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"Poteri del difensore ed attività di investigazione a favore dell'assistito"

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UNIVERSITA` DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

GIURISPRUDENZA

"POTERI DEL DIFENSORE ED ATTIVITÀ DI

INVESTIGAZIONE A FAVORE DELL'ASSISTITO"

Relatore Chiam.ma Candidato Prof.ssa Bonini Valentina Cucchiar Guido Junior

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ai miei Genitori, che mi hanno permesso tutto ciò

a Denise, per il supporto

alla mia famiglia, a mia nonna Lio

a Cristina e Clara, dove tutto è iniziato

alle persone amiche

a chi sempre ha creduto in me

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INDICE

Introduzione ... pag. 5 Capitolo 1 – Considerazioni storiche …... pag. 7

La deontologia come strumento necessario …... pag. 7 Lo sviluppo delle indagini difensive dall'introduzione del nuovo codice di procedura penale alla legge

332/95 ... pag. 11 L'importante contributo della riforma costituzionale ... pag. 20 Uno sguardo in chiave comparatistica ... pag. 26

Capitolo 2 - L'analisi del nuovo testo legislativo ... ... pag. 32

I soggetti delle indagini difensive: ... pag. 32 • Il difensore ... pag. 33 • Il sostituto ... pag. 35 • L'investigatore privato autorizzato ... pag. 38 • Il consulente tecnico ... pag. 42 I limiti temporali della legge 397 del 2000 ... pag. 46 Gli strumenti delle indagini difensive: ... pag. 55 • Il colloquio non documentato ... pag. 62 • La ricezione di dichiarazione scritta e l'assunzione di

informazioni ... pag. 65 • Gli altri strumenti a disposizione del difensore ... pag. 77

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L'utilizzo del materiale raccolto dal difensore ... pag. 86

… e tematiche affini

La responsabilità del difensore ... pag. 97 I rapporti tra le indagini difensive e la tutela dei dati

personali …... pag. 104

Conclusioni ... pag. 108 Bibliografia ... pag. 114

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INTRODUZIONE

Il presente elaborato tratta il tema delle indagini difensive. L'intento è quello di illustrare in maniera analitica la disciplina prevista dalla legge 397 del 2000, il testo di riferimento per le investigazione della difesa all'interno dell'intera vicenda processuale. Come punto di partenza v'è una sommaria descrizione delle funzioni e del valore della deontologia, da assurgere al ruolo di guida per l'avvocato nell'iter investigativo anche in chiave comparatistica con la situazione precedente all'entrata in vigore della riforma. Successivamente non si potevano non individuare le tappe fondamentali che hanno portato all'avvento della nuova disciplina ed in particolare l'analisi di alcuni elementi della legge 332 del 1995, introdotti sulla base del nuovo codice di procedura penale datato 1988. Seguendo un ordine cronologico si è rivelato necessario porre in risalto il ruolo, senza dubbio fondamentale, della modifica costituzionale ed in particolare del nuovo articolo 111 in tema di giusto processo. L'introduzione dello strumento delle indagini difensive come oggi lo conosciamo non avrebbe avuto seguito se non sulla base di queste novità sul piano processual-penalistico, pertanto, si imponeva una riflessione su ciascun passaggio. Ugualmente importante risulta una lettura in chiave comparatistica dell'istituto per meglio carpirne le peculiarità, e quindi si è analizzata una realtà tanto vicina geograficamente quanto lontana

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nello scenario delle indagini difensive, procedendo poi alla presentazione di un altro ordinamento decisamente più simile ai principi italiani, per concludere con una breve introduzione del sistema che maggiormente ha influenzato il legislatore nella tentativo di realizzazione di un processo di tipo accusatorio.

Dopo quindi una doverosa parentesi di tipo storico si è arrivati all'analisi delle legge 397 del 2000, dapprima introducendo i soggetti delle indagini difensive, per individuare i limiti temporali di tale strumento, giungendo ad una illustrazione delle facoltà concrete che la riforma ha introdotto e concludendo con un esame circa l'utilizzabilità del materiale raccolto.

Infine è stata tratta una tematica di rilievo, come la responsabilità del difensore sia circa le modalità concrete di attuazione dello strumento in esame, che in un contesto maggiormente specifico come quello della tutela dei dati personali.

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CAPITOLO I – CONSIDERAZIONI STORICHE

La deontologia come strumento necessario

Il riconoscimento del diritto di svolgere indagini difensive rappresenta una conquista piuttosto recente tra le facoltà del difensore. Benché fin dall'avvento del nuovo codice di procedura penale, datato 1988, fossero chiari il valore e la rilevanza delle indagini difensive, l'iter che portò all'inserimento normativo delle stesse si rivelò assai travagliato, osteggiato non solo dalla giurisprudenza bensì anche dalla stessa avvocatura. Se da un lato la magistratura apparve fin da subito restia a condividere con l'organo forense il potere di indagare, dall'altro lato fu accolta con maggior stupore la posizione di una parte dell'avvocatura, le cui ragioni furono ancorate in pretesti di tipo deontologico1.

Nel testo del codice di procedura penale del 1930 non vi era alcun riferimento alle indagini difensive, sebbene fosse stata segnalata l'opportunità di consentire alla difesa la ricerca di elementi di prova2,

ma la giurisprudenza riteneva deontologicamente scorretto qualsiasi contatto tra l'avvocato ed il testimone e per questo alcuni definirono “illiberale” la giurisprudenza dell'epoca3.

Prima di procedere, occorre effettuare una premessa. La deontologia

1 R. Bricchetti – E. Randazzo, Le indagini della difesa, 2012, Giuffrè, pag. 4. 2 V. Manzini, Trattato di diritto processuale penale italiano, vol. II, Torino, 1931,

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(indipendentemente dal contesto considerato) consiste in un insieme di regole di comportamento, interne ad un gruppo, finalizzate alla tutela del decoro e della moralità dell'organizzazione stessa. Nel nostro settore questo comporta anche una certa complementarietà tra le norme del codice di procedura penale e le disposizioni deontologiche. Per la deontologia il diritto di difesa è anche un dovere, un inderogabile compito che il difensore non può svolgere solamente in astratto, ma che richiede anche una ricerca del materiale probatorio in concreto, con una fattiva attività del difensore, pur con la constatazione che l'avvocato non ha la facoltà di svolgere qualsiasi tipo di azione o di intervento, dal momento che soprattutto in un campo tanto delicato, come quello della difesa processuale, una regolamentazione appare necessaria proprio a tutela della posizione di ogni soggetto coinvolto nella vicenda processuale (a partire dall'assistito). Per vero è emersa nel corso degli anni una marcata difficoltà nell'individuare standard di comportamento dettagliati e coerenti tali da segnare il perimetro di azione del difensore, ma le rigide posizioni assunte fin dall'introduzione del nuovo codice da parte dell'organo forense quasi ostacolavano le finalità del diritto di difesa. Un esempio di tale situazione può essere ravvisato nella accennata censura, che parte dell'avvocatura rivolse al possibile contatto prima dell'udienza tra l'avvocato ed il potenziale testimone. Questa posizione era fondata su ipotetiche ragioni di neutralità del teste: si vietava il

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contatto tra difensore e testimone per impedire qualsiasi ipotesi di condizionamento del soggetto chiamato a deporre. Nella deliberazione adottata dal Consiglio Nazionale Forense l'8 gennaio 1976 si affermava la sufficienza del fatto puro e semplice del colloquio ad integrare gli estremi dell'illecito disciplinare, senza la necessità che la fonte di prova risultasse influenzata, poiché “il contatto con il testimone crea una condizione obbiettiva dalla quale possono derivare, anche senza il concorso attivo del professionista, suggestioni e turbamenti dell'animo dei testimoni, che ne facciano venir meno la libertà, la sincerità e l'obbiettività necessarie, sicché il dovere di correttezza e di lealtà del ministero professionale impongono che l'avvocato si astenga dal creare tali condizioni, le quali possono costituire per un professionista meno scrupoloso una tentazione per più deplorevoli comportamenti” Eppure in concreto, pur essendo possibile, non appariva così evidente una sicura influenza del testimone per il sol fatto di aver avuto un dialogo preventivo con il difensore. Al contrario, molte sono le insidie che si celerebbero dietro ad una deposizione non attentamente vagliata, si pensi al tempo intercorso tra il fatto e l'audizione o all'ostilità di alcuni testi, ad esempio. Oltretutto in alcuna norma del codice deontologico veniva vietata al difensore la possibilità di un siffatto dialogo preventivo con il testimone, ma l'interpretazione arbitraria dei principi di dignità, decoro e onore generarono simili veti4. In questo contesto inquisitorio

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alcuni spunti di innovazione furono proiettati dalla Corte costituzionale, che dalla fine degli anni sessanta ha tentato di favorire l'espansione del diritto di difesa; per esempio è stato affermato come il ruolo del difensore non debba essere disciplinato in modo uniforme, ma con specifico riguardo ai singoli atti che egli deve compiere in maniera da assicurare la finalità sostanziale5. La Corte riteneva

pertanto indispensabile verificare se si trattasse o meno di atti non definitivi e quindi rinnovabili in sede dibattimentale aderendo ad un modello in cui fosse affermato tout court il contraddittorio e le garanzie sostanziali e formali a controllo del materiale fino a quel momento raccolto. Per esempio la stessa Corte ha affermato come la ripetibilità degli atti, contrapposta alla irripetibilità, è considerata come primario elemento distintivo per ammettere od escludere motivatamente l'intervento del difensore in sede istruttoria6. Ed ancora

si ricorda come per molto tempo l'avvocato fosse escluso dall'interrogatorio al fine di permettere che l'imputato si regolasse nel rispondere con la maggior franchezza possibile alle contestazioni che gli venivano mosse, al di fuori di ogni preoccupazione e suggestione derivanti dalla presenza di terzi. A tal proposito la Corte Costituzionale ha osservato che queste ragioni, implicanti una piena sfiducia nell'opera del difensore, si ponevano in contrasto con il precetto costituzionale, che presuppone chiaramente che il diritto di

loro ministero con dignità e decoro [...]”. 5 Sent. Cort. Cost. 190 del 16/12/1970.

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difesa non affatto contrasta, ma anzi si armonizza con i fini di giustizia del processo penale. Pertanto il diritto di difesa rappresenta una garanzia di contraddittorio e di assistenza tecnico-professionale7.

Proprio grazie a queste spinte il legislatore introdusse uno strumento tanto vitale per la vicenda processuale, quanto oggi dato per ovvio come l'avviso di procedimento (successivamente comunicazione giudiziaria e oggi informazione di garanzia). L'introduzione di questa novità aveva lo scopo di portare a conoscenza dell'indiziato l'esistenza di una notitia criminis e consentirgli l'esercizio del diritto di difesa.

Lo sviluppo delle indagini difensive dall'introduzione del nuovo codice di procedura penale alla legge 332/95

L'introduzione del nuovo testo codicistico segnò il passaggio del nostro ordinamento dal sistema inquisitorio al sistema accusatorio. Molti sono gli elementi di differenziazione tra i due sistemi, peraltro apprezzabili in pressoché qualsiasi ambito dello schema processuale: dalla figura del giudice, ai principi posti al vertice dei sistemi, al ruolo del difensore. Rilevante per esempio è la discrepanza ravvisata nella conduzione dell'indagine: nel sistema inquisitorio, basato sul principio di autorità, la conduzione era affidata all'organo della pubblica autorità, cui sono demandati poteri investigativi ed istruttori, mentre

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nel sistema accusatorio, basato sul principio dialettico, si ebbe l'introduzione della figura dell'organo inquirente, ovvero il pubblico ministero, soggetto al dovere di esercizio dell'azione penale e formalmente distinto dall'organo dello jus dicere, con la conseguenza di un mutamento della posizione del giudice, ora in una posizione di terzietà ed equidistanza dalle parti dell'accusa e della difesa. Il giudice inquisitore era investito di poteri investigativi ed istruttori nonché di poteri esecutivi e decisionali caratterizzati dal principio di segretezza, poiché si riteneva che il miglior accertamento possibile fosse quello condotto scevro da limiti e controlli, prevedendosi un raggio d'azione pressoché illimitato in capo al giudice istruttore. Sostanzialmente opposta invece risulta essere il modello accusatorio, in cui affiorano i principi di terzietà, di imparzialità e di indipendenza non solo dell'organo giudiziario, ma anche all'interno della stessa magistratura con l'introduzione della figura del pubblico ministero, soggetto protagonista delle indagini. Il principio di parità rappresenta un caposaldo del sistema accusatorio, anche dal punto di vista degli strumenti riconosciuti alle parti, pur con le necessarie differenze. Ad esempio in materia probatoria le novità sono state rilevanti, con il passaggio da un'iniziativa probatoria d'ufficio, in cui il giudice istruttore aveva la facoltà di selezionare e formare il materiale probatorio e decidere infine sulla sua entrata nel procedimento, ad una situazione in cui la posizione della difesa si trova quasi equiparata a

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quella dell'accusa, poiché se da un lato l'iniziativa probatoria continua ad essere assegnata al pubblico ministero (ed in secondo ordine alla polizia giudiziaria), dall'altro lato egli non è più l'unico soggetto protagonista, in quanto il sistema accusatorio ha posto le basi per ipotizzare una “autonomia” probatoria anche per la difesa, sfociata nell'introduzione della legge 397 del 2000 in tema di indagini difensive. Pertanto, in una realtà inquisitoria lo strumento delle indagini difensive, come attualmente in vigore, non sarebbe stato ammissibile ed è evidente quindi che si devono individuare nella riforma del 1988 le premesse per una rivisitazione totale del ruolo e delle prerogative del difensore.

Un importante contributo venne dato anche dalle norme attuative del nuovo codice di procedura penale, in particolare dall'art. 38 delle norme di attuazione del c.p.p.8, anche se in questa fase non riuscì ad

affermarsi totalmente, in quanto, benché finalizzato a dare attuazione al principio di partecipazione della difesa, non venne tradotta in concreto la portata del precetto che esso stesso enunciava, pur rivelandosi comunque utile ad ammettere una correttezza deontologica

8 Art. 38 n.a.c.p.p.: “Al fine di esercitare il diritto alla prova previsto dall'articolo 190 del codice, i difensori, anche a mezzo di sostituti e di consulenti tecnici, hanno facoltà di svolgere investigazioni per ricercare e individuare elementi di prova a favore del proprio assistito e di conferire con le persone che possano dare informazioni. 2. L'attività prevista dal comma 1 può essere svolta, su incarico del difensore, da investigatori privati autorizzati. 2-bis. Il difensore della persona sottoposta alle indagini o della persona offesa può presentare

direttamente al giudice elementi che egli reputa rilevanti ai fini della decisione da adottare. 2-ter. La documentazione presentata al giudice è inserita nel fascicolo

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degli approcci prima enunciati e stigmatizzati dall'organo forense9.

Nonostante l'introduzione del nuovo testo legislativo, il pubblico ministero risultava ancora il dominus delle indagini preliminari, l'unico organo cui era affidata la ricerca del materiale probatorio nell'interesse generale. Uno dei nodi più difficili da sciogliere riguardò il rapporto tra le indagini difensive ed il diritto alla prova. Fin da subito ci si accorse che il tentativo di ampliare la portata della disposizione dell'art. 38 disp. att. c.p.p., assicurando un rilievo processuale ai materiali acquisiti dalla difesa in fase di investigazione, avrebbe incontrato notevoli resistenze, poiché per anni si è dubitato anche del fatto che il materiale conoscitivo di provenienza difensiva fosse utilizzabile finanche nella fase delle indagini preliminari10. Il

fronte conservatore faceva leva su una lettura del tutto originale del rapporto di strumentalità e per la quale al difensore non sarebbe stato consentito raccogliere direttamente prove, bensì solamente ricercarle e sollecitare il pubblico ministero alla raccolta, introducendo così una nuova modalità di individuazione del materiale probatorio.

In siffatto contesto trovò infatti spazio la “teoria della canalizzazione”, tramite cui la difesa poteva (solo) segnalare al pubblico ministero quanto riteneva utile per la propria posizione. In particolare il difensore, secondo tale impostazione, poteva solo ricercare ed

9 G. Frigo, Indagine difensiva per il processo penale e deontologia, in Cass. Pen, 1992.

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individuare i mezzi di prova senza avere la possibilità di acquisirli, prevedendo che tale attività fosse prerogativa del solo pubblico ministero. Al difensore quindi, non restava altro da fare che ”canalizzare” per l'appunto il materiale raccolto verso il magistrato del pubblico ministero, al fine di sollecitarlo nell'acquisizione, in virtù dell'obbligo previsto dall'articolo 358 c.p.p.

L'avvento di nuova stagione si percepì qualche anno più tardi, precisamente nel 1995, con l'introduzione della legge numero 332. Con tale novella il difensore, pur vedendo confermato il suo diritto-dovere di contestare la tesi del pubblico ministero, ancora constatava l'assenza di una disciplina organica che stabilisse in concreto le possibili azioni che egli poteva esperire nella ricerca del materiale probatorio. La vera novità riguarda ora il riscritto comma 2 dell'articolo 3811 delle norme attuative del nuovo codice di procedura

penale, ove fa presente la possibilità per il difensore di presentare al giudice direttamente la documentazione raccolta utile ai fine della decisione. Tuttavia se, come detto, da un lato la legge affermava in maniera chiara la facoltà per il difensore di raccogliere il materiale probatorio, quindi confermando un ruolo per così dire attivo dell'avvocato, dall'altro lato si notava una determinante lacuna nell'individuazione delle modalità concrete attraverso cui il difensore potesse attuare quanto la stessa disposizione astrattamente gli

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permetteva. La portata innovativa della modifica non venne accolta dall'universo giudiziario italiano, ma anzi venne quasi svilita. La novità, che pur non si affermò concretamente, stava nel fatto che il legislatore non solo spazzava via l'interpretazione riduttiva operata sin ad allora dalla giurisprudenza, ma faceva altresì crollare i principi su cui tale interpretazione si reggeva: se il pubblico ministero non ha più il potere di filtro sulla documentazione raccolta dal difensore, ne deriva che egli non ha più il monopolio delle indagini preliminari, ribadendo così il legislatore che anche le altre parti hanno il diritto-potere di svolgere attività investigativa nel proprio interesse, già durante la fase delle indagini preliminari, riservando i relativi risultati direttamente all'attenzione del giudice12. La disciplina fu resa in

concreto maggiormente omogenea grazie all'intervento delle Camere Penali Italiane, che a Catania il 30 marzo del 1996 approvarono le regole deontologiche, disciplinanti le modalità di svolgimento delle indagini (tra cui il rapporto con le persone informate), in particolare prescrivendo che il legale potesse procedere personalmente o in alternativa con l'ausilio di soggetti terzi qualificati alla raccolta del materiale utile alla difesa13. Le stesse Camere Penali si occuparono

anche dei possibili mezzi a disposizione del difensore come: dichiarazioni autografe o sottoscritte dal dichiarante, redazioni di

12 C. Cascone, La parità tra accusa e difesa nel dibattimento del terzo millennio, in Dir. E Giust., 2002, 2, pag. 34.

13 Art. 3 cod. deont. forense: “Il difensore decide la direzione da imprimere alle indagini. Egli procede direttamente o a mezzo sostituti, consulenti e investigatori privati autorizzati, all'individuazione delle fonti di prova in favore del proprio

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verbali e registrazioni con mezzi meccanici, fonografici o audiovisivi14.

Proprio in questo ambito possiamo apprezzare il valore della deontologia inizialmente richiamato. Ci si è a lungo interrogati circa la liceità della condotta del difensore allorché egli registri le audizioni del possibile testimone all'insaputa dello stesso. Sicuramente è ipotizzabile una regolarità della condotta dell'avvocato sulla base di un'equiparazione delle funzioni con il pubblico ministero, ammettendo quindi l'obbligo di rispondere al difensore così come avviene nei confronti del pubblico ministero, in particolare evidenziando come l'art. 234 c.p.p. non richieda il consenso della persona contattata. Ciò nonostante non può non segnalarsi a tal proposito la differente funzione svolta dai due soggetti (funzione pubblica per il PM, funzione privata per il difensore) e conseguentemente si segnala una certa diffidenza nell'assimilazione delle due situazioni. Tuttavia pur notandosi come la legge ed anche la Corte di Cassazione15 non

impediscano la registrazione tra presenti quando questa avviene su iniziativa di uno di essi, l'assenza di un divieto esplicito non rende ammissibile la registrazione da parte del difensore in quanto ad egli è attribuibile un dovere ulteriore collegato appunto alla deontologia, ossia il dovere di lealtà (anche nei confronti del testimone), il quale dovere verrebbe meno per le conseguenze psicologiche derivanti dalla

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condotta del difensore, sebbene con l'unica eccezione, come il Consiglio Nazionale Forense ha ammesso16, con cui si prevede la

liceità della registrazione inconsapevole quando evita un danno ingiusto al cliente17. Il comma 2 bis dell'art. 38 delle norme attuative

del c.p.p., inoltre, contiene un importante innovazione, ovvero si riferisce non solo al difensore dell'indagato, bensì anche a quello della persona offesa, mentre il successivo comma 2 ter dello stesso articolo si riferisce solamente al difensore della persona sottoposta alle indagini18.

La legge 397 del 2000 ha abrogato l'art. 38 disp. att. c.p.p. accogliendo le scettiche opinioni fin da subito registrate riguardanti l'effetto concreto dell'articolo. Persino il legislatore fu fin da subito consapevole della limitata portata riscontrabile nella lettura dell'art. 38 disp. att. c.p.p. alla luce della pretesa di realizzare un compiuto modello processuale di tipo accusatorio, tanto che nel corso dei lavori preparatori si pensò di attribuire alla norma la funzione di enunciare il principio, riservando ogni futura disciplina ad una iniziativa legislativa successiva. In dottrina non sono mancati poi contributi autorevoli che descriverono la norma come “asfittica, vaga e

16 Cons. Naz. For. (pres. Panucci, rel. Scasellati, Sforzolini), Sent. 118 del 06/11/1995

17 Vedi F. Bernardi, Le indagini del difensore nel processo penale, Giuffrè, Milano, 1996 p. 104 ss

18 Art. 38, comma 2-bis n.a.c.p.p.: “Il difensore della persona sottoposta alle indagini o della persona offesa può presentare direttamente al giudice elementi che egli reputa rilevanti ai fini della decisione da adottare”.

Art. 38 comma 2-ter n.a.c.p.p.: “ La documentazione presentata al giudice è inserita nel fascicolo relativo agli atti di indagine in originale o in copia, se la

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inadeguata nonostante gli svogliati tentativi di rianimazione del legislatore del 1995”19, oppure “scarna e tardiva”20. Anche la Corte di

Cassazione aveva tratto lo spunto per ribadire un atteggiamento di evidente chiusura rispetto all'attribuzione di effettivi ed efficaci poteri investigativi alla difesa21 con la sentenza 974 del 1995. La Corte di

Cassazione faceva leva sia sul dato letterale dell'art. 358 c.p.p., che si riteneva attribuisse esclusivamente al pubblico ministero il compito di compiere ogni attività necessaria ai fini dell'esercizio dell'azione penale, sia sull'elemento costituito dal carattere non fidefaciente dell'attività di certificazione del difensore, come tale carente di forza probante rispetto ai dati costituiti dall'esistenza delle dichiarazioni e dalla provenienza di esse da parte di colui che ne appare l'autore. Anche la legge numero 479 del 16 dicembre 1999 (cd legge Carotti), pur non aggiungendo nulla di rilevante alla situazione preesistente, garantì l'esercizio del diritto di difesa, accentuando la possibilità per il difensore di spendere nelle opportune sedi l'eventuale attività investigativa svolta in particolare l'art. 17 introduce l'art. 415 bis con cui si prevede che, entrò venti giorni dalla comunicazione dell'avviso di conclusione delle indagini, l'indagato posso tra le altre facoltà: non solo presentare memorie e produrre documenti, ma tramite il difensore può anche depositare la documentazione relativa all'attività

19 E. Randazzo, Una conquista nel solco del giusto processo ma senza la riforma del gratuito patrocinio, in Guida dir., 2001, pag.,1, 36.

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investigativa svolta. Inoltre si rimarca il dovere di completezza delle indagini preliminari posto a carico del pubblico ministero, soprattutto nell'ottica dell'accesso per la persona sottoposta alle indagine ai riti alternativi, ma anche in relazione all'interrogatorio da parte del PM stesso di compiere atti di indagine o di sottoporsi all'interrogatorio, nel cui caso la norma prevede esplicitamente l'obbligo di procedervi a carico del pubblico ministero. Oppure la nuova interpretazione del giudizio abbreviato, prima inteso come mezzo attraverso cui si rinunciava alle garanzie proprie del dibattimento (principio di oralità, principio di immediatezza, formazione della prova in contraddittorio), ora inteso come vero e proprio diritto dell'imputato, subordinato peraltro ad una integrazione probatoria.

L'importante contributo della riforma costituzionale

Una spinta fondamentale verso l'adozione di un nuovo sistema di garanzie difensive e di strumenti processuali difensivi fu data dalla volontà di attuare il principio del giusto processo, fissato a chiare lettere dall'art. 111 della Costituzione, attraverso il quale si è cristallizzata la necessità di un processo connotato innanzitutto dai principi di durata ragionevole, di terzietà del giudice, di parità delle parti, del principio del contraddittorio e di esplicite garanzie di informazione e, per quanto più specificatamente ci concerne, di idonei

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mezzi di difesa. Infatti, per taluni le norme sulle investigazioni del difensore si ispirano sicuramente all'art. 111 Cost. (vera stella polare), cui, da questa fonte autentica, è attribuito il diritto, ed anche, naturalmente , la responsabilità di concorrere direttamente alla ricerca e alla formulazione della prova22. Ed ancora la necessità del

riconoscimento di un potere d'indagine al difensore penale e della determinazione legislativa spettante nel processo ai risultati delle indagini da lui svolte, già da tempo avvertita, era divenuta ancor più impellente dopo che la l. Cost. 23 novembre 1999, n. 2 statuì nell'art. 111 comma 2 Cost. il precetto di parità delle parti nell'esplicazione del contraddittorio23. Con la riforma dell'articolo in questione il legislatore

ha recepito gli orientamenti europei ed infatti il nuovo codice di procedura penale nasce anche grazie all'adeguamento del nostro ordinamento alle convezioni internazionali in materia di diritti dell'uomo che affermano alcuni principi di notevole importanza. In particolare la Convenzione europea per i diritti dell'uomo esplicita all'art. 6 alcuni fondamentali diritti di cui il legislatore ha fatto tesoro nell'attuare il principio del giusto processo di cui all'art. 111 Cost.. I giudici europei hanno definito i concetti di giusto processo e di effettività della difesa, affermando costantemente che il “fine della convenzione è proteggere diritti non teorici o illusori, ma concreti ed

22 A. Cristiani, Guida alle indagini difensive nel processo penale. Commento analitico alla legge 7 dicembre 2000 n. 391, Torino, 2001, pag. 2.

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effettivi”24. Il terzo comma dell'art. 6 della Cedu appena citato

sintetizza alcune prerogative che non possono mancare in un sistema di tipo accusatorio, tra cui il diritto per l'indagato di essere informato circa la natura e i motivi dell'imputazione in una lingua a lui comprensibile, il diritto ad avere un tempo congruo per poter preparare la difesa, il diritto a difendersi personalmente o con l'assistenza di un legale e soprattutto in tale ottica, l'onere per lo Stato di riconoscere il gratuito patrocinio per chi non dispone di idonei mezzi economici ed ancora il diritto di esaminare e far esaminare i testimoni e a discarico ed infine farsi assistere in udienza da un interprete se non comprende la lingua utilizzata in udienza.

Per la nostra analisi occorre altresì affermare che la legge sul giusto processo accorda alla difesa (includendo anche la difesa d'ufficio) un ruolo nuovo e propulsivo, un ruolo maggiormente in sintonia con il processo di parti voluto nel 1988, che impone il raggiungimento di una prospettiva paritaria, anche nel corso delle investigazioni, tra il PM e i difensori. Innanzitutto si deve evidenziare fin da subito come non sia stata del tutto casuale la scelta di aver posto il diritto di difesa in una posizione strategica, ossia subito dopo il principio del contraddittorio. I due principi si pongono infatti in un ineliminabile rapporto di mezzo a fine, risultando del tutto chiaro come il principio del contraddittorio non possa che essere la condizione ineludibile per

24 Cort. Eur. 13 maggio 1980, Artico c. Italia, in Foro.it, 1980, IV, c. 141, ed ancora Corte eur. 24 novembre 1993, Imbrioscia c. Svizzera, in Leg. Pen., 1994, pag.

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l'attuazione del diritto di difesa. La posizione dell'imputato vede l'assegnazione di ampie garanzie tra cui il diritto di confrontarsi con le fonti di prova a carico, prevedendosi dettagliati obblighi informativi in capo all'autorità giudiziaria circa l'accusa rivolta allo stesso e l'assegnazione di un termine congruo per poter preparare la difesa, di chiedere inoltre l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore ed infine di poter essere assistita da un interprete se non comprende la lingua impiegata nel processo.

Per vero l'estensione del diritto di difesa non deve essere inquadrato solamente all'interno della vicenda dibattimentale, correndo pertanto il rischio di una limitazione delle finalità dell'articolo in esame, quanto piuttosto deve essere inserito in una cornice maggiormente ampia consistente in tutta la vicenda processuale, che include quindi la fase delle indagini preliminari e dell'udienza preliminare, ma anche in taluni casi la fase precedente all'apertura del procedimento (in una possibile situazione di timore per il soggetto dell'avvento di un procedimento penale a proprio carico), oltreché nella straordinaria ipotesi di revisione della sentenza, quindi anche includendo la fase successiva al passaggio in giudicato della sentenza. Si apprezza in particolare come i principi del giusto processo non riguardino tanto mere cadenze e formalità procedurali, quanto piuttosto la posizione del soggetto interessato dalla vicenda processuale concretamente

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intesa, con delle previsione di tipo pratico facilmente disponibili per il soggetto. Questo pare essere confermato dalla previsione, peraltro ritenuta essenziale, della contestazione dell'addebito e dell'interrogatorio dell'imputato, finalizzati a rendere edotto lo stesso circa gli elementi a proprio carico, premessa per consentire la preparazione di una difesa adeguata. Ed ancora peculiare risulta essere la previsione del sesto comma dell'articolo costituzionale in esame, laddove prevede l'obbligo di motivazione per ogni provvedimento giurisdizionale, da inquadrare in una necessaria illustrazione in fatto ed in diritto dei motivi che hanno portato all'adozione della stessa. Il valore della motivazione si apprezza anche in sede di impugnazione presso la Suprema Corte di Cassazione, laddove l'ultimo dei cinque motivi per cui può essere proposto ricorso ai sensi dell'art. 606 c.p.p., consiste nella “mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione”, confermando ulteriormente quindi come elemento fondamentale l'obbligo per il giudice di motivare adeguatamente le decisioni assunte, a tutela della posizione dell'imputato. Ma la nuova portata dell'art. 111 Cost. non può esaurirsi in una mera elencazione di prerogative processuali, finendo per assomigliare ad un elenco chiuso di diritti. L'art. 111 Cost. deve invece assurgere al ruolo di clausola generale, da intendersi come norma d'apertura del novero delle garanzie all'interno del sistema giurisdizionale e tale da permettere la successiva introduzione di nuovi principi ritenuti necessari al fine del

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giusto processo. La Corte Costituzionale per esempio possiede adesso un'ulteriore parametro per arricchire la gamma delle garanzie processuali, più solido rispetto allo strumento interpretativo normalmente utilizzato, alla luce della cristallizzazione testuale di principi da porre come base di eventuali nuove esigenze che potrebbero avvertirsi a tutela del processo, tale da renderlo coerente con il dettato costituzionale.

La riforma costituzionale ha dato quindi un impulso decisivo per la definitiva approvazione della disciplina delle investigazioni difensive. Si vuol dire che la legge sulle indagini difensive non poteva più essere differita in virtù dei nuovi orizzonti aperti dall'introduzione dell'art. 111 Cost., la cui modifica si determinava su una struttura processuale che si ispirava (diceva di ispirarsi) al modello accusatorio25. Ed,

inoltre, l'art. 111 Cost., postulando una parità delle parti nel contraddittorio esigeva norme che regolassero l'iniziativa paraistruttoria del difensore26. Il testo della nuova regolamentazione

delle investigazioni difensive, approvato dall'Assemblea del Senato il 19 ottobre 2000 è stato ritrasmesso alla Camera, dove la Commissione Giustizia, in sede legislativa, l'ha approvato, in via definitiva, il 16 novembre 200027.

25 G. Spagher, Le investigazioni difensive: considerazioni generali, in Studium

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Uno sguardo in chiave comparatistica

Per meglio comprendere lo sviluppo dello strumento delle indagini difensive in Italia è utile procedere ad una sommaria presentazione delle posizioni e degli strumenti della difesa in alcuni ordinamenti, partendo da una realtà in cui il ruolo del difensore è assai diverso da quello italiano, per analizzare successivamente le facoltà previste per il difensore in un altro Stato più simili a quelle attuate in Italia (almeno negli intendimenti), per concludere con l'illustrazione del sistema che a mio avviso più ha influenzato il nostro legislatore. In Francia28 è previsto il diritto di difesa, quale diritto fondamentale;

esso si esercita lungo tutto l'arco del procedimento. Sancito dal quinto comma dell'articolo preliminare del Codice di procedura penale, prevede il diritto di essere informati degli elementi a proprio carico e di essere assistiti da un difensore. Nell'ordinamento francese la figura del giudice istruttore ha un ruolo fondamentale e le indagini difensive soffrono di questa concezione tradizionale, cui conseguono pochi poteri per l'avvocato nella fase delle indagini preliminari e, invece, con la previsione di maggior garanzie nella fase istruttoria. Nella fase delle indagini preliminari il difensore non è informato delle stesse indagini, che sono segrete, assumendo rilievo solo nel caso del caso

28 Capitolo dedicato all'ordinamento francese, di Aurelie Cappello nel libro: La circolazione investigativa nello spazio giuridico europeo: strumenti, soggetti, risultati. A cura di Scalfati Adolfo, Moscarini Paolo, Filippi Leonardo, Gualtieri

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del fermo (garde a vue); egli non può essere presente ne avere accesso agli atti. Il soggetto accusato ha solo diritto a consultarsi con un avvocato come ribadito dal Conseil constitutionnel nel 1993. Nella fase istruttoria invece il difensore ha libero accesso al fascicolo della procedura, potendo richiederne una copia e vi sono dei casi in cui la presenza del difensore è obbligatoria, per esempio le parti possono essere ascoltate, interrogate o sottoposte a confronto solo con la presenza del difensore (salvo rinuncia espressa o comunque avvenuta comunicazione al difensore), secondo l'art. 114 CPP. La presenza del difensore è per esempio obbligatoria quando il soggetto è convocato dal giudice delle libertà, dopo la richiesta di misura cautelare del giudice istruttore. In un sistema inquisitorio come quello delineato il ruolo del difensore nel produrre materiale probatorio risulta assai limitato. Vi sono tuttavia due principi fondamentali, pur senza la previsione di idonei strumenti in concreto a disposizione del difensore per attuarli: il primo prevede la libertà di produrre prove, il secondo afferma inoltre che la parte è autorizzata a ricercare materiale probatorio. Le indagini difensive sono limitate anche perché, ed è questa la peculiarità del sistema francese, il giudice, indipendente ed imparziale, ricerca le prove a carico e a discarico in ogni causa. Le difficoltà e i costi sono quindi a carico dello Stato. Infine la ricerca di prove può comportare rischi per l'avvocato come l'integrazione del reato di "sottrazione di mezzi di prova".

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In Spagna29 invece lo strumento delle indagini difensive è stato

introdotto, come in Italia, piuttosto recentemente. L'anno di riferimento è il 2002, anno in cui il governo ha varato un'importante riforma del sistema di procedura penale. Nell'ambito delle indagini preliminari alla prima dichiarazione il soggetto deve essere informato circa la sua condizione di imputato e dei fatti ad egli attribuiti, insieme all'elencazione dei diritti previsti. Quest'insieme di prerogative avvicina da un certo punto di vista il sistema iberico al nostro sistema e questa similitudine risulta avvalorata dalla previsione della possibilità per il detenuto di conferire con il proprio legale prima della comparizione davanti al giudice (salvo l'istituto della

incomunicacion). Il difensore trova alcune garanzie nel caso in cui

venga disposto il giudizio. Infatti nel caso di dibattimento si mettono a disposizione di tutte le parti le risultanze della fase preliminare per un periodo di dieci giorni, in cui l'accusa può formulare un capo d'accusa e la difesa può approntare una strategia difensiva. Il momento dell'imputazione formale coincide con la comparizione davanti al giudice e ne consegue il diritto per l'imputato di essere assistito da un legale. Se da un lato il difensore spagnolo ha la possibilità di conoscere gli atti della fase preliminare, tuttavia a differenza del difensore italiano non ha la possibilità di acquisire materiale probatorio e quindi di svolgere vere e proprie indagini. La strada

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scelta dal legislatore spagnolo è stata infatti quella del cd "massimo garantismo". Pertanto mentre il legislatore italiano ha ampliato le facoltà del difensore, quello spagnolo ha aumentato l'insieme delle garanzie proprie dell'accusato, pur con l'obiettivo comune di attuare un sistema accusatorio. L'obiettivo dei due sistemi può essere considerata la medesima, sebbene con l'intento di raggiungerla mediante due strade differenti: aumentare le garanzie proprie dell'imputato in Spagna ed aumentare le facoltà della difesa in Italia.

Tuttavia è innegabile che il sistema che più ha rappresentato una fonte di ispirazione per il nostro legislatore sia stato quello anglo-sassone, soprattutto nell'ottica di rafforzare le facoltà del difensore. La comparazione in questo caso merita necessariamente una premessa, consistente nell'evidenziare la diversità di fondo dei due sistemi. Infatti, se nell'esperienza continentale ha trovato la sua naturale collocazione il sistema di civil law, nell'esperienza anglosassone ha avuto un ruolo pressoché dominante il sistema di commonw law. Ed inoltre per quanto concerne la declinazione del diritto di difesa all'interno dell'esperienza anglosassone non si è realizzato uno sviluppo omogeneo tra il sistema inglese e quello americano e ciò già dal tempo della colonizzazione. Se infatti il diritto di difesa era assai limitato nella realtà inglese, in dodici delle tredici colonie americane si ebbe il pieno riconoscimento del diritto alla difesa tecnica. I due capisaldi del sistema di common law sono da individuarsi nel modello

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della cd "adversary" e nell'obiettivo costante dello snellimento delle procedure giudiziarie nell'ottica di una riduzione serrata dei tempi del processo. Il modello americano, caratterizzato a differenza di quello inglese anche da codificazioni come il Bill of Rights, ed in particolare da istituti come il privilege against self-incrimination, il confrontation

clause e il compulsory process clause, è stato il vero modello

ispiratore del legislatore italiano. Tuttavia diverse sono le garanzie riconosciute all'imputato in America, prima fra tutte il diritto al silenzio, diritto di rango costituzionale. Negli States la difesa viene concepita al pari di un diritto di libertà, soprattutto nella fase dibattimentale e il difensore perciò trova ampie facoltà, forse le maggiori all'interno dei sistemi moderni. Infatti nella fase pre dibattimentale (pretrial) non solo la difesa può contrastare le prove che l'accusa sta raccogliendo, ma soprattutto può svolgere indagini autonome, di propria iniziativa. Il difensore in questo caso ha facoltà di raccogliere materiale sia per cercare di ottenere un provvedimento di archiviazione (dismissal), sia per organizzare il materiale da presentare in sede negoziale, poiché nel sistema americano la quasi totalità degli imputati "patteggia" (per usare un termine italiano). Proprio per questa ragione nella fase pretrial i rapporti tra accusa e difesa sono di cooperazione, cercando per l'appunto di giungere ad una soluzione negoziata del caso, nell'ottica del soddisfacimento delle esigenze di giustizia. Peraltro tale situazione si apprezza anche nella

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fase successiva, in cui la figura del giudice interviene solo in caso di disaccordo tra le parti. Ed è stato forse proprio questo l'elemento di maggior differenziazione tra il sistema americano e quello italiano, ovvero quello di non aver posto in maniera decisa il difensore sullo stesso piano del pubblico ministero, assegnando al difensore una figura ibrida, per esempio in relazione alla qualifica di pubblico ufficiale, che il difensore assume solo in taluni casi.

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CAPITOLO II – L'ANALISI DEL NUOVO TESTO LEGISLATIVO

La legge sulle investigazioni difensive

Alle porte del nuovo millennio, trascorso pertanto più di un decennio dall'introduzione del nuovo codice di procedura penale caratterizzato da profonde riflessioni e dall'avvento di normative mai completamente in grado di disciplinare in maniera organica ed accurata la materia, i tempi apparvero maturi per una normazione esaustiva delle indagini difensive. Precisamente il 16 dicembre del 2000, dopo una gestazione durata circa tre anni, venne approvato dal Parlamento il disegno di legge in tema di disciplina organica delle indagini difensive.

L'analisi che seguirà tenterà una disamina del testo normativo partendo dalla presentazione delle figure soggettive protagoniste della riforma, per poi analizzare i profili temporali e spaziali ed infine illustrerà le modalità attraverso cui il difensore può svolgere le indagini difensive.

I soggetti delle indagini difensive

L'analisi del nuovo testo legislativo non può non partire dall'individuazione dei soggetti legittimati a svolgere l'attività di indagine difensiva. L'art. 7 della legge 397 del 2000, introducendo

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l'art. 327 bis del codice di procedura penale, individua in maniera chiara i soggetti che a vario titolo posso imbattersi nella ricerca del materiale difensivo, individuando come attore principale il difensore, cui è dedicato il primo comma del nuovo articolo, seguito dal sostituto, dall'investigatore privato autorizzato e dal consulente tecnico, nominati nel successivo terzo comma.

Il difensore

Non a caso si scelse di utilizzare il termine difensore, in questo passaggio, e non già la locuzione avvocato, per evidenziare che lo strumento delle indagini difensive, per la propria potenziale portata invasiva, è consentito solo a fronte dell'esercizio di un diritto primario quale quello di difesa, nell'ottica quindi di una vicenda processuale. In assenza di un mandato, emesso sulla base di un procedimento (o sulla base di un possibile procedimento) pertanto, la norma non consentirebbe all'avvocato di svolgere attività investigativa e tale precetto parrebbe, pur in assenza di indicazioni normative, esteso anche agli ausiliari del difensore. Si può ritenere, perciò, che la fonte del potere investigativo difensivo sia da individuare nell'incarico professionale, premessa necessaria per il compimento di atti di indagine da parte del difensore. Ed inoltre la prescrizione normativa per cui l'incarico professionale deve avere forma scritta è giustificata

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dalla necessità di disporre di uno strumento probatorio certo in punto di effettivo conferimento di un incarico difensivo costituente la premessa legittimante il compimento di atti di indagine30. Risulterà

comunque utile all'interprete, nell'alternativa se ritenere lo svolgimento delle indagini coerente con la fonte legale, il ricorso ad un parametro di legittimità che comprenda la natura dell'incarico, le sue specificazioni e le eventuali articolazioni, ammettendosi quindi una valutazione “caso per caso”, non individuabile a priori. Sempre a riguardo della posizione del difensore ci si è chiesti se le indagini difensive incontrino qualche limite nel caso della difesa d'ufficio e nel caso della persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato. In linea di principio è da escludersi una qualsiasi ipotesi di differenza di trattamento, essendo il difensore soggetto a tutti gli obblighi normativi e deontologici previsti per il mandato fiduciario. Sono tuttavia innegabili alcune problematiche di carattere pratico che potrebbero rendere più ardua l'attività investigativa, solo ad esempio si segnala come in passato l'istituto del patrocinio a spese dello Stato, che rimborsava le spese legali in maniera non superiore ai valori medi, comprendesse la consulenza tecnica ma escludesse l'opera dell'investigatore privato31 (compresa invece dal 2001), il cui

intervento risultava pertanto inibito alla persona ammessa. Molti per vero hanno auspicato un intervento legislativo chiarificatore in tal

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senso, ma soprattutto un intervento che predisponesse un sistema difensivo in cui le condizioni d'accesso agli strumenti difensivi non dipendessero dalle disponibilità economiche dei soggetti gravati da un procedimento penale in corso ed infatti questa è la situazione che si è realizzata oggi grazie agli interventi della legge 134 del 2001 al dpr 115 del 2002. L'unica differenza rimane oggi quella reguardante l'attività investigativa preventiva, che per l'appunto essendo preventiva non ammette un accesso al patrocinio a spese dello Stato, ammissibile solo a fronte di un procedimento penale.

Il sostituto

Il difensore, nello svolgimento degli atti di indagine, può avvalersi dell'ausilio di altri soggetti, come chiarito dal già richiamato comma 3 del nuovo articolo 327 c.p.p.. La finalità della norma è quella di fornire alla difesa un ausilio che sopperisca, almeno in parte, alla disparità operativa con l'accusa, la quale ha a disposizione ben altri mezzi, poteri e strutture32. Qualora ritenga di avvalersi della

collaborazione di sostituti, investigatori o consulenti, pur restando il soggetto principale delle indagini difensive, è auspicabile che fornisca a quest'ultimi idonei mezzi di lavoro, in particolare assolvendo ad oneri di comunicazione riguardanti la natura dell'incarico e consegnando eventualmente gli atti processuali rilevanti per

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l'espletamento del mandato. Per quanto concerne il sostituto, in particolare, l'art. 102 c.p.p., ammetteva la designazione del sostituto solo in presenza di un impedimento del difensore, escludendo quindi la “delega per comodità”, ma con l'introduzione della legge 60 del 2001 il primo comma dello stesso articolo è stato modificato ed ora secondo la nuova formulazione “il difensore di fiducia e il difensore d’ufficio possono nominare un sostituto”, prescindendo quindi dalla presenza di un legittimo impedimento e rafforzando la continuità ed effettività della difesa, pur lasciando ferme importanti distinzioni33.

Una possibile soluzione, supportata anche da una lettura in chiave razionale dell'istituto, designava comunque già prima della modifica del 2001 come sostituto colui che avesse ricevuto l'incarico per lo svolgimento di attività d'indagine a prescindere dal primo comma dell'art. 102, questo sia poiché nella fase delle indagini preliminari l'esistenza di un impedimento è difficilmente ammissibile (anche per il sol fatto che si tratta di atti non ufficiali pertanto incompatibili con un obbligo di presenza del difensore), sia perché in concreto il difensore difficilmente potrebbe assolvere simultaneamente e con la necessaria diligenza richiesta i (possibili) molti incarichi a lui affidati. Un altro elemento da considerare riguarda il numero di sostituti designabili. L'art. 327-bis utilizza il termine “sostituto” e lo stesso termine singolare viene utilizzato anche dagli art. 391-bis e 391-sexies, mentre l'art. 391-ter utilizza un termine per così dire più oscuro, ovvero

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“autenticata dal difensore o da un suo sostituto”. Rilevando come i riferimenti agli altri ausiliari siano caratterizzati dal plurale (“consulenti”, “investigatori privati”) e che l'art. 102 c.p.p. comma 1 prevede che il difensore di fiducia e quello d'ufficio possano nominare “un” sostituto e al comma 2 ribadisce che “il sostituto esercita i diritti e assume i doveri del difensore”, deve ritenersi che ciascun avvocato cui sia stato conferito l'incarico di svolgere le investigazioni possa nominare un solo sostituto. Del tutto evidente appare la constatazione che l'incarico demandato al sostituto debba essere connotato da alcuni canoni. Esso per vero non può tradursi in una delega “in bianco”, assegnando così un campo d'azione piuttosto vasto e scevro di limiti all'ausiliario, dovendo invece ritenersi corretto l'affidamento di un incarico individuato, seppur non circoscritto, ammettendosi anche la possibilità di un'ulteriore delega in presenza di nuovi elementi o fatti sopraggiunti. Infine secondo un'importante sentenza della Cassazione il difensore sostituto “per tutta la durata dell'impedimento del sostituito assume ed esercita i diritti e i doveri della difesa fino a quando quest'ultimo difensore, che pur conserva la qualifica, non renda nota la cessazione dell'impedimento, dichiarando di riassumere dalla data della comunicazione l'effettivo esercizio di tali diritti e doveri; pertanto, fino all'adempimento di detto onere, l'avviso della fissazione del dibattimento e, in genere, ogni comunicazione o notificazione che riguardi la difesa dell'imputato spettano

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esclusivamente al sostituto”34.

L'investigatore privato autorizzato

Il terzo soggetto che elenca la norma è l'investigatore privato autorizzato. Prima di passare all'analisi delle facoltà dell'investigatore chiariamo subito come risultano oltremodo applicabili agli ausiliari le regole deontologiche previste per i difensori, così come ad essi si riservano le garanzie previste per gli avvocati, ricordiamo in questo senso l'estensione della tutela prevista dall'art. 200 comma 1, lettera b, c.p.p. (segreto professionale) agli investigatori privati autorizzati e le garanzie dell'art. 103 c.p.p..

Il difensore risponde per di più sia a titolo di culpa in vigilando che a titolo di culpa in eligendo dell'operato dell'investigatore e proprio per tale motivo si apprezza la necessità, già richiamata, dell'affidamento da parte dell'avvocato di un incarico preciso al sostituto. Un'ulteriore cautela può essere ravvisata nella costituzione di una polizza assicurativa per i rischi professionali che preveda la copertura anche per l'attività investigativa delegata dal difensore, in aderenza con l'art. 3.935 del Codice di deontologia forense europeo.

34 Vedi Sent. Cass. n. 3348/2004.

35 Art. 3.9. Codice deontologico forense europeo: “Assicurazione per la responsabilità civile professionale:

3.9.1. L’avvocato deve essere assicurato per la responsabilità civile professionale in misura ragionevole, tenuto conto della natura e della portata dei rischi assunti. 3.9.2. Se ciò non fosse possibile, l’avvocato dovrà informare il cliente della

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Con riguardo all'attività dell'investigatore, questa si apprezza soprattutto nel momento dell'individuazione delle fonti di prova, della decisione circa la credibilità dei potenziali testimoni e delle altre attività utili ad organizzare il possibile esame del teste. Nello specifico le attività dell'investigatore si possono racchiudere in due categorie: gli atti tipici e gli atti atipici. Gli atti tipici esperibili dagli investigatori privati sono costituiti dal colloquio non documentato con persone informate sui fatti (art. 391-bis comma 1 c.p.p.) e dall’accesso ai luoghi (art. 391-sexies c.p.p.), mentre tra gli atti atipici possiamo annoverare i pedinamenti, gli appostamenti, le riprese fotografiche e cinematografiche e l’acquisizione di notizie e documenti di libero accesso a chiunque, mentre risulta inderogabilmente vietato ricevere dichiarazioni scritte o raccogliere informazioni da documentare (ai sensi dell’art. 391-ter c.p.p), facoltà affidata solamente al difensore e al suo sostituto.

Per tali ragioni l'attività investigativa come detto non può essere assiduamente vincolata, pur ritenendosi necessarie alcune limitazioni, anche di carattere deontologico, ricavabili sia dal codice deontologico forense che dal codice deontologico degli investigatori privati. Si fa riferimento, rimanendo in tema di investigatore privato, ad una autorizzazione ulteriore rispetto alla licenza professionale, in particolare all'interno del codice di procedura penale fu inserita una disciplina (per vero transitoria) che prevedeva, il rilascio

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dell'autorizzazione a svolgere indagini difensive ad opera del prefetto e subordinata ad una “maturata esperienza che garantisse il corretto esercizio dell'attività”. Il rapporto tra il difensore e l'investigatore è un rapporto di tipo privato caratterizzato dalla assoluta riservatezza (a tal proposito si richiamano anche due norme del codice penale: l'art. 379

bis c.p.36 , introdotto dalla stessa legge 397 del 2000, che sanziona la

divulgazione di notizie apprese a causa della partecipazione ad atti del procedimento penale e l'art. 622 c.p.37 che sanziona la rivelazione di

segreti professionali) ed in cui l'utilizzo delle notizie riguardanti gli atti del procedimento deve rimanere interno al rapporto tra i due soggetti e finalizzato alle ragioni professionali dell'incarico, ossia alla difesa dell'assistito. Il mancato rispetto di questi oneri genera non solo una responsabilità penale, bensì anche una responsabilità contrattuale. Per quanto concerne la posizione dell'investigatore e le relative garanzie, prima dell'entrata in vigore del testo che stiamo esaminando, l'investigatore poteva essere sentito come testimone. L'art. 4 della

36 Art. 379 bis c.p.: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque rivela indebitamente notizie segrete concernenti un procedimento penale, da lui apprese per avere partecipato o assistito ad un atto del procedimento stesso, è punito con la reclusione fino a un anno. La stessa pena si applica alla persona che, dopo aver rilasciato dichiarazioni nel corso delle indagini preliminari, non osserva il divieto imposto dal pubblico ministero ai sensi dell'articolo 391quinquies del codice di procedura penale”.

37 Art. 622 c.p.: “Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino a un anno o con la multa da trenta euro a cinquecentosedici euro.

La pena è aggravata se il fatto è commesso da amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci o liquidatori o se è commesso da chi svolge la revisione contabile della società.

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legge n. 397 ha invece esteso il novero dei soggetti autorizzati ad opporre il segreto professionale su quanto hanno conosciuto in ragione del proprio ministero, ufficio o professione, includendo anche l'investigatore privato autorizzato, equiparando le garanzie dell'investigatore privato a quelle previste per il difensore. Per vero l'auspicabile estensione delle garanzie è apparso quanto mai logico in virtù del ruolo che l'investigatore privato ricopre nella vicenda processuale, specificatamente quello di un professionista, dotato pertanto di particolari qualifiche tecniche nella ricerca del materiale probatorio, prestato all'ausilio del difensore nell'espletamento del mandato a questi affidato. In questo contesto la mancata estensione delle garanzie non poteva non denotarsi come una lacuna normativa assai rilevante che in talune situazione rischiava di mettere in dubbio il contributo dell'investigatore alle indagini. L'art. 222, comma 4, disp. att. c.p.p. stabilisce che il difensore debba comunicare il conferimento dell'incarico all'autorità giudiziaria procedente. Questa norma solleva dubbi, poiché subordinerebbe l'operatività delle garanzie alla pendenza di un procedimento, come dimostrerebbero il riferimento agli investigatori incaricati per il procedimento aggiunto dall'art. 1 della legge 397/2000 e la dizione autorità procedente. Esse dunque non sarebbero applicabili alle indagini preventive svolte dall'investigatore privato e quando non siano noti gli estremi del procedimento penale. Tuttavia i passaggi normativi criticati sono stati

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introdotti dalla legge sulle indagini difensive proprio per accrescere la protezione delle attività compiute dagli investigatori privati e dai consulenti tecnici, dovendosi pertanto ricercare una interpretazione maggiormente conforme alla medesima ratio ed ai dettati costituzionali, che possa consentire un rimedio alle gravi disarmonie denunciate. Ad esempio all'interno della comunicazione prevista dall'art. 222, comma 4, disp. att. c.p.p., non devono essere inseriti tutti i dati contenuti nell'atto di incarico o trascritti nell'apposito registro. Come non sembra necessario indicare gli estremi del procedimento penale su cui si riferiscono, dal momento che non è neppure richiesto dall'art. 222, comma 4, disp. Att. c.p.p.. Basterà comunicare le notizie strettamente sufficienti all'attivazione delle garanzie, come la data e la presumibile durata delle investigazioni. La comunicazione appare diretta ad apprestare una tutela preventiva dell'attività dell'investigatore privato, impedendo all'autorità giudiziaria di procedere presso di lui a sequestri e ad intercettazioni di conversazioni e comunicazioni38.

Il consulente tecnico

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consulente tecnico, previsto esplicitamente dalla norma. È da accogliere con entusiasmo l'introduzione nel novero dei soggetti dell'art.327 bis c.p.p. del consulente tecnico per il sol fatto che il potersi rivolgere ad un professionista, quando si rendano “necessarie specifiche competenze tecniche” per il difensore, costituisce un elemento inquadrabile in un esplicito ampliamento delle facoltà previste per la difesa e quindi nell'estrinsecazione di quel diritto di difesa che il testo legislativo intende concretizzare. Per vero la precisazione di chiedere la consulenza “quando si rendano necessarie specifiche competenze tecniche” appare in realtà superflua, poiché non v'è dubbio che il legale interpellerà il consulente quando si trovi ad affrontare questioni tecniche, mentre meno ovvia è il fatto che la valutazione sulla necessità di far ricorso ad un esperto è rimessa alla discrezionalità del difensore, senza possibilità di alcun intervento dell'organo inquirente, come implicitamente confermato non solo dall'art. 277-bis terzo comma ma anche dall'art. 233 c.p.p. comma

1-bis39. Il difensore chiederà l'intervento di un consulente tecnico ogni

qual volta si renderà necessario acquisire pareri su discipline specifiche (come ad esempio la medicina legale o la grafologia) in una prospettiva probatoria. L'attività dell'indagine difensiva ha la sua centralità nella fase delle indagini preliminari e quindi la consulenza

39 F. Focardi, Sempre più effettivo il diritto di difesa mediante esperti, in L. Filippi, Processo penale: il nuovo ruolo del difensore, Padova, 2001, pag. 92. Ed ancora

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tecnica viene maggiormente utilizzata in questa fase antecedente alla fase processuale. Il difensore tuttavia potrà far ricorso al consulente tecnico anche nelle fasi dell'udienza preliminare o del dibattimento per sollecitare ad esempio che venga disposta una perizia. In sede dibattimentale potrà inoltre essere disposta la perizia sulla base delle argomentazioni proposte dal consulente tecnico sia per tramite del difensore sia mediante i pareri proposti al giudice dal consulente tecnico stesso.

In tema di nomina del consulente tecnico vigono le medesime situazioni di incompatibilità prescritte per la nomina del perito, in particolare quanto di cui all’art. 222 c.p.p. Non può essere nominato consulente tecnico di parte colui che è stato chiamato a testimoniare. Infatti il consulente tecnico di parte ha la facoltà di astenersi dal testimoniare su quanto conosciuto per ragione del suo ufficio, tranne il caso in cui egli è stato testimone di un reato come privato cittadino in cui prevale la sua qualità di testimone. Non sono inoltre ammessi ritardi alla perizia o alle altre attività processuali a causa della nomina e dell’attività dei consulenti. Nel caso in cui il giudice disponga la perizia a norma dell'art. 225 c.p.p. il pubblico ministero e le parti private hanno la facoltà di nominare non più di due consulenti ciascuno. I consulenti nominati durante le operazioni peritali partecipano alle stesse proponendo al perito indagini, osservazioni, riserve delle quali è dato atto nel verbale. Mentre se non venisse

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disposta alcuna perizia, secondo l'art. 233 c.p.p. le parti possono nominare due consulenti tecnici sentiti con esame incrociato, pur non assumendo, a differenza del perito, l’obbligo penalmente sanzionato di rispondere secondo verità, rilevando un'eventuale discrasia solamente per l'attendibilità della consulenza.

Il difensore ha la facoltà di decidere se presentare al giudice gli elementi di prova raccolti dal consulente, non ravvisando un obbligo di presentazione del materiale raccolto (i soli verbali degli accertamenti tecnici non ripetibili vanno sempre obbligatoriamente inseriti nel fascicolo per il dibattimento e presentati al giudice). Il consulente tecnico può proporre al giudice valutazioni tecniche tramite pareri orali o memorie scritte e può conferire con le persone in grado di fornire informazioni. Inoltre dietro autorizzazione del giudice può visionare il materiale sequestrato, intervenire alla ispezioni ed esaminare l’oggetto delle stesse cui non è intervenuto. Può conferire con persone in grado di riferire circostanze utili ai sensi dell'art. 391-bis, comma 1, c.p.p.. Come anche per l'investigatore privato autorizzato, il divieto di formale documentazione del colloquio non esclude il potere di effettuare annotazioni sul suo contenuto, non solo per fini meramente interni, ma anche in funzione di una testimonianza, non essendo soggetti alla incompatibilità di cui all'art. 197, lett. d), c.p.p..

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può essere autorizzato l'esame delle cose sequestrate in virtù delle esigenze contrapposte: garantire un effettivo esercizio de diritto di difesa, da un lato, ed evitare alterazioni irreversibili del bene, dall'altro. Per alcuni40 non possono ritenersi consentite manipolazioni

idonee a provocare alterazioni dei beni sottoposti a cautela, come dimostra il potere dell'autorità giudiziaria di impartire le prescrizioni necessarie per la conservazione dello stato originario delle cose e dei luoghi (art. 233, comma 1-ter). Ma non v'è dubbio che l'esame visivo e tattile delle cose sequestrate sia sempre concesso.

I limiti temporali della legge 397 del 2000

Dopo la presentazione dei profili soggettivi si può procedere con l'individuazione degli eventuali limiti temporali entro cui possano effettuarsi le indagini difensive.

Così come esposto per i profili soggetti, altrettanto per il profilo temporale la riforma apporta importanti novità rispetto alla realtà precedente. Infatti, prima dell'introduzione della legge numero 397 del 2000, si avvertiva una sorta di restrizione del diritto di difesa poiché l'art. 38 delle norme attuative del codice di procedura penale prevedeva la possibilità di un'attività investigativa solo “al fine di esercitare il diritto alla prova previsto dall'art. 190 del codice di procedura penale”, delimitando pertanto l'attività del difensore alla

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sola fase processuale. Tuttavia le cadenze processuali codificate come la formale notificazione dell'informazione di garanzia o del passaggio in giudicato della sentenza (per individuare ad esempio due atti di apertura e chiusura della vicenda processuale) non sempre corrispondono al momento dell'esercizio del diritto di difesa, che spesso può realizzarsi, attraverso l'utilizzo di alcuni strumenti difensivi, anche in un momento anteriore, o posteriore, alla formale comunicazione da parte dell'autorità giudiziaria. Si vuol dire che non pare coerente, soprattutto in adesione ai principi del giusto processo introdotti dall'art. 111 della Costituzione, impedire la possibile raccolta del materiale probatorio difensivo fuori del perimetro dettato dalle tempistiche processuali, dal momento che tale limitazione potrebbe neutralizzare e rendere inefficace l'attività difensiva, se questa fosse attuabile solo in presenza di un formale atto dell'organo giudiziario. Appare in tal senso assai alto il rischio da assumere della potenziale perdita di materiale utile, basti pensare ad un mancata consulenza effettuata nei tempi tecnici auspicabili. E in questo senso sono da intendersi gli orientamenti delle Camere Penali, all'art. 2 delle del Codice deontologico del penalista, varato dall'Unione delle Camere Penali, che qualificarono come un “dovere” per l'avvocato il fatto “di svolgere l'indagine difensiva sin da quando ciò apparisse necessario ai fini della difesa del proprio assistito, anche indipendentemente dalla formale assunzione della qualità di persona

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