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Abbiamo valutato 614 pazienti consecutivi che si sono presentati presso il DEA dell’AOUP dal 1° gennaio al 31 dicembre 2017 con diagnosi di fibrillazione atriale. Di questi, 566 sono stati arruolati per il nostro studio (i criteri di esclusione sono stati età <18 anni o con diagnosi associate che rappresentino il principale motivo di accesso in PS o clinicamente rilevanti/confondenti per l’outcome e il follow up come sepsi, traumi, neoplasie in atto ecc.)

La distribuzione per sesso è stata omogenea con una preponderanza per il sesso maschile: 51,1%. L’età media è stata di 71 anni (range 26-96). Negli uomini l’età media è risultata inferiore rispetto alle donne, rispettivamente 67,9 vs 74,5 aa (P 0,001).

La maggior parte dei pazienti si è presentata in pronto soccorso riferendo uno o più sintomi, tra cui sicuramente risulta preponderante il ruolo delle palpitazioni, presenti nel 71,2% (403/566) dei casi. Altri sintomi riscontrati sono stati la dispnea riferita dal 13,8% (78/566), il dolore toracico nel 13,6% (77/566), sintomi prelipotimici nel 3,5% (20/566). Infine nel 7,1% (40/566) dei casi i pazienti si sono recati in pronto soccorso per riscontro occasionale di polso aritmico.

Dalla raccolta anamnestica si evince che il 46,5% (263/566) dei pazienti analizzati presentano nella storia almeno un pregresso episodio di fibrillazione atriale.

Tra le varie patologie correlate abbiamo evidenziato una netta prevalenza dell’ipertensione arteriosa nella popolazione in studio, presente nel 45,9% dei pazienti (260/566), seconda il diabete mellito di tipo 2, presente nell’11,3% (64/566) dei soggetti e lo scompenso cardiaco, riferito in anamnesi dal 4,8% dei pazienti (27/566).

Andando poi ad analizzare la storia di eventi cardiovascolari, si è evidenziato come il 6,5% dei pazienti (37/566) ha storia di pregresso infarto miocardico, l’1,8% (10/566) di pregresso ictus ischemico e l’1,2% (7 /566) di pregresso TIA.

Analizzando l’anamnesi farmacologica, è risultato che una buona percentuale di pazienti era già in terapia domiciliare con farmaci volti al controllo della frequenza cardiaca, antiscompenso, antipertensivi o volti al controllo del ritmo.

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Sulla base dei dati dalle cartelle cliniche, per ogni paziente è stato poi calcolato il CHA2DS2-VASc score. La maggior parte dei pazienti è risultata avere un CHA2DS2-VASc compreso tra 2 e 4, con un valore medio di 2,58 ± 1,56DS.

In Pronto Soccorso tutti i pazienti sono stati sottoposti ad almeno un ECG per la diagnosi e ad un prelievo di sangue venoso. Il 20,5% dei pazienti (116/ 556) sono stati sottoposti ad un prelievo di sangue arterioso (EGA). È stata eseguita una radiografia del torace nel 33,7% dei pazienti (191/556), un’ecocardiografia nel 2,8% (16/556) e soltanto in 1 paziente (0,2%) è stata eseguita un’ecocardiografia trans-esofagea. Per il 17,7% (100/566) si è resa necessaria una consulenza cardiologica.

Per quanto riguarda gli esami ematochimici, particolare attenzione è stata posta ai valori di troponina e di BNP. Almeno un dosaggio della troponina è stato richiesto per il 47,3% dei pazienti (268/566). Il BNP è stato invece valutato nel 38,7% dei pazienti (219/566). Per quanto riguarda la troponina ad alta sensibilità nel 47,3% dei casi è stato effettuato almeno un dosaggio; in particolare il 60,8% (163/268) ha effettuato un solo dosaggio, il 29,9% (80/269) ne ha effettuati 2, mentre il 9,3% (25/268) ne ha effettuati 3.

Per l’analisi statistica è stato considerato il rilievo più alto ottenuto. Il valore medio ottenuto è risultato di 24,5, range 3-311 ng/L, mediana 17.

Abbiamo infine suddiviso i pazienti in tre gruppi a seconda del valore di THS selezionato: un primo gruppo con THS ≤ 14 ng/L, un secondo gruppo con THS tra 15 e 50 ng/L e un terzo gruppo con THS >50 ng/L.

Per il BNP il valore medio è risultato 369,79 (DS 399). Dei 219 valori di BNP analizzati, il 17,4% (38/219) è risultato entro i limiti della norma (≤100 pg/ml), mentre l’82,6% (181/219) è risultato elevato (>100 pg/ml).

Per quanto riguarda le terapie svolte in PS, il 52,3% pazienti (296/566) presentava una FA non databile e pertanto i trattamenti sono stati rivolti al controllo della frequenza cardiaca ed alla prevenzione del rischio trombo embolico.

Il totale dei pazienti sottoposti invece a cardioversione farmacologica era il 42,2%. Nell’83,7% (200/239) dei pazienti sottoposti a cardioversione farmacologica questa è risultata efficace, mentre nel restante 16,3% (39/200) si è passati alla cardioversione elettrica.

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Nel 12,4% dei casi (70 pazienti su 566) è stato ritenuto opportuno il ricorso alla cardioversione elettrica come prima scelta terapeutica.

I pazienti sottoposti a cardioversione elettrica hanno eseguito la procedura all’interno del DEA dopo sedo-analgesia praticata sempre dal medico d’urgenza con morfina e midazolam nel 67,1% (pari a 47 pazienti su 70), mentre nel 20% (14/70) dei casi è stato utilizzato il propofol (in 9 non specificato). Il midazolam è il farmaco più utilizzato nel nostro DEA sia per la maggiore conoscenza sia per la presenza di un antidoto disponibile (Flumazenil) in caso di emergenza.

Nel 21,2% dei casi invece non è stato necessario l’utilizzo di farmaci antiaritmici o cardioversione elettrica dato che ha avuto una cardioversione spontanea in pronto soccorso.

Per la prevenzione del rischio tromboembolico è stato intrapreso un trattamento farmacologico per 274 pazienti, corrispondenti al 48,4% del totale.

Analizzando l’esito dei pazienti in studio è risultato che la maggior parte di essi pari all’82,2% (465/566) è stata dimessa a domicilio.

Per il 15,4% (87/566) è stata posta indicazione al ricovero, di questi il 13,4% (76/566) è stato effettivamente ricoverato.

Per 245 pazienti, ovvero il 43,3%, è stata trovata indicazione all’Osservazione temporanea (OT) e/o all’Osservazione Breve Intensiva (OBI); in particolare il 19,4% (110/566) è stato posto in OBI, il 19,4% (110/566) in OT e il 4,4% (25/566) ha eseguito entrambi i percorsi.

Dei 76 pazienti ricoverati il 56.5% (43/76) è stato ricoverato in area medica, il 30,3% (23/76) in Medicina d’urgenza, solo il 19,7% (15/76) è stato indirizzato in un reparto di Cardiologia, ed il restante 6,6% in altri reparti.

Consultando il data base First Aid, sono stati ricercati eventuali successivi accessi in DEA dei pazienti in studio a 0-6 e 6-12 mesi (abbiamo considerato anche i VEAM, pazienti che non accedono fisicamente in PS, ma direttamente presso il reparto di ricovero ed accettatati con First Aid per motivi amministrativi). Sono stati presi in considerazione solo gli accessi per recidiva di fibrillazione atriale e per eventi cardiovascolari come infarto miocardico acuto, scompenso cardiaco ed eventi cerebrovascolari. Il principale

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motivo di nuovo accesso in PS è stato la recidiva dell’aritmia stessa. Per quanto riguarda poi gli eventi cardiovascolari, il 13,5% dei nuovi accessi (31/230) aveva diagnosi di dimissione scompenso cardiaco acuto, l’1,3% (3/230) di sindrome coronarica acuta o infarto miocardico acuto, il 2,6% (6/230) di angina, l’1,7% (4/230) di edema polmonare acuto e lo 0,4% (1 caso) di dissecazione aortica.

Altri accessi si sono avuti per complicanze di tipo tromboembolico, nello specifico nell’1,3% (3/230) è stata posta diagnosi di ictus ischemico e nel 3,0% (7/230) diagnosi di attacco ischemico transitorio (TIA).

Infine abbiamo evidenziato i nuovi accessi in PS per complicanze emorragiche, infatti lo 0,9% dei pazienti (2/230) si è presentato con ictus emorragico.

Dividendo i pazienti nei due gruppi di follow up già menzionati è risultato che la maggior parte degli accessi, corrispondente al 69,6% (160/230), si sono verificati nei primi 6 mesi, mentre per il 30,4% (70/230) si sono verificati tra i 6 e i 12 mesi successivi.

Nella popolazione in studio, non sono stati riportati casi di decesso nel periodo in esame, per cui non risulta possibile esprimersi riguardo la mortalità per fibrillazione atriale. Dalle cartelle cliniche ottenute dal programma First Aid, abbiamo inoltre calcolato il tempo di permanenza in PS.

I pazienti che hanno eseguito CVE o farmacologica hanno presentato un tempo di permanenza in DEA sovrapponibile (si segnala solo un range maggiore nella terapia farmacologica) mentre è raddoppiato per chi ha eseguito entrambi i trattamenti. Abbiamo pertanto valutato la presenza di una differenza significativa nei tempi di permanenza tra le tre modalità di trattamento, dimostrando una significatività (p 0.0001), come aspettato, per chi esegue entrambi i percorsi.

Abbiamo voluto infine analizzare l’eventuale presenza di un indicatore di outcome clinico avverso studiando il sottogruppo dei pazienti che hanno eseguito THS e/o BNP e andando a ricercare i successivi riaccessi in due tempi di follow up rispettivamente 0-6 mesi e 6-12 mesi.

Abbiamo considerato validi i successivi accessi per FA e i riaccessi per eventi cardiovascolari.

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THS (THS normale: ≤14 ng/L, media: 15-50 ng/L, alta >50 ng/L) e in due gruppi per quanto riguarda il BNP (BNP normale <100 pg/ml o elevato >100 pg/ml)

Per quanto riguarda i riaccessi per FA non abbiamo evidenziato una differenza significativa nei gruppi con diversi valori di THS al follow up.

Abbiamo invece riscontrato una differenza significativa tra l'appartenenza a un gruppo con THS media, elevata e normale e i riaccessi per eventi cardiovascolari. Tali dati sono significativi per il follow up a 6-12 mesi (p=0,03) e totale 0-12 mesi (p=0,001).

Inoltre, dividendo i pazienti che avevano eseguito la THS in solo due gruppi (uno con THS nella norma e l’altro con THS superiore al normale, ex gruppi medio e alto insieme) si evidenzia una associazione ad un maggior numero di riaccessi in PS entro 6 mesi (24% vs 14%, p = 0.04, p =0.06 dopo correzione per sesso ed età), con un odds ratio di circa 2 (1.96 [1.02-3.77]), oltre ad associarsi ad un maggior numero di eventi (18% vs 4%, p = 0.0005, p=0.003 dopo correzione per sesso ed età; OR 5.66[1.93-16.60]), nel gruppo con THS media-elevata.

Questo suggerirebbe pertanto una possibile utilità del dosaggio della troponina come fattore prognostico nei pazienti con FA.

Per quanto riguarda l'analisi dei gruppi di pazienti con BNP normale o alto e i riaccessi per FA abbiamo evidenziato un’incidenza maggiore di riaccessi nei pazienti con BNP normale (non statisticamente significativa), mentre i pazienti con BNP elevato avevano, come aspettato, un maggior numero di accessi per eventi cardiovascolari al follow up (anche in questo caso senza raggiungere la significatività statistica).

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