidiva biochimica, abbiamo utilizzato per tutti la PET/CT guidata con [18F] FMCH, notoriamente caratterizzata da maggiore sensibilità e specificità nella individuazione delle lesioni metastatiche rispetto alle altre tecniche di imaging funzionale e radiologiche. Abbiamo così selezionato un campione omogeneo di pazienti definiti oligometastatici e per questo candidabili alla SBRT. Nella maggior parte degli studi precedenti, di Decaestecker et

al., di Berkovic et al. ed anche nelle analisi retrospettive multicentriche di Treggiani et al. e di Ost et al. la stadiazione dei pazienti è stata eseguita con diverse tecniche di imaging111-115. In alcuni pazienti è stata utilizzata la PET/TC con 18-FDG, in altri PET/CT con colina e in altri ancora la CT associata a scintigrafia ossea. Ciò ha condotto a una discutibile eterogeneità nel criterio di scelta dei pazienti candidabili a SBRT e a un certo un rischio di sottostadiazione e conseguente sottostima dei benefici del trattamento con SBRT. Nello studio retrospettivo di

Habl et al. 13 lesioni metastatiche su 20 sono state stadiate mediante una PET con un nuovo

tracciante rappresentato dall’antigene di membrana specifico della prostata (68

Ga-PASMA-PET) che sembrerebbe più sensibile e specifico ma per il quale non esistono ancora studi prospettici116.

In futuro sarà possibile, con sempre più accuratezza, selezionare i pazienti oligometastatici candidabili a SBRT. Un aiuto all’imaging funzionale potrà arrivare dallo sviluppo di nuove tracciante PET e dallo studio di marcatori circolanti. Grazie all’avanzamento delle tecnologie nell’ambito genomico si sono infatti aperte nuove prospettive di studio. Con il miglioramento della sensibilità e dell’accuratezza delle tecniche di sequenziamento è nata la biopsia liquida, esame non invasivo che mediante un semplice prelievo di sangue venoso permette di analizzare i frammenti di DNA circolante liberati dalle cellule tumorali apoptotiche o in

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necrosi117. Questo DNA correla con lo stadio del tumore e con la prognosi, dunque la biopsia

liquida può offrire le medesime informazioni del DNA tissutale ma superando i limiti associati alla biopsia. La biopsia liquida potrebbe permetterci di caratterizzare le vie di segnalazione coinvolte nei processi d’invasività cellulare e nella capacità di passare da uno stadio oligometastatico con una ridotta aggressività a uno multi metastatico con una malattia tumorale più aggressiva.

4.7 Conclusioni

Nel presente studio, l’impiego della radioterapia stereotassica guidata dalla choline PET/CT nei pazienti con carcinoma prostatitico oligometastatico, non solo è stato ben tollerato, ma ha consentito di controllare le sedi attive di malattia e quindi di procrastinare l’inizio di una terapia sistemica di quasi 3 anni.

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