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Guarda Il femminismo islamico è morto, viva il femminismo islamico: breve incursione in un topos controverso

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N. 21 – 05/2019 383

Il femminismo islamico è morto,

viva il femminismo islamico:

breve incursione in un topos controverso

(Sara Borrillo, Femminismi e Islam in Marocco: attiviste laiche, teologhe, predicatrici, Firenze, Edizioni Scientifiche Italiane, 2017, XIV+274 pp. ISBN 978-884-9532-746; Jolanda Guardi, Renata Bedendo, Teologhe musulmane, femministe,

prefazione di Patrizia Toia, Genova, Effatà, 2009, 160 pp. ISBN 978-8874024995; Renata Pepicelli, Femminismo islamico. Corano, diritti, riforme, Roma,

Carocci Editore, 2010, 160 pp. ISBN 978-884-3052-615; Anna Vanzan, Le donne di Allah, Milano, Bruno Mondadori, 2010, 174

pp. ISBN 978-886-1597-334).

di Anna Vanzan

Il 1° ottobre 2018 si è svolto presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università La Sapienza di Roma, il seminario: Tradizioni, circolarità e orizzonti concettuali. Per una conversazione sui femminismi islamici oggi. Il seminario si poneva l’obiettivo di far dialogare voci e competenze diverse sul tema dei femminismi islamici e la questione del riferimento all’autorità del Corano in rapporto alle interpretazioni, predicazioni e pratiche femministe, come perno intorno al quale costruire una discussione/confronto tra culture diverse. La prima parte è stata animata dalle studiose italiane che più hanno svolto e continuano a svolgere ricerca nel campo dei femminismi “islamici” (Borillo, Pepicelli, Vanzan), autrici dei libri sopracitati (con esclusione di Guardi e Bedendo); la seconda, da studiose che affrontano problematiche di genere da diverse angolazioni (politiche, sociali, storiche, ecc.). Da questo interessante confronto è emerso come la disparità di approccio ai femminismi “islamici” generi non solo molteplici interpretazioni e a volte contraddittorie analisi dei movimenti femministi nel mondo

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musulmano, ma rischi di ripetere una narrativa che è, essenzialmente, eurocentrica o occidentale-centrica. Mentre infatti le studiose di Medio Oriente enfatizzano l’unicità e la peculiarità dell’adozione del femminismo nei Paesi a maggioranza musulmana, le/gli altre/i spesso ignorano l’eterogeneità dei movimenti e delle donne che li animano, rimanendo perlopiù ancorate a una categoria universale di “donna islamica” che per definizione è oppressa e vittima del patriarcato. Alcune/i, inoltre, aderiscono all’idea che un femminismo che si dichiari “islamico” è di per sé una sconfitta in partenza, un ossimoro, un’etichetta che rivela l’impossibilità di conciliare diritti femminili e religione/cultura autoctone.

Alcune precisazioni sono d’obbligo: i cosiddetti femminismi “islamici” sono un fenomeno emerso a partire dagli anni ’80, quando in molti paesi asiatici e africani (dal Nord Africa all’Indonesia) le donne si sono trovate sotto assedio da parte dei neo partiti islamisti, nella cui agenda obiettivo chiave era invertire il percorso di emancipazione femminile, cancellando i diritti delle donne nella sfera familiare (matrimonio, divorzio) e in quella pubblica (obbligo del velo, contrazione delle possibilità lavorative ecc.). Poiché questi partiti fondavano (e fondano) le loro argomentazioni su interpretazioni restrittive e patriarcali dei testi sacri dell’Islam (il Corano e le Tradizioni), le musulmane hanno intrapreso un percorso di reinterpretazione in chiave gender friendly degli stessi. Si tratta quindi di un nuovo tipo di femminismo, di una strategia che coesiste accanto ad altri femminismi di tipo “laico”; fermo restando che all’interno di questi femminismi “islamici” si trovano vari approcci e diverse tecniche di lotta. Questi movimenti di resilienza, pur sottolineando la peculiarità storico-politico-geografica della situazione in cui operano (la situazione delle donne d’Iran è assai diversa, poniamo, da quella in cui vivono e operano le donne in Afghanistan o in Sudan) non intendono operare una frattura lungo la fault line della religione, della nazionalità, dell’etnia, né negare le conquiste della lotta femminista in occidente. Certamente riconoscono come prioritario l’obiettivo di creare forme di resistenza femminista che possano avere successo nella situazione locale in cui operano e magari che possano avere risonanza in altre situazione simili, leggi, in altri Paesi dove la religione musulmana sia usata come arma contro le donne. Ecco, ad esempio, che si spiegano i movimenti transnazionali come Musawah (www.musawah.org) o come Women Living under Muslim Law (www.wluml.org), piattaforme virtuali dove le musulmane, che spesso condividono gli stessi problemi, possono trovare ispirazione e solidarietà.

La letteratura su tali argomenti è ormai copiosa, ma a chi voglia rendersi conto dell’entità e dell’importanza di questi movimenti rimando a quattro monografie frutto dell’impegno di ricercatrici italiane con grande esperienza teorica e pratica dei movimenti femministi nei paesi presi in esame e dove è lasciato ampio spazio alle voci delle protagoniste. Iniziando in ordine cronologico, Teologhe musulmane, femministe, di Jolanda Guardi e Renata Bedendo, pone l’accento soprattutto sul lavoro di interpretazione delle fonti sacre da parte delle donne; Femminismo islamico. Corano, diritti, riforme di Renata Pepicelli offre una panoramica generale sulla genesi di questi movimenti; Le donne di Allah di Anna Vanzan è dedicato in particolar modo ai movimenti asiatici (Iran, Turchia e Indonesia); mentre Femminismi e Islam in Marocco:

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attiviste laiche, teologhe, predicatrici di Sara Borrillo costituisce un focus sulla situazione del regno del Marocco.

La lettura di questi libri consente di comprendere come la lotta per la conquista dei diritti delle donne sia multidimensionale, praticata attraverso piattaforme e alleanze che si intersecano spesso con movimenti per la democratizzazione come quelli sostenuti da lavoratori di varie categorie, dagli studenti, dalla società civile in genere. E, soprattutto, ribadisce come non vi sia dicotomia tra le “musulmane” e le “altre”, fra il particolare e l’universale, ma bensì una comune ricerca di giustizia di genere che si esplica con forme e mezzi consoni al contesto in cui opera.

_____________________________________ Anna Vanzan

Università degli Studi di Milano anna.vanzan@unimi.it

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