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Analisi della gestione dei pazienti con Fibrillazione Atriale afferenti nel DEA dell'Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana: outcome clinico e analisi dell'elevazione dei valori di troponina come significato prognostico

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in

Medicina e Chirurgia

Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea

Analisi della gestione dei pazienti con Fibrillazione Atriale

afferenti nel DEA dell’Azienda Ospedaliera Universitaria

Pisana: outcome clinico ed analisi dell’elevazione dei

valori di troponina come significato prognostico

PRIMO RELATORE

Chiar.mo Prof. Massimo Santini

SECONDO RELATORE

Dott.ssa Alessandra Violet Bacca

CANDIDATO

Sabrina Agostini o Degl’Innocenti

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Sommario

1 Abbreviazioni e acronimi ... 8 2 Introduzione ... 10 2.1 Fibrillazione atriale ... 10 2.2 Epidemiologia ... 10 2.3 Fattori di rischio ... 11 2.4 Fisiopatologia ... 16 2.5 Classificazione ... 19 2.6 Sintomatologia e complicanze ... 21 2.7 Storia naturale... 24 2.8 Valutazione diagnostica ... 25 2.9 Terapia ... 26

2.9.1 Prevenzione del rischio tromboembolico ... 27

2.9.1.1 Stratificazione del rischio tromboembolico ... 27

2.9.1.2 Stratificazione del rischio emorragico... 29

2.9.1.3 Terapia anticoagulante ... 31

2.9.1.4 Chiusura dell’auricola sinistra ... 33

2.9.2 Controllo della frequenza cardiaca ... 33

2.9.2.1 Terapia farmacologica ... 34

2.9.2.2 Ablazione transcatetere del nodo atrioventricolare ... 36

2.9.3 Controllo del ritmo. ... 36

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6

2.9.3.2 Ablazione transcatetere ... 40

3 Scopo dello studio ... 42

4 Materiali e metodi ... 42

4.1 Elaborazione dati e analisi statistica ... 44

5 Risultati ... 45

5.1 Caratteristiche della popolazione in studio ... 45

5.2 Esito ... 62

5.3 Follow up ... 64

5.4 Mortalità ... 67

5.5 Tempo di permanenza in PS ... 68

5.6 Valutazione outcome clinico ... 69

6 Discussione ... 73

7 Conclusioni ... 78

8 Bibliografia ... 80

(7)
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8

1 Abbreviazioni e acronimi

ABC: Age, Biomarkers, Clinical history

AOUP: Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana

ATRIA: AnTicoagulation and Risk factors In Atrial fibrillation BMI: indice di massa corporea

BNP: brain natriuretic peptide, peptide natriuretico cerebrale BPCO: Broncopneumopatia cronica ostruttiva

Bpm: battiti per minuto

CHA2DS2VASC: Congestive heart failure, Hypertension, Age ≥75 (doubled), Diabetes, Stroke (doubled), Vascular disease, Age 65-74, Sex (female)

Cl: cloro

CV: cardioversione

CVE: cardioversione elettrica

DADs: Delayed AfterDepolarizations, post-depolarizzazione tardiva DEA: Dipartimento di Emergenza e Accettazione

DS: deviazione standard

EADs: Early AfterDepolarizations, post-depolarizzazione precoce EBPM: eparina a basso peso molecolare

ECG: elettrocardiogramma EGA: emogas analisi

EHRA: European Heart Rhythm Association Epa: edema polmonare acuto

ESC: European Society of Cardiology Ev: per via endovenosa

FA: Fibrillazione Atriale FC: frequenza cardiaca

FEVS: frazione di eiezione ventricolare sinistra

HASBLED: Hypertension, Abnormal renal and liver function, Stroke, Bleeding, Labile INR, Elderly, Drugs or alcohol

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HFpER: scompenso cardiaco con frazione di eiezione preservata HFrER: scompenso cardiaco con frazione di eiezione ridotta IMA: infarto miocardico acuto

INR: International normalized ratio IVS: ipertrofia ventricolare sinistra K: potassio

LAA: auricola sinistra Na: sodio

NAO: nuovi anticoagulanti orali

NOAc: New Oral Anticoagulants, nuovi anticoagulanti orali NYHA: New York Heart Association

OBI: osservazione breve intensiva

ORBIT: Outcomes Registry for Better Informed Treatment of atrial fibrillation

OSAS: sindrome delle apnee ostruttive del sonno OT: osservazione temporanea

PS: pronto soccorso Rx: radiografia

SCA: Sindrome Coronarica Acuta

STEMI: ST Elevation Myocardial Infarction) TAO: terapia anticoagulante orale

TEE: Ecografia Trans-Esofagea THS: troponina ad alta sensibilità

TIA: transient ischemic attack, attacco ischemico transitorio TTR: tempo in range terapeutico

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2 Introduzione

2.1 Fibrillazione atriale

La fibrillazione atriale è l'aritmia più frequente nella popolazione. È una tachiaritmia sopra-ventricolare caratterizzata da frequenza cardiaca rapida e irregolare e una contrazione atriale inefficace. L’attività atriale è caotica e solitamente presenta una frequenza superiore ai 300 battiti/minuto.

I pazienti con fibrillazione atriale hanno un rischio maggiore di mortalità e morbilità, quindi la gestione della patologia e delle sue complicanze ha un notevole impatto sul sistema sanitario.

Infatti la fibrillazione atriale è la causa aritmica più comune di accesso al pronto soccorso.

2.2 Epidemiologia

Lo studio Framingham ha rilevato che il rischio di sviluppare la fibrillazione atriale nel corso della vita è di circa il 25% sia per uomini che per donne di età uguale o superiore ai 40 anni 1.

Secondo uno studio del 2010 2, la fibrillazione atriale interessa 33,5 milioni di persone, di cui 20,9 milioni di uomini e 12,6 milioni di donne.

In Europa attualmente la fibrillazione atriale interessa 8 milioni di persone ed è previsto che questo numero aumenti drasticamente fino a 18 milioni nel 2060 3.

La prevalenza è stimata essere tra l’1% e il 4%, ma differisce nelle varie fasce di età passando da 0,1% nei pazienti con età inferiore a 55 anni, 3,8% nei pazienti con più di 60 anni, arrivando al 9% in pazienti con più di 80 anni 4.

La prevalenza della fibrillazione atriale varia anche in relazione al sesso, risultando maggiore negli uomini rispetto alle donne in tutte le fasce di età 4.

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Nel nostro Paese si stima che circa 800 000 persone siano affette da FA, e assumendo un’incidenza dello 0,2% per anno, si può stimare che il numero dei nuovi casi di fibrillazione atriale in Italia sia di 120 000 persone ogni anno 5.

L’aumento della prevalenza e dell’incidenza della FA nel tempo deriva da tre fattori5:  crescita consistente della popolazione mondiale;

 invecchiamento rapido con notevole incremento del numero dei soggetti anziani a maggior rischio di sviluppare l’aritmia;

 allungamento della sopravvivenza dei pazienti affetti da condizioni cliniche strettamente correlate alla FA, come ipertensione arteriosa, scompenso cardiaco e coronaropatia.

La reale prevalenza della fibrillazione atriale è comunque sottostimata, nonostante la maggiore attenzione che viene posta a questa patologia, perché una parte consistente di casi (dal 10 al 25%) si presentano asintomatici 6.

2.3 Fattori di rischio

La fibrillazione atriale si presenta frequentemente associata a numerose condizioni cliniche che ne favoriscono l’insorgenza e aumentano il rischio di sviluppo di complicazioni.

Secondo alcuni studi 7 tra il 5 e il 12% dei pazienti invece la fibrillazione atriale si presenta in assenza di fattori di rischio, condizione che viene definita lone atrial fibrillation. I principali fattori di rischio sono rappresentati da:

 Età: l’invecchiamento è associato a vari meccanismi che possono favorire l’insorgenza della fibrillazione atriale. Con l’età aumenta il diametro dell’atrio sinistro, lo spessore delle pareti e le vene polmonari diventano dilatate (correlati

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a maggior potenziale aritmogeno)8,9. È presente una maggiore perdita di cardiomiociti che porta a sviluppo di ipertrofia, insufficiente a mantenere le funzioni atriali (disfunzione atriale), e a sostituzione fibrosa (fibrosi atriale) 9,10. L’età è associata anche a rimodellamento elettrico11 e disfunzione del microcircolo 9.

 Sesso: i pazienti di sesso maschile hanno un rischio 1,5 volte maggiore di sviluppare fibrillazione atriale 12,13, anche se la prevalenza nei due sessi risulta simile data la maggiore aspettativa di vita femminile14.

 Ipertensione: anche se l’aumento del rischio per lo sviluppo di fibrillazione atriale è modesto (rischio relativo 1.2-1.5) 13, l’elevata prevalenza dell’ipertensione nella popolazione generale lo rende uno dei fattori di rischio più importanti insieme a sesso ed età. Viene riscontrata in circa il 70% dei pazienti con fibrillazione atriale15. L’ipertensione determina rimodellamento elettrico e strutturale delle camere cardiache e attivazione del sistema simpatico e del sistema renina-angiotensina-aldosterone, aumentando il rischio di insorgenza dell’aritmia16.

 Valvulopatia: viene riscontrata in circa il 30% dei pazienti con fibrillazione atriale, di cui solo il 3% di origine reumatica15. Le valvulopatie sono associate ad un aumento del rischio di 1,8 volte negli uomini e 3,4 volte nelle donne17.

 Scompenso cardiaco: viene riscontrato in circa il 30% dei pazienti con fibrillazione atriale. Lo scompenso cardiaco può svilupparsi come conseguenza della fibrillazione atriale, ma può anche esserne la causa per effetto di aumentate pressioni atriali e di un sovraccarico di volume, disfunzione valvolare secondaria o stimolazione neuro-ormonale cronica.

 Malattie cardiache congenite: le tachiaritmie sono la più comune complicanza negli adulti con difetti cardiaci congeniti. Possibili fattori responsabili sono rappresentati da incisioni chirurgiche, barriere naturali alla conduzione elettrica e sequele di stress ipossico ed emodinamico cronico (fibrosi e ipertrofia)13.  Coronaropatie: la fibrillazione atriale è una complicazione comune di infarto

miocardico acuto. Anche se la prevalenza di fibrillazione atriale in pazienti con coronaropatia stabile non sembra maggiore rispetto alla popolazione sana,

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recenti studi dimostrano che pazienti con fibrillazione atriale hanno una prevalenza aumentata sia di coronaropatia ostruttiva che non ostruttiva13.  Ipopotassiemia e iperaldosteronismo: il potassio influenza il potenziale delle

membrane cellulari; bassi livelli di potassio possono interferire con la conduzione dell’impulso a livello atriale, determinando un rischio aumentato di fibrillazione atriale18. L’iperaldosteronismo può favorire l’insorgenza dell’aritmia essendo responsabile di ipopotassiemia e portando a rimodellamento cardiaco e fibrosi19.  Obesità: i soggetti obesi hanno un rischio del 50% in più rispetto ai soggetti normopeso di sviluppare fibrillazione atriale20. In particolare si è osservato un aumento del 4% di rischio per ogni 1 kg/m2 di aumento del BMI (indice di massa corporea)21. Probabili fattori implicati nello sviluppo e nel mantenimento della fibrillazione atriale in questa categoria di pazienti sono rappresentati dall’aumento di pressione e di volume dell’atrio sinistro e un periodo refrattario assoluto più breve nell’atrio sinistro e nelle vene polmonari 22.

 Grasso pericardico: il tessuto adiposo viscerale localizzato intorno al cuore non agisce a livello sistemico, ma localmente determinando infiammazione (produce citochine pro-infiammatorie), modifiche strutturali cardiache (aumento delle dimensioni dell’atrio sinistro, fibrosi) e modulando il sistema nervoso autonomo (aumento del tono vagale), fattori che favoriscono l’insorgenza della fibrillazione atriale23,24.

 BPCO: è presente una associazione con la fibrillazione atriale, che sembra essere favorita da meccanismi quali ipossia, ipercapnia, ipertensione polmonare, disfunzione diastolica, rimodellamento delle camere cardiache, stress ossidativo e infiammazione25.

 OSAS: i pazienti con sindrome delle apnee ostruttive del sonno hanno un rischio 4 volte maggiore rispetto alla popolazione generale di sviluppare fibrillazione atriale13; i meccanismi che sembrano essere coinvolti sono pressione intratoracica negativa, ipertensione polmonare, variazioni del tono del sistema nervoso autonomo che determinano alterazioni strutturali ed elettriche negli atri26.

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 Patologia renale cronica: viene riscontrata in 1/3 dei pazienti con fibrillazione atriale27; i pazienti con malattia renale cronica sono più predisposti a sviluppare ipertensione, attivazione patologica del sistema renina-angiotensina-aldosterone, aumento del rischio di malattie cardiovascolari e iperattività del sistema simpatico, tutti fattori che possono portare a sviluppo di fibrillazione atriale28.

 Alcol: l’alcol presenta effetti aritmogeni determinando iperfunzione del sistema adrenergico, alterazione del tono vagale e alterazione della conduzione elettrica atriale. L’aumento del rischio per fibrillazione atriale è presente sia in seguito a binge drinking sia in caso di assunzione moderata abituale di alcol29,30.

 Fumo: il rischio di sviluppare fibrillazione atriale aumenta all’aumentare del numero di sigarette/anno. La nicotina presente nelle sigarette agisce sul sistema nervoso autonomo, modifica la conduzione elettrica cardiaca e favorisce il rimodellamento e la fibrosi atriale31.

 Diabete mellito: soggetti con diabete mellito hanno un rischio di circa il 40% maggiore di sviluppare fibrillazione atriale. Numerosi meccanismi sono coinvolti, come la presenza di uno stato infiammatorio sistemico, alterazioni autonomiche, rimodellamento elettrico e strutturale degli atri e associazione con altri fattori di rischio (quali coronaropatie, scompenso cardiaco, obesità, OSAS)32.

 Disfunzione tiroidea: l’ipertiroidismo è associato al rischio di fibrillazione atriale, sia in caso di malattia conclamata che subclinica33. Gli ormoni tiroidei determinano un aumento del tono beta-adrenergico e un aumento dell’automatismo e dell’attività triggered dei cardiomiociti delle vene polmonari34.

 Attività fisica: un’attività fisica moderata e regolare riduce il rischio di fibrillazione atriale andando a migliorare gli altri fattori di rischio cardiovascolare, mentre un esercizio fisico molto vigoroso, come quello svolto da atleti di alto livello, sembra aumentarne il rischio a causa di un’alterata modulazione del sistema nervoso autonomo e di dilatazione e fibrosi atriale35.

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grado, soprattutto un genitore, aumenta il rischio di sviluppare la patologia. Questo rischio risulta maggiore se nel familiare affetto la malattia si presenta precocemente36. La fibrillazione atriale risulta associata anche a ereditarietà sia poligenica che monogenica13.

Figura 1. Fattori di rischio della fibrillazione atriale presentati secondo il valore approssimativo di rischio relativo 37.

L’identificazione e il trattamento delle condizioni cliniche associate alla fibrillazione atriale sopra-citate risultano quindi fondamentali per una migliore gestione del paziente.

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2.4 Fisiopatologia

La fibrillazione atriale è una tachiaritmia sopraventricolare caratterizzata da una attività elettrica rapida e scoordinata che porta ad una contrazione atriale inefficace e caotica. Il normale ritmo cardiaco, definito ritmo sinusale, ha origine dalle cellule pace-maker del nodo seno-atriale, situato alla giunzione tra atrio destro e vena cava superiore.

Il nodo seno-atriale genera impulsi elettrici cardiaci con una frequenza normalmente stimata tra i 60 e i 100 battiti al minuto.

L’onda di depolarizzazione viaggia attraverso l’atrio destro, determinandone la contrazione, e si dirige verso l’atrio sinistro tramite il fascio di Bachmann per la contrazione di quest’ultimo. Seguendo fasci internodali specializzati raggiunge il nodo atrio-ventricolare per diffondersi al sistema di His-Purkinje, in particolare al fascio comune di His, quindi alle branche sinistra e destra e successivamente alle fibre di Purkinje, favorendo la contrazione del muscolo ventricolare38,39.

Nella fibrillazione atriale si verifica la perdita del ritmo sinusale a causa della presenza di attività elettrica ectopica e caotica.

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Figura 2. Modello di patogenesi della fibrillazione atriale 40

I principali fattori responsabili della fibrillazione atriale sono rappresentati dai meccanismi di rientro e dall’attività ectopica.

I meccanismi di rientro sono presi in considerazione in due diverse teorie: la teoria dei rientri multipli e la teoria dei rientri localizzati (rotori) con conduzione fibrillatoria. La teoria dei rientri multipli spiega la fibrillazione atriale sulla base della presenza di molteplici contemporanei circuiti di rientro, capaci di dare origine a numerosi fronti d’onda di depolarizzazione. Tali fronti d’onda, propagandosi attraverso il tessuto atriale, si frammentano e danno origine ad ulteriori numerose onde di attivazione, in grado così di perpetuare l’aritmia. Ciò è possibile per un’abnorme dispersione della refrattarietà atriale che condiziona in alcune aree fenomeni di blocco di conduzione, che a loro volta, in presenza di una ridotta velocità di propagazione dell’impulso elettrico e di una massa miocardica atriale criticamente aumentata, determinano l’instaurarsi di una serie di

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18 circuiti di rientro41,42.

La teoria dei rientri localizzati con conduzione fibrillatoria è fondata sulla presenza di un’“onda madre” o “rotore” principale ad elevatissima frequenza, situato in atrio sinistro nella regione antrale in vicinanza dello sbocco delle vene polmonari, che guida e mantiene l’aritmia e si propaga al rimanente miocardio atriale attraverso “onde figlie” in modo irregolare, tanto che un’attività elettrica completamente desincronizzata di tipo fibrillatorio viene registrata a distanza dal rotore principale, soprattutto in atrio destro42,43.

L’attività ectopica è rappresentata da potenziali d’azione aggiuntivi che si sovrappongono alla fase terminale di un potenziale d’azione normale o lo seguono di poco.

Nel primo caso si parla di post-depolarizzazione precoce (early afterdepolarizations EADs), nel secondo post-depolarizzazione tardiva (delayed afterdepolarizations DADs)39,44.

Nell’EAD cause patologiche fanno sì che in una fibra miocardica la fase conclusiva di un potenziale d’azione normale non esiti nel ritorno alla ripolarizzazione, ma sia interrotta da uno o più cicli di nuova depolarizzazione.

La DAD è una accentuazione dell’instabilità del potenziale di membrana a riposo che si verifica subito dopo la fine del potenziale d’azione. In condizioni patologiche tende ad oscillare fino a raggiungere il potenziale soglia che è in grado di scatenare un nuovo potenziale d’azione.

La sede abituale dei foci dotati di aumentata automaticità e capaci di generare impulsi elettrici ad alta frequenza è nelle vene polmonari, dove le fibre muscolari spesso hanno attività automatica e sono caratterizzate da un periodo refrattario molto breve44,45. Altri foci sono stati individuati a livello della parete posteriore dell’atrio sinistro, del legamento di Marshall, del seno coronarico, della vena cava superiore e della cresta terminale46,47.

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polmonari, tramite ablazione transcatetere, è in grado di prevenire la recidiva di fibrillazione atriale in un’alta percentuale di pazienti47,48.

Anche le variazioni del tono autonomico possono contribuire ad innescare e/o mantenere la fibrillazione atriale. La stimolazione vagale accorcia il periodo refrattario effettivo atriale, requisito fondamentale perché da una parte l’attività focale dalle vene polmonari si propaghi oltre la giunzione atrio-venosa consentendo così l’innesco dell’aritmia e perché, dall’altra, questa possa mantenersi una volta innescatasi. Viceversa, un incremento del tono simpatico può accompagnarsi con un aumento dell’attività focale che funge da trigger per l’aritmia42.

Dopo la comparsa della fibrillazione atriale si verificano progressivamente nel tempo delle modificazioni elettrofisiologiche (accorciamento del periodo refrattario effettivo, rallentamento della velocità di conduzione degli impulsi), anatomiche (fibrosi e perdita della massa muscolare atriale) e funzionali (compromissione della normale funzione contrattile) a carico dell'atrio che sono responsabili del mantenimento e delle recidive dell’aritmia stessa.

2.5 Classificazione

In base alla presentazione, alla durata e all’eventuale spontanea conclusione, la fibrillazione atriale viene generalmente suddivisa in 5 tipi 49:

 Di prima diagnosi: non è stata diagnosticata prima, indipendentemente dalla durata dell’aritmia o dalla presenza e severità dei sintomi associati.

 Parossistica: episodio che termina spontaneamente, di solito entro le 48 ore, ma in certi casi l’episodio può protrarsi fino a 7 giorni. Il limite temporale delle 48 ore è comunque clinicamente rilevante in quanto, trascorso questo lasso di

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tempo, la probabilità di cardioversione è bassa e deve essere presa in considerazione l’opportunità di instaurare una terapia anticoagulante.

 Persistente: forme di durata superiore a 7 giorni o che richiedono cardioversione elettrica o farmacologica per il ripristino del ritmo sinusale.

 Persistente di lunga durata: fibrillazione atriale continua della durata superiore ad 1 anno in cui si è deciso di adottare una strategia per il controllo del ritmo.  Permanente: forma di fibrillazione atriale accettata dal paziente e dal medico,

per la quale, per definizione, non vengono intrapresi interventi per il controllo del ritmo.

Oltre ai tipi di fibrillazione atriale sopra elencati, è possibile individuare anche

 Fibrillazione atriale silente (o asintomatica): comprende le forme di fibrillazione atriale che non si associano a sintomi. Può essere diagnosticata a seguito di una complicanza correlata alla fibrillazione atriale, come l’ictus ischemico o scompenso cardiaco congestizio, o incidentalmente a seguito di un controllo elettrocardiografico effettuato per altri motivi. La fibrillazione atriale silente può comprendere qualsiasi forma temporale di fibrillazione atriale 50,51, 52.

 Fibrillazione atriale secondaria: forme in cui è possibile individuare la causa dell’aritmia, una condizione favorente o una concomitante patologia cardiovascolare associata. Queste forme di fibrillazione atriale possono essere risolte con un appropriato trattamento delle condizioni sottostanti 53.

 Lone atrial fibrillation: comprende le forme che colpiscono principalmente individui di giovane età o, comunque, di età inferiore ai 60 anni che non presentano storia clinica o evidenza ecocardiografica di concomitanti patologie cardiopolmonari, o qualsiasi altro fattore noto e identificabile di fibrillazione atriale53,7. Essendo la diagnosi di lone atrial fibrillation una diagnosi di esclusione, essa deve essere posta solo dopo un’attenta ricerca di tutti i possibili fattori responsabili di fibrillazione atriale. È quindi necessaria un’approfondita valutazione clinico-strumentale.

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2.6 Sintomatologia e complicanze

I sintomi associati alla fibrillazione atriale sono estremamente variabili e possono andare da forme asintomatiche scoperte incidentalmente, a forme con sintomatologia evidente di insufficienza cardiaca.

Risulta talvolta difficile attribuire i sintomi esclusivamente alla fibrillazione atriale dato che molti pazienti hanno varie comorbidità, come insufficienza cardiaca o malattie valvolari, che possono causare una sintomatologia simile.

Inoltre sono presenti variabilità sia inter-individuali che intra-individuali.

I principali sintomi sono rappresentati da:

 Palpitazioni: viene definito come la percezione aumentata dei propri battiti cardiaci. È un sintomo presentato da circa la metà dei pazienti. Più comunemente presente nei soggetti con fibrillazione atriale parossistica15,54,55.

 Dispnea: si ritrova in più del 40% dei pazienti. È il sintomo più comune nei pazienti con fibrillazione atriale persistente o permanente15,54,55.

 Ridotta tolleranza all’esercizio: è un sintomo comune e può presentarsi in più della metà dei pazienti, anche se talvolta può essere correlata alla dispnea56. Si calcola che la fibrillazione atriale possa determinare una riduzione della tolleranza all’esercizio fino al 20%55.

 Fastidio, pressione o dolore toracico: può presentarsi nel 10-20% dei pazienti15,54.  Vertigine, pre-sincope, sincope: presente in circa ¼ dei pazienti15,55.

 Altri sintomi come ansia, depressione (che interessano circa 1/3 dei pazienti57) e affaticamento55. È stata inoltre descritta poliuria per il rilascio di peptide natriuretico atriale55,58.

Il 15-25% dei pazienti può inoltre presentarsi con episodi tromboembolici come TIA o ictus56,59,60.

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Una certa quota di pazienti, variabile dal 15% al 30%, si presenta infine in modo asintomatico54,56,61,62.

Secondo uno studio francese54 i soggetti con fibrillazione atriale parossistica sembrano essere più sintomatici rispetto ai pazienti con fibrillazione atriale persistente e permanente.

La valutazione dei sintomi e della loro severità viene effettuata utilizzando l’EHRA score modificato63 (tabella 1), che si basa sull’impatto che i sintomi attribuibili alla fibrillazione atriale hanno sulle attività quotidiane di pazienti.

L’EHRA score dovrebbe essere utilizzato per guidare le decisioni terapeutiche e per un miglior inquadramento del paziente64.

EHRA score modificato Sintomi Descrizione

1 Nessuno La FA non determina alcun sintomo

2 Lievi alcuna difficoltà a svolgere le usuali attività I sintomi correlati alla FA non determinano quotidiane

2b Moderati

I sintomi correlati alla FA non determinano alcuna difficoltà a svolgere le usuali attività quotidiane, ma sono fonte di preoccupazione

per il paziente

3 Severi I sintomi correlati alla FA determinano difficoltà a svolgere le usuali attività quotidiane

4 Invalidanti Incapacità a svolgere le usuali attività quotidiane

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La fibrillazione atriale ha importanti implicazioni per la salute del paziente. I soggetti che ne sono affetti hanno un rischio 2 volte maggiore di mortalità e un rischio di 5 volte maggiore di ictus rispetto alla popolazione sana65.

La fibrillazione atriale può ridurre la portata cardiaca fino al 24% e questo è dovuto alla perdita di una contrazione atriale efficace e al ritmo ventricolare irregolare; molto spesso i pazienti presentano anche una frequenza ventricolare rapida che va a peggiorare la situazione. Tutto questo può portare a una riduzione della funzionalità cardiaca con edema polmonare, insufficienza cardiaca o collasso emodinamico66.

La complicanza sicuramente più frequente e più studiata della fibrillazione atriale è il tromboembolismo.

La percentuale di ictus attribuibili alla fibrillazione atriale varia da 1,5% in soggetti tra 50 e 59 anni, al 23,5% tra 80 e 89 anni66,67.

Gli ictus associati alla fibrillazione atriale sembrano essere spesso ricorrenti e più gravi causando maggiori disabilità a lungo termine, maggior mortalità e ospedalizzazioni più lunghe13,68,69.

Il rischio di ictus è maggiore in quei pazienti che presentano altre comorbidità.

La formazione dei trombi a livello atriale, responsabili poi dei fenomeni embolici, è dovuta alla triade di Virchow: stasi sanguigna nell’atrio sinistro, disfunzione endoteliale e attivazione piastrinica70.

Anche brevi episodi (15 minuti) di fibrillazione atriale parossistica sono sufficienti a causare attivazione piastrinica locale e danno endoteliale, che aumentano il rischio tromboembolico66,71.

I pazienti con fibrillazione atriale presentano inoltre un decadimento delle funzioni cognitive più rapido (indipendente dall’ictus) e un rischio maggiore di sviluppare demenza72,73.

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2.7 Storia naturale

La natura della fibrillazione atriale è spesso progressiva: da episodi sporadici di breve durata ad attacchi sempre più frequenti e prolungati.

Con il passare degli anni molti pazienti sviluppano forme sostenute di fibrillazione atriale, mentre solo una minoranza di pazienti continuano a manifestare fibrillazione atriale parossistica per decenni (2-3%)74.

Secondo vari studi la fibrillazione atriale ha un tasso di progressione da forme parossistiche a forme persistenti o permanenti del 10-20% a 1 anno75-77.

La percentuale aumenta al 77% in studi che considerano un follow up per più di 14 anni78. La progressione risulta essere più frequente se sono presenti alcuni fattori di rischio tra cui l’età avanzata, ipertensione arteriosa, ingrandimento atriale sinistro, presenza di valvulopatie, presenza di cardiomiopatie o scompenso cardiaco75,79-81.

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2.8 Valutazione diagnostica

Un ritmo irregolare deve sempre porre il sospetto di fibrillazione atriale, ma per una diagnosi certa è necessario eseguire un elettrocardiogramma.

All’ECG sono riscontrabili le tipiche caratteristiche della fibrillazione atriale:  Intervalli RR assolutamente irregolari,

 Onde P non distinguibili.

Figura 4. Tracciati di una fibrillazione atriale (sopra) e di un ritmo sinusale (normale, sotto). La freccia viola indica l'onda P, assente nella FA. [Di J. Heuser - Opera propria, CC

BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=465397, tratta da https://it.wikipedia.org/wiki/Fibrillazione_atriale]

Risulta diagnostico qualsiasi episodio di durata sufficientemente lunga da consentire la registrazione di un ECG a 12 derivazioni della durata di almeno 30s 64.

Per fare diagnosi di fibrillazione atriale parossistica può rendersi necessaria l’esecuzione di un monitoraggio elettrocardiografico Holter delle 24 ore o di 7 giorni83.

L’esame elettrocardiografico a 12 derivazioni, oltre alla diagnosi, permette anche di identificare segni di cardiopatie strutturali, difetti di conduzione e segni di ischemia miocardica.

La valutazione diagnostica deve sempre partire da una anamnesi completa per stabilire, se possibile, il momento di insorgenza della fibrillazione atriale e valutare la presenza e gravità dei sintomi (tramite l’EHRA score64).

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Devono essere inoltre valutati eventuali cause che sottendono la fibrillazione atriale tramite test di funzionalità tiroidea, emocromo completo, test di funzionalità renale (creatininemia e proteinuria) misurazione della pressione arteriosa e test per il diabete mellito.

Può rilevarsi utile anche un esame ecocardiografico per identificare cardiopatie strutturali (ad esempio patologia valvolare) e per valutare le dimensioni delle camere cardiache e la loro funzionalità.

2.9 Terapia

La fibrillazione atriale comprende terapie che hanno un impatto prognostico (terapia anticoagulante e trattamento delle condizioni cardiovascolari sottostanti) e terapie che danno un beneficio sulla sintomatologia (controllo della frequenza e del ritmo).

Il trattamento della fibrillazione atriale ha quindi come obiettivo il miglioramento della sintomatologia e la prevenzione delle complicanze.

La valutazione iniziale del paziente con fibrillazione atriale di nuova diagnosi deve iniziare ad indagare i seguenti 5 aspetti principali:

 La stabilità emodinamica,

 La presenza di fattori precipitanti o di condizioni sottostanti,  Il rischio di ictus e la relativa anticoagulazione,

 Il controllo della frequenza,

(27)

27

Figura 5. Valutazione e trattamento dei pazienti con fibrillazione atriale.

2.9.1 Prevenzione del rischio tromboembolico

La prevenzione del rischio tromboembolico è necessaria nella maggior parte dei pazienti affetti da fibrillazione atriale.

La terapia con anticoagulanti orali è in grado di prevenire la maggior parte degli ictus ischemici e può prolungare la sopravvivenza84,85.

Questo trattamento si è dimostrato migliore rispetto al non fare alcuna terapia o all’utilizzo della sola aspirina.

2.9.1.1 Stratificazione del rischio tromboembolico

Prima di instaurare una terapia anticoagulante è utile e raccomandato dalle linee guida ESC del 2016 per il trattamento della fibrillazione atriale64 eseguire una stratificazione del rischio tromboembolico per mezzo del CHA2DS2-VASc score (tabella 2).

(28)

28

Fattore di rischio CHA2DS2-VASc punteggio Scompenso cardiaco congestizio

Segni/sintomi di scompenso cardiaco o reperto obiettivo di ridotta

frazione di eiezione ventricolare sinistra +1

Ipertensione arteriosa

Pressione arteriosa a riposo >140/90 mmHg in almeno due rilevazioni

o terapia antiipertensiva in atto +1

Età ≥75anni +2

Diabete mellito

Glicemia a digiuno >125mg/dl (7mmol/l) o trattamento con

ipoglicemizzanti orali e/o insulina +1

Pregresso ictus, attacco ischemico transitorio o tromboembolia +2 Malattia vascolare

Pregresso infarto miocardico, arteriopatia periferica o placche aortiche +1

Età 65-74 anni +1

Sesso (femminile) +1

Tabella 2. Fattori di rischio clinici per ictus, attacco ischemico transitorio e embolia sistemica inclusi nel CHA2DS2-VASc score64

Pazienti senza fattori di rischio clinici di ictus non necessitano di terapia antitrombotica, mentre in pazienti con fattori di rischio, VASc score ≥ 1 se uomini o CHA2DS2-VASc score ≥ 2 se donne, possono sicuramente beneficiare di una terapia anticoagulante orale (TAO). (figura 6)

(29)

29

Figura 6. prevenzione dell’ictus nei pazienti con fibrillazione atriale64.

Altri fattori di rischio, non ancora ben validati, che possono fornire ulteriori informazioni prognostiche, sono rappresentati da INR instabile, TTR (tempo in range terapeutico) basso in pazienti in trattamento con antagonisti della vitamina K, precedenti sanguinamenti o anemia, abuso di alcol e altri marker di possibile scarsa aderenza terapeutica, malattia renale cronica64.

Un nuovo score per il rischio di ictus o di embolismo sistemico, l’ABC score, prende in considerazione l’età, la storia clinica e biomarkers come la troponina ad alta sensibilità e il pro peptide natriuretico di tipo B N-terminale (NT-proBNP). Sembra che questo score presenti una buona capacità predittiva di ictus, addirittura migliore del CHA2DS2-VASc score86. La troponina e l’NT-proBNP possono quindi aggiungere importanti informazioni prognostiche nella stratificazione del rischio.

2.9.1.2 Stratificazione del rischio emorragico

Nei pazienti in cui si decide di intraprendere una terapia anticoagulante, è importante anche la stratificazione del rischio emorragico, dato che sono maggiormente sottoposti

(30)

30 al rischio di sviluppare emorragie87,88.

Sono stati proposti diversi score come l'HAS-BLED89 (ipertensione, alterazioni della funzionalità renale o epatica, precedente ictus, precedente evento emorragico, difficoltà di mantenere l’INR nel range terapeutico, età avanzata, utilizzo di farmaci come antiaggreganti piastrinici o fans e abuso di alcool), ORBIT90 (età, ematocrito ridotto o anemia, storia di sanguinamento, insufficienza renale, terapia antiaggregante) e ATRIA91 (anemia, patologie renali severe, età, precedenti emorragie, ipertensione).

Tra i vari score proposti, l’HAS-BLED (tabella 3) si è dimostrato di più semplice utilizzo e migliore nella previsione di sanguinamenti maggiori rispetto agli altri score92,93.

Fattori di rischio emorragico Punteggio

H Hypertension systolic blood pressure >160 mmHg 1

A

Abnormal renal and liver function (1 point each)

presence of chronic dialysis or renal transplantation or serum creatinine ≥200 mmol/L;

chronic hepatic disease (cirrhosis) or biochemical evidence of significant hepatic derangement

1 or 2

S Stroke 1

B Bleeding previous bleeding history and/or predisposition to bleeding 1

L Labile INRs unstable/high INRs or poor time in therapeutic range (<60%) 1

E Elderly age >65 years 1

D Drugs or alcohol (1 point each) concomitant use of drugs, such as antiplatelet agents,

non-steroidal anti-inflammatory drugs, or alcohol abuse 1 or 2

(31)

31

Un punteggio HAS-BLED maggiore o uguale a 3 indica un elevato rischio emorragico.

Alcuni fattori di rischio per sanguinamento sono anche fattori di rischio per eventi tromboembolici (ad esempio l’ipertensione e l’età).

Un punteggio elevato negli score di sanguinamento quindi non deve necessariamente imporre l’interruzione o il mancato utilizzo della terapia anticoagulante, ma piuttosto dovrebbero essere identificati i fattori di rischio per sanguinamento e dovrebbero essere trattati quelli modificabili. È quindi importante ad esempio il controllo dell’ipertensione, la correzione di eventuali terapie che predispongono a manifestazioni emorragiche, come il trattamento con farmaci antiaggreganti piastrinici o antiinfiammatori non steroidei, evitare l’abuso di alcol e correggere l’INR in pazienti trattati con antagonisti della vitamina K64.

2.9.1.3 Terapia anticoagulante

Le opzioni terapeutiche per la prevenzione del rischio tromboembolico sono rappresentate dai farmaci anticoagulanti orali e dagli inibitori dell’aggregazione piastrinica.

I farmaci anticoagulanti orali comprendono gli antagonisti della vitamina K (VKA) e i nuovi anticoagulanti orali (NOAC).

I VKAs, tra cui il Warfarin, si sono dimostrati in grado di ridurre il rischio di ictus e la mortalità84, ma molti fattori possono influenzare la loro farmacocinetica e farmacodinamica, come polimorfismi genetici, vari farmaci, abitudini alimentari, lo stato di alcune malattie e l’introito di alcol94,95.

Questi farmaci hanno uno stretto intervallo terapeutico e necessitano di un monitoraggio continuo per mezzo dell’INR, che deve essere mantenuto tra 2.0 e 3.0, per poter beneficiare dell’effetto antitrombotico e minimizzare il rischio di sanguinamenti. Il monitoraggio è effettuato anche tramite il TTR (tempo in range terapeutico, cioè il numero di INR tra 2.0 e 3.0 su numero di INR complessivi espresso in percentuale) che deve essere mantenuto il più elevato possibile, almeno superiore al 60-65%96.

(32)

32

Per questi motivi possono essere utilizzati, in sostituzione dei VKAs, i nuovi anticoagulanti orali.

I NOACs comprendono farmaci che bloccano selettivamente la trombina (Dabigatran) o il fattore Xa (Apixaban, Edoxaban, Rivaroxaban).

Tutti i NOACs hanno il vantaggio di avere un effetto prevedibile, con la possibilità di essere somministrati in dosi fisse giornaliere, senza necessità di un monitoraggio regolare, risultando quindi decisamente più maneggevoli per il paziente e garantendo una maggiore aderenza terapeutica.

Sono stati eseguiti vari studi (ARISTOTLE97, RE-LY98, ENGAGE AF-TIMI 4899, ROCKET-AF100) che hanno comparato i NOAC con il Warfarin (VKA) dimostrando una riduzione del rischio di ictus o embolismo sistemico dal 21 al 35% e una riduzione del rischio emorragico dal 20 al 53% a seconda del farmaco studiato.

Data l’efficacia comparabile, se non superiore, nel ridurre il rischio embolico rispetto agli antagonisti della vitamina K e la maggiore maneggevolezza, i nuovi anticoagulanti orali sono considerati sempre come farmaci di prima scelta nei pazienti che necessitano di una terapia anticoagulante.

Eccezione è rappresentata dai pazienti con fibrillazione atriale e concomitante stenosi mitralica moderata-severa o portatori di protesi valvolare meccanica, in cui i NOAC sono controindicati e devono invece essere impiegati gli antagonisti della vitamina K64.

La terapia con inibitori dell’aggregazione piastrinica, invece, non è raccomandata per la prevenzione degli ictus in pazienti con fibrillazione atriale.

Questi farmaci (Aspirina e Clopidogrel) hanno dimostrato di avere una minore efficacia nella prevenzione degli ictus e dell’embolismo sistemico rispetto agli anticoagulanti orali101-103.

L’associazione Aspirina, Clopidogrel e anticoagulante orale è invece raccomandata per un breve periodo nei pazienti sottoposti a stenting dopo malattia coronarica stabile o sindrome coronarica acuta per prevenire le recidive di eventi coronarici e ischemici

(33)

33 cerebrali.

In alternativa alla triplice terapia può essere presa in considerazione una duplice associazione di anticoagulante orale e Clopidogrel64,104.

2.9.1.4 Chiusura dell’auricola sinistra

Nel caso in cui i pazienti presentino delle controindicazioni alla terapia anticoagulante, è possibile effettuare la chiusura dell’auricola sinistra64.

L’auricola sinistra, per la sua posizione e conformazione, è la tipica sede di formazione dei trombi nei soggetti con fibrillazione atriale105, per cui può essere occlusa tramite l’utilizzo di dispositivi posizionati per via percutanea o tramite chirurgia.

Secondo vari studi106-108 questa procedura ha dimostrato un’efficacia equivalente al trattamento con gli anticoagulanti orali nella prevenzione degli ictus e un minor rischio emorragico; tuttavia la procedura è gravata da gravi complicanze109.

2.9.2 Controllo della frequenza cardiaca

Il controllo della frequenza cardiaca è una parte integrante nel trattamento della fibrillazione atriale e spesso è sufficiente a migliorare la sintomatologia correlata a tale aritmia.

Non è ancora stato stabilito chiaramente quale sia la frequenza cardiaca ottimale da raggiungere nei pazienti con fibrillazione atriale, ma gli studi disponibili110-112 indicano come approccio iniziale un controllo moderato della frequenza (<110 bpm a riposo), a meno che la sintomatologia non sia tale da richiedere un controllo più stretto.

Un controllo moderato è risultato ugualmente efficace nella prevenzione di eventi cardiovascolari rispetto ad un controllo più stretto, è più facile da raggiungere e richiede minori visite ambulatoriali ed esami.

(34)

34 2.9.2.1 Terapia farmacologica

Figura 7. Terapia farmacologica per il controllo della frequenza cardiaca64

I farmaci comunemente utilizzati per raggiungere un ottimale controllo della frequenza cardiaca sono rappresentati da:

 Betabloccanti (bisoprololo, carvedilolo, metoprololo, nebivololo, esmololo): riducono l’attività simpatica (recettore β1) del nodo atrioventricolare rallentando la frequenza ventricolare. Sono spesso utilizzati come terapia di prima linea.  Calcio-antagonisti non diidropiridinici (verapamil, diltiazem): sono efficaci nel

trattamento acuto e cronico. Devono essere evitati nei pazienti con insufficienza cardiaca e ridotta frazione di eiezione (<40%) a causa del loro effetto inotropo negativo. Questi farmaci possono anche ridurre la pressione sanguigna per

(35)

35 l’effetto vasodilatante.

 Digossina: il suo utilizzo si è andato riducendo nel corso degli ultimi anni. Vari studi hanno dimostrato un aumento della mortalità associato al trattamento con digossina113, ma in realtà sembra che questo sia dovuto al fatto che questo farmaco viene generalmente prescritto a pazienti più anziani e con insufficienza cardiaca e ridotta frazione di eiezione114. Non risulta efficace nel controllo della frequenza cardiaca durante esercizio fisico115.

 Amiodarone: può essere utile, ma solo come ultima risorsa, poiché presenta diversi effetti avversi extra-cardiaci come disfunzioni tiroidee e tossicità polmonari116.

Spesso per raggiungere un controllo ottimale della frequenza cardiaca e della sintomatologia è necessaria una terapia d'associazione.

Nella fibrillazione atriale acuta di nuova insorgenza, spesso il controllo della frequenza è necessario. Devono essere però prima identificate altre possibili cause di elevata frequenza cardiaca come infezioni, problemi endocrini (ad esempio ipertiroidismo), anemia, embolia polmonare.

I farmaci di prima scelta sono rappresentati da betabloccanti o diltiazem/verapamil, che sono da preferire alla digossina per la maggiore rapidità d’azione.

Tipicamente vengono somministrati per via endovenosa e una volta raggiunto il controllo della frequenza, devono essere somministrati per via orale117.

Se la dose massima non risulta efficace, può essere associata la digossina, dato che l’associazione betabloccanti e calcio-antagonisti non è attuabile (può portare a grave bradicardia e ipotensione).

Anche l’amiodarone può essere utilizzato, soprattutto nei pazienti che presentano instabilità emodinamica o una frazione di eiezione severamente ridotta.

(36)

36

importante perché può prevenire i sintomi e può preservare la funzione cardiaca117,118. I farmaci di prima scelta includono calcio-antagonisti e betabloccanti. La digossina può essere introdotta come terapia di seconda linea, facendo attenzione a evitare eventuali tossicità causate dall’interazione con altri farmaci.

2.9.2.2 Ablazione transcatetere del nodo atrioventricolare

Nel caso in cui la terapia farmacologica suddetta non risulti in grado di controllare adeguatamente la frequenza cardiaca devono essere prese in considerazione altre tecniche come l'ablazione transcatetere del nodo atrioventricolare, una procedura che richiede l'impianto di un pacemaker permanente.

L’ablazione del nodo atrioventricolare o del fascio di His, tramite l’utilizzo di radiofrequenza, causa il blocco completo del nodo atrioventricolare e sostituisce il ritmo nativo irregolare e rapido, con il ritmo regolare generato dal pacemaker.

Questa procedura consente di ottenere un efficace controllo della frequenza ventricolare ed è relativamente semplice, gravata da poche complicazioni e con basso rischio di mortalità a lungo termine119,120.

2.9.3 Controllo del ritmo.

2.9.3.1 Cardioversione farmacologica e cardioversione elettrica

La cardioversione è una procedura terapeutica finalizzata al ripristino del ritmo sinusale nei pazienti che presentano fibrillazione atriale, indicata ai fini del miglioramento dei sintomi.

Fino al 50% dei pazienti può convertire spontaneamente a ritmo sinusale121.

Nei pazienti sottoposti a tal procedura devono essere corretti i fattori di rischio cardiovascolare ed occorre evitare eventuali trigger dell’aritmia, così da facilitare il mantenimento del ritmo sinusale.

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37

La cardioversione può essere attuata mediante l’utilizzo di farmaci antiaritmici (cardioversione farmacologica) o l’applicazione di corrente elettrica (cardioversione elettrica).

La scelta tra queste due alternative deve basarsi sulle preferenze del medico e del paziente, ad eccezione dei casi con instabilità emodinamica, in cui deve essere eseguita la cardioversione elettrica per l’immediato ripristino della portata cardiaca64.

Figura 8. Terapia per il controllo del ritmo nella fibrillazione atriale di recente insorgenza64.

La cardioversione farmacologica ripristina il ritmo sinusale nel 50-60% dei casi, risultando quindi meno efficace rispetto a quella elettrica, in cui si raggiunge un tasso di successo di circa il 90%117,122,123.

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I farmaci che vengono comunemente utilizzati sono:

 Flecainide  Propafenone  Ibutilide  Vernakalant  Amiodarone

Flecainide e propafenone sono farmaci efficaci, ma devono essere usati in assenza di patologie cardiache strutturali124,125.

L’ibutilide è una valida alternativa, ma presenta il rischio di torsioni di punta126.

Vernakalant può essere dato ai pazienti con insufficienza cardiaca moderata (classe NYHA I o II), compresi quelli con ischemia cardiaca che non presentino però ipotensione o stenosi aortica severa127.

L’amiodarone invece può essere usato nei pazienti con insufficienza cardiaca e ischemia cardiaca128.

Nei pazienti con scarsi episodi sintomatici di fibrillazione atriale parossistica è possibile utilizzare un approccio definito “pill in the pocket”.

In questo caso è il paziente stesso ad autosomministrarsi il farmaco per ripristinare il ritmo sinusale.

Vengono solitamente utilizzati flecainide (200-300mg) o propafenone (450-600mg)64. Questo tipo di approccio ha dimostrato una buona efficacia unitamente ad una bassa incidenza di effetti collaterali, risultando quindi molto pratico per il paziente e riducendo anche il numero di accessi in pronto soccorso129.

La cardioversione elettrica viene effettuata applicando delle piastre al torace del paziente (generalmente antero-posteriori) collegate ad un defibrillatore bifasico, che eroga una scarica elettrica di 100-200J130,131.

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39

I pazienti necessitano di sedazione solitamente con midazolam o propofol endovena. Per aumentare la probabilità di successo della cardioversione elettrica e prevenire le recidive può essere fatto un pretrattamento con amiodarone (qualche settimana prima), flecainide, ibutilide o propafenone (1-3 giorni prima)64.

Questa tecnica si è dimostrata una procedura sicura con scarse complicanze ed un minor tempo di permanenza in pronto soccorso132.

La cardioversione elettrica risulta quindi più efficace, veloce e con periodi di ospedalizzazione più brevi, ma la cardioversione farmacologica non richiede sedazione o digiuno.

La cardioversione implica il rischio di eventi embolici in pazienti non in terapia anticoagulante. È quindi fondamentale iniziare tale terapia in ogni paziente in cui venga programmata la cardioversione.

La maggior parte dei pazienti con fibrillazione atriale di insorgenza inferiore alle 48h possono essere cardiovertiti a ritmo sinusale senza necessità di anticoagulazione. Nei soggetti con fibrillazione atriale > 48 ore dovrebbe essere effettuata la terapia anticoagulante orale almeno 3 settimane prima della cardioversione e proseguita per 4 settimane dopo (se sono assenti fattori di rischio) o indefinitamente.

Se il paziente necessita di una cardioversione precoce può essere eseguita un’ecocardiografia trans-esofagea per escludere la presenza di formazioni trombotiche in atrio sinistro. Qualora queste siano assenti si può procedere con il trattamento, altrimenti deve essere instaurata una terapia anticoagulante per almeno 3 settimane, dopo le quali verrà ripetuta l’ecografia per essere sicuri della risoluzione delle formazioni trombotiche64.

La decisione di intraprendere una terapia antiaritmica a lungo termine deve tenere in considerazione possibili effetti avversi dei farmaci. I farmaci antiaritmici hanno spesso effetti pro-aritmici o effetti collaterali extracardiaci, per cui la scelta deve essere guidata

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40

prevalentemente da considerazioni inerenti più alla sicurezza che all’efficacia.

Il trattamento è giustificato nel tentativo di migliorare i sintomi correlati alla fibrillazione atriale.

Nei pazienti con normale funzione ventricolare sinistra e senza ipertrofia ventricolare sinistra patologica, si raccomanda la terapia con dronedarone, flecainide, propafenone o sotalolo.

Nei pazienti con malattia coronarica stabile, ma senza scompenso cardiaco, si usa il dronedarone, mentre se è presente scompenso cardiaco, l’amiodarone.

I pazienti in terapia antiaritmica devono essere sottoposti a valutazione periodica per confermare l’eleggibilità al trattamento. Nella fase iniziale viene eseguita una registrazione ECG per monitorare la frequenza cardiaca e identificare un eventuale prolungamento dell’intervallo QT e QRS, la comparsa di blocco atrio-ventricolare o la presenza di onde T-U anomale che preannunciano una torsione di punta.

La terapia non deve essere intrapresa in caso di QT>0,5s o in caso di malattia del nodo seno-atriale o disfunzione del nodo atrio-ventricolare64.

2.9.3.2 Ablazione transcatetere

L’ablazione transcatetere viene presa in considerazione dopo fallimento o intolleranza alla terapia antiaritmica.

È una procedura che consiste nel distruggere le zone cardiache responsabili dell’insorgenza e del perpetuarsi della fibrillazione atriale.

Il principale obiettivo di tale procedura è l’isolamento delle vene polmonari e l’ablazione della parete posteriore dell’atrio sinistro, che sono le sedi più comuni di trigger per l’insorgenza della fibrillazione atriale.

L’ablazione transcatetere viene solitamente eseguita tramite l’applicazione di radiofrequenze attraverso un catetere inserito per via femorale. Metodi alternativi sono rappresentati invece da energia criotermica e laser133.

(41)

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fibrillazione atriale parossistica rispetto a quella permanente. Questo è probabilmente dovuto al fatto che le vene polmonari giocano un ruolo minore nella fibrillazione atriale permanente rispetto al rimodellamento elettrico ed anatomico dell’atrio. Per questo motivo sarebbe preferibile ricorrere all’ablazione transcatetere prima che la fibrillazione atriale parossistica progredisca in permanente134.

Nonostante l’ablazione transcatetere si sia dimostrata efficace nel controllo della fibrillazione atriale, essa è una procedura non priva di rischi. Le più importanti complicanze della procedura sono ictus/tia, tamponamento cardiaco, stenosi delle vene polmonari e lesioni esofagee con sviluppo di fistole atrio-esofagee settimane dopo la procedura135.

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42

3 Scopo dello studio

Lo scopo del presente studio è l’analisi della gestione del paziente che accede in Dipartimento di Emergenza e Urgenza (DEA) con fibrillazione atriale e la valutazione del suo outcome clinico.

Gli obiettivi principali sono:

 delineare le caratteristiche epidemiologiche, anamnestiche ed obiettive dei pazienti che accedono in un DEA di II livello con diagnosi di fibrillazione atriale;  valutarne:

o la mortalità in DEA

o l’esito (dimissione a domicilio/ricovero ospedaliero) o il tempo di permanenza in DEA (totale, OT, OBI)

o nuovi accessi in DEA per la medesima causa o per eventi cardiovascolari maggiori

 individuare eventuali valori predittivi di outcome avverso attraverso l’analisi dei valori di troponina ad alta sensibilità (THS) e del BNP.

4 Materiali e metodi

Per questo studio retrospettivo sono stati esaminati 614 pazienti consecutivi con diagnosi di fibrillazione atriale che si sono presentati presso il DEA dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana (AOUP) nel periodo compreso tra il 1° Gennaio 2017 e il 31 Dicembre 2017.

I pazienti arruolati nello studio sono stati selezionati in base ai seguenti criteri:  età ≥ 18 anni;

 diagnosi di dimissione di fibrillazione atriale;

(43)

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(OBI), osservazione temporanea (OT), ricovero, rifiuto ricovero, trasferimento ad altro istituto.

Sono stati invece esclusi dallo studio, oltre ai pazienti di età inferiore ai 18 anni, anche quelli che, pur presentando una diagnosi di fibrillazione atriale, avevano come principale motivo di accesso in DEA altre patologie clinicamente rilevanti e confondenti (es. sepsi, trauma, neoplasie in atto ecc).

Per ogni paziente è stata analizzata la cartella clinica, ottenuta attraverso il sistema di gestione degli accessi in Pronto Soccorso First Aid.

Sono stati ricavati ed inseriti in un database i seguenti dati: o dati anagrafici: sesso ed età;

o data e ora di accesso al DEA e data ed ora di dimissione;

o anamnesi patologica prossima con particolare riguardo ai sintomi;

o anamnesi patologica remota con particolare attenzione alle comorbidità cardiovascolari;

o anamnesi farmacologica;

o esami strumentali ed esami ematochimici eseguiti in Pronto Soccorso, nello specifico dosaggio della Troponina HS e/o del BNP, potassiemia e creatininemia; o eventuale consulenza specialistica cardiologica;

o esito: dimissione a domicilio o volontaria, Osservazione Breve Intensiva, Osservazione temporanea, ricovero, rifiuto del ricovero o trasferimento ad altro istituto.

Follow up

Sempre grazie al programma First Aid, è stato eseguito un follow up a 0-6 mesi e 6-12 mesi dei pazienti in esame. In particolare sono stati esaminati gli eventuali successivi accessi in Pronto Soccorso per fibrillazione atriale o per eventi cardiovascolari.

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4.1 Elaborazione dati e analisi statistica

Per l’analisi statistica dei dati e per le rappresentazioni grafiche sono stati utilizzati i software MS Excel 2016 e NCSS 12.

Sono stati utilizzati, laddove appropriati, il t test di Student a due code per campioni indipendenti, il test di Kruskall-Wallis ed il test di Chi quadro.

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5 Risultati

5.1 Caratteristiche della popolazione in studio

Nel 2017 ci sono stati un totale di 90259 accessi presso il DEA dell’AOUP, mentre i pazienti con diagnosi di dimissione di fibrillazione atriale sono stati complessivamente 614, corrispondenti allo 0,68%.

Di questi 614 pazienti, in base ai criteri di inclusione ed esclusione precedentemente citati, 566 sono stati arruolati per il nostro studio.

La distribuzione per sesso è stata omogenea con una lieve preponderanza per il sesso maschile: 51,1% (289/566) dei pazienti è risultato di sesso maschile e il 48,9%, (277/566) di sesso femminile.

Figura 9. Distribuzione percentuale per sesso.

L’età media è stata di 71 anni (range 26-96).

Negli uomini l’età media è risultata inferiore rispetto alle donne, rispettivamente 67,9 vs 74,5 aa (P 0,001).

(46)

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Figura 10. Distribuzione per età.

Suddividendo i pazienti per fasce d’età, possiamo notare come i pazienti in studio si collochino prevalentemente tra i 70 e i 79 anni (205 casi su 566, corrispondenti al 36,2%), tra i 60 e i 69 anni (122 casi corrispondenti al 21,6%) e tra gli 80 e gli 89 anni (115 casi corrispondenti al 20,3%).

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Figura12. Distribuzione per sesso e per età.

Come evidenziato in grafico della figura 12, il sesso femminile risulta essere meno rappresentato rispetto a quello maschile nelle prime fasce d’età, fino ai 70-79 anni, per poi superarlo nelle fasce d’età superiori.

fasce d'età Frequenza Percentuale

18-29 4 1,4% 30-39 7 2,4% 40-49 18 6,2% 50-59 35 12,1% 60-69 73 25,3% 70-79 107 37,0% 80-89 42 14,5% >90 3 1,0%

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Fasce d’età frequenza Percentuale

18-29 1 0,4% 30-39 0 0,0% 40-49 4 1,4% 50-59 29 10,5% 60-69 49 17,7% 70-79 98 35,4% 80-89 73 26,4% >90 23 8,3%

Tabella 5. Distribuzione per fasce d’età nel sesso femminile.

La maggior parte dei pazienti, pari al 92,9%, si è presentata in pronto soccorso riferendo uno o più sintomi, tra cui sicuramente risulta preponderante il ruolo delle palpitazioni, presenti nel 71,2% (403/566) dei casi. Altri sintomi riscontrati sono stati la dispnea riferita dal 13,8% (78/566) dei soggetti e il dolore toracico nel 13,6% (77/566), sintomi prelipotimici nel 3,5% (20/566).

Infine nel 7,1% (40/566) dei casi il paziente si è recato in pronto soccorso per riscontro occasionale di polso aritmico.

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49 Sintomi N % Palpitazioni 403 71,2% Dispnea 78 13,8% Dolore toracico 77 13,6% Prelipotimia 20 3,5%

Riscontro occasionale di polso aritmico 40 7,1%

Altri sintomi 52 9,2%

Tabella 6. Sintomi di accesso al pronto soccorso.

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Sono state analizzate le storie cliniche dei pazienti per valutarne le comorbidità come descritto in tabella 7.

Dalla raccolta anamnestica si evince che il 46,5% (263/566) dei pazienti analizzati presentano nella storia almeno un pregresso episodio di fibrillazione atriale.

Tra le varie patologie correlate abbiamo evidenziato una netta prevalenza dell’ipertensione arteriosa nella popolazione in studio, presente nel 45,9% dei pazienti (260/566), seconda il diabete mellito di tipo 2, presente nell’11,3% (64/566) dei soggetti e lo scompenso cardiaco, riferito in anamnesi dal 4,8% dei pazienti (27/566).

Nonostante solo 27 pazienti avessero riferito in anamnesi storia di scompenso cardiaco, all’esame obiettivo hanno presentato segni clinici di scompenso 59 pazienti (10,4%). Andando poi ad analizzare la storia di eventi cardiovascolari, si è evidenziato come il 6,5% dei pazienti (37/566) ha storia di pregresso infarto miocardico, l’1,8% (10/566) di pregresso ictus ischemico e l’1,2% (7 /566) di pregresso TIA.

Comorbidità N %

Ipertensione arteriosa 260 45,9%

Diabete mellito tipo 2 64 11,3%

Scompenso cardiaco 27 4,8% IMA 37 6,5% Ictus 10 1,8% TIA 7 1,2% FA 263 46,5% Tabella 7. Comorbidità

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Analizzando l’anamnesi farmacologica, nelle classi di farmaci di maggior interesse nell’inquadramento del paziente con fibrillazione atriale, è risultato che una buona percentuale di pazienti erano già in terapia domiciliare con farmaci volti al controllo della frequenza cardiaca, antiscompenso, antipertensivi o volti al controllo del ritmo.

In particolare:

 Farmaci per il controllo della frequenza cardiaca/scompenso/antipertensivi: il 58,2%, (153/263) assumeva un betabloccante, il 25,1% (66/263) un calcio-antagonista, il 3,8%, (10/263) la digossina;

 Farmaci per il controllo del ritmo: il 27,4% (72/263) dei soggetti era in terapia con flecainide, il 16,3% (43/263) in terapia con propafenone, l’8,7% (23/263) in terapia con amiodarone e l’1,5% (4/263) in terapia con dronedarone.

 Farmaci per la prevenzione del rischio tromboembolico: il 62,0% dei pazienti (163/263) assumevano terapia anticoagulante. Volendo analizzare più nello specifico il tipo di terapia il 21,5% (35/163) era in TAO, in particolare l’83 % (29/35) con warfarin, lo 0,05% (2/35) con acenocumarolo, non specificato in 4 pazienti. Per quanto riguarda invece la terapia con i nuovi anticoagulanti il 43,7 % (56/128) assumeva apixaban, il 32,8 % (42/128) rivaroxaban, il 16,4 % (21/128) dabigatran, il 6,2 % (8/128) edoxaban e solo 1 non specificato. Pertanto il 78,5% dei pazienti (128/163) è risultato in NAO.

Nella figura 14 è riportata la terapia domiciliare assunta dai pazienti e nella figura 15 la terapia anticoagulante nel dettaglio.

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Figura 14. Terapia domiciliare

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Sulla base delle comorbidità, del sesso e dell’età, ricavati dalle cartelle cliniche, per ogni paziente è stato poi calcolato il CHA2DS2-VASc score, per la valutazione del rischio tromboembolico e quindi per l’eventuale necessità di intraprendere una terapia anticoagulante.

La maggior parte dei pazienti è risultata avere un CHA2DS2-VASc compreso tra 2 e 4, con un valore medio di 2,58 ± 1,56.

Il 23,5% dei pazienti (133/566) ha ottenuto un punteggio di 3, il 22,3% (126/566) un punteggio di 2 e il 18,4% (104/566) un punteggio di 4.

Meno rappresentati i punteggi più alti con il 6% (34/566) che ha uno score pari a 5, il 2,7% (15/566) che ha uno score pari a 6 e l’1,1% (6/566) con uno score pari a 7.

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In Pronto Soccorso tutti i pazienti sono stati sottoposti ad almeno un ECG per la diagnosi e ad un prelievo di sangue venoso.

Il 20,5% dei pazienti (116/ 556) è stato sottoposto ad un prelievo di sangue arterioso (EGA).

È stata eseguita una radiografia del torace nel 33,7% dei pazienti (191/556), un’ecocardiografia nel 2,8% (16/556) e soltanto in 1 paziente (0,2%) è stata eseguita un’ecocardiografia trans-esofagea.

Per il 17,7% (100/566) si è resa necessaria una consulenza cardiologica.

Per quanto riguarda gli esami ematochimici, particolare attenzione è stata posta ai valori di troponina e di BNP.

Almeno un dosaggio della troponina è stato richiesto per il 47,3% dei pazienti (268/566). Il BNP è stato invece valutato nel 38,7% dei pazienti (219/566).

Nel grafico (figura 17) sono riportate tutte le indagini diagnostico strumentali e laboratoristiche effettuate per ciascun paziente.

Figura 17. Indagini diagnostico strumentali e di laboratorio effettuate in pronto soccorso.

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Per la troponina ad alta sensibilità in 268 pazienti, corrispondenti al 47,3%, è stato effettuato almeno un dosaggio; di questi il 60,8% (163/268) ha effettuato un solo dosaggio, il 29,9% (80/269) ne ha effettuati 2, mentre il 9,3% (25/268) ne ha effettuati 3. È stato considerato il rilievo più alto ottenuto, nel caso dei pazienti che avevano effettuato più di un dosaggio per eseguire l’analisi statistica.

Il valore medio ottenuto è risultato di 24,5, range 3-311 ng/L, mediana 17.

Abbiamo suddiviso i pazienti in tre gruppi a seconda del valore di THS selezionato: un gruppo con THS ≤14 ng/L, un gruppo con THS tra 15 e 50 ng/L e un gruppo con THS >50 ng/L.

Per il 39,9% (107/268) dei pazienti analizzati il valore riscontrato è risultato nella norma (≤14 ng/L), per il 46,3% (124/268) è risultato moderatamente elevato (15-50 ng/L) e per il 13,8% (37/268) è risultato elevato (>50 ng/L).

L’età media dei soggetti in cui è stata valutata la THS non variava da quella dell’intero campione, essendo rispettivamente di 72,1 vs 71,1 (p:NS). Per quanto riguarda invece i sintomi, possiamo notare come in quasi tutti i casi in cui veniva riferito dolore toracico, è stata indagata la troponina, dei 77 pazienti che si erano presentati in PS con dolore toracico il 93,5% (72/77) ha eseguito almeno 1 dosaggio della troponina.

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Per il BNP i valori riscontrati erano compresi tra un minimo di 12 pg/ml e un massimo di 2920 pg/ml. Il valore medio è risultato essere di 369,79 (DS 399).

Dei 219 campioni analizzati, il 17,4% (38/219) è risultato entro i limiti della norma (≤100 pg/ml), mentre l’82,6% (181/219) è risultato elevato (>100 pg/ml).

Per quanto riguarda le terapie svolte in PS, il 52,3% dei pazienti (296/566) presentava una FA non databile e pertanto i trattamenti sono stati rivolti al controllo della frequenza cardiaca ed alla prevenzione del rischio tromboembolico.

I farmaci utilizzati per abbassare la frequenza cardiaca, dove necessario, sono stati:

 Betabloccanti: metoprololo, bisoprololo, atenololo;  Calcio-antagonisti: altiazem, diltiazem, verapamil;  Digossina.

Nello specifico si è reso necessario l’utilizzo di questi farmaci nel 30,4% dei pazienti (90/296) con la seguente suddivisione: al 13,3% dei pazienti (12/90) è stato somministrato un betabloccante, al 76,7% (69/90) un calcioantagonista e al 10,0% (9/90) la digossina.

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Figura 19. Distribuzione della terapia per il controllo della frequenza cardiaca.

Per la cardioversione farmacologica invece sono stati utilizzati:

● Propafenone; ● Flecainide; ● Amiodarone.

Il totale dei pazienti sottoposti a cardioversione farmacologica ammonta al 42,2% (239/566) così suddiviso: il 49,0% (117/239) ha assunto propafenone, il 23,0% (55/239) flecainide e il 28,0% (67/239) amiodarone.

Per l’83,7% (200/239) dei pazienti sottoposti a cardioversione farmacologica questa è risultata efficace, mentre nel restante 16,3% (39/200) si è passati alla cardioversione elettrica.

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