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Neuroplasticità: un approccio storico-filosofico

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Academic year: 2021

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Introduzione

Il panorama neuroscientifico e la neuroplasticità

Da qualche anno a questa parte, il variegato e complesso insieme di discipline relative allo studio del sistema nervoso e delle attività ad esso correlate, noto come neuroscienze, ha conosciuto uno straordinario sviluppo, cui si è

progressivamente accompagnato un crescente interesse da parte del pubblico, tanto specialista quanto comune. Sfogliando le pagine di un giornale o navigando sul web non è affatto infrequente imbattersi in articoli che descrivono un qualche nuovo esperimento o trial clinico, riportandone i risultati spesso con eccessiva semplificazione e creando un grande senso di attesa per i segreti che le brain

sciences promettono di svelare. Tale attenzione e il proliferare delle cosiddette

“discipline neuro”1 hanno fatto parlare della società in cui ci troviamo come di

una vera e propria neuroculture2 , in cui le neuroscienze sarebbero assurte a un

ruolo egemonico, quasi da paradigma kuhniano, nella comprensione dell'uomo. Sia che si guardi a questa tendenza con diffidenza e preoccupazione 3 o con occhio

più favorevole 4, essa rappresenta ormai un dato innegabile, di cui costituisce

ulteriore conferma il numero di istituzioni e iniziative dedicate all'argomento; a tal proposito valgano come esempio lo Human Brain Project (HBP), finanziato dall'Unione Europea, e il progetto BRAIN, lanciato dal presidente statunitense Obama nel 2013. In breve:

1 V. B. MOUNTCASTLE (1998). 2 G. FRAZZETTO, S. ANKER (2009). 3 P. LEGRENZI, C. UMILTÀ (2009) 4 S. M. AGLIOTI, G. BERLUCCHI (2013)

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Considering the enormous leaps in our technologies for viewing the brain, the advances in our scientific understanding of cognition and neural functioning, and the massive amounts of resources being directed toward the brain sciences, we have now truly entered a Neurocentric Age.5

Nell'impossibilità di affrontare il problema nella sua totalità, ci si limiterà nelle pagine successive a un tema ben specifico, quello della neuroplasticità, che ha recentemente conosciuto grossa popolarità, a partire dalla pubblicazione nel 2007 del fortunato libro divulgativo The brain that changes itself, ad opera dello psichiatra canadese Norman Doidge. Tenendo questo testo come riferimento, si cercherà di fornire una ricostruzione – seppur parziale – del concetto di

neuroplasticità da un punto di vista storico. Oggetto di particolare attenzione sarà l'affermazione di Doidge secondo cui la neuroplasticità rappresenta una

«revolutionary discovery»6. Pur concordando che essa costituisca un'acquisizione

nel sapere scientifico davvero considerevole e foriera di importanti conseguenze tanto pratiche quanto concettuali, si proverà a determinare se e in cosa essa possa essere definita davvero “rivoluzionaria”. Nelle pagine a seguire si sosterrà la tesi secondo cui il vero elemento di rottura non sia costituito tanto dalle evidenze empiriche di una simile proprietà, presenti già da almeno un secolo, quanto da un più generale slittamento nella percezione ed elaborazione teorica degli stessi. Per fare ciò, si ricostruirà la lunga transizione, avvenuta tra Ottocento e Novecento, da un'idea di cervello statico e non modificabile all'idea di cervello dinamico e continuamente rimodellato dall'esperienza. Considerata la relativa novità di questo passaggio, si guarderà dunque allo stato attuale degli studi sulla neuroplasticità,

5 J.F. DUNAGAN (2010), p. 53. 6 N. DOIDGE (2007), p. xvii.

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caratterizzati – questa volta sì – da una disponibilità di dati senza precedenti, anche grazie all'ausilio delle nuove tecnologie per l'indagine neurologica. Saranno poi descritte alcune delle più promettenti linee di ricerca per il futuro prossimo, frutto della crescente sovrapposizione tra diverse discipline e delle possibilità offerte dall'apparato tecnico. In conclusione saranno riportate alcune

considerazioni sul significato globale che il concetto di neuroplasticità riveste in chiave filosofica, politica e sociale.

Preliminarmente, tuttavia, sarà necessario provvedere a una definizione generale di cosa si debba intendere per neuroplasticità e rintracciare eventuali concetti analoghi nella tradizione culturale occidentale.

Che cos'è la neuroplasticità

Sarebbe di poco ausilio mettere in evidenza il come un determinato oggetto di ricerca sia emerso senza aver preliminarmente fornito una pur sommaria

indicazione di cosa esso sia. Nel caso della neuroplasticità tale compito si rivela ancora più importante in considerazione di due fattori: il primo consiste

nell'appartenenza del vocabolo a un settore altamente specifico delle

neuroscienze, certamente poco familiare a un pubblico non specialista; il secondo è da attribuire a una certa ambiguità che il termine mantiene anche presso gli addetti ai lavori. Interrogando il motore di ricerca PubMed, si ottengono 44019 risultati contenenti le parole-chiave neuroplasticity o neuronal-plasticity; malgrado l'abbondanza di fonti dedicate al tema, però, si deve registrare un più sfaccettato background teorico, di cui i numeri non rendono adeguatamente la

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complessità:

Given the central importance of neuroplasticity, an outsider would be forgiven for assuming that it was well defined and that a basic and universal framework served to direct current and future hypotheses and experimentation. Sadly, however, this is not the case. While many neuroscientists use the word neuroplasticity as an umbrella term it means different things to different researchers in different subfields. Relatively few workers have seemingly been willing or able to look beyond their own quite reductionist models of neuroplasticity to probe for similarities or differences in other models. In brief, a mutually agreed upon framework does not appear to exist. The

innumerable studies of the various types of neuroplastic phenomena cannot be easily compared or synthesized, neither within nor across subfields, due to variations in preparation, system, level of analysis, and, not least the overwhelming complexity that seems to typify neuroplasticity.7

Le premesse epistemologiche sulle quali ci si trova ad agire cercando di delineare i tratti fondamentali della neuroplasticità, insomma, non sono delle più salde. La mancanza di una visione unitaria del fenomeno costringe a rifarsi a una

definizione certamente non esauriente ma che per gli scopi del presente elaborato risulti pratica almeno da un punto di vista operativo. Di converso, si eviterà una definizione che in nome della condivisibilità faccia perdere di vista la specificità del concetto. Giudicando per questo motivo troppo vaga quella fornita da Shaw e McEachern («Neuroplasticity may be viewed as a fundamental property of neurons and the nervous system at all levels and across all species»)8, nel

prosieguo della trattazione s'intenderà per plasticità l'intrinseca capacità del sistema nervoso – del cervello in particolare – di adattarsi « to environmental

7 C.A. SHAW, J.C. MCEACHERN (2001), p. 3. 8 Ibidem.

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pressures, physiologic changes, and experiences »9. Ancora più in dettaglio, essa

può essere caratterizzata come

Changes in neural organization which may account for various forms of behavioral modifiability, either short-lasting or enduring, including maturation, adaptation to a mutable enviroment, specific and unspecific kinds of learning, and compensatory adjustments in response to functional losses from aging or brain damage.10

Si tratta, in sintesi, di una condizione di malleabilità che il cervello umano possiede, seppur in gradi diversi, lungo tutto l'arco della propria esistenza, e che determina un continuo processo di riorganizzazione su più livelli: molecolare, cellulare, anatomico, fisiologico e comportamentale. Per evitare di addentrarsi troppo negli aspetti più tecnici del fenomeno in esame, si farà spesso un generico riferimento alla plasticità cerebrale, supponendo un'uniformità tra questi vari piani d'analisi che, come detto, ancora latita. È importante, tuttavia, accennare almeno alla distinzione tra due tipi di plasticità, quella anatomica e quella funzionale. Il primo tipo riguarda i cambiamenti che avvengono nella struttura dei singoli neuroni (per esempio nel soma, nei dendriti o nell'assone) e nel cervello, attraverso l'aggiunta di nuovi neuroni tramite la neurogenesi. Appartengono invece al secondo tipo i diversi meccanismi con cui viene alterata l'attività cerebrale in risposta all'esperienza e proprio a questo genere di modifiche si farà maggiormente riferimento nel corso della trattazione. Jordan Grafman ne ha individuati almeno quattro: homologous area adaptation, attraverso cui la

9 A. PASCUAL-LEONE et al. (2005), p. 377. 10 G. BERLUCCHI, H.A. BUCHTEL (2009), p. 307.

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funzione di aree cerebrali danneggiate può venire assunta dalle aree omologhe situate sull'emisfero opposto; cross-modal reassignment, che si verifica quando un’area deputata all’elaborazione di determinati stimoli sensoriali (per esempio quelli visivi) inizia a elaborarne altri di diversa natura, a causa della deprivazione dei sui input originali; map expansion, ovvero espansione di una specifica mappa corticale a seguito di pratica o esposizione prolungata a un certo stimolo;

compensatory masquerade, che consente di aggirare "l’ostacolo" provocato da

una lesione o un malfunzionamento, attivando, per l'espletamento di un compito cognitivo, aree sane solitamente deputate ad altri incarichi11.

Antecedenti nella cultura occidentale

Il concetto di neuroplasticità come viene inteso oggi, pur tra le ambiguità di cui si è parlato, è indubbiamente un legato degli ultimi decenni del '900. Tuttavia, nei suoi tratti essenziali si tratta di un'idea che affonda le proprie radici più lontano nel tempo: la riflessione sulla malleabilità mostrata dalle cosiddette facoltà superiori dell'uomo, le qualità morali e quelle intellettuali, precede persino l'epoca d'esordio delle neuroscienze, prima ancora quindi che una solida relazione tra mente e cervello venisse data per scontata. A ben vedere, sarebbe sorprendente non rilevare un qualche antecedente alla nozione neuroplasticità: in ultima analisi, essa implica che l'intima essenza di una persona – nella prospettiva

neuroscientifica, il cervello – possa essere mutata. Per rendersi conto di quanto quest'idea sia da sempre presente, è sufficiente guardare alla millenaria pratica dell'istruzione (in tutte le sue modalità, dal terreno di caccia di una tribù nomade a

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un'aula universitaria), la quale presuppone la possibilità di alterazione di chi la riceve; in aggiunta, è piuttosto semplice notare quanto un individuo possa mutare in una vita, mostrando una grande varietà di comportamenti, opinioni e tratti di personalità.

Già nella Repubblica, Socrate fa riferimento al potere delle favole delle nutrici di formare le anime come le mani modellano i corpi; tale principio – da cui

scaturisce l'esigenza di stabilire come educare i cittadini – assume ulteriore valore per gli scopi del presente elaborato se si considera che Platone fu tra i primi, sulla scia di Ippocrate, a indicare nel cervello la sede dell'anima razionale, responsabile del pensiero. Nel corso dei secoli successivi, il tema dell'alterabilità dell'essenza umana venne trattato secondo diverse angolature, in particolare in termini di un confronto tra natura e cultura, innatezza e ruolo dell'esperienza. Si pensi, a titolo esemplificativo, al problema posto dal filosofo William Molyneux (circa la capacità di una persona cieca che ritrova la vista di distinguere le forme senza ricorrere al tatto) e alle posizioni sull'argomento di Locke e Berkeley. Per gli scopi del presente elaborato, tuttavia, vale la pena soffermarsi in particolare su alcune considerazioni di Jean-Jacques Rousseau, il quale non si limitò a constatare la grande propensione all'adattamento e la versatilità di cui l'uomo sembra dotato, ma proprio in esse ravvisò la sua caratteristica precipua, sinteticamente

denominata "perfettibilità". A tal proposito, nel Discours sur l'origine et les

fondements de l'inégalité parmi les hommes del 1755, cercando di tracciare una

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Mais, quand le difficultés qui environnent toutes ces questions, laisseroient quelque lieu de disputer sur cette différence de l'homme et de l'animal, il y a un autre qualité très spécifique qui les distingue, et sur laquelle il ne peut y avoir de contestation, c'est la faculté de se perfectionner; faculté qui, à l'aide des circostances, developpe successivement toutes les autres, et réside parmi nous tant dans l'espéce que dans l'individu, au lieu qu'un animal est, au bout de quelques mois, ce qu'il sera toute sa vie [...]12.

La nostra natura, dunque, consisterebbe nell'essere soggetti a cambiamento e apprendimento continui, fonte allo stesso tempo di fortune e di miserie per l'intero genere:

Cette faculté distinctive et presque illimitée, est la fource de tous les malheurs de l'homme; que c'est elle qui le tire, à force de tems, de cette condition originaire, dans laquelle il couleroit des jours tranquilles, et innocens; que c'est elle, qui faissant éclore avec le fiécles ses lumiéres et ses erreurs, ses vices et ses vertus, le rende à la longue le tiran de lui-même et de la Nature.13

Ciò che risulta maggiormente interessante in questo contesto non sono tanto le valutazioni morali del Discours quanto, nel complesso, l'affermazione del carattere costitutivamente dinamico della condizione umana. Rousseau esclude a questo proposito ogni forma di fissismo e sottolinea a più riprese l'influenza che l'esperienza esercita sullo sviluppo delle facoltà sia nella specie che nel singolo, non ignorandone, peraltro, anche i risvolti negativi. L'uomo si configura, in breve, come un animale la cui natura consiste nel non averne una vera e propria, ma dipendente dall'interazione, da un contesto. Siamo ovviamente ancora ben lontani

12 J.J. ROUSSEAU (1755), p. 24. 13 Ivi, pp. 24-25.

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da una comprensione del fenomeno in termini scientifici; ma il grande

presupposto concettuale dietro alla neuroplasticità – non si è gli stessi al momento della nascita e della morte – è già sostenuto con forza.

La nozione di perfettibilità non tardò a suscitare un certo interesse: già nel 1783, dopo uno scambio epistolare con Charles Bonnet, concittadino e rivale di

Rousseau, l’italiano Michele Vincenzo Malacarne decise di testare la possibile azione degli stimoli esterni sulla crescita del cervello. Egli sottopose cani e uccelli ad addestramento intensivo, servendosi di altri esemplari, non altrettanto stimolati, come gruppo di controllo. Sacrificate e sezionate le cavie, Malacarne rilevò un maggiore sviluppo dei cervelli (nello specifico, del cervelletto) “allenati” rispetto a quelli degli animali cresciuti normalmente. I risultati suggerivano dunque che il tessuto neurale si comportasse esattamente come quello degli altri muscoli, rispondendo positivamente all’esercizio. Ma nonostante le premesse incoraggianti, gli studi di Malacarne non ebbero grosso seguito e l’eredità di Rousseau subì un curioso destino. Da un lato, mescolandosi all’idea di progresso, divenne un cardine di gran parte della dottrina socio-politico ottocentesco; già a pochi anni di distanza Condorcet farà riferimento in toni entusiastici alla perfettibilità

dell’uomo, da lui salutata come “indefinita” e da quel momento postulata, più o meno esplicitamente, da gran parte dei pensatori successivi, da Comte a Marx. Dall’altra la perfettibilità soffrirà ancora a lungo ora dell’indifferenza ora dell’aperta opposizione di gran parte degli uomini di scienza, proprio in un momento decisivo per la nascita delle discipline neurologiche. Difatti, attorno agli inizi del XIX secolo lo studio del sistema nervoso si avvia ad entrare finalmente

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nella sua fase più moderna e sistematica, dopo un lungo periodo di incubazione. Proprio in questo periodo vengono gettate infatti le basi metodologiche e

concettuali delle neuroscienze come le conosciamo oggi.

In questo contesto la figura di Franz Joseph Gall appare come quella di un uomo tra due epoche, il cui lavoro oscilla tra slanci speculativi e rigore medico, tra il rispetto per lo studio dei fenomeni naturali tout court e la loro interpretazione in un più ampio quadro teorico, frutto di elaborazione personale. Non può quindi stupire che l’opera di Gall sia stata ora bollata come pseudoscienza, ora giudicata stimolo cruciale per le brain sciences. Quel che preme analizzare qui è, però, quale peso assuma la nozione di perfettibilità all'interno della dottrina

organologica. I cardini del sistema di Gall sono noti: le disposizioni intellettuali e morali dell’uomo possono essere spiegate a partire dalla natura, senza far appello a concetti metafisici. Esse dipendono infatti solamente dal nostro cervello, più precisamente dall’attività dei diversi “organi” che lo costituiscono nel suo insieme, ciascuno responsabile per una specifica facoltà.

Tra queste Gall annovera espressamente la perfettibilità (chiamata

alternativamente educabilità), cui è dedicato ampio spazio nel quarto volume di

Anatomie et physiologie du système nerveux. Partendo, come sua abitudine, da

osservazioni quasi aneddotiche tratte dal regno animale, il medico tedesco si esprime positivamente circa l’esistenza della perfettibilità:

Si les animaux obéissoient aux lois d'une aveugle nécessité, s'ils étoient privés de toute

perfectibilité, leurs ouvrages offriroient une uniformité absolue; ils travailleroient toujours de la même manière; toujours ils commenceroient comme ils ont toujours commencé, et ils finoroient

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toujours de même. Mais les abeilles adaptent la forme de leurs rayons à celle de l'espace dans lequel elles travaillent. [...] Nous voyons donc clairement que l'expérience instruit les bétes; que leurs actions se modifient en raison des différentes épreauves qu'elles ont été dans le cas de subir.14

L’esperienza esercita quindi una forza innegabile che induce risposte diverse a seconda della storia dell’animale, segno evidente che sussiste una facoltà che consente loro di farlo, più o meno potente in relazione alla specie (un cane è più educabile di un bue), dell’individuo (un cavallo rispetto a un altro), e all’età (un esemplare più giovane rispetto a uno più anziano). Dopo aver individuato anche la sede fisica della facoltà in questione nella metà della parte inferiore-anteriore del cervello, Gall passa ad esaminare più da vicino la condizione dell’uomo e a fugare la possibilità di incongruenze tra quanto sostenuto nelle pagine precedenti e la sua dottrina in generale:

On réproche à la doctrine des fonctions du cerveau , d'étre en opposition avec la perfectibilité de l'homme, et avec les effets de l'éducation. Si vous entendez par éducation , la création des qualités ou des facultés primitives, dont le germe n'auroit pas été donné par l'organisation, dans ce sens , je nie enti rement la possibilité d'une éducation quelconque. Mais si par education, vous entendez que les dispositions, les qualités et les facultés innées poissent étre cultivées, négligées, comprimées, dirigées, je suis le premier partisan de l'éducation. [...] Tout ce que je viens de dire sur la

perfectibilité des animaux, servira de nouvelle preuve au lecteur, que je dois avoir la plus haute idée de la perfectibilité de l'homme., et par conséguent de l'efficacité de la bonne ou mauvoise influence de l'éducation.15

14 F. J. GALL (1819), pp. 22-23. 15 Op. cit. , p. 33.

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Non vi è dunque contraddizione tra affermare l’esistenza di facoltà innate e la disposizione a una certa modificabilità proprio perché quest’ultima è un tratto di cui gli individui sono naturalmente dotati. In ragione di ciò, le altre qualità in nostro possesso possono essere allenate o represse attraverso forme

d’addestramento. E ancora:

Il suit donc de tout ce que je viens de dire, que l'origine de toute qualité et de toute faculté déterminées appartient à la nature; et nullement à l'instruction accidentelle, aux rapports de la société ou à des besoins factices. Mais si nous considérons combien ces mémes qualités et facultés sont plus mobreuses et plus intenses dans l'homme, combien les circonvolutions inférieures-antérieures-moyennes du cerveau sont plus développées dans l'homme que dans les animaux, on concevra facilement que la perfectibilté de l'espèce humaine doit infiniment surpasser celle des brutes. [...] Outre les avantages de son organisation, l'homme possède encore tant de moyens extérieurs pour agrandir la perfection, soit des individus, soit de la espèce entière! La tradition, le langage, l'écriture, l'imprimerie, les monumens, le commerce social, le loisir, etc. , sont autant d'instrumens dont il se sert pour étendre la sphère de ses connoissances. 16

L’uomo si trova in una condizione particolarmente propizia non soltanto per la propensione fornita da un’organizzazione cerebrale superiore rispetto a quella degli altri animali, ma anche per i numerosi ausili culturali che fungono da stimolo alla perfettibilità. Gall ritorna sulla questione in modo ancor più diretto specificando ancora una volta cosa si debba intendere per perfectibilité e illustrando quale errore venga solitamente commesso a riguardo:

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L'espèce humaine est-elle indéfiniment perfectible? Cette proposition renferme deux points de vue tout-à-fait différens. On peut demander si l'espèce humaine peut perdre ou acquérir une qualité ou une faculté quelconque? L'espèce humaine peut-elle perfectionner toujours progressivement et indéfiniment les qualités et les facultés inhérentes à son organisation? Le lecteur doit bien se garder de confondre ces deux questions. L'organologie répond à l'une et à l'autre. L'espèce humaine peut-elle perdre ou acquérir une qualité ou une faculté quelconque. L'homme ne sauroit manifester d'autres qualités ou faculté que celles dont la manifestation lui a été rendue possible au moyen d'instrumens matériels. Or, le nombre de ces instrumens matériels est arrèté. [...] Jusqu'à quel point l'espèce humaine est-elle perfectible? Ne domandons plus si l'espèce humaine peut perdre ou acquérir une qualité ou une faculté quelconque; demandons si les qualités et les facultés inhérentes à son organisation sont susceptibles d'un perfectionnement toujours progressif, ou si la nature méme a posé des bornes à leur perfectibilité?17

La risposta a questa domanda non può che essere ancora una volta negativa: la storia ci mostra come lo sviluppo degli uomini e delle loro organizzazioni non segua un corso lineare, sempre proteso al miglioramento; esso, al contrario, è fatto di ascese e cadute, raggiungimento di alte vette intellettuali e profonde cadute nell’abisso della barbarie.

In breve, Gall non chiude mai la porta alla possibilità di cambiamento che la

perfettibilità presuppone: un semplice sguardo alle azioni di uomini e animali, e al

modo in cui l’esperienza agisca su di esse, suggerisce l’esatto contrario.

Appare impegnato piuttosto a rivendicare – in chiave antimetafisica - l’esistenza di certi limiti naturali, nella fattispecie cerebrali, alla modificabilità del

comportamento (i.e. degli “organi della mente” che lo determinano).

I passi citati sembrano suggerire che sia data tanta perfettibilità quanto consentito

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dal nostro cervello; si tratta di un’affermazione magari tautologica, ma in linea con quanto saremmo pronti a dire oggi parlando di neuroplasticità.

Nel 1812 le strade di Gall e di Johann Gaspar Spurzheim, suo allievo e

collaboratore, si dividono. Quest’ultimo intraprende una serie di viaggi in Europa, rendendo popolare la teoria che aveva contribuito a sviluppare negli anni

precedenti, la quale va diffondendosi da quel momento con il nome di frenologia. Nelle sue opere Spurzheim si dedica all’ampliamento e all’approfondimento di quanto già proposto sotto la supervisione di Gall. La frenologia raggiunge il grande pubblico, proponendosi come dottrina dai risvolti pratici notevoli, quali l’applicazione all’organizzazione sociopolitica e alla giustizia, temi solo

marginalmente toccati in precedenza. Di rilievo è il trattato postumo Education:

its elementary principles founded on the nature of man, il cui scopo è la

promozione di politiche e assetti educativi che tengano conto del quadro della natura umana quale tratteggiato dalla frenologia.

In sede preliminare vengono fugate le ambiguità circa ciò che debba essere inteso per educazione (ovvero ogni mezzo in grado di agire sullo stato fisico, affettivo e intellettuale dell'uomo) e, sulla scia del maestro-rivale, per perfettibilità:

The next introductory point to be elucidated is wheter human nature is susceptible of perfection or degradation.In speaking of the susceptibility of being perfected, it is not to be understood that man may lose one faculty and acquire another; for the fundamental nature of man being unchangeable, in body as well in the faculties of mind, such an event is impossible on earth. The meaning of the proposition, therefore, can only be whether certain powers are capable of attaining greater or less

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activity.18

Riecheggiano qui le parole di Gall: la perfettibilità come capacità di acquisire indefinitamente nuove facoltà è una nozione inconcepibile, in quanto contraria a ciò che lo studio dell’organizzazione cerebrale ci suggerisce. D’altro canto l’alterazione delle facoltà da noi effettivamente possedute è parimenti innegabile, nonché estremamente preziosa tanto per l’individuo quanto per la società.

È a questo punto che Spurzheim compie un ulteriore passo in avanti, descrivendo le modalità attraverso cui tale malleabilità si manifesta. Nozione chiave è quella di esercizio, il cui influsso non si sottrae però a due variabili, età e disposizione:

The facility of accomodating man to new impressions greatly depends on age; it succeeds best during the period of growth, whilst in latter years we are less susceptible of changes. […] The law of accommodation, however great, never annihilates the general laws of life. It is even subordinate to them, and cannot prevent the successive changes of age. Again, every individual being born with a different constitution, and with different dispositions, is not equally capable of

accommodating himself to circumstances, and hence will present some modification, though the external influences are the same.19

In generale il maggior o minor esercizio si riverbera nell’effettiva potenza con cui sensi, emozioni e facoltà intellettuali si manifestano:

The influence of exercise on the functions of the five senses is generally known and admitted. […] It is the same with internal faculties manifested by means of the different parts of the brain. Each 18 J.G. SPURZHEIM (1847), p. 2.

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mental power, if it be sufficiently cultivated, grows more energetic, whilst, if neglected, it shows less activity.20

Una buona educazione sfrutta la naturale perfettibilità dell’uomo, non

sopravvalutando, però, il ruolo dell’azione esterna. Seppur con risultati variabili, attraverso l’esercizio si giunge a maggior attività e scioltezza delle facoltà stimolate, testimoniata anche da un aumento delle dimensioni delle parti del cervello associate:

It may be asked whether exercising the affective and intellectual powers makes the respective organs increase. Each part of the body, being properly exercised, increases and acquires more strength. The fact is known to be so, with respect to the muscles of woodcutters, smiths, runners etc. Now the brain and its parts are subject to all the laws of organization; they are nourished like the arms and legs. […] The changes of cerebral development, when the individual powers are exercised, or kept quiet, are astonishing. In the former case individual organs increase, and in the latter they not only stand still in growth, but sometimes become absolutely smaller.21

Anche Spurzheim, quindi, riconosce l’esistenza di una forma di plasticità, trattando l’argomento con ancora maggior attenzione di Gall. Colpisce in particolare l’insistenza sull’importanza dell’esercizio, i cui risultati, come già rilevato da Malacarne, possono essere osservati sulla struttura cerebrale.

Tra la fine del ‘700 e la prima metà dell’800, dunque, non solo appare nel dibattito culturale un concetto, quello di perfettibilità, che ricalca, seppur in una fase embrionale, quello di neuroplasticità; ma si hanno i primi tentativi (con Malacarne

20 Ivi, p. 89. 21 Ivi, pp. 130-131.

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prima, Gall e Spurzheim poi) di associare questa qualità mostrata dall’uomo al cervello.

Rimane da capire come, nonostante premesse tutto sommato incoraggianti, lo sviluppo di studi scientifici sul tema abbia dovuto attendere quasi un secolo.

(18)

1.

Tracce di plasticità nell'epoca del localizzazionismo

Il contesto localizzazionista

Prima di poter parlare di cervello dinamico e responsivo agli stimoli esperienziali fu necessario prima di tutto affermare la sua relazione con quell'insieme di attività complesse (linguaggio, volontà ecc.) note come "funzioni dell'anima" e

cartesianamente intese come il prodotto di un'entità – l'anima, appunto – metafisica, separata dal corpo e da esso assolutamente indipendente.

Franz Joseph Gall fu una figura decisiva, anche se spesso sottovalutata, nel rendere possibile un approccio naturalistico alla questione mente-cervello. Egli inferì correttamente – seppur, come si è detto, partendo da premesse empiriche non proprio solide, quando non apertamente fantasiose – una correlazione tra comportamenti e talenti da una parte e definite regioni cerebrali dall'altra, stabilendo che ogni funzione è diretta espressione di una precisa struttura cerebrale: pertanto ogni peculiarità della funzione è da associare a una diversa conformazione fisica del cervello che la esprime.

La dottrina di Gall fu accolta talora con ostilità dai circoli scientifici a causa dei metodi controversi con i quali era stata delineata, ma allo stesso tempo costituì un presupposto concettuale cruciale per la localizzazione delle funzioni sulla

corteccia, che nei cento anni seguenti divenne oggetto quasi esclusivo della ricerca neuroscientifica.

Convenzionalmente si fa coincidere l'avvio della stagione localizzazionista con il 1861, anno in cui Paul Broca presentò, davanti alla Société d'Anthropologie prima e alla Société d'Anatomie poi, i risultati dell'autopsia condotta su un paziente

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gravemente afasico, tale Leborgne. L'uomo – divenuto celebre come "Monsieur Tan", dall'unica parola che era in grado di pronunciare – presentava una grave lesione alla terza circonvoluzione frontale dell'emisfero sinistro, alla quale Broca associò l'incapacità del soggetto esaminato di far ricorso al linguaggio articolato. È curioso come questa localizzazione fosse in linea con quella proposta dai seguaci di Gall, sebbene molto più accurata da una prospettiva metodologica. L'affidabilità delle osservazioni anatomo-patologiche, la dovizia di dettagli dei rapporti e la rispettabilità dell'autore furono i fattori che permisero il grande impatto del caso Tan sulla comunità scientifica. Alla scoperta della sede del linguaggio articolato, fondata sui reperti clinici di Broca, seguì quella dell'area motoria attraverso gli esperimenti di Gustav Fritsch ed Eduard Hitzig. Nel 1870, applicando corrente elettrica alla corteccia di un cane, essi notarono che la

stimolazione di diversi punti provocava la contrazione o l'estensione involontaria di specifiche parti del corpo, il cui movimento risultava inoltre fortemente

compromesso in caso di ablazione dei punti menzionati. Riscontrando che la percezione risultava invece intatta, Fritsch e Hitzig provarono per la prima volta la delimitazione di almeno due macroaree, una motoria, l'altra sensoriale. A

completamento e conferma del loro lavoro, quattro anni dopo Karl Wernicke individuò in un'area di poco posteriore a quella analizzata da Broca la parte corticale che, se danneggiata, genera afasia fluente o sensoriale.

Si aprì una vera e propria corsa alla mappatura del cervello, il cui sforzo maggiore fu condensato nell'opera di David Ferrier, esponente di punta dei localizzazionisti. Replicando gli esperimenti di Fritsch e Hitzig, Ferrier giunse a cartografie assai

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dettagliate (anche se non sempre precise) della corteccia della scimmia, presentate in The Functions of the Brain, le quali divennero in breve punto di riferimento per i neurochirurghi.

La fine del XIX e l'inizio del XX secolo fornirono nuovo materiale a sostegno della teoria localizzazionismo grazie agli studi sulla costituzione microscopica del tessuto nervoso. Il fatto che la struttura e la composizione citologica di alcune parti corticali differissero notevolmente da quelle di altre venne interpretato come un chiaro segno della specificità ed unicità delle loro funzioni. Nel 1909

Korbinian Brodmann parlò di funzioni nettamente localizzate costruite su

altrettanto chiaramente delimitate regioni istologiche e propose conseguentemente una suddivisione della corteccia in cinquantadue aree discrete. Questo genere di mappe proliferò, incontrando un vasto successo, nonostante il disaccordo che regnava tra gli scienziati circa i criteri da seguire per un loro corretto disegno. Analogamente, la definitiva affermazione della teoria del neurone ad opera di Santiago Ramón y Cajal rafforzò il modello del cervello rigido: la dimostrazione che i neuroni sono unità cellulari autonome una dall'altra ben si accordava con l'esistenza di percorsi e centri neuronali indipendenti e specifici postulata dal localizzazionismo.

Il momento culminante dello sforzo di assegnare ad ogni funzione una sede corticale si raggiunse negli anni '30 con l'opera del neurologo Wilder Penfield. Nel tentativo di localizzare con precisione le aree responsabili delle scosse epilettiche, Penfield osservò le reazioni alle stimolazioni elettriche dei suoi pazienti (peraltro tutti coscienti durante l'intervento) e creò le mappe della corteccia motoria e

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sensoriale utilizzate – quasi invariate - ancora oggi. Da queste ricavò anche l'homunculus corticale, la rappresentazione fisica del corpo umano dalla "punto di vista" interno del cervello.

Naturalmente il localizzazionismo diede un impulso fondamentale allo sviluppo delle brain sciences e ad esso si deve sicuramente gran parte delle conoscenze sul cervello e sul suo funzionamento, sia sano che patologico. Nelle pagine

successive, tuttavia, si adotterà una prospettiva diversa e, pur riconoscendo gli indubbi meriti e i traguardi raggiunti da questa linea di pensiero, si riconoscerà nel localizzazionismo (o, almeno, in una certa sua forma) l'ostacolo principale per l'affermarsi della neuroplasticità cerebrale come principio accettato dalla comunità scientifica, frutto di un lungo processo di incubazione all'ombra del "dogma" identificato e così riassunto da Doidge:

The brain's structure is fixed, and [...] our senses, the avenues by which experience get into our minds, are hardwired. This idea [...] is called "localizationism". It's closely related to the idea that the brain is like a complex machine, made up of parts, each of which performs a specific mental function and exists in a genetically predetermined or hardwired location – hence the name. 22

Sarebbe ingenuo pensare che in un arco di tempo così lungo, dall'intuizione di Broca alla seconda metà del '900, in cui il concetto di plasticità comincia

lentamente a far breccia, non si fossero presentati dubbi e criticità circa il carattere statico del cervello. Proprio alle "voci dissonanti" – alcune delle quali saldamente all'interno della cornice localizzazionista – sarà dedicato il prosieguo del capitolo.

(22)

Auspicabilmente questo excursus consentirà di confutare la nozione che l'idea di neuroplasticità sia un fatto del tutto nuovo e di mostrare come i suoi effetti fossero noti ben prima del secolo scorso. Esso aiuterà inoltre a far emergere le possibili cause che hanno portato a un ritardo approfondimento sistematico di questi spunti.

1.1 Verso il localizzazionismo: Flourens

Si è visto come la teoria di Gall fosse imperniata attorno all’idea di diversi organi cerebrali singoli, ciascuno alla base di precise facoltà mentali. Il suo richiamo a una correlazione – per l’epoca davvero clamorosa – tra capacità mentali e parti fisiche del cervello gli valse da più parti accuse di materialismo e accese il dibattito in tutta Europa.

Tra i coloro chiamati ad esprimersi a riguardo vi fu l’eminente medico francese Marie-Jean-Pierre Flourens, il quale, seppur molto giovane, ricevette l’incarico da parte dell’Académie des Sciences di indagare la questione. Nonostante

l’ammirazione per la magistrale tecnica dissettoria del collega tedesco, non poteva esserci distanza maggiore nell’approccio all’oggetto d’indagine; così, mentre Gall ricostruiva induttivamente il legame tra sedi materiali e funzioni sulla scorta di osservazioni naturalistiche ed estemporanee, Flourens si dedicò a

minuziose indagini sperimentali e, tramite la pratica dell’ablazione e della stimolazione elettrica, giunse a corrette intuizioni circa il ruolo del cervelletto e del midollo allungato rispettivamente per coordinazione e respirazione2324.

Ma più che sulla polemica con Gall, a cui riservò sempre maggior spazio nell’ultima fase della sua carriera, e sui contributi che diede alla ricerca

23 J.M.S. PEARCE (2009).

(23)

successiva, vale la pena soffermarsi su alcune considerazioni del tutto originali sulle proprietà del cervello, rintracciabili nell’opera che gli valse l’ammissione all’Académie. Gran parte dell’attività del medico francese è infatti condensata nelle Recherches expérimentales sur le propriétés et le fonctions su système

nerveux dans le animaux vertébrés25, uscite in due edizioni tra il 1824 e il 1842.

In esse vengono sottilmente distinte le varie proprietà del sistema nervoso, ovvero

sensibilità, eccitabilità ed intelligenza, con aree e compiti specifici (che potremmo

chiamare vegetativi, animali ed intellettivi). Flourens riconosce dunque in certa misura la correttezza di un principio che colleghi in modo univoco forme anatomiche e funzioni, ma solo a un livello molto generico. Nel caso delle capacità mentali più sofisticate, che hanno sede nei due emisferi, non si possono individuare – come aveva fatto Gall – centri iper-specializzati e indipendenti tra loro, singolarmente responsabili di fenomeni complessi; al contrario, nella corteccia vige unità e integrazione.

Uno snodo importante nell’argomentazione a favore di quest’ipotesi è costituito dal resoconto sulle condizioni post-operatorie di alcune cavie e dei conseguenti studi sugli effetti delle lesioni condotti da Flourens:

On vient de voir qu’il est possible de retrancher une certain portion des lobes cérébraux, sans que ces lobes perdent complétement leurs fonctions; il y a plus: ils peuvent les recouvrer en entier après les avoir complétement perdues. Je dépouillai, sur un pigeon, le noyau central des deux lobes, par couches graduelles et successives; et je m’arrétai aussitôt que, par l’effette de cette dénudation, l’animal eut perdu l’usage de tous ses sens et de toutes ses facultés intellectuelles. Dès le premier jour, les deux lobes cérébraux mutilés devinrent énormes ; leur tuméfaction 25 J. FLOURENS (1842).

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diminua dès le second ; elle avait presque disparu dès le troisième. Le pigeon commença dès lors à réacquérir peu à peu la vue, l’ouïe, le jugement, la volition et le reste : au bout de six jours il eut réacquis le tout.26

In tutti i casi riportati a emergere è la sorprendente potenzialità adattativa e di recupero mostrata dal cervello, per quanto non indefinita:

Je mis à nu les deux lobes cérébraux, à la fois, sur une forte poule. Je fendis ensuite le droit en travers et le gauche en long ; mais tous deux également dans toute leur étendue, dans toute leur profondeur, et tous deux également dans leur région moyenne. L'animal éprouva sur-le-champ les mêmes phénomènes que s'il eût été totalement privé de ses deux lobes; c'est-à-dire qu'il perdit aussitôt toute perception et toute faculté intellectuelle. Durant les six premiers jours, il n'entendait, ni ne voyait, ni ne donnait aucun signe de volition. Presque toujours endormi ou assoupi, il ne bougeait qu'autant qu'on l'irritait. Les deux lobes étaient très tuméfiés. Le septième jour, l'animal commençait à aller et venir de lui-même; il entendait déjà, quoique faiblement: il voyait un peu de l'œil droit, c'està-dire de l'œil opposé au lobe fendu longitudinalement, mais il ne voyait point du gauche. La tuméfaction des lobes avait diminué beaucoup. Le huitième jour, la poule reprend l'usage de ses sens et de ses facultés avec une rapidité étonnante; elle entend déjà très bien, voit très bien de l'œil droit, mais non du gauche; elle marche beaucoup, est moins souvent et moins long-temps endormie : jusqu'ici il avait fallu la nourrir, maintenant elle commence à chercher sa vie; elle becquète et boit. La tuméfaction des lobes est dissipée. Le douzième jour, la poule a repris tous ses sens et toutes ses facultés, hors la vue de l'œil gauche. Le cinquantième jour, la poule ne diffère en aucune manière d'une poule qui n'aurait subi aucune opération. Une seule chose lui manque toujours, c'est la vue de l'œil gauche; vue qu'elle n'a jamais recouvrée, bien qu'elle ait survécu plus de six mois à l'opération.27

26 Op. cit. p. 101. 27 Ivi, p. 104.

(25)

La conclusione non potrebbe essere più netta:

Il serait superflu d'accumuler ici les faits de ce genre. Ceux que j'ai déjà rapportés suffisent pour établir: 1° Que les lésions des lobes cérébraux, des tubercules bijumeaux, du cervelet, sont (quand elles ne dépassent pas certaines limites) suivies de guérison de l'organe avec restitution complète de la fonction; 2° Qu'une portion assez restreinte, mais déterminée, de ces organes suffit au plein et entier exercice de leurs fonctions.28

Si tratta naturalmente di una scoperta importante per l’economia generale del pensiero di Flourens, il quale, a partire dagli esempi citati, ricavò la concezione degli emisferi equipotenziali per cui viene solitamente ricordato. Il valore è ben più grande perché, come rileva Bach y Rita29, siamo possibilmente di fronte al

primo riconoscimento su base sperimentale della plasticità cerebrale. Ma lungi dallo stimolare indagini in questa direzione, le Recherches fornirono prezioso materiale alla generazione di ricercatori successiva, contribuendo a rafforzare una linea interpretativa alternativa all’olismo proposto dal loro autore. In esse

Flourens seppe raggiungere il proprio obiettivo solo in parte: certamente riuscì a screditare le audaci (quando non fantasiose) associazioni di Gall per

l'impossibilità di distinguere nominalmente i loci delle varie funzioni superiori; ma riconoscendo attraverso procedimenti d’esame rigorosi e ripetibili che queste dipendono dalla corteccia egli ne rese possibile l’immediata resurrezione su un terreno scientificamente più solido. Dunque, per quanto indizi empirici e

28 Ivi p.154.

(26)

sperimentali lasciassero intravedere la possibilità di una notevole dinamicità del cervello umano, gli sforzi della comunità scientifica tesero nella direzione opposta, alla ricerca di prove di una relazione stabile tra strutture anatomiche e capacità cognitive. L’esigenza di legittimare in questo modo il cervello come

organo dell’anima , in conformità alle tendenze antimetafisiche tipiche del

periodo, sembrò porre in secondo piano lo studio di fenomeni di riorganizzazione o adattamento, difficilmente integrabili nel modello che si cercava di fondare. Si potrebbe obiettare che le esperienze documentate da Flourens si limitavano a casi che coinvolgevano animali. Ciò non impedì però il successo di quelle parti di esse che spingevano verso una localizzazione delle funzioni (per quanto solo su un piano molto generico). La questione pare essere allora un’altra; segnatamente, pare configurarsi la necessità per l’affiorare di una teoria del cervello plastico di di una visione diametralmente opposta in grado di fornire evidenze sufficienti a far accettare un qualche forma di interdipendenza tra la mente e cervello. Ciò permetterebbe del resto di giustificare il notevole ritardo degli studi sulla

neuroplasticità e, di converso, il grandissimo consenso attorno alla prospettiva del localizzazionismo rigido, che gravò come un macigno sulle prove di dinamismo e variabilità del cervello.

Di alcune di queste daremo conto seguendo non un criterio cronologico ma geografico, nella convinzione che tale metodo meglio si accordi con gli scopi della ricostruzione; ciò che interessa, infatti, non è tanto stimare il debito intellettuale tra i vari autori quanto mostrare in generale la presenza diffusa di un’idea di cervello plastico, seppur in nuce.

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1.2 La Francia 1.2.1 Paul Broca

E’ significativo che sia stato proprio Broca a notare, già nel 1865, alcune

incongruenze, lontane dalle conclusioni a cui egli stesso era giunto esaminando il cervello del celebre Leborgne e di altri pazienti in condizioni analoghe e di cui aveva fornito una relazione alla Société d’anthropologie anni prima.

Salvo rare eccezioni, scrive Broca, in ogni caso d’aphémie véritable («c'est-à-dire la perte de la parole sans paralysie des organes de l'articulation et sans destruction de l'intelligence»30), è riscontrabile un danno alla terza circonvoluzione frontale

dell’emisfero sinistro. Dopo aver passato in rassegna elementi a sostegno della scoperta, il medico francese introduce un caso particolare, che permetterebbe di rendere conto delle apparenti contraddizioni:

L'existence d'un petit nombre d'individus qui, par exception, parleraient avec l'hémisphère droit, expliquerait très-bien les cas exceptionnels où l'aphémie est la conséquence d'une lésion de cet hémisphère. Il suit de ce qui précède qu'un sujet chez lequel la troisième circonvolution frontale gauche, siège ordinaire du langage articulé, serait atrophiée depuis la naissance, apprendrait à parler et parlerait avec la troisième circonvolution frontale droite , comme l'enfant venu au monde sans la main droite devient aussi habile avec la main gauche qu'on l'est ordinairement avec l'autre main.31

La localizzazione di una funzione appare dipendente anche dall’esperienza dell’individuo; si riscontra generalmente una predominanza, per quel che

30 P. BROCA (1865), p. 385.

(28)

concerne il linguaggio articolato, dell’emisfero sinistro ma si danno nondimeno casi differenti:

C'est ainsi, sans doute, qu'il faut expliquer un fait remarquable observé l'année dernière à la Salpêtrière, dans le service de M. Moreau (de Tours). À l'autopsie d'une malade de 47 ans, épileptique depuis sa plus tendre enfance, on constata que la troisième circonvolution frontale gauche faisait défaut, ainsi que la circonvolution pariétale inférieure et la circonvolution temporo-sphénoidale supérieure. En d'autres termes, on constata l'absence de toute la partie de l'hémisphère gauche qui borde la scissure de Sylvius, et qui constitue, dans la nomenclature de M. Foville, la circonvolution d'enceinte de cette scissure. Or, cette malade n'était pas aphemique, et elle auraitdû l'être si la troisième circonvolution gauche était le siège exclusif et constant de la faculté de coordonner l'articulation des mots. Au reste, les parties qui manquaient n'avaient pas été détruites par une maladie : il était aisé de reconnaître que ces parties ne s'étaient jamais développées; en effet, à la place de la circonvolution d'enceinte, on trouvait un petit pli sinueux, gros comme un boyau de rat, qui présentait exactement les connexions normales et les rapports de la

circonvolution d'enceinte. Il s'agissait donc d'une atrophie congéniale, d'un véritable arrêt de développement.32

Il mancato sviluppo corretto di questa parte del cervello si traduce in una minor capacità della metà del corpo controlaterale, ma non in rilevanti deficit cognitivi:

Cette inégalité anatomique et fonctionnelle des deux moitiés du corps était évidemment la conséquence de l'inégalité congéniale des deux moitiés du cerveau […].L'intelligence, sans aucun doute, devait se ressentir del'état défectueux du cerveau. Mais la malade n'était nullement idiote : elle n'avait reçu qu'une instruction très-rudimen- taire ; pourtant elle savait lire, elle s'occupait des 32 Ivi p. 387.

(29)

travaux de son état, et, par parenthèse, elle cousait de la main gauche ; enfin elle parlait convenablement et elle exprimait ses idées sans difficulté. Ce fait me donna à réfléchir. Les opinions que je vous soumets aujourd'hui s'étaient déjà présentées à mon esprit, mais ne s'y étaient pas encore fixées. Plusieurs fois déjà, en étudiant des cerveaux d'aphémiques, j'avais trouvé que la lésion de la troisième circonvolution frontale gauche n'était pas toujours en rapport direct

d'intensité avec l'altération du langage; par exemple, j'avais vu la parole complètement ment anéantie par une lésion de huit à dix millimètres seulement d'étendue, tandis que, dans d'autres cas, des lésions dix fois plus considérables n'avaient altéré qu'en partie la faculté du langage articulé. J'en avais déjà conclu que, selon toutes probabilités, les deux hémisphères concouraient au langage, et pouvaient se suppléer plus ou moins suivant les cas, quoique la troisième

circonvolution frontale de l'hémisphère gauche fût toujours le siège principal de la fonction. Mais c'était la première fois que je voyais cette circonvolution du langage faire défaut dans toute son étendue chez un sujet non-aphémique. Ici, il était parfaitement évident que la troisième

circonvolution droite avait suppléé à l'absence de la gauche. Et je me demandai aussitôt comment il se faisait que cela n'eût pas lieu dans tous les cas d'aphémie.33

Domandandosi per quale motivo non tutti gli afasici riescano ad esprimersi attraverso l’emisfero destro, Broca individua un fattore cruciale, il tempo. Quanto più tempo si dedica alla ri-educazione, tanto maggiore la possibilità di recupero. E’ evidente che nel caso dei bambini le chances di un esito positivo aumentino in virtù del modo peculiare con cui essi apprendono, pressoché continuo e senza sforzo, quasi involontario:

Puis, comment sait-on que l'aphémique n'est pas capable d'apprendre à parler avec l'hémisphère droit qui lui reste ? A-t-on essayé de faire son éducation? lui a-t-on donné ces leçons de tous les

(30)

jours, de toutes les heures, de tous les instants à l'aide desquelles on finit à la longue par faire parler un enfant? Pour ma part, je suis convaincu que, sans rendre aux aphémiques la partie de leur intelligence qui a péri avec une partie de leur cerveau, on pourrait, en y mettant assez de

persévérance, en les traitant avec l'infatigable constance de la mère qui apprend à parler à son enfant, on pourrait, dis-je, obtenir des résultats considérables. Lorsque j'étais à Bicêtre, j'ai gardé plusieurs mois un aphémique dans mes salles; souvent, à la visite, je lui consacrais quelques minutes , et j'avais fini par étendre notablement son vocabulaire. Mais, qu'est-ce qu'une leçon aussi courte? Croyez-vous qu'un enfant ferait bien des progrès si on ne ie faisait parler que quelques moments chaque jour? Et n'allez pas croire que, sous ce rapport, l'éducation d'un adulte soit plus facile que celle d'un enfant ; elle est- beaucoup plus difficile au contraire. […]. Ce n'est pas seulement une question d'agilité musculaire; il est probable que l'adulte et l'enfant suivent, pour arriver au but, des procédés différents. L'enfant se borne à imiter, il émet des sons au hasard jusqu'à ce qu'il trouve le son qu'on lui demande, et il recommence avec docilité aussi souvent qu'on le désire. L'adulte n'a pas cette patience ; […] Par exemple, il apprend beaucoup plus difficilement qu'un adolescent à s'exprimer dans une langue étrangère.34

Queste semplici riflessioni e l’esperienza vissuta in prima persona con alcuni malati a Bicêtre suggeriscono in definitiva un certo ottimismo circa la possibilità di ripresa da parte del cervello, come aveva già mostrato Flourens. La chiusa di Broca è assai eloquente:

L'insuccès ordinaire des tentatives que l'on fait pour faire parler les aphémiques ne prouve donc pas que l'hémisphère sain ne puisse pas suppléer celui qui est malade. Et par exemple, je suis convaincu qu'une lésion de la troisième circonvolution frontale gauche, capable de produire chez un adulte une aphémie définitive, n'empêcherait pas un jeune enfant d'apprendre à parler. Voilà 34 Ivi, pp. 390-391.

(31)

pourquoi, selon toute probabilité, la malade épileptique du service de M. Moreau parlait,

quoiqu'elle fût entièrement privée, dès sa naissance, non-seulement de la troisième circonvolution frontale gauche, mais encore de tout le reste de la grande circonvolution d'enceinte de la scissure de Sylvius.35

Broca ipotizza che lo sviluppo più precoce dell’emisfero sinistro faccia sì che gli vengano destinate le attività materiali e intellettuali più complicate, linguaggio incluso. Da qui il numero statisticamente maggiore di afasici con lesioni a sinistra. Tuttavia, una crescita non regolare porta a un riadattamento, con conseguente localizzazione a destra; la sede non è assolutamente innata, ma dipendente in certa misura da fattori estrinseci.

Si tratta di notazioni estremamente moderne, oltre che di grande rilevanza, il cui valore è dettato, soprattutto, dallo spessore del loro autore, figura di primo piano nel panorama medico europeo della seconda metà dell’800.

Secondariamente, esse segnano un ulteriore passo in avanti da un punto di vista epistemologico, che si colloca sulla linea che va dalle interessanti ma pre-scientifiche ricostruzioni di Gall e Spurzheim agli studi rivelatori di Flourens, limitati però a cavie animali. Infine il report del ’65 inaugura la serie di testimonianze circa la plasticità del cervello che attraverserà, come un fiume sotterraneo, tutta la fase localizzazionista, sino alla seconda metà del ‘900.

1.2.2 Alfred Vulpian

Nell’imponente volume Leçons sur la physiologie générale et comparée du

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système nerveux 36 raccolta di una serie di interventi tenuti nel 1864 al Museo di

storia naturale di Parigi, un altro fisiologo transalpino, Alfred Vulpian, descrisse una forma di plasticità di cui i cervelli giovani sono particolarmente dotati. Confermando sostanzialmente quanto era stato precedentemente affermato da Flourens circa le capacità di ripresa a seguito di lesione, Vulpian si soffermò poi sul problema specifico del nesso tra lesione focale e afemia, che, come abbiamo visto, era al centro del dibattito negli anni ’60:

Il semblerait donc, si l'on bornait l'examen de la question de l'aphasie à l'énoncé de ces donne, que réellement il existerait, dans le cerveau proprement dit de l'Homme, une région bien déterminée où résiderait la faculté du langage articulé, et que les régions voisines de celle-là seraient le siège des autres facultés d'expression.[…] Mais il y a des faits qui doivent nous inspirer des doutes sur la légitimité de cette localisation, ou du moins sur la valeur de l'opinion qui veut que la faculté du langage articulé ait son siège bien circonscrit dans la partie postérieure de la troisième

circonvolution frontale. […] Ensuite, et c'est là une objection décisive, on a observé des cas d'aphémie dans lesquels il n'y avait pas la moindre lésion de la troisième circonvolution frontale gauche. M. Charcot a recueilli des faits de ce genre et j'en ai vu moi-même. De plus, j'ai trouvé, chez une malade qui n'avait offert qu'un léger degré d'aphasie, une destruction absolument complète de la troisième circonvolution frontale gauche et d'une partie de la seconde, et je dis qu'un fait de ce genre est aussi extrêmement significatif ; car si la troisième circonvolution a pour fonction de présider, par un mécanisme quelconqne, au langage articulé, une pareille lésion aurait dû abolir entièrement cette faculté.37

Vulpian divenne uno dei più accesi oppositori della teoria localizzazionista, giudicata priva di consistenza e inadeguata in ragione dei numerosi indizi contrari.

36 A. VULPIAN (1866). 37 Ivi, pp. 716-717.

(33)

L’esperienza di laboratorio e quella della clinica mostravano chiaramente una «suppléance réciproque » delle varie parti della corteccia.

Tralasciando l’eccessivo zelo con cui viene difesa l’ipotesi olista, due sono gli elementi più importanti che emergono dalle pagine delle Leçons come ormai dati consolidati a quest’altezza; innanzitutto l’importanza dei primi anni di vita , in cui il cervello dà segni di una maggior malleabilità, che va progressivamente

affievolendosi successivamente; inoltre è ormai evidente la possibilità di una consistente ripresa funzionale a seguito di eventi patologici o traumatici anche assai gravi. Ed è proprio in questa direzione che si mossero la maggior parte dei resoconti sulla plasticità.

1.2.3 Jules Cotard

Allievo e ideale prosecutore del lavoro di Vulpian fu Jules Cotard, anch’egli attivo in quello che divenne, proprio sotto la guida di Vulpian e dell’eminente medico Charcot , uno dei poli d’avanguardia delle scienze neurologiche dell’Ottocento, la clinica Salpêtrière di Parigi.

Cotard viene solitamente ricordato per la sindrome che porta il suo nome, uno stato di delirio in cui il paziente arriva persino a negare la propria esistenza. Perlopiù sconosciute, almeno al pubblico non specialista, sono invece le sue osservazioni sulla natura plastica e adattativa del sistema nervoso di cui si dà conto nell’Étude sur l’atrophie partielle du cerveau.38 Oggetto di studio sono i

casi di atrofia di uno degli emisferi riconducibili a malattie insorte durante l’infanzia o, addirittura, intra-utero. Nella parte conclusiva della monografia

(34)

Cotard illustra, dopo averne passato in rassegna anatomo-patologia, eziologia e sintomatologia, le ripercussioni sullo stato mentale del paziente che la malattia (o, meglio, l’insieme di malattie che concorrono all’atrofia) può produrre.

Quel che si riscontra prima facie è una cospicua varietà di esiti, che oscillano tra una pressoché totale assenza delle facoltà intellettuali e una loro conservazione perfetta, tanto da rendere insospettabile una condizione patologica sottostante. Il primo principio derivante dall’esperienza clinica è chiaro:

On ne peut donc pas établir de rapport entre la maladie considérée en général et l'état de l'intelligence. On ne peut pas non plus établir de rapport entre l'altération des facultés

intellectuelles et le côté gauche ou droit de l'atrophie cérébrale dans dix cas, où l'intelligence était intacte, cinq fois l'hémisphère gauche était atrophié […] et cinq fois l'hémisphère droit […].39

Secondariamente emerge nuovamente l’idea che il momento in cui la condizione di anormalità insorge riveste un’importanza non trascurabile:

Dans les cas où l'intelligence était saine, l'atrophie de l'hémisphère remontait à la première enfance ou à la vie intrautérine; dans un seul cas, la maladie n'a débuté qu'à l'âge de 5 ou 6 ans. Dans trois cas ou l'atrophie cérébrale s'est produite pendant l'âge adulte, les malades sont tombés en enfance. Il est extrêmement remarquable que, quel que soit le côté de la lésion cérébrale, les individus hémiplégiques depuis leur enfance ne présentent jamais d'aphasie, c'est-à-dire d'abolition de la faculté du langage avec conservation plus ou moins complète de l'intelligence. Dans nos observations d'atrophie, remontant à la première enfance, l'intelligence n'est jamais mieux développée que la faculté du langage, on n'observe jamais cette impossibilité d'exprimer les idées, ce contraste singulier entre les facultés intellectuelles et les facultés d'expression qui donnent aux 39 Op. cit., p.89.

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aphasiques une physionomie si originale.40

Cotard condivide e se possibile amplia quanto scritto da Broca nell’articolo del 1865. Malgrado in genere il linguaggio dipenda dall’emisfero sinistro (che ha uno sviluppo più precoce e assume su di sé tale funzione), non si può escludere che la parte destra possa supplire a eventuali deficienze di natura patologica,

specialmente se queste si verificano durante la prima infanzia. Il processo, una sorta di rieducazione spontanea, è lento e faticoso ma almeno in linea teorica possibile:

De ces propositions qui résument les faits décrits dans nos observations, nous sommes en droit de conclure tout d'abord que, lorsqu'un hémisphère cérébral a été détruit pendant la première enfance, l'autre hémisphère peut le suppléer dans ses fonctions et qu'il suffit de l'un quelconque des deux hémisphères pour l'exercice sensiblement normal des facultés intellectuelles. Puisqu'un seul hémisphère suffit à la faculté du langage, il est infiniment probable que l'enfant n'apprend à parler que d'un hémisphère (c'est d'ailleurs ce que démontrent les nombreuses observations d'aphasie), comme plus tard il n'apprendra à écrire que d'une main. […] Aussi les individus qui sont tout à coup privés de la portion de l'hémisphère gauche qui avait appris à parler se trouvent dans la même position que les enfants qui ne parlent pas encore; leur hémisphère droit possède virtuellement, si l'on veut, la faculté de parler, mais cette faculté ne peut se manifester qu’après une longue

éducation. […] Quand une lésion partielle du cerveau survient chez un adulte dont les facultés sont plus ou moins parfaitement localisées il y a souvent lésion partielle de l'intelligence. Quand la même lésion survient chez un enfant, avant toute connaissance et toute faculté acquise, il n'y a pas de lésion partielle de l'intelligence mais seulement affaiblissement général des facultés, si la lésion est double et très-étendue.41

40 Ivi p. 89-90. 41 Ivi pp. 90; 93; 96.

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Allargando la prospettiva all’intero dibattito sulla validità del localizzazionismo, ancora ai suoi esordi, Cotard predica, con estrema lucidità, un atteggiamento di equilibrio che tenga conto delle criticità poste in evidenza proprio dalla pratica clinica. L’errore dei cosiddetti localisateurs è quello di aver collegato in modo assoluto e inflessibile facoltà estremamente complesse a limitate aree cerebrali. Si tratta di un richiamo alla necessità di armonizzare due visioni, entrambe sostenute da un corpus considerevole di elementi a favore, apparentemente inconciliabili ma in realtà perfettamente complementari; un’esigenza che si farà via via sempre più cogente con l’accumularsi di indizi sperimentali e clinici a sostegno della

malleabilità cerebrale.

1.2.4 Charles Brown-Séquard

Un’ulteriore testimonianza in linea con quelle già esaminate arriva da Charles Brown-Séquard, medico francese ma attivo per gran parte della carriera in Nord America. Nel 1874 a Washington egli tenne la seconda delle Toner Lectures, intitolata Dual character of the brain42 , il cui oggetto era l’eventualità, prospettata

dalle localizzazioni allora in corso, di una asimmetria di compiti tra i due emisferi, risultante in una netta superiorità del sinistro sul destro.

Brown-Séquard, pur convinto che «we have two brains, perfectly distinct the one from the other»43, ritiene che non si ponga abbastanza attenzione all’educazione di

entrambi, con grosso spreco di potenziale cognitivo. Senza volersi soffermare troppo sul tema del rapporto tra i due emisferi (che in epoca vittoriana fu persino

42 C. BROWN-SÉQUARD (1874). 43 Op. cit. p.1.

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pseudo-giustificazione di atteggiamenti razzisti), un punto in particolare dell’esposizione merita di essere menzionato; nelle pagine conclusive infatti si legge:

In children that have not yet learned to talk, or who have already learned only a little, if disease comes in the left side of the brain, the one, I repeat, which is usually the most rapid in its development if disease comes to produce atrophy, so that the left side of the brain becomes useless, those children than learn to talk just as well, or nearly as well, as if they had no such affection, and they learn it with the right side of the brain, which is the only one acting. […] There is in these facts clear proof that the right side of the brain can be educated to become a leader in mental faculties as well as the left side of the brain. […] There is also another fact as regards the influence of training. Even in adults, who have lost the power of speech from disease of the left side of the brain, it is possible to train the patient to speak, and most likely then, by the use of the right side of the brain. […] They always have more difficulties than do children, but they learn if they are taught the same way.44

Accettare una forma di localizzazione, esattamente come fa Brown-Séquard, non significa postulare una forma di innatismo o una fissità della stessa. L’esercizio si risolve, tanto nei bambini quanto negli adulti, in cambiamenti così evidenti da non lasciare dubbi circa lo slittamento di posizione di una facoltà. Brown-Séquard conclude rimarcando l’importanza di un’educazione che tenga conto dei suggerimenti offerti dallo studio dei fenomeni patologici e di quelli di riabilitazione.

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1.3 L'area germanofona 1.3.1 Otto Soltmann

La Germania è, insieme alla Francia, l’altro cuore pulsante della ricerca medica del XIX secolo. Pur essendo la patria di un orientamento filosofico spiccatamente metafisico come l’idealismo, il fecondo apporto della Naturphilosophie incentivò lo studio su basi materiali del mentale e, più in generale, sull’organizzazione anatomico-funzionale del sistema nervoso. Non è un caso se, per esempio, la moderna psicologia sperimentale venne alla luce proprio in questo periodo nel laboratorio di Wilhelm Wundt a Lipsia.

Nella seconda metà del secolo tanto a Berlino quanto a Parigi un tema discusso era la teoria della localizzazione cerebrale a cui proprio un medico tedesco, Carl Wernicke, come già riportato, aveva dato un contributo decisivo.

Nel 1876, a due anni dalla pubblicazione della scoperta di Wernicke, il pediatra Otto Soltmann condusse degli esperimenti sullo sviluppo funzionale della corteccia motoria e sugli esiti di stimolazione e ablazione della stessa in alcuni cani.45 Il primo risultato rilevato fu l’impossibilità di suscitare reazioni stimolando

la corteccia motoria di cuccioli appena nati. Questa porzione corticale non sembrò essere in grado di svolgere la propria funzione – dimostrata da Fritsch e Hitzig – prima del decimo giorno d’età:

Zweifelsohne konnte ich mich nun mit der meinen aprioristischen Ideen entsprechenden Tatsache nicht begnügen, den eine zweite und sehr wichtige Frage war nun die: Wann bilden sich denn jene Rindencentra? Oder einfach, von welcher Zeit an werden durch electrischen Stromreiz von der

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Grosshirnrinde aus jene characteristischen Muskelcontractionen ausgelöst? […] Erst mit dem 10. Lebenstage, ungefähr 2 Tage, nachdem die Tiere sehend wurden und sich zu orientieren anfingen, konnte ich einen deutlichen characteristischen Effect wahrnehmen. Aber auch jetzt noch verhielt sich die Sache ganz anders als beim erwachsenen Hunde.46

Inizialmente dunque le funzioni, anche quelle motorie, non sarebbero rigidamente fissate in precisi centri corticali. Ciò permise a Soltmann di spiegare la sostanziale assenza di deficit che le cavie più giovani avrebbero mostrato in seguito:

War nämlich bei neugeborenen und bis zu 9-10 Tage alten Hunden die elektrische Erregbarkeit noch nicht vorhanden, so hatte ich auch nach der Exstirpation der Rindengebiete keinen Effect. Nichts von Ataxie, Lähmung, Muskelsinnstörungen u. derg., die Tiere zeigten in ihren Bewegungserscheinungen durchaus nichts von der Norm abweichendes.47 […] Denn da die Gehirnrinde eben noch nicht ihre Schuldigkeit thut, […] kein Effect auf die electrische Reizung erfolgte, so konnte sich auch nach der Exstirpation keine Bewegunsstörung dokumentieren. Allein es sollte doch folgerichtig, wie schon oben bemerkt, einige Zeit nach der Operation, innerhalb welcher die Rinde ihre motorische Bedeutung erlangt hat, der anatomische Rindendefect sich dann auch functionell in Form der characteristischen Lähmung offenbaren. Wie mitgeteilt, trat diess nicht ein, die Thiere verhielten sich ganz normal. […] Am nächst liegenden ist indessen wohl anzunehmen, dass überhaupt andere Bahnen für die verlorene gegangenen vicariirend eintreten können. 48

Attraverso la logica del vicariamento delle funzioni risultano comprensibili i casi di bambini con danni cerebrali anche estesi le cui facoltà appaiono del tutto

46 O. SOLTMANN (1876), p. 115. 47 Op. cit. 117.

(40)

normali:

Andererseits haben wir aus dem indifferenten Verhalten des Grosshirns in der ersten Lebenszeit eine Erklärung, warum eine so grosse Anzahl von Hirnkrankheiten, ja fast allen - latent bleiben können, d. h. ohne sich durch Gehirnsymptome zu manifestieren, eine Thatsache, die fast von allen Kinderärzten angenommen wird. […] Der Hauptfactor bleibt ganz gewiss der, dass die

Hemisphären zu dieser Zeit noch nicht anatomisch und physiologisch ihre völlige Entwicklung erreicht haben. […] Wenn sich aber in anderen Fällen keine Symptome auch späterhin zeigen, so dürfen wir annehmen, dass, wenn irgend wo an einer Stelle das Rindengebiet oder ein Lappentheil gelitten, der correspondierende Hemisphärentheil für den verletzen in seiner Entwicklung

gestörten functionell eintritt.49

In retrospettiva il lavoro di Soltmann può essere considerato uno dei primi apporti alle neuroscienze dello sviluppo, interesse primario data la sua professione; esso rappresentata inoltre un utile complemento sperimentale alle osservazioni cliniche di Broca, Cotard e Brown-Séquard.

1.3.2 Hermann Munk

Difficilmente è possibile trovare dei localizzazionisti radicali: il recupero

spontaneo di funzioni era un’evidenza empirica troppo grande da ignorare per chi intendesse fornire un apporto serio e onesto alla causa della scienza. Anche coloro che si muovevano all’interno della corrente interpretativa dominante, insomma, finivano prima o poi con l’imbattersi inevitabilmente nei singolari meccanismi neuroplastici. Il caso del fisiologo Hermann Munk costituisce un

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