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Coomologia limitata e volume simpliciale

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Universit`a di Pisa

Facolt`a di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

Corso di Laurea in Matematica

Anno Accademico 2007/2008

Tesi di Laurea Specialistica

IL VOLUME SIMPLICIALE E

LA COOMOLOGIA LIMITATA

Candidato Cristina Pagliantini

Relatori Controrelatore

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Indice

Introduzione 3

1 La Norma di Gromov 6

1.1 La norma di Gromov e propriet`a . . . 6

1.2 Norma di Gromov di variet`a iperboliche . . . 11

1.2.1 Lo spazio iperbolico . . . 11

1.2.2 Lo straightening . . . 13

1.2.3 Stima della norma di Gromov per variet`a iperboliche . 15 2 Coomologia limitata di gruppi localmente compatti 18 2.1 Coomologia singolare e continua . . . 19

2.2 Coomologia limitata degli spazi topologici . . . 21

2.3 Coomologia di gruppi . . . 23

2.4 Coomologia limitata di gruppi discreti . . . 25

2.4.1 Un Teorema di Gromov . . . 34

2.5 Coomologia continua e limitata di gruppi . . . 36

2.5.1 Definizione di coomologia continua e limitata per grup-pi localmente compatti . . . 37

2.5.2 Carattere funtoriale della coomologia limitata continua 39 2.5.3 La risoluzione che realizza l’isometria . . . 42

2.5.4 Applicazioni del carattere funtoriale della coomologia continua e limitata . . . 50

3 Il Principio di Proporzionalit`a 52 3.1 Il Principio di Dualit`a . . . 53

3.2 Applicazione del Principio di Dualit`a . . . 56

3.3 Il gruppo delle isometrie . . . 58

3.4 Dimostrazione del Principio di Proporzionalit`a . . . 61

3.4.1 La mappa res e la mappa trans . . . 61

3.4.2 La mappa resb e la mappa transb . . . 64

3.5 Applicazioni del Principio di Proporzionalit`a . . . 67

(3)

4 Measure Homology 70

4.1 Misura con segno . . . 70

4.2 Definizione di Measure Homology . . . 72

4.3 Lo smearing . . . 74

4.4 Il Principio di Proporzionalit`a . . . 76

(4)

Introduzione

Posta la norma L1 sulle catene a coefficienti reali, il volume simpliciale, noto

anche come norma di Gromov, di una variet`a chiusa, connessa e orientata `e la seminorma, indotta in omologia, della classe fondamentale della variet`a. Il volume simpliciale `e un invariante omotopico in questa classe di variet`a e nonostante la sua natura topologica `e legato alla Geometria Riemanniana, in particolare alla nozione di volume Riemanniano. Ad esempio, nel 1982 Mikhail Gromov e William Thurston dimostrarono che il volume simplicia-le di una n-variet`a iperbolica di volume finito `e proporzionasimplicia-le al volume iperbolico di essa.

Un altro risultato che sancisce lo stretto legame tra il volume simplicia-le e il volume Riemanniano `e il Principio di Proporzionalit`a, di cui segue l’enunciato, che `e l’argomento centrale di questa tesi.

Teorema 0.1 (Principio di Proporzionalit`a). Siano M e N variet`a Rieman-niane orientate, chiuse e connesse con rivestimenti universali Riemanniani isometrici. Allora

kM k Vol(M) =

kN k Vol(N).

Esistono due approcci differenti alla dimostrazione dovuti a Michelle Bucher-Karlsson, che ha riformulato un’idea di Gromov, e a Clara Strohm-L¨oh, la quale utilizza la teoria della Measure Homology introdotta da Thur-ston. Alla base di entrambi i metodi `e la teoria della coomologia continua e limitata, ideata da Gromov, e che fornisce una sorta di “teoria duale” dell’omologia con seminorma L1. Questo strumento fu anche introdotto per

cercare di superare le difficolt`a di calcolo della norma di Gromov, infatti nonostante la definizione sia piuttosto semplice `e abbastanza difficile da cal-colare.

Nella tesi dopo aver definito la norma di Gromov ci concentreremo sulla teoria della coomologia continua e limitata dei gruppi localmente compatti, le cui propriet`a funtoriali verranno utilizzate per la dimostrazione di Bucher-Karlsson.

In particolare, il primo capitolo sar`a dedicato alla definizione di norma di Gromov e ad introdurre le propriet`a e i risultati che ci permetteranno di

(5)

acquisire una maggiore manualit`a con questo strumento. Forniremo esempi di variet`a con norma di Gromov nulla e mostreremo l’esistenza, non ovvia, di variet`a con norma non nulla tra cui rientrano le variet`a iperboliche, sulle quali ci concentreremo. In un primo momento daremo soltanto una stima della norma di Gromov di queste variet`a e successivamente, dopo aver in-trodotto il Principio di Proporzionalit`a, mostreremo che la disuguaglianza della stima `e in realt`a un’uguaglianza.

Nel secondo capitolo descriveremo la coomologia limitata degli spazi to-pologici e dei gruppi discreti e la coomologia continua e limitata dei gruppi localmente compatti. Tali teorie sono state sviluppate, oltre che dallo stesso Gromov, da Ivanov nel caso discreto e da Monod nel caso generale. Nella parte conclusiva verr`a anche affrontato il Teorema di Gromov in cui viene costruito un isomorfismo isometrico tra la coomologia limitata di uno spazio topologico e la coomologia limitata del suo gruppo fondamentale.

Il terzo capitolo sar`a dedicato alla dimostrazione del Principio di Propor-zionalit`a secondo l’approccio dovuto a Bucher-Karlsson. In essa verranno utilizzati i risultati precedentemente introdotti: in particolare, sar`a stu-diata la relazione tra la coomologia limitata del gruppo fondamentale di una variet`a Riemanniana e la coomologia limitata del gruppo, localmente compatto, delle isometrie del suo rivestimento universale.

Seguiranno applicazioni del Principio di Proporzionalit`a quali il noto teorema di Gromov-Thurston.

Teorema 0.2 (Gromov, Thurston). Siano M una n-variet`a iperbolica chiu-sa, connessa e orientabile e vn il volume di un n-simplesso ideale regolare

in Hn. Allora

kM k= |Vol(M)| vn

.

Vedremo inoltre un esempio di applicazione delle tecniche della coomo-logia limitata per il calcolo della norma di Gromov del prodotto cartesiano di due variet`a chiuse, connesse e orientate.

Infine nell’ultimo capitolo daremo una breve trattazione dell’approccio alla dimostrazione del Principio di Proporzionalit`a dovuto a Strohm-L¨oh. L’idea sottostante `e quella di sfruttare l’isomorfismo isometrico tra la teoria della Measure Homology e l’omologia singolare considerando la classe fon-damentale nell’ambito della Measure Homology.

(6)

Capitolo 1

La Norma di Gromov

Scopo di questo capitolo `e quello di introdurre la definizione di norma di Gromov, o volume simpliciale, di una variet`a differenziabile chiusa, connessa e orientata. Definiremo una norma sulle catene a coefficienti reali, la norma di Gromov di una variet`a sar`a quindi la seminorma, indotta in omologia, della classe fondamentale della variet`a. Alla definizione seguiranno una serie di risultati volti a mettere in luce le propriet`a della norma di Gromov e a fornire esempi di variet`a in cui questa norma `e nulla. Meno immediato sar`a dimostrare l’esistenza, non ovvia, di variet`a di norma non nulla, tra cui rientrano le variet`a iperboliche compatte. Il capitolo si conclude con il calcolo della norma di Gromov per le superfici.

1.1 La norma di Gromov e propriet`a

Indicheremo con Sk(X) l’insieme dei k-simplessi singolari e con Ck(X)

l’in-sieme delle k-catene a coefficienti in R, ossia l’ R-modulo libero generato da Sk(X). Porremo su di esso una norma, denominata norma L1, che indurr`a

una seminorma in omologia singolare.

Definizione 1.1. Siano X uno spazio topologico e k ∈ N. Sia c ∈ Ck(X)

una catena singolare tale che c= Pσ∈S

k(X)cσσ, allora

kck1:= X

σ∈Sk(X)

|cσ|.

Dal momento che per ogni catena solo un numero finito di cσ`e non nullo

la norma `e ben definita, cos`ı che l’insieme delle catene singolari Ck(X) `e uno

spazio vettoriale reale normato. Sia d l’operatore di bordo del complesso C∗(X); indicheremo con Zk= Ck(X) ∩ Ker d i k-cicli e con Bk= Ck(X) ∩

Im d i k-bordi. Sul k-esimo gruppo di omologia singolare Hk(X) = Zk/Bk

(7)

viene, quindi, indotta la seminorma

kzk= inf{kck1 : c ∈ Zk, [c] = z}

dove z ∈ Hk(X). Essa `e una seminorma in quanto Bknon `e necessariamente

chiuso in Zk, mentre Zk`e chiuso in Ckdal momento che l’operatore di bordo

`e continuo. Questa considerazione deriva dal seguente risultato generale. Teorema 1.2. Siano V uno spazio vettoriale normato, con norma k · kV, e

W ⊆ V un sottospazio. Su V /W poniamo la seminorma k[v]kV /W = inf{kakV,[v] = [a] ossia v − a ∈ W }.

Allora k · kV /W `e una norma ⇐⇒ W `e chiuso. Corollario 1.3.

Ogni[z] 6= 0 ∈ Hk(X) `e tale che kzk 6= 0 ⇐⇒ Bk`e chiuso in Zk.

Sia M una n-variet`a connessa, chiusa e orientata, indicheremo con [M] ∈ Hn(X, Z) la classe fondamentale1di M e con [M]Rla sua immagine tramite

l’omomorfismo di cambio di coefficienti Hn(X, Z) → Hn(X, R).

Definizione 1.4. La norma di Gromov, o volume simpliciale, di una variet`a orientata, chiusa e connessa M `e definita da

kM k:= k[M]Rk.

Osserviamo che `e indipendente dalla scelta dell’orientazione in quanto la seminorma `e invariante per la moltiplicazione per −1.

La definizione di norma di Gromov `e data per una variet`a chiusa, con-nessa e orientata; `e possibile estendere questa nozione a variet`a che non soddisfano una delle tre propriet`a elencate.

Se M non `e connessa basta considerare la somma delle norme di Gromov delle componenti connesse.

Se M `e una variet`a chiusa, connessa ma non orientabile sia M la variet`a orientabile che riveste M tramite una mappa di grado due2. Allora

kM k:= 1 2kM k.

Se invece M `e una variet`a aperta3, connessa e orientata, allora la classe

fondamentale `e rappresentata da cicli localmente finiti c=

X

i=1

riσi

1Nell’ipotesi in cui M possieda una triangolazione, che `e effettivamente il caso che ci

interessa, [M ] `e la somma dei simplessi della triangolazione, opportunamente orientati.

2Esiste ed `e unica per una qualsiasi variet`a. 3

Una variet`a aperta `e una variet`a senza bordo avente componenti connesse tutte non compatte.

(8)

ossia tali che ciascun sottoinsieme compatto di M intersechi solo un numero finito di simplessi σi. In questo caso kck = P∞i=1|ri|pu`o essere infinita e di

conseguenza anche la norma di Gromov potrebbe esserlo.

Diamo un esempio di calcolo della norma di Gromov di una variet`a. Proposizione 1.5. kS1k= 0.

Dimostrazione. Definiamo la mappa

γk: [0, 1] −→ S1

t 7−→ exp2πikt

dove k ∈ N. Sia α il generatore di H1(S1, Z), allora α = [γ1]. Mostriamo

che anche 1

kγk `e un rappresentante di α, ossia verifichiamo che kγ1− γk `e

un bordo. Poich´e ovviamente [γk 1 ∗(γ −1 k )] `e l’identit`a in π1(S1,1), tramite l’omomorfismo di Hurewicz ϕ: π1(S1,1) −→ H1(S1, Z) [γ] 7−→ [γ] otteniamo 0 = [kγ1− γk] = ϕ([γ1k∗ γ −1 k ]) in H1(S

1, Z). Ne segue dunque che

α = [k1γk], da cui passando all’estremo inferiore sui rappresentanti kαk =

0.

Elenchiamo ora alcuni risultati che ci permetteranno di acquisire una maggiore manualit`a con questo strumento.

Proposizione 1.6. Siano X e Y spazi topologici, f : X → Y un’applica-zione continua e α ∈ Hk(X). Allora

kf∗(α)k ≤ kαk

dove f∗ : Hk(X) → Hk(Y ).

Dimostrazione. Siano α ∈ Hk(X) e c = Pσ∈Sk(X)cσσ, un rappresentante di

α, si ha quindi che f(c) := Pσ∈S

k(X)cσ(f ◦ σ) `e una catena tale che f∗(α) =

[f(c)] e kf(c)k ≤ kck. Passando all’estremo inferiore sui vari rappresentanti di α, otteniamo kf∗(α)k ≤ kαk.

Corollario 1.7. Siano M e N n-variet`a orientate, chiuse e connesse. Sia f : M → N un’equivalenza omotopica, allora

kM k= kNk.

Dimostrazione. Poich´e f `e un’equivalenza omotopica f∗([M]) = ±[N] e per

la proposizione precedente kNk ≤ kMk. Lo stesso discorso applicato a g: N → M, inversa omotopica di f, mostra che kMk ≤ kNk.

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Definizione 1.8. Siano M e N due n-variet`a orientate, chiuse e connesse, di cui indicheremo con[M] e [N] le rispettive classi fondamentali in omologia a coefficienti in Z. Il grado di una mappa continua f : M → N `e l’intero deg(f) tale che

f∗Z([M]) = deg(f) · [N]

dove f∗Z : Hn(M, Z) → Hn(N, Z) `e la mappa indotta da f.

Osservazione 1.9. Per la naturalit`a degli omomorfismi di cambio dei coef-ficienti abbiamo che se f∗ : Hn(M, R) → Hn(N, R) `e indotta da f, allora

f∗([M]R) = deg(f) · [N]R.

Proposizione 1.10. Sia f : M → N una mappa tra due n-variet`a orientate, chiuse e connesse. Allora

kM k ≥ |deg(f)| · kNk.

Dimostrazione. Dalla definizione di norma di Gromov e dalla Proposizione 1.6 segue che

kM k= k[M]Rk ≥ kf∗([M]R)k

= kdeg(f) · [N]Rk

= |deg(f)| · kNk.

Vediamo, ora, come applicando i risultati precedenti si possono costruire esempi di variet`a con norma di Gromov nulla.

Corollario 1.11 (Teorema di annullamento). Sia f : M → M una mappa di una n-variet`a orientata chiusa e connessa in s´e tale che |deg(f)| ≥ 2 allora

kM k= 0. Corollario 1.12. Per ogni n ≥ 1, kSnk= 0.

Dimostrazione. Il caso n = 1 `e stato gi`a trattato nella Proposizione 1.5. Sia dunque n > 1; vediamo Sn come la sfera unitaria in R2× Rn−1. Sia k ∈ N

definiamo

fk: Sn −→ Sn

(a cos ϕ, a sin ϕ, t) 7−→ (a cos kϕ, a sin kϕ, t).

Questa mappa ha deg(fk) = k ≥ 2, dunque la tesi segue dal corollario

(10)

Proposizione 1.13. Sia p : M → N un rivestimento di grado d tra due variet`a orientate, chiuse e connesse. Allora

kM k= d · kNk.

Dimostrazione. Poich´e p `e un omeomorfismo locale, M e N hanno la stessa dimensione n. Dalla definizione di grado di un’applicazione abbiamo che p∗([M]R) = deg(p) · [N]R da cui deg(p) = d. Inoltre dalla Proposizione 1.10

abbiamo kMk ≥ |deg(p)| · kNk, quindi kMk ≥ d · kNk.

Occupiamoci ora dell’altra disuguaglianza. Sia σ : ∆n → N un

n-simplesso singolare di N, essendo ∆nsemplicemente connesso possiamo

sol-levare σ a eσ : ∆n → M, n-simplesso singolare di M; chiamiamo L(σ) l’in-sieme di tutti i sollevamenti di σ, che saranno esattamente d. Sia [c] = [N]R

tale che c = Pσ∈Sn(N )cσσ allora

e c= X σ∈Sn(N ) cσ X e σ∈L(σ) e σ

`e un ciclo e rappresenta [M]R in quanto p∗ : Hn(M, R) → Hn(N, R) `e

iniettiva e p∗([ec]) =   X σ∈Sn(N ) cσ X e σ∈L(σ) p ◦eσ   =   X σ∈Sn(N ) cσd · σ   = d · [N]R = p∗([M]R) da cui kM k= k[M]Rk ≤ keck1≤ d · X σ∈Sn(N ) |cσ|= d · kck1

passando all’estremo inferiore su c abbiamo la disuguaglianza cercata kMk ≤ d · kN k.

Proposizione 1.14. Siano M e N n-variet`a Riemanniane, chiuse, con-nesse e orientate. Supponiamo che entrambe ammettano un rivestimento Riemanniano connesso X a finiti fogli. Allora

kM k Vol(M) =

kN k Vol(N).

(11)

Dimostrazione. Siano p e q rispettivamente i gradi dei rivestimenti su M e N con spazio totale X. Dalla proposizione precedente abbiamo che kXk= p·kMk e kXk = q·kNk. Inoltre dalla definizione di rivestimento Rie-manniano a finiti fogli segue che Vol(X) = p·Vol(M) e Vol(X) = q ·Vol(N), da cui la tesi.

La generalizzazione del precedente enunciato `e costuituita dal seguente. Teorema 1.15 (Principio di Proporzionalit`a). Siano M e N variet`a Rie-manniane orientate, chiuse e connesse con rivestimenti universali Rieman-niani isometrici. Allora

kM k Vol(M) =

kN k Vol(N).

1.2 Norma di Gromov di variet`a iperboliche

1.2.1 Lo spazio iperbolico

Sia n ∈ N con n ≥ 2. Lo spazio iperbolico, Hn, `e l’unica, a meno di isometrie,

n-variet`a semplicemente connessa, completa e con curvatura costante uguale a −1. Ne descriveremo alcuni suoi modelli, isometrici tra di loro.

Il modello del disco di Poincar´e `e dato dall’insieme Dn= {x ∈ Rn| |x| <

1} dotato della metrica

gx= (1 − kxk4 2)2geuclx

per ogni x ∈ Dndove con geucl

x indichiamo la metrica euclidea. Osserviamo

che il fattore di riscala tende all’infinito quando il punto si avvicina al bordo del disco.

Il modello del semispazio `e definito, invece, dall’insieme Pn = {x =

(x1, . . . , xn) ∈ Rn| xn>0} dotato della la metrica

gx= 1

|xn|2geuclx .

Osserviamo che un’inversione rispetto alla palla in Rndi centro N = (0, . . . , 0, 1)

e raggio√2, `e un’isometria tra i due modelli. Entrambi questi modelli hanno metrica conforme a quella euclidea.

Lo spazio iperbolico `e uno spazio omogeneo, ossia per ogni x e y in Hn

esiste un’isometria g tale che g(x) = y, e isotropo, ossia per ogni x ∈ Hn

e per ogni v, w ∈ TxHn esiste un’isometria g di Hn tale che g(x) = x e dgx(v) = w. L’omogeneit`a segue dal fatto che, nel modello del semispazio,

le omotetie globali e le funzioni A × Id con A ∈ Isom(Rn−1) sono isometrie

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disco, la restrizione di un elemento di Isom(Rn) che lasci fissa l’origine `e

un’isometria di Hn.

Dati x, y ∈ Hn, esiste un’unica geodetica che li congiunge:

l’esisten-za `e garantita dal Teorema di Hopf-Rinow, l’unicit`a segue dalla semplice connessione e dalla curvatura negativa.

In questo contesto `e possibile dare una definizione di bordo dello spazio iperbolico in maniera intrinseca:

∂Hn:= {semirette geodetiche parametrizzate rispetto alla lunghezza d’arco}/∼

dove, date γ1 e γ2 semirette parametrizzate rispetto alla lunghezza d’arco,

γ1∼ γ2 ⇐⇒ ∃ M >0 costante : ∀ t d(γ1(t), γ2(t)) < M.

Descriviamo le geodetiche nei modelli che abbiamo introdotto per poter interpretare in questi la nozione di bordo. Nel modello del disco le geo-detiche complete sono tutti e soli gli archi di circonferenza e i segmenti ortogonali al bordo della palla. Nel modello del semispazio sono tutte e so-le so-le semicirconferenze perpendicolari all’iperpiano {xn = 0} e le semirette

verticali.

Ad ogni γ, semiretta geodetica di Dn, associamo ∂Imγ nella topologia di

Rn. Questa mappa, passando al quoziente rispetto alla relazione di equiva-lenza ∼, descrive una bigezione tra ∂Hne ∂Dn in Rn, ossia Sn−1. Discorso

analogo si pu`o fare per il modello del semispazio ottenendo un’identificazione tra ∂Hn e Rn−1×0 ∪ {∞}.

Anche Hn= Hn∪∂Hn`e “unicamente geodetico” nel senso che ora

andia-mo a definire. Dati a e b ∈ ∂Hn diremo che γ connette a e b se γ : R → Hn

`e una geodetica e [γ|R−] = a, [γ|

R+] = b o viceversa.

Su Hn= Hn∪ ∂Hn`e possibile definire una topologia tale che risulti una

compattificazione di Hn. Inoltre le identificazioni fatte precedentemente

per i modelli risultano essere non solo corrispondenze biunivoche ma an-che omeomorfismi (dove su {xn ≥ 0} ∪ {∞} poniamo la topologia della

compattificazione ad un punto).

Definizione 1.16. Un sottoinsieme C di Hn `e convesso se ogni coppia di

punti distinti di C `e congiunta da una geodetica interamente contenuta in C.

Definizione 1.17. L’inviluppo convesso di un sottoinsieme K di Hn `e

l’intersezione di tutti i sottoinsiemi convessi di Hn che contengono K.

Definizione 1.18. Un k-simplesso in Hn `e la combinazione convessa di

(k + 1) punti, detti vertici, e0, . . . , ek∈ Hn.

Indicheremo con Sn l’insieme di tutti gli n-simplessi in Hn aventi facce

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Definizione 1.19. Un n-simplesso di Sn`e detto ideale se tutti i suoi vertici

giacciono su ∂Hn. Mentre `e detto regolare se ogni permutazione dei suoi vertici pu`o essere ottenuta come restrizione di un’isometria di Hn.

Osserviamo che in Hnvale il seguente risultato.

Teorema 1.20. La funzione volume ha massimo vnnell’insieme Sn. Inoltre

vn `e il volume di tutti e soli i simplessi ideali regolari.

Dimostrazione. La dimostrazione di questo teorema non `e immediata. Si definisce vn = supσ∈SnVol(σ) e quindi ci si riconduce a calcolare l’estremo

superiore solo sui simplessi ideali. Infatti preso un qualunque simplesso σ di vertici p0, . . . , pn e p un punto all’interno di esso, siano pi i punti finali

delle geodetiche che partono da p e passano per i pi. Il simplesso di

ver-tici p0, . . . , pn `e ideale e contiene σ. Si lavora, quindi, per induzione sulla

dimensione degli n-simplessi.

Per n = 2 basta ricordare che gli elementi di Isom(H2) agiscono

tran-sitivamente sulle triplette di punti del bordo e che l’area di un triangolo geodetico di angoli interni α, β, γ `e π − α − β − γ. Nel caso limite del triangolo ideale gli angoli interni sono nulli per cui v2= π. Il caso generale

`e invece molto pi`u complesso e ne omettiamo la dimostrazione, [7].

1.2.2 Lo straightening

Dati e0, . . . , ek ∈ Hn con k ≤ n denotiamo con ϕ(e0, . . . , ek) : ∆k → Hn

la parametrizzazione baricentrica del simplesso geodetico in Hn di vertici

e0, . . . , ek, che andiamo ora a descrivere.

Siano E0, . . . , Ek i vertici di ∆k. La parametrizzazione baricentrica in

Hn `e definita sui vertici da ϕ(Ei) = ei per ogni i = 0, . . . , k, mentre la

costruiamo su Conv(E0, . . . , Ej) per induzione su j. Ogni elemento x ∈

Conv(E0, . . . , Ej+1) si pu`o scrivere in maniera unica come x = λy + (1 −

λ)Ej+1, dove y ∈ Conv(E0, . . . , Ej). Sia ora γ l’unica geodetica passante per

ϕ(y) e ej+1, parametrizzata per un multiplo della lunghezza d’arco in modo

tale che γ(0) = ϕ(y) e γ(1) = ej+1. Definiamo quindi ϕ(x) := γ(1 − λ).

Si pu`o dimostrare che l’immagine della mappa ϕ(e0, . . . , ek) cos`ı ottenuta

coincide con Conv(e0, . . . , ek); in particolare data una permutazione σ le due

mappe ϕ(E0, . . . , Ek) e ϕ(Eσ(0), . . . , Eσ(k)), pur essendo in generale distinte,

hanno la stessa immagine.

Sia M una variet`a iperbolica chiusa; il suo rivestimento universale Mf`e isometrico a Hn. Utilizziamo la nozione di parametrizzazione baricentrica

in Hn per associare ad un simplesso singolare in M un simplesso dritto nel

senso che andiamo a definire.

Definizione 1.21. Un k-simplesso singolare σ : ∆k → M `e straight se `e

tale che σ= π ◦ ϕ(e0, . . . , ek) per opportuni vertici e0, . . . , ek, dove π: Hn→

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Una catena singolare sar`a detta straight se pu`o essere espressa come combinazione lineare di simplessi straight.

Definizione 1.22. Dato σ k-simplesso singolare di M, lo straightening di σ, St(σ), `e il simplesso straight associato a σ nel seguente modo: solleviamo σ ad un simplesso eσ in Hn; indichiamo con St(eσ) la parametrizzazione ba-ricentrica in Hn del simplesso geodetico di vertici σ(Ee 0), . . . ,σ(Ee k). St(σ) `e quindi la proiezione tramite il rivestimento universale di St(eσ).

Osservazione 1.23. La definizione `e indipendente dalla scelta del solle-vamento del simplesso. Siano σe1 e eσ2 due diversi sollevamenti di σ; que-sti differiscono per un automorfismo del riveque-stimento che in particolare `e un’isometria di Hn, ossia esiste γ ∈ Isom(Hn) tale che

e

σ2= γ ◦σe1, da cui π(ϕ(eσ2(E0), . . . ,eσ2(Ek))) = π(ϕ(γ ◦eσ1(E0), . . . , γ ◦σe1(Ek))). Dalla naturalit`a della costruzione di ϕ si ha d’altronde

π(ϕ(γ ◦eσ1(E0), . . . , γ ◦eσ1(Ek))) = π(γ ◦ ϕ(eσ1(E0), . . . ,eσ1(Ek))) = π(ϕ(eσ1(E0), . . . ,σe1(Ek))).

Possiamo estendere la nozione di strightening per linearit`a definendo la mappa

Stk: Ck(M, R) −→ Ck(M, R).

Si verifica facilmente che Stk commuta con la mappa di bordo, ovvero `e una

mappa di complessi. Vale inoltre l’importante risultato: Proposizione 1.24. La mappa straightening

Stk: Ck(M, R) −→ Ck(M, R).

`e algebricamente omotopa all’identit`a.

Dimostrazione. Sia σ : ∆k→ M un k-simplesso singolare, essendo ∆k

sem-plicemente connesso σ pu`o essere sollevato aeσ: ∆k→ H

n. Siano E

0, . . . , Ek

i vertici di ∆k, eσ(Ei) = ei e St(eσ) lo straightening di eσ. Dal momento che Hn `e convesso l’omotopia tra eσ e St(eσ) `e descritta dalla mappa

Feσ : ∆k×[0, 1] −→ Hn

(t, s) 7−→ seσ(t) + (1 − s)St(eσ)(t), dove, se γ : [0, 1] → Hn `e la geodetica che congiunge

e

σ(t) e St(eσ)(t), indi-chiamo con seσ(t) + (1 − s)St(eσ)(t) il punto γ(s). Notiamo che ∀i = 0, . . . , k e ∀s ∈ [0, 1], si ha F (Ei, s) = eσ(Ei), e che, presa g ∈ Isom(H

n), si ha

Fgeσ = gFeσ. Ne segue che proiettando la mappa otteniamo

(15)

omotopia tra σ e St(σ) che non dipende dal sollevamento. L’idea `e quella di considerare i due k-simplessi in Hn, uno dato dal sollevamento di σ e

l’altro ottenuto dalla parametrizzazione baricentrica del simplesso geodetico di vertici e0. . . ek; fare la combinazione convessa tra i loro punti e poi tramite

il rivestimento universale riportarla in M.

Consideriamo ora il prisma ∆k×[0, 1] di vertici

a0= (E0,0), . . . , ak= (Ek,0), b0= (E0,1), . . . , bk = (Ek,1).

Vogliamo definire l’operatore di omotopia

Σk: Ck(M, R) −→ Ck+1(M, R)

suddividendo ∆k×[0, 1] in (k + 1)-simplessi e applicando a ciascuno di essi

l’omotopia appena costruita. Sia

αi : ∆k+1 −→ ∆k×[0, 1]

l’embedding affine tale che αi(Ej) = aj ∀j ≤ i e αi(Ej) = bj−1 ∀j > i, e

poniamo Σk(σ) = k X i=0 (−1)iF σ◦ αi.

Si verifica facilmente che

dk+1Σk+ Σk−1dk= Stk− Id.

1.2.3 Stima della norma di Gromov per variet`a iperboliche

Teorema 1.25. Sia M una n-variet`a iperbolica chiusa, connessa e orien-tabile, e sia vn il volume di un n-simplesso regolare ideale in Hn. Allora

kM k ≥ |Vol(M)| vn

.

Dimostrazione. Siano dVol la forma volume per M e [c] = [Piciσi] la

classe fondamentale di M in Hn(M). Per la Proposizione 1.24 abbiamo

[Piciσi] = [PiciSt(σi)]. Vogliamo integrare la forma volume sulla classe

fondamentale di M per trarne informazioni sul volume della variet`a. Innan-zitutto osserviamo che questa operazione `e ben definita, infatti applicando il teorema di Stokes abbiamo che RcdVol dipende solo dalla classe di omologia di c. Si ha dunque

Z

c

(16)

Quindi |Vol(M)| = Z c dVol = Z P iciσi dVol = Z P iciSt(σi) dVol = X i ciVol(St(σi)) ≤X i |ci| · |Vol(St(σi))| ≤X i |ci|vn

passando all’estremo inferiore abbiamo dunque kM k ≥ |Vol(M)|

vn

.

Grazie al precedente teorema riusciamo a trovare i primi esempi di variet`a con norma di Gromov non nulla.

Corollario 1.26 (Teorema di non annullamento). Sia M una variet`a iper-bolica chiusa, connessa e orientabile. Allora

kM k >0.

In realt`a nel Teorema 1.25 vale proprio l’uguaglianza ma la dimostra-zione `e complessa e necessita l’introdudimostra-zione di altri strumenti che saranno sviluppati per la dimostrazione del Principio di Proporzionalit`a. Possiamo per`o intanto occuparci del caso n = 2, ossia delle superfici.

Teorema 1.27. Sia Σg una superficie iperbolica chiusa, connessa e

orien-tabile di genere g ≥2. Allora kΣgk=

|Vol(Σg)|

v2 = 2|χ(Σ g)|.

Dimostrazione. Applicando la formula di Gauss-Bonnet abbiamo Vol(Σg) = 2π|χ(Σg)|.

Inoltre come precedentemente calcolato v2 = π, per cui, per il Teorema 1.25,

ci riconduciamo a mostrare la disuguaglianza kΣgk ≤2|χ(Σg)|.

(17)

Figura 1.1: Triangolazione di una superficie con g = 2

Sia un poligono con 4g lati il dominio fondamentale della superficie; co-struiamo una triangolazione di Σg con 4g − 2 triangoli, σ1, . . . , σ4g−2, come

quella descritta in figura per g = 2. `E evidente che P4g−2

i=1 σi rappresenta la classe fondamentale di Σg, da

cui segue

kΣgk ≤4g − 2. (1.1)

Osserviamo che, dato d ∈ N, π1(Σg) contiene un sottogruppo di indice

d. Infatti componendo l’omomorfismo di Hurewicz π1(Σg) −→ H1(Σg, Z) = Z2g

con un omomorfismo surgettivo su Z e considerando la preimmagine di un sottogruppo di Z di indice d tramite questa composizione, si ottiene un sot-togruppo del π1(Σg) di indice d. Ne segue che la nostra superficie ammette

un rivestimento di grado d, p : Σeg −→ Σg. Dal fatto che Σeg = Σ

e

g per un

qualcheeg, abbiamo d · χ(Σg) = χ(Σeg), da cui, essendo χ(Σg) = 2 − 2g, si ha

d(2 − 2g) = 2 − 2eg. Sostituendo quindi eg nella (1.1) otteniamo kΣ

e

gk ≤2 − 4d(1 − g).

Applicando ora la Proposizione 1.13, per cui kΣegk= d · kΣgk, si ha che

gk ≤ 2

d+ 4g − 4.

Per l’arbitrariet`a di d possiamo passare al limite per d → ∞ ottenendo la disuguaglianza richiesta

(18)

Capitolo 2

Coomologia limitata di

gruppi localmente compatti

In questo capitolo introdurremo diverse teorie coomologiche. Alla nozione usuale di coomologia singolare faremo seguire quella di coomologia continua, i cui oggetti sono le cocatene continue (rispetto alla topologia compatta-aperta sull’insieme degli n-simplessi singolari). Nel caso particolare di va-riet`a differenziabili parleremo di coomologia liscia o C∞se i simplessi

singo-lari sono C∞; analogamente al caso continuo possiamo definire le cocatene

lisce e continue. Grazie ad un operatore di allisciamento riusciamo a mostra-re l’equivalenza tra la coomologia singolamostra-re e quella liscia e, dal momento che questo operatore pu`o essere supposto continuo, abbiamo un’equivalenza anche tra le corrispondenti teorie continue. Bott ha mostrato l’isomorfismo tra la coomologia singolare e quella continua. Dunque le teorie fino ad ora elencate sono tutte equivalenti.

Introdurremo quindi la coomologia limitata degli spazi topologici, che si costruisce a partire dalle n-cocatene limitate. Non c’`e equivalenza tra questa teoria e le precedenti poich´e la coomologia limitata non soddisfa l’assioma di Mayer-Vietoris. La dimostrazione classica non funziona poich´e gli operatori utilizzati preservano la continuit`a delle n-cocatene ma non la limitatezza.

La parte centrale del capitolo `e dedicata ad introdurre la coomologia limitata dei gruppi topologici.

Nella coomologia di un gruppo G interpretiamo come n-simplessi, dai quali definiremo le n-cocatene, le (n + 1)-uple di elementi di G. L’idea `e quella di considerare come oggetti della coomologia limitata dei gruppi le n-cocatene limitate G-invarianti; questa `e proprio la definizione nel caso di-screto e per i gruppi localmente compatti, ma non si pu`o generalizzare a tutti i gruppi topologici. Per i nostri scopi `e sufficiente occuparsi di grup-pi localmente compatti poich´e applicheremo questa teoria al gruppo delle isometrie di una variet`a differenziabile che `e appunto un gruppo localmente compatto; inoltre tali gruppi rappresentano una parte consistente dei gruppi

(19)

topologici.

2.1 Coomologia singolare e continua

Prima di definire la coomologia limitata richiamiamo brevemente le defi-nizioni base della coomologia singolare e quindi introduciamo le relative notazioni che verranno utilizzate in questa tesi.

Gli oggetti chiave della coomologia singolare sono i simplessi. Dato n ∈ N, l’insieme ∆n:=    (x0, . . . , xn) n X j=0 xj = 1, xj ≥0 ∀ j ∈ {0, . . . , n}   

`e chiamato l’n-simplesso standard. Per j ∈ {0, . . . , n} abbiamo dj : ∆n −→ ∆n+1

(x0, . . . , xn) 7−→ (x0, . . . , xj−1,0, xj, . . . , xn)

l’inclusione della j-esima faccia di ∆n.

Dati X uno spazio topologico e n ∈ N, indicheremo con Sn(X) gli

n-simplessi singolari, ossia l’insieme di tutte le funzioni continue ∆n→ X.

Sia R un anello commutativo con unit`a. L’insieme Cn(X, R) delle

n-catene singolari a coefficienti in R `e l’R-modulo libero generato da Sn(X).

L’operatore bordo d : Cn+1(X, R) → Cn(X, R) `e l’omomorfismo di R-moduli

definito sui generatori σ ∈ Sn+1(X) da

d(σ) := n X j=0 (−1)jσ ◦ d j.

Gli elementi di Im d sono detti bordi e li indicheremo con Bn = Im d ∩

Cn(X, R), mentre quelli di Ker d sono detti cicli, e analogamente li

indiche-remo con Zn= Ker d ∩ Cn(X, R).

Definiamo Cn(X, R), l’insieme delle n-cocatene singolari di X a

coeffi-cienti in R, come il duale algebrico di Cn(X, R). L’operatore di bordo d

induce l’operatore di cobordo come segue

δ: Cn(X, R) −→ Cn+1(X, R) f 7−→ δ(f)(c) = f(d(c)).

Gli elementi di Im δ sono detti cobordi, e li indicheremo con Bn = Im δ ∩

Cn(X, R), quelli di Ker δ sono detti cocicli, analogamente li indicheremo con Zn = Ker δ ∩ Cn(X, R). Con un semplice calcolo si pu`o verificare che

(20)

Definizione 2.1. L’R-modulo

Hn(X, R) := Zn/Bn

`e chiamato n-esimo gruppo di omologia singolare di X a coefficienti in R. Analogamente l’R-modulo

Hn(X, R) := Zn/Bn

`e chiamato n-esimo gruppo di coomologia singolare di X a coefficienti in R. Dal momento che lavoreremo principalmente con la coomologia a coeffi-cienti in R useremo le seguenti notazioni: Cn(X) := Cn(X, R) e Hn(X) :=

Hn(X, R).

Nel caso in cui X sia una variet`a differenziabile introduciamo la nozione di omologia e coomologia C∞. Sia

e

Sn(X) l’insieme dei simplessi singolari

∆n → X di classe C∞. Indichiamo con Zen e con Ben i cicli ed i bordi del sottocomplesso generato dai simplessi singolari C∞

 e C∗(X, R), d|Ce(X,R)  ⊂(C∗(X, R), d) Definizione 2.2. L’R-modulo e Hn(X, R) :=Zen/ eBn `e detto n-esimo gruppo di omologia C∞.

La restrizione alle catene C∞ lascia invariata l’omologia dello spazio.

Infatti data la mappa di inclusione e

C∗(X, R) C∗(X, R) j

`e possibile costruire, [11] ,un operatore di allisciamento C∗(X, R) Ce∗(X, R)

s

tale che s ◦ j = Id e j ◦ s ∼ Id, dove ∼ indica un’omotopia algebrica tra le due mappe. Si ha quindi che

e

H∗(X, R) H∗(X, R) j∗

`e un isomorfismo a livello di omologia.

Sia Ce∗(X) lo spazio delle cocatene sui simplessi singolari C∞. Dualiz-zando le omotopie sopra descritte, si dimostra cheHe∗(X, R) ∼= H∗(X, R).

(21)

Poniamo sui simplessi singolari la topologia compatta-aperta1 e

definia-mo lo spazio delle n-cocatene singolari continue

Ccn(X) = {c ∈ Cn(X) | c|Sn(X): Sn(X) → R `e continua}.

Cc∗(X), δ|C∗ c(X)



`e un cocomplesso e vale il seguente teorema, attribuito a Bott [2].

Teorema 2.3. La mappa di inclusione fra i cocomplessi C∗

c(X) ,→ C∗(X)

induce l’isomorfismo

Hn(Cc∗(X)) ∼= Hn(X) ∀ n ≥0.

Abbiamo quindi mostrato che tutte le coomologie citate sono isomorfe.

2.2 Coomologia limitata degli spazi topologici

La coomologia limitata di uno spazio topologico `e definita in analogia al-la coomologia singoal-lare a coefficienti in R. Invece di arbitrarie cocatene singolari consideriamo cocatene che sono limitate come funzioni dell’insieme Sn(X) dei simplessi singolari. Pi`u precisamente sia f ∈ Cn(X) una cocatena

singolare, definiamone la norma come kf k∞:= sup

σ∈Sn(X)

|f(σ)|.

Essa equivale alla norma di f come operatore tra lo spazio Cn(X) dotato

della norma L1 e R. Possiamo quindi indicare con

b

Cn(X) = {f ∈ Cn(X) | kfk∞< ∞}

lo spazio vettoriale delle cocatene limitate. Osserviamo che δ(Cbn(X)) ⊂ b

Cn+1(X) dunque LnCbn(X) `e un complesso di cocatene; i suoi n-cocicli saranno detti n-cocicli limitati, e indicati con Zbn, i suoi n-cobordi saranno detti n-cobordi limitati2, e indicati con

b Bn.

1Siano X e Y due spazi topologici e map(X, Y ) = {f : X → Y continue}. Su questo

spazio definiamo la topologia compatta-aperta descrivendone una prebase: se K ⊂ X `e un compatto e U ⊂ Y `e aperto, allora si ha

UK := {f ∈ map(X, Y ) | f (K) ⊂ U }; da cui la prebase cercata

{UK| K ⊂ X compatto, U ⊂ Y aperto}.

2

Gli elementi di bBn sono meno dei cobordi limitati poich´e sono solo quelle cocatene limitate che cobordano cocatene limitate.

(22)

Definizione 2.4. L’ R-modulo b

Hn(X) =Zbn/ bBn

`e chiamato n-esimo gruppo di coomologia limitata dello spazio X. La norma definita su Cbn(X) induce una seminorma su Hbn(X):

∀ϕ ∈ bHn(X) kϕk∞:= inf{kfk∞| f ∈ bCn(X) δf = 0, [f] = ϕ}.

Inoltre l’inclusione Cbn(X) ,→ Cn(X) induce la mappa in coomologia c : Hbn(X) → Hn(X), detta mappa di confronto, che in generale non `e n´e iniettiva n´e surgettiva. Tramite questa possiamo definire la norma infini-to su Hn(X) che coincide con quella precedentemente introdotta. Per ogni

β ∈ Hn(X)

kβk∞= inf{kbk∞| b ∈ bHn(X), c(b) = β}.

Se l’estremo inferiore viene fatto su un insieme vuoto, ossia se β non proviene da una catena limitata tramite la mappa di confronto, allora la norma di β sar`a infinita.

La coomologia limitata `e un funtore controvariante dalla categoria degli spazi topologici a quella degli R-moduli. Al pari della coomologia singolare se f, g : X → Y sono omotope allora f∗ = g: Hn(Y ) → Hn(X) a livello

di coomologia. Infatti l’operatore prisma, che ci permette di costruire l’o-motopia algebrica tra le due mappe, preserva la limitatezza delle cocatene. La dimostrazione nel caso singolare funziona quindi anche per la coomologia limitata. Inoltre anche la coomologia limitata verifica l’assioma della dimen-sione, ossiaHbn({pt}) = 0 per tutti gli n > 0 e Hb0({pt}) ∼= R. A differenza della coomologia singolare per`o la coomologia limitata non soddisfa l’assio-ma di escissione e non esiste per essa un analogo della successione esatta di Mayer-Vietoris. La dimostrazione classica per la coomologia singolare fal-lisce dal momento che una cocatena limitata non necessariamente preserva la limitatezza durante il processo di suddivisione baricentrica. Da questo segue che computazionalmente la situazione per la coomologia limitata `e molto pi`u complessa rispetto al caso ordinario.

Un’altra radicale differenza con la coomologia singolare `e che la coomo-logia limitata di uno spazio semplicemente connesso `e nulla. Quest’ultimo `e un risultato molto difficile da dimostrare per cui rimandiamo alla sezione 2 di [8].

Anche nel caso limitato possiamo definire la coomologia liscia e quella continua. Riusciamo a costruire l’isomorfismo con la coomologia liscia utiliz-zando lo stesso operatore di allisciamento visto per la coomologia singolare, dal momento che esso preserva la limitatezza delle cocatene. Per il caso continuo `e stata espressa la seguente congettura.

Congettura 2.5 (Bucher-Karlsson). La mappa di inclusione fra i cocom-plessi bCcn(X) ,→Cbn(X) induce l’isomorfismo

(23)

2.3 Coomologia di gruppi

Gli oggetti della coomologia dei gruppi sono i G-moduli. Richiamiamo in-nanzitutto brevemente la definizione di Λ-modulo con Λ anello con unit`a (non necessariamente commutativo).

Definizione 2.6. Un Λ-modulo M `e un gruppo abeliano dotato di un omo-morfismo di anelli ω : Λ → End(M), dove con End(M) indichiamo gli endomorfismi di M .

La definizione `e in analogia con quella degli spazi vettoriali; infatti ω definisce la moltiplicazione esterna (a sinistra): ∀ λ ∈ Λ e ∀ v ∈ M, se si pone λv := ω(λ)v, si ha

• (λ1+ λ2)v = λ1v+ λ2v;

• (λ1λ2)v = λ1(λ2v);

• 1v = v;

• λ(v1+ v2) = λv1+ λv2.

Definizione 2.7. Un G-modulo A `e un gruppo abeliano con un omomor-fismo di gruppi G → Aut(A), ossia una moltiplicazione tra un elemento di A e un elemento di G, che soddisfa le propriet`a sopra elencate, eccetto la prima.

Osservazione 2.8. Dato un G-modulo A indicheremo con AG = {a ∈ A :

ga= a ∀g ∈ G}, ossia gli elementi G-invarianti di A; osserviamo che AG`e un sottospazio chiuso. Siano X e Y G-moduli, diamo all’insieme Hom(X, Y ) una struttura di G-modulo tramite l’azione di G definita da

(g · ϕ)(h) = g(ϕ(g−1h)).

Diremo che ϕ ∈ Hom(X, Y ) `e G-equivariante se g · ϕ(v) = ϕ(g · v) per ogni v ∈ X. Notiamo che ϕ ∈ Hom(X, Y ) `e equivariante se e solo se ϕ ∈ Hom(X, Y )G, infatti: dati v ∈ X e g ∈ G

(g · f)(v) = f(v) ⇐⇒ g(f(g−1v)) = f(v) ⇐⇒ f(g−1v) = g−1(f(v)).

Alla nozione di coomologia di un gruppo G a coefficienti in un G-modulo V premettiamo la seguente definizione.

Definizione 2.9. Una G-risoluzione (o pi`u semplicemente una risoluzione) di un G-modulo di Banach V `e una successione esatta di moduli e G-morfismi della forma

0 V V0 V1 . . .

d0

(24)

Una G-risoluzione `e indicata con (d−1, V∗), dove V∗ rappresenta un

complesso con Vn= 0 per ogni n < 0.

Sia ora Cn(G, V ) := {f : Gn+1 → V } con la seguente struttura di

G-modulo. L’azione di G `e definita da

h · ϕ(g0, . . . , gn) = hϕ(h−1g0, . . . , h−1gn)

con h ∈ G e ϕ ∈ Cn(G, V ). La mappa di bordo `e data da

δn−1 : Cn−1(G, V ) −→ Cn(G, V ) δn−1f(g0, . . . , gn) = n X i=0 (−1)if(g 0, . . . ,bgi, . . . , gn) mentre poniamo : V −→ C0(G, V ) v 7−→ (g) = v ∀g ∈ G. Consideriamo la successione 0 V  C0(G, V ) δ0 C1(G, V ) δ1 C2(G, V ) δ2 . . . Poich´e la famiglia di mappe

Σn: Cn+1(G, V ) −→ Cn(G, V )

ϕ 7−→ Σn(ϕ)(y0, . . . , yn) = ϕ(e, y0, . . . , yn)

verifica

δn+1◦Σn+ Σn−1◦ δn= Id ∀n >0

e Σ0◦  = Id, la successione considerata `e esatta e fornisce pertanto una

G-risoluzione di V . Questa risoluzione viene detta classicamente risolu-zione omogenea. Consideriamo ora la successione associata degli elementi G-equivarianti, Cn(G, V )G

0 C0(G, V )G C1(G, V )G C2(G, V )G . . . Il modulo Hn(G, V ) := H

n(Cn(G, V )G) `e detto n-esimo gruppo di

coomolo-gia del gruppo G a coefficienti in V.

Introduciamo infine un risultato molto importante in coomologia dei gruppi, il cui corrispondente in coomologia limitata, come vedremo, utilizza il fatto che la coomologia limitata di uno spazio semplicemente connesso `e nulla in ogni dimensione positiva.

Definizione 2.10. Sia G un gruppo. Uno spazio topologico connesso per archi X `e detto K(G, 1) se πi(X) = {e} per ogni i > 1 e π1(X) = G.

(25)

Teorema 2.11. Siano G un gruppo e X uno spazio topologico K(G, 1), allora H∗(G, Z) ∼= H∗(K(G, 1), Z), dove Z `e visto come G-modulo banale.

La dimostrazione del Teorema 2.11 sfrutta tecniche analoghe a quelle che introdurremo pi`u avanti per il calcolo della coomologia limitata dei gruppi. Ne riportiamo qui di seguito i passi chiave.

Dimostrazione del Teorema 2.11. Siano X un K(G, 1) spazio e Xe il rive-stimento universale di X. Consideriamo le due seguenti G-risoluzioni di Z Cn(G, Z) Cn(X, Z)e . . . . . . C0(G, Z) C0(X, Z)e Z Z 0 0 Id

dove Cn(G, Z) sono le n-catene nelle quali interpretiamo gli elementi di

Gn+1 come i vertici di un n-simplesso. Si verifica facilmente che Ci(G; Z) e

Cn(X, Z), con le ovvie azioni di G, sono G-moduli liberi. L’esattezza del-e la prima successione `e ovvia, mentre per mostrare l’esattezza della seconda usiamo il fatto che Xe `e contraibile. Applichiamo quindi ad entrambe il funtore HomG(−, Z) 0 0 C0(G, Z)G C0(X, Z)e G . . . . . . Cn(G, Z)G Cn(X, Z)e G . . . . . .

Calcoliamone l’omologia. Per definizione dalla prima otteniamo H∗(G, Z) e

dalla seconda H∗(K(G, 1), Z).

In generale date due G-risoluzioni di un G-modulo costituite da G-moduli liberi con le tecniche che vedremo nel Lemma 2.20 `e possibile estendere la mappa identit`a e mostrare che questa estensione `e un’equivalenza omotopica, unica a meno di omotopia algebrica. Nel nostro caso dunque H∗(G, Z) e

H∗(K(G, 1), Z) sono canonicamente isomorfi.

2.4 Coomologia limitata di gruppi discreti

In questa sezione considereremo sempre G un gruppo discreto. Come ab-biamo appena visto gli oggetti della coomologia dei gruppi sono i G-moduli sinistri, in questo ambito invece saranno i G-moduli di Banach (o G-moduli limitati) sinistri.

Definizione 2.12. Un G-modulo di Banach sinistro V `e uno spazio di Banach reale su cui `e definita un’azione a sinistra di G tale che kgvk ≤ kvk ∀ g ∈ G e ∀ v ∈ V .

(26)

Dunque ogni elemento di G determina un operatore lineare da V in se di norma ≤ 1.

Definizione 2.13. Dati due G-moduli di Banach V e W un G-morfismo tra essi `e un operatore lineare limitato G-equivariante, ossia che commuta con l’azione di G.

Sia V un G-modulo di Banach; si ha

B(G, V ) = {ϕ : G → V : ∃c > 0 ∀g ∈ G kϕ(g)kV ≤ c}

un G-modulo di Banach sinistro dove l’azione di G `e data da h · ϕ(g) = hϕ(h−1g). La norma in B(G, V ) `e

kϕk∞= sup{kϕ(g)kV : g ∈ G}.

Osserviamo che

B(Gn+1, V) ∼= B(G, B(Gn, V))

dove l’azione di G su B(Gn+1, V) `e definita da g · ϕ(g

0, . . . , gn) = gϕ(g−1g0, . . . , g−1gn). Consideriamo la successione 0 V d−1 B(G, V ) d0 B(G2, V) d1 B(G3, V) d2 . . . con d−1(c)(g) = c e dn(f)(g0, . . . , gn+1) = n+1 X i=0 (−1)if(g 0. . . ,gbi, . . . , gn+1). questa induce la sequenza degli elementi G-equivarianti

0 B(G, V )G B(G2, V)G B(G3, V)G . . .

Definizione 2.14. L’ n-esimo gruppo di omologia del complesso appena de-finito `e detto n-esimo gruppo di coomologia limitata del gruppo G,Hbn(G, V ). La successione che abbiamo utilizzato `e una risoluzione forte di G-morfismi con G-moduli relativamente iniettivi. Le prossime pagine saranno dedicate a definire questi concetti.

Definizione 2.15. Un morfismo η : A → B tra spazi di Banach `e am-missibile se esiste un morfismo σ : B → A con kσk ≤ 1 e η ◦ σ ◦ η = η.

(27)

Osservazione 2.16. Diremo che un G-morfismo `e ammissibile se lo `e il relativo morfismo, dunque non viene data nessuna condizione sul fatto che σ debba essere un morfismo. Nel caso particolare in cui η sia un G-morfismo iniettivo la condizione di ammisibilit`a si riconduce alla richiesta di esistenza di un’inversa sinistra di norma 1. Analogamente se η `e un G-morfismo surgettivo, l’ammissibilit`a equivale all’esistenza di un’inversa destra di norma 1.

Definizione 2.17. Un G-modulo di Banach U `e relativamente iniettivo se per ogni ι: A → B G-morfismo iniettivo ammissibile di G-moduli di Banach A, B e per ogni G-morfismo α: A → U esiste un G-morfismo β : B → U tale che β ◦ ι = α e kβk ≤ kαk. Possiamo illustrare la definizione con il seguente diagramma A U B α β ι σ

Definizione 2.18. Una G-risoluzione `e detta relativamente iniettiva se lo sono i G-moduli che la costituiscono. Un complesso (E∗, d∗) di G-moduli di Banach `e una sequenza

. . . En−1 En d En+1 . . .

n+1

dn

con En G-moduli di Banach, e dn G-morfismi, dette mappe di cobordo, tali che ∀ n ∈ Z dn+1◦ dn= 0.

Un complesso `e detto relativamente iniettivo se i G-moduli che lo costi-tuiscono sono relativamente iniettivi.

Indicheremo con E∗G il complesso dato da

. . . (En−1)G (En)G d (En+1)G . . .

n+1|

dn|

Un morfismo di complessi α∗ : E→ F`e una sequenza di morfismi αn :

En→ Fn tale che il diagramma

. . . . . . En−1 Fn−1 En Fn En+1 Fn+1 . . . . . . αn αn−1 αn+1

(28)

commuti. Un G-morfismo di complessi `e un morfismo di complessi costituito da G-morfismi.

Dati due morfismi di complessi α∗ e βda (E, d) a (F, δ), una

G-omotopia tra α∗ e β∗ `e una sequenza di G-morfismi σn : En → Fn−1 tale

che

δnσn+ σn+1dn+1= βn− αn

per ogni n ∈ Z. Diremo in tal caso che α∗ `e G-omotopo a β.

Un morfismo di complessi α∗ : E→ F`e una G-equivalenza omotopica

se esiste un morfismo di complessi β∗tale che α◦βe β◦αsono G-omotopi

rispettivamente a IdE∗ e a IdF∗.

Un complesso E∗ ammette una contracting homotopy hse h`e

un’o-motopia tra la mappa nulla e l’identit`a tale che khnk ≤ 1 per tutti gli

n ∈ Z. Osserviamo che in questa definizione non si richiede che gli hi siano

G-equivarianti. Si verifica facilmente che se un complesso ammette una con-tracting homotopy le sue mappe di cobordo sono G-morfismi ammissibili e la successione da essi definita `e esatta.

Una G-risoluzione (d−1, V∗) `e detta forte se esiste una sequenza di

operatori

V V0 V1 V2 . . .

k2

k1 k3

k0

con kknk ≤1 e tale che dn−1◦kn+kn+1◦dn= IdVnper n > 0 e k0◦d−1 = IdV,

ossia una contracting homotopy. La risoluzione detta standard

0 V d−1 B(G, V ) d0 B(G2, V) d1 B(G3, V) d2 . . . `e forte in quanto la contracting homotopy `e data dalla successione di ope-ratori

V B(G, V ) B(G2, V) . . . k2

k1

k0

dove kn(f)(g0, . . . , gn−1) = f(e, g0, . . . , gn−1) con e elemento neutro di G.

La relativa iniettivit`a di B(G∗, V) `e conseguenza dell’isomorfismo

B(Gn+1, V) ∼= B(G, B(Gn, V)) e del seguente risultato.

Lemma 2.19. Sia V uno spazio di Banach.Allora il G-modulo di Banach B(G, V ) `e relativamente iniettivo. Quindi per n ≥ 1 anche B(Gn, V) `e relativamente iniettivo.

(29)

Dimostrazione. Nella situazione del diagramma della Definizione 2.17 in cui U = B(G, V ) definiamo β : B → B(G, V ) come β(v)(g) = (α(gσ(g−1v)))(g). Innanzitutto verifichiamo la G-equivarianza:

β(hv)(g) = α(gσ(g−1(hv)))(g) mentre (h · β(v))(g) = h(β(v)(h−1g)) = h(α(h−1(g−1hv))(h−1g)) = α(g(σ(g−1 hv)))(g). Inoltre β◦ι = α, infatti β(ι(v))(g) = α(gσ(g−1·ι(v))(g) = α(gσ(ι(g−1v))(g) = α(v)(g). Infine kβ(v)(g)k = kα(gσ(g−1v))(g)k ≤ kα(gσ(g−1v))k ≤ kαkkσkkvk ≤ kαkkvk.

Dal fatto che i B(Gn, V), per n ≥ 0, sono spazi di Banach, si deduce

cheHbn(G, V ) ammette una naturale struttura di spazio vettoriale dotato di seminorma. Tale seminorma `e definita come

kφk= inf{kϕk : ϕ `e un cociclo in B(Gn, V)G, [ϕ] = φ} dove φ ∈Hbn(G, V ), e prende il nome di seminorma canonica.

Possiamo svincolare dalla risoluzione standard la definizione di coomo-logia limitata di un gruppo scegliendo come successione di partenza una qualsiasi risoluzione forte di V con G-moduli relativamente iniettivi. Af-finch´e la definizione sia ben posta, naturalmente, dobbiamo controllare che

b

Hn(G, V ) dipenda solo dal gruppo G e non dalla risoluzione scelta. Ci`o segue direttamente dal seguente teorema.

Teorema 2.20. Siano U e V due G-moduli di Banach, sia

0 U U0 U1 U2 . . . d0 k2 d1 k1 d2 d−1 k0 k3

una risoluzione forte di U e sia

0 V V0 V1 V2 . . .

c2

c0

c−1 c1

un complesso di moduli di Banach relativamente iniettivi. Allora ogni G-morfismo u: U → V pu`o essere esteso a un G-morfismo di complessi, ossia esistono ui : Ui → Vi G-morfismi tali che il seguente diagramma commuti

(30)

0 0 U V U0 V0 U1 V1 . . . . . . c0 d0 u1 d−1 c−1 u0 u

Inoltre due diverse estensioni sono omotope mediante una omotopia algebri-ca G-equivariante.

Alla dimostrazione del teorema va premesso un lemma che consente di usare l’ipotesi di relativa iniettivit`a anche senza l’ipotesi di iniettivit`a del G-morfismo ammissibile.

Lemma 2.21. Siano A e B due G-moduli di Banach e η : A → B un G-morfismo ammissibile, siano E un G-modulo di Banach relativamente iniettivo, α: A → E un G-morfismo tale che ker(η) ⊂ ker(α). Allora esiste un G-morfismo β: B → E con β ◦ η = α e kβk ≤ kαk.

Dimostrazione. Sia A = A/ker(η), su cui definiamo la struttura di G-modulo di Banach con la norma quoziente, e sia η : A → E l’unica mappa tale che η ◦π = η, dove π `e la mappa quoziente. Per ipotesi ker(η) ⊂ ker(α) esiste quindi un G-morfismo α : A → E tale che α ◦ π = α. Inoltre η `e un G-morfismo ammissibile dunque esiste σ : B → A di norma al pi`u uno con η ◦ σ ◦ η= η. A A B E α η π σ α η β

Aiutandoci con il diagramma di sopra osserviamo come η sia un G-morfismo iniettivo ammissibile. Infatti π ◦ σ `e un morfismo di norma al pi`u uno ed inoltre, sapendo che η ◦σ ◦η = η, abbiamo η ◦π ◦σ ◦η ◦π = η ◦π da cui grazie alla surgettivit`a di π si ha η ◦ π ◦ σ ◦ η = η. Sfruttando la relativa iniettivit`a di E otteniamo che esiste β : B → E tale che β ◦ η = α e kβk ≤ kαk, da cui

β ◦ η= β ◦ η ◦ π = α ◦ π = α

e kβk ≤ kαk = kαk, dove l’uguaglianza deriva dal fatto che su A `e indotta la norma quoziente. Abbiamo quindi costruito il G-morfismo β cercato.

(31)

Dimostrazione del Teorema 2.20. Innanzitutto costruiamo i G-morfismi di complessi un: Un→ Vn per induzione su n.

Passo base: n = 0.

Costruita la mappa τ−1 : U → V0 come τ−1:= c−1◦ u, l’esistenza del

G-morfismo u0segue dalla relativa iniettivit`a di V0, essendo d−1un G-morfismo

iniettivo e ammissibile. 0 0 U V U0 V0 U1 V1 c0 d0 τ−1 u1 d−1 c−1 u0 u Passo induttivo.

Definiamo la mappa τn : Un → Vn+1 come τn := cn◦ un, dove

l’esi-stenza di un `e assicurata dall’ipotesi induttiva. Il G-morfismo ammissibile

dn non `e iniettivo ma si verifica facilmente che ker(dn) ⊂ ker(τn). Il

lem-ma precedente ci assicura quindi l’esistenza del G-morfismo un+1: Un+1→

Vn+1. Un−1 Vn−1 Un Vn Un+1 Vn+1 τn un−1 un un+1 dn cn dn−1 cn−1

Dobbiamo ora dimostrare che due possibili estensioni di u, che indiche-remo come {un} e {vn}, sono omotope mediante una omotopia

algebri-ca equivariante. Vogliamo, quindi, costruire una famiglia di mappe G-equivarianti {Σn: Un→ Vn−1}n≥−1 soddisfacente la seguente relazione

Σn+1◦ dn+ cn−1◦Σn= un− vn.

Lavoriamo nuovamente per induzione su n, dove n `e l’indice della famiglia di mappe. Passo base: n = −1, 0. Poniamo Σ−1≡0. 0 0 U V U0 V0 0 v u u0 v0 d−1 Σ0 c−1

(32)

Dobbiamo definire Σ0 in modo tale che Σ0◦ d−1+ c−2◦Σ−1= u − u = 0 essendo Σ−1≡0 abbiamo Σ0◦ d−1= 0 dunque poniamo Σ0 ≡0. Passo induttivo.

Date le mappe Σn−1, Σn costruiamo Σn+1.

Un−2 Vn−2 Un−1 Vn−1 Un Vn Un+1 Vn+1 cn Σn+1 dn vn−2 un−2 Σn−1 vn−1 un−1 un vn dn−1 Σn cn−1 dn−2 cn−2 vn+1 un+1

Per ottenere la mappa Σn+1 : Un+1 → Vn con le propriet`a richieste

sfrut-tiamo il lemma precedente applicato al seguente triangolo in cui poniamo αn= un− vn− cn−1◦Σn Un Vn Un+1 αn Σn+1 dn kn+1

Dobbiamo verificare che Ker(dn) ⊂ Ker(un− vn− cn−1◦Σn). Osserviamo

che la risoluzione di U, essendo forte, `e una successione esatta e dunque Ker(dn) = Im(dn−1). Sia quindi c ∈ Un−1. Applicando l’ipotesi induttiva

abbiamo un(dn−1(c)) − vn(dn−1(c)) − cn−1◦Σn(dn−1(c)) = un(dn−1(c)) − vn(dn−1(c)) − cn−1(un−1(c) − vn−1(c) − cn−2◦Σn−1(c)) = un(dn−1(c)) − vn(dn−1(c)) − cn−1(un−1(c)) + cn−1(vn−1(c)) = un(dn−1(c)) − vn(dn−1(c)) − un(dn−1(c)) + vn(dn−1(c)) = 0 Esiste quindi il G-morfismo Σn+1 soddisfacente le richieste.

Prendendo una qualsiasi risoluzione di V relativamente iniettiva e for-te otfor-teniamo lo sfor-tesso su Hbn(G, V ) una struttura di spazio vettoriale che dipende solo da G. Inoltre come per la risoluzione standard una qualsiasi risoluzione di V induce una seminorma su Hbn(G, V ). Il teorema seguente

(33)

dimostra che l’estremo inferiore tra tutte le seminorme date da tutte le pos-sibili risoluzioni forti relativamente iniettive del G-modulo V `e la seminorma canonica. Teorema 2.22. Sia 0 V V0 V1 V2 . . . d2 d0 d−1 d1

una risoluzione forte del G-modulo V . Esiste un morfismo da questa riso-luzione nella risoriso-luzione standard che estende l’identit`a

0 0 V V V0 B(G, V ) V1 B(G2, V) . . . . . . v0 Id v1 tale che kvnk ≤1 ∀n ≥ 0.

Dimostrazione. Indichiamo con kn le mappe che descrivono la contracting

homotopy della risoluzione, sia dunque per induzione

vn(v)(g0, . . . , gn) := vn−1(g0(kn−1(g0−1v)))(g1, . . . , gn)

con v ∈ Vn e (g0, . . . , gn) ∈ Gn+1.

vn `e G-equivariante. Mostriamolo per induzione: il passo base `e

ov-viamente verificato; occupiamoci dunque del passo induttivo. Sfruttando l’ipotesi di G-equivarianza di vn−1 si ha vn(gv)(g0, . . . , gn) = vn−1(g0(kn−1(g0−1gv)))(g1, . . . , gn) = vn−1(g(g−1g0)kn−1((g−1g0)−1v))(g1, . . . , gn) = g · vn−1((g−1g0)kn−1((g−1g0)−1v))(g1, . . . , gn) = gvn−1((g−1g0)kn−1((g−1g0)−1v))(g−1g1, . . . , g−1gn) = gvn(v)(g−1g0, . . . , g−1gn) = g · vn(v)(g0, . . . , gn). Inoltre kvnk ≤1 infatti kvn(v)(g0, . . . , gn)k ≤ kvn−1g0kn−1(g0−1v)k ≤ kvn−1k · kvk.

Si ottiene la tesi applicando l’ipotesi induttiva. Infine si dimostra facilmen-te che vn fa commutare il diagramma. Il fatto che vn sia

un’equivalen-za omotopica segue direttamente applicando le tecniche viste nel Lemma 2.20.

(34)

Osserviamo che questo teorema `e l’analogo, nel caso particolare di un gruppo discreto, del Teroema 2.40 che vedremo in seguito. Abbiamo quindi mostrato che

Teorema 2.23. Hbn(G, V ) `e definito a partire da qualsiasi G-risoluzione di V forte e relativamente iniettiva. Inoltre la seminorma su bHn(G, V ) da essa indotta `e maggiore o uguale della seminorma canonica.

2.4.1 Un Teorema di Gromov

Il seguente risultato, che pu`o essere pensato come un analogo del Teorema 2.11 per il caso limitato, stabilisce una relazione di fondamentale importanza tra la coomologia limitata dei gruppi e quella degli spazi topologici.

Teorema 2.24 (Gromov). Siano X uno spazio topologico connesso e π1(X)

il gruppo fondamentale di X. Allora bH∗(X) `e isometricamente isomorfo a b

H∗(π1(X)).

Alla dimostrazione va premesso il seguente risultato per cui rimandiamo a [8].

Teorema 2.25. Sia X uno spazio topologico connesso. Se X `e semplice-mente connesso allora bHk(X) = 0 per ogni k ≥ 1 ed esiste una famiglia di mappe che rappresentano un’omotopia tra la mappa nulla e l’identit`a

R Cb0(X) Cb1(X) . . .

k1 k2

k0

tali che kknk ≤1 per ogni n ≥ 0.

Dimostrazione del Teorema 2.24. Sia Xe, mediante la mappa p, il rivesti-mento universale di X , su cui agisce Γ := π1(X). Questa induce un’azione

di Γ su Cb∗(Xe) che gli conferisce una struttura di Γ-modulo. Sia

0 R Cb0(Xe) . . . Cbn(Xe) . . . la successione avente come morfismi le mappe di bordo del complessoCb∗(Xe). Dal Teorema 2.25 si ha che, essendoXe semplicemente connesso,Hbk(X) = 0 per ogni k ≥ 1, da cui segue che la successione `e esatta. Inoltre il Teroema 2.25 fornisce una famiglia di mappe che costituisce una contracting homoto-py per la succesione data. La successione `e dunque una risoluzione forte di Γ-moduli del Γ-modulo banale R. Per poter applicare la nozione funtoriale di coomologia limitata dobbiamo mostrare che i Cbk(X) sono relativamente iniettivi per ogni k ≥ 1.

Siano F un dominio fondamentale dell’azione di Γ su Xe e Sn(X, Fe ) = {σ : ∆n→ eX| σ(e0) ∈ F }.

(35)

Si dimostra facilmente che Cb∗(X) `e isometricamente isomorfo B(Γ, B(Sn(X, Fe ), R))3, che per il Lemma 2.19 `e relativamente iniettivo.

Consideriamo dunque la risoluzione degli elementi Γ-invarianti 0 Cb0(Xe)Γ . . . Cbn(Xe)Γ . . .

Per quanto visto nell’enunciato del Teorema 2.23 l’omologia del complesso b

Ci(Xe)Γ `e canonicamente isomorfa aHb∗(Γ). Sia p∗ :

b

C∗(X) → Cb∗(Xe) la mappa indotta dal rivestimento universa-le. Osserviamo che essa definisce un isomorfismo isometrico tra Cbk(X) e

b

Ck(Xe)Γ per ogni k ≥ 1, che commuta con le mappe di bordo, ovvero un morfismo isometrico tra i due complessi

0 0 b C0( e X)Γ b C0(X) . . . . . . b Cn( e X)Γ b Cn(X) . . . . . . p∗n p∗ 0

che induce un isomorfismo traHb∗(Γ) eHb∗(X).

Resta da dimostrare che Hb∗(Γ) e Hb∗(X) sono anche isometrici. Indi-chiamo con k · k la seminorma canonica definita su Hb∗(Γ) e con k · kX la seminorma indotta su Hb∗(Γ) dall’isomorfismo precedentemente costruito. dal Teorema 2.40 si ha k · k ≤ k · kX, proviamo dunque l’altra

disuguaglian-za. L’obiettivo `e quello di costruire un Γ-morfismo di norma ≤ 1 tra la risoluzione 0 R Cb0(Xe) . . . Cbn(Xe) e la risoluzione standard 0 R Cb(Γ) . . . Cb(Γn) Sia un: Cb(Γn+1) −→ Cbn(Xe) f 7−→ un(f)(σ) = f(g0, . . . , gn)

dove, indicati con e0, . . . , eni vertici di ∆n, g0, . . . , gn sono gli elementi di Γ

tali che

σ(e0) ∈ g0F

σ(e1) ∈ g1F

... σ(en) ∈ gnF.

Si verifica facilmente che le mappe un

3

(36)

0 0 R R b C(Γ) b Co(Xe) . . . . . . b C(Γn+1) b Cn(Xe) un u0 Id

commutano con le mappe di bordo e kunk ≤1, da cui segue la tesi.

2.5 Coomologia continua e limitata di gruppi

Sia G un gruppo topologico. Gli oggetti della coomologia continua e limitata sono ancora i G-moduli di Banach, ma fondamentale `e la sottocategoria costituita da quelli continui.

Definizione 2.26. Un G-modulo di Banach V `e continuo se la mappa di struttura

G × V −→ V (g, v) 7−→ gv `e continua rispetto alla topologia prodotto di G × V .

Osservazione 2.27. Si dimostra facilmente [13] che la definizione seguente `e equivalente a quella data. Per ogni v ∈ V la mappa

G −→ V g 7−→ gv `e continua in e ∈ G, elemento neutro di G.

Definizione 2.28. Dato un G-modulo di Banach V, il sottomodulo CV = {v ∈ V : g 7→ gv `e continua in e ∈ G}

`e detto il sottomodulo continuo massimale.

Proposizione 2.29 ([13]). Ogni G-morfismo α : V → W di G-moduli di Banach `e tale che ristretto a CV , il sottomodulo massimale di V , `e a valori in CW .

Osservazione 2.30. Il G-modulo di Banach V induce sull’insieme CV una struttura di modulo di Banach continuo e CV contiene tutti i G-sottomoduli di Banach continui di V . Se (V∗, d) `e un complesso di G-moduli,

denoteremo CV∗ il complesso continuo

. . . CVn−1 CVn d CVn+1 . . .

n+1

(37)

Un complesso V∗`e detto forte se CVammette una contracting homotopy4.

Osserviamo che la propriet`a di essere forte, essendo legata alla nozione di sottomodulo massimale continuo, dipende dalla scelta del gruppo G, mentre non vi dipende la costruzione di una contracting homotopy in generale.

2.5.1 Definizione di coomologia continua e limitata per grup-pi localmente compatti

La nozione di coomologia continua e limitata di un gruppo topologico, co-me gi`a accennato in precedenza, pu`o essere data in analogia a quella del caso discreto solo per i gruppi localmente compatti. Dal momento che ci occuperemo solo di gruppi localmente compatti e inoltre essi rappresentano una parte consistente dei gruppi topologici, daremo la definizione solo in questo caso particolare. Per la generalizzazione della coomologia continua e limitata ai gruppi topologici rimandiamo a [13].

Siano G un gruppo topologico localmente compatto e E un G-modulo di Banach. Sia Cb(Gn+1, E) = {f : Gn+1 → E continua e limitata} lo spazio

di Banach con la norma

kf k∞= sup (g0,...,gn)∈Gn+1

kf(g0, . . . , gn)kE.

Cb(Gn+1, E) ha struttura di G-modulo di Banach tramite l’azione definita

da

(h · f)(g0, . . . , gn) = hf(h−1g0, . . . , h−1gn)

con h ∈ G , (g0, . . . , gn) ∈ Gn+1 e f ∈ Cb(Gn+1, E).

Consideriamo la successione di G-morfismi

0 E Cb(G, E) Cb(G2, E) . . . d1

 d2

dove dn`e il differenziale omogeneo ed `e definito classicamente come

(dnf)(x 0, . . . , xn) = n X j=0 (−1)jf(x 0, . . . ,xbj, . . . , xn) mentre : E −→ Cb(G, E) h 7−→ (h)(g) = h.

`E semplice verificare che dn+1◦ dn= 0 per ogni n ≥ 1 dunque la successione

di G-morfismi `e un complesso. Prendiamo la risoluzione associata degli elementi G-equivarianti

0 Cb(G, E)G Cb(G2, E)G Cb(G3, E)G . . .

d1| d2|

(38)

ne facciamo l’omologia e otteniamo la coomologia limitata e continua del gruppo G a coefficienti in E, H∗

cb(G, E).

In analogia al caso discreto possiamo dimostrare che la successione di G-morfismi di partenza `e forte e i G-moduli di Banach sono relativamen-te iniettivi. Dobbiamo dunque innanzitutto esrelativamen-tedere la nozione di relativa iniettivit`a al caso in cui G non sia necessariamente discreto.

Definizione 2.31. Un G-modulo di Banach U `e detto relativamente iniet-tivo se per ogni ι : A → B G-morfismo ammissibile e inietiniet-tivo di G-moduli di Banach continui A,B e per ogni G-morfismo α : A → U esiste un G-morfismo β: B → U tale che β ◦ ι = α e kβk ≤ kαk. Possiamo illustrare la definizione con il seguente diagramma

A U B α β ι σ

Osservazione 2.32. Anche in questo caso vale il Lemma 2.21, che consen-tiva di usare le ipotesi di relaconsen-tiva iniettivit`a senza l’ipotesi di iniettivit`a del G-morfismo ammissibile. Si verifica facilmente, utilizzando la Proposizione 2.29, che un G-modulo di Banach `e relativamente iniettivo se e solo se lo `e il suo sottomodulo massimale continuo.

Mostriamo che i G-moduli di Banach Cb(Gn+1, E) sono relativamente

iniettivi.

Teorema 2.33. Per ogni G-modulo di Banach E e ∀ n ≥ 0 il G-modulo di Banach Cb(Gn+1, E) `e relativamente iniettivo.

Dimostrazione. Consideriamo il problema di estensione descritto dal seguen-te grafico A Cb(Gn+1, E) B α ι σ

Per tutti gli x = (x0, . . . , xn) ∈ Gn+1 e b ∈ B definiamo

(39)

Innanzitutto verifichiamo che β(b) sia una mappa continua di Gn+1→ E.

Sfruttando il fatto che A e B sono G-moduli continui, la vediamo come composizione delle mappe continue

B × Gn+1 → A × Gn+1 → Cb(Gn+1, E) × Gn+1 → E (x−1 0 b, x) 7→ (σ(x −1 0 b), x) 7→ (α(x0σ(x −1 0 b)), x) 7→ α(x0σ(x −1 0 b))(x)

di cui l’ultima `e la mappa di valutazione. Inoltre

kβ(b)(x)kE ≤ kαx0σ(x−10 b)k∞≤ kαk · kbkE

da cui segue che β(b) `e anche limitata, ed inoltre che kβk ≤ kαk. Verifichia-mo dunque che sia un G-Verifichia-morfisVerifichia-mo

β(gb)(x) = (αx0σ(x−10 gb))(x) = (αg(g−1x 0)σ((g−1x0)−1b))(x) = (g · (α(g−1x 0)σ((g−1x0)−1b))(x) = g(α(g−1 x0)σ((g−1x0)−1b))(g−1x) = gβ(b)(g−1x) = (g · β(b))(x).

Controlliamo, infine, che il diagramma commuti β ◦ ι(a)(x) = (αx0σ(x−10 ιa))(x)

= (αx0σι(x−10 a))(x)

= α(a)(x). La mappa β soddisfa quindi le richieste.

Teorema 2.34. Per ogni G-modulo di Banach E e ∀ n ≥ 0

0 E Cb(G, E) Cb(G2, E) . . . d1

 d2

`e una risoluzione forte.

La dimostrazione di questo teorema sar`a seguir`a come corollario del Teorema 2.41.

2.5.2 Carattere funtoriale della coomologia limitata continua

In analogia al caso discreto mostriamo che possiamo definire la coomologia li-mitata e continua di G a coefficienti in E scegliendo una qualsiasi risoluzione di E forte costituita da G-moduli relativamente iniettivi.

(40)

Teorema 2.35. Siano G un gruppo topologico localmente compatto e E un modulo di Banach. Data una qualsiasi risoluzione forte di E di G-moduli di Banach relativamente iniettivi e indicato con Hn(E∗G) l’omologia del complesso degli elementi G-invarianti, allora per ogni n ≥0 Hn(E∗G) ∼= Hcbn(G, E), come spazi vettoriali.

Alla dimostrazione del teorema premettiamo il seguente lemma. Lemma 2.36. Sia A un G-modulo di Banach continuo e sia

0 A A0 A1 A2 . . .

d3

d1

a d2

una risoluzione forte di A costituita da G-moduli continui. Sia

0 B B0 B1 B2 . . .

δ3

δ1

b δ2

un complesso i cui G-moduli sono relativamente iniettivi ∀n ≥0. Dato un G-morfismo α : A → B esiste α∗ un G-morfismo di complessi tale che il diagramma seguente commuti

0 0 A B A0 B0 A1 B1 A2 B2 . . . . . . δ1 α2 d1 δ3 α−1=α δ2 d2 d3 α0 a b α1

In questo caso diremo che α∗`e un’estensione di α. Due differenti estensioni del G-morfismo α sono G-omotope.

Dimostrazione. Osserviamo che dall’ipotesi di continuit`a dei G-moduli di Banach si ha che CAi = Ai e dunque le risoluzioni di A e di CA coincidono.

Ne segue che la condizione di esistenza di una contracting homotopy `e rela-tiva alla risoluzione di A. Fatta questa precisazione l’enunciato del lemma coincide con il Teorema 2.20.

Dimostrazione del Teorema 2.35. Per la dimostrazione utilizziamo il Lem-ma 2.36, da cui si ha che date (a, E∗) e (b, F) due risoluzioni forti e

relati-vamente iniettive del G-modulo di Banach E vi `e tra esse una G-equivalenza omotopica CE∗→ CFche induce un isomorfismo canonico tra Hn(E∗G) e

Hn(F∗G) per ogni n ≥ 0. Per concludere la dimostrazione basta prendere come altra risoluzione di E (, Cb(G∗, E)) che abbiamo visto, nel paragrafo

Figura

Figura 1.1: Triangolazione di una superficie con g = 2

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